Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 18 dicembre 2018

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,

   premesso che:

    il 10 dicembre 2018 a Marrakech la comunità internazionale ha adottato il Global compact for safe, orderly and regular migration promosso dalle Nazioni Unite, con la sottoscrizione di 164 Paesi. Si tratta di un insieme di atti che derivano dalla Dichiarazione di New York su rifugiati e migranti del 2016;

    l'obiettivo del Global Compact è quello di creare una rete internazionale per un'accoglienza «sicura e di sostegno» di migranti e rifugiati;

    i principi fondamentali a cui esso si ispira sono quelli della lotta alla xenofobia, allo sfruttamento e al traffico di esseri umani, del potenziamento dei sistemi di integrazione, dell'assistenza sanitaria, di programmi di sviluppo, di procedure di frontiera che rispettino la Convenzione di Ginevra del 1951;

    si prevede, inoltre, un maggiore sostegno ai Paesi e alle comunità che ospitano il maggior numero di rifugiati;

    il Global Compact è finanziato da contributi volontari dei Governi a UN Trust fund e attualmente i donatori sono: Brasile, Cile, Cina, Colombia, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Norvegia, Olanda, Regno Unito, Repubblica di Corea, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia;

    esso si fonda su un approccio multilaterale al tema delle migrazioni, attraverso modelli di cooperazione tra le nazioni;

    il Global Compact rappresenta un importante passo in avanti. L'approccio multilaterale, infatti, è irrinunciabile, sebbene sia da evitare l'errore di una sterile riproposizione dei paradigmi della regolazione liberista dei mercati, che in questi anni hanno finito per accentuare le diseguaglianze economiche, sociali e territoriali, anziché ridurle. Nella gestione del governo dei processi migratori non è possibile, infatti, prescindere, in particolare per la mobilità del lavoro, ad esempio, dai livelli di disoccupazione e di progressivo indebolimento del welfare dei Paesi di destinazione;

    nel corso dell'incontro tenutosi al Palazzo di Vetro il 27 settembre 2018, il Segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, e il Presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte – secondo una nota ufficiale delle Nazioni Unite – «hanno discusso questioni relative alla migrazione e Conte ha espresso il suo sostegno al Global Compact per la migrazione»;

    in occasione della seduta dell'Assemblea, dedicata alle interrogazioni a risposta immediata, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha affermato che: «Per quanto riguarda l'orientamento circa questo accordo detto Global Compact, ricordo che il Presidente del Consiglio dei ministri aveva espresso un orientamento favorevole; in ogni caso avremo un approfondimento in sede di Governo, prima di procedere alla conclusione eventuale dell'accordo stesso, tenendo conto, anche, degli stimoli parlamentari»;

    successivamente con l'atto di sindacato ispettivo n. 5-01011 si interrogava il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale sulla posizione del Governo italiano in merito al Global Compact. Il Sottosegretario Manlio Di Stefano, rispondendo all'interrogazione citata, ha evidenziato che, considerata la vastità e la delicatezza dei temi contenuti nel Global Compact, il Governo, con un atto di grande responsabilità, ha ritenuto opportuno sottoporre la materia al vaglio del Parlamento, al fine di definire una posizione forte e condivisa;

    in occasione della discussione sul «decreto-legge sicurezza» il Ministro dell'interno Matteo Salvini ha dichiarato che: «il Governo italiano non andrà a Marrakech, non firmerà alcunché, perché il dibattito è così importante che non merita di essere una scelta solo del Governo, ma deve essere quest'Aula a discutere del Global Compact (...) Le due forze politiche del Governo – uscirà un comunicato stampa del Presidente del Consiglio dei ministri in questi minuti – per disponibilità e responsabilità, lasciano che sia il Parlamento a decidere che cosa l'Italia farà o non farà sul Global Compact.». Questa autentica retromarcia del Governo, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, nuoce al prestigio internazionale dell'Italia;

    il Governo italiano non ha partecipato alla Conferenza di Marrakech, non consentendo in tal modo all'Italia di poter influire sull'elaborazione, sull'orientamento generale del Global Compact e sulle decisioni prese in quella sede, evidenziando così un atteggiamento di distacco e ostilità;

    la mancata partecipazione dell'Italia alla Conferenza di Marrakech, al pari dei Paesi del gruppo di Visegrad, ha inoltre contribuito alla divisione dell'Unione europea;

    l'Italia, negli ultimi decenni, è stata protagonista del passaggio di diversi flussi migratori, anche in considerazione della collocazione geografica;

    è impensabile che il nostro Paese possa da solo avere una gestione funzionale del fenomeno;

    il Global Compact servirebbe al nostro Paese al fine di una definizione complessiva e coerente del fenomeno migratorio, diventando pertanto uno strumento utile per concordare gli interventi in collaborazione con gli altri Paesi, proprio mentre la scarsa collaborazione nell'ambito dell'Unione europea ha prodotto i maggiori problemi all'Italia nella gestione del fenomeno;

    il Global Compact non è vincolante, ma vuole solamente essere un forum per trovare le soluzioni; in ogni caso, non avendo carattere giuridicamente vincolante, non inciderà sugli ordinamenti interni dei singoli Stati;

    il fenomeno migratorio sarà strutturale nel prossimo futuro, obbligando la comunità internazionale a pensare a politiche comuni e integrate di intervento. Tale decisione, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo grave e sbagliata, produce ulteriore isolamento dell'Italia nel contesto internazionale sul tema dei flussi migratori, acuendo i già difficili problemi di gestione dei flussi in modo ordinato, nella sicurezza dei migranti e delle comunità che li accolgono,

impegna il Governo

1) ad aderire al Global Compact for migration.
(1-00095) «Fornaro, Boldrini, Bersani, Conte, Epifani, Fassina, Fratoianni, Muroni, Occhionero, Palazzotto, Pastorino, Rostan, Speranza, Stumpo».


   La Camera,

   premesso che:

    il «Patto globale per una migrazione sicura, ordinata e regolare» (Global Compact for safe, orderly and regular migration) è un'iniziativa dell'Onu, assunta dai Capi di Stato e di Governo dei Paesi membri in una dichiarazione congiunta, nel contesto dell'Assemblea generale a New York il 19 settembre 2016;

    dopo una fase di consultazioni ed incontri, la bozza finale del Global Compact è stata presentata 1'11 luglio 2018 e condivisa da 164 Paesi nella Conferenza intergovernativa dell'Onu a Marrakech il 10 e l'11 dicembre 2018;

    il Global Compact è un protocollo politico-programmatico che ha valore d'indirizzo per gli Stati aderenti. Esso non ha natura normativa, non traducendosi in una vera e propria convenzione internazionale. Non è vincolante poiché la sua violazione non comporta alcuna sanzione da parte di nessun organismo;

    il Global Compact si propone di affrontare il fenomeno della migrazione in modo organico, sulla base di analisi e dati empirici sulla migrazione, condivisi tra tutti i Paesi, al fine di evitare migrazioni incontrollate e che Paesi singoli si trovino da soli a gestire un fenomeno che, viene ribadito nel documento, è «transnazionale». Da qui il riconoscimento di una «responsabilità condivisa» a cui fa appello il Global Compact nella sua premessa;

    nelle dichiarazioni d'intenti del Global Compact contenute nel preambolo si trovano alcuni punti di grande interesse e rassicurazione per il nostro Paese:

     a) al punto 4 si ribadisce che i rifugiati e migranti sono due gruppi distinti regolati da quadri giuridici diversi e che solo i rifugiati hanno diritto alla specifica protezione internazionale, come definita dagli accordi internazionali. Questo smentisce i rischi paventati il 27 novembre 2018 dal Ministro Salvini, secondo il quale il Global Compact «mette sullo stesso piano i migranti cosiddetti economici e i rifugiati politici»;

     b) al punto 6, si legge che il Global Compact non è giuridicamente vincolante, non impone nessuna politica migratoria agli Stati che lo sottoscrivano, violandone così la sovranità nazionale, ma offre un quadro per la cooperazione internazionale, lasciando agli Stati la libertà di determinare la politica migratoria sul proprio territorio;

     c) al punto 12, si smentisce la tesi che il documento possa incoraggiare le migrazioni. L'accordo, infatti, impegna i Governi d'origine dei migranti a «mitigare quei fattori avversi e strutturali che impediscono alle persone di realizzare e mantenere uno stile di vita sostenibile nei rispettivi Paesi d'origine». Questo impegno di superare le necessità delle popolazioni a emigrare è in linea anche con l'impegno preso dal Governo in sede di Consiglio europeo. Si ricorda che tra i Paesi che il 10 e 11 dicembre 2018 hanno aderito al Global Compact vi sono anche i Paesi da cui provengono le quote maggiori di migranti in Italia, ovvero Tunisia, Egitto, Eritrea, Pakistan, Bangladesh e Nigeria;

    tra i 23 obiettivi del Global Compact a cui dovrebbero mirare gli Stati che sottoscriveranno il patto, vengono previste possibili intese che vanno palesemente a beneficio di un Paese di primo approdo come l'Italia, tra le quali:

     a) il punto 4 mira ad assicurare che tutti i migranti siano in possesso di documenti legali di identità;

     b) il punto 5 promuove i canali regolari di immigrazione;

     c) il punto 6 contrasta lo sfruttamento dei lavoratori immigrati;

     d) il punto 9 rafforza la risposta transnazionale al traffico dei migranti;

     e) il punto 11 prevede di mettere in sicurezza i confini degli Stati, contrastando l'immigrazione irregolare e favorendo quella leale;

     f) il punto 21 promuove accordi di rimpatrio dei migranti;

    la posizione del Governo italiano in materia di migrazioni è stata sin dal suo insediamento una posizione in linea con i sopra citati obiettivi, molti dei quali sono diventati anche punti concordati dal Consiglio europeo di giugno e di ottobre 2018;

    l'Italia ha partecipato a tutte le fasi del negoziato nel corso degli ultimi due anni che ha portato alla stesura del Global Compact. Rispondendo ad un'interrogazione a risposta immediata in Assemblea alla Camera deputati, il 21 novembre 2018, il Ministro Enzo Moavero Milanesi ha difeso l'accordo programmatico Global Compact, sostenendo che «non sarà un atto giuridicamente vincolante» e che nel documento ci sono principi di responsabilità condivisa nella gestione degli oneri dell'immigrazione;

    la stessa linea ha manifestato anche il Sottosegretario per gli affari esteri e la cooperazione internazionale, Manlio Di Stefano: «Siamo fiduciosi che il Global Compact sarà uno strumento utile per massimizzare l'impatto delle risorse disponibili nella gestione dei flussi migratori»;

    in sede di conversione in legge del decreto-legge 10 luglio 2018, n. 84, recante disposizioni urgenti per la cessione di unità navali italiane a supporto della Guardia Costiera del Ministero della difesa e degli organi per la sicurezza costiera del Ministero dell'interno libico, il Sottosegretario per l'interno Nicola Molteni, intervenuto nell'aula della Camera, ha dichiarato: «coloro che arrivano in Italia e in Europa, che hanno diritto ad avere una forma di protezione internazionale, devono arrivare con forme di legalità e di sicurezza, perché solo attraverso le forme della legalità e della sicurezza noi possiamo accettare, condividere e apprezzare un principio di civiltà, che è la precondizione che sta alla base dell'azione di questo Governo. La tutela dei diritti umani (...) è un elemento totalmente fondante dell'attività di questo Governo. Il rispetto delle convenzioni internazionali, il rispetto dei diritti umani, il rispetto di principi di umanità è la precondizione dell'azione politica di questo Governo nei confronti del contrasto al traffico dell'immigrazione clandestina e nei confronti del contrasto agli scafisti»,

impegna il Governo

1) ad aderire al Global Compact for safe, orderly and regular migration anche successivamente alla data del 19 dicembre 2018.
(1-00096) «Emanuela Rossini, Schullian, Gebhard, Plangger, Benedetti, Lorenzin, Toccafondi».


   La Camera,

   premesso che:

    recentissimi fatti di cronaca evidenziano il gravissimo fenomeno della diffusione dell'uso e dell'abuso di sostanze stupefacenti o psicotrope negli ambienti della vita notturna da parte dei giovani, con esiti sovente drammatici;

    è notizia di questi giorni, infatti, lo stato di fermo disposto per reati connessi alla detenzione di sostanze stupefacenti del minorenne sospettato di aver spruzzato lo spray al peperoncino nella discoteca Lanterna Azzurra di Corinaldo che, scatenando il panico all'interno del locale ha poi portato alla morte di sei persone;

    nella medesima indagine risultano fermate anche altre due persone, sempre con l'accusa di detenzione di sostanze stupefacenti;

    a tale proposito, preme rilevare come le ipotesi investigative della procura sulla vicenda della Lanterna Azzurra, che attualmente sta procedendo per l'ipotesi di omicidio preterintenzionale a carico di ignoti, siano ostacolate dalla mancanza di un sistema di videosorveglianza all'interno della discoteca, per cui gli inquirenti stanno analizzando i filmati, realizzati con i cellulari, forniti dai presenti;

    questo è solo un esempio: l'elenco dei giovani e giovanissimi, usciti per una serata di divertimento e finita tragicamente, è purtroppo lunghissimo;

    del resto, la recente relazione annuale al Parlamento 2018 sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, curata dal Dipartimento per le politiche antidroga indica come la cannabis rimanga la sostanza illegale più utilizzata nella vita dagli studenti tra i 15 e i 19 anni, seguita, nell'ordine, dal preoccupante diffondersi di nuove sostanze psicoattive (Nps), spice, cocaina, stimolanti, allucinogeni ed eroina;

    da anni le autorità s'interrogano su come arginare la vera e propria «mattanza psico-fisica» del sabato sera: molte proposte, molti interventi del legislatore, da ultimo il «decreto sicurezza», ma evidentemente ancora inadeguati i risultati;

    nei locali notturni la logica del «divertirsi ad ogni costo» con l'abuso di alcool e droghe è frutto di una distorsione culturale, tipica dei nostri tempi, che spinge i ragazzi verso la trasgressione e l'illegalità;

    non è un caso, infatti, che l'Italia sia ai primi posti in Europa per le così dette «stragi del sabato sera»;

    è necessario, dunque, prevenire tali fenomeni tramite azioni non meramente episodiche, bensì strutturali e che si muovano su diversi piani d'intervento, al fine tutelare l'integrità psico-fisica ed il futuro dei giovani;

    di sicuro, uno strumento efficace può essere individuato nell'implementazione delle campagne di sensibilizzazione che, in considerazione della nuova grammatica comunicativa dei «nativi digitali», non può non tener conto delle nuove tecnologie digitali;

    tali tecnologie posseggono una immediata e decisiva capacità d'impatto sui rapporti e sui comportamenti, soprattutto dei più giovani, e dunque sull'intero sostrato sociale: fatto questo con il quale pare improcrastinabile confrontarsi;

    non si può ignorare, infatti, che dal Rapporto annuale dell'Unicef su «La condizione dell'infanzia nel mondo» del 2017 emerge che un utente su tre del web è un minore;

    la comunicazione dovrebbe, dunque transitare, oltre che dai primari luoghi istituzionali – quali la scuola –, anche da un diffuso utilizzo dei «social»; il web 2.0 deve diventare proprio questo: un «villaggio globale», una rete trasformata in un network sociale, un luogo per stimolare e costruire la conoscenza;

    nell'ambito di tali iniziative informative, s'impone la necessità di transitare l'idea che, assumendo sostanze psicoattive, si incorre in vari danni di tipo cellulare e funzionale che coinvolgono i meccanismi di funzionamento psichico e cerebrale, anche quando il consumo di droga è sporadico;

    tali campagne di sensibilizzazione devono vedere altresì coinvolti gli imprenditori e gli operatori professionali del settore;

    non solo, oltre alla detta necessaria sensibilizzazione sulle conseguenze dell'uso delle sostanze psicotrope o stupefacenti, in uno con l'uso dell'alcool, paiono necessari interventi che collochino i soggetti «pericolosi» al di fuori dei luoghi della movida notturna;

    in tal senso, sembra indispensabile adottare misure atte ad allontanare soggetti dediti ad attività illecite connesse a violazioni del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 – Testo unico in materia di sostanze stupefacenti e psicotrope – da tali luoghi, a prescindere dall'esistenza di una sentenza penale di condanna, così come avviene per il divieto di accedere alle manifestazioni sportive (Daspo);

    al fine di favorire la prevenzione di condotte illecite all'interno dei locali notturni pare, inoltre, necessario intraprendere iniziative legislative volte a promuovere l'obbligo per gli esercenti di locali notturni di installare sistemi di videosorveglianza a circuito chiuso, le cui immagini, conservate per un lasso di tempo pari almeno alla durata minima delle indagini preliminari, siano visionabili dalle competenti autorità, nell'ipotesi di acquisizione di una notizia di reato avvenuto all'interno di tali locali;

    nella medesima ottica, è opportuno prevedere l'intensificazione di controlli coordinati, omogenei e costanti da parte delle forze dell'ordine in prossimità delle discoteche e di altri luoghi di intrattenimento generalmente frequentati dai giovani, incrementando il numero di posti di controllo posizionati nelle vicinanze dei locali, in corrispondenza dell'orario di accesso e di uscita da tali siti, con finalità principale di deterrenza nei confronti del consumo e del traffico di sostanze e soprattutto della guida sotto l'effetto di alcol e/o droghe;

    si rendono, infine, necessarie iniziative volte a disincentivare l'uso di mezzi di trasporto propri per raggiungere i locali notturni, tramite misure, favorendo accordi tra gli enti locali, le aziende pubbliche di trasporto, le associazioni rappresentative dei tassisti e quelle dei locali notturni di intrattenimento finalizzate ad elaborare piani per l'uso dei mezzi pubblici ed un piano taxi a tariffe agevolate,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per prevedere la costruzione di percorsi scolastici, mediante la modifica delle indicazioni nazionali e delle norme in materia di assetto ordinamentale, organizzativo e didattico di tutte le scuole di ogni ordine e grado del territorio nazionale, per l'implementazione delle tematiche connesse alla sensibilizzazione sull'uso di sostanze psicotrope e stupefacenti ed alcolici, con particolare riguardo agli effetti dannosi conseguenti al loro uso anche sporadico;

2) ad adottare idonee iniziative volte a promuovere tali sistematiche campagne di sensibilizzazione tramite l'utilizzo di piattaforme telematiche di social networking;

3) ad intraprendere iniziative – anche attraverso il coinvolgimento delle regioni – per la formazione e l'aggiornamento professionale del personale dei locali notturni, attraverso l'organizzazione di corsi per: a) prevenzione di comportamenti a rischio e gestione dei rapporti con i servizi pubblici preposti alla tutela sanitaria e dell'ordine pubblico; b) primo intervento sanitario in caso di malori, collassi, crisi di panico ed altre eventuali emergenze sanitarie;

4) ad adottare, d'intesa con la Conferenza unificata Stato-regioni ed autonomie locali, con le strutture sociosanitarie locali e le competenti associazioni rappresentative di categoria, iniziative finalizzate a favorire, all'interno ed all'esterno dei locali notturni d'intrattenimento e ballo, la presenza di operatori sociali per lo svolgimento di attività di prevenzione, informazione, sensibilizzazione e contenimento dei rischi, e a destinare appositi spazi ai materiali informativi predisposti nell'ambito di campagne pubbliche sui pericoli derivanti dall'uso di alcolici e di stupefacenti e per la sicurezza stradale;

5) ad intraprendere le opportune iniziative di competenza volte ad inibire a soggetti ritenuti pericolosi di accedere a locali notturni di intrattenimento, svago e ballo, per un periodo di tempo da uno a 5 anni, assicurando ai soggetti colpiti la necessaria garanzia di controllo giurisdizionale sulla misura preventiva;

6) ad assumere iniziative volte ad introdurre l'obbligo per i gestori di locali notturni di sistemi di videosorveglianza a circuito chiuso, nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di rispetto della privacy dei lavoratori;

7) ad intraprendere le opportune iniziative, nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di privacy, volte alla conservazione del materiale video-registrato per un periodo di sei mesi al fine di consentirne la visione da parte delle competenti autorità di polizia giudiziaria, nell'ipotesi di acquisizione di una notizia di reato avvenuto all'interno di tali locali;

8) ad intraprendere le necessarie iniziative, anche in via amministrativa, finalizzate all'intensificazione di controlli coordinati, omogenei e costanti da parte delle forze dell'ordine in prossimità delle discoteche e di altri luoghi di intrattenimento notturno;

9) ad adottare, d'intesa con la Conferenza unificata Stato-regioni ed autonomie locali e con le competenti associazioni rappresentative di categoria, iniziative finalizzate a favorire accordi tra gli enti locali e le aziende pubbliche di trasporto per la predisposizione di piani per l'uso dei mezzi pubblici e di un Piano «taxi» a tariffe agevolate.
(1-00097) «Prestigiacomo, Gelmini».


   La Camera,

   premesso che:

    l'area di Taranto è stata dichiarata «ad elevato rischio di crisi ambientale» con la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata il 30 novembre 1990. Successivamente è stata inserita tra i siti di bonifica di interesse nazionale (Sin) dalla legge n. 426 del 1998, e con il successivo decreto del Ministero dell'ambiente del 10 gennaio 2000 ne è stata disposta la perimetrazione. Una perimetrazione che copre una superficie complessiva di circa 115 mila ettari, di cui 83 mila ettari di superficie marina che interessa l'intera area portuale;

    la Commissione europea ha più volte invitato l'Italia a risolvere la grave situazione di inquinamento dell'aria, del suolo, delle acque di superficie e delle falde acquifere, che interessa il sito dell'Ilva, la città di Taranto e tutto il territorio limitrofo allo stabilimento, anche oltre lo stretto perimetro circostante, a causa della trasmissione degli inquinanti nell'aria, nell'acqua e nel terreno;

    nel sito dell'Ilva, nella città di Taranto e in tutto il territorio limitrofo allo stabilimento, le diverse matrici ambientali, quali terreni, aria, acque di falda e non, mostrano mediamente elevati livelli di compromissione e inquinamento;

    l'area di Taranto vive da anni di una crisi ambientale gravissima, conseguenza di una notevole concentrazione di insediamenti industriali ad alto impatto ambientale, ma soprattutto della presenza sul territorio del più grande stabilimento siderurgico d'Europa. Le azioni ad oggi poste in essere non possono ritenersi sufficienti a mitigare tutte le criticità ancora ben presenti sul territorio;

    per gli interventi di riqualificazione, valorizzazione, sviluppo economico e risanamento ambientale legati alle forti criticità dell'area di Taranto, l'articolo 6 del decreto-legge n. 1 del 2015 ha previsto uno specifico contratto istituzionale di sviluppo denominato «CIS Taranto», il cui soggetto attuatore è Invitalia. A ciò si aggiungano gli specifici compiti affidati dal medesimo decreto-legge del 2015 al commissario straordinario (previsto dal decreto-legge 129 del 2012) per la bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto nonché per l'attuazione dell'intervento di messa in sicurezza e gestione dei rifiuti pericolosi e radioattivi del deposito ex Cemerad di Statte, incarico ricoperto dal 2014, dalla dottoressa Vera Corbelli. L'importo totale ad oggi trasferito sulla contabilità speciale del commissario straordinario è pari a 126.850.000 di euro;

    in questi anni le complesse vicende legate allo stabilimento Ilva e le conseguenti perduranti emergenze industriali sanitarie e ambientali, sono state affrontate quasi esclusivamente con provvedimenti legislativi d'urgenza. Si contano undici decreti legge solo in questi ultimi anni, oltre a numerose norme inserite nei provvedimenti legislativi più vari. Provvedimenti d'urgenza che hanno dimostrato tutti i loro limiti, e hanno prodotto ben poco in termini di risanamento ambientale e di controllo dell'emergenza sanitaria, fallendo tutti l'obiettivo centrale di salvaguardare insieme ambiente, salute e lavoro. Una serie di interventi legislativi che hanno finito per produrre una inaccettabile stratificazione normativa;

    a pagare maggiormente le conseguenze di questa situazione sono soprattutto i cittadini dell'area di Taranto per la crisi sanitaria e ambientale irrisolta;

    ben poco si è fatto per le opere di ambientalizzazione e di risanamento del territorio, così come per le misure di sorveglianza e tutela sanitaria. Nessun risultato importante è stato conseguito sotto l'aspetto della riduzione dell'esposizione a inquinanti di origine industriale e dell'abbattimento dell'inquinamento;

    come dimostrano i numerosi, studi epidemiologici a cominciare dallo studio Sentieri, curato dall'istituto superiore di sanità, vivere in siti contaminati comporta mediamente un aumento di tumori maligni del 9 per cento tra 0 e 24 anni. In particolare, «l'eccesso di incidenza» rispetto a coetanei che vivono in zone considerate «non a rischio» è del 62 per cento per i sarcomi dei tessuti molli, 66 per cento per le leucemie mieloidi acute; 50 per cento per i linfomi Non-Hodgkin;

    difficile fare una graduatoria dei Sin in cui è più evidente l'impatto ambientale sulla salute, anche per la diversità di caratteristiche ambientali, di popolazione esposta, di storia di esposizione: sicuramente Taranto si conferma all'apice, insieme ai Sin pugliesi e siciliani;

    la popolazione dell'area di Taranto (oltre 200.000 abitanti nell'area Sin) è esposta non solo alle emissioni inquinanti degli stabilimenti Ilva ma anche all'inquinamento prodotto dalla raffineria, dal cementificio, dalle discariche, dall'area portuale, è di grande dimensione. Tutto questo è accompagnato dai numeri di decessi e malattie che risultano inevitabilmente assai rilevanti: centinaia di decessi prematuri, nuovi casi di tumore, diverse centinaia di ricoveri in eccesso ogni anno. Molte sono le cause di morte e malattia in eccesso, sia tumorali che non tumorali, la maggior parte delle quali in eccesso per gli uomini e per le donne. Si registrano casi in più anche in età pediatrica e di malformazioni alla nascita;

    peraltro, con la legge regionale n. 21 del 2012, la Puglia ha disposto la redazione della valutazione del danno sanitario (Vds) a valere per determinate aziende particolarmente inquinanti. Tuttavia a detta valutazione del danno sanitario regionale si è sovrapposta quella di carattere nazionale disciplinata dall'articolo 1-bis del decreto-legge 207 del 2012 del successivo decreto del Ministero della salute 24 aprile 2013 con il quale il Ministero ha stabilito criteri metodologici utili per la redazione (Vds) nazionale, che di fatto può essere redatta successivamente alla conclusione dei lavori di ambientalizzazione prescritti dalle vigenti autorizzazioni integrate ambientali (AIA), rendendo inapplicabile quella redatta sulla base della normativa regionale. È invece necessario prevedere che la valutazione del danno sanitario venga fatta «in corso d'opera», ossia durante tutti i lavori di ambientalizzazione prescritti dalle vigenti autorizzazioni integrate ambientali (AIA), e non alla fine;

    per quanto attiene allo stato di salute della popolazione ovvero gli studi di sorveglianza epidemiologica in corso, dai primi anni ‘90 la situazione sanitaria della popolazione della città di Taranto è stata oggetto di studi epidemiologici nazionali e locali. Gli studi svolti dell'Oms (Organizzazione mondiale della sanità), proprio a cavallo del 1990, rappresentano il punto di partenza della letteratura scientifica riguardo le possibili interazioni a Taranto tra inquinamento ambientale di origine industriale e effetti sulla salute dei suoi cittadini. Tra i tanti studi si segnalano: a) la perizia epidemiologica Forastiere-Biggeri-Triassi, del giugno 2012, sui dati sanitari forniti dalla ASL di Taranto e sui dati ambientali forniti dall'ARPA Puglia, 4 cui risultati indicano come i quartieri più vicini alla zona industriale presentano un quadro di mortalità e ospedalizzazione più compromesso rispetto al resto dell'area studiata; b) il progetto Sentieri – area del Sin di Taranto – Istituto superiore di sanità, nel quale si evidenzia come la mortalità per tutte le cause, tutti i tumori, apparato circolatorio, respiratorio e digerente rivela, in entrambi i generi, eccessi rispetto al riferimento regionale; c) l'indagine epidemiologica sito inquinato Taranto (IESIT) – Osservatorio epidemiologico regione Puglia – ASL Taranto del 2013, il cui studio mostra come per le neoplasie vi sia un eccesso di ricoveri e mortalità per tutte le neoplasie per quanto riguarda la città di Taranto, e comunque come si presenti più frequentemente un eccesso di ricoveri e mortalità fra i residenti del comune capoluogo e dei comuni limitrofi rispetto agli altri comuni regionali. Alle medesime conclusioni giungono i report e gli studi epidemiologici realizzati in questi anni dalla stessa Asl di Taranto;

    è da troppo tempo che l'azienda sanitaria locale di Taranto denuncia l'assoluta carenza e inadeguatezza di mezzi e del personale a disposizione, rispetto alle reali necessità e ai bisogni del territorio;

    la richiesta di personale e mezzi da parte della Asl, è peraltro supportata dal dato emerso inequivocabilmente dall'aggiornamento sul registro tumori che inesorabilmente avverte che ci sarà necessità di lavorare in difesa della salute ancora per molti anni, sottointendendo un concetto chiaro in medicina che distingue gli effetti a breve da quelli a lungo tempo legati all'esposizione ad inquinanti;

    sono anni che l'azienda sanitaria di Taranto ha necessità di implementare la propria dotazione organica, rendendo possibile l'ingresso di nuove professionalità, in grado di raccogliere la richiesta di salute della popolazione. Da qui la necessità di consentire perlomeno l'avvio di procedure concorsuali che possano permettere il prosieguo delle attività di sorveglianza nella popolazione e nei lavoratori e monitoraggio, oltre alle ricerche epidemiologiche come l'elaborazione del registro tumori;

    ad una situazione di profonda criticità sanitaria e ambientale, si aggiunga che i cittadini del Rione Tamburi di Taranto stanno assistendo da tempo al lento ma costante deprezzamento delle proprie abitazioni a causa dell'inquinamento derivante dall'adiacente presenza dei parchi minerari del colosso dell'acciaio tarantino;

    i cittadini chiedono giustamente conto delle richieste di risarcimento avallate anche da procedimenti penali vinti davanti ai giudici di merito del tribunale di Taranto;

    dal 2013, molti cittadini del Rione Tamburi, hanno deciso di citare in giudizio l'Ilva di Taranto, per chiedere il risarcimento relativo al deprezzamento commerciale degli immobili, per via dell'inquinamento causato dallo stabilimento siderurgico. La Corte di Cassazione con sentenza del 2005, accertò, definitivamente, che l'Ilva immetteva nelle zone circostanti circa 58 tonnellate al giorno di polvere ferrosa;

    è ormai un dato di fatto che circa l'80 per cento di tali polveri continuino a cadere sul quartiere Tamburi. Seppure i giudici di merito del tribunale di Taranto abbiamo accertato la continuità di tali quantità immesse, e quindi, il diritto dei proprietari degli immobili al risarcimento, sarebbero stati risarciti solamente i proprietari che hanno avuto il pronunciamento giudiziale favorevole prima dell'insediamento dell'amministrazione straordinaria, e non invece quelli che lo avrebbero ottenuto dopo, creando una ingiusta discriminazione tra soggetti aventi lo stesso diritto;

    vale inoltre la pena sottolineare che l'attuale normativa prevede una sorta di immunità sia amministrativa che penale per gli acquirenti dell'Ilva prevista in riferimento alle condotte poste in essere dai medesimi acquirenti in attuazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale sanitaria;

    una norma ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo molto probabilmente incostituzionale, che lede lo stesso rispetto del principio dello Stato di diritto, e che pone l'Italia come forse l'unico Paese che garantisce l'immunità penale agli acquirenti per l'eventuale mancato rispetto delle norme di tutela ambientale e della salute pubblica;

    il decreto-legge n. 1 del 2015 ha infatti previsto l'esclusione dalla responsabilità penale o amministrativa per il commissario straordinario e i suoi delegati, a fronte di condotte poste in essere in attuazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria. Successivamente, con il decreto-legge n. 98 del 2016, si è integrato il comma 6 dell'articolo 2 del citato decreto-legge n. 1 del 2015, al fine di estendere anche all'acquirente, nonché ai soggetti da questi delegati, l'esclusione dalla medesima responsabilità penale e amministrativa per le condotte attuative del piano ambientale;

    proprio riguardo all'esenzione dalla suddetta responsabilità penale, l'Avvocatura generale dello Stato, nell'ambito del parere espresso il 21 agosto 2018, in merito a possibili anomalie relative alla procedura di gara per il trasferimento a terzi dei complessi industriali facenti capo alle società del gruppo ILVA, ricorda che, circa la suddetta esenzione per gli acquirenti, la stessa Avvocatura «ha già avuto modo di occuparsi con parere del 14.9.2017 (...) rilevando che “l'eventuale futura modifica del suddetto piano (ex art. 1, comma 8.1 del D.L. 191/2015, e la variazione dei termini per la sua attuazione (ex art. 1, comma 8, cit.), postula che l'esimente di cui all'articolo 2, comma 6 cit. operi per tutto l'arco di temporale in cui l'aggiudicatario sarà chiamato ad attuare le prescrizioni ambientali impartite dell'amministrazione”. Detto arco temporale risulterà quindi coincidente con la data di scadenza dell'autorizzazione integrata ambientale in corso di validità (23.8.2023)»;

    con riguardo al recupero e alla valorizzazione dell'area di Taranto, giova inoltre ricordare che nel 1992 fu siglato un protocollo di intesa tra il Ministro per gli interventi delle aree urbane, il Ministro della difesa, il Ministero per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, il presidente della regione Puglia, il presidente della provincia di Taranto e il sindaco di Taranto, per la delocalizzazione delle installazioni militari navali sul mar Piccolo ed il recupero e la valorizzazione degli immobili dismessi in funzione degli interessi della collettività;

    i soggetti firmatari con tale protocollo convennero che «costituiscono obiettivi primari per l'area di Taranto la delocalizzazione delle installazioni militari navali sul mar Piccolo ed il recupero e la valorizzazione degli immobili e degli spazi così dismessi, al fine di consentire un uso da parte della collettività aderente a nuovi modelli di sviluppo della città stessa, riferiti alla sistemazione viaria, alla promozione di nuove imprenditorialità a vocazione turistica, ad una accresciuta rete di servizi e di verde pubblico»;

    peraltro la città è fisicamente «imprigionata» nel suo sviluppo urbano, dai due muraglioni militari dislocati per chilometri lungo le coste del Mar Piccolo e del Mar Grande, che rendono inaccessibile ai tarantini il mare più vicino,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per prevedere lo stanziamento di maggiori risorse finanziarie necessarie per accelerare e garantire gli interventi di bonifica e di riqualificazione dell'area di Taranto;

2) ad adottare le iniziative di competenza per prevedere, anche in deroga ai vigenti limiti finanziari e assunzionali, l'avvio di procedure concorsuali che possano consentire all'azienda sanitaria locale di Taranto le indispensabili attività di sorveglianza nella popolazione e il monitoraggio epidemiologico;

3) ad adottare iniziative per stanziare opportune risorse al fine di garantire la prosecuzione del piano di sorveglianza della salute della popolazione residente nei comuni di Taranto e di Statte, di cui all'articolo 2 comma 4-quinquies, del decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136;

4) a valutare l'opportunità di adottare iniziative normative per attribuire, di concerto con la regione Puglia, all'azienda sanitaria locale di Taranto un assetto speciale che la ponga sotto il diretto controllo delle istituzioni statali, proprio per la particolare situazione sanitaria che colpisce la popolazione dell'intera provincia a causa dell'elevato inquinamento ambientale;

5) a promuovere, per quanto di competenza e di concerto con gli enti territoriali, l'implementazione dei programmi di aggiornamento per il personale medico della Asl di Taranto, con particolare riguardo ai medici pediatri, anche al fine di garantire una efficace e costante sorveglianza epidemiologica in conseguenza delle interazioni nell'area di Taranto tra inquinamento ambientale ed effetti sulla salute dei suoi cittadini;

6) relativamente al rapporto di valutazione del danno sanitario (Vds), da redigere nelle aree interessate dagli stabilimenti di interesse strategico nazionale, di cui al comma 1 dell'articolo 1-bis, del decreto-legge n. 207 del 2012, ad apportare le opportune modifiche al decreto ministeriale 24 aprile 2013, recante i criteri metodologici utili per la redazione del rapporto di valutazione del danno sanitario (Vds), al fine di garantire che il medesimo rapporto Vds venga redatto periodicamente durante tutti i lavori di ambientalizzazione prescritti dalle vigenti autorizzazioni integrate ambientali (Aia), e che a seguito del suddetto rapporto di valutazione del danno sanitario, l'Aia possa essere soggetta a riesame;

7) ad adottare iniziative per stanziare adeguate risorse al fine di assicurare l'attività di controllo e monitoraggio ambientale, attualmente svolta dall'Arpa Puglia, anche implementando le attuali stazioni fisse e mobili di monitoraggio della qualità dell'aria, per la rilevazione in continuo degli inquinanti PM10, PM2.5, NOx, O3, benzene, CO, SO2;

8) ad adottare le iniziative di competenza per far sì che si possa procedere ad assunzioni o stabilizzazioni di personale, presso l'ARPA Puglia, indispensabili per il pieno svolgimento dei relativi compiti istituzionali;

9) a prevedere un'iniziativa normativa volta ad abrogare la norma vigente che prevede l'esclusione dalla responsabilità penale e amministrativa dell'acquirente dell'Ilva, nonché dei soggetti da questi delegati per le condotte attuative del piano ambientale;

10) ad adottare iniziative per provvedere al risarcimento di quei cittadini del rione Tamburi, che hanno ottenuto il pronunciamento favorevole per il risarcimento dei danni successivamente all'amministrazione straordinaria, e che non sono ancora stati liquidati, garantendo loro in tal modo, pari diritto rispetto ai cittadini che hanno avuto il medesimo pronunciamento favorevole ma sono stati subito risarciti solo in quanto detto pronunciamento è avvenuto prima dell'avvio della medesima amministrazione straordinaria;

11) ad adottare iniziative per istituire un fondo a favore dell'area di Taranto volto a finanziare misure di favore per le nuove attività imprenditoriali legate alla green economy, e per gli imprenditori e lavoratori del settore primario le cui attività sono state penalizzate dall'inquinamento;

12) ad avviare le opportune iniziative volte alla valorizzazione dell'Arsenale militare di Taranto, anche tramite aggiudicazione a privati per mezzo di asta pubblica, anche prevedendo la demolizione del muraglione militare, per garantire il recupero dell'area e degli spazi di verde pubblico a favore della collettività;

13) ad adottare le iniziative di competenza per avviare un processo di formazione per tutti gli operatori del settore (magistrati, forze di polizia e capitanerie di porto, ufficiali di polizia giudiziaria e tecnici delle Arpa, polizie municipali e altro) riguardo alla legge n. 68 del 2015, al fine di migliorare la lotta contro gli illeciti ambientali;

14) ad istituire, di concerto con gli enti nazionali e territoriali interessati, un tavolo tecnico operativo che coordini una task force, costituita da un pool di agenti appartenenti sia ai comparti di terra che di mare (capitaneria di porto, guardia di finanza, carabinieri e polizia municipale), con il supporto dell'Arpa regionale, con il compito di contrastare gli illeciti perpetrati a danno della pesca ed in particolare dei mitili, dei datteri, dei ricci di mare e ostriche locali, e di controllare e prevenire la pesca abusiva sia nell'area del Mar Piccolo che su tutta la costa marina dell'area di Taranto;

15) a provvedere, con le opportune iniziative di competenza, al potenziamento degli organici delle forze di pubblica sicurezza impegnate nella lotta alla pesca di frodo, oltre che a fornire, potenziare, integrare e modernizzare mezzi e strumenti necessari allo scopo;

16) ad attivarsi, con gli enti territoriali interessati, al fine di implementare il controllo del litorale alto ionico della provincia di Taranto e il monitoraggio continuo delle attività di pesca, con particolare attenzione verso la pesca a strascico nelle zone vietate con deturpazione del patrimonio biologico, al fine di contrastare le attività illegali e comunque di garantire una efficace salvaguardia della fauna ittica e, in particolare, quella protetta;

17) ad attivarsi, di concerto con gli enti territoriali, al fine di prevedere una zona prospiciente al mare dove creare sinergicamente con la citata task force un centro di soccorso e recupero, anche con finalità didattiche, a tutela della fauna marina, anche attraverso l'utilizzo di un'idonea imbarcazione appositamente predisposta alle suddette finalità.
(1-00098) «Labriola, D'Attis, Occhiuto».


   La Camera,

   premesso che:

    il patto mondiale sulla migrazione dell'Onu, Global Compact, è stato formalmente approvato alla Conferenza di Marrakech, in Marocco, dove si sono riuniti i leader e i rappresentanti di circa 150 Paesi;

    il Global Compact, presentato come la più ampia strategia di revisione dei flussi migratori e della loro gestione per «una migrazione sicura, ordinata e regolare», non rappresenta altro che la palese violazione della sovranità degli Stati, poiché volto ad imporre delle linee in materia di immigrazione;

    l'Italia, per la sua posizione geografica, vive più di altri Stati le difficoltà causate da flussi migratori incontrollati, originati dalla crescita demografica del continente africano e dai contesti politici mutevoli, carichi di tensioni, che caratterizzano l'area nordafricana e mediorientale;

    nel documento approvato dal Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione nella seduta del 16 dicembre 2015, sono emersi alcuni filoni di indagine prevalenti sui quali sarebbe opportuno intraprendere quanto prima gli opportuni interventi, tra i quali: un'applicazione più puntuale del regolamento di Dublino, oltre che di una sua necessaria modifica che si ritiene comunque non più procrastinabile; ripercorrere la strada della conclusione di accordi di partenariato con alcuni Paesi del nord Africa, in cui sia possibile contare su una maggiore stabilità politica, ovvero, laddove questa difetti, istituire comunque una cabina di regia nazionale per il coordinamento delle azioni necessarie a fronteggiare l'emergenza migratoria in atto in Europa, attraverso l'Italia;

    l'Accordo di Schengen del 1985, concluso con il fine di creare uno spazio comune tanto per le persone quanto per le merci e con la volontà di rendere più veloci la mobilità ed il commercio all'interno dello spazio condiviso, impone agli Stati membri – ciascuno nella propria assoluta autonomia – di proteggere le frontiere esterne. L'Accordo di Schengen, nell'inderogabile rispetto di tali fondamentali principi, non può e non deve in alcun modo essere messo in discussione;

    nel 2009, durante l'ultimo Governo Berlusconi, quando sono stati siglati accordi con i Paesi del nord Africa e, nel contempo, è stata dettata una linea di massima severità nei confronti dell'immigrazione clandestina, si registrarono 9.573 sbarchi e nel 2010 furono 4.406 per l'intero anno;

    successivamente, è stato messo in moto un processo inverso, in continuo crescendo, giunto nel 2017 alla punta massima di 180 mila migranti in un anno;

    i Governi di centro-sinistra della XVII legislatura hanno, infatti, attuato politiche di apertura che hanno facilitato l'ingresso di immigrati in Italia, con costi giganteschi a carico del nostro Paese, che non ha ricevuto l'adeguato sostegno da parte dell'Unione europea e della comunità internazionale nel suo complesso;

    tuttora sono assolutamente scarse le iniziative europee e internazionali che aiutino realmente l'Italia nel controllo dei flussi migratori nell'area mediterranea;

    i confini terrestri e marittimi italiani sono confini d'Europa, dei quali l'Unione europea poco si cura, visto anche l'esito deludente delle operazioni «EunavFor Med» e di altre iniziative internazionali in corso da tempo nel Mediterraneo;

    il Global Compact, affrontando in maniera teorica e generale tutti gli aspetti dell'immigrazione, contiene sia impegni che devono essere sviluppati in maniera positiva per l'Italia, ma anche molti altri impegni che potrebbero rendere ancora più forte la pressione migratoria sul nostro Paese, la cui condizione è assolutamente unica per la collocazione dell'Italia nel cuore del Mediterraneo;

    nello specifico, il patto conferisce ad ogni persona il diritto di migrare, indipendentemente dalle ragioni che la spingono a spostarsi con la conseguenza che i migranti diventerebbero una massa indistinta e verrebbe a cadere lo stato di rifugiato, rendendo, dunque, irrilevante anche l'articolo 10 del dettato costituzionale;

    ci sono, nel Global Compact, indicazioni che potrebbero rilanciare le iniziative delle organizzazioni non governative nel Mediterraneo, con riflessi positivi per i trafficanti di persone ed estremamente negativi per un Paese come l'Italia, che ha già accolto un numero enorme di immigrati;

    pur comprendendo la necessità di un intervento di natura internazionale, certamente urgente, si ritiene insuperabile la tutela dei confini italiani e l'affermazione del ruolo e dell'interesse nazionale;

    per molti aspetti, il Global Compact, per l'interpretazione che se ne sta dando a livello interno e internazionale, costituirebbe, di fatto, un incoraggiamento a politiche di accoglienza indiscriminate, da un lato, e di esodo generalizzato, dall'altro;

    è necessario far precedere ogni decisione internazionale da un'approfondita discussione all'interno del nostro Paese e del nostro Parlamento, per adottare strumenti legislativi che consentano di rimpatriare le centinaia di migliaia di persone che illegalmente continuano a sostare in Italia e che nemmeno le recenti norme, che pure rappresentano una parziale inversione di rotta, consentono di immaginare lontane dal territorio italiano;

    è necessario che l'annunciata e mai concretizzata solidarietà dell'Unione europea si manifesti, sia in termini finanziari adeguati e cospicui, sia in termini organizzativi;

    non ci sono le condizioni per assumere impegni così ampi, così generali e a tratti così contraddittori, come quelli indicati nel Global Compact,

impegna il Governo

1) a non sottoscrivere il Global Compact.
(1-00099) «Gregorio Fontana, Ravetto, Silli, Occhiuto».


   La Camera,

   premesso che:

    il nostro Paese è fra i maggiori consumatori di pesticidi a livello europeo: dall'ultimo Report dell'Agenzia europea per l'ambiente risulta che il consumo di principio attivo nell'Unione europea è mediamente di 3,8 chili per ettaro, ma in Italia sale a 5,7;

    nel 2016 in Italia sono stati venduti 125 milioni di chilogrammi di prodotti fitosanitari; per acquistarli è stato speso quasi un miliardo di euro (per la precisione 950.812.000 euro), ancora di più per i fertilizzanti: 1,572.341.000 euro;

    secondo il Rapporto 2018 «Cambia la Terra», promosso da FederBio, con il sostegno di Legambiente, Wwf, Lipu e ISDE, la quasi totalità delle sovvenzioni europee e nazionali va all'agricoltura convenzionale, che utilizza pesticidi, diserbanti e fertilizzanti sintetici;

    su un totale di fondi europei e italiani di circa 62,5 miliardi, al biologico risulta ne vadano solo 1,8, pari al 2,9 per cento delle risorse;

    studi e ricerche internazionali dimostrano che l'uso dei pesticidi comporta costi socio-sanitari, per la contaminazione delle acque, per il degrado del suolo e per la perdita della biodiversità naturale. La ricerca Pimentel 2005 valuta questi costi per gli USA in circa 10 miliardi di dollari l'anno;

    come si evince dal «Rapporto nazionale pesticidi nelle acque, edizione 2018» curato dall'Ispra i cosiddetti pesticidi in Italia sono presenti nel 67 per cento delle acque superficiali e nel 33 per cento delle acque sotterranee e superano i limiti rispettivamente nel 23,9 per cento e nell'8,3 per cento dei casi, con un preoccupante aumento rispetto alle precedenti indagini nazionali. Nelle falde, anche a causa del lento ciclo delle acque sotterranee, permangono anche sostanze chimiche ormai bandite da decenni;

    come si legge in un articolo, di Marco Angelillo pubblicato su La Stampa dell'11 maggio 2018, nei 35.353 campioni analizzati dalle agenzie regionali attraverso quasi 2 milioni di analisi realizzate nel biennio 2015-2016 sono state trovate 259 sostanze: prevalgono gli erbicidi perché utilizzati in grandi quantità, soprattutto in primavera, quando le piogge più frequenti facilitano la dispersione nell'ambiente;

    nelle acque superficiali il glifosato, insieme al suo metabolita Ampa, è l'erbicida che presenta il maggior numero di casi di superamento dei limiti degli standard di qualità ambientale (Sqa) nel 24,5 per cento dei siti monitorati, percentuale che sale al 47,8 per cento per il metabolita;

    in molti campioni sono stati riscontrati neonicotinoidi, erbicidi con una grandissima persistenza recentemente vietati dall'Unione europea perché letali per le api. E ancora, a 25 anni dalla revoca, è stata rilevata la presenza di atrazina e suoi metaboliti, assieme a pericolose miscele di sostanze che si formano, in modo del tutto casuale, nei fiumi e nelle falde e i cui effetti non sono sempre prevedibili;

    è poi da considerare il fatto che non vi è omogeneità dei campionamenti: nelle regioni del Nord sono stati realizzati più del 50 per cento dei monitoraggi, mentre dal Meridione, ad esempio dalla Calabria, non è arrivato nessun dato; pochissimi dati sono pervenuti dalla Puglia. Esiste, come detto, un problema di diffusione e standardizzazione dei monitoraggi e il Mezzogiorno risulta in forte ritardo, con alcune eccezioni, quali Ragusa e il Lazio;

    secondo le stime dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), nel mondo si registrano oltre 26 milioni di casi di avvelenamento da pesticidi all'anno e 258.000 decessi. Uno studio europeo del 2015 ha poi valutato che l'esposizione prenatale a organofosfati (composti base di molti pesticidi ed erbicidi) fa perdere ogni anno 13 milioni di punti di quoziente intellettivo e provoca 59.300 casi di ritardo mentale, con un costo annuo valutabile tra i 146 e i 194 miliardi di euro;

    l'agricoltura chimica richiede poi maggiori quantità di energia e particolarmente di idrocarburi: secondo i dati pubblicati dal Rodale Institute nel 2011, i sistemi di agricoltura biologica utilizzano il 45 per cento in meno di energia rispetto a quelli convenzionali e producono il 40 per cento in meno di gas serra rispetto all'agricoltura basata su metodi convenzionali;

    secondo il quinto rapporto dell’Intergovernmental panel on climate change, «le anomalie climatiche potranno provocare una riduzione della produttività agricola su scala globale compresa tra il 9 e il 21 per cento, da qui al 2050». Viceversa, è ormai un fatto appurato che l'agricoltura biologica è un importante strumento per la lotta ai cambiamenti climatici, dato il ruolo fondamentale che riveste nel sequestrare anidride carbonica dall'ambiente e nel restituire la fertilità ai suoli combattendo attivamente fenomeni come la desertificazione, l'erosione dei suoli e l'effetto serra («greenreport», del 10 settembre 2018);

    uno studio Usa del 2014 («Environmental and Economic Costs of the Application of Pesticides») ha valutato in 284 milioni di dollari l'anno il solo danno diretto dell'uso dei pesticidi per la scomparsa delle api e degli altri insetti impollinatori. Lo sterminio di altri insetti e dei parassiti predatori naturali degli insetti e degli organismi dannosi costa invece, complessivamente, 520 milioni di dollari l'anno, considerando anche la spesa del ricorso a trattamenti fitosanitari;

    la sensibilità dei cittadini è cresciuta negli ultimi mesi anche in seguito alla recente sentenza emanata dalla Corte federale di San Francisco, la quale ha condannato la Monsanto a pagare un risarcimento milionario dollari a favore di uomo che ha denunciato l'azienda affermando che un suo prodotto, contenente glifosato, usato come erbicida, ha contribuito a farlo ammalare di un tumore rivelatosi terminale;

    da anni i pesticidi e i diserbanti, e in particolare il glifosato, sono al centro di un aspro dibattito in Europa e in Italia in relazione al suo uso;

    il 18 febbraio 2018, il Parlamento europeo, dopo aver approvato l'autorizzazione all'uso di glifosato fino al 2021, ha avviato i lavori di una commissione speciale per studiare gli effetti del glifosato e le procedure per autorizzare l'uso dei pesticidi;

    l'Italia già adotta disciplinari produttivi che limitano l'uso del glifosato a soglie inferiori del 25 per cento rispetto a quelle definite in Europa al fine di portare il nostro Paese all’«utilizzo zero» del glifosato entro il 2020;

    questi limiti di legge, tuttavia, non appaiono adeguati a tutelare efficacemente la salute umana, principalmente perché non considerano gli effetti cumulativi dei pesticidi e dei diserbanti, delle interazioni dei pesticidi e dei diserbanti con altri inquinanti e della diversa suscettibilità individuale legata all'esistenza di particolari polimorfismi genici, all'età, a particolari condizioni fisiologiche o patologiche;

    la direttiva 2009/128/CE impone che gli utilizzatori professionali di pesticidi adottino le pratiche o i prodotti che presentano il minor rischio per la salute umana e l'ambiente tra tutti quelli disponibili per lo stesso scopo;

    dopo la sentenza di San Francisco il vicepresidente del Consiglio Di Maio ha preso posizione, e con toni particolarmente duri ha dichiarato: «Questa sentenza ci dà tristemente ragione: dobbiamo combattere l'invasione sul nostro mercato di questa sostanza, una minaccia che si concretizza con mostruosi accordi commerciali sottoscritti solo in nome del profitto»;

    nella fase attuale non servono più aggiustamenti e modifiche di dettaglio, ma un vero e proprio cambio di mentalità e d'approccio, attraverso il quale nei processi di valutazione e autorizzazione all'uso dei pesticidi vengano sempre messi al primo posto la salute dei cittadini e lo sviluppo e la competitività della produzione agricola e agroalimentare con metodo biologico;

    i dati di crescita del biologico nel nostro Paese e a livello globale indicano in modo chiaro che i cittadini stanno modificando le loro scelte alimentari verso prodotti che offrano maggiori garanzie per la salute e per il rispetto dell'ambiente, facendo crescere il mercato dei prodotti biologici;

    i dati forniti in occasione del 30° salone internazionale del biologico confermano questa tendenza: 1,9 milioni di ettari di terreni a coltura «bio» (+6,3 per cento sul 2016, il 15,4 per cento sul totale), più di 1.400 punti vendita specializzati e la grande distribuzione organizzata;

    va ricordato però che gli agricoltori biologici sono penalizzati da altri costi, come quelli per la certificazione iniziale e per il mantenimento. Va poi considerata la maggior incidenza del costo del lavoro nei campi «bio», dato che per raggiungere l'obiettivo di ridare fertilità alla terra occorre più lavoro rispetto ai casi in cui si usa la chimica, con un maggior costo stimato nel 30 per cento;

    alcuni enti territoriali hanno già dichiarato la volontà di emanare provvedimenti specifici per limitare l'utilizzo del glifosato: la regione Toscana ha annunciato, ad esempio, una norma per escludere dai premi del piano di sviluppo rurale le aziende che ne fanno uso;

    è stata presentata il 4 dicembre 2018 presso la Camera dei deputati, la petizione online lanciata dal gruppo «NO PESTICIDI» – già sottoscritta da più di 25 mila persone – finalizzata a stimolare interventi normativi che tutelino le persone maggiormente esposte alle patologie collegate all'uso di pesticidi e diserbanti, ovvero coloro che vivono in zone rurali, i bambini e le donne in gravidanza;

    inoltre la petizione chiede che vengano adottate misure di sicurezza non solo per tutelare le popolazioni che vivono in zone rurali ma anche le coltivazioni biologiche dalla contaminazione accidentale, come ha dichiarato Malia Grazia Mamuccini, portavoce della campagna Cambia La Terra e della Campagna Stop Glifosato. È assurdo che oggi siano gli agricoltori del biologico a doversi difendere da chi usa prodotti chimici. L'agricoltore che adotta le tecniche della coltivazione biologica deve avere una fascia di sicurezza per evitare il rischio contaminazione che gli farebbe perdere la certificazione. La fascia di rispetto è una tutela importantissima che deve essere a carico di chi usa prodotti chimici;

    la petizione è nata da una esigenza: quella di essere tutelati. Esigenza di persone comuni che non hanno scelto di vivere in un ambiente costantemente avvelenato da sostanze chimiche ormai, notoriamente dannose, ma che ci si sono comunque trovate immerse, come spiegano i promotori dell'iniziativa, che hanno anche dato vita a un gruppo Facebook, «NO PESTICIDI»;

    il gruppo è aperto a tutti e ne fanno già parte agronomi, apicoltori, esponenti politici attivi e propositivi, medici, giornalisti, sindaci di comuni virtuosi che si sono distinti per aver attuato normative contro l'uso dei fitofarmaci nonché, loro malgrado, malati di sensibilità chimica multipla, che conducono una vita estremamente complicata;

    infine, va ricordato il convegno «Terre libere da pesticidi» tenutosi il 31 gennaio 2017, promosso da Legambiente a cui hanno partecipato esperti scientifici e istituzionali, tra i quali Daniela Sciarra di Legambiente e Licio Cavezzoni, che hanno discusso delle buone pratiche agroambientali e dell'impatto dell'uso agricolo dei prodotti fitosanitari sulla salute e il benessere dei consumatori. Nel corso del convegno è stato presentato «Pesticidi nel piatto», il rapporto di Legambiente sulla sicurezza alimentare;

    dalla lettura del rapporto di Legambiente si evince che la quantità dei residui di pesticidi che le Agenzie per la protezione ambientale e Istituti zooprofilattici sperimentali hanno rintracciato nei prodotti da agricoltura convenzionale, nei prodotti trasformati e miele, resta elevata: salgono leggermente i campioni irregolari (1,2 per cento nel 2015, erano lo 0,7 per cento del 2014); mentre i prodotti contaminati da uno o più residui contemporaneamente raggiungono il 36,4 per cento del totale, più di un terzo dei campioni analizzati (9.608 campioni), in leggero calo rispetto al 2014 (41,2 per cento). La percentuale di campioni regolari senza alcun residuo invece, in leggero rialzo rispetto al 58 per cento del 2014, si attesta al 62,4 per cento;

    tra i casi eclatanti, i prodotti di provenienza extra Unione europea come il tè verde con 21 residui chimici e le bacche con 20, ma anche il cumino con 14 diverse sostanze, le ciliegie con 13, le lattughe e i pomodori con 11 o l'uva con 9 principi attivi;

    la frutta è il comparto dove si registrano le percentuali più elevate di multiresiduo e le principali irregolarità. Ma il massiccio impiego di pesticidi non ha ricadute significative solo sulla salute delle persone. Una maggiore attenzione deve essere rivolta anche alle ricadute negative sull'ambiente. Nuove molecole e formulati sono stati immessi sul mercato senza un'adeguata conoscenza dei meccanismi di accumulo nel suolo, delle dinamiche di trasferimento e del destino a lungo termine nell'ambiente. Occorre valutare meglio gli effetti in termini di perdita di biodiversità, di riduzione della fertilità del terreno, di accelerazione del fenomeno di erosione dei suoli;

    infine, il rapporto evidenzia che tra le sostanze attive più frequentemente rilevate ci sono: il Boscalid, il Penconazolo, l'Acetamiprid, il Metalaxil, il Ciprodinil, l'Imazalil e il Clorpirifos, sostanza riconosciuta come interferente endocrino, cioè capace di alterare il normale funzionamento del sistema endocrino e dannoso per l'organismo;

    tutti questi prodotti chimici non sono solo un pericolo per la salute umana e l'ambiente ma sono anche la causa principale dell'aumento della mortalità delle colonie di api mellifere. Tra i principali accusati è il glifosato;

    la diminuzione delle api è un fenomeno sotto osservazione da anni: secondo la rivista Nuova Ecologia almeno dal 2006 ha cominciato ad avere proporzioni vistose. Sono sotto accusa alcuni pesticidi di cui si fa largo uso in zone a prevalente monocoltura, come sono appunto molti territori del Nordest;

    secondo l'Efsa, l'agenzia europea per la sicurezza alimentare, il 9,2 per cento della popolazione delle api sarebbe a rischio di estinzione; la stessa agenzia, nel 2013 ha detto che esiste un «elevato rischio» di correlazione tra il calo degli insetti e l'uso di alcune sostanze chimiche. È importante ricordare che il 27 aprile 2018 l'Unione europea ha imposto il divieto all'uso di tre neonicotinoidi, ma non il glifosato, proprio perché nocivi per le api,

impegna il Governo

1) ad assumere iniziative normative a livello nazionale, oltre che iniziative in sede di Unione europea, volte a vietare, in maniera permanente, l'utilizzo dei pesticidi e dei diserbanti, e in particolare il dannoso glifosato, in ambito agricolo, al fine di salvaguardare l'ambiente, la biodiversità, nonché la salute pubblica;

2) ad assumere iniziative normative per favorire lo sviluppo e la competitività della produzione agricola e agroalimentare con metodo biologico;

3) ad assumere iniziative normative, a partire dalla revisione del piano d'azione nazionale (Pan) per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari di cui al decreto legislativo del 14 agosto 2012, n. 150, affinché venga introdotta chiaramente e inderogabilmente la fascia di sicurezza per evitare il rischio di contaminazione chimica delle colture biologiche, delle abitazioni e degli spazi fruiti dalla popolazione e affinché sia stabilito l'obbligo di avvisare i residenti prima di ogni trattamento chimico in modo da garantire, anche per chi vive in zone agricole, la tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e dell'ambiente, prevedendo l'introduzione di adeguate sanzioni per chi non rispetti i suddetti obblighi;

4) ad assumere, per quanto di competenza, iniziative per uniformare le metodiche di analisi delle acque in tutta la Penisola, stante il fatto che nelle acque nazionali, e dunque in tutto l'ambiente e nella catena alimentare, stanno aumentando i residui, di sostanze tossiche, anche in concentrazioni infinitesimali, e per bandire l'utilizzo di erbicidi quali il glifosato;

5) ad avviare un'indagine, attraverso l'Ispra e l'Istituto superiore di sanità, per verificare il potenziale rischio per le api e gli insetti pronubi derivante dall'utilizzo indiscriminato dei pesticidi, in particolare il glifosato, e dei diserbanti;

6) ad emanare nuove linee guida per l'uso del glifosato in agricoltura e, in particolare, per quanto riguarda l'esposizione delle api alla luce del grave danno economico per migliaia di produttori di miele;

7) in considerazione del fatto che l'attuale sistema premia l'agricoltura che sostiene scelte ad alto impatto ambientale e sanitario, ad assumere iniziative per cambiare la destinazione di una significativa quota di risorse pubbliche al fine di sostenere un modello agricolo più sicuro, più sano e più equo, quale quello biologico, a partire dalla redazione del piano strategico nazionale per l'utilizzo delle risorse della politica agricola comune dell'Unione europea.
(1-00100) «Muroni, Fornaro, Occhionero, Conte».


   La Camera,

   premesso che:

    in Campania come nel resto del Paese bisogna puntare a un corretto ciclo di gestione dei rifiuti, fatto di riduzione, riuso, recupero e riciclo, e lavorare per l'economia circolare come chiede l'Europa. Per tradurre in numeri la Commissione europea stima, ad esempio, che dall'applicazione del pacchetto sull'economia circolare arriveranno 580 mila nuovi posti di lavoro;

    un'economia che si basa su riciclo e riutilizzo dei materiali, che spinge sulle filiere industriali innovative, ha bisogno di regole chiare e controlli ed è capace di allontanare il Paese dalle emergenze e di stroncare sul nascere gli appetiti della criminalità organizzata;

    in Campania, stando agli ultimi dati di Ispra, nel 2016 si sono prodotte 2,6 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, di cui il 52 per cento raccolte in maniera differenziata. Dei rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata oltre la metà è costituita da organico: 708 mila tonnellate di cui solo il 9 per cento viene trattato nei sei impianti situati sul territorio regionale e attivi nel 2016. Tutto il resto viene portato fuori regione;

    per quanto riguarda l'indifferenziato questo è pari a 1.272.797 tonnellate, che passando per gli Stir hanno prodotto 981.716 tonnellate di frazione secca idonea all'incenerimento e 201.432 tonnellate di frazione organica fuori specifica destinata essenzialmente alla collocazione in discarica;

    per quanto riguarda la raccolta differenziata in Campania la media è circa il 52 per cento, lontana dal target europeo al 2012 del 65 per cento. Però ci sono punte di eccellenza, come i 26 comuni campani «rifiuti free» censiti da Legambiente. Si tratta di comuni dove la raccolta differenziata funziona correttamente e dove ogni cittadino produce, al massimo, 75 chili all'anno di rifiuti indifferenziati. A dimostrazione che la corretta gestione dei rifiuti è possibile anche in Campania. Casomai il problema è che la regione Campania riesce a trattare solo 100 mila tonnellate di umido sulle 500 mila prodotte e il resto va fuori, a vantaggio dei trasportatori;

    Tortorella (Sa), Domicella (Av), Apice (Bn), Baronissi (Sa), Vico Equense (Na), Pozzuoli (Na), sono i comuni vincitori nelle sei categorie per numero di abitanti. Tra i capoluoghi di provincia solo Benevento con il 66 per cento di raccolta differenziata supera la quota del 65 per cento; seguono Salerno con 61 per cento e Caserta con il 52 per cento. Chiudono Napoli e Avellino con rispettivamente 34 per cento e con 31 per cento di raccolta differenziata (dati «Comuni Ricicloni 2018» di Legambiente;

    sarebbe una grave colpa rendere vane le tante esperienze virtuose di cittadini ed enti locali che, nonostante tutto, continuano a esistere e resistere. Così come è fondamentale estendere nel più breve tempo possibile la raccolta domiciliare a tutta la città di Napoli;

    a quasi tre anni dall'approvazione della legge regionale della Campania n. 14 del 2016, è urgente e necessario che la regione, affiancando i comuni nella costruzione degli impianti per l'organico differenziato, governi e indirizzi il processo per completare, rafforzare e rendere sostenibile un ciclo dei rifiuti che da incompleto risulta essere ancora ostaggio di un'eterna «emergenza» sempre dietro l'angolo;

    questi numeri dicono con chiarezza che si tratta di una quantità tale da non giustificare la realizzazione di ben quattro ulteriori inceneritori come ha proposto il Ministro dell'interno e che non esiste nemmeno la necessità di un solo ulteriore impianto per la combustione dei rifiuti, in quanto implicherebbe di fatto ammettere che la percentuale di raccolta differenziata in prospettiva non incrementi e allo stesso tempo avallare il mancato rispetto del target, di raccolta differenziata al 65 per cento al 2012; paradossalmente si dovrebbe dunque vietare l'incremento della raccolta differenziata, un'eventualità a dir poco preoccupante;

    in Campania è presente il solo impianto di Acerra che ha trattato 725.825 tonnellate delle complessive 981.716, ne sono rimaste 255.891;

    bisogna ricordare che l'inceneritore di Acerra produce rifiuti speciali, 152.423 tonnellate anno tra ceneri e fumi, in parte pericolosi; anche in tal senso è dunque tutt'altro che una panacea la ricetta del Ministro dell'interno;

    un'altra questione importante è che l'impianto per la combustione dei rifiuti di Acerra ha una taglia decisamente grande, tant'è che ci sono regioni dove insistono numerosi inceneritori ma che cumulativamente non raggiungono la taglia di quello di Acerra;

    la regione Campania, nell'ambito delle proprie competenze: elabora, approva ed aggiorna il piano regionale di bonifica delle aree inquinate; detiene le banche dati dell'anagrafe e dei censimenti dei siti potenzialmente contaminati; comunica al comune competente per territorio l'inserimento di un sito nell'anagrafe. Può concedere contributi sino al cento per cento del costo complessivo a favore di soggetti pubblici che attuano interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale di aree pubbliche, o soggette ad uso pubblico, individuate nel piano regionale di bonifica;

    inoltre, convoca la conferenza di servizi nel cui ambito riceve, approva ed autorizza il piano di caratterizzazione, il documento di analisi di rischio, il piano di monitoraggio, gli esiti del monitoraggio ed il progetto operativo di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente;

    la giunta regionale della Campania, con propria deliberazione, ha adottato il piano regionale di bonifica che è stato quindi approvato con delibera amministrativa n. 777 del 25 ottobre 2013 dal consiglio regionale. Con la legge regionale n. 14 del 2016 sono stati disciplinati i contenuti del piano regionale per la bonifica delle aree inquinate e stabilito che gli aggiornamenti e le modifiche non sostanziali del piano ovvero quelle necessarie per l'adeguamento a sopravvenute disposizioni legislative statali immediatamente operative siano approvate con delibera di giunta regionale;

    con deliberazione di giunta regionale della Campania n. 417 del 27 luglio 2016 la direzione generale per l'ambiente e l'ecosistema è stata incaricata di predisporre una proposta di aggiornamento del piano regionale di bonifica;

    la regione Campania ha intrapreso la giusta strada, ma deve essere più incisiva, accompagnando i processi, coordinando le iniziative e mettendo in campo strumenti efficaci per la loro realizzazione. Su questo il Governo dovrebbe essere d'aiuto attraverso lo stanziamento di fondi e personale qualificato;

    l'alternativa è lo scenario attuale che vede l'organico differenziato raccolto andare negli impianti del Nord. Con costi di trasporto che i comuni, e in particolare quelli virtuosi, non riescono più a sopportare e con il rischio di rallentare o fermare la raccolta differenziata con inevitabili conseguenze nella quantità e qualità;

    un discorso a parte deve essere fatto sulle azioni previste dal protocollo d'intesa per un'azione urgente nella Terra dei fuochi, firmato il 19 novembre 2019, presso la prefettura di Caserta dal Presidente del Consigli e sottoscritto dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dal Ministro del lavoro e dello sviluppo economico, dal Ministro dell'interno, dal Ministro della giustizia, dal Ministro della difesa, dal Ministro per il Sud, dal competente Sottosegretario per la salute, dal Presidente della regione Campania e dai prefetti di Napoli e Caserta;

    questo protocollo non è sufficiente per contrastare il fenomeno degli incendi di rifiuti produttivi all'aria aperta che, nella provincia di Napoli e Caserta, provocano danni all'ambiente e alla salute dei cittadini;

    ad esempio, la militarizzazione dei siti di stoccaggio o l'utilizzo dei droni, non sono sufficienti. Per altro si tratta di misure non nuove, già adottate in precedenza come nel caso del presidio militare al centro, in passato, di roventi polemiche. Occorre in primis intensificare le attività di intelligence e di controllo in tutta la Terra dei fuochi anche per fermare questa escalation di roghi sospetti negli impianti e pensare al risanamento ambientale di questo territorio, utilizzando i delitti ambientali previsti dalla legge n. 68 del 2015;

    i numeri dell’«ecocidio» in atto nella Terra dei fuochi, dal 1991 al 2013 forniti da Legambiente parlano di ben 82 inchieste per traffico di rifiuti che hanno incanalato veleni da ogni parte d'Italia per essere seppelliti direttamente nelle discariche legali e illegali della Terra dei fuochi, gestite della criminalità organizzata casertana e napoletana;

    si tratta di inchieste concluse con 915 ordinanze di custodia cautelare, 1.806 denunce, che hanno coinvolto ben 443 aziende: la stragrande maggioranza di queste ultime con sede sociale al centro e al nord Italia. Una vera invasione di veleni dal Centro-nord alla Terra dei Fuochi, assegnando alla Campania, un tempo felix, il ruolo, certo non voluto, di «pattumiera d'Italia»;

    in questo ventennio, lungo le rotte dei traffici illeciti, è viaggiato di tutto: scorie derivanti dalla metallurgia termica dell'alluminio, polveri di abbattimento fumi, morchia di verniciatura, reflui liquidi contaminati da metalli pesanti, amianto, terre inquinate provenienti da attività di bonifica. E ancora rifiuti prodotti da società o impianti, noti nel panorama nazionale, come quelli di petrolchimici storici del nostro Paese: i veleni dell'Acna di Cengio, i residui dell'ex Enichem di Priolo, i fanghi conciari della zona di Santa Croce;

    oltre a tutto questo c'è l'annosa, e mai risolta definitivamente, questione delle ecoballe da smaltire in Campania e la questione dello smaltimento dei fanghi di depurazione, una vera e propria piaga ambientale;

    in Campania sono circa 350 mila le tonnellate di fanghi da depurare ogni anno provenienti dagli impianti presenti in regione. Il prezzo medio per lo smaltimento si aggira intorno ai 145 euro a tonnellata, portando quindi il giro d'affari legale a 50 milioni di euro all'anno a carico dei vari enti, da quello regionale a quello locale. Tonnellate di rifiuti speciali che oggi vengono trasportate in Puglia o in Sicilia vista l'assenza in Campania di discariche e di impianti di trattamento adeguati. Uno scenario questo che stimola gli appetiti illeciti di imprenditori senza scrupoli a danno del territorio e dell'ambiente;

    lo smaltimento dei fanghi di depurazione non è certo un'emergenza. Da almeno trent'anni gli addetti ai lavori, amministratori locali e regionali, conoscono bene l'entità delle quantità da smaltire, che è destinata crescere in maniera proporzionale alla qualità della depurazione. Semplicemente si è sempre fatto finta di nulla, senza voler affrontare la questione in maniera sistematica e strutturale, adeguando gli impianti stessi per il trattamento in loco dei fanghi. I residui potrebbero essere disidratati e inertizzati, producendo energia da fonte rinnovabile o riutilizzati, laddove compatibili, anche in agricoltura. Così come avviene per la frazione organica dell'umido, anche per i fanghi da depurazione si preferiscono movimentazioni e smaltimenti in località remote;

    degli oltre 1,2 milioni di tonnellate di rifiuti urbani indifferenziati prodotti in Campania nel 2018 circa 70 mila tonnellate sono rimaste stoccate negli impianti Stir, intasandoli, e se a questi si aggiungono le oltre 60 mila tonnellate prodotte nel 2018 si può affermare che tale fenomeno sta assumendo dimensione davvero importante e pericolosa;

    si considera inoltre che è di questi giorni la notizia dell'apertura di nuove discariche. Tali sono, anche se denominate diversamente come sta avvenendo nella Valle del Sele, non solo con conseguenze sulla salute dei cittadini ma anche con un serio pericolo per i due volani dell'economia, il turismo e l'agroalimentare;

    si registra la ripresa del drammatico fenomeno degli incendi, come è avvenuto ad esempio, a luglio 2018 nella Terra dei fuochi, dove le fiamme sono divampate nella zona industriale di Caivano (Napoli), nella ditta «Di Gennaro» che si occupa di recupero di rifiuti, dove sono bruciate decine di balle di carte e plastica che erano stoccate nel piazzale;

    tutto questo dice, se ce ne fosse ancora bisogno, che in Campania permane la debolezza della governance del ciclo integrato dei rifiuti, ma anche che non servono nuovi impianti per la combustione dei rifiuti e discariche, bensì infrastrutture a servizio della raccolta differenziata, a partire dalla frazione organica con impianti industriali di compostaggio e digestione anaerobica per la produzione di biometano. Questi impianti vanno pensati, progettati e realizzati bene, con processi partecipativi che coinvolgano le popolazioni locali;

    ecco perché non servono ricette del passato come nuovi impianti per la combustione dei rifiuti o discariche ma un forte presidio del territorio e un monitoraggio sanitario. Se la gestione dei rifiuti diventa quello che i firmatari del presente atto di indirizzo giudicano un nuovo terreno di scontro nella maggioranza di Governo per mostrare chi tra i due vicepremier ha più muscoli non si fa l'interesse del Paese, tantomeno quello dei cittadini campani;

    invece serve in Campania, come nel resto del Paese, un corretto ciclo dei rifiuti, fatto di riduzione, riuso, recupero e riciclo, e impegnarsi per l'economia circolare come ci chiede l'Europa. Un'economia green che spinga filiere industriali innovative, e che ha bisogno di regole chiare e controlli, capaci di allontanare il Paese dalle emergenze e di stroncare sul nascere gli appetiti della criminalità organizzata,

impegna il Governo:

1) ad adottare ogni iniziativa di competenza volta ad escludere qualsiasi ipotesi di realizzazione di nuovi impianti per la combustione dei rifiuti nella regione Campania;

2) a considerare, con riferimento alla regione Campania, l'adozione di iniziative normative volte a prevedere una moratoria del conferimento di rifiuti, provenienti da altre regioni, destinati all'incenerimento e allo sversamento in discarica, nonché la sospensione delle procedure per l'apertura di nuovi impianti impattanti dal punto di vista ambientale e di nuove discariche, promuovendo un monitoraggio di tutti i siti compromessi sia quelli censiti sia quelli non ancora noti;

3) a valutare, per quanto di competenza e in collaborazione con la regione Campania, l'adozione di iniziative per una nuova programmazione del ciclo dei rifiuti, che vada verso la completa realizzazione dei dettami dell'economia circolare, attraverso la realizzazione di ambiti territoriali più piccoli e omogenei, affidando agli enti locali la gestione a monte della raccolta differenziata e, a valle, la realizzazione e la gestione di mini impianti di compostaggio anaerobico, che potrebbero determinare il salto di qualità della raccolta differenziata;

4) ad adottare le iniziative di competenza per realizzare, in collaborazione con la regione Campania, attraverso lo stanziamento di congrue risorse, tramite il Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente, una nuova mappatura su vasta scala dei terreni, a partire dalla «Terra dei Fuochi», in considerazione dell'attività delle procure, dei controlli ambientali, delle denunce dei cittadini e delle associazioni ambientaliste, e alla luce dei recenti incendi dolosi anche in discariche abusive;

5) ad adottare iniziative, per quanto di competenza, per completare, in collaborazione con la regione Campania e prevedendo lo stanziamento di risorse congrue e nuove assunzioni di personale la bonifica dei siti inquinati;

6) a realizzare, in collaborazione con la regione Campania, l'Istituto superiore di sanità e l'Ispra, una indagine epidemiologica per aggiornare i dati relativi allo stato di salute della popolazione, a partire dalla «Terra dei Fuochi», anche alla luce dei nuovi fatti di cronaca;

7) ad adottare iniziative per introdurre, ai fini dell'individuazione di nuovi impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti, un fattore di pressione che non consideri solo le volumetrie delle discariche, ma sia inteso quale massima concentrazione di aree e di volume di rifiuti conferibili su unità di superficie territoriale;

8) ad assumere iniziative per subordinare la realizzazione di nuovi impianti o l'ampliamento di impianti per lo smaltimento di rifiuti, ovvero di impianti la cui realizzazione potrebbe determinare un peggioramento della qualità dell'aria, ad una concreta diminuzione del predetto fattore di pressione;

9) a favorire e promuovere forme di coinvolgimento delle popolazioni interessate dalla realizzazione di nuovi impianti di smaltimento dei rifiuti, anche nella modalità del dibattito pubblico, al fine di favorire la partecipazione dei cittadini;

10) a promuovere, in collaborazione con il Servizio sanitario nazionale e l'Ispra e i competenti organi regionali, la redazione con cadenza annuale di un rapporto di valutazione del danno sanitario anche sulla base dei dati del registro tumori e delle mappe epidemiologiche sulle principali malattie derivanti da inquinamento ambientale.
(1-00101) «Muroni, Fornaro, Conte, Occhionero, Pastorino, Epifani, Speranza».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VII e X,

   premesso che:

    Taranto porta con sé un'identità intrinseca, che non corrisponde in maniera coincidente ed univoca all'apparato dell'impianto produttivo dell'Ilva e che necessita, dunque, di essere riscoperta e valorizzata in maniera attiva;

    l'Ilva – il più grande stabilimento siderurgico d'Europa – ha certamente rappresentato un motore per l'indotto economico della città di Taranto e di tutta la regione Puglia; di contro, ha però provocato negli anni moltissimi spill-over negativi sul territorio, non solo in termini di compromissione ambientale e di inquinamento, ma anche dal punto di vista di un deterioramento della narrazione relativa all'identità della città;

    Taranto è chiamata «la città dei due mari» per il suo essere incastonata tra il Mar Grande e Mar Piccolo, a controllo di tutto il Golfo che da essa prende il nome. Tale caratteristica l'ha resa protagonista di importanti vicissitudini storiche. La fondazione dell'antica Taras risale all'VIII secolo a.C.: sin da allora la città si è subito definita come potenza navale a controllo del suo Golfo, affermandosi come capitale della Magna Grecia e nel corso dei secoli la sua potenza è cresciuta sino a dominare il Mediterraneo e ad influenzare la stessa Roma;

    la fervente attività navale nel Golfo di Taranto e la rilevanza per il nostro Paese ha fatto sì che il decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1977 attribuisse ad esso la definizione di «baia storica», nozione sviluppata nell'alveo del diritto internazionale del mare. Tale definizione è assegnata a quelle baie di grandi dimensioni che hanno acquisito negli anni un rilievo strategico per il Paese di appartenenza, ed è per questo motivo che si intende tutelarle e mantenerle sotto il proprio controllo;

    il 25 gennaio 2018 il consiglio regionale della Puglia ha approvato la legge regionale n. 2 del 2018 «Indirizzi per lo sviluppo, la sostenibilità ambientale e la coesione economica e sociale del territorio di Taranto» al fine di promuovere e sostenere il necessario cambiamento delle direttrici di sviluppo della città. Tra gli obiettivi individuati vi sono: la programmazione di infrastrutture e servizi avanzati in grado di far emergere nuovi fattori competitivi per lo sviluppo economico e occupazionale; la valorizzazione del potenziale di sviluppo e delle risorse locali, anche in ambito «blue economy»; una rigenerazione territoriale attraverso la valorizzazione e tutela delle risorse urbane e del paesaggio; il sostegno alla diffusione dell'innovazione, all'emersione dei talenti e della creatività, scambi interculturali, nonché al riuso di spazi e beni pubblici per attività creative, innovative e sostenibili. L'articolo 5 della summenzionata legge delega la giunta regionale ad adottare il piano strategico «Taranto Futuro Prossimo»;

    le linee guida per la definizione di tale piano strategico sono state presentate il 25 luglio 2018, evidenziando la necessità di diversificare l'attività produttiva del sistema di imprese, di rafforzarne la governance, di puntare su di una comunicazione positiva costruita sulla capacità di rinnovarsi della città a sostegno della sua capacità di accoglienza, e che valorizzi le molte eccellenze del territorio;

    lo sport – nella sua essenza di momento dedicato alla socialità ed al confronto – e la valorizzazione dell'attività sportiva – intesa anche come riconnessa agli eventi di grande respiro – risultano tra gli strumenti potenzialmente individuati come capaci di guidare la città di Taranto verso una evoluzione positiva della sua immagine ed identità. Dal punto di vista sociale lo sport supporta lo sviluppo di una dimensione critica nel cittadino, favorendo la crescita di giovani adulti consapevoli; inoltre, esso è elemento di aggregazione e di annullamento delle diversità, favorendo il confronto e generando una sana forma di competizione. In una visione economica lo sport rappresenta il movente alla base degli investimenti in nuove infrastrutture, sia dedicate all'utilizzo quotidiano dei singoli cittadini che pensate per ospitare eventi di portata maggiore, che possano richiamare anche un pubblico esterno; esso è inoltre associato a quella che è una visione positiva degli standard di qualità della vita, rimandando ad una idea di salute e buon vivere;

    è in questa cornice che si inserisce la candidatura della città di Taranto per ospitare i Giochi del Mediterraneo del 2025. Risulta dunque necessario incentivare una inversione di rotta in quella che è l'immagine che Taranto riflette, trasformandola in una realtà positiva, attiva e dinamica, pronta a reinventarsi e ad accogliere, anche a livello infrastrutturale, il grande evento sportivo del bacino mediterraneo. Bisogna favorire la visione di Taranto come città forte del Mezzogiorno, capace di gestire e far funzionare un meccanismo complesso come può essere quello di una manifestazione articolata di questo tipo;

    le radici del legame della città di Taranto con lo sport risultano avere una natura antica: Ikkos era il nome del primo atleta non greco, bensì proprio tarantino, a vincere nel 476 a.C. nella disciplina del Pentathlon alle Olimpiadi, diventando una vera e propria leggenda dell'antichità. Durante uno scavo, il 9 dicembre 1959 veniva rinvenuta proprio la tomba dell'atleta di Taranto, ritrovata in perfetto stato di conservazione e custodita oggi presso il Museo archeologico nazionale di Taranto – il MarTa. È il prestigio dell'atleta a giustificare quella che appare come una sepoltura così solenne e monumentale: si trattava di un uomo capace di vincere nelle arene di Atene e dunque onorato come un dio;

    l'atleta di Taranto ed i resti della sua sepoltura risultano essere indicativi della possibilità di creare profondi legami tra settori superficialmente distanti, come lo sport e la cultura, ma in realtà profondamente interconnessi se relazionati alla volontà di rispolverare gli antichi splendori della città di Taranto. La candidatura ai Giochi del Mediterraneo, si contestualizza dunque in tale quadro di spill-over positivi;

    il già citato MarTa è un'eccellenza internazionale per la sua capacità di raccontare attraverso i reperti la storia della città di Taranto e del territorio, a testimonianza del passato glorioso della città. Non si tratta dunque di un semplice museo, ma di un luogo vitale, al servizio della comunità ed in grado di attrarre interessi al servizio della cultura. Per questo all'attività scientifica e di ricerca, il MarTa affianca un'intensa attività di valorizzazione, di didattica e di formazione destinata a coinvolgere le più diverse fasce di pubblico e gli interessi di variegate categorie di stakeholder, facendo del museo un luogo inclusivo ed aperto verso il mondo. Il MarTa ha inoltre reso sin da subito palese la sua vocazione di museo identitario del territorio, di «museo diffuso», la sua volontà di inclusione e di dialogo con le istituzioni e di considerazione delle istanze che dalla popolazione giungevano;

    il Museo MarTa mantiene anche una spiccata vocazione di più ampio respiro, come ha dimostrato il successo della mostra fotografica sul tema della musica ospitata nel mese di giugno 2018 in occasione della 8° edizione del «Medimex – International Festival and Music Conference», tenutasi per la prima volta proprio nel capoluogo ionico. La manifestazione nasce come elemento di connessione del mondo musicale italiano con la scena internazionale, e si sostanzia di numerosi appuntamenti culturali rivolti al grande pubblico – incontri d'autore, mostre, installazioni, concerti. Le oltre 60.000 presenze del 2018, i 200 artisti coinvolti, i 400 operatori – nazionali e pugliesi – impegnati nelle attività professionali, le presenze turistiche da sold out per le strutture ricettive della zona, hanno riconfermato Taranto come città ospitante dell'edizione del Medimax del 2019;

    anche a livello istituzionale locale è evidenziata la necessità di sfruttare in maniera proattiva le opportunità che si aprono per la città, programmando in maniera condivisa attività nei campi sportivo, culturale ed anche educativo, coinvolgendo attivamente giovani ed Istituti universitari;

    l'area di Taranto, comprensiva del Mar Piccolo e del Mar Grande, è ricca di risorse culturali – storiche, paesaggistiche, etnoantropologiche e gastronomiche – che continuano a rimanere nella zona d'ombra del polo industriale dell'Ilva. In tal modo si reitera l'immagine di un «territorio irreparabilmente malato», mentre un'adeguata capacità di raccontare il mare della città come culla di propositività, profonda cultura e contenitore di un prezioso patrimonio paesaggistico – ed inteso, inoltre, come risorsa nel quadro di una «blue economy» – rappresenterebbe un elemento imprescindibile per il ripensamento del brand Taranto, curato, misurato e costruito su di una visione di sostenibilità a trecentosessanta gradi;

    quella culturale è una componente rilevante del comparto turistico del sistema-Paese italiano che, adeguatamente valorizzata, sostiene e rafforza la crescita e lo sviluppo nel territorio, rappresentando anche un elemento di attrazione per risorse economiche ed investimenti. La regione Puglia, consapevole di tale possibilità, ha impiegato energie e risorse nella valorizzazione di tutto il territorio regionale, ponendo in primo piano il fattore cultura. La Puglia possiede un vero e proprio «brand», che contemporaneamente contiene ed esalta tutti i caratteri forti della regione: tradizione, cultura, mare, paesaggio, tipicità, misticismo, bellezza,

impegnano il Governo:

   ad incentivare e sostenere tutte le attività, le iniziative e gli investimenti che possano dare maggiore slancio e visibilità alle potenzialità della città di Taranto sia a livello interno che macro-regionale ed europeo, come nel caso della candidatura ad ospitare i Giochi del Mediterraneo nel 2025;

   ad adottare tutte le iniziative utili a valorizzare la forte identità di Taranto e ad esaltare una narrazione positiva rimasta a lungo in una zona d'ombra che ha oscurato risorse, meraviglie culturali e paesaggistiche e da cui risulta ormai impellente la fuoriuscita;

   a considerare la dimensione culturale – intesa nella sua interezza – come uno degli elementi fondamentali nella definizione delle iniziative normative, ordinarie e straordinarie, relative al futuro sviluppo della città;

   ad assumere iniziative di consultazione ed operative, che coinvolgano le associazioni di diversa natura – tra cui quelle sportive e culturali – e tutti gli operatori dei relativi settori, al fine di predisporre ulteriori programmi di valorizzazione e riqualificazione dei comparti citati – con ampie ricadute sul settore turistico – per incentivare uno sviluppo economico che si strutturi su direttrici diverse rispetto alla logica delle grandi imprese;

   al fine di rendere organico ed organizzato il volto multiforme della capitale ionica – che comprende storia, tradizioni etnografiche e musicali, gastronomia d'eccellenza, bellezze paesaggistiche – a sostenere la creazione di una cabina di regia capace di coordinare le diverse progettualità esistenti in ambito sportivo, culturale, ambientale ed economico a favore della definizione di una cornice di indirizzo ed un quadro operativo che abbiano carattere organico;

   a tenere conto che, in un'ottica complessiva e generale, la promozione ed il sostegno dell'affermazione culturale dell'area rappresenta un elemento di attrattiva per risorse economiche ed investimenti, a beneficio non solo della città di Taranto, ma di tutta la regione e del «sistema-Mezzogiorno».
(7-00135) «Lattanzio, Berardini, Vianello, Zennaro».


   Le Commissioni XII e XIII,

   premesso che:

   la legge 2 dicembre 2016, n. 242, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 30 dicembre 2016, n. 304, è entrata in vigore dal 14 gennaio 2017 e ha rappresentato un cambiamento politico e culturale recando quindi la definizione di un intero sistema produttivo con apposita regolamentazione e le relative forme di promozione;

   l'articolo 1 della citata legge recita: «La presente legge reca norme per il sostegno e la promozione della coltivazione e della filiera della canapa (Cannabis sativa L.), quale coltura in grado di contribuire alla riduzione dell'impatto ambientale in agricoltura, alla riduzione del consumo dei suoli e della desertificazione e alla perdita di biodiversità, nonché come coltura da impiegare quale possibile sostituto di colture eccedentarie e come coltura da rotazione»;

   l'articolo 2, in particolare, afferma che la coltivazione della canapa sativa «è consentita senza necessità di autorizzazione»;

   l'articolo 3 dispone gli obblighi ai quali l'agricoltore deve ottemperare ed in particolare stabilisce: «il coltivatore ha l'obbligo della conservazione dei cartellini della semente acquistata per un periodo non inferiore a dodici mesi. Ha altresì l'obbligo di conservare le fatture di acquisto della semente per il periodo previsto dalla normativa vigente»;

   l'articolo 4, comma 5, detta precisi limiti per il contenuto complessivo di Thc della coltivazione con primo limite allo 0,2 per cento e, comunque, entro lo 0,6 per cento per rilevazioni effettuate su piante ancora nei campi come riferimento, quindi, a «coltivazioni» e non alla materia prima fuori campo; in tale caso, l'agricoltore può procedere nella coltura, salvo che a seguito di verifiche di laboratorio il contenuto di Thc sui campioni di piante nella coltivazione risultasse superiore allo 0,6 per cento; in tale caso l'autorità giudiziaria potrebbe disporre il sequestro o la distruzione della canapa presente nel campo, ma escludendo responsabilità da parte dell'imprenditore agricolo: infatti, il comma 7 limita la facoltà di sequestro e/o distruzione delle coltivazioni di canapa soltanto su ordine dell'autorità giudiziaria e soltanto ad esito di comprovati controlli, eseguiti secondo le prescrizioni del comma 3;

   l'articolo 5 disponeva entro sei mesi la emanazione di un decreto per la definizione dei livelli massimi di residui THC ammessi negli alimenti;

   l'articolo 6 stabiliva incentivi per la filiera con un tetto massimo di 700.000 euro annui, al fine del «miglioramento delle condizioni di produzione e trasformazione nel settore della canapa» si prevedeva altresì che annualmente una quota poteva essere destinata a progetti di ricerca e sviluppo per la produzione e processi di prima trasformazione della canapa in modo da avviare un processo di ricostruzione del patrimonio genetico nazionale, oltre che per il sostegno a processi di meccanizzazione della coltivazione e della produzione, ma ad oggi non risultano individuate risorse né per le parti di competenza del Mipaaf né per quelle relative alla legge n. 499 del 1999;

   l'articolo 7 dispone per le colture il divieto di utilizzo delle sementi auto prodotte, mentre è ammesso l'utilizzo di sementi autoprodotte, per un solo anno, per gli «enti di ricerca pubblici, le università, le agenzie regionali per lo sviluppo e l'innovazione, anche stipulando protocolli o convenzioni con le associazioni culturali e i consorzi dedicati specificamente alla canapicoltura», stabilendo altresì che tali sementi potranno essere utilizzate solo per «piccole produzioni di carattere dimostrativo, sperimentale o culturale, previa comunicazione al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali»;

   l'articolo 9 della legge n. 242 del 2016 si riferisce alla tutela del consumatore demandando al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali di promuovi il riconoscimento di un sistema di qualità alimentare per i prodotti derivati dalla canapa «ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, lettere b) o c), del regolamento (UE) n. 1305/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013»

   per quanto riguarda il sostegno alla filiera, i punti focali sono sei: a) coltivazione e trasformazione, incentivazione dell'impiego e del consumo finale di semilavorati di canapa provenienti da filiere prioritariamente locali; b) sviluppo di filiere territoriali integrate che valorizzino i risultati della ricerca e perseguano l'integrazione locale e la reale sostenibilità economica e ambientale; c) produzione di alimenti, cosmetici, materie prime biodegradabili e semilavorati innovativi per le industrie di diversi settori; d) realizzazione di opere di bioingegneria; e) bonifica dei terreni; f) attività didattiche e di ricerca;

   per quanto riguarda i semi il nostro Paese dipende dall'estero; infatti, le uniche varietà italiane, la Carmagnola, la Fibranova e l'Eletta Campana, non riescono oggi a sostenere la filiera nazionale, tanto che la richiesta degli operatori è di creare un polo sementiero italiano, opportunamente controllato;

   i farmaci cannabinoidi sono importabili in Italia dal 2007; la prescrizione è stata estesa alla terapia del dolore, e la produzione nazionale, avviata nello Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze nel 2015, è insufficiente, come ha ammesso il ministro della salute, per i malati in trattamento (aumentati del 206 per cento nel solo Piemonte tra 2016 e 2017) ai quali oggi 16 regioni garantiscono la rimborsabilità dei farmaci da parte del servizio sanitario nazionale. Nei primi mesi del 2018 la quasi totale assenza di produzione e importazione ha causato l'impossibilità di approvvigionamento delle farmacie galeniche per periodi prolungati, rendendo irreperibile il farmaco ai pazienti e comportando in molti casi l'interruzione del piano terapeutico;

   lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze per affrontare l'insufficienza della produzione dei farmaci cannabinoidi è stato autorizzato a importare materia prima, e il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha chiesto all'Olanda 700 chili d'infiorescenze nel 2018, con una spesa di 4,2 milioni di euro, una spesa ingiustificata tenuto conto che si sarebbe potuta aumentare la produzione nazionale a costi dimezzati attraverso partnership pubblico-privato o pubblico-pubblico, che avrebbero potuto avere una ricaduta occupazionale positiva;

   i farmaci a base di cannabis in Italia sono sempre più richiesti, e vengono utilizzati – legalmente – come anti-dolorifici e antinfiammatori in diverse patologie quali Sla, sclerosi multipla, cancro e per stimolare l'appetito nei pazienti affetti da Aids, nonché in diverse patologie infantili. In altri Paesi vengono utilizzati anche contro il morbo di Parkinson;

   la legge n. 242 del 2016 ha previsto, anche se in via di principio, la tutela del made in Italy a tutela del consumatore, ma in tale contesto si ravvisa la necessità che siano promossi disciplinari, coinvolgendo i produttori, per le singole produzioni della canapa industriale, in modo da adottare un marchio di qualità rilasciato agli operatori, così come è, altresì, necessario assicurare la tracciabilità e la qualità delle coltivazioni dei prodotti a tutela e garanzia dei consumatori e del made in Italy;

   il 20 giugno 2018 il tavolo tecnico ha definito il disciplinare di produzione di infiorescenza di cannabis saliva light in Italia, che sarebbe necessario adottare in tempi brevi;

   il Consiglio superiore di sanità in un parere al Ministro della salute non ha escluso la potenziale pericolosità per la salute umana derivante dalla vendita di prodotti contenenti infiorescenze di canapa a basso contenuto di THC;

   a rendere ancora più problematica la questione è intervenuta la circolare del Ministero dell'interno del 31 luglio 2018 con la quale si autorizzano le forze di polizia a trattare in qualità di sostanza stupefacente la cannabis light con una concentrazione superiore allo 0,5 per cento considerando quindi come stupefacente la canapa con una concentrazione inferiore allo 0,6 per cento fissato dalla legge 242 del 2016 nelle coltivazioni,

impegnano il Governo:

   ad assumere iniziative per definire, anche tenuto conto delle criticità emerse con la circolare del Ministero dell'interno del 31 luglio 2018, un limite di concentrazione di THC che sia coerente con la legge n. 242 del 2016, evitando così che i commercianti siano passibili di vendita di sostanze stupefacenti;

   ad adottare le iniziative di competenza per procedere nell'assegnazione delle risorse recate dalla legge n. 242 del 2016 e per individuare ulteriori risorse;

   ad istituire un tavolo di confronto con la partecipazione delle associazioni imprenditoriali e commerciali al fine di definire, entro un determinato periodo, la commercializzazione delle infiorescenze di cannabis sativa light, in ottemperanza di quanto stabilito ed indicato dalla legge n. 242 del 2016;

   ad adottare iniziative per accertare, stante il parere del Consiglio superiore di sanità, in maniera chiara e scientifica l'eventuale pericolosità per la salute umana derivante dalla vendita di prodotti contenenti infiorescenze di canapa a basso contenuto di Thc, evitando così il permanere di supposti potenziali pericoli comunque mai accertati, anche procedendo alla emanazione da parte del Ministero della salute del decreto di cui all'articolo 5 della legge n. 242 del 2016;

   ad adottare le iniziative di competenza per dare seguito e rilevanza generale, in tempi brevi, «Disciplinare di produzione di infiorescenza di cannabis sativa light in Italia» approvato il 20 giugno 2018 dal Tavolo tecnico.
(7-00139) «Rostan, Fornaro».


   La V Commissione,

   premesso che:

    i titoli di Stato della Repubblica italiana vengono periodicamente collocati sul mercato dei capitali attraverso aste differenziate in meccanismi di asta competitiva e marginale;

    periodicamente l'Italia deve accedere al mercato dei capitali internazionali per il rifinanziamento del proprio debito pubblico ed è quindi soggetta alle normali fluttuazioni macroeconomiche dei mercati finanziari,

impegna il Governo

ad attivarsi per una ricognizione dell'efficienza economica degli attuali meccanismi di collocamento dei titoli di Stato sul mercato finanziario e ad adottare iniziative per sviluppare strumenti finanziari costituiti da obbligazioni della Repubblica italiana volti a favorire la sottoscrizione e l'investimento di medio-lungo termine da parte di investitori privati aventi residenza fiscale nella Repubblica Italiana.
(7-00138) «Zennaro».


   La X Commissione,

   premesso che:

    le bollette dell'energia elettrica comprendono oltre alle voci relative ai servizi di vendita (materia prima, commercializzazione e vendita), ai servizi di rete (trasporto, distribuzione, gestione del contatore) e alle imposte, i cosiddetti oneri generali di sistema, individuati ai sensi dall'articolo 3, comma 11, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, come modificato dall'articolo 39, comma 3, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, la cui esazione è destinata alla copertura di costi relativi ad attività di interesse generale afferenti al sistema elettrico, tra i quali, ad esempio, il sostegno alle fonti energetiche rinnovabili e il bonus elettrico;

    la disciplina dell'imposizione e dell'esazione degli oneri generali del sistema elettrico e della loro relativa gestione è definita dall'Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera) ai sensi della legge 14 novembre 1995, n. 481, e successive modificazioni;

    a seguito dell'adozione da parte di Arera del «Codice di rete tipo per il servizio di trasporto dell'energia elettrica» – che ha introdotto una nuova disciplina in materia di garanzie per l'accesso al servizio di trasporto, di fatturazione del servizio e dei relativi pagamenti – Green Network, Esperia, AIGET e Gala, hanno fatto ricorso al Tar Lombardia per ottenere il parziale annullamento del codice, nella parte in cui esso disponeva che gli utenti del servizio di trasporto e vendita dell'energia dovevano prestare alle imprese distributrici di energia elettrica alcune garanzie;

    la sentenza n. 2182 del 2016 del Consiglio di Stato ha chiarito, però, che sono i clienti finali ad essere obbligati, dal punto di vista giuridico ed economico, a sostenere gli oneri generali di sistema, secondo l'articolo 39, comma 3, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 («Misure urgenti per la crescita del Paese»), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134;

    la delibera 50/2018/R/EEL dell'Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera) ha dato prima attuazione alla disciplina transitoria in tema di esazione degli oneri generali del sistema elettrico (introdotta con la delibera 109/2017/R/EEL), confermando l'attuale gestione degli stessi e addebitandoli ai clienti dai venditori che li versano alle imprese distributrici e che a loro volta li corrispondono alla Csea (Cassa per i servizi energetici e ambientali) e al GSE (Gestore dei servizi energetici), tramite specifici meccanismi di reintegrazione degli stessi oneri generali versati ma non riscossi e non recuperabili da imprese distributrici;

    il documento per la consultazione 52/2018/R/EEL ha introdotto il meccanismo di riconoscimento agli utenti del trasporto degli oneri generali di sistema, altrimenti non recuperabili, che gli stessi risultano aver regolarmente versato alle imprese distributrici e non aver incassato dai clienti finali;

    tale sistema di socializzazione degli oneri, tendente a garantire il gettito degli stessi, di fatto comporta che tutti i clienti finali debbano contribuire alla copertura della quota non incassata, a prescindere dal livello di tensione previsto nei contratti,

impegna il Governo:

   ad adottare le opportune iniziative normative volte ad individuare le garanzie che i venditori di energia elettrica, e più in generale, gli utenti del servizio di trasporto devono prestare per il versamento degli oneri generali di sistema;

   ad istituire presso il Ministero dello sviluppo economico un tavolo tecnico di lavoro finalizzato ad assicurare un periodico confronto tra trader, operatori del settore ed associazioni di consumatori e a favorire la discussione e l'approfondimento necessari per la risoluzione di eventuali criticità.
(7-00136) «Vallascas».


   La X Commissione,

   premesso che:

    le bollette dell'energia elettrica comprendono oltre alle voci relative ai servizi di vendita (materia prima, commercializzazione e vendita), ai servizi di rete (trasporto, distribuzione, gestione del contatore) e alle imposte, i cosiddetti oneri generali di sistema, individuati ai sensi dell'articolo 3, comma 11, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, come modificato dall'articolo 39, comma 3, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, la cui esazione è destinata alla copertura di costi relativi ad attività di interesse generale afferenti al sistema elettrico, tra i quali, ad esempio, il sostegno alle fonti energetiche rinnovabili e il bonus elettrico;

    la disciplina dell'imposizione e dell'esazione degli oneri generali del sistema elettrico e la loro relativa gestione è definita dall'Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera) ai sensi della legge 14 novembre 1995, n. 481, e successive modificazioni;

    a seguito dell'adozione da parte di Arera del «Codice di rete tipo per il servizio di trasporto dell'energia elettrica» – che ha introdotto una nuova disciplina in materia di garanzie per l'accesso al servizio di trasporto, di fatturazione del servizio e dei relativi pagamenti – Green Network, Esperia, AIGET e Gala, hanno fatto ricorso al Tar Lombardia per ottenere il parziale annullamento del codice, nella parte in cui esso disponeva che gli utenti del servizio di trasporto e vendita dell'energia dovevano prestare alle imprese distributrici di energia elettrica alcune garanzie;

    la giurisprudenza amministrativa ha più volte affermato che l'Autorità non ha titolo per imporre tale sistema di garanzie alle imprese di vendita in relazione alla quota di oneri non riscossi, poiché il cliente finale è l'unico soggetto tenuto a pagare gli oneri generali di sistema e il rischio di mancato incasso da parte dei clienti finali non è in capo ai venditori (si veda al proposito: Consiglio di Stato, Sezione VI, sent. 2182/2016; Tar Lombardia, Sezione II, sent. 237/2017, 238/2017, 243/2017, 244/2017; Consiglio di Stato, Sezione VI, sent. 5619/2017 e 5620/2017);

    a seguito di tali pronunce, che hanno annullato le precedenti deliberazioni, alcuni venditori hanno interrotto i pagamenti verso i distributori causando ammanchi al sistema dell'ordine di centinaia di milioni di euro. L'Autorità è quindi nuovamente intervenuta in tema confermando l'attuale sistema in base al quale sia i venditori che i distributori continuano a essere obbligati a versare interamente gli oneri generali fatturati, indipendentemente dall'effettivo incasso dei medesimi, ma al contempo scontando le garanzie che i venditori devono prestare ai distributori di una stima a rialzo del tasso di morosità medio e prevedendo meccanismi di reintegrazione degli oneri di sistema inesigibili. Con la deliberazione 50/2018/R/EEL, l'Autorità ha introdotto uno specifico meccanismo di reintegrazione, successiva e previa verifica, degli oneri generali di sistema versati ma non riscossi e non recuperabili da parte dei distributori, che abbiano risolto per inadempimento il contratto di trasporto stipulato con i venditori;

    il documento per la consultazione 52/2018/R/EEL ha quindi introdotto il meccanismo di riconoscimento agli utenti del trasporto degli oneri generali di sistema, altrimenti non recuperabili, che gli stessi risultano aver regolarmente versato alle imprese distributrici e non aver incassato dai clienti finali;

    tale sistema di socializzazione degli oneri, tendente a garantire il gettito degli stessi, di fatto comporta che tutti i clienti finali debbano contribuire alla copertura della quota non incassata, a prescindere dal livello di tensione previsto nei contratti;

    al fine di garantire la stabilità e la certezza del mercato dell'energia elettrica, l'articolo 1, commi 80-82, della legge 4 agosto 2017, n. 124 (legge annuale per il mercato e la concorrenza), ha previsto l'istituzione, presso il Ministero dello sviluppo economico, dell'elenco dei soggetti abilitati alla vendita di energia elettrica a clienti finali;

   l'elenco dei soggetti abilitati alla vendita di energia elettrica a clienti finali rappresenta un utile strumento per prevenire il verificarsi di nuovi episodi di condotte opportunistiche e scorrette, dal momento che l'inclusione e la permanenza di un soggetto nello stesso sono condizione necessaria per lo svolgimento delle attività di vendita di energia elettrica a clienti finali;

   il Consiglio di Stato ha espresso parere il 7 giugno 2018 sullo schema di decreto predisposto dal Ministro dello sviluppo economico pro tempore con cui sono fissati i criteri, le modalità e i requisiti tecnici, finanziari e di onorabilità per l'iscrizione nel citato elenco, tuttavia, ad oggi, esso non risulta essere pubblicato, sebbene il contesto determinatosi ne indichi il carattere di urgenza,

impegna il Governo:

   al fine di garantire maggiore certezza circa il funzionamento del mercato dell'energia elettrica e i rapporti tra i vari soggetti della filiera, ad adottare le iniziative di competenza per istituire celermente, presso il Ministero dello sviluppo economico, l'elenco dei soggetti abilitati alla vendita di energia elettrica ai clienti finali, in attuazione dell'articolo 1, commi 80-82, della legge 4 agosto 2017, n. 124;

   ad adottare iniziative per individuare criteri e requisiti sufficientemente selettivi per l'iscrizione e la permanenza nel suddetto elenco, tali da rendere lo strumento quanto più possibilmente efficace al fine di prevenire condotte opportunistiche da parte dei venditori e garantire la fornitura di energia elettrica per i clienti finali;

   ad adottare iniziative normative per contrastare possibili comportamenti opportunistici che possano pregiudicare l'esazione dei cosiddetti oneri di sistema, affidando all'Autorità la predisposizione di misure idonee al contrasto dei fenomeni elusivi attraverso la verificabilità, da parte del Sistema informativo integrato di acquirente unico, dei flussi degli oneri generali realmente pagati dai consumatori e versati dai venditori, garantendo adeguata trasparenza dei processi e idonee forme di tutela per i consumatori.
(7-00137) «Andreuzza, Patassini, Bazzaro, Binelli, Colla, Dara, Pettazzi, Piastra».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:

   la Saipem è leader mondiale; nei servizi di perforazione, ingegneria, costruzione e installazione di condotte e grandi impianti nel settore «oil & gas». Il capitale Saipem è detenuto per oltre il 30 per cento da Eni s.p.a. e per il 12,5 per cento da Cdp Equity S.p.A. (Cassa depositi e prestiti); Eni a sua volta è controllata per il 31,10 per cento dallo Stato;

   nella prima decade di dicembre 2018 circa 400 dei suoi server sono stati attaccati dagli hacker. L'attacco informatico ha colpito i server basati nel Middle East, India, Aberdeen e, in modo limitato, l'Italia, attraverso una variante del malware Shamoon. Come conseguenza c'è stata la cancellazione di dati e di infrastrutture, effetti tipici del malware. Dalle notizie fornite alla stampa risulta che Saipem ha disattivato i server aggrediti, avviando il recupero della funzionalità e dei dati e avvertendo le autorità competenti dell'attacco;

   come è emerso dal report Regional Risks for Doing Business realizzato dal World Economic Forum, i cyber attacchi sono considerati, dalla generalità dei manager, i rischi numero uno per le imprese. Dall'ultima edizione del Rapporto Clusit sulla sicurezza ICT (Information Communication Technology) emerge che in termini assoluti il numero di attacchi più elevato degli ultimi 6 anni è riconducibile alle categorie del cyber-crime e della cyber-war, tuttavia si precisa che, «rispetto al passato, oggi risulta più difficile distinguere nettamente tra le due categorie...». I 730 attacchi gravi registrati e analizzati nei primi mesi di quest'anno, corrispondono a una crescita del 31 per cento rispetto al semestre precedente; gli attacchi crescono sia in termini di numero che di varietà, anche grazie al fatto che spesso gli aggressori dispongono di mezzi più ampi dei soggetti preposti alla difesa delle strutture telematiche;

   non è chiaro se la Saipem abbia subito gli attacchi da parte di attori del cybercrime, oppure a opera di hacker di Stato, né è chiaro se la Saipem sia stata colpita in quanto italiana o per essere tra i leader internazionali in ambito petrolio e gas;

   peraltro il settore dell'energia è sempre più nel mirino degli hacker. Secondo gli esperti quello contro Saipem non è un attacco casuale, in quanto il bersaglio era sicuramente ben definito, ma l'aggressione informatica è stata portata su obiettivi apparentemente di minore importanza, con l'obiettivo di saggiarne la resistenza. Saipem è in affari con la ciclopica Saudi Aramco, da quasi dieci anni oggetto di cicliche aggressioni informatiche, talvolta vittoriose;

   giova però osservare che, per un'azienda come la Saipem i gangli remoti dove è in corso l'attività estrattiva o di raffinazione o lungo l'itinerario tra la produzione e il consumo, sono altrettanto importanti dei server centrali: una piattaforma di estrazione non custodisce certo segreti strategici, ma il malfunzionamento (fortuito o doloso) dei computer che la governano può avere conseguenze catastrofiche. È pertanto fondamentale che nel caso di aziende strategiche per l'approvvigionamento energetico sia riconosciuta ai terminali remoti una importanza prioritaria eguale (in termini di sicurezza) alle dotazioni asservite a più elevate finalità aziendali;

   in tempi più recenti sta progressivamente acquisendo una posizione di primaria importanza all'interno di ogni organizzazione che gestisce dati o comunicazioni sensibili, la necessità di disporre di sistemi informativi realizzati in maniera sicura. Alcuni Paesi hanno imposto, per la realizzazione delle infrastrutture critiche nazionali, l'acquisto di solo hardware certificato, altri l'impiego di prodotti realizzati da ditte nazionali, più facilmente controllabili e monitorabili, anche se l'attenzione si è rivolta soprattutto alla fornitura di materiale militare;

   in linea con quanto previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 17 febbraio 2017, nel marzo del 2017 è stato approvato dal Governo il piano nazionale per la protezione cibernetica nel quale emersa la necessità di sviluppare le capacità Ict e di implementare i livelli di sicurezza –:

   nell'interesse della sicurezza nazionale, quale sia il livello di efficacia dei protocolli d'intesa tra la polizia postale e le realtà costituenti infrastrutture critiche per il Paese, come la stessa Saipem, e se essi comprendano la capacità di protezione dagli attacchi, la velocità nel contenimento delle conseguenze e la tempestività nel ripristino della situazione antecedente;

   se il Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche (Cnaipic) presso il Ministero dell'interno abbia segnalato al Governo l'incidente prima che la notizia diventasse di dominio pubblico e avesse dato indicazioni a supporto di eventuali decisioni da adottare;

   se non si ritenga necessaria la previsione di una figura istituzionale di coordinamento delle emergenze cibernetiche, di supporto al Governo, nel gestire situazioni pericolosamente incombenti e nel tracciare le linee di indirizzo operativo;

   se il Governo non ritenga assolutamente prioritario adottare iniziative per appostare specifici stanziamenti per implementare i livelli di sicurezza delle infrastrutture e delle reti nazionali o controllate da enti che fanno capo allo Stato, ivi compresi, per le infrastrutture energetiche, i livelli di sicurezza dei terminali remoti.
(2-00206) «Mulè».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PERANTONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   a partire dagli anni Sessanta, la città di Porto Torres è stata protagonista in Italia dello sviluppo industriale, in particolare nel settore petrolchimico, fino a ritagliarsi una posizione di spicco nel mercato mondiale;

   dagli anni Novanta il territorio ha assistito a un lento declino del comparto, sfociato con la crisi, dovuta alla delocalizzazione e alla progressiva deindustrializzazione, del settore della chimica di base, con l'esubero di migliaia di lavoratori e la conseguente necessità di una riorganizzazione industriale;

   nel 2011 è stato firmato il «Protocollo di intesa per la chimica verde a Porto Torres», tra la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, il Ministero dello sviluppo economico, la regione Sardegna, la Provincia di Sassari, i Comuni di Sassari e Alghero, oltre ovviamente al comune di Porto Torres, le società Eni Spa, Novamont Spa, Polimeri Europa Spa, Syndial Spa, Enipower Spa e le sigle sindacali Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Filctem, Femca, Uilcem, Ugl chimici;

   il Protocollo impegnava le aziende firmatarie, a realizzare il progetto di riconversione industriale del sito di Porto Torres attraverso la creazione di una filiera integrata per le bioplastiche biodegradabili, effettuando una serie di investimenti, stimati in: circa 100 milioni di euro per la prima fase del progetto; circa 50 milioni di euro per la seconda fase; circa 300 milioni di euro per la terza fase; circa 50 milioni di euro per le infrastrutture industriali e la realizzazione del Centro di ricerca; fino a 230 milioni di euro per la centrale a biomasse e l'adeguamento di quella esistente;

   in seguito all'accordo, Versalis Spa e Novamont Spa hanno dato seguito alla costituzione della joint venture Matrìca Spa;

   la piena attuazione del «Protocollo d'intesa per la chimica verde a Porto Torres» è attualmente in pericolo, come emerso dalla riunione ufficiale tenutasi il 22 novembre 2018 presso la sede di Sassari dell'assessorato regionale all'industria;

   nell'occasione, le due aziende costituenti Matrìca Spa non hanno dato garanzie per il proseguo del Protocollo d'intesa;

   il presidente della regione Sardegna, con lettera del 28 novembre 2018, avente ad oggetto «Attuazione del Protocollo di intesa per la chimica verde», indirizzata, tra l'altro, all'amministratore delegato di Eni Spa e all'amministratore delegato di Novamont Spa, ha chiesto «l'attivazione di un tavolo nazionale a livello di Presidenza del Consiglio che consenta di chiarire e ridefinire gli impegni industriali di Eni e Novamont, anche al di là della joint venture Matrìca, con l'obiettivo di favorire la reindustrializzazione del polo di Porto Torres», specificando che mentre si parla di bioeconomia per la rigenerazione dei territori e vengono promossi importanti progetti comunitari che partono dall'integrazione della bioraffineria con la catena del valore in agricoltura, proprio nell'area che era stata scelta come sito nazionale privilegiato per sviluppare la chimica verde, le dispute legali portano ad un disimpegno di Novamont e bloccano di fatto il progetto di riconversione industriale di Porto Torres attraverso la creazione di una filiera integrata delle bioplastiche biodegradabili;

   il blocco degli investimenti comporterebbe l'ennesima crisi, con immaginabili ripercussioni su tutto il territorio della Sardegna nord occidentale;

   non può peraltro ignorarsi il forte debito che grava sull'Eni, derivante dal richiamato processo di deindustrializzazione e pagato a caro prezzo anche in termini di irreversibile compromissione ambientale del territorio –:

   se il Governo sia a conoscenza di tale questione e quali iniziative concrete intenda assumere al fine di evitare le gravi conseguenze che deriverebbero dalla situazione descritta.
(5-01125)


   MARCO DI MAIO, DELRIO, BRAGA, CENNI, DE FILIPPO, FREGOLENT, BOSCHI, ROTTA, DE MENECH, ROSSI, PAITA, DE MARIA, VAZIO e GADDA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il 14 gennaio 2017 è entrato in vigore il decreto legislativo 16 dicembre 2016, n. 257, di attuazione dalla direttiva 2014/94/UE sulla realizzazione di un'infrastruttura per i combustibili alternativi (Dafi);

   la cosiddetta direttiva Dafi ha fissato importanti obiettivi per lo sviluppo dell'infrastruttura di distribuzione dell'idrogeno;

   in particolare, l'articolo 5, rivolto alla fornitura per il trasporto stradale, ha previsto, al comma 1, la creazione di un adeguato numero di punti di rifornimento per l'idrogeno, accessibili al pubblico, entro il 31 dicembre 2025;

   è stimato che, entro tale data, per consentire la circolazione di vetture ad idrogeno per lunghe distanze sul territorio nazionale (lungo le autostrade, ogni 200 km o presso le superstrade o strade con traffico internazionale), occorreranno 25 stazioni;

   a conferma del percorso intrapreso, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 5, comma 3, del decreto legislativo di recepimento della direttiva Dafi, è stata aggiornata la normativa tecnica di riferimento) con la pubblicazione, nella Gazzetta Ufficiale del 5 novembre 2018, del decreto del Ministero dell'interno 23 ottobre 2018 «Regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio degli impianti di distribuzione di idrogeno per autotrazione» che ha modificato la previgente normativa che risaliva al 2006;

   l'aggiornamento del decreto ha consentito il superamento di molte disposizioni che costituivano un ostacolo alla realizzazione di impianti di erogazione moderni, sicuri e funzionali e l'allineamento con gli standard internazionali;

   non ci sono quindi ad oggi ostacoli tecnici che impediscano la costruzione di stazioni di rifornimento di idrogeno per autotrazione. Contrariamente a molti altri Paesi europei, l'Italia ha un'unica stazione che si trova a Bolzano, sulla A22. Nell'impianto si produce idrogeno tramite energie rinnovabili, si stocca e si utilizza per rifornire veicoli a celle a combustibile (autobus utilizzati per il trasporto pubblico urbano, oltre a un parco vetture destinate al noleggio);

   è importante infine ricordare che, durante l'incontro informale dei Ministri dell'energia, che si è tenuto a Linz in Austria dal 17 al 18 settembre 2018, il Governo italiano ha sottoscritto l’HydrogenInitiative, un documento di indirizzo politico di sostegno allo sviluppo dell'idrogeno sostenibile;

   nel concentrare l'attenzione e il sostegno dell'Unione europea sulla tecnologia, tra gli obiettivi il documento reca quelli di «supportare l'applicazione dell'idrogeno nei trasporti e nella mobilità e creare l'infrastruttura di rifornimento necessaria per aumentare la domanda di idrogeno» –:

   quali iniziative e investimenti il Governo intenda promuovere per raggiungere l'obiettivo della costruzione di un numero adeguato di stazioni entro il 2025, fissato dal decreto legislativo di attuazione della direttiva 2014/94/UE sulla realizzazione di un'infrastruttura per i combustibili alternativi, per garantire in Italia lo sviluppo della mobilità a idrogeno.
(5-01127)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GABRIELE LORENZONI, CATALDI e PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   l'ospedale «Grifoni» di Amatrice, prima degli eventi sismici iniziati a far data dal 24 agosto del 2016 che hanno colpito il Centro Italia e che ne hanno causato l'inagibilità e conseguente demolizione, contava circa 15 posti letto e un poliambulatorio;

   prima del terremoto vi era un ridimensionamento dell'offerta sanitaria per questo ospedale che lo rendeva un presidio sanitario di prossimità;

   per la ricostruzione di questo nosocomio è previsto un impegno di spesa pari a circa 15 milioni e trecentomila euro così ripartiti: la struttura del commissario straordinario al sisma contribuirà per 9 milioni di euro; il Ministero federale dell'ambiente, dell'edilizia e della sicurezza nucleare della Repubblica federale di Germania ha donato 6 milioni di euro; la regione Lazio si è impegnata per 300.000 euro;

   è nata presso la Comunità dell'Alta Valle del Velino la consapevolezza della necessità di avere un ospedale di «area vasta» ritenendo che tale opera pubblica necessariamente debba essere collocata al centro del cratere sismico in luogo più facilmente accessibile, per servire i bisogni di tutti i cittadini, e garantire un più rapido ed adeguato intervento in caso di emergenza;

   la ricostruzione dell'ospedale lungo la via Salaria SS4, localizzato nella zona di Torrita (sempre ribadente nel territorio comunale di Amatrice), consentirebbe la possibilità di una snella gestione della struttura e delle vie di accesso e la possibilità di concentrare in esso il maggior numero di servizi sanitari;

   la ricostruzione del Grifoni in località Torrita garantirebbe il servizio per tutto il cosiddetto quadrante sanitario, da Borgo Velino ad Arquata del Tronto (nelle Marche) e da Norcia (in Umbria), Leonessa ad Amatrice, fino a Montereale (in Abruzzo), renderebbe più fruibile il diritto alla salute per tutti e servirebbe un bacino d'utenza più ampio dando più forza alle richieste del territorio pre-sisma in termini di aumento dei posti letto, dei servizi e delle specialità;

   12 comuni dell'Alta Valle del Velino su 13 (tra cui il comune di Montereale in Abruzzo), ad eccezione del comune di Amatrice, il sindacato Cisal e associazioni di cittadini hanno aderito all'idea di un ospedale più raggiungibile e strategico;

   pur essendo la gestione della sanità di competenza regionale, si rileva che nella ricostruzione dell'ospedale verranno utilizzati fondi frutto di un accordo tra Governo italiano e Governo tedesco, coinvolgendo per la maggior parte fondi pubblici statali e non regionali –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se intenda avviare, per quanto di competenza, una interlocuzione con il presidente della regione Zingaretti e il sindaco del comune di Amatrice in merito alla questione.
(4-01880)


   FASSINA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:

   Almaviva è una società per azioni italiana che opera, a livello globale, nella tecnologia dell'informazione e nei servizi di outsourcing (Crm Customer Experience) nei seguenti mercati: cybersecurity, difesa e sicurezza, banche e assicurazioni, trasporti e logistica, agricoltura, sanità, telco, energia e servizi, pubblica amministrazione centrale e locale; essa può confidare nel lavoro di 42.000 persone, 10.000 delle quali impiegate in Italia e 32.000 all'estero, dati che la collocano al 5° posto come gruppo privato italiano per numero di occupati;

   negli ultimi anni la società è stata al centro di alcune vicende giudiziarie esemplari sugli effetti drammatici a cui possono portare i meccanismi di esternalizzazione e di appalto al massimo ribasso, e per l'esito del più corposo licenziamento collettivo mai avvenuto, imposto nel dicembre del 2016 nei confronti di 2.511 addetti al call center, che alla fine aveva riguardato arbitrariamente solo i 1.666 lavoratori della sede romana e non di altre sedi italiane della stessa società;

   a tutt'oggi, nella fattispecie, del suddetto esercito di lavoratori, colpevoli di aver rinunciato, attraverso le loro rappresentanze sindacali unitarie, al prolungamento di una trattativa sindacale che li avrebbe verosimilmente condotti ad un «accordo capestro» che prevedeva una sensibile riduzione retributiva, solo 127 di loro sono stati ricollocati altrove a tempo indeterminato, mentre il restante 65 per cento si trova ancora disoccupato;

   nonostante i suddetti trascorsi giudiziari e le reiterate condotte antisindacali, Almaviva Spa – oltre a quella del Gse (Gestore dei servizi energetici spa) - si è aggiudicata, in raggruppamento temporaneo d'impresa con Almawave, Indra e PricewaterhouseCoopers, i lotti 3 e 4 della gara per il sistema pubblico di connettività e per la fornitura dei servizi di interoperabilità e di realizzazione dei portali, per un portafogli complessivo da 850 milioni di euro acquisito a inizio 2017;

   Almaviva è un operatore che presta i suoi servizi a numerosi soggetti pubblici e il fatto che metta in atto licenziamenti discriminatori e, comunque, in spregio a regole che attuano precisi principi costituzionali, dovrebbe determinare l'esclusione dalle commesse e dai bandi futuri, in attuazione di quanto stabilito dall'articolo 30, comma 3, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (cosiddetto codice degli appalti) che testualmente recita: «Nell'esecuzione di appalti pubblici e di concessioni, gli operatori economici rispettano gli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dalla normativa europea e nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali elencate nell'allegato X» –:

   se il Governo non ritenga di dover adottare le iniziative di competenza per escludere da future gare per l'affidamento di lavori, forniture e servizi per la pubblica amministrazione, in ottemperanza a quanto stabilito dall'articolo 30, comma 3, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, tutte le società che hanno riportato condanne per violazione delle norme sul lavoro.
(4-01889)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LUPI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   nel 2018 l'Iran è ancora classificato nel Cpc – Countries of Particular Concern – ovvero tra i Paesi i cui Governi hanno commesso o tollerato violazioni enormi sistematiche e protratte della libertà religiosa, compresi atti quali tortura, detenzioni prolungate senza imputazioni, sparizioni;

   apparentemente però, questo Paese si mostra tollerante, costituzionalmente infatti alle minoranze religiose è riconosciuta la libertà di culto e si dichiara che le discriminazioni vengono punite dalla legge, e sempre la Costituzione proibisce che si possa indagare sull'orientamento religioso di terzi;

   allo stato dei fatti in Iran:

    sono circa 350.000 i cristiani che, a causa della loro religione, non possono accedere a ruoli nella pubblica amministrazione e neppure partecipare attivamente alla vita politica del Paese;

    negli ultimi anni, la persecuzione dei cristiani è aumentata a dismisura, il rapporto di Aiuto alla chiesa che soffre, «Perseguitati e Dimenticati 2017» rende noto che nonostante la costituzione iraniana abbia riconosciuto la minoranza cristiana, le persecuzioni sono cresciute e sono aumentati anche i sequestri di proprietà della Chiesa;

    in particolare, nell'ultimo anno i cristiani sono in grande difficoltà anche a causa di una nuova ondata di repressione ordinata dagli Ayatollah, una decisione passata in sordina a causa della grave crisi economica e delle ribellioni che stanno interessando l'Iran;

    nel 2017, quattro cristiani iraniani, Victor Bet-Tamraz, Shamiram Issavi, Amin Afshar-Naderi e Hadi Asgari sono stati presi di mira unicamente per l'esercizio pacifico dei loro diritti alla libertà di religione, arrestati durante un raduno natalizio privato, condannati dal tribunale rivoluzionario di Teheran a dieci anni di reclusione con l'accusa di «formare un gruppo composto da più di due persone allo scopo di interrompere la sicurezza nazionale», accusati anche di aver organizzato e condotto messe in casa e di aver viaggiato fuori dall'Iran per partecipare a seminari cristiani. Questo caso ha provocato la mobilitazione anche di Amnesty International, che ha organizzato una raccolta firme per cercare di annullare la condanna e le pesanti pene carcerarie, tentando anche di richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica su una realtà troppo spesso trascurata: la sorte delle minoranze cristiane nella Repubblica Islamica dell'Iran;

    il 16 novembre 2017, come riportato da Middle East Concern (MEC), due cristiani ed ex-musulmani (Behnam Ersali e Davood Rasooli), sono stati prelevati dalle loro case da parte di alcuni agenti dei servizi segreti e dal momento del loro arresto i due uomini non hanno potuto contattare le rispettive famiglie. A oggi non è ancora noto il motivo dell'arresto e il luogo della detenzione;

    la scorsa settimana i giornali parlavano di 256 cristiani, appartenenti «a gruppi differenti» arrestati solo nell'ultimo mese in «dieci o undici diverse città» dell'Iran. Sono poi stati rilasciati, ma a tutti loro è stato confiscato il telefono cellulare e saranno presto convocati dall’intelligence;

    i dati inspiegabilmente registrano un aumento di iraniani diventati cristiani e negli ultimi due decenni il numero è superiore a quelli calcolati nei precedenti tredici secoli; a fine 2016, infatti, si registrano più di un milione di iraniani convertiti al cristianesimo –:

   se non ritenga di promuovere iniziative presso le istituzioni europee e internazionali al fine di adottare ogni azione utile alla salvaguardia della libertà religiosa, in generale, e dei diritti dei cristiani, in particolar modo, in questo Stato dove all'aumentare delle persecuzioni cristiane aumenta il numero di convertiti al cristianesimo.
(5-01131)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCHIRÒ. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   la circoscrizione del consolato generale d'Italia a Barcellona, caratterizzata da un'ampia estensione territoriale e da concentrazioni di connazionali in località distanti dalla sede centrale, ha superato i 90.000 connazionali regolarmente iscritti (89.207 connazionali al 28 giugno 2018) e cresce a un ritmo di circa 8.000 iscritti all'anno, con un incremento significativo delle richieste di servizi consolari;

   i dati di inizio 2018 registrano un'espansione soprattutto nel settore dei documenti (passaporti, Etd, carte d'identità con un aumento medio rispetto all'anno precedente intorno al 35 per cento) e della trascrizione di atti di stato civile;

   sensibili incrementi si segnalano, inoltre, nei settori delle richieste di cittadini non iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (Aire) provenienti da studenti Erasmus (la Spagna è la prima destinazione di studenti Erasmus italiani) e dalle centinaia di migliaia di connazionali in visita turistica, che subiscono furti e smarrimento dei documenti gravando, soprattutto nei mesi estivi, sia sui consoli onorari che sugli uffici della sede centrale;

   altri fattori di tensione sono dati dalla crescente pressione migratoria dal Venezuela e dall'Argentina. Al momento sono registrati in anagrafe 25.089 cittadini provenienti dall'Argentina (pari al 28,12 per cento del totale iscritti) e 3.110 cittadini venezuelani (pari al 3,48 per cento del totale iscritti): dato per altro sottostimato, in quanto include soltanto le persone che hanno già regolarizzato la loro posizione migratoria con le autorità locali;

   il consolato di Barcellona, inoltre, sostiene un importante traffico in materia di navigazione e assicura un'intensa attività di promozione integrata del sistema Italia e di valorizzazione della collettività italiana residente, in chiave sistematica e strategica, con i progetti ITmakES e Experience IT rivolti soprattutto alla nuova emigrazione italiana;

   il personale da agosto 2017 a inizio 2018 ha dovuto operare con ben 7 unità in meno presenti in sede, essendo l'organico del consolato costituito da 23 persone, delle quali solo 19 in servizio, di cui 6 di ruolo, 3 a contratto secondo la legge italiana e 10 a contratto secondo la legge locale;

   l'impegno straordinario del personale, dei digitatori e di apposite task-force interne, tuttavia, ha garantito nel 2017 8.372 iscrizioni all'Aire (29 per cento in più rispetto al 2016), l'emissione di 6.563 passaporti (rispetto ai 5.148 del 2016: +22 per cento, di 1.943 carte d'identità (rispetto alle 1.981 del 2016: -2 per cento, di 1.029 Etd (rispetto ai 940 del 2016: +9 per cento, nonché l'invio in Italia per la trascrizione di 2.062 atti di stato civile (rispetto ai 2.086 del 2016: -1 per cento);

   attraverso la sua pagina Internet, il consolato informa i connazionali che, a fronte della carenza di personale, è necessario «procedere con ampio anticipo – entro i 6 mesi dalla scadenza – alla richiesta di emissione del nuovo passaporto»;

   sembra evidente l'esigenza di un adeguamento dell'organico della sede, bisognoso di essere reintegrato e comunque aumentato, per evitare riflessi sempre più negativi sulla qualità dei servizi consolari prestati e per fare fronte alle potenzialità della nuova sede che sarà presto disponibile –:

   quali iniziative urgenti si intendano assumere alla luce della crescente preoccupazione per la capacità operativa del consolato generale di Barcellona;

   in particolare, in quali tempi si preveda che verrà ripristinato integralmente l'organico esistente e quali prospettive ci siano per un aumento dello stesso al fine di evitare inevitabili riflessi negativi sulla qualità dei servizi consolari prestati agli utenti, anche considerando che la produttività del personale è ormai decisamente al limite (un organico pari a quello attuale serviva nel 2000 soltanto 15.000 iscritti).
(4-01888)


   MAGI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   l'edizione de La Stampa del 17 dicembre 2018 riporta, a pag. 13, una lunga intervista di Francesca Sforza a Denis Manturov, Ministro dell'industria e del commercio della Federazione russa, che partecipa a Roma al «Consiglio italo-russo per la cooperazione economica, industriale e finanziaria» (CIRCEIF). Nell'intervista, Manturov dichiara, fra l'altro: «Apprezziamo la posizione del governo italiano in merito alle sanzioni nei confronti delle aziende russe. In un incontro con i dirigenti di Uc Rusal (azienda leader nella produzione di alluminio, ndr), l'ambasciatore italiano in Russia Terracciano ha dichiarato che il governo italiano si oppone alle sanzioni extraterritoriali e ha sottolineato l'importanza che riveste per l'economia della UE la revoca delle sanzioni a Uc Rusal [...] Due società italiane, Enel e Terna, contemporaneamente stanno preparando progetti congiunti con Rosseti [...] Enel intende creare un “duster intelligente” in Russia, lanciando un progetto pilota per costruire una “smart grid” sulla base della piattaforma tecnologica dell'azienda. Terna e Rosseti stanno ora discutendo la possibilità di implementare progetti pilota sull'impiego di dispositivi di archiviazione nelle reti e sulla digitalizzazione delle reti» –:

   se quanto affermato dal Ministro Manturov sul tenore delle dichiarazioni dell'ambasciatore Pasquale Terracciano corrisponda al vero;

   in caso affermativo, come si concilino tali dichiarazioni con la posizione ufficiale del Governo italiano, più volte ribadita, di conferma delle sanzioni finanziarie ed economiche imposte dall'Unione europea alla Federazione russa, visto il suo mancato rispetto degli accordi di Minsk, aggravato nelle ultime settimane da una vera e propria aggressione militare ai danni di navi ucraine nel Mare di Azov;

   se i progetti citati in premessa sia di Enel che di Terna in Russia siano compatibili con il regime di sanzioni finanziarie ed economiche succitato;

   quali siano stati gli esiti del «Consiglio italo-russo per la cooperazione economica, industriale e finanziaria» (CIRCEIF) e come tali esiti si inquadrino nel contesto del regime di sanzioni succitato.
(4-01892)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MURONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   temperature record, siccità, incendi, fenomeni meteorologici estremi, territori in ginocchio. In questi ultimi mesi molte regioni italiane sono state costrette a chiedere lo stato di emergenza;

   l'emergenza climatica e la necessità di piani di adattamento è sotto gli occhi di tutti;

   nonostante gli accordi sul clima di Parigi e gli impegni presi per contrastare i cambiamenti climatici — non solo in Italia, ma in tutti i Paesi avanzati — si persevera nell'incentivare l'uso dei combustibili fossili, fornendo quasi quattro volte più fondi pubblici a questo settore che alle energie rinnovabili;

   la corsa allo sfruttamento dell’«oro nero» nei mari italiani continua senza tregua, grazie alle 69 concessioni di coltivazione nelle acque italiane, di cui solo 50 produttive: 29 ricadono nell'alto Adriatico, 15 nel medio e basso Adriatico e 3 nel canale di Sicilia (rapporto di Legambiente «E IO PAGO»;

   per quanto concerne la produzione di greggio nei mari italiani, nel 2016 essa è stata di oltre 720 mila tonnellate, poco meno della quantità estratta nell'anno precedente, circa 750 mila tonnellate, e corrispondente al 19,3 per cento della produzione totale nazionale;

   a questi permessi si potrebbero aggiungere 29 aree essendo le istanze per permessi di ricerca in fase di valutazione al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. La maggior parte di queste si concentrano nel medio (5) e Basso Adriatico (13) e nel canale di Sicilia (5) seguite dallo Jonio (4) e dall'Alto Adriatico (2). Sono 8 le istanze di permesso di prospezione invece nei mari italiani, per un totale di oltre 94 mila chilometri quadrati;

   stando agli ultimi dati sui consumi di petrolio in Italia, che nel 2016 è stato di circa 60 milioni di tonnellate, la quantità di petrolio estratta dalle suddette concessioni offshore soddisferebbe circa l'1,2 per cento del fabbisogno nazionale;

   per quanto riguarda la produzione di gas in mare, nel 2016 sono stati estratti oltre 4,3 miliardi di standard metri cubi, circa il 71 per cento della produzione nazionale (terra e mare) che supera di poco i 6 miliardi di standard metri cubi;

   le concessioni di coltivazione da cui viene estratto il gas in mare sono 49, di cui 44 specifiche mentre le altre 5, estraggono entrambi i minerali. Stando agli ultimi dati sui consumi nel nostro Paese, nel 2016 sono stati utilizzati 70,9 miliardi di standard metri cubi di gas; con la quantità estratta dai mari italiani nello stesso anno, si sarebbe riusciti a sopperire a circa al 6 per cento del fabbisogno;

   fermare le estrazioni di idrocarburi e, di conseguenza, uscire definitivamente dalla dipendenza dalle fonti fossili, è un passo fondamentale per arrestare il cambiamento climatico. Tale «stop» infatti permetterebbe di ridurre le emissioni di CO2 di oltre 750 milioni di tonnellata ovvero il 5,8 per cento al 2020;

   invece il 10 dicembre 2018, secondo quanto riportato anche da organi di stampa, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avrebbe rilasciato in una sola volta, ben 18 provvedimenti di ottemperanza positivi per altrettanti permessi di ricerca e coltivazione di gas e petrolio in mare. Quasi tutti concentrati nel mare Adriatico, a esclusione della Sicilia –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non intenda adottare le iniziative di competenza affinché vengano riesaminate le autorizzazioni per la ricerca e la coltivazione di idrocarburi in mare alla luce di un'analisi del valore ecologico, sociale ed economico di queste aree, rapportato al valore economico ed energetico delle attività estrattive previste e degli impatti attesi, nonché di un'analisi che, assumendo un criterio di valutazione ambientale strategica, definisca con precisione a quali stress ambientali siano già sottoposte le aree oggetto di valutazione, in modo da evitare che ulteriori misure di impatto possano sommarsi e cumularsi su ecosistemi già gravati da attività antropiche inquinanti.
(5-01128)


   MURONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   è stata rilevata una discarica abusiva su un terreno che, ufficialmente, serviva per ospitare colonie di api per la produzione di miele con rifiuti pericolosi che potrebbero aver contaminato il miele effettivamente prodotto;

   la polizia giudiziaria della procura di Milano ha sequestrato una maxi area utilizzata come discarica abusiva a Cassano d'Adda, nell’hinterland milanese. Il sequestro ha riguardato un capannone di circa 7 mila metri quadri e il terreno che lo circonda: i rifiuti erano in parte sotterrati e in parte abbandonati nel capannone, poco più di uno scheletro di cemento; c'erano molti vecchi elettrodomestici, oltre a sacchi di materiale che andrà analizzato;

   l'indagine, coordinata dal procuratore aggiunto, è nata in seguito ad alcune segnalazioni: per verificarle è stato utilizzato anche un drone che ha mostrato dall'alto le immagini della discarica abusiva;

   risulta indagato l'imprenditore a cui è riconducibile il terreno, dove sono state trovate anche le arnie. Nei prossimi giorni la procura compirà degli accertamenti per verificare se il miele prodotto dall'Apicoltura Grisì, questo il nome della piccola azienda che commercializza il miele, possa avere subito delle contaminazioni. Al momento, quello che hanno potuto constatare Arpa, guardia di finanza e polizia locale è che, nel capannone e nel terreno, sono stati trovati, oltre alle arnie, materiali di scarto e rifiuti pericolosi come fusti di vernici ed elettrodomestici, stoccati senza le necessarie autorizzazioni;

   quello delle discariche abusive e degli incendi dei rifiuti abbandonati sta diventando un problema molto serio e capillare e in questo momento nell'area dell’hinterland milanese, e in diversi comuni della provincia di Milano, sta assumendo giorno dopo giorno i contorni di una vera e propria emergenza ambientale. Basta ricordare: il capannone utilizzato come discarica abusiva di rifiuti sequestrato a Cinisello Balsamo, in provincia di Milano dove al suo interno sono state trovate 60 tonnellate di rifiuti depositati illecitamente o gli incendi avvenuti nelle discariche abusive che affliggono il territorio di Buccinasco e Assago, al confine con Milano. Discariche che provocano fumi maleodoranti e probabilmente dannosi per la salute di chi li respira;

   al riguardo, si evidenzia che a luglio 2018 i carabinieri forestali di Milano e Pavia hanno arrestato nove persone, tutte italiane e incensurate, con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, alla creazione di discariche abusive, alla frode in commercio e al falso nelle pubbliche registrazioni. Avevano, di fatto, creato discariche abusive per eliminare grosse quantità di rifiuti attraverso metodi illegali; inoltre le indagini hanno portato alla luce anche un episodio di estorsione a mano armata e di incendio all'interno di un capannone di stoccaggio dell'immondizia. I militari, coordinati dalla direzione distrettuale antimafia di Milano, hanno inoltre accertato la presenza di nove siti tra impianti e aree destinate al trattamento dei rifiuti e dodici automezzi utilizzati per realizzare gli illeciti. Sono stati sequestrati, infine, anche due milioni e centomila euro sui conti delle società –:

   di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa e se non si intenda, per quanto di competenza, avviare immediatamente, per il tramite del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, un'azione di monitoraggio per verificare se nei suddetti territori insistano eventuali pericoli per la salute dei cittadini e l'ambiente;

   se intenda adottare urgentemente ogni altra iniziativa di competenza, a tutela dell'ambiente e della salute pubblica, fronteggiando i danni ambientali connessi ai fenomeni descritti in premessa.
(5-01130)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ILARIA FONTANA, VIANELLO e TRAVERSI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il decreto ministeriale del 29 novembre 2000 prevede per le società e gli enti gestori di servizi pubblici di trasporto o delle relative infrastrutture l'obbligo di individuare le aree in cui per effetto delle immissioni delle infrastrutture stesse si abbia superamento dei limiti di immissione di rumore previsti;

   lo stesso decreto prevede, altresì, che le società e gli enti gestori debbano determinare il contributo specifico delle infrastrutture al superamento dei limiti suddetti, presentando all'autorità da essa indicata, ai sensi dell'articolo 10, comma 5, della legge 26 ottobre 1995, n. 447, il piano di contenimento e abbattimento del rumore prodotto nell'esercizio delle infrastrutture;

   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con decreto DEC20110000034 dell'11 marzo 2011, ha approvato il piano degli interventi di contenimento e abbattimento del rumore prodotto da infrastrutture di trasporto veicolare di interesse nazionale o di più regioni, redatto da Autostrade per l'Italia s.p.a. ai sensi del decreto ministeriale 29 novembre 2000;

   l'autostrada A1, gestita dalla società Autostrade per l'Italia s.p.a., lungo il suo percorso passa all'interno del comune di Ceprano (Frosinone) con un impatto considerevole in termini di inquinamento acustico, oltre ad aggravare la qualità dell'aria ambiente;

   con protocollo DVADEC-2013-0000116 del 2 maggio 2013, è stata autorizzata l'anticipazione al primo stralcio del piano di interventi citato, consistente in 62 macro-interventi tra i quali uno sull'autostrada A1 in prossimità del comune di Ceprano, tra il chilometro 638+700 e il chilometro 644+700;

   con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 27 dicembre 2016 è stato approvato l'elenco degli interventi aggiornati ricompresi nel secondo e terzo stralcio del piano di abbattimento del rumore autostradale. In quest'ultimo viene reinserito il comune di Ceprano dal chilometro 644+700 al chilometro 654+700;

   il decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 194, ha dato attuazione alla direttiva 2002/49/CE relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale. Secondo le disposizioni del decreto le società e gli enti gestori di servizi pubblici di trasporto o delle relative infrastrutture elaborano e trasmettono all'ente competente la mappatura acustica entro il 30 giugno 2012, nonché predispongono da quella data in poi degli aggiornamenti ogni 5 anni;

   in attuazione della direttiva 2002/49/CE sono stati pubblicati a maggio 2018 i piani di azione della rete di Autostrade per l'Italia s.p.a. ai sensi del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 194;

   nel Piano 2018 per il quinquennio 2018-2022 viene nuovamente indicato un intervento nel comune di Ceprano, codice 154155 e asse A01 IT_a-rd0002001;

   l'applicazione delle barriere acustiche è stata effettuata in alcuni tratti tra quelli in questione soltanto in un senso di marcia, provocando un maggiore impatto sonoro sul versante opposto dell'infrastruttura;

   nello schema di intesa allegato al citato decreto dell'11 marzo 2011, al comma 3, è specificato che «in caso di segnalazioni di situazioni di particolare e comprovata gravità, non considerate dal Piano, tali da comportare un intervento con ordine di priorità che ricadrebbe nello stralcio approvato dalla presente Intesa, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare disporrà l'integrazione immediata del Piano stesso» –:

   quali siano i risultati degli eventuali rilievi fonometrici svolti a seguito dell'attuazione dei piani di cui in premessa;

   se la criticità sopra descritta sia stata affrontata nell'intervento previsto nel recente piano per il quinquennio 2018-2022 di Società Autostrade per l'Italia s.p.a. o se tale problematica verrà risolta in una prossima integrazione del piano.
(4-01874)


   CECCHETTI, LUCCHINI e BONIARDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   tra la fine degli anni ’80 e l'inizio degli anni ’90 la città di Milano si trova in (piena emergenza rifiuti e viene individuata la cava di Cerro Maggiore quale unico sito ove scaricare i rifiuti solidi urbani del capoluogo lombardo. Nasce così la discarica più grande d'Europa. A metà degli anni ’90, dopo le lotte e i presidi dei cittadini, la revisione della gestione del ciclo dei rifiuti e i cambiamenti politici avvenuti nel frattempo, sia locali che regionali, inizia il percorso virtuoso che nel 1999 vede approvare un accordo di programma tra regione Lombardia, comune di Cerro Maggiore, comune di Rescaldina, Asl territorialmente competente, Simec, Calcestruzzi Ceruti e Omnia Res per la chiusura della discarica nel quale sono descritte tutte le fasi attuative del progetto di recupero delle aree, le modalità di apertura del centro commerciale Auchan e la riqualificazione dell'area per un futuro utilizzo;

   non tutte le prescrizioni dell'accordo di programma sono state realizzate, ma nell'ottobre 2009 il collegio di vigilanza per l'accordo di programma dichiara esaurita l'attività dello stesso accordo di programma per mancanza dei fondi ministeriali di cui all'accordo quadro tra regione e Ministero;

   a seguito della decisione dell'ottobre 2009 viene sottoscritta una convenzione privatistica tra comune di Cerro Maggiore e Simec che prevede la conclusione dei lavori di riqualificazione ambientale del terzo lotto come da nuovo progetto approvato. Nel 2011 la convenzione viene sottoscritta e inizia il nuovo iter progettuale che prevede a carico di Simec l'onere di riqualificare l'ultimo lotto ancora aperto, reperendo soltanto terre e rocce di scavo. I costi del recupero sono previsti in convenzione e saranno coperti dal conferimento da parte di terzi del materiale;

   nel novembre 2017 Ecoceresc (società che ha sostituito Simec a seguito di una variazione societaria) presenta alla città metropolitana una richiesta per conoscere il fattore di pressione di Cerro Maggiore e dell'area di buffer per avere i dati che le consentano di presentare un nuovo progetto di riqualificazione ambientale della ex discarica utilizzando per il riempimento rifiuti speciali non pericolosi (R5) al posto delle rocce e terre di scavo previsti in precedenza, più facili da recuperare e sicuramente più remunerativi per l'operatore. Alla domanda la città metropolitana risponde mettendo a conoscenza Ecoceresc dei dati, che risultano essere oltre il limite consentito dall'attuale normativa regionale in materia di nuove concessioni di discariche sia per l'area di Cerro Maggiore, sia per l'intera area di buffer;

   il comune di Cerro Maggiore, a tutela dei cittadini e del territorio, predilige soluzioni per il completamento dell'ambientalizzazione della discarica che prevedono l'utilizzo di terre e rocce da scavo, qualificate come sottoprodotti, piuttosto che l'utilizzo di rifiuti –:

   se il Ministro interrogato intenda promuovere, per quanto di competenza e a tutela della popolazione e dell'ambiente, promuovendo la conclusione di un nuovo accordo di programma tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione, gli enti locali e gli altri soggetti interessati, allo scopo di individuare soluzioni appropriate per il completamento dell'ambientalizzazione della discarica di Cerro Maggiore.
(4-01878)


   ILARIA FONTANA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   La Sep Srl (Società ecologica pontina) è un'azienda che gestisce un impianto di compostaggio situato nel territorio di Pontinia, nell'area industriale di Mazzocchio, zona confinante con i comuni di Priverno e Sonnino, e in prossimità dei territori di Roccasecca dei Volsci, Sabaudia e Terracina;

   l'impianto, sottoposto a valutazione di impatto ambientale nel 2002, tratta in totale circa 50 mila tonnellate di rifiuti organici all'anno, di cui 32.500 tonnellate di umido (fanghi) e 17.500 tonnellate strutturanti di matrice lignocellulosica;

   con determinazione della regione Lazio n. G08407 del 2015 è stata rinnovata l'autorizzazione integrata ambientale (Aia) per questo impianto, avente durata decennale;

   nell'ottobre del 2017 l'impianto è stato posto sotto sequestro da parte della procura di Latina, per poi essere nuovamente posto sotto sequestro nel dicembre 2017;

   i rilievi sollevati da Arpa Lazio sull'impianto, trasmessi alla regione Lazio con nota prot. n. 78853 del 21 ottobre 2016, riguardano la presenza di percolato, produzione di cattivi odori e valori fuori specifica nel compost;

   con istanza del 27 settembre 2018, la società ha presentato una richiesta per l'assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale, per variante sostanziale all'autorizzazione rilasciata nel 2015, chiedendo un aumento pari a 10 mila tonnellate dei quantitativi di trattamento precedentemente autorizzati;

   con circolare prot. n. 4064/2018 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare recante «Linee guida per la gestione operativa degli stoccaggi negli impianti di gestione dei rifiuti e per la prevenzione dei rischi» è stato specificato che «la movimentazione e lo stoccaggio dei rifiuti, siano effettuate in condizioni di sicurezza, evitando per quanto possibile, rumori e molestie olfattive»;

   malgrado i rilievi sollevati da Arpa Lazio e il sequestro dell'impianto da parte della procura di Latina, non risultano procedimenti di sospensione o revoca delle autorizzazioni attuati dalla regione Lazio; ai sensi dell'articolo 29-decies, comma 9, del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni;

   in mancanza di revoca o sospensione dell'Aia si genera un paradosso nel quale per un impianto sottoposto a sequestro possa essere richiesto l'ampliamento –:

   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in relazione a quanto esposto in premessa e se non ritenga di adottare iniziative normative volte a escludere la possibilità di rilascio di autorizzazioni ambientali per l'ampliamento di impianti per il trattamento dei rifiuti in presenze di gravi circostanze come quelle sopra richiamate.
(4-01881)


   TRAVERSI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   nel bacino imbrifero dell'Entella, il secondo più grande della Liguria, nella sua parte terminale, alla sinistra orografica sita nel comune di Lavagna si trova tutt'oggi una piana golenale dove dovrebbe insistere la così chiamata «Diga Perfigli» intervento denominato dal decreto ministeriale DEC/DT/2002/0282 del 4 dicembre 2002 «Interventi di mitigazione del noto di criticità idraulica del tratto terminale del Fiume Entella»;

   con delibera n. 123 del 18 novembre 2013 il commissario della provincia di Genova ha dato via alle procedure di esproprio dei terreni interessati, primo atto di un progetto che dispone di uno stanziamento di 10.100.000 euro per la messa in sicurezza;

   il presupposto della messa in sicurezza si basa sulla costruzione di muraglioni lungo la piana agricola dell'Entella ed attuale zona golenale. Muraglioni che hanno un impatto ambientale devastante, larghezza alla base 12-15 metri, altezza massimo 4,30 metri;

   l'obiettivo dichiarato sarebbe la messa in sicurezza di Lavagna, anche se all'interrogante sembra ridicolo parlare di messa in sicurezza di un'area golonela che, per sua natura, è un'area di sfogo delle piene del fiume;

   attualmente lungo il corso dell'Entella – fiume più corto d'Italia, appena 6 chilometri – esistono difese arginali solo nell'ultimo chilometro, dal ponte della Maddalena alla foce. In sponda sinistra – nel comune di Lavagna – vi è un argine in terra costruito nel 1790-1800, distante tra i 70 e i 110 metri dall'alveo attivo; in sponda destra – nel comune di Chiavari – l'argine in terra costruito nel 1820-1830 a simile distanza dell'alveo attivo, è stato sostituito in tempi più recenti dai rilevati stradali di viale Kasman e viale Marconi, posti pochi metri più vicino all'alveo attivo;

   su tutto il resto del tracciato del fiume, dal ponte della Maddalena in su, non vi sono difese arginali;

   l'opera progettata prevede di realizzare muraglioni in cemento armato alla foce del fiume Entella sull'ultimo chilometro del fiume;

   l'alluvione del 2014 non ha visto danni da esondazione alla foce, ma ha invece visto esondare l'Entella a Monte del ponte della Maddalena e proseguire la sua opera aggirando alle spalle il rilevato stradale di Viale Kasman fino ad allagare Chiavari;

   la stessa protezione civile nella pubblicazione del novembre 2007 «le buone pratiche per gestire e ridurre il rischio idrogeologico» fornisce pareri opposti sugli interventi necessari per la riduzione del rischio idrogeologico rispetto a quanto progettato;

   il Comitato «Giù le mani dall'Entella» nel 2015 ha presentato ricorso al tribunale superiore delle acque pubbliche coinvolgendo oltre 300 cittadini nella firma dello stesso ed è ancora in attesa di risposta;

   il progetto esecutivo è già stato approvato e tre anni fa sono state avviate le procedure d'esproprio dei terreni, con un provvedimento d'occupazione che però, oltre ad essere attualmente impugnato presso il Tribunale superiore delle acque pubbliche, era valido fino al 28 giugno 2018, e non si hanno notizie che sia stato prorogato;

   la regione Liguria ha attualmente trasferito le competenze alla città metropolitana di Genova, ma, come dichiarato dall'assessore all'ambiente Giampedrone nel consiglio regionale del 4 dicembre 2018, il progetto essendo ormai passati anni dalla sua prima approvazione andrà rivisto prima dell'affidamento in gara e la stessa regione Liguria ha stanziato ulteriori 720.000 euro per la sua rivisitazione;

   per la realizzazione della «Diga Perfigli» è previsto un finanziamento statale –:

   se siano a conoscenza della problematica sopra esposta;

   se la cementificazione alla foce dell'Entella prevista dal progetto, senza altri interventi a monte, risulti compatibile con la riduzione del rischio idrogeologico;

   se il Governo, anche alla luce del finanziamento statale, non ritenga di adottare ogni iniziativa di competenza per evitare che si proceda a una revisione del progetto prima di conoscere gli esiti del ricorso presentato dal Comitato «Giù le mani dell'Entella» al Tribunale superiore delle acque pubbliche.
(4-01882)


   MARINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il 9 novembre 2018 Terna Rete Italia spa ha inoltrato agli enti di competenza, compreso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la documentazione integrativa relativa al progetto di realizzazione dei nuovi elettrodotti a 150kV nella zona settentrionale della Sardegna, denominati «Santa Teresa-Tempio» e «Tempio-Buddusò» di cui 80 chilometri in aereo e 5 chilometri in cavo, delle nuove stazioni elettriche a 150Kv di «Tempio» e «Buddusò» e di circa 7 chilometri di raccordi di linea;

   il 19 novembre 2018 Terna ha pubblicato l'avviso pubblico per la comunicazione del deposito della documentazione integrativa — presso i Ministeri ed enti competenti — per la procedura di valutazione di impatto ambientale in cui si precisa che — ai sensi dell'articolo 10, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni — il procedimento di impatto ambientale comprende la valutazione di incidenza di cui all'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, in quanto interferisce direttamente con il Sic e Zps «Monte Limbara» e indirettamente con il Sic e Zps «Monte Russu»;

   la nuova linea elettrica «Tempio-Buddusò» insisterà su gran parte del territorio del comune di Berchidda e dei comuni limitrofi che più volte hanno criticato il mancato coinvolgimento da parte della società Terna spa. Il comune di Berchidda, sul quale grava la realizzazione di 60 tralicci alti 39 metri dislocati su una superficie di 18 chilometri, ha chiesto alla società proponente di prevedere delle modifiche al progetto in modo di limitarne l'impatto nelle aree di elevato pregio naturalistico per evitare di compromettere in modo esiziale e irreversibile il modello di sviluppo basato sulla salvaguardia e la sostenibilità ambientale e sulla valorizzazione economica e puristica dei territori circostanti;

   l'opera, se realizzata secondo il progetto di Terna, rischierebbe infatti di mettere in sofferenza l'intero habitat, ciò sia con riferimento all'esistenza di specie faunistiche endemiche in via d'estinzione, quali l'aquila reale e l'aquila del Bonelli, sia con riferimento ai vigneti dedicati alla coltivazione del Vermentino di Gallura Docg che verrebbero interessati quasi totalmente dall'opera in oggetto con l'apposizione dei tralicci direttamente all'interno delle vigne;

   il 23 marzo 2018 la giunta comunale di Berchidda ha espresso parere sfavorevole alle proposte alternative presentate da Terna sul tracciato dell'infrastruttura e apparse assai poco convincenti sia all'amministrazione locale che al Comitato popolare «No at Berchidda» sorto diversi anni fa e promotore di una petizione popolare che ha raccolto 800 sottoscrizioni;

   le proposte alternative presentate da Terna non individuerebbero percorsi realmente diversi rispetto a quelli originari e soprattutto non farebbero riferimento ai vigneti che invece sono attraversati dall'elettrodotto per circa i 2/3 dell'intero patrimonio viticolo berchiddese, il cui territorio costituisce una delle capitali del Vermentino di Gallura;

   l'elettrodotto attraversa aree naturali e semi-naturali a valenza ambientale e ad alta sensibilità che rientrano interamente nelle prescrizioni dell'articolo 23, comma 1, lettera a), e articolo 26, comma 4, del Ppr (Piano paesaggistico regionale) che vietano interventi — anche infrastrutturali energetici — che pregiudicano la funzionalità eco-sistemica o la fruibilità paesaggistica di aree di pregio naturalistico –:

   se il Governo intenda, nell'ambito delle proprie competenze adottare iniziative per favorire una variante del progetto che preveda una modifica al corridoio che ricade nel comune di Berchidda, al fine di salvaguardare le aree di pregio naturalistico e i vigneti che producono l'unica Docg in Sardegna o — in alternativa — l'interramento della linea elettrica;

   se il Governo non ritenga di adottare ogni iniziativa di competenza affinché un'opera di tale importanza sia concertata anche con le comunità locali per garantire il rispetto dei principi assoluti di conservazione del patrimonio naturalistico ed economico esistente.
(4-01883)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MOLLICONE. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   il decreto «valore cultura» o «legge Bray» (decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112) nasce per risanare le fondazioni liriche in gravi difficoltà economiche e rilanciare l'attività di tali fondazioni. Per accedere a tale fondo, gli ex enti lirici in crisi hanno dovuta presentare entro il 9 gennaio 2014 un piano di risanamento che interviene su tutte le voci di bilancio in grado di riportare in tre anni la fondazione in condizioni di attivo patrimoniale e di equilibrio del conto economico;

   le fondazioni lirico-sinfoniche avrebbero dovuto raggiungere il pareggio economico e l'equilibrio patrimoniale e finanziario entro l'esercizio finanziario 2019, pena la sospensione dell'erogazione dei contributi a loro favore;

   nel 2018 il Fus, fondo unico dello spettacolo, ha finanziato codeste fondazioni con 178.854.000 euro, ripartiti in base alla loro programmazione;

   l'Opera di Roma, a fronte di uno stato debitorio di circa 51 milioni di euro, ha usufruito di un contributo del Fus di quasi 18 milioni di euro, ma i debiti tributari sono rimasti invariati e nonostante il contributo extra FUS di 2 milioni erogato esclusivamente per pagare i debiti tributari quest'ultimi non diminuiscono affatto, come si legge nel consuntivo del 2017, passando da 12,1 milioni del consuntivo del 2016 a 12,4 milioni del 2017;

   è manifesta l'allarmante situazione debitoria della Fondazione Teatro dell'Opera di Roma aumentata con l'attuale gestione come evidenziato dal commissario straordinario nelle sue relazioni;

   inoltre, risulta tardiva l'approvazione dell'estensione del piano di risanamento, arrivata a due mesi dalla scadenza del triennio 2016-2018;

   nella prima relazione semestrale 2018 del commissario straordinario del Governo per le fondazioni lirico-sinfoniche si legge che: «Purtroppo sul fronte patrimoniale la situazione permane critica, dove vengono mostrati solo deboli segnali di miglioramento, non ancora sufficienti a considerare pienamente innescata la dinamica del risanamento»;

   il patrimonio netto di cui dispone la Fondazione ammonta a 5,9 milioni di euro circa, diminuito di quasi 13 milioni a fine 2013 a causa di opinabili decisioni politiche e gestionali assunte;

   un valore stazionario rispetto al 2016 e che si conferma di rilevante criticità nella valutazione della situazione della fondazione, in quanto del tutto incongruente e inadeguato rispetto allo stock debitorio accumulato;

   oggi le fondazioni lirico-sinfoniche sono 14 e il loro debito è di circa 400 milioni di euro;

   secondo la suddetta relazione, tra le più indebitate spiccano il Teatro dell'Opera di Roma con 51.184.878 milioni di euro di debiti e il Teatro Maggio Musicale Fiorentino con 62.301.67 milioni di debiti –:

   se sia a conoscenza dell'effettivo stato debitorio della fondazione Teatro dell'Opera di Roma e quale sia il motivo per cui non vengono assunte le iniziative di competenza volte alla rimozione dei sovrintendenti di tale fondazione dai loro incarichi, considerando il fatto che non hanno rispettato, a giudizio dell'interrogante, i termini di corretta gestione imposti dalla citata legge.
(5-01122)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RACHELE SILVESTRI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   la necropoli longobarda di Castel Trosino, frazione di Ascoli Piceno, è venuta alla luce nell'aprile del 1893;

   si tratta di un complesso archeologico di notevole importanza storica e artistica: il sito è, infatti, la prima necropoli longobarda scoperta nel centro Italia ed è costituito da circa trecento ricche tombe;

   i reperti rinvenuti nel sito furono immediatamente portati a Roma per essere messi a disposizione di esperti e studiosi, con l'impegno dell'allora Ministro e Sottosegretario di Stato competente, come si rileva da notizie di stampa locale dell'epoca, che parte considerevole di essi sarebbe stata restituita al luogo di origine;

   tale impegno venne altresì ufficializzato dal Ministro competente nella risposta a una interrogazione del senatore Mariotti del Collegio di Pesaro, risalente al 1893, di protesta per il trasferimento dei reperti rinvenuti nella necropoli di Castel Trosino;

   nel 1967, i corredi di Castel Trosino entrarono a far parte della collezione del neocostituito Museo nazionale dell'Alto Medioevo (Mame);

   la collocazione dei reperti di Castel Trosino in una cornice museale lontana dal sito di origine degli stessi è considerata da sempre, anche dai non ascolani, quanto meno non appropriata, anche in considerazione del fatto che come risulta da numerosi testi storici, i longobardi, arrivati come «invasori» ad Ascoli, si integrarono perfettamente con la popolazione locale;

   nei decenni passati numerose sono state le richieste dei sindaci e dei consiglieri comunali ascolani, unite alle proteste di sindacati, associazioni e semplici cittadini, per far sì che tali reperti tornassero ad Ascoli Piceno e al suo territorio. Tra le tante richieste, si ricorda una petizione, risalente al 1995, da parte del presidente dell'azienda di promozione turistica di Ascoli, consegnata al Ministro competente e un'altra petizione popolare, con annessa raccolta firme, risalente all'anno 2012, che in pochi giorni raccolse migliaia di adesioni;

   nei suddetti reperti è scritta la cultura picena e ne sono incise le testimonianze della storia. Quel tesoro appartiene al luogo d'origine e può contribuire a divenire volano di uno sviluppo socio-economico di un territorio fortemente colpito dagli eventi sismici e che sta vivendo, oltre ad una crisi economica, anche un significativo spopolamento, soprattutto nelle frazioni e nei comuni collinari e montani. Non possono non essere riconsegnati al suo territorio una simile ricchezza culturale e una possibilità così significativa per il rilancio dell'economia e del turismo;

   la frazione di Castel Trosino, la città di Ascoli Piceno e buona parte dei comuni di cui Ascoli è capoluogo di provincia, ad oggi, risultano inseriti all'interno degli allegati 1, 2 e 2-bis del decreto-legge n. 189 del 2016, ovvero tra i comuni colpiti dagli eventi sismici che hanno interessato il Centro Italia a partire dal 24 agosto 2016;

   i reperti potrebbero essere allocati in un edificio storico di proprietà comunale con le spese di gestione e servizi ad esso addebitate, mentre lo Stato, potrebbe, anche in sinergia con la regione, provvedere a coprire almeno i costi di allestimento del museo –:

   quali siano le ragioni che giustifichino la permanenza dei suddetti reperti nel Museo nazionale dell'Alto Medioevo di Roma e se sia possibile restituirli, in una parte considerevole, al comune di Ascoli Piceno, considerando per la loro allocazione l'ipotesi sopra descritta, anche con riguardo al fatto che il comune e il territorio di cui è capoluogo di provincia risultano inseriti, per più della metà del territorio provinciale, negli allegati 1, 2 e 2-bis del decreto-legge n. 189 del 2016, ovvero tra i comuni colpiti dagli eventi sismici che hanno interessato il Centro Italia a partire dal 24 agosto 2016.
(4-01879)


   BIGNAMI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. – Per sapere – premesso che:

   di recente il Ministro interrogato ha conferito alla Signora Carla Di Francesco l'incarico di direzione presso la fondazione scuola dei beni e delle attività culturali, la Di Francesco risulterebbe essere in pensione e presidente della Fondazione Arturo Toscanini era già nota per vicende ad avviso dell'interrogante non del tutto trasparenti;

   da fonti stampa del 2014 emerge, infatti, che Carla di Francesco, era a capo della direzione regionale dei beni culturali dell'Emilia-Romagna, quando la Commissione progetti dei beni culturali diede l'autorizzazione per 18 incarichi, relativi al restauro di immobili di pregio danneggiati dal terremoto del 2012, assunti dallo studio ferrarese del compagno della Di Francesco, Giuliano Mezzadri, ingegnere;

   la procura di Bologna all'epoca iscrisse la Di Francesco nel registro degli indagati con l'accusa di abuso d'ufficio. Per l'inchiesta si precisa che il Pm ha chiesto l'archiviazione;

   nel curriculum della stessa, tra l'altro, si fa riferimento alla sola frequenza della scuola di specializzazione;

   per quanto attiene invece l'attuale attività di direttore della Fondazione scuola dei beni e delle attività culturali si rileva che tra gli incarichi di docenza conferiti risultano quelli di: Roberto Balzani, presidente IBC Emilia-Romagna, Maria Grazia Bellisario, direttore servizio V – architettura e arte contemporanea del Mibac; risulta inoltre che alcune lezioni sono tenute da: Caterina Bon Valsassina ex direttore generale direzione Arch. belle arti e paesaggio in quiescenza dal novembre 2018, Luisa Montevecchi, direttore ufficio I del segretariato generale del Mibac, Cristina Ambrosini Soprintendente presso la Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena Reggio Emilia e Ferrara, Tiziana Coccoluto, capo di gabinetto del Ministro interrogato (e in precedenza del Ministro Franceschini);

   per quanto attiene ai selezionati a frequentare tale scuola, giunge all'interrogante segnalazione relativa al fatto che non è stata pubblicata la graduatoria di merito –:

   quali siano stati i criteri per l'individuazione della Sig.ra Carla Di Francesco quale direttore presso la Fondazione scuola dei beni e delle attività culturali e se il Ministro abbia svolto valutazioni anche in relazione ai fatti esposti in premessa;

   se abbia avviato, o intenda avviare, le verifiche di competenza per accertare la compatibilità con la normativa vigente degli incarichi ricoperti dalla signora Di Francesco in relazione alla circostanza del suo collocamento in quiescenza, anche attraverso una verifica dei rimborsi o compensi percepiti;

   se intenda verificare, per quanto di competenza, la compatibilità degli incarichi di docenza conferiti con gli incarichi già ricoperti dai docenti evidenziati in premessa, anche con riferimento ai compensi o ai rimborsi percepiti;

   per quanto attiene alle selezioni della scuola di cui in premessa, se di fatto la graduatoria risulti non pubblicata; in caso affermativo, per quale motivo e come si intenda ovviare a tale criticità.
(4-01895)


   SGARBI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   da varie fonti di stampa, a partire dal 24 novembre 2018, risulta che l'Accademia dei Concordi di Rovigo abbia mandato al macero circa 27 quintali di libri (addirittura, secondo ulteriori fonti, si tratterebbe di 64 quintali distribuiti su sette camion);

   va tenuto conto della quantità di libri avviati alla distruzione e delle reazioni indignate della comunità locale per una perdita che contrasta con una realtà che vuole crescere culturalmente, per cui è legittimo chiedersi se l'Amministrazione comunale di Rovigo, comproprietaria del fondo librario conservato presso l'Accademia, abbia dato l'assenso all'operazione o comunque sia stata in qualche misura coinvolta;

   è emerso, cosa che suscita ancor maggiore inquietudine, che il materiale mandato al macero e non inventariato proveniva, in parte, dalla recente donazione alla città dello scrittore e critico di fama nazionale Gian Antonio Cibotto, morto nell'agosto del 2017, la cui produzione letteraria, composta da manoscritti e libri, sarebbe dunque stata trattata come si tratterebbero dei rifiuti. Questa azione è vissuta dalla comunità come uno sfregio alla prestigiosa figura di Cibotto, ultimo grande esponente della cultura rodigina;

   risulta poi che negli stessi giorni la biblioteca e le carte del noto scrittore Mario Soldati, sia pure in quantità molto più limitata, siano state messe all'asta con una stima di 180/200 mila euro;

   appare all'interrogante molto singolare che, a parte possibili condizioni o vincoli testamentari che sarebbe utile conoscere, data la particolare inopportunità della decisione non si sia trovata una soluzione che evitasse la distruzione del materiale in questione, donandolo ad altre biblioteche –:

   di quali elementi disponga il Governo in ordine alla procedura seguita e ai soggetti effettivamente coinvolti nella decisione di destinare al macero un così copioso materiale di interesse culturale, con danni ad avviso dell'interrogante incalcolabili, nonché in ordine ai costi dell'operazione di smaltimento, al soggetto su cui grava l'onere ed alla ditta che l'ha effettuata –:

   se non intenda chiarire se non sussistano forme di verifica o di controllo facenti capo al Ministero rispetto a situazioni analoghe a quelle di cui in premessa e se non intenda comunque assumere iniziative, per quanto di competenza, volte ad evitare che tali situazioni abbiano a ripetersi.
(4-01896)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   MARTINO, SPENA, NEVI, GIACOMONI, ANGELUCCI, BENIGNI, BIGNAMI, BARATTO e CATTANEO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   per giudizio unanime delle principali organizzazioni agricole nazionali la fattura elettronica che dal 1o gennaio 2019 sarà obbligatoria anche per i produttori agricoli con volume d'affari sopra i 7000 euro l'anno, rischia di trasformarsi nell'ennesimo costo a carico degli imprenditori del settore;

   le stesse organizzazioni osservano che molte delle imprese agricole «operano in zone non raggiunte da adeguata copertura delle reti internet» e che «l'età media degli agricoltori supera i 50 anni e questo non agevola l'utilizzo di una tecnologia informatica per prassi così comuni come emettere e ricevere una fattura. È molto probabile, quindi, che soprattutto le imprese più piccole o quelle meno strutturate si dovranno rivolgere ad intermediari per la gestione della fatturazione, facendo aumentare di molto gli oneri a loro carico»;

   evitare di pagare le tasse nel settore agricolo è molto difficile, perché dall'acquisto dei mezzi tecnici e agrofarmaci al conferimento di prodotti, tutto è rigorosamente tracciato;

   peraltro, non sono del tutto esclusi neppure i piccoli produttori agricoli in regime speciale, perché se è vero che sono esonerati dall'emissione della fattura, devono comunque attrezzarsi per poter ricevere quelle passive;

   la gestione della fatturazione elettronica non sarà basata solo sulla mera digitalizzazione del documento ma su un processo ben più complesso che prevede un sistema di emissione, trasmissione e conservazione. In caso di mancata emissione, la fattura risulterà omessa e, quindi, soggetta a una sanzione, che corrisponde al 90-180 per cento dell'Iva prevista;

   in media, ad un imprenditore agricolo occorrono otto giorni al mese per riempire i documenti richiesti dalla pubblica amministrazione centrale e locale. In pratica, cento giorni l'anno. Un compito che può assolvere da solo nel 3 per cento dei casi; quindi, per il 65 per cento dei casi è costretto ad assumere una persona che svolga questa attività e per il restante 32 per cento si rivolge a un professionista esterno, con costi facilmente immaginabili;

   il 13 dicembre 2018 in sede di esame del decreto-legge fiscale, n. 119 del 2018, il Governo ha accolto l'ordine del giorno n. /9/1408/19 che lo impegnava «a valutare la possibilità di adottate misure volte a ridurre l'impatto della fatturazione elettronica sugli imprenditori agricoli, in particolare per quel che riguarda la riduzione dei costi e dei tempi per ottemperare agli adempimenti previsti, eventualmente prevedendo un adeguato periodo transitorio» –:

   quali iniziative intenda adottare in attuazione del citato ordine del giorno n. 9/1408/19
(5-01132)


   TRANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 3 del decreto-legge n. 19 del 2018 contiene disposizioni finalizzate a definire con modalità agevolate i debiti risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2017, consentendone l'estinzione, senza corrispondere le sanzioni comprese in tali carichi, gli interessi di mora di cui all'articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, ovvero le sanzioni e le somme aggiuntive di cui all'articolo 27, comma 1, del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, e versando integralmente le sole somme dovute a titolo di capitale e interessi e quelle maturate a favore dell'agente della riscossione, ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, a titolo di aggio sulle somme di cui alla lettera a) e di rimborso delle spese per le procedure esecutive e di notifica della cartella di pagamento;

   sussistono dubbi ed incertezze circa l'applicabilità di detta disposizione agevolativa anche agli agenti della riscossione, diversi dalla Agenzia delle entrate – riscossione, quali ad esempio, i soggetti abilitati alla gestione delle attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni di cui al decreto del Ministero delle finanze 11 settembre 2000, n. 289; inoltre, l'articolo 3 del decreto-legge 119 non specifica con quali modalità agenti della riscossione, diversi dalla Agenzia delle entrate – riscossione possono aderire a tali disposizioni –:

   se reputi opportuno chiarire se le disposizioni di cui all'articolo 3 del decreto-legge n. 119 del 2018 si applichi a tutti gli agenti della riscossione, ivi compresi quelli abilitati alla gestione delle attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni.
(5-01133)


   CAVANDOLI, CENTEMERO, COVOLO, FERRARI, GERARDI, GUSMEROLI, ALESSANDRO PAGANO, PATERNOSTER e TARANTINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:

   gli associati di alcune categorie di rivenditori di caravan e camper sono sempre più spesso afflitti da problematiche riguardanti l'immatricolazione con il metodo «STA cooperante», nonché l'immatricolazione di veicoli nuovi e usati, oggetto di acquisto intracomunitario;

   i suddetti concessionari sono importatori ufficiali di case costruttrici esteri di camper o caravan, nonché costruttori dotati di regolare documento di immatricolazione denominato Coc ma non di codice di antifalsificazione, per tale motivo i concessionari sono obbligati alla procedura di immatricolazione tramite modello F24, per gli obblighi IVA ovvero, appunto, «STA cooperante»;

   tuttavia la procedura in questione ostacola enormemente la regolare messa in circolazione dei veicoli nonché l'uscita delle targhe, in quanto le procedure spesso arrivano a tempi che oscillano tra i 20/40 giorni a seconda degli uffici della motorizzazione civile di presentazione;

   chiaramente la problematica relativa alle tempistiche dell'Agenzia delle entrate lede gravemente i rapporti di fiducia tra clientela e concessionaria, rischiando spesso di creare cause legali, soprattutto in prossimità di festività o date di vacanza e non ultimo crea differenze ingiustificate e discriminanti con le procedure di immatricolazione italiane;

   tutto ciò può essere regolarmente dimostrato controllando i tempi di trasferimento, da parte dell'Agenzia delle entrate, dei modelli F24 alla motorizzazione e alla conseguente uscita delle targhe nei vari Umc regionali –:

   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato affinché l'Agenzia delle entrate accorci i lunghi tempi di trasferimento dei modelli F24 alla motorizzazione, ovvero se si intenda modificare la procedura richiamata in premessa.
(5-01134)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TOCCAFONDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   in data 12 dicembre 2018 nel corso di una conferenza stampa in regione Toscana, il capogruppo del M5S in consiglio regionale della Toscana Giacomo Giannarelli, si è lamentato dell'inadempienza del decreto del 2003 che prescriveva interventi di messa in sicurezza della pista dell'aeroporto di Peretola-Firenze, ponendo quindi dubbi sulla sicurezza dell'attuale struttura aeroportuale;

   nella stessa occasione veniva pesantemente criticato il progetto della nuova pista aeroportuale di Firenze ipotizzando per lo sviluppo aeroportuale casomai la proposta di allungare l'attuale pista di 1.750 metri portandola ai 2.400 metri ovvero la lunghezza prevista per la nuova pista, prevedendo l'interramento autostradale e vari espropri e demolizioni di capannoni industriali, abitazioni, fabbricati che insistono nell'area oggetto della cosiddetta «espansione» dell'attuale pista. Sempre nell'occasione il capogruppo ha ipotizzato un collegamento ferroviario veloce tra Firenze e l'aeroporto di Pisa. Questo progetto però sarebbe da fare o con una nuova linea ferroviaria o con il raddoppio dell'attuale linea con costi molto alti. Infine, è stata ipotizzata la centralità ulteriore dell'aeroporto di Pisa attraverso la costruzione della terza pista che nelle ipotesi potrebbe insistere in un'area facente parte del parco di San Rossore;

   l'ipotesi di abbandonare il progetto di realizzazione di una nuova pista per l'aeroporto di Firenze, su cui si sono già espressi due Ministeri, è stato terminato un percorso di conformità urbanistica e di valutazione di impatto ambientale, si è riunita più volte una conferenza di servizi e che era contenuta nel piano nazionale degli aeroporti nazionali, significherebbe ripartire da zero con tempi molto lunghi e perdita di finanziamenti e presumibilmente e anche degli investimenti privati;

   il sindaco di Firenze ha commentato che «se l'aeroporto dovesse essere tecnicamente non sicuro dovrebbe essere chiuso dalle autorità governative» –:

   se il Governo intenda adottare iniziative per chiarire se l'aeroporto di Firenze sia sicuro;

   se sia intenzione del Governo rimettere in discussione, per quanto di competenza, il piano nazionale aeroporti, il masterplan aeroportuale, la conformità urbanistica, la valutazione di impatto ambientale e la conferenza di servizi relativi alla nuova pista di volo dell'aeroporto di Firenze «Amerigo Vespucci».
(5-01126)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GEMMATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per il sud. — Per sapere – premesso che:

   Enav s.p.a. ha presentato il 12 marzo 2018 il proprio piano industriale in cui prevede, tra l'altro, il «consolidamento a regime dei 4 Centri di controllo sulle due sedi di Roma e Milano» trasferendo i servizi di controllo d'area ora gestiti nel centro di controllo d'area di Brindisi — Area Control Center a Roma, e destinandolo a un uso differente ovvero ad «Hub torri remote» caratterizzato da funzioni e specializzazioni che pare siano inferiori rispetto alla attuale configurazione;

   in particolare, l'attuale assetto del centro di controllo di Brindisi gestisce tutto il traffico aereo da e per gli aeroporti oltre all'intero spazio aereo del sud est del Paese, mentre il futuro hub di torri remote sarebbe destinato alla gestione del solo traffico nei singoli aeroporti;

   secondo quanto si evince da fonti di stampa, sembrerebbe che circa 100 unità del personale impiegato nell'attuale centro di controllo di Brindisi siano destinate al trasferimento presso le due sedi di Roma e Milano;

   il ridimensionamento delle funzioni e delle specializzazioni del centro di controllo di Brindisi e il relativo trasferimento del personale priverebbero la regione Puglia di una struttura di eccellenza in termini di servizi e supporto alla navigazione aerea e sarebbero causa di riduzione dei livelli occupazionali in un'area già fortemente penalizzata nel settore del lavoro;

   ai sensi del decreto ministeriale 22 maggio 1982, presso l’Area Control Center di Brindisi sono impiegate 80 unità di personale afferenti al servizio di coordinamento e controllo dell'Aeronautica militare italiana che si occupano di gestione di processi relativi all’air security e alla gestione di voli operativi militari e di coordinamento con gli enti della difesa e che potrebbero anch'esse subire un trasferimento;

   appare evidente il forte disagio che potrebbero subire le famiglie di tutte le unità di personale coinvolto nel probabile trasferimento e sembra altrettanto evidente l'impatto socio-economico negativo per il tessuto sociale e per il territorio pugliese –:

   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e se il Governo non ritenga opportuno valutare l'opportunità di intraprendere iniziative, per quanto di competenza, volte a garantire i livelli occupazionali, soprattutto in una regione già penalizzata nel settore del lavoro come la Puglia, a tutelare i lavoratori coinvolti nel probabile trasferimento e le loro esigenze familiari nonché a mantenere operativa una struttura di eccellenza nella regione Puglia come il centro di controllo d'area di Brindisi — Area Control Center.
(4-01872)


   BIGNAMI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la recente riorganizzazione degli orari da parte di Trenitalia sta creando malumori e malcontento tra i pendolari;

   in particolare, giungono all'interrogante diverse segnalazioni relative alle seguenti criticità:

    a) nella tratta Rimini-Viserba-Cesenatico Trenitalia avrebbe soppresso il treno delle 14:26 sostituendolo con quello delle 13:49. Si stanno pertanto verificando disagi per gli studenti che escono da scuola alle 13:55 e che devono dunque attendere oltre un'ora per tornare a casa. Diverse famiglie avevano sottoscritto un abbonamento per i loro ragazzi confidando proprio nella presenza del treno alle 14:26;

    b) nel ravennate, per esempio, i pendolari si sono ritrovati a dover fare i conti con la cancellazione di alcune fermate nelle stazioni minori, come nel caso della piccola stazione di Godo, frazione del comune di Russi, dove è stata organizzata anche una manifestazione da parte dei residenti e dei pendolari;

   tale riorganizzazione è frutto di un accordo, tra regione Emilia-Romagna e Trenitalia, di potenziamento della tratta Bologna-Ravenna. L'intento, certamente positivo, si è scontrato però con una riorganizzazione che vede tagliate fuori numerose piccole stazioni, centri nevralgici per le piccole comunità che meritano di essere valorizzate e promosse, anche sul fronte del trasporto pubblico;

   la scelta di tagliare, quasi linearmente, tali fermate appare riduttiva, semplicistica e non tiene in considerazione le esigenze delle migliaia di pendolari che viaggiano e partono dalle piccole stazioni –:

   quali iniziative si intendano assumere, per quanto di competenza, per superare le criticità di cui in premessa e rivedere completamente la riorganizzazione di Trenitalia che non deve penalizzare le piccole stazioni e le piccole comunità;

   se, per coloro che hanno sottoscritto un abbonamento, risulti al Governo che sia previsto il rimborso dello stesso, essendo venuto a mancare il servizio relativo al treno delle 14:26 come descritto in premessa.
(4-01876)


   LOVECCHIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:

   il progetto di allungamento della pista dell'aeroporto Gino Lisa di Foggia è un'opera di interesse nazionale che mira ad aumentare la capacità aeroportuale sia in termini di trasporto passeggeri che di trasporto merci, consentendo lo sviluppo e la crescita di un territorio fortemente deprivato di infrastrutture;

   nel luglio 2011, con delibera del Cipe sono stati sbloccati 14 milioni di euro (fondi Fas per una serie di opere infrastrutturali nel Mezzogiorno di Italia) per l'allungamento della pista dell'aeroporto. Tali fondi hanno l'obiettivo di favorire una crescita sostenibile e intelligente in grado di ridurre le disparità regionali per far sì che vi sia uno sviluppo armonioso dell'Unione e delle sue regioni. Il parere favorevole dell'Unione europea ha permesso l'avvio del bando di gara per l'inizio dei lavori. Da quel momento vi è stato un susseguirsi di ritardi e controversie;

   il 24 gennaio 2018 il provveditorato per le opere pubbliche di Campania, Molise, Puglia e Basilicata ha emanato un decreto che prevedeva l'archiviazione dell'allungamento della pista. Le motivazioni che hanno portato a tale posizione hanno sollevato diverse criticità paradossali, prendendo in considerazione anche contenziosi pregressi dichiarati già inammissibili dalla conferenza di servizi;

   il comune di Foggia e il Comitato Vola Gino Lisa hanno presentato ricorso al Tar Puglia contro l'archiviazione sulla compatibilità urbanistica del progetto di allungamento della pista per chiedere la revoca della procedura di archiviazione e l'immediata approvazione del provvedimento di compatibilità urbanistica;

   il 6 agosto 2018 Enrico Follieri & Associati ha ottenuto l'annullamento dell'archiviazione del procedimento di approvazione del progetto di allungamento della pista dell'aeroporto civile Gino Lisa. Il Tar ha accertato che al momento dell'illegittima sospensione non sussistevano ragioni ostative alla sua conclusione;

   la legge regionale 10 agosto 2018, n. 44, Assestamento e variazione al bilancio di previsione per l'esercizio finanziario 2018 e pluriennale 2018-2020, all'articolo 9, comma 2, lettera b), prevede che «La Regione assicura il finanziamento delle spese di investimento e di funzionamento dell'aeroporto G. Lisa di Foggia per l'intera durata della convenzione stipulata per la gestione del servizio di interesse economico generale, anche riferito alle esigenze di mobilità del territorio foggiano caratterizzato dall'esistenza di aree interne con forti problemi di accessibilità. Concorrono al finanziamento delle spese di investimento le risorse comunitarie, statali o regionali all'uopo destinate. Per il finanziamento delle spese di funzionamento nel bilancio regionale autonomo, nell'ambito della missione 11, programma 1, titolo 1, è assegnata una dotazione finanziaria, in termini di competenza, di euro 2 milioni e 500 mila per l'esercizio finanziario 2019 e di euro 5 milioni per l'esercizio finanziario 2020. Per gli esercizi finanziari successivi si provvederà con le rispettive leggi di bilancio. Al rimborso delle spese di funzionamento si provvede previa rendicontazione dell'ente gestore redatta ai sensi della direttiva Cipe 15 giugno 2007, n. 38, e successive modificazioni e integrazioni, e relativa contabilità regolatoria certificata da società di revisione contabile»;

   a seguito della sentenza del Tar sono stati avviati gli espropri dei suoli per 11 ettari sul lato nord dell'aeroporto. A settembre 2018 sembrava dunque essere iniziata la fase pre operativa per l'inizio dei lavori. Ad oggi però, i lavori sembrano essere nuovamente fermi –:

   se siano a conoscenza dei fatti sopraesposti e quali iniziative intendano adottare, per quanto di competenza, al fine di sbloccare quella che l'interrogante giudica l'inerzia attuale e permettere la risoluzione dei problemi di mobilità dell'intero territorio foggiano.
(4-01891)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:

   a seguito della entrata in vigore delle disposizioni di cui al decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132, meglio conosciuto come «decreto sicurezza» si stanno verificando situazioni di estrema criticità sul territorio nazionale per la gestione dei migranti ospiti dei Cara con il permesso di soggiorno umanitario in scadenza;

   l'abolizione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, prevista dal citato provvedimento legislativo, in considerazione della rilevanza che tale permesso rivestiva come forma di protezione molto diffusa, della durata di due anni, rischia di determinare un corto circuito molto pericoloso e di alimentare tensioni tra persone disperate, prive dei più elementari mezzi di sussistenza, spesso in territori altrettanto depressi sia socialmente che economicamente;

   questa abolizione impedisce a queste persone, a giudizio degli interpellanti in violazione del principio giuridico che garantisce il riconoscimento di diritti acquisiti, di accedere al circuito di seconda accoglienza, il cosiddetto Sprar, perché in possesso di un permesso, quello «umanitario», che alla scadenza non avrà più valore, salvo alcune eccezioni ancora tutte da declinare e interpretare;

   questa incertezza sta accentuando le difficoltà sulla gestione e sul coordinamento delle politiche di accoglienza e presa in carico di situazioni molto critiche che riguardano casi drammatici di migranti con disabilità con problemi particolari e che non possono essere trattati in maniera burocratica;

   situazioni di tensione si sono già registrate a Crotone, a Catania, nel tarantino e si moltiplicano le segnalazioni di persone che, in conseguenza delle nuove disposizioni, non avranno più il diritto di soggiornare presso i centri di accoglienza per i richiedenti asilo, venendo così privati di qualsiasi prospettiva e costretti a vivere per strada, incrementando notevolmente le problematiche già esistenti a carico delle istituzioni locali;

   con la progressiva scadenza dei permessi per protezione umanitaria, tali situazioni potrebbero diventare ingestibili e la conversione in permesso di soggiorno per motivi di lavoro sarà resa complessa soprattutto dalla previsione della necessità di munirsi di passaporto del Paese di origine, in quanto è notoria la complessità delle procedure burocratiche per il suo ottenimento, soprattutto in Paesi come Gambia, Mali, Senegal, che rendono pressoché impossibile conseguire questo imprescindibile documento, con la conseguenza di vedere aumentare in maniera esponenziale il numero degli irregolari –:

   se il Governo sia a conoscenza di questi effetti immediati della normativa di cui al decreto-legge appena convertito e quali iniziative intenda assumere al fine di trovare una soluzione che rispetti il principio della concessione del permesso umanitario per garantire comunque l'accesso ai piani di seconda accoglienza e tutelare la positiva esperienza degli Sprar con la presa in carico delle situazioni più drammatiche, come quelle che riguardano donne e bambini ed altre situazioni particolari, nonché per supportare l'azione degli enti locali nella gestione di queste criticità dovute all'introduzione delle richiamate norme previste dal decreto-legge n. 113 del 2018 convertito dalla legge n. 132 del 2018.
(2-00208) «Bruno Bossio, Berlinghieri, De Micheli, Giorgis, Fregolent, Del Basso De Caro, Migliore, Pollastrini, Madia, Mancini, Pini, Orfini, Schirò, Miceli, Annibali, Stumpo, De Luca, Noja, D'Alessandro, Boccia, Melilli, Bazoli, Braga, Viscomi, Lacarra, La Marca, Mauri, Topo, Nardi, Marattin, Quartapelle Procopio».

Interrogazione a risposta orale:


   MARCO DI MAIO, CARNEVALI e MORANI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   in relazione alle misure contenute nel decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132, in particolare per quello che concerne la circolazione in Italia di veicoli stranieri immatricolati in un Paese dell'unione europea, dello spazio economico europeo, ovvero extra Unione europea, la Segreteria di Stato per gli affari esteri della Repubblica di San Marino ha evidenziato una serie di criticità circa le possibili ripercussioni nell'applicazione sul proprio territorio;

   la normativa introdotta dal citato decreto-legge prevede che se l'auto è guidata da persona residente in Italia da più di 60 giorni, non può circolare e deve essere immediatamente reimmatricolata oppure condotta fuori del territorio dello Stato con procedure particolari;

   in base a quanto richiamato in precedenza i veicoli con targa della Repubblica di San Marino guidati da persona residente in Italia debbono essere reimmatricolati con targa italiana;

   si ha notizia che già da diversi giorni sul territorio comunale di Rimini sono scattate diverse multe aventi per oggetto proprio tale fattispecie;

   la specificità della Repubblica di San Marino è che non essendo membro dell'Unione europea, né dello spazio economico europeo, tale Paese non rientra allo stato attuale nelle previste deroghe;

   numerosi veicoli, per ovvie ragioni, considerata la geolocalizzazione della Repubblica di San Marino, transitano quotidianamente e sistematicamente in territorio italiano e questo costituisce una evidente criticità non affrontata dalla normativa introdotta mediante decretazione d'urgenza –:

   quali iniziative il Governo intenda assumere per affrontare, d'intesa con la Repubblica di San Marino, l'evidente vulnus giuridico determinato dalla nuova disciplina sulla circolazione dei veicoli con targa straniera sul territorio nazionale e tenere nella dovuta considerazione la specificità della medesima Repubblica di San Marino e dei cittadini residenti onde evitare disagi e complicazioni burocratiche.
(3-00392)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARCO DI MAIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   come testimoniato anche dalle cronache di stampa, nelle ultime settimane il territorio romagnolo di Cesenatico e della Valle del Rubicone è interessato da una serie di rapine e furti che stanno allarmando l'opinione pubblica;

   ci sono stati casi di aggressioni violente in orari serali che hanno scosso le comunità di cui in premessa;

   i sindaci dei comuni di Bagno di Romagna, Borghi, Cesena, Cesenatico, Gambettola, Longiano, Mercato Saraceno, Montiano, Roncofreddo, San Mauro Pascoli, Savignano sul Rubicone, Verghereto nei giorni scorsi hanno inviato una lettera ai Ministri dell'interno e della difesa per sollecitare un aumento delle dotazioni organiche delle forze dell'ordine di stanza presso questo comprensorio;

   le amministrazioni locali del territorio hanno evidenziato anche il loro impegno in importanti, anche dal punto di vista finanziario, progetti per la realizzazione, di impianti di videosorveglianza, per il rafforzamento delle attività delle Polizie locali e anche nel coinvolgimento dei cittadini con iniziative come il «controllo del vicinato»;

   occorre dare risposte alle legittime preoccupazioni delle comunità locali su un tema, quale quello della sicurezza, sempre più rilevante –:

   quali iniziative intenda assumere il Governo, in risposta alla richiamata lettera inviata dalle amministrazioni locali recante la richiesta di un rapido e tempestivo rafforzamento, in termini di uomini e mezzi, delle forze dell'ordine in servizio presso i commissariati di PS e le stazioni dell'Arma presenti sul citato territorio, al fine di assicurare ai cittadini adeguate misure di sicurezza e di controllo nel contrastare fenomeni di illegalità.
(5-01118)


   RIZZO, DAVIDE AIELLO, ARESTA, CHIAZZESE, CORDA, DEL MONACO, D'UVA, ERMELLINO, FRUSONE, GALANTINO, GUBITOSA, IORIO, IOVINO, ROBERTO ROSSINI, GIOVANNI RUSSO e TRAVERSI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   sul sito web istituzionale della prefettura di Siracusa è stato pubblicato il piano di emergenza esterna per la sosta del naviglio a propulsione nucleare nell'area portuale di Augusta;

   si tratta di un fatto meritorio che corona gli sforzi in questa direzione fatti dalla società civile e dall'amministrazione comunale di Augusta;

   è noto che anche altre città di mare (La Spezia, Taranto, Napoli e Livorno solo per citarne alcune) si trovano in situazioni analoghe a quella del porto di Augusta, con naviglio di Paesi alleati dell'Italia a propulsione nucleare che sosta nei porti o staziona nello specchio di mare ad essi prospiciente –:

   se il Ministro interrogato non ritenga di dover adottare iniziative per estendere la pubblicazione sui siti web istituzionali delle prefetture interessate – sul modello di quanto già fatto da quella di Siracusa – dei piani di emergenza esterna per la sosta del naviglio a propulsione nucleare nell'aree portuali.
(5-01121)


   ANZALDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nella giornata del 13 dicembre 2018, in occasione della partita di Europa League Lazio-Eintracht Francoforte, alcune zone della città di Roma sono state letteralmente devastate e poste sotto assedio da circa novemila tifosi di nazionalità tedesca giunti nella Capitale;

   in zona piazzale Flaminio, in particolare, si sono registrati assembramenti e tafferugli fin dalla mattinata di giovedì, quando i sostenitori dell'Eintracht hanno iniziato a riunirsi e si sono verificati momenti di tensione con il lancio di bombe carta e il conseguente diffondersi del panico tra i passanti, a cui hanno fatto seguito cariche della polizia che si è trovata costretta a delimitare la piazza, piena anche di bottiglie in vetro a terra, nonostante fin dalla sera precedente fosse stato disposto il divieto di vendita di alcolici in contenitori di vetro;

   momenti di tensione si sono verificati anche in zona stadio Olimpico, dove alcuni ultrà tedeschi (tra i quali la questura sospetta si siano mescolati anche diversi ultrà dell'Atalanta, gemellati con i tedeschi) sono entrati in contatto con le forze dell'ordine e con un gruppo di tifosi laziali, mentre contestualmente un altro gruppo di tifosi tedeschi sarebbe entrato in un supermercato, saccheggiandolo e danneggiandolo; da notizie a mezzo stampa si è appreso che alcuni disordini si sarebbero verificati anche in zona Colosseo;

   una delle principali conseguenze degli innumerevoli disordini sopra riportati è stata quella di determinare un vero e proprio impazzimento del traffico in tutta l'area del Muro Torto e in quella circostante lo stadio Olimpico, con gravi ripercussioni per la viabilità in tutto il quadrante nord della città e con code ed ingorghi in tutta la città di Roma, a partire dalle zone di Flaminio, Olimpico, Clodio e Mazzini;

   è assolutamente inaccettabile che una città come Roma sia stata devastata, saccheggiata e paralizzata per un'intera giornata per lo svolgimento di una partita di calcio, specie alla luce del fatto che l'arrivo dei novemila tifosi, di cui almeno 400 appartenenti a gruppi ritenuti «pericolosi», era stato largamente preannunciato –:

   se il Ministro interrogato ritenga di aver avuto responsabilità, dirette o indirette, nella maldestra gestione dell'ordine pubblico per i fatti riportati in premessa, e quali iniziative urgenti intenda adottare al fine di garantire in futuro la libera circolazione e l'incolumità dei cittadini, anche in occasione dello svolgimento di partite di calcio.
(5-01124)


   MURONI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   nella notte dell'11 dicembre 2018 a Roma è scoppiato un incendio nel Tmb Salario, lo stabilimento di trattamento dei rifiuti vicinissimo al centro abitato;

   l'impianto di trattamento meccanico-biologico (Tmb) di proprietà dell'Ama, di via Salaria 981, è da anni al centro di proteste da parte dei residenti nella zona a causa dei miasmi e delle esalazioni provenienti dallo stesso; si tratta di esalazioni che invadono, tra gli altri, i quartieri di Fidene, Settebagni, Villa Spada, Serpentara, Casale Nei, Porta di Roma e Colle Salario;

   l'incendio al Tmb Salario non è un caso isolato. È frutto di quella che appare all'interrogante una strategia criminale che dal maggio 2017 ha bruciato ben 380 tra impianti di trattamento rifiuti, discariche, isole ecologiche e aree abusive. Una mappatura che la Federazione nazionale dei Verdi sta aggiornando continuamente. Un'azione criminale che non si ferma mai, se è vero che anche, il 10 dicembre 2018, a Ferentino (Frosinone) ed Agrigento ci sono stati altri due roghi tossici;

   la suddetta mappatura, realizzata da Claudia Mannino, individua otto macroaree: impianti di gestione rifiuti; discariche; impianti a supporto della raccolta (compattatori, isole ecologiche e altro); impianti di compostaggio i cui incendi sono di difficile comprensione vista l'elevata percentuale di acqua che l'organico contiene: aree abusivamente utilizzate per il deposito o l'abbandono di rifiuti; siti delle «ecoballe» campane (su cui si paga una sanzione dell'Unione europea quotidiana di 120 mila euro per il mancato smaltimento dal 2014); impianti di incenerimento (o altri sinonimi); altri tipi di impianti/aziende che vanno in fiamme causando emissioni pericolose per l'ambiente e per la salute;

   lo scopo della mappa è sia quello di monitorare cercando di capire il fenomeno, sia quello di coinvolgere e informare i cittadini e le amministrazioni politiche. Dalla lettura della mappatura si evince che dal maggio 2017 ad oggi si sono succeduti i seguenti incendi, suddivisi per tipologia: 145 impianti a supporto della raccolta differenziata; 34 discariche, 47 comparatori, isole ecologiche, centri comunali di raccolta eccetera, 6 impianti di compostaggio, 125 aree abusivamente utilizzate per abbandonare rifiuti, 6 siti della terra dei fuochi (Stir), 14 inceneritori, termovalorizzatori, 3 in altri tipo di impianti a rischio ambientale. Per un totale di 380 incendi;

   questi tragici numeri restituiscono una fotografia di un Paese dove ormai c'è una chiara emergenza incendi con gravissime conseguenze sull'ambiente e sulla salute dei cittadini soprattutto quando questi incendi avvengono temporalmente e geograficamente vicini l'uno dall'altro –:

   se il Governo non ritenga necessario adottare le iniziative di competenza per realizzare nelle aree oggetto della citata mappatura una indagine epidemiologica a tutela della salute dei cittadini che abitano nelle zone colpite dal drammatico fenomeno dei roghi, nonché la salute dei cittadini tutti;

   se non ritengano necessario assumere iniziative di prevenzione, controllo e repressione per arginare il fenomeno degli incendi, in considerazione del fatto che i roghi, sono, il più delle volte, di origine dolosa;

   se non ritengano necessario adottare iniziative normative volte a prevedere in tutti gli impianti che gestiscono rifiuti l'utilizzo delle termocamere al fine di prevenire gli incendi e garantire tempestivi interventi di soccorso.
(5-01129)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BIGNAMI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   da diversi anni i servizi sociali dell'Unione comuni del Sorbara (Bastiglia, Bomporto, Castelfranco Emilia, Nonantola, Ravarino, San Cesario sul Panaro) seguono con numerosi progetti di sostegno economico un nucleo familiare di origine marocchina composto da capofamiglia, madre e quattro figli, di cui uno oggi maggiorenne;

   il nucleo, a quanto risulta all'interrogante, è conosciuto dal 2002 per problemi di carattere economico, assistenziale e abitativo. Dal novembre 2011, a seguito di uno sfratto esecutivo, il suddetto nucleo è stato collocato in un albergo del territorio. Nel marzo 2012, non essendo mutate in alcun modo le condizioni del nucleo, si provvedeva al collocamento della madre e dei figli presso una comunità. Il nucleo si impegnava a collaborare per l'inserimento in progetti lavorativi e si concordava altresì il rientro in Marocco di moglie e figli alla conclusione del mese di maggio 2012 qualora la situazione non fosse mutata;

   il progetto era legato alla disponibilità all'ospitalità offerta dalla sorella del capofamiglia. Il comune di Castelfranco Emilia sosteneva le spese di viaggio per il rientro nel Paese di origine. A gennaio 2013, tuttavia, stante la esaurita disponibilità alla ospitalità, madre e figli si ritrovavano nuovamente privi di sistemazione e venivano alloggiati presso un appartamento di Argelato dove si troverebbero tuttora. L'inserimento in comunità avveniva secondo un progetto concordato: si conveniva inoltre il rientro in Marocco a fine anno scolastico nel caso in cui la famiglia non avesse trovato una soluzione abitativa;

   nel luglio 2014, sempre a quanto consta all'interrogante, il capofamiglia concludeva il periodo di limitazione della libertà personale, trovava lavoro e veniva successivamente licenziato. Da quel momento in poi è rimasto disoccupato;

   dal 2002 a oggi sono stati cospicui e di diverse migliaia di euro gli interventi economici erogati al nucleo e a carico del comune di Castelfranco Emilia: pagamento di insoluto per rette scolastiche, pagamento per ospitalità albergo, acquisto di generi alimentari, pagamento di bollette, esoneri da rette scolastiche e servizio mensa quantificabili in circa 15 mila euro. In aggiunta il comune risulta all'interrogante aver provveduto al pagamento della retta per il collocamento presso la prima comunità (10.075 euro di spesa mensile) e presso la seconda comunità (2.693 euro al mese sostenute dal primo marzo 2013 a oggi);

   alla data del 1o ottobre 2018 il comune di Castelfranco, ritenendo da tempo concluso il progetto di sostegno, decideva di sostenere l'uscita della famiglia dalla comunità con 3.700 euro (la madre intanto ha trovato lavoro come operaia e il figlio maggiorenne segue un corso da addetto alla sicurezza);

   la vicenda, a tratti paradossale, descritta a titolo esemplificativo, e non certo unica nel panorama locale e nazionale, mette in evidenza le criticità rispetto all'entità degli aiuti sociali concessi a famiglie che, per anni e anni, risultano prive di qualunque sostentamento economico autonomo e le difficoltà nel procedere al rimpatrio stanti le evidenti problematiche legate alla mancata integrazione;

   si evidenzia inoltre il grande aggravio sulle casse comunali che questa sola, singola vicenda ha comportato –:

   se il Governo disponga di dati in relazione alla spesa per il sostentamento economico garantito alle famiglie di origine straniera, alla durata media di tali aiuti e alle tempistiche necessarie per l'integrazione di tali famiglie;

   quali iniziative si intendano assumere, anche di carattere normativo, per definire una tempistica massima oltre la quale tali aiuti non possano più essere garantiti e dunque definire una tempistica certa per il rimpatrio nel Paese di origine, seppure a fronte del riconoscimento di un «incentivo» al rimpatrio medesimo

   quali ulteriori iniziative si intendano assumere, per quanto di competenza, per consentire la riduzione di tale spesa che grava sulle casse dei comuni che, in tal modo, sono costretti a dirottare importanti risorse da altri interventi di carattere sociale ugualmente importanti e urgenti.
(4-01886)


   PINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   domenica 16 dicembre 2018, dalle ore 15, presso l'Arena Civica di Milano si è svolta la festa per i 50 anni della Sud del Milan e per i 119 anni della fondazione della Associazione Calcio Milan;

   alla giornata ha partecipato, tra i tifosi del Milan, anche il Ministro dell'interno Matteo Salvini;

   il Ministro interrogato si è fermato a parlare con Luca Lucci, capo ultra della curva Sud del Milan. A tal proposito esistono fotografie che testimoniano l'avvenuta conversione tra i due;

   Lucci, stando alle cronache, è un pregiudicato condannato nel 2009 per violenze e ha patteggiato ad un anno e mezzo di reclusione per spaccio di droga. Lucci, secondo gli inquirenti, è coinvolto in vicende legate alla ’ndrangheta. Lucci, inoltre, è stato colpito da «Daspo»;

   sulla presenza di pregiudicati tra i tifosi durante la giornata della festa del Milan il Ministro ha dichiarato, come riporta l'agenzia Ansa: «Questi tifosi sono persone per bene, pacifiche, tranquille. Loro portano colore con un coro, un tamburo, una bandiera. La violenza poi è un'altra cosa. Ci sono diversi indagati nella Curva del Milan? Io stesso sono indagato. Sono un indagato in mezzo ad altri indagati»;

   il Ministro ha in più occasioni detto di essere da sempre tifoso del Milan come lui stesso ha affermato: «Ho cominciato a seguire il Milan quando era in serie B»;

   il Daspo, il «Divieto di accedere a manifestazioni sportive», è stato introdotto dalla legge 13 dicembre 1989, n. 401, e regolato da disposizioni successive, ed è disposto dalle questure, articolazioni territoriali del Ministero dell'interno;

   l'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive è un organo di consulenza tecnico-amministrativa istituito presso il Ministero dell'interno. Si occupa dell'attuazione delle disposizioni e delle misure organizzative di prevenzione e contrasto della violenza in occasione delle manifestazioni sportive –:

   se, al momento dell'incontro, il Ministro interrogato sapesse chi era Luca Lucci, la persona con la quale stava parlando e, qualora così fosse, quali siano le motivazioni che lo hanno convinto a ritenere opportuno che un Ministro, in questo caso dell'interno che ha la titolarità della competenza in tema di forze di polizia e di Osservatorio sulle violenze durante le manifestazioni sportive, si faccia vedere e fotografare mentre parla con persone condannate per gravi reati, o che hanno subito «Daspo».
(4-01890)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCHULLIAN. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 142, secondo comma, del testo unico delle leggi sull'istruzione superiore di cui al regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592, reca il divieto dell'iscrizione contemporanea a diverse università e a diversi istituti di istruzione superiore, a diverse facoltà o scuole della stessa università o dello stesso istituto e a diversi corsi di laurea o di diploma della stessa facoltà o scuola. La norma, in altri termini, preclude il conseguimento di due titoli accademici al termine di periodi di formazione interamente o parzialmente concomitanti;

   si tratta di un divieto obsoleto e anacronistico, la cui rimozione rappresenterebbe un passo importante verso l'ammodernamento del sistema universitario italiano e comporterebbe molteplici vantaggi sia nell'ottica di una migliore valorizzazione delle competenze, sia nell'ottica della realizzazione di un'offerta formativa più in linea con le esigenze del mondo lavorativo, il quale richiede una sempre maggiore interdisciplinarietà. Il divieto risulta essere particolarmente svantaggioso per i settori ad alta incidenza tecnologica, come ad esempio la medicina che sfrutta sempre di più le nuove conoscenze dell'ingegneria biomedica. Assume aspetti addirittura paradossali se si pensi che sono sempre più frequenti gli accordi con le università straniere che consentono di ottenere i cosiddetti double degree, ovvero il riconoscimento del titolo accademico contemporaneamente in Italia e in un altro Paese;

   da ultimo, si è occupata della questione anche la Corte di giustizia dell'Unione europea con riferimento ad un caso in materia di riconoscimento di qualifiche professionali. In estrema sintesi, con la sentenza del 6 dicembre 2018, causa C-675/17, la Corte ha stabilito che l'obbligo di formazione a tempo pieno e il divieto di iscrizione contemporanea a due corsi di laurea, previsti dalla normativa di uno Stato membro, non possono impedire il riconoscimento automatico ai sensi della direttiva 2005/36/CE dei titoli rilasciati in un altro Stato membro al termine di periodi di formazione in parte concomitanti. Tale pronuncia della Corte mette in luce come il divieto di iscrizione contemporanea può dar luogo a situazioni di discriminazione a rovescio, penalizzando ingiustificatamente gli studenti italiani rispetto ai loro colleghi degli altri Paesi europei –:

   se non intenda, anche alla luce della recente sentenza summenzionata, di adottare iniziative per l'abrogazione del divieto di iscrizione contemporanea a due corsi di laurea, rimuovendo così un freno pesante alla competitività del Paese.
(4-01885)


   BIGNAMI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   di recente è stata ventilata l'ipotesi di una riforma del reclutamento del personale della scuola volta a modificare radicalmente quanto previsto dal decreto legislativo n. 59 del 2017 (attuativo dell'articolo 1, commi 180 e 181, lettera b), della legge n. 107 del 2015);

   in particolare, si vorrebbe eliminare il concorso riservato a coloro che vantano servizio pari a 180 giorni per tre anni scolastici anche non consecutivi, con la possibilità di accedervi senza il requisito dei 24 crediti formativi universitari in ambito antropo-psico-pedagogico, e senza dover affrontare la relativa prova d'esame scritta;

   tale ipotesi risulterebbe a parere dell'interrogante fortemente peggiorativa e discriminatoria nei confronti della categoria per numerosi motivi:

    il requisito dei 24 crediti formativi universitari per l'accesso sarà obbligatorio, ad eccezione della prima tornata concorsuale;

    è in ogni caso mantenuta la relativa prova scritta, cosa che risulta all'interrogante, assurda alla luce di quanto sopra;

    la riserva concorsuale pari al 10 per cento dei posti disponibili risulta del tutto insufficiente rispetto alla valorizzazione dell'esperienza acquisita sul campo e al numero dei docenti appartenenti alla categoria;

    il concorso così impostato penalizza i docenti che, per ovvi motivi lavorativi e anagrafici, sono da anni direttamente impegnati nelle aule scolastiche e nelle attività di istituto (in qualità di coordinatori e/o di figure strumentali) e, in molti casi, per poter lavorare si sono trasferiti lontano dalla regione di origine o hanno già una famiglia di cui occuparsi;

    il Governo ha attivato, o ha il proposito di attivare, concorsi non selettivi per altre categorie di docenti (diplomati magistrali, insegnanti di religione cattolica), ma non per quelli di terza fascia, che vengono pertanto emarginati e non valorizzati;

   la terza fascia regge il sistema scolastico da molti anni, con contratti che vanno da supplenze brevi (quelle di chi supplisce i congedi per malattia, maternità, e altro), a contratti annuali su posti vacanti e disponibili;

   gli insegnanti di terza fascia possiedono un bagaglio di esperienza già acquisito e di natura trasversale, sempre spendibile con gli alunni e nella collaborazione con i colleghi, in quanto lavoratori impegnati di anno in anno in scuole ad indirizzi diversi, con utenze sempre diverse e programmi variabili;

   gli insegnanti di terza fascia sono docenti a tutti gli effetti, con tutti gli oneri del personale di ruolo, ma non godono dei medesimi diritti (ad esempio, il bonus per acquistare materiale didattico, che non è esteso ai precari; un numero di permessi e gli scatti di anzianità stipendiali al pari dei colleghi di ruolo);

   dal 2014 non viene bandito un percorso abilitante e, quindi, per chi ha iniziato a lavorare a partire dall'anno scolastico 2013/14, non vi è mai stata possibilità di abilitazione –:

   quali iniziative di competenza intenda assumere per la piena e reale valorizzazione e tutela dei docenti di terza fascia, evitandone la «marginalizzazione» che si creerebbe in relazione a quanto esposto in premessa;

   quali ulteriori iniziative intenda assumere per l'equiparazione piena dei docenti precari di terza fascia ai docenti di ruolo, sotto il profilo, in particolare, dei diritti quali, ad esempio, il bonus per l'acquisto di materiale didattico.
(4-01887)


   GIANNONE, GALLO, VILLANI, CASA, FRATE, LATTANZIO, CARBONARO, BELLA, MELICCHIO, SIRAGUSA, INVIDIA, DE LORENZO, DAVIDE AIELLO, PERCONTI, SEGNERI, TUCCI, PALLINI e AMITRANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   il 22 maggio 1978 in Italia è stata approvata la legge n. 194 che legalizza l'aborto volontario; da quel giorno migliaia di donne in Italia possono abortire legalmente evitando il ricorso a pericolose pratiche clandestine, sancendo, altresì, la libertà di scelta della donna sulla prosecuzione della gravidanza;

   la suddetta legge consente alla donna, di ricorrere alla interruzione volontaria di gravidanza (IVG) in una struttura pubblica (ospedale o poliambulatorio convenzionato con la regione di appartenenza), nei primi 90 giorni di gestazione. Tra il quarto e quinto mese è possibile ricorrere alla IVG solo per motivi di nautra terapeutica;

   il 17 maggio del 1981 la legge è stata sottoposta a referendum abrogativo, ma fu confermata con il 68 per cento dei voti. Il referendum era proposto dal Movimento per la vita di matrice cattolica, e puntava ad abrogare ogni circostanza ed ogni modalità dell'interruzione volontaria della gravidanza;

   il 4 dicembre 2018 presso il Polo Liceale Galileo Galilei di Monopoli, delegati dell'associazione «Movimento per la vita» si sarebbero recati nelle prime classi non per spiegare la pratica dell'aborto e come prevenire gravidanze indesiderate ma per quello che appare agli interroganti un vero e proprio pressing psicologico nei confronti degli studenti con immagini molto «forti» aventi finalità antiabortistica;

   sempre presso lo stesso istituto, pochi giorni dopo, il docente di religione cattolica ha proiettato, alle prime classi, un documentario dal titolo «L'Urlo Silenzioso» di Bernard N. Nathanson del 1984 nel quale venivano proiettate scene di aborti reali in maniera esplicita utilizzando termini come «bambino dilaniato», «bambino smembrato», «bambino disarticolato», «bambino stritolato» e «bambino distrutto». La proiezione avrebbe dovuto essere preceduta da una esplicita autorizzazione dei genitori o esercenti la potestà genitoriale alla visione da parte dei minori; a quanto risulta agli interroganti tale autorizzazione non è mai stata rilasciata né sottoposta all'attenzione dei genitori –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative si intendano porre in essere, per quanto di competenza, per individuare e sanzionare eventuali responsabilità, anche al fine di garantire che fatti di questa gravità non abbiano mai più a verificarsi.
(4-01894)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata:


   FUSACCHIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   nel disegno di legge di bilancio per il 2019 è prevista all'articolo 1, comma 141, l'assunzione di 4.000 unità nei centri per l'impiego come misura volta al rafforzamento della capacità degli stessi di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro;

   il mercato del lavoro è cambiato profondamente negli ultimi anni e molto continuerà a cambiare nei prossimi per effetto di molteplici fattori, a partire dall'impatto delle nuove tecnologie sulle professioni, dell'automazione, della trasformazione delle filiere produttive;

   il mercato del lavoro chiede continuamente competenze sempre nuove e in molti casi non codificate sulla base di titoli formali;

   esiste anche grazie alle nuove tecnologie, un crescente settore di imprese innovative – start up e non – che si occupano di facilitare il raccordo, anzitutto di informazioni, tra domanda e offerta di lavoro;

   non c'è una sufficiente e adeguata formazione del personale attualmente impiegato presso i centri per l'impiego per stare costantemente al passo con le evoluzioni del mercato del lavoro e, quindi, per svolgere con successo la missione ad essi affidata;

   i centri per l'impiego necessitano di un ripensamento radicale. Una semplice aggiunta di personale all'interno delle dinamiche, delle strutture, delle gerarchie e del meccanismo di funzionamento attuali sarebbe non solo inutile, ma anche potenzialmente dannosa;

   le assunzioni dovrebbero avvenire in modo da portare competenze che ripensino complessivamente il funzionamento dei centri per l'impiego, il loro modo di operare, i processi decisionali –:

   come il Governo intenda selezionare il personale da assumere nei centri per l'impiego, dando priorità assoluta a chi può dimostrare – da un lato – competenze, esperienza e risultati concreti maturati in ambito di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro con imprese o altre realtà ad alto tasso di innovazione e uso di tecnologie e – dall'altro – competenze avanzate in ambito di service design, così da riconsiderare il complessivo funzionamento dei centri stessi.
(3-00393)


   POLVERINI, ZANGRILLO, CANNATELLI, FATUZZO, MUSELLA, ROTONDI e SCOMA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il decreto legislativo n. 150 del 2015 ha istituito l'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal), sulla quale il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha potere di indirizzo e vigilanza. Ai sensi dell'articolo 4, comma 13, l'Agenzia subentra nella titolarità delle azioni di Italia lavoro s.p.a.;

   con la legge n. 232 del 2016 (legge di stabilità per il 2017) Italia lavoro diventa Anpal servizi s.p.a., società per azioni in house dell'Anpal e parte integrante della rete dei servizi per il lavoro istituita dal richiamato decreto legislativo;

   la società opera sotto il controllo di Anpal, che ne determina gli obiettivi per la promozione dell'occupazione in Italia, supportando l'Agenzia e il Ministero stesso nella realizzazione delle politiche attive del lavoro, nel rafforzamento dei servizi per l'impiego, nella ricollocazione dei disoccupati percettori di trattamenti di sostegno al reddito. Quotidianamente i precari di Anpal servizi prestano assistenza tecnica presso i centri per l'impiego del territorio nazionale in programmi come Garanzia giovani o per le misure di respiro nazionale o regionale di politica attiva del lavoro o ancora nei programmi di ricollocazione dei lavoratori in esubero per crisi aziendali, nonché nelle politiche di contrasto alla povertà;

   Anpal servizi impiega di 1.103 addetti. Nonostante svolgano una funzione strategica nell'ambito delle politiche attive del lavoro, 654 di questi (circa il 60 per cento) sono lavoratrici e lavoratori precari assunti per mezzo di selezioni a evidenza pubblica: 134 con contratti a tempo determinato e ben 520 con contratti di collaborazione. L'anzianità di servizio dei precari arriva fino a 12 anni, con una media di almeno 5 anni, grazie a proroghe e rinnovi contrattuali o nuove selezioni in assenza di riserva di posti o di misure di maggior favore per chi già impiegato;

   il Governo ha confermato la volontà di rafforzare i centri per l'impiego, soprattutto in funzione del reddito di cittadinanza, a tal fine prevedendo nel disegno di legge di bilancio per il 2019 un miliardo di euro e l'assunzione da parte delle regioni di 4.000 unità presso i centri per l'impiego;

   di fatto, da anni, il paradosso di personale precario impiegato per il ricollocamento di disoccupati in cerca di lavoro sembra descrivere il fosco quadro delle politiche pubbliche italiane –:

   se il Ministro interrogato intenda assumere, quale primo passo verso il rafforzamento dei servizi per l'impiego, iniziative volte a stabilizzare i precari di Anpal servizi nelle varie realtà regionali.
(3-00394)


   GRIBAUDO, SERRACCHIANI, DE FILIPPO, CARNEVALI, CARLA CANTONE, LACARRA, LEPRI, MURA, VISCOMI, ZAN, CAMPANA, UBALDO PAGANO, PINI, RIZZO NERVO, SCHIRÒ, SIANI, ENRICO BORGHI e FIANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il disegno di legge di bilancio per il 2019, presentato alla Camera dei deputati il 31 ottobre 2019, prevedeva circa 9 miliardi di euro per la realizzazione della misura denominata «reddito di cittadinanza», della quale, a causa della totale mancanza di atti parlamentari dedicati, non è ancora possibile capire se si tratti di una politica attiva del lavoro, di una politica contro la povertà o in quale forma vengano coniugate queste due intenzioni;

   delle risorse stanziate, circa 1 miliardo di euro, per i soli anni 2019 e 2020, è stato genericamente destinato al potenziamento del sistema dei centri per l'impiego e di cui solo una minima parte finalizzata alla copertura degli oneri per le nuove assunzioni;

   si apprende da fonti stampa e dalle dichiarazioni dei membri del Governo che, a causa della trattativa in corso con l'Unione europea per evitare la procedura d'infrazione, il deficit passerà dal 2,4 per cento al 2,04 per cento, con una riduzione di circa 4 miliardi di euro dei fondi a disposizione per le pensioni e per il reddito di cittadinanza; in particolare, il fondo per il reddito di cittadinanza dovrebbe essere ridotto di circa 2 miliardi di euro;

   dei 9 miliardi di euro inizialmente stanziati per il reddito di cittadinanza, 2,5 provengono dai fondi già stanziati dal Governo Gentiloni per il reddito di inclusione sociale;

   sottratte le cifre suddette dal fondo di 9 miliardi di euro per il reddito di cittadinanza, le risorse aggiuntive stanziate dal Governo ammonterebbero a soli 3,5 miliardi di euro;

   le previsioni iniziali del costo del reddito di cittadinanza effettuate dal MoVimento 5 Stelle, in particolare nelle dichiarazioni e nel materiale della campagna elettorale per le elezioni politiche, erano di 17 miliardi di euro;

   il Ministro interrogato ha ripetuto più volte agli organi di informazione che, nonostante i tagli al fondo per il reddito di cittadinanza, la platea degli aventi diritto, stimata da esponenti del Governo in 6 milioni di persone, non cambierà; vale a dire che lo stanziamento consentirà l'erogazione di poche decine di euro mensili a persona –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per rafforzare il reddito di inclusione sociale istituito nella XVII legislatura, che non necessita di costosi e disorientanti cambi di nome e di struttura, per combattere più efficacemente ed efficientemente l'esclusione sociale e la povertà nel nostro Paese.
(3-00395)

Interrogazione a risposta orale:


   DE GIORGI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   da parte di organizzazioni sindacali operanti nel settore delle telecomunicazioni si registrano con sempre più frequenza denunce relative a casi che vedrebbero lo sfruttamento di personale alle dipendenze di call-center attraverso la mancata o, lacunosa applicazione dei contratti di lavoro;

   a riprova di quanto illustrato, il segretario provinciale dell'Slc di Taranto l'8 dicembre 2018 ha segnalato una preoccupante vicenda che vede coinvolta una lavoratrice della Planet Group, azienda di call-center che ha i suoi uffici non solo nel capoluogo ionico, ma anche nei comuni di Brindisi, Lecce, Francavilla Fontana e Maglie;

   stando a quanto denunciato dai sindacati e riportato da organi di stampa, la lavoratrice di questa azienda, che occupa circa 300 persone e annovera fra i suoi committenti anche importanti società a partecipazione pubblica, si sarebbe vista negare dall'Inps l'assegno di maternità, in quanto, a detta dello stesso Istituto di previdenza, il datore di lavoro non avrebbe versato i contributi dovuti. L'episodio relativo al mancato adempimento previdenziale non sarebbe però isolato se è vero che, sempre a seguito di tale motivo, l'Inps pare abbia respinto anche la domanda di disoccupazione formulata da altri dipendenti dello stesso call-center;

   i sindacati hanno già denunciato in passato l'azienda in questione per il mancato versamento dei contributi ai lavoratori che, tra l'altro, sarebbero pagati al di sotto del livello minimo fissato dalla legge;

   c'è il timore che situazioni come queste potrebbero provocare perdite di lavoro in un territorio già pesantemente penalizzato come quello pugliese –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'accaduto e quali iniziative di competenza intenda adottare per verificare se all'interno dell'azienda in questione vengano rispettate le condizioni di legalità e tutela occupazionale previste dai contratti e dalle norme.
(3-00391)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MELONI e RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   la Corden Pharma Latina spa con sede a Sermoneta (LT) ha avviato le procedure di licenziamento per 192 lavoratori, poi congelate, e presentato istanza di concordato preventivo in continuità;

   ad oggi, non vi sono certezze sul futuro del sito produttivo e dei suoi lavoratori. Al riguardo, si ritiene necessario individuare urgentemente delle soluzioni alla vertenza in questione che siano compatibili con il rispetto dei diritti dei dipendenti, salvaguardando i posti di lavoro;

   si apprende che l'incontro del 12 dicembre 2018 presso il Ministero dello sviluppo economico non ha prodotto sostanziali risultati, se non il fatto che il 12 marzo 2019 scadrà il termine per la presentazione del piano industriale da parte dell'azienda;

   in tale fase è, quindi, prioritario che proseguano le trattative tra le parti sociali e le istituzioni, affinché l'accordo sul piano industriale sia credibile e dia garanzia che non siano previsti esuberi, con l'obiettivo, dunque, di salvaguardare l'attività produttiva del sito sul territorio, senza disperdere le relative professionalità attualmente in forza –:

   quali siano gli orientamenti del Governo sui fatti esposti in premessa e se e quali iniziative di competenza intenda adottare affinché il piano industriale della Corden Pharma assicuri la salvaguardia degli attuali posti di lavoro.
(5-01119)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BIGNAMI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   da quando l'Inps ha assunto la gestione dell'invalidità civile, ha emanato diversi bandi pubblici per il reperimento di specialisti, preferibilmente medico-legali, anche per far fronte alla mole di lavoro notevolmente aumentata;

   a seguito di graduatorie stilate sulla base dei titoli e delle esperienze lavorative, anche all'interno dello stesso ente, sono stati quindi stipulati contratti di libera professione di durata annuale. Tali contratti solo inizialmente risultavano allineati al Contratto collettivo nazionale nella determinazione del compenso orario, ma senza alcuna copertura di tipo assicurativo o previdenziale;

   di fatto, l'attività svolta dai cosiddetti «medici esterni» dell'Inps è del tutto sovrapponibile a quella esercitata dai colleghi strutturati, e sembrerebbe configurarsi come attività parasubordinata, con regolare timbratura di badge, e organizzazione dell'attività secondo il calendario stabilito dai primari su almeno quattro giorni per 25 ore settimanali, situazione che finisce per abbattere grandemente le reali possibilità di svolgere una sostanziosa attività libero-professionale; il tutto senza previsione di ferie, indennità di malattia o di maternità, assicurazione, e senza l'applicazione delle tariffe orarie stabilite dal Cnn;

   trattandosi di specialisti in medicina legale o altre branche di particolare rilevanza, gli stessi vengono adibiti a tutte le funzioni istituzionali relative alle concessioni di benefici previdenziali e assistenziali, nonché al controllo della malattia e alla gestione del contenzioso in ambito sanitario, consentendo il regolare svolgimento delle attività dell'istituto che controlla la gran parte del welfare del Paese;

   da anni l'anomalia della situazione è stata stigmatizzata da varie sigle sindacali e dalla stessa Federazione degli ordini dei medici, che ripetutamente hanno chiesto una stabilizzazione dei medici «esterni» mediarle un rapporto di convenzione a tempo indeterminato (contratto tipo Sumai), come recentemente fatto dall'Inail e da altri enti pubblici;

   a fine anno scadrà, insieme al contratto, la graduatoria degli specialisti esterni che, tre anni or sono, venne stilata da un collegio di eminenti esperti in materia, dopo diversi mesi di ponderazione, a ragionevole garanzia che i punteggi e i relativi incarichi non fossero stati affidati a caso o secondo logiche clientelari;

   in considerazione del fatto che attualmente i medici strutturati sono circa 500 in tutta Italia che la gran parte di questi sono ormai prossimi all'età pensionabile (nella sede di Bologna, ad esempio, tutti gli strutturati sono ultrasessantenni), la dirigenza dell'istituto dovrà probabilmente programmare un concorso per la copertura dei molti posti vacanti, ma sembra che ciò non abbia nulla a che vedere con l'imminente scadenza del contratto dei medici esterni, che dopo anni di attività ambirebbero a un trattamento più rispettoso della dignità professionale e senza la cui presenza si avrebbe in poche settimane la paralisi dell'attività dell'Istituto;

   la soluzione, ripetutamente indicata dai rappresentanti sindacali e dalla Federazione degli ordini dei medici, di convenzione «Sumai», consentirebbe, senza aggravi economici esorbitanti, un'adeguata tutela dei medici in linea con il Cnn, e la possibilità per l'Inps di modulare la convenzione in rapporto alle effettive esigenze istituzionali –:

   quali iniziative si intendano assumere per garantire un adeguato trattamento economico ai cosiddetti «medici esterni» dell'Inps;

   se si intenda prendere in considerazione la possibilità di stilare una convenzione sul modello «Sumai»;

   se, a tal riguardo, siano stati aperti tavoli di confronto con le organizzazioni sindacali.
(4-01877)


   TASSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   la Sanità Service srl, società in house dell'Asl di Foggia, quotidianamente collabora, in maniera sinergica e coordinata, al fianco del personale della Asl per assicurare all'utenza un sistema di servizi integrati;

   da tre anni la Asl di Foggia si avvale di personale ausiliario reclutato tramite agenzia interinale (Adecco) per lo svolgimento di funzioni «basiche», ma quanto mai necessarie per il buon andamento dell'assistenza sanitaria, dai malati in corsia al supporto sanitario;

   sono 78 gli operatori della Sanità Service che prestano da anni i loro servizi, ma per loro adesso è arrivato a scadenza il contratto di lavoro a tempo determinato;

   alcuni contratti sono già scaduti, altri sono in scadenza nei prossimi giorni, da qui l'agitazione dei lavoratori, perché lo «step» successivo è un vero e proprio bivio: stabilizzazione o licenziamenti in massa. La prima ipotesi non è fattibile perché contra legem, soprattutto per l'assenza di una qualsivoglia forma di selezione pubblica. La seconda sarebbe un dramma, non solo per i lavoratori interessati, ma anche per la Asl stessa, che di queste figure ausiliarie ha estremo bisogno;

   la Asl di Foggia sta pensando di avviare una procedura di selezione pubblica a tempo determinato sia per il reclutamento di infermieri del 118, sia per la gestione delle postazioni. Tutto questo in attesa che la regione Puglia consolidi il percorso della gestione centralizzata con l'istituzione della azienda regionale dell'emergenza urgenza (Areu);

   in attesa che tutto ciò si concretizzi, l'amministratore unico della Sanità Service srl, adducendo a quanto consta all'interrogante motivazioni legate alla entrata in vigore della nuova normativa del «decreto dignità», decreto-legge 12 luglio 2018 n. 87, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2018, ha comunicato ai 78 operatori che il rapporto di lavoro sarebbe terminato come da contratto il 15 dicembre 2018 e che non sarebbe stata possibile nessuna proroga;

   naturalmente, per far fronte ai servizi indispensabili erogati dai 78 operatori la Sanità Service dovrà procedere con nuovi contratti –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti in premessa e se non ritengano di dover adottare ogni iniziativa di competenza, anche normativa, per evitare che a causa della nuova disciplina vi sia una cessazione dei rapporti di lavoro di personale già in servizio;

   se il Governo non ritenga urgente convocare, per quanto di competenza, un tavolo tecnico con le parti in causa per addivenire, in tempi utili, ad una soluzione del problema.
(4-01884)


   FORNARO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la pubblica amministrazione, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la vertenza Almaviva, ormai in corso da molti anni, coinvolge migliaia di lavoratori, molti dei quali operativi a Roma e ha, nel corso della XVII legislatura, impegnato già il Parlamento con atti di sindacato ispettivo e mozioni;

   con un'ordinanza del 16 novembre del 2017 il tribunale del lavoro di Roma ordinava la reintegrazione di 153 lavoratori giudicando i licenziamenti operati da Almaviva Contact come discriminatori e illegittimi, in violazione della legge n. 223 del 1991;

   Almaviva Contact, invece di reintegrare i lavoratori nel loro posto di lavoro (Roma), atteso che tutte le commesse pubbliche sulle quali i licenziati operavano erano state mantenute, trasferiva immediatamente i 153 lavoratori a Catania;

   il trasferimento è stato annullato immediatamente dal tribunale con sentenza esecutiva del 27 dicembre 2017. Al centro delle motivazioni della sentenza c'era innanzitutto il comportamento antisindacale che violava l'articolo 28 della legge n. 300 del 1970 nonché l'articolo 25 del contratto collettivo nazionale;

   dopo altri due successivi trasferimenti operati dell'azienda, immediatamente respinti da sentenze, in attesa della sentenza nel giudizio di opposizione, si è proceduto a una conciliazione giudiziaria e i lavoratori sono stati posti in permesso non retribuito fino a tutto il mese di novembre del 2018;

   il tribunale di Roma con la sentenza 858/2018 pubblicata il 9 novembre 2018 ha respinto l'impugnazione di Almaviva Contact confermando l'ordine di reintegrazione;

   una settimana dopo l'azienda chiedeva di sedersi al tavolo con il sindacato per trattare il trasferimento di 113 su 153 lavoratori a Catania con un esame congiunto ai sensi dell'articolo 25 del contratto collettivo nazionale di lavoro del settore telecomunicazioni;

   come è noto, Almaviva Contact è affidataria di diversi appalti e subappalti di interi settori del comparto pubblico dall'Inps all'Inail, dall'Inpdap a Equitalia, per finire a Trenitalia o alla regione Toscana;

   l'articolo 30, comma 3, del codice degli appalti prevede che le aziende affidatarie di appalti pubblici devono rispettare le normative europee e nazionali in materia sociale e del lavoro, oltre che rispettare i contratti collettivi di lavoro;

   l'articolo 80 (motivi di esclusione), al comma 5, prevede che le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione della procedura di appalto un operatore economico o un suo subappaltatore laddove si è in presenza di gravi infrazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro nonché in merito agli obblighi previsti dall'articolo 30, comma 3;

   ovviamente gli operatori che non rispettano tali direttive sono esclusi dalle stazioni appaltanti e dunque non partecipano alla procedura di appalti –:

   quali iniziative di competenza intenda adottare il Governo in relazione a quanto esposto in premessa, in particolare segnalando le citate violazioni poste in essere dalla Almaviva Contact all'Anac per le determinazioni di competenza, ai sensi del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, nell'ottica di una corretta attuazione, assegnazione ed esecuzione degli appalti pubblici;

   quali iniziative intenda assumere il Governo al fine di convocare immediatamente un tavolo di confronto con azienda e rappresentanza dei lavoratori per una soluzione definitiva che, nel rispetto delle normative e dei contratti collettivi nazionali, così come sancito dagli atti giudiziari sopra citati, garantisca la salvaguardia dell'occupazione e offra garanzie salariali e professionali per i lavoratori.
(4-01893)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazioni a risposta immediata:


   MOLINARI, ANDREUZZA, BADOLE, BASINI, BAZZARO, BELLACHIOMA, BELOTTI, BENVENUTO, BIANCHI, BILLI, BINELLI, BISA, BOLDI, BONIARDI, BORDONALI, CLAUDIO BORGHI, BUBISUTTI, CAFFARATTO, CANTALAMESSA, CAPARVI, CAPITANIO, VANESSA CATTOI, CAVANDOLI, CECCHETTI, CENTEMERO, CESTARI, COIN, COLLA, COLMELLERE, COMAROLI, COMENCINI, COVOLO, ANDREA CRIPPA, DARA, DE ANGELIS, DE MARTINI, D'ERAMO, DI MURO, DI SAN MARTINO LORENZATO DI IVREA, DONINA, FANTUZ, FERRARI, FOGLIANI, FORMENTINI, FOSCOLO, FRASSINI, FURGIUELE, GASTALDI, GERARDI, GIACCONE, GIACOMETTI, GIGLIO VIGNA, GOBBATO, GOLINELLI, GRIMOLDI, GUSMEROLI, IEZZI, INVERNIZZI, LATINI, LAZZARINI, LEGNAIOLI, LIUNI, LO MONTE, LOCATELLI, LOLINI, EVA LORENZONI, LUCCHINI, MACCANTI, MAGGIONI, MARCHETTI, MATURI, MORELLI, MOSCHIONI, MURELLI, ALESSANDRO PAGANO, PANIZZUT, PAOLINI, PAROLO, PATASSINI, PATELLI, PATERNOSTER, PETTAZZI, PIASTRA, POTENTI, PRETTO, RACCHELLA, RAFFAELLI, RIBOLLA, SALTAMARTINI, SASSO, SEGNANA, STEFANI, TARANTINO, TATEO, TIRAMANI, TOCCALINI, TOMASI, TOMBOLATO, TONELLI, TURRI, VALBUSA, VALLOTTO, VINCI, VIVIANI, ZANOTELLI, ZICCHIERI, ZIELLO, ZOFFILI e ZORDAN. — Al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   la scorsa estate, in un'intervista a Il Messaggero, il Ministro interrogato aveva dichiarato «rigore e merito, cambierò la pubblica amministrazione partendo dai capi», evidenziando la volontà di affrontare il tema della dirigenza pubblica revisionandola in toto;

   il passaggio culturale intorno al concetto stesso di pubblica amministrazione, da puro espletamento di funzioni, ovvero mera burocrazia, a servizi resi al cittadino, ha portato all'idea di una dirigenza intesa come staff management, dotata di specifiche competenze e capacità organizzative, con previsione di premi correlati ai risultati;

   la riforma della dirigenza della pubblica amministrazione è stata oggetto di attenzione già dai due precedenti Governi;

   la cosiddetta riforma Brunetta era proiettata a garantire al dirigente l'indipendenza e l'imparzialità dell'azione amministrativa; la «riforma Madia» alla soppressione delle fasce e all'istituzione di tre ruoli unici (dirigenti dello Stato, dirigenti regionali e dirigenti degli enti locali), sulla quale peraltro si è espressa negativamente la Corte costituzionale –:

   se e in che termini intenda attuare la riforma della dirigenza pubblica e, in particolare, come intenda contrastare l'inerzia della pubblica amministrazione.
(3-00398)


   DIENI, MACINA, ALAIMO, BERTI, BILOTTI, BRESCIA, MAURIZIO CATTOI, CORNELI, D'AMBROSIO, DADONE, FORCINITI, PARISSE, FRANCESCO SILVESTRI, DAVIDE AIELLO, ELISA TRIPODI, PALLINI, PIERA AIELLO, AMITRANO, CIPRINI, COSTANZO, CUBEDDU, DE LORENZO, GIANNONE, INVIDIA, PERCONTI, SEGNERI, SIRAGUSA, TRIPIEDI, TUZI e VIZZINI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   in ordine al comparto delle pubbliche amministrazioni, negli ultimi anni il blocco del turn over e le limitazioni di spesa hanno di fatto procrastinato l'assunzione dei vincitori di moltissimi concorsi pubblici pregressi, nonché lo scorrimento delle relative graduatorie;

   onde evitarne la decadenza, si è proceduto disponendo di anno in anno la proroga della validità e dell'efficacia delle graduatorie medesime –:

   se e quali iniziative intenda adottare in ordine alle graduatorie dei concorsi pubblici, la cui validità ed efficacia risultano vigenti fino al termine del 2018 e, dunque, decadute a decorrere dal 1° gennaio 2019.
(3-00399)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   BELLUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   all'interno dell'azienda ospedaliero-universitaria Policlinico Umberto I dal 1997 opera il Centro di alcologia, istituito come centro di riferimento alcologico della regione Lazio (Crarl) istituito nel settembre 1997 dalla delibera della giunta della regione Lazio n. 5626;

   in particolare, al Centro, unico nel Lazio per le ampie capacità e possibilità di operare in materia di disturbo da uso di alcol (sec. DSM-5), sono riconosciute funzioni non solo di natura assistenziale, ma anche nel campo della formazione universitaria, della produzione scientifica e delle collaborazioni nazionali e internazionali;

   nel 2017, solo per citare l'ultimo anno a livello di assistenza prestata, sono state registrate 4315 visite specialistiche, con 579 nuovi utenti, 367 ricoveri in regime di day hospital e degenza ordinaria, cui si aggiungono 375 valutazioni specialistiche ambulatoriali di pazienti in valutazione pre e post-trapianto di fegato effettuate dalla liver trasplant unit aziendale che fa parte del Centro;

   il Crarl ha stabilito accordi di cooperazione con importanti istituzioni italiane e straniere tra cui il National Institute of Health-Niaa (USA), l'Università Cattolica di Santo Toribio De Mogrovejo (Perù), la Fondazione Eduardo dos Santos – FESA (Angola), la Fondazione per lo Sviluppo Italia-Cina, il Wuhan Hospital (Cina), il CNR-Ebri; l'ISS e altri;

   il Centro è, inoltre, convenzionato con 23 scuole di psicologia per il tirocinio di specializzazione ed è convenzionato e coopera con 40 tra associazioni e comunità del terzo settore operanti nel territorio;

   dal punto di vista scientifico ha condotto, in una collaborazione tra regione Lazio e Nih-Niaaa, la prima ricerca al mondo sull'epidemiologia della sindrome feto alcolica; sono stati pubblicati più di 120 articoli su riviste internazionali e sono state editate nel 2015 le linee guida regionali in alcologia, con l'approvazione di un ampio board scientifico di caratura sia nazionale che internazionale;

   nel Policlinico Umberto I è stata attivata una collaborazione tra ginecologi, ostetriche, neonatologi, dismorfologi, radiologi e operatori del Crarl che rappresenta il primo Centro in Italia in grado di fare diagnosi di sindrome feto alcolica, e per tale attività sono stati firmati accordi di collaborazione con gli ordini professionali delle Ostetriche, degli psicologi e degli assistenti sociali, con il Comitato nazionale delle professioni sanitarie e altre organizzazioni utili ai fini della prevenzione primaria, secondaria e terziaria;

   da informazioni assunte dall'interrogante risulta che gran parte del lavoro presso il Crarl viene svolto da precari (Co.Co.Co.) che hanno sviluppato competenze importanti con contratti prima a progetto, poi inseriti nel bilancio aziendale e pagati con fondi messi a disposizione del Crarl con delibera del commissario ad acta 391 del 2016 e 334 del 2017, a valere anche per il 2018;

   questi contratti sono attualmente in scadenza il 31 dicembre 2018 e la direzione strategica aziendale non si è pronunciata in merito all'intenzione di rinnovarli o stabilizzarli al fine di mantenere i livelli essenziali di assistenza;

   occorre tenere presente che questi contratti servono per ottemperare alle funzioni previste dalla regione che, nelle more di contratti a tempo indeterminato, ha autorizzato (con nota dell'allora direttore regionale salute e politiche sociali Vincenzo Panella, attuale direttore generale del Policlinico Umberto I) bandi di concorso il cui termine per la presentazione delle domande scadeva il 20 marzo 2018, ma a tutt'oggi non sono ancora stati espletati, e non sono state neanche nominate le commissioni –:

   se il Governo non ritenga opportuno intraprendere, per quanto di competenza, iniziative urgenti, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali, volte a consentire la permanenza in vita del Centro di riferimento alcologico della regione Lazio presso il Policlinico Umberto I di Roma, al fine di garantire l'accesso alle cure per migliaia di pazienti affetti da disturbo da uso di alcol, salvaguardando il diritto costituzionale alla salute.
(3-00390)

SUD

Interrogazione a risposta immediata:


   LOLLOBRIGIDA, MELONI, BUCALO, FERRO, GEMMATO, VARCHI, ACQUAROLI, BELLUCCI, BUTTI, CARETTA, CIABURRO, CIRIELLI, CROSETTO, LUCA DE CARLO, DEIDDA, DELMASTRO DELLE VEDOVE, DONZELLI, FIDANZA, FOTI, FRASSINETTI, LUCASELLI, MASCHIO, MOLLICONE, MONTARULI, OSNATO, PRISCO, RAMPELLI, RIZZETTO, ROTELLI, SILVESTRONI, TRANCASSINI e ZUCCONI. — Al Ministro per il sud. — Per sapere – premesso che:

   nel mese di luglio 2018 il Gruppo parlamentare di Fratelli d'Italia ha presentato un disegno di legge, atto Senato n. 407, recante «Introduzione dell'articolo 24-ter del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, in materia di regime fiscale agevolato per i pensionati che trasferiscono la loro residenza in Italia, in uno dei comuni delle regioni dell'ex obiettivo “Convergenza”»;

   come si legge nella relazione, il «disegno di legge – prendendo spunto dall'attuale normativa fiscale di favore vigente in alcuni Paesi, anche europei, per i cittadini stranieri che decidano di trasferirsi in essi (è il caso, in particolare, della disciplina portoghese dei cosiddetti “residenti non abituali”) – intende introdurre, anche nel nostro ordinamento, un sistema fiscale speciale agevolato per talune categorie di “nuovi residenti”, ossia per i pensionati stranieri che si trasferiscano in uno dei comuni italiani ricadenti nelle regioni dell'ex obiettivo “Convergenza” (Puglia, Calabria, Campania, Sicilia)»;

   secondo i proponenti la misura costituirà un efficace strumento di sostegno all'economia generale dell'Italia, in grado di attivare un processo di sviluppo locale anche grazie all'incremento dei consumi e degli investimenti atteso dal reinsediamento delle aree meridionali, colmando il divario (anche in termini competitivi) esistente tra Nord e Sud e favorendo e incentivando lo sviluppo delle aree più disagiate della nostra nazione;

   durante il mese di agosto 2018 il Ministro dell'interno e leader della Lega Matteo Salvini ha lanciato la medesima idea, ipotizzando la possibilità di favorire il trasferimento in Italia dei pensionati residenti all'estero, ribadendo pochi giorni dopo che «ci sono migliaia di pensionati italiani che vanno in Spagna e Portogallo per non pagare la tassa su pensioni. Io penso che alcune zone del nostro Paese siano molto più belle, accogliente e ospitali. Proporrò una zona di esenzione fiscale anche in Italia»;

   ora la Lega avrebbe presentato un emendamento al disegno di legge di bilancio per il 2019 al Senato della Repubblica, con il quale avrebbe formalizzato l'iniziativa, prevedendo di realizzarla attraverso il riconoscimento di una tassazione agevolata forfettaria in favore dei pensionati attualmente residenti all'estero che si trasferiscano o ritrasferiscano in Italia, ma solo nelle regioni Sicilia, Calabria, Sardegna, Campania, Basilicata, Abruzzo, Molise e Puglia;

   il contenuto del citato disegno di legge ha già formato oggetto di alcuni emendamenti presentati al disegno di legge di bilancio per il 2019 durante l'esame presso la Camera dei deputati, ma nessuno di questi è stato accolto, atteggiamento poco chiaro se si considera che l'iniziativa sarebbe sostenuta anche da ambienti della maggioranza –:

   quale sia l'orientamento del Governo in merito alla concreta realizzazione dell'iniziativa di cui in premessa.
(3-00397)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:

   desta preoccupazione la situazione della Dm Elektron di Buja (Udine), fabbrica friulana di schede elettroniche, dove dall'8 dicembre 2018 è stato avviato un picchetto di lavoratori, poi sgomberato dalla polizia;

   da alcuni mesi, senza nessun preavviso, e senza informare né sindacato né lavoratori, l'azienda ha iniziato il trasferimento di parte delle linee produttive in Romania. Inoltre, dal mese di novembre 2018, la proprietà non avrebbe dato risposte alle richieste sindacali di incontro per avere chiarimenti sulle sue reali intenzioni;

   secondo il sindacato ci sono tutti i segnali di una delocalizzazione in atto; i macchinari di alcune linee di produzione sono stati smontati per essere trasferiti nella sede rumena di Râşnov, inaugurata nel mese di settembre 2018. Quegli stessi impianti, inoltre, non sono stati poi sostituiti, anzi, la gran parte dei lavoratori che operava sulle linee produttive poi dismesse è stata messa in ferie senza alcun preavviso;

   oltre a questo, alcuni dipendenti parlano di un ritardo nei versamenti al fondo pensionistico «Cometa» (l'ultimo risale a fine 2017, quando andrebbe versato ogni 3 mesi con tanto di esposizione in bacheca) e del mancato versamento delle quote sindacali dalle buste paga, ferme a marzo 2017;

   il titolare/amministratore delegato della DM Elektron rigetta qualsiasi intenzione di delocalizzare l'azienda e parla di «un processo di incremento delle attività e di riorganizzazione», ma il sindacato teme lo spostamento della produzione in Romania. In Friuli potrebbero rimanere prototipazione e progettazione;

   il 12 dicembre 2018 si è svolto a Trieste presso la sede regionale, l'incontro tra il presidente della regione Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, gli assessori regionali al lavoro e alle attività produttive, i rappresentanti della DM Elektron e le organizzazioni sindacali. Il direttore generale della DM Elektron ha confermato l'impegno produttivo a Buja, ma non ha preso impegni rispetto al mantenimento degli attuali livelli occupazionali nel sito. Questo anche a fronte di un taglio dell'Irap approvato dalla giunta regionale;

   i sindacati hanno reso noto che, contrariamente a quanto dichiarato nell'incontro in regione dalla proprietà, che ha detto che in Romania c'erano lavoratori più qualificati, nei mesi scorsi alcuni lavoratori italiani sono stati inviati in Romania per addestrare i lavoratori rumeni. Questo elemento non depone a favore di una soluzione positiva della vertenza, in quanto già in occasione dello sgombero dei lavoratori, sollecitato dalla proprietà, questa aveva parlato di «danno d'immagine incalcolabile», di «dipendenti strumentalizzati», ma soprattutto di difficoltà a «lavorare con chi mi insulta»;

   il Governo si è reso disponibile all'apertura di un tavolo di confronto con tutti gli interlocutori interessati, nelle opportune sedi istituzionali, al fine di garantire la salvaguardia del valore aziendale e dei posti di lavoro;

   in assenza di aiuti di Stato alla DM Elektron le misure sanzionatorie per il contrasto alla delocalizzazione delle impresa introdotte dal «decreto Dignità» (decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87) sono totalmente inutili;

   altrettanto inutile è il «Fondo Calenda» contro le delocalizzazioni, perché riguarda solo le aziende con più di 250 dipendenti e più che altro contiene misure di ristoro alla perdita del posto di lavoro –:

   quali ulteriori iniziative intenda assumere il Governo per tutelare i lavoratori della DM Elektron e il loro bagaglio di conoscenze tecnologiche e se non ritenga opportuno promuovere, per quanto di competenza, una verifica sulla complessiva correttezza dei comportamenti della proprietà della DM Elektron, sia nei rapporti sindacali, che in termini di accesso alla cassa integrazione negli scorsi anni, che fiscale e contributiva;

   se il Governo non ritenga di avviare ulteriori iniziative contro il fenomeno della «cannibalizzazione» delle imprese italiane, espressione con la quale si identifica un processo in cui il bagaglio tecnologico e il know how delle maestranze vengono trasferiti in Paesi con minore pressione fiscale e minori tutele del lavoro, desertificando il tessuto produttivo nazionale.
(2-00207) «Sandra Savino».

Interrogazione a risposta immediata:


   ROSTAN, FORNARO e BERSANI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40, meglio noto come «decreto Bersani», ha introdotto una particolare deroga alla formula bonus/malus delle polizze assicurative auto;

   la legge, nel perseguire il fine della sicura e completa risarcibilità del danno da incidente stradale, impone una copertura assicurativa che dovrebbe essere indenne da eventuali effetti distorsivi del mercato, primo dei quali il forte squilibrio territoriale determinato dal marcato differenziale tra l'importo del premio medio applicato in alcune città, prevalentemente del Sud, e l'importo di gran lunga superiore a quello di altre città, prevalentemente del Nord. Infatti, posto pari a 419 euro il prezzo medio annuo nazionale di una polizza rc auto nel terzo trimestre del 2018, il medesimo costo sale a 539 euro in Campania e sfiora i 303 euro in Valle d'Aosta;

   il motivo addotto dalle compagnie di assicurazione a giustificazione di tale sperequazione è da ricondurre alla maggiore entità dei sinistri liquidati in alcune parti del territorio, attraverso un perverso meccanismo che scarica il peso non solo sugli assicurati che attivano le procedure di risarcimento, attraverso il successivo aumento del loro premio, ma anche su quelli virtuosi, che, nonostante non commettano sinistri, pagano tariffe più alte per la sola ragione di essere residenti in comuni ad «alta sinistrosità»;

   nel corso della XVII legislatura, in occasione dell'esame in sede referente del cosiddetto «decreto concorrenza», fu approvato un emendamento denominato «tariffa Italia», che consentiva agli automobilisti residenti nelle regioni dove il costo medio del premio è superiore alla media nazionale, e che non avessero fatto incidenti per 5 anni consecutivi, di accedere alla migliore tariffa d'Italia, a prescindere dalla provincia di residenza;

   nel corso del successivo esame al Senato della Repubblica il contenuto del suddetto emendamento è stato eliminato su iniziativa dei relatori del provvedimento;

   il Ministro interrogato, che all'epoca sottoscrisse l'emendamento, si è più volte impegnato a voler superare l'eccessivo squilibrio territoriale dei prezzi delle polizze, preannunciando perfino un intervento normativo in tal senso da inserire nella stessa manovra di bilancio per il 2019 –:

   se il Governo non ritenga più eludibile un'iniziativa normativa atta a cancellare la discriminazione territoriale nelle tariffe assicurative della rc auto, dando vita ad una tariffa unica nazionale per gli automobilisti virtuosi, sul modello della «tariffa Italia» di cui in premessa.
(3-00396)

Interrogazione a risposta orale:


   DE GIORGI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il 6 settembre 2018 la complessa fase relativa all'acquisizione dell'Ilva da parte della multinazionale franco-indiana ArcelorMittal faceva registrare una svelta decisiva con l'accordo fra lo stesso colosso industriale e le organizzazioni sindacali della Fim Cisl, Fiom Cgil, Uilm e Usb;

   in quella stessa data presso la sede del Ministero dello sviluppo economico veniva sottoscritta un'intesa secondo cui ArcelorMittal si impegnava ad assumere 10.700 delle unità già operanti in Ilva, a predisporre un piano di incentivazione all'esodo volontario ed anticipato di quei dipendenti decisi a non proseguire il loro rapporto con l'azienda, a proporre l'assunzione a tutti i lavoratori che sarebbero rimasti in capo all'amministrazione controllata entro il 30 settembre 2025 e, a livello produttivo, ad individuare e perseguire le soluzioni tecnologiche più sostenibili, efficienti e con il minor impatto ambientale;

  ad oggi nulla è stato ancora dimostrato riguardo all'adeguatezza del piano ambientale riservato per la città di Taranto, di contro hanno destato forti perplessità alcuni criteri adottati dalla multinazionale franco-indiana nell'ambito della scelta e della gestione del personale. In data 13 dicembre, l'Usb – Coordinamento Taranto – ha proclamato 32 ore di sciopero a partire dalle 23,00 del 17 dicembre 2018 proprio in virtù (come si legge nel comunicato diramato dalla stessa sigla sindacale con cui annuncia la mobilitazione del personale) della scarsa «chiarezza circa la mancata applicazione dei criteri di legge e la consegna della documentazione attestante gli stessi in riferimento all'accordo del 6 settembre, al quale si aggiungono operazioni di taglio ingiustificato del personale (...) con sovraccarichi di lavoro per coloro che rimangono»;

   la stessa organizzazione sindacale denuncia, inoltre, l'affidamento a terzi di servizi precedentemente svolti da lavoratori Ilva come pulizie civili, attività di manutenzione presso officine centrali e quelle afferenti all'Area 12;

   come se non bastasse, al momento da ArcelorMittal non sembra siano giunte spiegazioni plausibili in ordine alle modalità che hanno portato alla selezione del personale da assumere, circostanza che ha prodotto forti critiche da parte delle organizzazioni sindacali, proprio perché non sarebbero stati rispettati i termini del già citato accordo –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tale situazione e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, per scongiurare eventuali violazioni dell'accordo sottoscritto il 6 settembre 2018 nell'ambito della «vicenda Ilva».
(3-00389)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BENAMATI, CARLA CANTONE, CRITELLI, DE MARIA e RIZZO NERVO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   Industria italiana autobus (Iia) è un'azienda nata nel 2015 attraverso il raggruppamento dell'ex Bredamenarini di Bologna e l'Irisbus di Avellino;

   l'azienda, stante la crisi industriale e finanziaria partita nel 2016 che rischia di compromettere il futuro dei lavoratori (154 a Bologna e 290 a Flumeri), ha richiesto l'intervento del Ministero dello sviluppo economico per cercare delle soluzioni che consentano la ristrutturazione degli stabilimenti e la piena ripresa dell'attività produttiva anche alla luce della scadenza, il 31 dicembre 2018, degli ammortizzatori sociali attualmente erogati;

   l'8 ottobre 2018 si è svolto al Ministero dello sviluppo economico l'ultimo tavolo di crisi durante il quale Ferrovie dello Stato italiane ha confermato l'interesse al progetto, Leonardo ha ribadito l'intenzione di incrementare la propria partecipazione societaria nell'azienda, Invitalia ha ribadito la volontà di proseguire nell'operazione di rilancio;

   l'11 dicembre 2018 l'assemblea degli azionisti di Iia ha deciso di ricapitalizzare l'azienda che è ora controllata al 70 per cento dall'ormai ex socio turco di minoranza, Karsan, e per il restante 30 per cento da Leonardo: secondo fonti ministeriali, si tratterebbe di una soluzione «tampone» che dovrebbe durare circa un mese e che ha consentito di evitare il fallimento dell'azienda a causa dei debiti, mantenendola in attività, in attesa che torni sotto il controllo pubblico;

   è evidente, invece, come il Governo finora, ad avviso degli interroganti, non sia stato assolutamente in grado di finalizzare l'annunciato progetto di favorire la creazione di un polo pubblico per la produzione di autobus, e che quanto fatto finora, per evitare la delocalizzazione della produzione, sia stato insufficiente: nell'ultimo anno Iia ha vinto numerosi bandi pubblici e la scorsa estate aveva in casa ordini per 1.100 nuovi autobus da costruire, ma, a causa dell'immobilismo del Governo, peraltro già segnalato dagli interroganti, non si è arrivati a una soluzione che consentisse il rilancio dell'azienda e l'avvio della produzione, dal momento che a Bologna e a Flumeri si continua con la cassa integrazione e con una produzione a singhiozzo, stante il fatto che le commesse sono state in buona parte delocalizzate in Turchia, alla controllata Karsan, che è diventata il nuovo socio di maggioranza –:

   quale sia lo stato della trattativa in corso, che per ora ha contraddetto tutte le indicazioni ufficiali fornite, e quali iniziative urgenti intenda intraprendere il Governo per assicurare l'erogazione degli stipendi e degli ammortizzatori sociali in favore dei lavoratori e la continuità aziendale e per trovare una soluzione alle problematiche esposte in premessa circa la crisi di Industria italiana autobus.
(5-01117)


   FOTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   con ricorso presentato davanti il Tribunale di Milano – sezione fallimentare di Milano – Selta s.p.a. ha proposto una domanda ex articolo 161, comma 6, della legge fallimentare, riservandosi di presentare entro un assegnando termine una proposta definitiva di concordato preventivo o una domanda di omologa di accordi di ristrutturazione dei debiti;

   dalla documentazione presentata risulterebbe la sussistenza del presupposto soggettivo di fallibilità e di quello oggettivo della ricorrenza di uno stato di crisi (dato l'esposto Mol negativo di circa euro 3,3 milioni di euro, la perdita di esercizio al 31 luglio 2018 per euro 3,4 milioni e l'esposizione debitoria complessiva all'attualità pari a 47 milioni) richiesti per l'accesso alle procedure di concordato preventivo e/o di omologa di accordi di ristrutturazione dei debiti;

   alla luce di quanto sopra con decreto del tribunale di Milano del 5 dicembre 2018 risulta concesso a Selta spa termine fino al 1° aprile 2019 per la presentazione di una proposta definitiva di concordato preventivo o di una domanda di omologa di accordi di ristrutturazione dei debiti;

   risulta all'interrogante che il predetto tribunale abbia nominato un commissario giudiziale nella persona dell'avvocato Maria Grazia Giampieretti che dovrà vigilare sull'attività che la società ricorrente andrà a compiere fino alla scadenza del suddetto termine, riferendo immediatamente al tribunale ogni fatto costituente violazione degli obblighi di cui agli articoli 161 e 173 della legge fallimentare e di quelli espressamente specificati nel decreto;

   dell'iniziativa assunta dalla Selta spa non sono mai stati notiziati né i dipendenti, né le organizzazioni sindacali. Quest'ultime hanno diffuso un comunicato stampa (http://www.liberta.it) particolarmente duro nei confronti di Selta spa, in cui tra l'altro si legge con riferimento al summenzionato ricorso: «è l'ennesimo gesto di arroganza di una società che non ha mai dato retta, in questi anni, né a noi né tantomeno ai revisori che sottolineavano, nell'ultimo bilancio societario, alcune voci di gestione da mettere sotto controllo». Ed ancora, si richiede che gli emolumenti del consiglio di amministrazione di Selta spa vengano adeguati alla situazione e che l'assemblea dei soci intervenga prontamente per emolumenti del predetto che appaiono incomprensibili e spropositati;

   in ragione di quanto sopra esposto i dipendenti di Selta hanno deciso di organizzare un presidio di fronte ai cancelli dell'azienda in occasione dell'incontro sindacale previsto per la mattinata del 14 dicembre 2018 –:

   se i fatti siano noti al Ministro interrogato, quali siano i suoi orientamenti al riguardo e quali immediate iniziative di competenza intenda assumere, anche attraverso l'apertura di un tavolo di crisi presso il Ministero dello sviluppo economico, al fine di efficacemente affrontare la situazione sopra rappresentata.
(5-01120)


   MURELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   dopo 46 anni di vita, la Selta spa, azienda nata a Milano nel 1972 ma con sede a Cadeo (PC) dagli anni ’80, ha aperto la procedura di concordato preventivo;

   trattasi di un'azienda storica di rilevanza strategica, in quanto progetta e realizza piattaforme e reti di comunicazione e sistemi di controllo e automazione per le principali imprese, enti pubblici, operatori di rete fissa e mobile e multiutilities, garantendo la sicurezza delle principali infrastrutture critiche nazionali e connotatasi come il maggior produttore italiano di tecnologie e soluzioni per la business communication e per le reti a banda larga;

   alla sede centrale di Cadeo si sono poi aggiunte, nel tempo, quelle di Tortoreto (Teramo) e Roma, oltre alla presenza sul mercato estero, affiancata da una rete di partner commerciali in Europa, Africa, Medio e Lontano Oriente, filiali e centri di supporto tecnico in Spagna e nella Federazione russa;

   nel corso dei decenni l'azienda ha collezionato importanti traguardi sia sul mercato italiano che su quello estero, oltre ad aggiudicarsi prestigiosi premi, come il premio innovazione Anie per aver sviluppato una delle prima piattaforme ibride per la comunicazione IP;

   da tempo si rincorrevano le voci sulle difficoltà dell'azienda, dovute, in particolare, alla crisi che ha investito il settore riducendo al minimo le commesse e a scelte opinabili da parte dei vertici sulle quali i lavoratori sono stati tenuti all'oscuro e contro le quali oggi protestano in sit-in;

   la scorsa estate una quarantina di dipendenti piacentini erano finiti in cassa integrazione, 31 a Tortoreto e 8 a Roma, e ora la decisione del concordato preventivo fa tremare circa 300 dipendenti, di cui 137 solo a Cadeo;

   secondo i libri contabili depositati in tribunale, l'azienda registra una perdita di esercizio riferita al 31 luglio, di 3,4 milioni di euro e una esposizione debitoria complessiva attuale pari a 47 milioni di euro;

   il 14 dicembre 2018 si è tenuto un incontro con le rappresentanze sindacali dei lavoratori nella sede di Confindustria di Piacenza di 4 ore, terminato con la presa di coscienza dell'urgenza di trovare nuovi investitori entro i prossimi 4 mesi per evitare il fallimento e la chiusura definitiva dell'azienda;

   il tribunale di Milano, infatti, ha fissato al 1o aprile 2019 il termine per la presentazione da parte di Selta SpA di un piano di riorganizzazione aziendale e ripianamento della posizione debitoria –:

   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare con urgenza a salvaguardia di centinaia di posti di lavoro e di un'eccellenza del territorio piacentino e del Paese tutto per know-how, competenze e strutture;

   se il Governo non ritenga necessario convocare, nell'immediatezza, un tavolo istituzionale con tutte le parti interessate.
(5-01123)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CONTE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   la Treofan è un'azienda leader nella produzione di film di polipropilene biorientato (Bopp), distribuiti con i marchi Treofan e TreoPore: prodotti utilizzati in vari settori relativi soprattutto al confezionamento e all'imballaggio di alimenti, tabacchi, ed etichettature;

   il gruppo impiega circa 1.100 persone, gestisce quattro siti produttivi in Germania, Italia e Messico e vende i suoi prodotti in oltre 90 mercati in tutto il mondo;

   la divisione italiana (Treofan Italy spa) ha attivi due stabilimenti: uno a Terni e uno a Battipaglia, in provincia di Salerno;

   complessivamente sono occupati oltre 200 lavoratori, di cui 65 a Battipaglia;

   il 24 ottobre 2018 l'azienda è stata acquisita dalla società indiana Jindal, che starebbe lavorando a un progetto di ridefinizione di obiettivi e strategie per i siti italiani, che sta creando non poche preoccupazione tra lavoratori e sindacati;

   la vendita di cui sopra ha comportato come effetto immediato a Battipaglia: a) il blocco parziale dello scarico delle cisterne contenenti la materia prima; b) la messa in programma di uno «stop» produttivo temporaneo alle linee; c) il trasferimento del prodotto finito allo stabilimento tedesco di Neunkirchen della Treofan Germany;

   si teme che questi siano solo i primi segnali e che con il nuovo assetto societario possa essere sacrificato del tutto lo stabilimento di Battipaglia, con un grave contraccolpo sul tessuto produttivo e occupazionale, già da tempo in crisi;

   Battipaglia negli ultimi anni ha visto ridimensionare la sua forza produttiva e industriale, con la perdita di oltre mille posti di lavoro, e il ricorso a centinaia di migliaia di ore di cassa integrazione, con un conseguente impoverimento di tutto il territorio;

   contro la temuta chiusura dello stabilimento Treofan di Battipaglia è in corso una mobilitazione di lavoratori e sindacati, a cui si sono unite anche le istituzioni locali, che manifestano una legittima preoccupazione per il rischio di perdere posti di lavoro –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto e come intenda attivarsi, nell'ambito delle proprie competenze, per scongiurare la compromissione dei livelli occupazionali della Treofan Italy spa, in particolare per lo stabilimento di Battipaglia, in provincia di Salerno; se non si intenda promuovere rapidamente un incontro con i vertici dell'azienda, unitamente alle forze sociali, per tutelare produzione e lavoro sul territorio in questione.
(4-01873)


   SUT. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   l'energia svolge un ruolo cruciale nello sviluppo di un Paese sia come fattore abilitante, in quanto usufruire di energia a basso costo e a basso impatto ambientale è fondamentale per lo sviluppo delle imprese e delle famiglie, sia come fattore di crescita in sé;

   al fine di assicurare un'energia più competitiva e sostenibile, la Commissione europea nel 2007 ha gettato le basi per la politica energetica europea e successivamente, nel 2008, ha approvato il pacchetto clima ed energia (decisione n. 406/2009/CE), il primo di una lunga serie di provvedimenti per la governance del settore tesi a ridurre le emissioni dei gas a effetto serra e stimolare l'internalizzazione dei costi ambientali associati ai cambiamenti climatici;

   in linea con i suddetti provvedimenti e nell'ottica di definire un percorso di decarbonizzazione per l'Italia, con il decreto interministeriale dell'8 marzo 2013 è stata approvata la strategia energetica nazionale (Sen) con cui si sono previste la chiusura di tutte le centrali a carbone entro il 2025 e l'adozione di misure per raggiungere i traguardi di crescita sostenibile e tutela dell'ambiente attraverso le energie rinnovabili e l'efficienza energetica;

   la centrale di Monfalcone (Gorizia) è ubicata su un'area di circa 20 ettari lungo la sponda orientale del Canale Valentinis, nella zona industriale del comune di Monfalcone, adiacente all'area del porto commerciale;

   la società A2A, proprietaria dell'impianto, ha previsto la trasformazione della sezioni a carbone in una centrale a ciclo combinato alimentata a gas naturale da circa 800 megawatt elettrici, compresa la realizzazione di un metanodotto quale opera connessa al corpo principale;

   a parere dell'interrogante, in linea con gli obiettivi comunitari sopra citati, avrebbe più senso riconvertire la centrale di Monfalcone in un mega impianto di accumulo in grado di fornire la stessa capacità di una grande turbina a gas o di una centrale a carbone;

   in particolare, per raggiungere gli 800 megawatt elettrici attualmente garantiti dalla centrale, si tratterebbe di installare una moltitudine di impianti fotovoltaici diffusi sui tetti della regione Friuli Venezia Giulia, attrezzati con batterie per accumulo, di pari potenza e, all'interno del sito occupato dalla centrale, installare una centrale di solo accumulo per compensare i picchi di richiesta nei periodi sfavorevoli;

   si tratta di un sistema ramificato e diffuso costituito dalla messa in rete degli impianti fotovoltaici distribuiti sul territorio che accumuleranno collettivamente l'energia prodotta e la renderanno disponibile sia per l'alimentazione dei propri fabbisogni che per l'immissione in rete –:

   se il Ministro interrogato non ritenga di fornire, per quanto di competenza, i dati relativi all'andamento della produzione di energia ovvero il valore di potenza elettrica immessa in rete dalla centrale almeno ogni 15 minuti, negli ultimi due anni di attività, al fine di valutare la fattibilità della conversione della stessa in un mega impianto di accumulo.
(4-01875)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Scalfarotto e altri n. 1-00089, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 dicembre 2018, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Luca.

  La mozione Bellucci e altri n. 1-00090, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 dicembre 2018, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ciaburro.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Donzelli e Cirielli n. 4-01366, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 ottobre 2018, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Meloni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Rizzetto n. 5-01062, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 dicembre 2018, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bucalo.

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Meloni n. 1-00080, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 85 del 16 novembre 2018.

   La Camera,

   premesso che:

    il Global Compact, ovvero il «Patto globale per una migrazione sicura, ordinata e regolare», viene presentata come la più ampia iniziativa strategica di revisione dei flussi migratori e della loro gestione, nata sulla spinta della Dichiarazione di New York, sottoscritta in sede Onu il 5 agosto 2016, e ne traccia gli obiettivi fondamentali;

    il Global Compact è finanziato da contributi volontari dei Governi a UN Trust fund;

    l'11 dicembre 2018 a Marrakech 164 nazioni hanno sottoscritto il «Global Compact for safe, orderly and regular migration»;

    Stati Uniti, Australia, Ungheria, Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Bulgaria, Polonia, Lettonia, Cile, Croazia, Svizzera e Israele non hanno sottoscritto e non sottoscriveranno il Global Compact sulle migrazioni, sul presupposto che il documento non stabilisce una netta differenza tra migrazione legale ed illegale,

impegna il Governo

1) a non sottoscrivere il «Global Compact for safe, orderly and regular migration».
(1-00080) (Ulteriore nuova formulazione) «Meloni, Lollobrigida, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Fidanza, Zucconi».