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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 5 dicembre 2018

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,

   premesso che:

    il regolamento 1257/2012 del Parlamento e del Consiglio dell'Unione europea e il regolamento n. 1260/2012 del Consiglio, adottati il 17 dicembre 2012, entrati in vigore il 20 gennaio 2013, istituiscono una tutela brevettuale unitaria e il regime di traduzione applicabile;

    il 19 febbraio 2013 è stato firmato a Bruxelles l’Agreement istitutivo del Tribunale unificato dei brevetti (Tub), pubblicato in Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea il 20 giugno 2013, che sarebbe dovuto entrare in vigore la scorsa primavera ma è tuttora in attesa di ratifica da parte della Germania, uno dei tre Paesi, insieme con la Francia e la Gran Bretagna, la cui adesione è condizione per l'avvio della nuova giurisdizione;

    il Tribunale è un organismo a composizione multinazionale, dotato di personalità giuridica internazionale e ampia capacità di agire;

    l’Agreement prefigura in primo grado una «biforcazione» geografica tra la divisione centrale con sede principale a Parigi e sezioni «tematiche» a Londra e Monaco sulle quali andranno distribuiti gli affari litigiosi secondo otto classi merceologiche tra quelle riportate nella classificazione brevettuale WIPO5 e le divisioni locali/regionali;

    le divisioni locali sono istituite presso ciascuno Stato contraente a sua richiesta e potranno superare l'unità (fino ad un massimo di 4 divisioni) per ogni 100 procedimenti per anno civile calcolati nel triennio precedente o successivo all'entrata in vigore dell'Accordo;

    l'Italia ha adottato tutti gli atti di competenza nazionale relativi al Tub ed è pronta a partire la divisione locale italiana, che sarà a Milano, quindi vicina al mondo imprenditoriale più forte del Paese, per l'avvio delle attività del nuovo sistema brevettuale;

    per tale divisione è stata individuata una sede di 850 metri quadrati in via Barnaba 50;

    la natura di trattato multilaterale dell'Accordo sul Tribunale unificato e il già avvenuto deposito dello strumento di ratifica fanno ritenere alla Gran Bretagna di poter mantenere a Londra, anche in caso di piena attuazione della «Brexit», la sezione della sede principale del tribunale specializzata sulle controversie in tema di brevetti chimici e farmaceutici, oltre che per la cura della persona e la metallurgia;

    il Tribunale unificato dei brevetti è chiamato ad applicare integralmente ed esclusivamente il diritto europeo e posto che i giudici della sezione, nonché gli avvocati e consulenti costituiti nei giudizi in rappresentanza delle parti, dovranno essere cittadini dell'Unione europea, sarebbe preferibile che la sezione specializzata della sede del Tribunale unificato sia dislocata in uno Stato appartenente all'Unione europea;

    l'Italia, tuttavia, è il quarto Paese europeo per numero di brevetti depositati annualmente, per una quantità superiore al 10 per cento del totale europeo di 1,8 milioni;

    il criterio quantitativo è stato determinante per la scelta della sede principale e delle due sezioni della stessa sede principale, con relativa ripartizione di competenze per materia;

    il precedente Governo aveva intrapreso iniziative volte a trasferire la sede principale specializzata sulle controversie in tema di brevetti chimici e farmaceutici, oltre che per la cura della persona e la metallurgia da Londra (sede deputata dall’Agreement) a Milano;

    la sede individuata per la divisione locale di Milano, per dimensioni e caratteristiche strutturali, risulterebbe adeguata anche nell'ipotesi di assegnazione di una sezione specializzata della divisione centrale del Tub;

    la scelta di trasferire la sezione centrale specializzata in metallurgia, life sciences e chimica farmaceutica rafforzerebbe la vocazione industriale e l'indotto di servizi avanzati di Milano, della Lombardia e dell'Italia,

impegna il Governo

1) a sostenere concretamente la candidatura di Milano, già sede di una divisione locale del Tribunale unificato brevetti e in possesso di tutti i requisiti logistici e delle competenze giurisdizionali, professionali e imprenditoriali, a sede della sezione specializzata sulle controversie in tema di metallurgia, life sciences e chimica farmaceutica del Tribunale unificato dei brevetti e a porre in essere tutte le iniziative necessarie in tal senso, affinché non venga sprecata un'occasione unica di crescita, di prestigio internazionale e di indotto occupazionale per l'intero Paese.
(1-00085) «Mandelli, Gelmini».


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto ministeriale n. 468 del 2001 ha istituto il sito da bonificare di interesse nazionale (Sin) «Frosinone», perimetrato con decreto ministeriale 2 dicembre 2002 e con decreto ministeriale 23 ottobre 2003, a cui è seguita l'istituzione del successivo Sin bacino del fiume Sacco. Il Sin di Frosinone è stato istituito dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a seguito della proposta – effettuata da parte della regione Lazio nel 1999 – di inserimento tra i siti da bonificare di interesse nazionale di ben n. 121 discariche di rifiuti solidi urbani distribuite su tutto il territorio della provincia di Frosinone e presenti in n. 80 comuni sui n. 91 costituenti la provincia;

    alla data di approvazione del piano regionale delle bonifiche di cui alla delibera della giunta regionale 591 del 14 dicembre 2012, delle n. 121 discariche solamente n. 7 avevano visto conclusa la procedura/di bonifica e dall'elenco dei siti contaminati pubblicato dall'Arpa Lazio ed aggiornato all'anno 2016 (httg://www.arpalazio.gov.it) si rileva che per numerose discariche dell'ex Sin Frosinone non è stata ancora completata la bonifica;

    la definizione del nuovo perimetro del (SIN) Bacino del fiume Sacco di cui al decreto ministeriale n. 321 del 2016, a conclusione di un decennale periodo di alterne vicende giudiziarie e amministrative, ha certificato l'esistenza di una vasta area a cavallo fra le province di Roma e Frosinone e lungo tutta l'asta fluviale, oggetto di un grave inquinamento ambientale;

    l'origine del Sin bacino del fiume Sacco riguarda la contaminazione di suoli ed acque derivata sia dallo sversamento abusivo di rifiuti e sostanze pericolose di origine industriale sia dall'abbandono, rilascio, smaltimento. Quanto emerso, sia durante le operazioni di caratterizzazione dell'area industriale di Colleferro e di Anagni, che successivamente e fino all'attualità per i siti industriali dismessi nel Comune di Ceprano e Falvaterra, ha posto in evidenza che la pratica dell'interramento di rifiuti industriali per evitare gli oneri di smaltimento si è aggiunta e sommata come causa della contaminazione di suoli ed acque a quella dell'esercizio delle stesse attività industriali. A titolo di esempio, si cita il recente episodio di smaltimento illecito di rifiuti di origine industriale avvenuto nel formine di Ferentino nel gennaio 2017, laddove veniva scoperto l'interramento in un sito industriale dismesso di notevoli quantità di rifiuti pericolosi;

    alla grave compromissione ambientale, si aggiungono altre due note criticità che riguardano la Valle del Sacco: la depurazione delle acque e la qualità dell'aria;

    nel fiume Sacco continuano a riversarsi, da oltre un ventennio, gli scarichi dei reflui di diverse attività industriali, senza alcuna depurazione e senza alcun controllo, come conferma il piano di gestione del bacino idrografico dell'Appennino Meridionale (al quale appartiene il fiume Sacco), approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 aprile 2013, che ha evidenziato che la qualità delle acque del bacino del Sacco è a livello «pessimo», ovvero il grado più basso della scala di qualità di cui alla direttiva ed allo stesso decreto legislativo n. 152 del 2006. Le cause di tale degrado sono ben individuate dal medesimo piano di gestione del bacino idrografico dell'Appennino meridionale, laddove nella azione (pagina 91) si legge: «Il fenomeno era ed è tuttora da attribuirsi alla mancata regolamentazione del sistema di scarichi da varia natura, in specie industriali. Ad oggi nell'area persistono condizioni di emergenza ambientale connessi ancora ad un sistema di collettamento e depurazione non idoneo o comunque non sufficiente a garantire standard qualitativi delle acque reflue compatibili con la tutela e salvaguardia delle risorse idriche». Anche l'Ufficio Commissariale per la bonifica del Sin «Bacino del Sacco» nell'ultima relazione dell'ottobre 2012 sottolineava che: «L'assenza di un impianto di depurazione consortile, promesso da decenni, ha contribuito in modo determinante all'emergenza ambientale nel territorio anagnino. In particolare, tale carenza ha determinato per tutte le imprese, anche di piccole dimensioni, la necessita di trattare i propri reflui in ambito domestico per poi scaricarli nel fiume Sacco o nei di lui affluenti. Da ciò è scaturita nel corso degli anni una impressionante serie di scarichi illeciti di sostanze tossiche che è culminata, nell'estate del 2005, nello sversamento di altissime quantità di cianuri in un affluente del Sacco, il Rio Santa Maria, con conseguente moria di animali e avvelenamento delle colture»;

    con la delibera di giunta regionale n. 536/2016 la regione Lazio ha approvato la relazione dell'Arpa Lazio che aggiorna la zonizzazione del territorio regionale e la classificazione delle zone agglomerati ai fini della valutazione della qualità dell'aria in attuazione dell'articolo 3, dei commi 1 e 2 dell'articolo 4 e dei commi 2 e 5 dell'articolo 8 del decreto legislativo 155/2010. L'intero territorio della Valle del Sacco è stato censito in classe 1, ovvero laddove i superamenti delle concentrazioni di inquinanti in atmosfera, nella specie PM10 e PM2.5, sono tali per quantità ed entità da imporre l'adozione di misure emergenziali a tutela della salute delle popolazione e dell'ambiente;

    la compromissione delle matrici ambientali, suolo, acqua e aria, causata dal sovrapporsi e sommarsi delle criticità innanzi rappresentate, ha determinato delle indubbie ricadute sullo stato di salute della popolazione della Valle del Sacco. Il «Rapporto tecnico sulla sorveglianza sanitaria ed epidemiologia della popolazione residente in prossimità del fiume Sacco» pubblicato nel giugno 2016 dal dipartimento epidemiologico della regione Lazio riporta: «La contaminazione del fiume Sacco rimane un disastro ambientale di proporzioni notevoli che ha comportato una contaminazione umana di sostanze organiche persistenti considerate tossiche dalle organizzazioni internazionali. Proprio perché la contaminazione è purtroppo persistente non esistono metodi di prevenzione e di rimozione dell'inquinante. Si tratta di un episodio che ha implicazioni etiche, politiche e sociali di livello nazionale. Le autorità locali hanno il dovere di informare la popolazione, di salvaguardarne la salute specie dei gruppi sociali più deboli, di offrire l'assistenza sanitaria adeguata, e di garantire un continuo monitoraggio epidemiologico e sanitario. È ovvio che tale assistenza dal punto di vista della tutela sociale e sanitaria del servizio sanitario si deve accompagnare ad un impegno istituzionale coerente per il risanamento ambientale»;

    a fronte del quadro della situazione ambientale della Valle del Sacco fino ad ora delineato e rappresentato, con le indubbie, serie, gravi criticità ambientali, la strategia e gli indirizzi della regione Lazio per la gestione del ciclo dei rifiuti rischiano – come già è avvenuto nel passato – di avere pesantissime ricadute sul territorio, le quali comprometterebbero ulteriormente lo stato ambientale;

    in sostanza la regione Lazio per supplire alla pretesa carenza impiantistica di Roma Capitale nel trattamento della frazione indifferenziata dei rifiuti solidi urbani, nonché per soddisfare il fabbisogno di smaltimento in discarica dei sovvalli non recuperabili e la trasformazione in energia del combustibile derivato dai rifiuti (Cdr) prodotto dagli impianti di trattamento meccanico-biologico (Tmb), ha intenzione di sfruttare l'impiantistica esistente nella provincia di Frosinone che invece è asservita al fabbisogno dei comuni appartenenti al medesimo ambito territoriale ottimale (Ato) provinciale. Il potenziamento delle capacità degli impianti esistenti e l'aumento del conferimento di rifiuti solidi urbani presso gli stessi, comporta impatti ambientali non sostenibili nell'attuale e descritto stato ambientale della Valle del Sacco. L'amministrazione regionale, immemore degli errori del passato, rischia di replicare quanto già avvenuto negli anni ’90, «scaricando» le inefficienze ed i ritardi nell'attuare la gestione del ciclo dei rifiuti sui territori provinciali, in particolare su quello di Frosinone;

    gli impianti esistenti nella provincia di Frosinone e realizzati per soddisfare il fabbisogno impiantistico dell'Ato provinciale, sono il Tmb di Colfelice gestito dalla Saf spa, partecipata interamente pubblica di proprietà dei 91 comuni della provincia di Frosinone, con capacità di trattamento di 327.000 ton/anno; la discarica di Roccasecca, gestita dalla Mad srl, società privata, con capacità residua di circa 300.000 metri cubi; il termovalorizzatore di San Vittore nel Lazio, gestito da ACEA Ambiente spa, società partecipata interamente pubblica con capacità di trattamento – a seguito del già avvenuto potenziamento degli impianti – di circa 400.000 tonnellate/anno. Il fabbisogno dell'Ato di Frosinone è interamente soddisfatto laddove si confronti la suddetta capacità impiantistica con la produzione di rifiuti censita da ISPRA nel 2016, la quale conta una produzione di RSU di circa 175.000 tonnellate/anno. Perciò a fronte di – una produzione annua di 175.000 tonnellate/anno di rifiuti solidi urbani, la provincia di Frosinone ha un'impiantistica che provvede al trattamento di oltre 1 milione di tonnellate all'anno di frazioni derivate dai rifiuti solidi urbani indifferenziati, quasi otto volte superiore al fabbisogno; ne consegue che già attualmente la provincia di Frosinone provvede a soddisfare il fabbisogno regionale e degli altri Ato, in violazione dei prìncipi di autosufficienza e prossimità nel trattamento dei rifiuti solidi urbani come previsto dalla normativa comunitaria, nazionale e dallo stesso piano gestione rifiuti del Lazio,

impegna il Governo

1) a considerare, vista l'urgenza ambientale e sanitaria, l'adozione di iniziative normative volte a prevedere una moratoria del conferimento di rifiuti, provenienti da altri ambiti territoriali ottimali, destinati all'incenerimento e allo sversamento in discarica in provincia di Frosinone, nonché la sospensione delle procedure per l'apertura di nuovi impianti impattanti dal punto di vista ambientale e di nuove discariche nella Valle del Sacco, definendo per tale area disposizioni più restrittive sulla falsariga di quelle contenute nel decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, e promuovendo un monitoraggio di tutti i siti compromessi sia quelli censiti sia quelli non ancora noti.
(1-00086) «Muroni, Fornaro, Epifani, Occhionero, Rostan, Fassina».

Risoluzioni in Commissione:


   La X e XI Commissione,

   premesso che:

    negli ultimi 10 anni la produzione nazionale di auto si è quasi dimezzata, riducendo le sue stime del 48 per cento. In particolare, nel mese di settembre 2018 si è verificato un crollo del mercato, che ha fatto registrare appena 124.967 immatricolazioni, oltre 42 mila in meno rispetto allo stesso mese dello scorso anno, pari ad un calo del 25,37 per cento. Dati significativi, che determinano un bilancio negativo che si ripercuote su tutto l'anno, considerando il totale delle vendite dei primi nove mesi del 2018 che vede il 2,8 per cento in meno rispetto ai volumi dello stesso periodo del 2017;

    la diminuzione delle vendite coinvolge anche la Fiat Chrysler Automobiles (Fca), che in Italia conta trentacinque stabilimenti produttivi. La società, infatti, nel mese di settembre 2018 ha riportato sul territorio nazionale un calo delle immatricolazioni del 40,33 per cento e, nei nove mesi precedenti, un calo delle vendite di circa il 10,56 per cento;

    tale situazione comporta inevitabilmente un rischio per i posti di lavoro del settore. Al riguardo, già sul piano salariale i lavoratori hanno pagato un costo molto alto a causa delle politiche imposte dall'azienda; a ciò si aggiunge che, negli ultimi mesi, si è già assistito ad un aumento dell'uso di contratti di solidarietà e della cassa integrazione. Il rinvio di investimenti nel corso del 2017 e il ritardo nel lancio di nuovi prodotti hanno avuto, infatti, un impatto negativo sull'obiettivo dell'abbandono totale degli ammortizzatori sociali e del raggiungimento della piena occupazione, seppure non si sia in presenza della situazione pre-piano industriale del 2014. Fino a qualche mese fa gli ammortizzatori pesavano poco più dell'8 per cento della forza lavoro, mentre negli ultimi mesi hanno raggiunto l'11 per cento a conferma dell'inversione di tendenza in atto;

    alla luce di detta situazione, si sono mobilitati i lavoratori di tutti gli stabilimenti Fca, rivendicando un confronto sull'andamento occupazionale, salariale e produttivo;

    ebbene, si ritiene necessario adottare iniziative per rinnovare il settore automobilistico, il cui crollo dipende, non solo dagli anni di crisi economica, ma altresì da scelte industriali errate e dai ritardi accumulati sul terreno dell'auto elettrica, settore a cui è stato sino ad oggi impedito un reale decollo. Sul punto, si mette in evidenza che buona parte del calo delle immatricolazioni interessa le autovetture diesel, che sono diminuite di quasi il 40 per cento rispetto al 2017, andando a consolidare un trend che vede questa tipologia di veicoli perdere il 9 per cento Controcorrente, i veicoli elettrici e ibridi sono in crescita rispettivamente del 170 per cento e 30 per cento;

    è quindi necessario adottare misure efficaci per rinnovare il settore automobilistico, incentivando la crescita di una mobilità a impatto zero, pianificando maggiori investimenti nell'elettrico e nell'ibrido;

    è notizia del 29 novembre 2018 che Fca investirà 5 miliardi di euro in Italia, tra il 2019 e 2021, al riguardo; pur prendendo atto che sembra sia prevista la produzione di nuovi modelli nei vari stabilimenti, con la 500 elettrica che verrà prodotta nello stabilimento di Mirafiori, si ritiene che ciò non sia sufficiente per la ripresa del settore e la salvaguardia dei posti di lavoro, e che vada adottato uno specifico piano industriale per garantire lo sviluppo dei comparti dell'elettrico e dell'ibrido,

impegnano il Governo:

   ad assumere urgenti ed idonee iniziative di competenza al fine di tutelare i diritti dei lavoratori dei siti produttivi italiani della Fca e garantire la salvaguardia dei posti di lavoro, anche promuovendo corsi di riqualificazione professionale;

   ad istituire un tavolo di concertazione affinché sia elaborato un piano industriale che preveda, preliminarmente, misure per l'installazione capillare sul territorio nazionale di colonnine di ricarica per auto ibride ed elettriche, nonché la programmazione di interventi per garantire un più veloce sviluppo del settore delle auto ibride ed elettriche.
(7-00122) «Rizzetto, Zucconi».


   La III Commissione,

   premesso che:

    nel 2017 sono stati uccisi 82 giornalisti e operatori dell'informazione. Nei primi 10 mesi del 2018 sono stati invece 72 gli assassinii e due le morti per cause accidentali;

    dal gennaio del 2013 ad oggi sono morti nel mondo per incidente sul lavoro, omicidio o altre cause violente, 650 giornalisti e operatori dei media a vario titolo;

    in molti Paesi la professione di giornalista continua ad essere una delle più pericolose e oltre all'elevato numero di vittime registrate, oramai si contano quotidianamente casi di minacce, sequestri, arresti, attentati ai danni degli operatori dell'informazione;

    le situazioni maggiormente preoccupanti, perché ad essere quotidianamente a rischio è l'incolumità fisica dei giornalisti, si registrano in America Latina, Medio Oriente e Africa; negli ultimi 22 mesi, in America, sono morti rispettivamente 40, 32 e 13 giornalisti. Merita una menzione a parte l'Afghanistan, dove nello stesso periodo sono morti 27 giornalisti;

    uno degli assassini più atroci di giornalisti avvenuti in questi anni si è registrato tuttavia in Europa, il 16 ottobre 2017 quando la reporter investigativa maltese Daphne Caruana Galizia perse la vita nell'esplosione di una bomba piazzata nella sua auto;

    la giornalista investigativa era diventata famosa in tutta Europa per il suo blog e per aver partecipato a far emergere lo scandalo dei «Maltafiles», dando il suo contributo a un'inchiesta internazionale indipendente secondo la quale «lo Stato nel Mediterraneo fa da base pirata per l'evasione fiscale in Ue» e aveva collaborato all'inchiesta sui Panama Papers. Per l'omicidio di Daphne sono stati arrestati i due esecutori, mentre si cercano i mandanti del brutale omicidio;

    in Europa, attendono ancora piena giustizia e verità anche i giornalisti Jan Kuciak, ucciso con la sua fidanzata il 22 febbraio 2018, dopo aver scoperto lo scandalo sulla gestione di fondi strutturali dell'Unione europea in Slovacchia. Aveva collaborato anche lui nei Panama Papers; Viktoria Marinova, giornalista bulgara, uccisa il 6 ottobre 2018, dopo essere stata violentata. Viktoria stava realizzando una inchiesta sulla corruzione e in particolare sull'utilizzo fraudolento dei fondi strutturali europei;

    nella sponda europea della città di Istanbul ha trovato invece la morte Jamal Ahmad Khashoggi, giornalista saudita e collaboratore del Washington Post, scomparso il 2 ottobre 2018 e barbaramente assassinato all'interno del Consolato generale dell'Arabia Saudita. Secondo quanto riportato dalla autorità turche sarebbe stato fatto a pezzi mentre era ancora vivo e probabilmente sciolto nell'acido, versione questa non confermata dalle autorità di Riad che però hanno ammesso l'uccisione del giornalista;

    gli ultimi casi di omicidio di giornalisti appena riportati rappresentano la punta massima di un drammatico fenomeno che vede il giornalismo sotto attacco in tutto il mondo, dove, secondo le ultime statistiche pubblicate dall'IFJ (International Federation of Journalist), nove casi su dieci rimangono impuniti;

    rimangono ancora senza giustizia anche i casi «italiani» degli omicidi di Ilaria Alpi e Andy Rocchelli, uccisi rispettivamente 24 e 4 anni fa mentre svolgevano i loro reportage in Somalia e Ucraina;

    secondo il CPJ (Comitato per la protezione dei giornalisti), il 2017 ha registrato il record negativo per i giornalisti detenuti: 262, con il triste primato detenuto dalla Turchia con 73 giornalisti in carcere (nel 2018 in Turchia sono stati definitivamente condannati all'ergastolo 6 giornalisti). Seguono, sul podio la Cina e l'Egitto, rispettivamente con 41 e 20 casi di giornalisti imprigionati. Nello Stato turco, definito «la più grande prigione al mondo per giornalisti» nel «World Press Freedom» di Reporters Without Borders, soltanto nel 2017 sono stati 189 i giornalisti fermati e 58 gli arresti;

    ogni giorno si registrano nel mondo casi di giornalisti attaccati, picchiati, detenuti, molestati o minacciati mentre esercitano la loro professione. Sono crescenti poi le minacce alla sicurezza digitale, anche dei dati raccolti durante le inchieste e i reportage, condotte con cyber attacchi, hacker, molestie on line, in particolare nei confronti delle giornaliste donne;

    nonostante i numerosi protocolli, linee guida e proposte approvate negli ultimi anni a livello globale e soprattutto in ambito Onu, i giornalisti e gli operatori dei media continuano ad affrontare una minaccia quotidiana e la loro situazione sembra peggiorare;

    lo United Nation Plan of Action on the Safety of Journalists, il cui processo è iniziato nel 2011, è una ottima iniziativa, ma non è riuscito ancora a invertire la tendenza negativa. Secondo il piano, ogni Stato dovrebbe avere un proprio piano per la sicurezza dei giornalisti, sia per garantire la prevenzione e la protezione dei minacciati, sia per perseguire e punire gli autori degli attacchi contro di loro;

    tuttavia, queste importanti iniziative focalizzate in particolar modo sull'implementazione mentre l'attuale quadro giuridico internazionale non prevede norme vincolanti che stabiliscano specifiche tutele per i giornalisti e i lavoratori dei media. Ad esempio i giornalisti che operano in zone di conflitto beneficiano delle stesse tutele garantite dal diritto internazionale umanitario ai civili;

    la comunità internazionale ha già riconosciuto la limitata capacità degli strumenti generali per la promozione dei diritti a livello internazionale in specifici casi di vulnerabilità e per questo ha adottato specifici strumenti ad esempio nei confronti delle donne, dei bambini o delle persone disabili, redigendo specifiche convenzioni (Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, sui diritti delle persone con disabilità);

    quindi, riconosciuta la vulnerabilità dei giornalisti e dei lavoratori dei media – e considerato che ad oggi, il diritto internazionale che affronta la situazione dei giornalisti è limitato a quegli strumenti che vengono definiti di «soft law», ovvero di natura dichiarativa o raccomandativa, invitando semplicemente gli Stati a porre fine all'impunità sui delitti compiuti nei loro confronti – occorrerebbe redigere un nuovo strumento internazionale vincolante dedicato alla loro sicurezza;

    nel riconoscere la categoria vulnerabile dei lavoratori dell'informazione, si sono espressi il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nella risoluzione n. 2222 del 2015, dove è chiarito che il loro specifico lavoro li mette a rischio specifico di intimidazioni, molestie e violenze in situazioni di conflitto armato e il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa che, nella sua raccomandazione del 2016 sulle linee guida per la protezione del giornalismo, ha riconosciuto un aumento degli attacchi contro i giornalisti a causa del loro lavoro investigativo, opinioni e relazioni;

    il processo per la nuova convenzione sulla sicurezza dei giornalisti potrebbe iniziare attraverso una risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, in cui si potrebbero far convergere gli attuali testi e con un richiamo alla giurisprudenza in materia, creando una sorta di Dichiarazione di princìpi che getti le basi per l'adozione in futuro di uno strumento vincolante e per l'istituzione di un organismo di esperti indipendenti che monitori l'aderenza al dettato normativo come ad esempio avviene con il Comitato Onu contro la tortura,

impegna il Governo:

   ad adottare adeguate iniziative, nelle competenti sedi internazionali, per assicurare protezione e sicurezza ai giornalisti e agli operatori dei media e per far sì che i responsabili di omicidi o abusi nei loro confronti non rimangano impuniti;

   a promuovere o supportare ogni utile iniziativa, che conduca all'adozione di una nuova convenzione internazionale sulla sicurezza dei giornalisti e degli operatori dei media.
(7-00124) «Grande».


   La XIII Commissione,

   premesso che:

    il comparto «uova» all'intento del settore agricolo nazionale sta assumendo sempre più rilevanza. Sono oltre 1.800 le aziende agricole impegnate nel settore, con 800 centri imballaggio uova, 12 industrie per la produzione di ovo-prodotti con decine di migliaia di occupati diretti ed indiretti e 768.000 tonnellate di uova prodotte che ci pongono al vertice dei Paesi europei;

    nel 2017 il settore italiano delle uova ha prodotto 12 miliardi e 600 milioni di uova, con un fatturato di 1,3 miliardi di euro, per la sola componente agricola. Per soddisfare la richiesta interna, si è reso necessario ricorrere alle importazioni, che sono aumentate di circa il 19 per cento rispetto al 2016;

    considerando il saldo tra import ed export, sul territorio italiano sono state consumate 13 miliardi e 34 milioni di uova, per un consumo pro capite di 215 uova, di cui la quota maggiore spetta alle famiglie, con 146 uova consumate in media per persona nel 2017;

    le importazioni delle uova da consumo in guscio rappresentano poco più del 9 per cento provengono principalmente da Spagna, Polonia e Romania;

    i regolamenti europei che disciplinano la commercializzazione delle uova sono: il regolamento (CE) n. 589 del 2008, come modificato dal regolamento n. 598/2008, che reca le modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1234 del 2007 per quanto riguarda le norme di commercializzazione applicabili alle uova e l'allegato XIV, sez. A del suddetto regolamento n. 1234/2007 – regolamento unico OCM – recante le norme di commercializzazione applicabili alle uova di gallina della specie Gallus gallus. A livello nazionale le suddette disposizioni europee sono state recepite dal decreto ministeriale delle politiche agricole alimentari e forestali dell'11 dicembre 2009;

    le uova raccolte in allevamento vengono trasferite nei centri di imballaggio ovvero nei siti nei quali le uova in guscio sono classificate in base alla qualità e al peso (categoria «A» e «B»), entro 10 giorni dalla deposizione o entro 4 giorni nel caso di uova extra fresche;

    tutte le uova devono recare stampigliato sul guscio un codice alfanumerico, il codice del produttore, che identifica il sistema di allevamento delle ovaiole e l'allevamento di provenienza;

    il regolamento (CE) n. 589/2008, all'articolo 11, comma 1, prevede la facoltà per gli Stati membri di esonerare gli operatori dagli obblighi di stampigliature stabiliti nell'allegato XIV, (sezione A III, punto 1, del regolamento n. 1234/2007 qualora le uova siano consegnate dal sito di produzione direttamente alla sgusciatura;

    sempre il punto 1 del suddetto allegato prevede che gli Stati membri possano esonerare dall'obbligo di stampigliare le uova di categoria «B» qualora queste siano commercializzate esclusivamente sul territorio dello Stato membro;

    l'articolo 2 del decreto ministeriale 11 dicembre 2009 prevede delle deroghe ovvero che siano esonerate dall'obbligo di timbratura e classificazione le uova vendute direttamente al consumatore finale: vendute nel luogo di produzione o vendute nell'ambito della regione di produzione, in un mercato pubblico locale o nella vendita porta a porta; inoltre viene previsto che le uova vendute nel mercato pubblico locale siano comunque timbrate con il codice del produttore, ad eccezione di quelle provenienti da produttori aventi fino a 50 galline ovaiole;

    il punto 2, dell'allegato XIV, sezione A. III, del regolamento n. 1234 del 2007, prevede che la stampigliatura delle uova sia effettuata nel luogo di produzione o nel primo centro d'imballaggio nel quale le uova sono consegnate. Questo punto del regolamento è stato recepito dall'articolo 11, comma 7, del decreto ministeriale 11 dicembre 2009;

    sempre il comma 7 del suddetto articolo 11 del decreto ministeriale 11 dicembre 2009, che recepisce l'articolo 8 del regolamento n. 589/2008, stabilendo anche che «le uova consegnate da un produttore ad un centro di imballaggio o a una industria non alimentare situati in un altro Stato membro o ad un raccoglitore che intenda consegnarle in un altro Stato membro, sono contrassegnate con il codice del produttore prima di lasciare il luogo di produzione». Quindi non possono essere movimentate fra uno Stato membro e l'altro uova da consumo che non rechino il codice del produttore stampigliato sul guscio;

    non vi è, però, l'obbligo di indicare sull'imballaggio l'origine delle uova, ma solo l'informazione estesa del sistema di allevamento;

    l'articolo 3, comma 1, del decreto ministeriale 11 dicembre 2009 prevede che, per le uova consegnate direttamente dal sito di produzione all'industria alimentare, gli operatori siano esonerati dalla stampigliatura. La suddetta deroga, alle medesime condizioni e purché la spedizione sia oggetto di prenotifica, si applica anche a uova provenienti da o destinate ad altri Stati membri;

    il comma 5, dell'articolo 3 del decreto ministeriale 11 dicembre 2009 prevede che le imprese che dispongano, nello stesso luogo, di centro di imballaggio o centro di sgusciatura – ovvero i siti nei quali le uova per industria vengono private del guscio per essere trasformate in ovoprodotti, quali albume o tuorlo liquidi o misto d'uovo, sempre pastorizzati – devono assicurare lo stoccaggio separato delle due categorie di uova e la loro lavorazione lungo linee distinte;

    è di fondamentale importanza tutelare e valorizzare le produzioni italiane, evitando di aggiungere ulteriore burocrazia e di aumentare i costi di produzione che già sono tra i più alti d'Europa;

    ugualmente importante sarebbe introdurre l'obbligo di indicare sulle confezioni delle uova il Paese di origine in modo chiaro (ad esempio «Uova italiane»), così che il consumatore sia messo nella condizione di effettuare una scelta consapevole,

impegna il Governo

   a prendere iniziative affinché sulle confezioni di uova poste in vendita al consumatore finale sia evidenziato in maniera esplicita l'indicazione del Paese di origine delle uova in quanto la sola indicazione del codice alfanumerico sulle uova non è sufficiente a permettere al consumatore di avere una immediata evidenza della reale origine del prodotto;

   a valutare l'opportunità di assumere eventuali iniziative per quanto di competenza, nelle opportune sedi dell'Unione europea, per la modifica di quanto previsto dall'allegato XIV, parte A, sezione III, punto 2) del Regolamento (CE) n. 1234/2007 nel senso di prevedere l'eliminazione della dicitura «o nel primo centro d'imballaggio nel quale le uova sono consegnate», così da rendere obbligatoria la stampigliatura delle uova esclusivamente nei luogo di produzione delle stesse;

   ad assumere iniziative volte a garantire che i controlli, a fronte di una crisi sulla sicurezza alimentare, previsti su uova e ovoprodotti nazionali vengano estesi, nel rispetto della normativa comunitaria, anche a quelli importati e che vengano sottoposti, altresì, a vincolo sanitario, in particolare, se utilizzati dall'industria alimentare.
(7-00123) «Gastaldi, Viviani, Bubisutti, Coin, Golinelli, Liuni, Lo Monte, Lolini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:

   nella serata di lunedì 24 settembre 2018, si è sviluppato un incendio protrattosi nei giorni successivi, di grandissime proporzioni sul Monte Serra, la montagna più alta che divide le province di Pisa e di Lucca e che ha prodotto la distruzione di una superficie di circa 1.400 ettari di territorio tra bosco e coltivazioni, nonché centinaia di ettari di oliveti, oltre a un danno economico di oltre 11 milioni di euro almeno per l'agricoltura e i privati;

   quattro sono i comuni coinvolti, con conseguenze pesantissime per Calci (832 ettari ricadono nel suo territorio) e per Vicopisano. Più marginale è il danno per Buti, e solo qualche focolaio secondario, isolato, si è registrato per Cascina. Negli stessi giorni un secondo rogo, distinto ma più limitato, ha interessato i vicini comuni di Vecchiano e San Giuliano Terme. I territori coinvolti alla fine sono dunque in tutto sei;

   in data 25 settembre 2018, con decreto del presidente della giunta regionale, è stato dichiarato lo stato di emergenza regionale prevedendo lo stanziamento di 850 mila euro per i primi interventi;

   l'incendio, oltre a mandare in fumo una quantità enorme di ettari tra bosco e ulivi, ha prodotto settecento sfollati nella prima fase e danni per milioni di euro al patrimonio ambientale e paesaggistico;

   dodici case sono andate distrutte, per tre milioni e 100 mila euro di danni complessivi. Da qui la necessità di sostenere fin da subito le spese di soccorso e prima somma urgenza e a ristoro dei danni agli immobili privati, di competenza del Governo, dando così risposta a coloro che nell'incendio hanno perso l'abitazione;

   centinaia di ettari di uliveti, anche secolari, che dovranno essere ripiantati. Il fuoco, inoltre, ha colpito anche vigneti e castagneti. Si stimano, in oltre 6 milioni di euro, i danni per il solo comparto agricolo;

   l'incendio ha avuto pesanti effetti anche sul piano ambientale, per via della perdita di biodiversità, tra animali morti e la distruzione di vastissime aree di bosco e di vegetazione;

   inoltre, con questo incendio saranno impedite per anni tutte le attività umane tradizionali, come la raccolta della legna, delle castagne e dei piccoli frutti;

   superata l'emergenza occorrerà intervenire rapidamente per far ripartire le attività produttive, anche con interventi straordinari per il reimpianto delle coltivazioni. La Coldiretti ha inoltre sottolineato che «occorrerà inoltre aver presente che oltre ai costi necessari per ripristinare la produzione, andranno aggiunti i danni per le mancate produzioni»; in sostanza «bisognerà tener conto della sopravvivenza delle aziende di questi territori, che vivono di agricoltura»;

   sono stati definiti circa 800 ettari di monte a corona della parte andata distrutta, dove la caccia sarà vietata totalmente sino al 31 gennaio 2019, esclusa quella dedita agli ungulati, soprattutto cinghiali;

   con specifico riferimento ai danni subìti dal comparto agricolo, il 29 novembre 2018, la Commissione agricoltura della Camera ha approvato la risoluzione conclusiva (n. 8-00008), sottoscritta dai rappresentanti di tutti i Gruppi, con la quale si impegna il Governo ad adottare tutte le iniziative di competenza per il sostegno finanziario alle imprese agricole danneggiate; per garantire la corretta progettazione e gestione del reimpianto delle colture perse nell'incendio; per tutelare e incentivare la secolare e tradizionale produzione agricola e olivicola dei Monti Pisani, nonché risorsa naturale e rurale qualitativamente elevata del territorio toscano;

   da una stima dei danni e del costo di una prima bonifica, si valuta che per ogni ettaro occorrano 5.000 euro;

   nonostante che il 10 ottobre 2018 il governatore della Toscana, Enrico Rossi, abbia ufficialmente avanzato al Governo la richiesta di dichiarazione dello stato di emergenza nazionale per l'incendio sul Monte Pisano, l'Esecutivo non ha ritenuto di riconoscere alcunché;

   è indispensabile un efficace intervento per la messa in sicurezza del monte soprattutto con l'inverno e l'aumento delle piogge, posto che con un terreno cotto, privo di vegetazione, con massi in bilico, c'è il rischio di nuove emergenze per le aree sottostanti pedemontane;

   è necessario avviare e finanziare interventi per contenere rischi idrogeologici, soprattutto a valle delle aree percorse dal fuoco, per limitare la possibilità di eventuali frane, nonché per il reticolo idraulico e la piena bonifica e ricostruzione sui Monti pisani –:

   se non intendano adottare iniziative al fine di sostenere fin da subito le spese di soccorso e di ristoro dei danni agli immobili privati, per quanto di competenza del Governo, dando così un'indispensabile positiva risposta prioritariamente a chi nell'incendio ha perso l'immobile;

   se non si ritenga di adottare le iniziative di competenza per sospendere tutti i pagamenti di tributi, contributi e utenze per quei soggetti che sono stati colpiti, siano essi persone fisiche o aziende;

   quali iniziative si intendano avviare, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di consentire l'avvio del necessari indispensabili interventi di difesa del suolo e di contenimento dei rischi idrogeologici, soprattutto a valle delle aree percorse dal fuoco, per limitare la possibilità di eventuali frane, nonché per consentire la piena bonifica e ricostruzione sui monti colpiti;

   quali e quante siano le risorse che si intende destinare alla riqualificazione e al recupero della suddetta area montana e dei territori di cui in premessa, quale contributo per ricostruire le zone devastate dall'incendio.
(2-00197) «Mazzetti, Cortelazzo, Gagliardi, Giacometto, Labriola, Ruffino, Casino, Bergamini, D'Ettore, Mugnai, Ripani, Silli, Nevi, Anna Lisa Baroni, Brunetta, Caon, Fasano, Sandra Savino, Spena, Occhiuto, Carrara».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PAITA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   risultano essere assolutamente rilevanti i danni conseguenti ai gravi eventi meteorologici verificatisi in territorio ligure in data 29 ottobre 2018 che hanno interessato infrastrutture, imbarcazioni e attività commerciali;

   particolarmente colpiti risultano essere i comuni costieri di Rapallo, Santa Margherita Ligure, Portofino, Sestri Levante e anche altri comuni del territorio genovese, spezzino e savonese, con gravi ripercussioni sull'industria del turismo;

   l'ordinanza n. 558 del 15 novembre 2018 non include negli interventi di emergenza il ripristino di dighe, pennelli e altre opere di difesa marittima di protezione degli abitati;

   a seguito della mareggiata il conseguente assestamento della diga rende indifferibile il consolidamento delle barriere di protezione, soprattutto in relazione al possibile ripetersi di eventi calamitosi;

   data la rilevanza economica, gli interventi necessari non sono sostenibili con le sole risorse della finanza locale –:

   quali iniziative di competenza, anche normative, il Governo intenda assumere, con la massima urgenza, per assicurare un adeguato sostegno economico ai territori di cui in premessa, anche prevedendo il trattenimento in favore dei comuni interessati della quota Imu di competenza statale, al fine di assicurare il ripristino della funzionalità della diga di Portobello, nonché i necessari interventi di difesa della costa ligure.
(5-01034)


   PAITA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   mediante la struttura di missione denominata «Italia Sicura» e la previsione del «Patto per Genova» sono stati previsti e finanziati importanti progetti finalizzati al contrasto del dissesto idrogeologico, in considerazione dell'altissimo rischio a cui è sottoposto suddetto territorio, in favore della città capoluogo;

   in particolare, sono stati finanziati e sono in corso i lavori per il rifacimento della copertura del Bisagno ed è stato finanziato il relativo scolmatore ormai prossimo all'appalto;

   sono stati finanziati e sono in corso i lavori di messa in sicurezza del torrente Chiaravagna;

   per quanto concerne l'appalto relativo alla richiamata opera risultano essersi registrati considerevoli ritardi, creando notevoli preoccupazioni nel quartiere di Sestri, importante polo commerciale, già in difficoltà a seguito del crollo del «ponte Morandi»;

   sono stati finanziati anche i lavori per mettere in sicurezza il torrente Vernazza, a Sturla, e tuttavia i relativi lavori ancora non risultano essere stati avviati;

   la giunta regionale della Liguria ha deciso di sottoporre ogni progetto di sistemazione idraulica a screening ambientale, determinando di fatto un allungamento dei tempi circa i necessari lavori di intervento di cui in premessa –:

   quali iniziative intenda adottare il Governo, per quanto di competenza, per il superamento di questa fase di stallo per quanto riguarda la realizzazione degli interventi di sistemazione idraulica concernenti i torrenti Chiaravagna e Rio Vernazza e se non ritenga che la soppressione della struttura di missione «Italia Sicura» abbia di fatto rallentato i suddetti interventi indispensabili per la sicurezza di un territorio soggetto a dissesto idrogeologico.
(5-01035)


   MURONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   il Gran Sasso d'Italia, la vetta più alta dell'Appennino, simbolo di un parco nazionale, congiunzione tra le due coste del Paese tramite un'importante arteria autostradale, laboratorio di ricerca internazionale, rappresenta la più grande risorsa d'acqua della regione capace di rifornire oltre la metà della popolazione abruzzese;

   come ormai accertato da tutti gli enti interessati, l'interferenza dei laboratori sotterranei dell'Istituto nazionale di fisica nucleare e delle gallerie autostradali dell'A24 con l'acquifero del Gran Sasso, ha più volte messo a rischio la principale risorsa idrica della regione e la salute dei cittadini;

   l'interferenza tra acquifero, autostrada, laboratori costituisce un pericolo per centinaia di migliaia di persone che bevono l'acqua del Gran Sasso, per l'ambiente e anche per l'economia di questo territorio. Tale situazione è nota dall'inizio degli anni 2000 grazie alle denunce delle associazioni ambientaliste che anticiparono le istituzioni nell'individuazione dei problemi. Ad oggi, la messa in sicurezza dell'acquifero resta un miraggio e, anche dopo l'emergenza dell'8/9 maggio 2017, quando fu vietato per un'intera giornata in quasi tutta la provincia teramana il consumo d'acqua proveniente dal Gran Sasso, non si registrano concreti passi avanti;

   le dinamiche di quest'ultimo incidente sono oggetto di un'inchiesta della magistratura che ha da poco concluso le indagini con il coinvolgimento, tra gli altri, dei vertici dell'Istituto nazionale di fisica nucleare e della Strada dei Parchi spa, sulla base di una relazione dei Consulenti tecnici d'ufficio che hanno altresì individuato come assolutamente necessari una serie di interventi urgenti;

   a seguito dell'ultima emergenza del maggio 2017 le associazioni WWF, Legambiente, Mountain Wilderness, Arci, ProNatura, Cittadinanzattiva, Guardie ambientali d'Italia, Fiab, Cai, Italia Nostra e Fai hanno costituito l'Osservatorio indipendente sull'acqua del Gran Sasso, con l'obiettivo di fornire un contributo per la ricerca delle soluzioni da adottare ad una situazione che perdura da troppi anni e che ha visto nel passato anche il sequestro dei laboratori e la nomina di un commissario da parte del Governo nazionale per la gestione dell'emergenza, nonché la spesa di oltre 80 milioni di euro per interventi di messa in sicurezza;

   in questo anno e mezzo, l'Osservatorio ha dato vita ad una serie di incontri pubblici e tante altre iniziative molto partecipate sul territorio, ricercando sempre la collaborazione delle istituzioni locali;

   inoltre, bisogna evidenziare come la regione Abruzzo abbia finora negato all'Osservatorio, così come a qualsiasi altro soggetto della società civile, di partecipare alla «Commissione tecnica per la gestione del rischio idrico del Gran Sasso», a giudizio dell'interrogante in totale spregio dei principi costituzionali di partecipazione e sussidiarietà orizzontale;

   per denunciare questo deficit di trasparenza, l'11 novembre 2017, a Teramo, l'Osservatorio ha organizzato la Manifestazione per l'acqua trasparente con la partecipazione di circa 4.000 cittadini –:

   se il Governo intenda verificare, e chiarire, per quanto di competenza, cosa sia successo, nell'ambito degli interventi per la gestione dell'emergenza dell'8 e del 9 maggio 2017;

   se il Governo intenda chiarire se l'Infn continui a stoccare nei laboratori sotterranei del Gran Sasso sostanze estremamente pericolose per l'intero acquifero e se esistano piani per la delocalizzazione di tali sostanze;

   se il Governo intenda, per quanto di competenza, istituire un tavolo permanente che coinvolga la regione Abruzzo, tutti gli enti istituzionali coinvolti, nonché l'Osservatorio indipendente sull'acqua del Gran Sasso, in modo da comprendere cosa non funzioni nel sistema di approvvigionamento idrico dal Gran Sasso e, tenendo conto del fatto che, su questo sistema, sono già stati spesi oltre 80 milioni di euro dalla gestione commissariale, in modo da definire gli interventi e i programmi a breve, medio e lungo termine per la messa in sicurezza definitiva delle acque del Gran Sasso.
(5-01048)


   MURONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   si apprende dalla stampa la proposta del Vicepremier e Ministro dell'interno Salvini di realizzare un termovalorizzatore per provincia in Italia, iniziando dalla regione Campania;

   a questa proposta ha risposto l'altro Vicepremier e Ministro dello sviluppo economico e del lavoro e delle politiche sociali esprimendo la sua contrarietà. Ancora una volta, si assiste alle prese di posizioni di due Vicepremier in contraddizione tra loro, che controbattono sui social network e sulla stampa;

   la regione Campania e il nostro Paese, è del tutto evidente, sui rifiuti non hanno bisogno di quella che appare all'interrogante una «commedia» fatta di annunci anacronistici e antieconomici ma di scelte chiare, efficaci ed innovative: servono nuovi impianti di compostaggio e digestione anaerobica con produzione di biometano; strategie concrete su prevenzione, riuso e riduzione dei rifiuti; sistemi di tariffazione puntuale per premiare economicamente le utenze più virtuose;

   è importante sottolineare che gli impianti per trattare l'organico differenziato vanno pensati, progettati e realizzati bene, con processi partecipativi che coinvolgano le popolazioni locali, ma vanno fatti. L'alternativa sarebbe lo scenario attuale che vede l'organico differenziato raccolto nel Centro-sud andare negli impianti del Nord, con grande felicità degli autotrasportatori. Ciò produce costi di trasporto che i comuni «ricicloni» non riescono più a sopportare, con il rischio di fermare la raccolta dell'organico, e che essi potrebbero evitarsi se ci fosse un impianto di questo tipo per ciascuna provincia del Centro-sud;

   si ricorda che in Campania sono presenti eccellenze imprenditoriali su cui poter contare e, partendo proprio da queste, lavorare, affinché si modifichi il tessuto connettivo dell'economia campana per mettere in piedi un vero e proprio progetto di sostenibilità e circolarità. A tal proposito si ricorda che il quantitativo di rifiuti destinato ad andare fuori della regione Campania è stato di 326.800 tonnellate: 239.200 tonnellate avviate ad impianti di altre regioni; 87.600 trasportate al di fuori del territorio nazionale;

   Legambiente «In nome del popolo inquinato» ha manifestato, il 19 novembre 2018, sotto la prefettura di Caserta per ribadire il «no» agli inceneritori e ricordare con forza il dramma della Terra dei fuochi –:

   su quali basi il Governo intenda eventualmente assumere iniziative normative in materia e se, invece, non ritenga, al fine di rispettare il potere delle regioni di pianificare la gestione dei rifiuti e il loro smaltimento, di adottare le iniziative di competenza volte a incentivare scelte chiare, efficaci e innovative sulla prevenzione, sul riuso e sulla riduzione dei rifiuti.
(5-01051)


   D'INCÀ. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   con l'istituzione del Fondo di solidarietà comunale, introdotto dai commi 380 e seguenti dell'articolo 1 della legge n. 228 del 2012 si è ridefinito l'assetto dei rapporti finanziari tra Stato e comuni e sostituito il fondo sperimentale di riequilibrio;

   concepito per attenuare gli squilibri tra enti comunali, operando una redistribuzione da enti con maggiori capacità di entrata e spesa verso quelli con minori capacità, l'introduzione di questo fondo ha sollevato, tuttavia, molte critiche riguardo al meccanismo di calcolo della quota perequativa, cioè la trattenuta sull'Imu standard effettuata dall'Agenzia delle entrate per ogni comune, costituita da una quota relativa ai fabbisogni standard e dalle capacità fiscali del comune e una quota riferita alla spesa storica;

   attraverso questo calcolo, sono trentasei i comuni veneti che, oltre ad alimentare il Fondo di solidarietà con il 22,43 per cento del gettito Imu ad aliquota base, presentano un saldo negativo, e di questi ben 15 sono comuni della provincia di Belluno;

   oltre a Cortina, si trovano infatti anche i comuni di Val di Zoldo, Auronzo, San Vito, Pieve di Cadore, Rocca Pietore e Falcade, che presentano trattenute molto più elevate di altri;

   questi stessi comuni sono stati interessati dai tremendi eventi alluvionali delle ultime settimane e stanno operando per fare fronte agli ingenti danni causati dal maltempo con risorse scarse e comunque insufficienti a fronteggiare l'emergenza e lamentano il prelievo fiscale suddetto che viene fatto nei loro confronti in questo particolare momento;

   l'articolo 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 7 marzo 2018 recante «Fondo di solidarietà comunale. Definizione e ripartizione delle risorse spettanti per l'anno 2018» dispone l'accantonamento per il 2018 di 15 milioni di euro destinato a eventuali conguagli ai singoli comuni derivanti da rettifiche dei valori al netto di una parte destinata alla compensazione del mancato recupero a carico del comune di Sappada –:

   se non ritenga di assumere iniziative normative, nell'ambito dei provvedimenti che saranno emanati per far fronte allo stato di emergenza, che è stato dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri 8 novembre 2018, cui ha fatto seguito l'ordinanza del capo dipartimento della Protezione civile n. 558 in data 15 novembre 2018, per la sospensione del prelievo sull'Imu standard dei comuni che sono stati colpiti dai recenti eventi calamitosi così come identificati da ciascun commissario delegato dalla citata ordinanza, anche ricorrendo alle disponibilità dell'accantonamento di cui all'articolo 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 7 marzo 2018.
(5-01063)

Interrogazioni a risposta scritta:


   IANARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   fonti stampa riferiscono che il presidio ospedaliero «Sant'Alfonso Maria dei Liguori» a Sant'Agata dei Goti dell'Asl Benevento, dal 1° dicembre 2018 potrebbe rimanere con soli tre medici anestesisti, ovvero un numero assolutamente insufficiente e palesemente inadeguato per garantire l'effettiva attuazione dell'articolo 32 della Costituzione;

   per la salvaguardia generale della vita del paziente la figura del medico anestesista è fondamentale a tutela e garanzia della salute dei cittadini e ai fini dell'applicazione dei previsti livelli essenziali di assistenza (Lea), nei casi di interventi chirurgici e, dove le condizioni lo richiedono, nell'ambito delle prestazioni e dei servizi offerti dal servizio sanitario nazionale (Ssn);

   dei cinque anestesisti attualmente in servizio due di essi hanno un contratto di lavoro precario, che ha scadenza il 30 novembre 2018;

   la possibilità di una loro stabilizzazione, a quanto risulta all'interrogante, sarebbe già stata negata per cause meramente formali, ovvero per «non aver maturato tre anni di servizio»;

   appare manifesta l'assoluta importanza del medico anestesista per l'attività del restante personale medico, che svolge la propria opera in attività di pronto soccorso, in particolare per prestare le cure necessarie ai pazienti in codice rosso, e per quelli ricoverati presso l'unità di rianimazione e chirurgia;

   la carenza di medici anestesisti, in special modo nelle situazioni con carattere d'emergenza, creerebbe condizioni oggettive di allarme, laddove non si ponesse tempestivamente rimedio alla questione descritta –:

   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intendano adottare, per quanto di competenza, affinché per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari si garantiscano ai cittadini che usufruiscono dei servizi sanitari erogati dall'Ospedale di Sant'Agata dei Goti i livelli essenziali di assistenza.
(4-01776)


   FRATOIANNI e MURONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il 25 novembre 2018 una violenta tromba d'aria si è abbattuta nei pressi di Capo di Leuca devastando soprattutto le marine di Tricase, provocando crolli in abitazioni, chiese e monumenti, sradicamenti di alberi secolari e l'affondamento di 12 imbarcazioni all'interno del porticciolo. Le località più colpite sono l'area portuale di Tricase, dove tra l'altro sono stati devastati due bar-ristoranti, Marina Serra, Patù, Morciano di Leuca, Andrano, Miggiano e Tiggiano. Per fortuna, non si sono registrate né vittime né feriti;

   in totale oltre 20 chilometri di costa sarebbero stati interessati dal vortice. Tutte le abitazioni delle località costiere di Tricase, da Marina Serra a Tricase Porto, sono rimaste prive di elettricità a causa dei danni provocati alle linee di media e bassa tensione;

   i sindaci dei comuni salentini colpiti dall'eccezionale ondata di maltempo hanno deciso di chiedere il riconoscimento dello stato di calamità, concordando modalità e tempistiche con cui si procederà a quantificare i danni;

   gravi problemi si sono registrati nella zona per la viabilità dove numerose strade sono state chiuse a causa di alberi, fili dell'alta tensione e detriti;

   Aqp ha provveduto a chiudere 3 impianti minori i cui edifici sono stati danneggiati dalla tromba d'aria e sono state messe a disposizione, se saranno necessarie, autobotti d'acqua per l'approvvigionamento idrico della popolazione –:

   se il Governo intenda deliberare lo stato di emergenza per calamità naturale relativamente agli eccezionali eventi meteorologici esposti in premessa e che hanno interessato i territori del Capo di Leuca;

   se si intenda procedere a un censimento dettagliato dei danni, al fine di individuare quanto prima modi, tempi e fondi necessari per ripristinare una situazione di normalità;

   se il Governo intenda adottare le iniziative di competenza affinché vengano temporaneamente sospesi i pagamenti di tasse e mutui per i cittadini e gli imprenditori colpiti dall'eccezionale evento atmosferico descritto in premessa.
(4-01777)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta orale:


   MAGI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   nel 2015 a Vienna l'Iran ha sottoscritto con la comunità internazionale il piano d'azione congiunto globale – Joint Comprehensive Plan of Action, volto a contenere la proliferazione nucleare;

   il 24 novembre 2018 il presidente della Repubblica Islamica dell'Iran, Hassan Rouhani, ha definito lo Stato d'Israele un «tumore canceroso» da estirpare dal Medio Oriente;

   tali affermazioni del presidente Rouhani appaiono inaccettabili e pericolose;

   il portavoce dell'Unione europea in Israele ha diramato un comunicato di condanna delle parole del presidente Rouhani;

   numerosi singoli Governi, tra i quali quelli di Germania, Austria, Lituania, oltre a Stati Uniti e Canada, hanno condannato le dichiarazioni del presidente Rouhani –:

   se e come intenda pubblicamente esprimere solidarietà allo Stato d'Israele e disapprovazione per le affermazioni del presidente Rouhani riportate in premessa e agire nelle sedi internazionali, mobilitando la comunità internazionale.
(3-00364)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   alcuni mesi fa, l'ambasciatore italiano in Libia, Giuseppe Perrone, in seguito ad un'intervista rilasciata ai media libici, è stato definito dal generale Khalifa Haftar, che controlla l'area della Cirenaica, come «ospite indesiderato»;

   Perrone, rientrato in seguito in Italia per un congedo, è stato trattenuto a Roma per motivi di sicurezza dalla Farnesina;

   attualmente, il dottor Perrone non è ancora rientrato a Tripoli e non è stato ancora nominato un suo successore –:

   quali siano i motivi di tale scelta, considerando l'importanza strategica che il Paese libico riveste per l'Italia e per l'area del Mediterraneo e che l'ambasciata italiana in Libia resta aperta e operativa.
(5-01043)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:

   il valore soglia previsto nei corpi idrici sotterranei per cromo esavalente e cromo totale è rispettivamente di 5 mg/litro e 50 mg/litro (decreto legislativo n. 152 del 2006);

   nelle acque potabili, la quota parte di cromo esavalente verrà ricercata solamente quando entrerà in vigore il decreto ministeriale 14 novembre 2016 che introduce tale obbligo quando il cromo totale sia superiore a 10 µg/l;

   il decreto ministeriale del 14 novembre 2016 sarebbe dovuto entrare in vigore il 15 luglio 2017, ma il decreto ministeriale 6 luglio 2017 ne ha ulteriormente prorogato l'entrata in vigore al 31 dicembre 2018;

   secondo i dati di Arpa Liguria, disponibili sul sito della regione Liguria, risulta che:

   in alcuni pozzi ad uso potabile, gestiti dalla Società dell'Acqua Potabile (Sap), appartenente al gruppo Veolia, localizzati nel territorio del comune di Sestri Levante (Genova), si sono riscontrati per il Cr VI, 14 mg/l in data 7 agosto 2014 (pozzo GEG003) e 19 mg/l in data 7 agosto 2014 (pozzo GEG005);

   nel 1982 cessava le produzioni negli stabilimenti di Sestri Levantina, la Fit-Ferro-Tubi; lo stabilimento occupava un‘area di oltre 12 ettari. Esiste un esposto di pochi anni fa in riferimento alla presenza di scorie e rifiuti, prodotti in oltre 77 anni di attività, nel perimetro di quella che era l'area occupata dallo stabilimento e quindi sotto l'attuale «Parco Mandela»;

   le scorie di fonderia in questione, se non trattate adeguatamente, possono rilasciare nell'ambiente metalli pesanti e cromo;

   sul territorio comunale sono stati reperiti rifiuti riferibili ad attività di fonderia, ad esempio all'interno del parco Serlupi, all'interno di un'area sita in Via Fasce, «Ex deposito Ditta Oli Combustibili di Pezzi & C», poi bonificata e destinata ad uso residenziale; nel sito di Ramala, laddove si intende realizzare il depuratore della Val Petronio, nel 1998 era stata fatta dall'onorevole Copercini un'interrogazione parlamentare per conoscere lo stato di una discarica, mai bonificata né messa in sicurezza, presente lungo la strada statale n. 1 Aurelia, in località Costello dei Bussi-Rio Gavornie (a 8 chilometri circa da Sestri Levante), dove la FIT-Ferrotubi (poi Arvedi) di Sestri Levante conferiva qualsiasi tipo di scorie (acidi solforici, liquidi da trafila, grassi, scarti di fonderia ed altro). Tale discarica insiste sul bacino del torrente Petronio dalla cui falda provengono le acque sia per il comune di Casarza Ligure, che per quello di Sestri Levante, si tratta di acque destinate a consumo umano;

   nel maggio 2017 il sindaco di Sestri Levante, la dottoressa Valentina Ghio, ha proposto in Ato un emendamento per l'adeguamento della rete di potabilizzazione dell'acqua per il rispetto del nuovo parametro per il cromo esavalente, compatibilmente con l'eventuale differimento del termine di entrata in vigore del nuovo decreto ministeriale;

   in data 9 aprile 2018, l'Arpal, ha attivato il procedimento di cui al comma 2 dell'articolo 244 del decreto legislativo n. 152 del 2006 per il superamento di cromo esavalente nelle acque di falda sotterranee;

   i dati epidemiologici del 2005-2009 relativi agli abitanti del comune di Sestri Levante e a monte idraulico di Sestri mostrano eccessi significativi di tumori, in particolare nel sesso femminile, rispetto, ai valori riscontrati in distretti limitrofi (portale Alisa) –:

   se i Ministri interpellati siano al corrente dei dati riportati in premessa e se intendano adoperarsi, per quanto di competenza, per fare chiarezza in relazione alla potabilità delle acque, regolarmente captate da pozzi posti sul territorio di cui in premessa e che servono all'approvvigionamento dei cittadini di Sestri Levante;

   se intendano assumere iniziative, anche per il tramite del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, volte a verificare, per quanto di competenza, le criticità derivanti da discariche contenenti rifiuti speciali sul territorio comunale e limitrofo.
(2-00198) «Traversi, Zolezzi, Daga, Deiana, D'Ippolito, Federico, Ilaria Fontana, Licatini, Maraia, Alberto Manca, Ricciardi, Rospi, Terzoni, Varrica, Vianello, Vignaroli, Acunzo, Adelizzi, Davide Aiello, Piera Aiello, Alaimo, Alemanno, Amitrano, Angiola, Aresta, Ascari, Azzolina, Baldino, Barbuto, Massimo Enrico Baroni».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:

   il ciclo dell'azoto è il primo limite planetario sovvertito a livello mondiale, secondo Steffen, con particolare riguardo all'Italia; l'incremento di nitrati in acqua può provocare scarso sviluppo dei bambini, riduzione della biodiversità e incremento di specie aliene; effetti simili al sovvertimento del ciclo del fosforo, che ha un record mondiale nel nostro Paese;

   una falda compromessa è molto difficile da bonificare, contamina velocemente un ecosistema;

   la direttiva 2000/60 prevede il rispetto dello stato chimico delle acque superficiali (Scas) in tempi brevi; molte regioni italiane hanno chiesto una proroga dei tempi previsti per raggiungere un buon Scas, fra queste la Lombardia;

   l'epidemia di polmonite fra Alto Mantovano e bassa Bresciana, con oltre 868 casi, è un unicum mondiale e non può essere sconnessa da cause ambientali. Vengono sparse in quell'area, solo per la parte bresciana, oltre 360 mila tonnellate di fanghi di depurazione all'anno. Si potrebbe supporre una duplice eziologia, da un lato legata all'eccesso di nutrienti in falda per la presenza di discariche e spandimene agrozootecniti (sedimenti che nutrono germi come la legionella) e, dall'altro, allo spandimento di fanghi al suolo (metalli pesanti e geni di resistenza antibiotica);

   la resistenza antibiotica uccide in Italia oltre 10 mila persone ogni anno (Ecdc). Gli spandimenti di vari effluenti sono associati a modifiche del «resistoma», la resistenza agli antibiotici dei germi contenuti in suoli e falde, con possibile effetto sulla salute umana;

   nel recente studio cinese di Q.-L. Chen e altri Science of the Total Environment 645 (2018), 1230-1237, e nello studio statunitense di Burch, Environ. Sci. Technol., 2017, si mettono in evidenza lo stimolo all'incremento della resistenza antibiotica per effetto genico nella fillosfera (suolo in cui sono immerse le piante) e il possibile contagio umano dovuto a contaminazione di foglie di ortaggi consumate fresche, dopo spandimento, con un'analisi quantitativa che vede il dimezzamento del rischio mediante il compostaggio e la digestione anaerobica praticata sui fanghi di depurazione rispetto a spandimento diretto di fanghi, letame e struvite. Riduzione del rischio si associa a latenza del raccolto di 6 mesi dallo spandimento. Secondo lo studio di Dengmiao Chenga e altri pubblicato su Journal of Environmental Management la riduzione di antibiotico resistenza si associa a una fase di compostaggio ad elevata temperatura (maggiore di 55 °C, termofilia), pH, ed elevato rapporto C/N per il letame;

   i suoli di buona parte dell'Europa Mediterranea sono poveri di carbonio e in progressiva desertificazione;

   non sarebbe possibile spandere digestati o reflui liquidi del biometano in molte aree nazionali per falde già compromesse e per la direttiva 2000/60 che impone di non peggiorare lo stato chimico delle acque superficiali, ma si moltiplicano le richieste autorizzative di impianti di gestione di rifiuti organici, in particolare in Pianura Padana, con l'asserita volontà di produrre biometano, nonostante l'assenza di tali rifiuti in loco e con il possibile incremento dei turismo dei rifiuti e un ciclo di vita palesemente negativo in termini di produzione energetica netta;

   addirittura si segnalano le prime richieste di autorizzare impianti che non prevedono alcuna fase di compostaggio dei digestati come l'impianto di Revere in provincia di Mantova, che prevede appunto una fase di spandimento (R10) diretta dei digestati (oltre 50 mila tonnellate annue) che arriveranno a temperatura massima di 38 °C in fase digestione anaerobica;

   recenti sperimentazioni nazionali stanno mostrando notevoli complessità nella raffinazione e netta filiera del biometano, che sembra proposta come una scappatoia per impianti a biogas periferici, giunti al termine della loro incentivazione;

   i fattori del duplice binario patologico, sovvertimento dei cicli geochimici di fosforo e azoto e spandimento di fanghi in zone ristrette con modalità ad alto rischio di stimolo all'antibiotico-resistenza, potrebbero potenziarsi a vicenda in termini ecosistemici, di riduzione della biodiversità e di effetti sulla salute umana;

   per quanto riguarda i reflui idrici da strutture ospedaliere si segnalano gli studi di Kaitlyn R. Kelly e altri su Progress in Molecular Biology and Translational Science ove si evidenzia l'abbondanza di antibiotici e geni di resistenza antibiotica nei reflui ospedalieri non depurati –:

   se il Governo intenda adottare iniziative per rivedere la normativa sugli spandimenti, con particolare attenzione alla separazione dei reflui idrici da strutture ospedaliere e alla prescrizione di tempistiche minime in agricoltura di raccolto postspandimento di fanghi di depurazione;

   se intendano adottare iniziative per limitare la produzione di energia da fonti cosiddette «rinnovabili» in caso di «turismo dei rifiuti», con passaggio interregionale dei rifiuti stessi, anche interfacciandosi con altri Ministeri per «tarare» gli incentivi;

   se si intendano adottare iniziative per porre specifici limiti normativi per quanto riguarda gli spandimenti di rifiuti azotati, in particolare in aree caratterizzate da matrici ambientali impattate (superamenti dei PM10 in aria, caratterizzate da stato chimico delle acque superficiali scarso o suoli sensibili ai nitrati), prevedendo perlomeno l'obbligo di compostaggio dei digestati;

   se si intendano adottare le iniziative di competenza, anche normative, affinché sia valutata la desertificazione di alcuni suoli nazionali e in particolare la povertà di carbonio in relazione all'esigenza di limitare l'autorizzazione in tali località di impiantistica che determini spandimento di reflui poveri di carbonio come gli impianti a biogas e biometano per gestione di rifiuti organici e «verdi» che vedono alternative gestionali più sostenibili come il compostaggio;

   se il Governo intenda adottare ogni iniziativa di competenza per implementare il ruolo della «piattaforma del fosforo» in relazione allo studio del ciclo del fosforo e al recupero dello stesso dagli effluenti civili, industriali e agrozootecnici.
(2-00202) «Zolezzi, D'Arrando, Daga, Deiana, D'Ippolito, Federico, Licatini, Maraia, Alberto Manca, Ricciardi, Rospi, Terzoni, Traversi, Varrica, Vianello, Sarli, Sportiello, Trizzino, Troiano, Leda Volpi, Vignaroli, Massimo Enrico Baroni, Bologna, Lapia, Lorefice, Mammì, Menga, Nappi, Nesci, Provenza, Sapia, Sabrina De Carlo, De Girolamo, De Lorenzis, De Lorenzo, De Toma, Del Grosso, Del Monaco, Del Sesto, Di Sarno, Di Stasio, Dieni, D'Incà, Donno, Dori, D'Orso, D'Uva, Ehm».

Interrogazioni a risposta immediata:


   CONTE, MURONI, ROSTAN e FORNARO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   la regione Campania è preda di un grave stato di emergenza rifiuti derivante dalla mancata attuazione del piano regionale dei rifiuti, tenuto conto che nessuna delle previsioni ivi previste sono state realizzate, né è stato raggiunto l'obiettivo della percentuale di raccolta differenziata stabilita (65 per cento);

   incendi hanno interessato impianti di trattamento dei rifiuti, in particolare nelle province di Napoli e Salerno, come, ad esempio, quello accaduto all'interno dello stabilimento ex Stir di Battipaglia, uno due incendi che hanno interessato nel corso del 2018 l'area tra Eboli e Battipaglia, che particolare allarme sociale hanno sollevato in relazione alla situazione ambientale dell'area;

   nell'anno 2017 la Campania ha prodotto 1,2 milioni di tonnellate di rifiuti urbani indifferenziati, di cui circa 70.000 tonnellate sono rimaste stoccate negli impianti Stir intasandoli; a questi si sono aggiunte nel 2018 almeno altre 60 mila tonnellate;

   il piano relativo al finanziamento di 450 milioni di euro concessi per rimuovere le ecoballe entro febbraio 2018 risulta attuato solo nella misura del 2 per cento e dopo 10 anni la regione ha ripreso a produrre balle di rifiuti, ricreando una nuova emergenza nelle province di Napoli, Caserta e Salerno;

   recentemente il Ministro dell'interno e Vice Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto di realizzare un termovalorizzatore in ogni provincia a partire dalla regione Campania, proposta che ha registrato la contrarietà del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e dello sviluppo economico nonché Vice Presidente del Consiglio dei ministri, denotando all'interno del Governo una differenza non superficiale su un argomento delicatissimo;

   è del tutto evidente che l'Italia e, in particolare, la Campania necessitano di opzioni chiare che sostengano la raccolta differenziata con nuovi impianti di compostaggio e strategie volte al riuso e alla riduzione dei rifiuti, anche con tariffe premiali delle utenze virtuose;

   si assiste, invece, al fatto che in Campania ammontano a circa 327 mila tonnellate i rifiuti destinati ad essere smaltiti al di fuori della regione e, di questi, circa 87 mila tonnellate sono state trasportate al di fuori del territorio nazionale, con costi enormi che non sono più sostenibili –:

   quali iniziative intenda assumere, d'intesa con la regione Campania, al fine di affrontare quella che ad oggi in Campania rappresenta una gravissima emergenza ambientale e dei rifiuti e, in tale contesto, se ritenga che la proposta di realizzare un termovalorizzatore in ogni provincia su tutto il territorio nazionale, a partire dalla Campania, sia da condividere.
(3-00368)


   ILARIA FONTANA, ZOLEZZI, DAGA, DEIANA, D'IPPOLITO, FEDERICO, LICATINI, ALBERTO MANCA, MARAIA, RICCIARDI, ROSPI, TERZONI, TRAVERSI, VARRICA, VIANELLO e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il fiume Sacco si estende per circa 50 chilometri tra le province di Roma e Frosinone;

   l'area circostante al corso del fiume è classificata come Sito di interesse nazionale (Sin) ai fini di bonifica;

   la qualità delle acque e la biodiversità del fiume sono sempre più spesso messe a rischio da sversamenti illeciti di acque reflue e scarichi abusivi, fenomeni che nella provincia di Frosinone accadono ormai frequentemente e, in particolar modo, nelle giornate di pioggia intensa. Gli ultimi casi delle scorse settimane hanno riguardato ingenti quantità di schiume di natura sconosciuta, che, data la piena del fiume, si sono riversati anche su alcuni terreni circostanti, andando ad aggravare l'emergenza ambientale che ha già portato ad ordinanze sindacali tese ad interdire alcune zone per agricoltura e pascolo;

   il monitoraggio sulla qualità delle acque del Sacco, i cui risultati sono stati utilizzati per l'elaborazione dei documenti propedeutici all'aggiornamento del piano di tutela delle acque della regione Lazio, ha ulteriormente riscontrato una pessima condizione dello stato ecologico in 6 dei 14 sottobacini idrografici del fiume;

   oltre agli scarichi abusivi, anche i depuratori di acque reflue risultano essere spesso sottodimensionati, inattivi o comunque non in grado di trattare a sufficienza le acque in entrata, con la conseguenza di immettere nei corpi idrici acque aventi un carico di inquinamento ben oltre i limiti fissati dal decreto legislativo n. 152 del 2006;

   le attività industriali che scaricano le proprie acque nelle reti dei depuratori sono anch'esse soggette al rispetto dei limiti di legge e, visti i numerosi consorzi industriali e grandi impianti presenti lungo il corso del fiume, occorre verificarne il rispetto delle prescrizioni e le modalità di smaltimento dei fanghi;

   ad un'attività di indagine a danno avvenuto, serve un'azione congiunta tra gli enti competenti ed enti di controllo, quali Ispra, Arpa, azienda sanitaria locale e prefettura, al fine di prevenire in futuro il verificarsi di questi gravi fatti aumentando i controlli –:

   quali iniziative intenda promuovere al fine di contrastare i continui scarichi illeciti nel fiume Sacco.
(3-00369)


   CORTELAZZO, BARATTO, BOND, BENDINELLI, CAON, MILANATO, BRUNETTA, MARIN, ZANETTIN, SANDRA SAVINO, GAGLIARDI, RUFFINO, GIACOMETTO, LABRIOLA, MAZZETTI e CASINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   tra fine ottobre e inizio novembre 2018, un'eccezionale ondata di maltempo ha prodotto la morte di molte persone e danni enormi alle infrastrutture, agli immobili e al patrimonio naturale di vaste aree del Paese;

   a seguito dei suddetti eventi vi è stata la dichiarazione di stato di emergenza ai sensi della delibera del Consiglio dei ministri dell'8 novembre 2018, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 15 novembre 2018;

   peraltro il maltempo, accompagnato da venti fortissimi, ha fatto strage di alberi nelle regioni Friuli Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e Veneto. L'area con i danni maggiori è la provincia di Belluno;

   il vento ha fatto danni per circa 390 milioni di euro, schiantando a terra 12 milioni di metri cubi di boschi in Triveneto. Sono state colpite duramente anche colture pregiate come quella degli abeti rossi, nelle foreste della Val Visdende e di Paneveggio, conosciute come le foreste dei violini;

   ad acuire gli effetti del maltempo vi è molto probabilmente anche una generale mancanza di progettualità complessiva sulle opere di contrasto al dissesto idrogeologico;

   la citata mancanza di investimenti e progettualità, unita ai cambiamenti climatici in atto, può rappresentare un binomio micidiale che, se non affrontato correttamente, adottando misure e implementando gli investimenti per mettere in sicurezza le montagne, rischia di mettere in pericolo non solo i beni e il patrimonio naturale, ma la vita stessa di chi la montagna la vive;

   oggi più che mai, dopo i drammatici eventi che hanno colpito un territorio patrimonio Unesco creando danni per oltre 1 miliardo di euro, c'è bisogno di un intervento immediato e concreto con stanziamenti reali e non meramente promessi;

   il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 119 del 2018 in materia fiscale, prevede un fondo per le regioni colpite dagli eventi calamitosi dei mesi di settembre e ottobre 2018, con una dotazione di 400 milioni di euro. Una cifra molto inferiore a quella minima necessaria;

   non va dimenticata, inoltre, una prospettiva di medio periodo fatta di stanziamenti ancora maggiori per far fronte alle emergenze, con un risolutivo progetto nazionale di censimento e messa in sicurezza delle zone ad alto rischio climatico –:

   quali iniziative urgenti e quali risorse si intendano attivare per la messa in sicurezza dei territori di cui in premessa, posto che, in presenza di una drammatica deforestazione, vi è il rischio di nuove emergenze anche per le aree sottostanti pedemontane.
(3-00370)


   LOLLOBRIGIDA, ACQUAROLI, BELLUCCI, BUCALO, BUTTI, CARETTA, CIABURRO, CIRIELLI, CROSETTO, LUCA DE CARLO, DEIDDA, DELMASTRO DELLE VEDOVE, DONZELLI, FERRO, FIDANZA, FOTI, FRASSINETTI, GEMMATO, LUCASELLI, MASCHIO, MELONI, MOLLICONE, MONTARULI, OSNATO, PRISCO, RAMPELLI, RIZZETTO, ROTELLI, SILVESTRONI, TRANCASSINI, VARCHI e ZUCCONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   con il decreto-legge 28 settembre 2018, n. 109, recante «Disposizioni urgenti per la città di Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre emergenze», sono state introdotte norme per accelerare la definizione delle istanze di condono pendenti relative agli immobili distrutti o danneggiati dal sisma del 21 agosto 2017 nel territorio dell'isola di Ischia;

   in base alla norma, per le pratiche di condono troverà esclusiva applicazione la disciplina dettata dai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, cosiddetto «primo» condono edilizio;

   sembrerebbe che le istanze presentate siano migliaia, rispetto a una superficie di poche decine di chilometri quadrati –:

   se e in che modo intenda vigilare sui possibili rischi di dissesto idrogeologico che potrebbero scaturire dall'applicazione della norma.
(3-00371)

Interrogazione a risposta orale:


   MARTINCIGLIO, ANGIOLA, CASA, DEL MONACO, GRIPPA, LICATINI, LOMBARDO e PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il maltempo che nelle scorse settimane ha interessato la costa occidentale della Sicilia ha causato danni incalcolabili, in particolare, nel comune di Mazara del Vallo che ha deliberato la richiesta di stato di calamità naturale;

   le incessanti piogge hanno causato notevoli danni, molti dei quali provocati dall'esondazione del fiume Mazaro, che ha determinato la rottura degli ormeggi e la distruzione di decine di imbarcazioni, oltre a gravi danni agli esercizi commerciali presenti in prossimità dell'area interessata;

   per fronteggiare l'emergenza sono state impiegate diverse squadre dei vigili del fuoco oltre che la sezione dei soccorritori acquatici inviati dal comando provinciale trapanese;

   nonostante tale intervento, la situazione che interessa la città e la comunità mazaresi rimane critica poiché i danni causati dagli eventi atmosferici hanno impattato sui principali comparti dell'economia – da quello marittimo cittadino, a quello agricolo, a quello commerciale – messa in ginocchio;

   il dato maggiormente preoccupante, tuttavia, riguarda le compromesse condizioni del depuratore comunale di Bocca Arena, i cui danni ammonterebbero a circa 30 mila euro, e del depuratore di Mazara Due che è stato semidistrutto con danni superiori a 200 mila euro. Il danneggiamento degli impianti citati ha già comportato gravi disagi, soprattutto sotto il profilo igienico-sanitario;

   l'esondazione è probabilmente riconducibile al mancato dragaggio sia del bacino portuale che del retrostante porto canale del fiume Mazaro nonostante l'esistenza di un progetto esecutivo denominato «lavori di ripristino dei fondali del bacino portuale e per il retrostante Porto Canale redatto dal provveditorato interregionale opere pubbliche Sicilia Calabria Ufficio 3 – tecnico ed opere maritime per la Sicilia del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti»;

   i fanghi che nel corso degli anni si sono depositati in fondo al fiume-porto canale, grazie anche all'inciviltà dell'uomo (ripescati anche pezzi di ciclomotore), sono quasi tutti inquinati e andranno in parte conferiti in discarica; il progetto, già appaltato da anni e per l'esecuzione del quale il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha già messo a disposizione le risorse economiche, risulta bloccato per ragioni verosimilmente connesse alla mancanza della integrale copertura economica delle operazioni di smaltimento dei residui derivanti dall'attività di escavazione;

   in base alle datate relazioni pubblicate dall'Iamc Cnr di Capo Granitola, i fanghi classificati come «C» non devono essere conferiti in discarica;

   è di tutta evidenza come la questione del dragaggio del fiume-porto canale abbia un notevole impatto ambientale che necessita di un monitoraggio nazionale;

   i rischi idrogeologici e, a seguito della rottura del depuratore, l'emergenza igienico-sanitaria connessi alla vicenda del mancato dragaggio impongono un intervento sollecito e risolutivo;

   il sottosegretario Dell'Orco, che nell'immediatezza dell'alluvione ha verificato personalmente lo stato dei luoghi, ha annunciato la disponibilità ad aprire un tavolo tecnico per discutere un piano integrato di soluzioni a tutti i problemi idrogeologici, di depurazione e di impianto fognario di Mazara e che punti anche a utilizzare al più presto e adeguatamente le risorse a disposizione, compresi: 2 milioni di euro che dal 2012 ad oggi risultano non ancora spesi –:

   quali iniziative i ministri in intendano concretamente intraprendere, per quanto di competenza, per fronteggiare la situazione emergenziale di carattere igienico-sanitario che affligge la cittadinanza mazarese e per risolvere i problemi idrogeologici e di depurazione che interessano la città trapanese;

   se, in particolare, ritengano necessario intervenire, per quanto di competenza, per assicurare il dragaggio e la pulitura del fiume-porto canale che, alla luce degli eventi descritti in premessa, appaiono non più rinviabili.
(3-00372)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PRESTIPINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il Paese è stato interessato da eventi meteorologici che hanno devastato l'ambiente e la biodiversità, causato la morte di decine di persone e portato ingenti danni ad abitazioni e infrastrutture;

   a seguito di questi eventi eccezionali è stato dichiarato lo stato di emergenza, tra le altre, nelle regioni Calabria, Lazio, Liguria, Lombardia, Veneto;

   una delle regioni più colpite da gravissime perdite, soprattutto in termini ambientali e infrastrutturali, è il Veneto;

   da un dossier prodotto dalla regione Veneto emerge un quadro raccapricciante: 1 miliardo di euro di danni stimati, 100.000 ettari di bosco schiantato, 2.000 tratti di strade interrotte, 1.000 edifici danneggiati e risulta che per rimuovere gli alberi caduti nei 100.000 ettari di foreste rase al suolo ci vorranno ben 5 anni;

   l'assessore della regione Veneto all'ambiente ha riferito all'aula del consiglio regionale sul disastro affermando «Si è abbattuto un evento assolutamente devastante su quasi tutto il Veneto e infatti il bollettino meteo dava tutto il Veneto in rosso, che vuol dire stato di allarme, e in modo particolare abbiamo rilevato in alcune zone 700 millimetri, quindi 70 centimetri di pioggia caduti in poche ore, un evento superiore al 1966 e al 2010; abbiamo misurato velocità del vento superiori a 190 chilometri orari, per cui trattasi di uragano»;

   la perdita di biodiversità avvenuta è senza precedenti in Italia, solo in Veneto pari a 100.000 ettari. Coldiretti ha stimato la perdita in ben 15 milioni di alberi;

   il comandante del gruppo biodiversità dei carabinieri forestali di Vittorio Veneto ha definito quanto accaduto in Veneto come una ecatombe di animali in particolare di specie della tipica fauna alpina come cervi, caprioli, martore, scoiattoli, galli cedroni, francolini di monte e picchi;

   esponenti dell'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) hanno parlato di un autentico crollo di biodiversità in tutte le zone colpite;

   in termini di biodiversità, in particolare di fauna selvatica, risulta evidente la gravità delle perdite;

   le maggiori associazioni nazionali di tutela ambientale e degli animali hanno chiesto il riconoscimento dello stato di calamità anche per la fauna e la chiusura della caccia nelle aree colpite dal maltempo;

   la legge n. 157 del 1992 stabilisce che le regioni possono vietare o ridurre la caccia a determinate specie selvatiche per ragioni connesse alla consistenza faunistica, o a causa delle condizioni ambientali, climatiche e per altre calamità;

   la legge regionale del Veneto n. 50 del 1993 stabilisce che il presidente della giunta regionale può vietare la caccia per importanti e motivate ragioni connesse alla consistenza faunistica o per sopravvenute particolari condizioni ambientali, climatiche, per malattie o altre calamità;

   la caccia è stata riaperta nelle foreste distrutte della provincia di Vicenza e nella martoriata provincia di Belluno, ciò a giudizio dell'interrogante in contrasto con quanto disposto dalla legge;

   i piani di abbattimento predisposti prima delle calamità ambientali devono perciò essere rivisti, anche per il principio di precauzione, per le forti perdite subite da queste specie. Pertanto, il divieto di caccia nelle zone colpite dovrebbe essere esteso almeno per l'intera stagione venatoria 2018/2019;

   l'articolo 1 della legge n. 157 del 1992 stabilisce: «La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato che la tutela nell'interesse della comunità nazionale ed internazionale» –:

   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per tutelare la fauna selvatica nelle suddette aree colpite dall'uragano;

   se non ritenga di dover adottare le iniziative di competenza per sospendere la caccia nelle zone interessate dall'uragano per la stagione venatoria 2018/2019, per non incidere negativamente sulle popolazioni di fauna selvatica colpite gravemente;

   se non ritenga necessario attivare urgentemente l'Ispra per stabilire l'entità del danno alla biodiversità, in particolare alla fauna selvatica, e per definire delle azioni di intervento e di tutela.
(5-01037)


   MURONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   come riportato dagli organi di informazione, risulta che una tappa del prossimo Giro d'Italia avrà come traguardo il Lago del Serrù, in alta Valle Orco, a 2.300 metri di quota, nel cuore del Parco nazionale Gran Paradiso;

   è importante ricordare che il Parco nazionale del Gran Paradiso è il primo parco nazionale istituito in Italia, abbraccia un vasto territorio di alte montagne, fra gli 800 metri dei fondovalle e i 4.061 metri della vetta del Gran Paradiso. Boschi di larici e abeti, vaste praterie alpine, rocce e ghiacciai costituiscono lo scenario ideale per la vita di una fauna ricca e varia e per una visita alla scoperta del meraviglioso mondo dell'alta montagna;

   all'interno di questo importante patrimonio ambientale, naturalistico, paesaggistico e faunistico e considerato il numero delle persone una folla di migliaia di persone che vi accederanno, nonché dei mezzi motorizzati – auto, moto, elicotteri, autocarri, nonché le strutture che verranno allestite e i rifiuti eventualmente abbandonati, potrebbero esserci delle ricadute in termini di tutela dell'ambiente;

   l'arrivo della tappa avverrà a fine maggio 2019, periodo delicato per la fauna. In alta Valle dell'Orco. In primavera gli ungulati selvatici scendono sul fondovalle ed in particolare lo stambecco, specie simbolo del parco, che sta vivendo in questi anni una preoccupante diminuzione della sua popolazione;

   il frastuono degli elicotteri e degli altri mezzi motorizzati fin nel cuore del Gran Paradiso può compromettere l'auspicato ritorno del gipeto proprio nella parte piemontese della valle dell'Orco, dopo il suo ritorno nelle tre valli valdostane, ottenuto grazie ad un costoso programma internazionale di reintroduzione che dura da oltre un ventennio;

   il grave disturbo verrebbe arrecato proprio durante il periodo delle nascite dei piccoli di stambecco e quando i giovani di gipeto si esercitano nei loro primi voli;

   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative, di concerto con l'ente parco nazionale del Gran Paradiso, affinché l'arrivo della tappa del Giro d'Italia avvenga in prossimità dell'abitato di Ceresole Reale, al di fuori dei confini del parco, posto che è comunque un luogo ugualmente spettacolare e degno per il Giro d'Italia che darebbe il giusto risalto alla valle dell'Orco e ai suoi comuni, che in tal modo si eviterebbero le eventuali ricadute sull'ambiente e che, allo stesso tempo, anche l'immagine del ciclismo professionistico sicuramente ne guadagnerebbe.
(5-01049)


   MURONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   l'impianto di trattamento meccanico-biologico (Tmb) di proprietà dell'Ama, di via Salaria 981, è da anni al centro di proteste da parte dei residenti nella zona a causa dei miasmi e delle esalazioni provenienti dallo stesso, si tratta di esalazioni che invadono, tra gli altri, i quartieri di Villa Spada, Fidene, Colle Salario, Nuovo Salario;

   nel sito vengono trattati rifiuti indifferenziati attraverso procedure meccaniche e processi biologici con i quali la frazione di rifiuti umida viene separata da quella secca. L'impianto non è in grado di smaltire rapidamente l'enorme quantità di rifiuti che viene conferita giornalmente, con la conseguenza che i rifiuti indifferenziati si accumulano all'interno del deposito trasformandolo a tutti gli effetti in una discarica;

   va poi precisato che nell'impianto si svolge un lungo processo di fermentazione che dura diverse settimane. L'odore pestilenziale che si produce si diffonde nelle zone limitrofe densamente popolate, causando forti disagi, particolarmente forti per chi vive a ridosso dell'impianto che si trova a soli 50 metri dalla prima casa e a 150 metri dall'asilo;

   più volte è stata annunciata dall'amministrazione capitolina, guidata dalla sindaca Raggi, la chiusura del Tmb Ama di via Salaria e la sua riconversione, sempre rimandate. Da ultimo era stato annunciato la chiusura entro il 2019 a condizione che la quota della raccolta differenziata raggiunga il 70 per centro: obiettivo che, allo stato attuale, appare estremamente difficile da raggiungere;

   il dipartimento pressione sull'ambiente – servizio supporto tecnico ai processi autorizzatori – dell'Arpa Lazio, con nota, protocollo n. 70357, del 16 ottobre 2018, inviata alla direzione regionale risorse idriche, difesa del suolo e rifiuti, area ciclo integrato dei rifiuti della regione Lazio, di fatto boccia il Tmb Salario;

   la relazione dell'Arpa Lazio è una vera e propria denuncia inappellabile sull'impianto: c'è scritto che di fatto l'impianto non tratta i rifiuti, ma piuttosto li accumula e li sposta, quindi è una discarica di fatto; che non avrebbe i requisiti per essere autorizzato; che etichetta rifiuti in modo scorretto; che produce più scarto che rifiuto lavorato; che fa trasferenza di rifiuti in modi che sono completamente fuori norma; che i rifiuti che escono andrebbero ritrattati, tanto funziona male l'impianto; che i rifiuti stazionano nell'impianto oltre qualunque tempo consentito; che non riesce a riciclare nulla, nemmeno i metalli -0,4 per cento contro i 5-7 per cento che dovrebbe essere lo standard; che non è stata fornita nessuna documentazione sull'impatto degli odori e questo è un prerequisito per l'autorizzazione; che non può essere fatta manutenzione a causa della permanenza di quantità enormi di rifiuti; che non si tiene in alcun modo conto dell'impatto sul territorio della putrescenza, almeno 4 volte più dei limiti; che moltissime attività di scarico e carico avvengono in modo illecito; le ultime righe della relazione, non sono altro che la sentenza di condanna dell'impianto Tmb di via Salaria n. 981 «la valutazione della documentazione allo stato attuale agli atti non può che determinare un parere negativo di Arpa Lazio a riscontro della medesima» –:

   quali iniziative concrete e immediate, per quanto di competenza, il Governo intenda intraprendere, anche per il tramite del Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, in relazione alle criticità evidenziate con riguardo all'impianto di cui in premessa, a tutela della salute dei cittadini residenti nelle zone limitrofe all'impianto Tmb di via Salaria n. 981, e dei lavoratori presenti nell'impianto, alla luce del nuovo drammatico scenario denunciato nella relazione dell'Arpa Lazio che di fatto ne nega l'autorizzazione, perché tenerlo ancora funzionante sarebbe una scelta molto grave sia dal punto di vista ambientale e sanitario, ma anche sociale.
(5-01050)


   MURONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il fiume Sacco, che scorre soprattutto nel basso Lazio, è stato attraversato da un ingente quantitativo di schiuma. Questo è quanto è stato segnalato durante la notte del 30 ottobre 2018 da alcuni cittadini di Ceccano e dei comuni limitrofi;

   sono settimane che le autorità preposte cercano di identificare l'origine di un fenomeno più volte ripetuto che potrebbe essere dannoso per l'ambiente e nocivo per la salute delle persone residenti in quei luoghi;

   nella giornata del 31 ottobre 2018, stando a quanto riportato dal quotidiano «Il Messaggero» le forze dell'ordine si sono presentate presso il depuratore di zona del Consorzio industriale Asi. Pare che siano stati rinvenuti aggregati spumosi, ma la società deputata alla gestione ha voluto precisare che la schiuma «è arrivata nell'impianto dall'esterno e quindi la capacità depurativa dello stesso non c'entra nulla con la comparsa del fenomeno»;

   negli ultimi dodici mesi sono state decine le aziende controllate e sanzionate dai carabinieri forestali. Lo scorso mese di maggio, per esempio, sono state undici le persone individuate, erano i responsabili di ben 5 aziende ed il proprietario di un palazzo;

   questi ennesimi episodi non rappresentano dei fatti isolati: fusti tossici interrati lungo le corsie dell'A1 e negli scavi della linea ad alta velocità e, infine, gli scarichi illeciti nel fiume Sacco. La storia ambientale del frusinate, provincia «cuscinetto» tra Roma e Napoli, eletta dal clan dei Casalesi, dalle cosche calabre e dalla malavita romana, come «porto franco» viene raccontata in tempi non sospetti da Carmine Schiavone, ex boss e pentito, che così descriveva la Ciociaria in uno dei suoi tanti interrogatori fiume;

   le parole di Carmine Schiavone, dissecretate dopo anni, portarono alla luce nel 2013 lo spaccato di una provincia molto più vicina all'omertà che alla voglia di legalità. All'ombra dell'abbazia più conosciuta al mondo si sarebbero sviluppati gli interessi del clan malavitoso più potente al mondo. A Cassino, come racconta sempre Schiavone, sarebbero stati reinvestiti i proventi illeciti del traffico dei rifiuti, secondo quanto riportato in un articolo online pubblicato sul sito di «Frosinone Today» il 3 dicembre 2018;

   nell'audizione, svolta nella tredicesima legislatura in Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, Schiavone parla ancora di ambiente. Riferisce dei camion che partivano anche dalla Ciociaria (sette quelli citati nell'elenco consegnato al presidente della Commissione, con annessi numeri di targa e nomi delle società operanti per conto del clan) e diretti in Toscana, in Germania e nel nord Italia dove caricavano rifiuti tossici e nocivi che poi venivamo smaltiti nel sud;

   gli stessi temi verranno trattati qualche giorno più tardi – 23 ottobre del 1997 – dal sostituto procuratore della direzione nazionale antimafia, Luigi De Fichy, che venne ascoltato in audizione presso la Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti. Il magistrato evidenziò che, secondo alcune indagini, alcuni gruppi criminali avevano un controllo del territorio nelle zone di Cassino e Frosinone (come riportato in un articolo online pubblicato sul sito di «Frosinone Today» il 3 dicembre 2018) –:

   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se non intenda adottare le iniziative di competenza per avviare immediatamente, anche per il tramite del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente e in collaborazione con la regione Lazio, un'azione di monitoraggio delle acque e dei terreni in modo da verificare se insistano eventuali pericoli per la salute dei cittadini, dei turisti e l'ambiente;

   vista l'urgenza ambientale e sanitaria, se intenda adottare le iniziative di competenza per riconoscere tali aree come siti da bonificare di interesse nazionale, in modo da avviare rapidamente la bonifica di tutti i siti compromessi dopo averne effettuato un censimento.
(5-01052)


   MADIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   l'impianto di trattamento meccanico-biologico (Tmb), di proprietà dell'Ama, situato a Roma in via Salaria 981 è da anni al centro di costanti proteste da parte di cittadine e cittadini residenti nella zona a causa dei miasmi e delle esalazioni da esso provenienti che invadono i quartieri di Villa Spada, Fidene, Colle Salario, Nuovo Salario;

   nel sito vengono trattati rifiuti indifferenziati attraverso procedure meccaniche e processi biologici con i quali la frazione di rifiuti umida viene separata da quella secca. L'impianto non è in grado di smaltire rapidamente l'enorme quantità di rifiuti che viene conferita giornalmente, con la conseguenza che i rifiuti indifferenziati si accumulano all'interno del deposito trasformandolo a tutti gli effetti in una discarica. Va poi precisato che nell'impianto si svolge un lungo processo di fermentazione che dura 28 giorni. L'odore pestilenziale che si produce si diffonde nelle zone limitrofe densamente popolate, causando molti disagi, particolarmente forti per chi vive a ridosso dell'impianto che si trova a soli 50 metri dalla prima casa e a 150 metri da un asilo;

   le associazioni sindacali hanno più volte denunciato lo stato di abbandono dell'impianto e la totale assenza di ogni forma di manutenzione. Mancano al suo interno sistemi di aerazione e di aspirazione delle polveri adeguati e di copertura dei rifiuti, mentre la sala manovra non sarebbe pressurizzata e le norme di sicurezza non verrebbero rispettate; all'interno dell'impianto Tmb Ama di via Salaria si sono, infatti, verificati numerosi incidenti: l'ultimo è avvenuto nel luglio 2017, quando il braccio di un mezzo meccanico, che stava movimentando i rifiuti all'interno della fossa di scarico della struttura, ha urtato inavvertitamente contro il soffitto, causando il distaccamento di un pannello in cemento, caduto poi contro la portiera del mezzo;

   il 27 ottobre 2017, 1.300 persone che risiedono nei quartieri di Fidene, Villa Spada, Serpentara e Colle Salario hanno presentato un esposto in procura con il quale si ipotizza il reato di inquinamento ambientale ai danni di circa 60.000 cittadine e cittadini denunciando l'insopportabile cattivo odore, che giornalmente proviene dall'impianto. Esposto che ha portato il pubblico ministero Carlo Villani ad aprire un'indagine;

   è stata più volte annunciata la chiusura dell'impianto e la sua riconversione. La sindaca Raggi ha annunciato la sua chiusura entro il 2019, a condizione che la quota della raccolta differenziata raggiunga il 70 per cento: obiettivo che, allo stato attuale, appare estremamente difficile da raggiungere. L'attuale amministrazione capitolina ha inoltre di fatto cancellato i piani previsti dall'amministrazione precedente senza che questi fossero sostituiti da un piano industriale della nuova gestione di Ama in grado di garantire concretamente il rafforzamento dell'autonoma nella gestione del ciclo dei rifiuti e dunque il percorso necessario per arrivare alla chiusura del Tmb Ama di via Salaria;

   il 16 novembre 2018 Arpa Lazio ha depositato una relazione per il riesame dell'autorizzazione integrata ambientale del Tmb di via Salaria nella conferenza di servizi che certifica che l'impianto presenta rilevanti criticità circa le modalità e l'efficacia dei trattamenti effettuati, e una produzione di rifiuti privi delle caratteristiche qualitative e quantitative previste dall'atto autorizzativo e che i rifiuti trattati non sono stabilizzati e sono putrescibili –:

   quali iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere, per quanto di competenza, al fine di monitorare le criticità dell'impianto Tmb di via Salaria e dell'area su cui esso insiste, anche promuovendo una verifica da parte del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, per assicurare piena legalità, efficienza e rispetto della tutela ambientale, della sicurezza sul lavoro e della salute dei cittadini e delle cittadine.
(5-01056)


   MARAIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   nel territorio di Ariano Irpino (Avellino), località Difesa Grande, è ubicata una discarica di rifiuti solidi urbani gestita dalla Asi-Dev Ecologia Srl, attualmente dismessa;

   il 18 luglio 2011 il comune di Ariano Irpino siglava con il Ministero e la regione Campania un accordo operativo denominato intervento «bonifica discarica Difesa Grande» nell'ambito del «programma strategico per le compensazioni ambientali nella regione Campania» ottenendo un finanziamento di 6.480.000 euro;

   con sentenza n. 243 del 2013 del tribunale di Ariano Irpino veniva accertato che la discarica ha determinato l'inquinamento chimico delle acque superficiali del fiume Cervaro, con grave danno per l'ambiente, il territorio e la salute delle persone;

   malgrado ciò, in data 11 dicembre 2014, all'esito delle procedure di caratterizzazione, il sito veniva dichiarato «non contaminato» dalla conferenza di servizi;

   conseguentemente, il comune di Ariano Irpino chiedeva e otteneva dal comitato di controllo dell'accordo operativo per le bonifiche in Campania di destinare la somma di 6.480.000,00 euro, originariamente assentita per la bonifica del sito, ad altre finalità relative alla gestione del ciclo integrato delle acque;

   successivamente alla caratterizzazione si apriva la fase di monitoraggio durante la quale venivano accertati dall'Arpac, nella falda sotterranea dell'area esterna alla discarica, superamenti delle concentrazioni soglia di contaminazione di sostanze inquinanti nuove, non riscontrate durante la fase di caratterizzazione: benzene, cromo totale, manganese, solfati, nitriti e ferro;

   lo stesso dirigente dell'ufficio tecnico del comune di Ariano Irpino, ingegnere Fernando Capone evidenziava come durante il monitoraggio venivano accertati nuovi superamenti di Csc (Concentrazioni soglia di contaminazione) non riscontrati in fase di caratterizzazione;

   malgrado ciò, l'Arpac di Avellino riteneva tali superamenti di Csc non rilevanti e dichiarava il sito stabilizzato e non inquinato sul presupposto che i superamenti delle Csc riscontrati «a parere dello scrivente, possono essere considerati “valori di fondo”»;

   la conferenza di servizi del 9 luglio 2018 recepiva integralmente le validazioni dei dati dell'Arpac di Avellino e dichiarava il sito «stabilizzato» e «non contaminato»;

   tuttavia presso il sito non sono mai stati effettuati degli studi volti a determinare il valore di fondo naturale dell'area su cui insiste la discarica, né sono mai state individuate le fonti antropiche o naturali che avrebbero comportato l'alterazione della composizione chimica dell'area, così come prescritto dall'articolo 240, comma 1, lettera b) del decreto legislativo n. 152 del 2006;

   in data 23 ottobre 2018 il comune di Ariano Irpino accertava che «non risultano presenti nell'area opifici o attività che possano produrre gli inquinanti le cui tracce sono emerse nel corso dei campionamenti»;

   la discarica, sulla base di quanto emerso nel monitoraggio, secondo l'interrogante doveva essere dichiarata «sito potenzialmente contaminato» con attivazione di tutte le conseguenti procedure indicate dal decreto legislativo n. 152 del 2006;

   dette procedure non sono state attivate e tale situazione determina, a giudizio dell'interrogante, un possibile danno ambientale da mancata bonifica –:

   se il Ministro intenda adottare le iniziative di competenza affinché il finanziamento di 6.480.000 euro, attualmente riassegnato in favore di finalità diverse dalla bonifica di Difesa Grande, venga congelato per essere nuovamente destinato alla bonifica della discarica;

   se il Ministro interrogato non intenda promuovere iniziative, per quanto di competenza, volte a chiarire se il sito sia da considerare «potenzialmente contaminato» ai sensi di quanto previsto dal Titolo V del decreto legislativo n. 156 del 2006;

   quali iniziative il Ministro intenda porre in essere, per quanto di competenza, al fine di tutelare le matrici ambientali dell'area, anche in considerazione del fatto che la discarica è costeggiata dal torrente Lavello, le cui acque sfociano nel Mare Adriatico per il tramite del fiume Cervaro;

   se non si ritenga opportuno, al fine di evitare un possibile danno ambientale, promuovere una verifica da parte del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente presso la discarica di Difesa Grande, anche nell'ottica di effettuare nuove analisi di tutte le matrici ambientali.
(5-01065)


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   il 19 ottobre 2018, l'interrogante ha chiesto al dipartimento ambiente e territorio della regione Calabria informazioni circa l’iter per l'autorizzazione integrata ambientale con contestuale procedura di Valutazione di impatto ambientale in ordine al progetto in area Asi di Castrovillari di una piattaforma per il trattamento e lo smaltimento di rifiuti, presentato il 13 marzo 2017 da Ecologica Sud Servizi srl;

   nella relativa risposta, si rappresenta l'attesa del parere del Ministero dei beni e delle attività culturali, rileva anche che, nella seduta del 12 gennaio 2018, la struttura tecnica di valutazione ha richiesto chiarimenti ed integrazioni documentali al fine di procedere all'istruttoria e che, con Pec del 12 giugno 2018, acquisita al prot. Siar n. 233725 del 4 luglio 2018, il proponente ha riscontrato la richiesta del 12 gennaio 2018;

   ai procedimenti di Via, Vas e Aia si applica la disciplina del decreto legislativo n. 152 del 2006, il cui articolo 19, comma 6, stabilisce che l’«autorità competente può, per una sola volta, richiedere chiarimenti e integrazioni al proponente, entro trenta giorni dalla scadenza del termine di cui al comma 4»;

   «in tal caso, il proponente – è ivi prescritto – provvede a trasmettere i chiarimenti richiesti entro e non oltre i successivi quarantacinque giorni», tenuto conto di una possibilità tassativa, lì prevista, di sospensione dei predetti termini;

   soprattutto, «qualora il proponente non trasmetta la documentazione richiesta entro il termine stabilito, la domanda si intende respinta ed è fatto obbligo all'autorità competente di procedere all'archiviazione»;

   da quanto risulta all'interrogante, i chiarimenti richiesti sono stati ricevuti dalla regione Calabria ben oltre i 45 giorni previsti dal menzionato articolo 19 e non risulta esser stata concessa una sospensione dei termini;

   stando alla nota regionale, secondo l'interrogante, non risulterebbe rispettato l’iter previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006, in particolare quanto stabilito dal comma 4 dell'articolo 28 ai fini del rilascio dell'Aia, per il fatto che è mancata la convocazione di apposita conferenza di servizi con l'invito dei soggetti ivi indicati;

   nel dibattito tenutosi in sede di consiglio comunale di Castrovillari, è emerso che un'altra ditta, attiva nel settore dei rifiuti, cioè Calabra Macerie Servizi spa, è parte attiva e cointeressata rispetto al progetto;

   la struttura tecnica di valutazione non ha inteso avvalersi della facoltà – il che sarebbe stato invece più che opportuno, secondo l'interrogante alla luce della delicatezza della questione, degli interessi economici e lavorativi in gioco e del profilo sociale, imprenditoriale e legato all'occupazione – prevista all'articolo 6, comma 3, del regolamento regionale del 5 novembre 2013, n. 10, secondo cui avrebbe potuto «invitare il committente o l'autorità proponente per illustrare il progetto nel corso dell'attività istruttoria, sia in sede di gruppo di lavoro che in sede plenaria, invitando eventualmente anche gli enti competenti ed il pubblico interessato»;

   per l'interrogante la mancata convocazione pregiudica consolidati interessi ambientali ed economici fondamentali per la zona, visto che il progetto andrebbe ad impattare su un'area di particolare importanza, ricadente per di più nell'ambito del distretto agroalimentare di qualità di Sibari, da cui esita molta quota della produzione settoriale dell'intera regione, e al cui interno rientra anche il Parco nazionale del Pollino;

   per conto dell'Isde, il dottor Ferdinando Laghi – come molti altri soggetti – ha trasmesso, in data 10 maggio 2017, una serie di osservazioni sul progetto, anche in ordine all'incompatibilità con il riferito distretto agroalimentare, istituito con specifica legge regionale, n. 21 del 2004, nata da iniziativa popolare –:

   quali urgenti iniziative di competenza intendano assumere, i Ministri interrogati in relazione a quanto esposto in premessa per preservare un'area, che è parte del Parco nazionale del Pollino, che potrebbe essere contaminata dall'impianto di trattamento dei rifiuti sopra richiamato e per verificare la compatibilità del progetto con le esigenze di tutela degli interessi storici, artistici, archeologici e paleontologici.
(5-01067)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   da fonti giornalistiche si apprende che l'attuale sindaco di Marina di Camerota, Mario Salvatore Scarpitta, fervido sostenitore di Franco Alfieri (capo staff del governatore Vincenzo De Luca), sarebbe coinvolto in prima persona, assieme a sua moglie, in una vicenda di abusivismo edilizio;

   difatti, quando Scarpitta era ancora consigliere di opposizione, egli sarebbe già stato titolare di un'azienda e possedeva un capannone (tutt'oggi esistente) in una zona vincolata dal Parco nazionale del Cilento;

   nel 2011 i carabinieri avrebbero riscontrato che la costruzione era stata realizzata senza un idoneo permesso a costruire, constatazione che avrebbe portato il comune ad emettere un ordine di demolizione. Ciononostante, la demolizione non sarebbe avvenuta e sarebbero iniziati, nel 2014, gli scontri dinanzi al tribunale amministrativo tra l'ente parco ed il futuro sindaco e la moglie;

   la sua elezione a sindaco di Marina di Camerota, nel 2017, avrebbe indotto un esponente dell'opposizione a sollevare una questione di incompatibilità della carica a causa del pendente contenzioso tra Scarpitta ed il comune. Ciò malgrado, il sindaco non avrebbe rinunciato alla carica e non sarebbe stata comunque effettuata alcuna demolizione anzi, sembrerebbe che nell'aprile 2018, i carabinieri abbiano riscontrato la presenza di un secondo capannone all'interno della stessa zona;

   per tali ragioni, sembrerebbe che il comune, a seguito di numerose verifiche, abbia intimato ai signori Scarpitta, al fine di sanare la situazione dei capannoni, il pagamento di una somma di duemila euro, nonché l'ordine di ottenere un nullaosta da parte dell'ente parco, che però, ad oggi, sembrerebbe non essere stato emesso;

   a parere dell'interrogante si tratterebbe dell'ennesimo caso di abuso edilizio che, però, non dovrebbe passare inosservato proprio perché vede il coinvolgimento di un rappresentante del popolo che, oltre a reprimere gli abusi, dovrebbe in prima linea fornire il «buon esempio»;

   quanto riportato si inserirebbe nel gravissimo quadro degli abusivismi edilizi in Campania: oltre la metà degli immobili campani sono abusivi e le domande di sanatoria in tutta la regione sono all'incirca 362.646 –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative di competenza ritenga utile adottare per fronteggiare questa allarmante situazione e se non ritenga opportuno assumere iniziative per prevedere maggiori controlli per reprimere l'abusivismo edilizio, con particolare riferimento alla Campania, e per inasprire il sistema sanzionatorio per i trasgressori.
(4-01787)


   ALBERTO MANCA e MARINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   in base alle verifiche effettuate dagli interroganti, è risultato che presso la piattaforma impiantistica del consorzio industriale provinciale nord est Sardegna – Gallura, sita ad Olbia (Sassari) in località «Spiritu Santu», a partire quantomeno dal mese di settembre 2018, si è verificato il conferimento di rifiuti speciali provenienti dalla penisola, finalizzato al trattamento di biostabilizzazione e conseguente smaltimento a discarica degli stessi;

   secondo le notizie apprese tramite la stampa locale, una porzione del sopraccitato impianto consortile è stata posta sotto sequestro nell'ambito di un'indagine disposta dalla procura di Tempio ed effettuata dai carabinieri del nucleo operativo geologico di Sassari, relativa allo smaltimento presso il medesimo di rifiuti speciali prodotti in Campania dal trattamento delle acque reflue urbane (codice CER 19 agosto 2005) e provenienti dagli impianti pubblici di depurazione di Acerra (Caivano) e Foce Regi Lagni (Villa Literno). In tali rifiuti sarebbero stati riscontrati parametri fuori norma in merito alla concentrazione di zinco e idrocarburi;

   sulla base di autorevoli dichiarazioni riportate da altre fonti di stampa, detti fanghi parrebbero essere stati trasferiti in Sardegna dopo averne tentato, con esito negativo, il conferimento presso alcuni impianti di depurazione siti in Puglia;

   attraverso ulteriori verifiche effettuate dagli interroganti, sono emerse altresì irregolarità circa il trasporto dei suddetti fanghi da depurazione –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione riportata in premessa e di quali informazioni disponga al riguardo;

   se non ritenga opportuno promuovere i necessari accertamenti da parte del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, per quanto di competenza, presso gli impianti di depurazione citati in premessa, nonché nei confronti di tutti gli ulteriori soggetti coinvolti nella gestione dei suddetti fanghi, al fine di verificare la conformità alla legge di ogni aspetto riguardante tale attività, con particolare riferimento alla presenza negli stessi di sostanze dannose per la salute umana e l'ambiente;

   se non ritenga opportuno promuovere, per quanto di competenza, un incremento dei controlli su tutta la filiera di gestione dei fanghi da depurazione in Italia.
(4-01792)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PICCOLI NARDELLI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   il Ministero per i beni e le attività culturali ha pubblicato il 23 novembre 2018 due bandi di selezione pubblica internazionale, uno per tre incarichi di livello dirigenziale generale di direttore, rispettivamente, della Galleria dell'Accademia di Venezia, della Reggia di Caserta, del Parco archeologico di Pompei; l'altro, per tre incarichi di livello dirigenziale non generale di direttore, rispettivamente, del Parco archeologico dell'Appia antica, del Parco archeologico dei Campi Flegrei e del Palazzo Reale di Genova;

   i bandi prevedono che la procedura debba concludersi entro marzo 2019 per incarichi dirigenziali di direttore che avranno la durata di tre anni, a differenza del precedente bando del gennaio 2015 che invece assegnava l'incarico per 4 anni, una tempistica troppo ristretta che certamente scoraggerà le candidature di aspiranti direttori provenienti dall'estero;

   le candidature dei partecipanti al bando, da presentarsi in lingua italiana e in inglese, verranno valutate da una commissione di esperti, nominata dal Ministro per i beni e le attività culturali entro il 31 dicembre 2018; di conseguenza, saranno verosimilmente nominate due commissioni, una per gli incarichi di livello dirigenziale generale, che sottoporrà una terna di candidati al Ministro, e l'altra per gli incarichi di livello dirigenziale non generale, che sottoporrà una terna di candidati al direttore generale musei;

   entrambi i bandi presentano pertanto difformità, a giudizio dell'interrogante anche di dubbia legittimità, rispetto alle tre procedure di selezione pubblica internazionale già svolte con successo dal Ministero tra il 2016 e il 2017;

   la scelta di introdurre tali differenze genererà nuovo contenzioso, con riguardo, per esempio: a possibili disparità di trattamento per candidati che dovessero partecipare a entrambi i bandi; al fatto che il direttore generale musei si troverà a scegliere da una terna proposta da una commissione nominata dal vertice politico, con evidente lesione del principio di distinzione tra politica e amministrazione; al requisito della cittadinanza dell'Unione europea previsto dai bandi, che escluderebbe, secondo l'interrogante illegittimamente, le ipotesi di cittadini non appartenenti all'Unione europea equiparati a quelli Unione europea in base alla disciplina sul pubblico impiego –:

   se il Ministro interrogato si appresti ad adottare iniziative per ritirare i due bandi al fine di correggerli e adeguarli a quelli precedentemente pubblicati nel periodo 2015-2017, oppure, qualora decida di non intervenire, come intenda evitare che gli errori e le anomalie presenti nei due bandi possano mettere a rischio il corretto funzionamento di una delle iniziative di maggior successo dell'Italia nel settore della cultura realizzate negli ultimi anni.
(5-01054)


   PICCOLI NARDELLI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   il direttore Mauro Felicori si è insediato nella Reggia di Caserta nell'ottobre del 2015, a seguito della riforma del sistema museale italiano voluta dal Ministro pro tempore Dario Franceschini che, puntando a rafforzare le politiche di tutela e di valorizzazione del patrimonio italiano, istituiva musei dotati di autonomia speciale la cui direzione generale doveva essere affidata a esperti di chiara fama, scelti con procedure molto rigide di selezione pubblica internazionale tra i più competenti in materia di gestione museale;

   Mauro Felicori, docente di gestione e organizzazione delle imprese culturali nell'università di Bologna, autore di numerose pubblicazioni in materia, tra gli incarichi ricoperti, nel 2011 è stato direttore del dipartimento economia e promozione della città del comune di Bologna, guidando l'area cultura, l'istituzione Musei civici, l'istituzione Biblioteche civiche e il settore cultura e rapporti con l'università;

   durante il proprio incarico il direttore Felicori ha riscosso importanti successi valorizzando al massimo l'immagine della Reggia di Caserta, incrementando notevolmente il numero di visite annuali e la visibilità della stessa sulla scena culturale nazionale e internazionale e utilizzando al meglio gli investimenti pubblici: il Palazzo reale chiuderà il 2018 con un nuovo record di visitatori, toccando quota 900 mila visitatori, con picchi di alcune giornate con 20 mila ingressi, a fronte dei 837.848 accessi del 2017, contro i 497.038 del 2015 e i 681.101 del 2016;

   il 31 ottobre 2018 si è concluso, in anticipo di un anno rispetto ai 4 anni normativamente previsti, l'incarico di direttore della Reggia di Caserta del dottor Mauro Felicori, ai sensi della legge sulla quiescenza obbligatoria per limiti di età dei dipendenti pubblici –:

   se il Ministro interrogato intenda adottare iniziative, per quanto di competenza, per avvalersi in qualche forma della comprovata professionalità manageriale del dottor Mauro Felicori in modo da non disperdere le importanti competenze che hanno garantito il raggiungimento di eccellenti risultati nella gestione museale.
(5-01055)

Interrogazione a risposta scritta:


   BIGNAMI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   il monumento a Giuseppe Verdi è un'opera in granito e bronzo situata in piazzale della Pace a Parma. L'attuale memoriale è costituito dall'ara centrale di un maestoso monumento dedicato al maestro Giuseppe Verdi, danneggiato durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale;

   il monumento fu realizzato in occasione del centenario della nascita del maestro Giuseppe Verdi;

   l'opera, alta quanto il Palazzo della Pilotta, è stata realizzata dallo scultore Ettore Ximenes e fu inaugurata il 22 febbraio 1920;

   la parte anteriore è costituita da un grande altorilievo che rappresenta al centro Giuseppe Verdi in meditazione, contornato dalle Muse che gli suggeriscono, nell'ordine, l'ispirazione, la melodia, il canto, il ritmo della danza, l'amore e la morte;

   nella parte posteriore sono collocati tre ulteriori altorilievi: sulla sinistra si riporta la scena in cui viene proclamato il risultato della votazione, all'unanimità, da parte delle province parmensi, dell'annessione al regno dell'Alta Italia, tenutasi il 12 settembre 1859; nel centro si rappresenta la festosa accoglienza del popolo riservata a Verdi al suo arrivo a Torino, in qualità di delegato del parmense a rappresentare al Re gli esiti del plebiscito; sulla destra viene rappresentata la consegna al Re Vittorio Emanuele II, avvenuta a Torino in data 15 settembre 1859, da parte di Verdi accompagnato da altri notabili, dei risultati del plebiscito di annessione al Piemonte da parte delle province emiliane;

   i tre altorilievi sono illustrati da un'epigrafe, suggerita dal senatore Mariotti: «Sull'ara/sacra all'unità della patria/per voto unanime dei rappresentanti del popolo/proponenti Giuseppe Verdi e altri animosi/Parma/ribelli ai divieti di Villafranca e Zurigo/le secolari autonomie e la corona ducale/deponeva/il XII settembre MDCCCLIX/quel voto di genti libere/auspicio di nuove più alte fortune d'Italia/Giuseppe Verdi recava al Gran Re/il XV settembre MDCCCLIX»;

   il monumento verserebbe in condizioni di incuria e l'epigrafe in questione sarebbe difficilmente leggibile per coloro che si recano a visitare l'Ara a Giuseppe Verdi;

   l'opera ha un indubbio valore storico, poiché, oltre a celebrare il genio musicale di Giuseppe Verdi, evoca momenti riguardanti il processo di unità nazionale –:

   se ed entro quali termini intenda attivarsi per avviare le procedure di restauro dell'Ara a Giuseppe Verdi ubicata a Parma;

   se sia già stata effettuata una mappatura dei monumenti evocativi della storia della storia dell'unità nazionale, con particolare riferimento alle loro condizioni manutentive, finalizzata al contrasto dell'incuria e del degrado;

   se, per tali scopi, siano state stanziate risorse e per quali importi.
(4-01769)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   LABRIOLA. — Al Ministro della difesa, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   il ponte di San Francesco di Paola, a Taranto, conosciuto come «Ponte girevole», è una bellissima opera realizzata alla fine dell'800, e collega l'isola della Città vecchia con la penisola del Borgo nuovo, unendo il Mar Grande al Mar Piccolo;

   unico in Europa, non è soltanto uno dei simboli della città, ma rappresenta una essenziale arteria per il traffico cittadino;

   in questi anni, nonostante diversi interventi manutentivi, la struttura simbolo della città di Taranto sta sempre più mostrando segni di usura sulle strutture metalliche e sui congegni di movimentazione che regolano l'apertura e chiusura del Ponte e più in generale sulle sue componenti. La cremagliera ha tutti i denti rotti;

   anche se non sono stati finora evidenziati rischi di staticità, il Ponte girevole mostra comunque i segni del tempo. Un intervento manutentivo e di riqualificazione, di competenza statale, sarebbe di fondamentale importanza, in considerazione soprattutto della sua rilevanza per la viabilità tarantina –:

   se il Governo non ritenga di adottare iniziative, per quanto di competenza, al fine di prevedere opportune risorse, quale contributo per avviare le procedure necessarie alle verifiche di stabilità e per intraprendere una manutenzione strutturale del Ponte girevole, uno dei simboli storici della città di Taranto.
(4-01779)


   UBALDO PAGANO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   il ponte di San Francesco di Paola di Taranto, inaugurato il 22 maggio 1887, è la struttura che collega l'isola del borgo antico con la penisola del borgo nuovo, unendo il mar Piccolo e il mar Grande;

   in data 29 novembre 2018, alcune organizzazioni sindacali hanno diffuso notizie relative a una consistente riduzione dell'organico e dell'assetto di Marigenimil, la struttura della marina militare cui fa capo il genio militare, la quale si occupa della gestione delle attività e della manutenzione del ponte, e della sua operatività;

   secondo le organizzazioni sindacali, il taglio del personale riguarderebbe il 40 per cento del personale sia sulla tabella organica, che sul personale esistente;

   nonostante la disponibilità del direttore di Marigenimil Taranto a modificare la tabella organica secondo altri criteri, la riduzione dell'organico metterebbe, comunque, a rischio l'apertura del ponte di San Francesco di Paola e le relative manutenzioni, danneggiando gravemente la viabilità, oltre che l'immagine della città, di cui il «ponte girevole» è uno dei simboli;

   inoltre, a quanto consta all'interrogante, sembra non essere previsto alcun funzionario amministrativo presso l'ufficio personale civile né presso l'ufficio relazioni con il pubblico –:

   se il Ministro interrogato intenda confermare le notizie relative alla possibilità di veder cessare l'operatività del ponte San Francesco di Paola di Taranto;

   se il Ministro interrogato intenda provvedere alla salvaguardia di uno dei simboli della città di Taranto, intervenendo nella riorganizzazione del personale in atto nella direzione del genio militare per la marina di Taranto, anche attraverso la previsione di un piano di assunzioni straordinarie.
(4-01781)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:

   da un articolo apparso da «Il Fatto Quotidiano» del 14 novembre 2018 si apprende che presso le procure di Reggio Calabria, Bari e Catania sono state aperte tre inchieste coordinate dalla Direzione nazionale antimafia in relazione al gioco on line, la nuova frontiera delle mafie; si legge: «in carcere sono finiti importanti esponenti della criminalità organizzata ma anche diversi imprenditori che di fatto erano i prestanome dei clan. Dalle indagini, condotte anche dallo Scico di Roma, è emerso un giro d'affari superiore ai 4,5 miliardi di euro»;

   si registrano sessantotto arresti (13 a Catania, 22 a Bari: si tratta di esponenti legati alle famiglie storiche della criminalità organizzata) e un'ottantina di perquisizioni eseguite, in sostanza le mafie si sono spartite e controllano il mercato della raccolta illecita delle scommesse on line;

   «le tre procure contestano i reati di associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio, autoriciclaggio, illecita raccolta di scommesse on line e fraudolenta sottrazione ai prelievi fiscali dei relativi guadagni. In Calabria, in Sicilia e in Puglia il sistema è pressoché lo stesso: seguendo il percorso del denaro utilizzato per scommettere su internet, la Guardia di finanza è riuscita a ricostruire come i gruppi criminali coinvolti nell'inchiesta si sono spartiti e controllavano, con modalità mafiose, il mercato delle scommesse clandestine on line»;

   è noto ormai che la tecnologia delle piattaforme digitali non è più un ostacolo per la criminalità organizzata, tanto meno il sigillo di garanzia dei «Monopoli di Stato», che di solito accompagnano le piattaforme digitali del gioco d'azzardo; parrebbe ultroneo evidenziare che forse si è sottovalutato il problema; le inchieste aperte in Calabria, in Sicilia e in Puglia hanno infatti evidenziato che un baco del sistema sussiste e sotto tale profilo forse una buona dose di responsabilità è da attribuire alle rassicuranti parole sugli «upgrade tecnologici del gioco legale e sicuro»;

   quindi si parlerebbe di una punta di un iceberg che ha sottratto ai cittadini italiani più di un miliardo di euro e ne movimentava 4 e mezzo attraverso un giro di scommesse clandestine e poco trasparenti che però portavano il «sigillo» dell'Agenzia dei monopoli; in altre parole agivano con le slot machine e giochi on line che presentano il simbolo dei Monopoli di Stato, ma che sono connessi a una rete di controllo parallela. Con questo sistema non solo si è determinata una inaccettabile evasione dei Monopoli, ma sono a rischio i dati dei movimenti che fanno gli utenti giocando, innescando così un traffico ulteriore, quello della commercializzazione dei dati commerciali alla società marketing dei casinò sul web;

   come noto l'Agenzia delle dogane e dei monopoli – Area monopoli è il garante della legalità e della sicurezza in materia di apparecchi e congegni da divertimento ed intrattenimento per assicurare la trasparenza del gioco; pertanto, a garanzia della legalità annovera tra i suoi compiti anche quello della vigilanza su: giochi numerici a quota fissa, giochi numerici a totalizzatore, giochi a base sportiva, apparecchi da intrattenimento, giochi di abilità, carte, sorte a quota fissa, lotterie, bingo e gioco a distanza;

   infine, si occupa anche di fornire servizi telematici di trasmissione e di consultazione dati, di sovrintendere alle procedure per l'antiriciclaggio, la documentazione antimafia e quanto altro necessario per monitorare la questione sotto il profilo della legalità; tuttavia, nonostante le buone intenzioni, la questione della «longa manus» delle organizzazioni criminali non si riesce ad arginare, anzi, sembrerebbe essere la migliore fonte d'investimento per le «mafie 2.0»;

   «la tecnologia delle piattaforme digitali non è una barriera invalicabile per la mafia. Figuriamoci il marchio “di garanzia” dei Monopoli di Stato sulle scommesse, regolarmente esposto dalle tre società concessionarie dell'azzardo on line colpite dall'inchiesta della Direzione nazionale antimafia, la Planetwin365, Betaland e Enjoybet» (Gazzetta del Mezzogiorno del 14 novembre 2018);

   si scopre dunque che la quasi totalità dei delitti sono intermediati dalla tecnologia oppure sono stati premeditati con la tecnologia, tanto che anche la mega infrastruttura digitale, sorvegliata dallo Stato – che dispone di una grossa società del Ministero dell'economia e delle finanze, la Sogei – è violabile e manipolabile; quindi, non si tratta più di un gioco che si muove sulla rete attraverso una inter-connessione, bensì di un gioco sorvegliato «da remoto» –:

   considerata anche l'urgenza e la particolare attualità politica della tematica, se sia intenzione del Ministro interpellato avviare un'indagine interna per la verifica del sistema informatico della Sogei e sulla gestione e commercializzazione del flusso dei dati commerciali alle società di marketing dei casinò sul web;

   se intenda fornire chiarimenti circa quella che appare agli interpellanti una omessa vigilanza sul gioco, in generale, sul sistema informatico dei giochi d'azzardo on line, in particolare, e circa l'utilizzo improprio del simbolo dei Monopoli di Stato.
(2-00199) «Francesco Silvestri, Trano, Cancelleri, Caso, Currò, Giuliodori, Grimaldi, Maniero, Martinciglio, Migliorino, Raduzzi, Ruggiero, Ruocco, Zennaro, Cabras, Zanichelli, Battelli, Bella, Berardini, Berti, Bilotti, Bologna, Brescia, Bruno, Buompane, Businarolo, Cadeddu, Luciano Cantone, Cappellani, Carabetta».

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:

   ai sensi del combinato disposto degli articoli 1, comma 651, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 e, degli articoli 3 e successivi del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1999, n. 158, la Tari è composta da una parte fissa, determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, e da una parte variabile, rapportata alle quantità di rifiuti conferiti; la tariffa, inoltre, è articolata nelle fasce di utenza domestica e non domestica;

   quanto alla strutturazione della tariffa, l'articolo 5, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 158 del 1999 prevede che la parte fissa per le utenze domestiche sia determinata secondo quanto specificato nel punto 4.1 dell'allegato 1 allo stesso decreto del Presidente della Repubblica e, quindi, in base alla superficie ed alla composizione del nucleo familiare;

   per la parte variabile della tariffa, il comma 2 dell'articolo 5 in esame stabilisce che questa «è rapportata alla quantità di rifiuti indifferenziati e differenziati specificata per chilogrammo, prodotta da ciascuna utenza». Tuttavia, se non è possibile misurare i rifiuti per singola utenza, il comma 4 dello stesso articolo 5 stabilisce che la quota variabile della tariffa relativa alla singola utenza venga determinata applicando un coefficiente di adattamento secondo la procedura indicata nel punto 4.2 dell'allegato 1 al decreto del Presidente della Repubblica n. 158 del 1999;

   per quanto riguarda l'utenza domestica deve intendersi l'insieme delle superfici adibite a civile abitazione, con le relative pertinenze. In proposito, giova richiamare anche quanto riportato nell'articolo 16 del prototipo di regolamento per l'istituzione e l'applicazione del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (Tares), i cui principi possono ritenersi applicabili anche relativamente alla Tari;

   le pertinenze, come le cantine o le autorimesse, non possono ragionevolmente essere contraddistinte da una potenzialità di produzione di rifiuti autonoma, rispetto a quella che si può attribuire alle abitazioni perché, così procedendo, il nucleo familiare, che costituisce un parametro per la definizione della parte variabile, verrebbe preso in considerazione due volte;

   non costituisce pertinenza, bensì unità immobiliare indipendente, l'autorimessa, l'area di sosta a pagamento, o altra superficie che non sia al servizio esclusivo dei residenti dell'abitazione a cui le pertinenze fanno riferimento, intendendosi per residenti i soggetti maggiorenni, in coabitazione, costituenti il nucleo familiare. Per chiarire: per un nucleo familiare formato da tre individui adulti, residente in un immobile con un massimo di tre autorimesse (box) di proprietà del/dei titolari dell'immobile, queste costituiscono pertinenza e non vanno tassate separatamente;

   quanto disposto attualmente non si applica a quei comuni che abbiano realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico, avendogli indi introdotto, in luogo della Tari, una tariffa avente natura corrispettiva, in applicazione del comma 668 dell'articolo 1 della citata legge n. 147 del 2013;

   pertanto, la quota fissa di ciascuna utenza domestica deve essere calcolata moltiplicando la superficie dell'alloggio sommata a quella delle relative pertinenze per la tariffa unitaria corrispondente al numero degli occupanti dell'utenza stessa, mentre la quota variabile è costituita da un valore assoluto, vale a dire da un importo rapportato al numero degli occupanti che non va moltiplicato per i metri quadrati dell'utenza e va sommato come tale alla parte fissa;

   la circolare del Ministero dell'economia e delle finanze del 20 novembre 2017 ha riconosciuto che alcuni comuni talvolta computano la quota variabile della Tari sia in relazione all'abitazione che alle pertinenze, determinando, in tal modo, una tassa notevolmente più elevata rispetto a quella che risulterebbe considerando la quota variabile una volta sola rispetto alla superficie totale; nella circolare viene dichiarata illegittima qualsiasi diversa interpretazione e si prescrive che tutti i comuni italiani che non abbiano provveduto a correggere in tempo utile una eventuale diversa interpretazione della legge e abbiano addebitato ai cittadini importi Tari eccedenti quanto dovuto a termini di legge, a partire dall'anno d'imposta 2014, anno in cui la Tari è stata istruita dall'articolo 1, comma 639, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, provvedano immediatamente a mettere in atto una procedura di rimborso ai cittadini danneggiati che abbiano presentato istanza, senza che questi debbano presentare ricorso al giudice tributario (come oggi previsto da alcuni comuni), rateizzando eventualmente il rimborso in un numero di anni pari a quello in cui è stata applicata l'imposta maggiorata, a seguito di illecita interpretazione della norma;

   in tale modo i cittadini hanno la facoltà di chiarire l'entità del loro diritto al rimborso delle somme pagate in eccesso, inoltrando alla loro amministrazione comunale una istanza di rimborso, a norma dell'articolo 1, comma 164, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, entro il termine di cinque anni dal giorno del versamento –:

   se sia a conoscenza del motivo per il quale non in tutti i comuni italiani è stato messo in atto ciò che è indicato nella circolare n. 1 DF del dipartimento delle finanze, prot. 41836/2017 trasmessa ai comuni in data 20 novembre 2017;

   se non intenda adottare ogni iniziative di competenza, anche normativa, per prevedere l'obbligo per i comuni di rimborsare la Tari indebitamente incassata a prescindere dalla presentazione di un'apposita istanza;

   se non intenda adottare le iniziative di competenza affinché l'Agenzia delle entrate-riscossione, dopo aver verificato la conformità della certificazione, in caso di esito positivo, proceda alla compensazione e al rilascio dell'attestazione di pagamento del credito maturato nel 2018 con il debito 2019.
(2-00193) «Rossello».

Interrogazione a risposta scritta:


   MURA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   da anni si parla della realizzazione, nella città di Cagliari, della nuova «cittadella finanziaria» sul modello del cosiddetto «federal building»;

   da notizie di stampa diffuse nel 2017 si apprese che, in relazione alla realizzazione della stessa, fossero in corso di valutazione due soluzioni fra loro alternative: la prima attinente alla riqualificazione del complesso immobiliare, già di proprietà dello Stato, da demolire e ricostruire, denominato «ex Magazzini dell'Aeronautica» sito in via Simeto a Cagliari; la seconda relativa alla ristrutturazione e all'eventuale acquisto degli immobili in via Pintus a Cagliari presso i quali operano, attualmente in locazione, a quanto consta all'interrogante, per un costo di euro 3.597.686 euro (oltre iva come per legge) all'anno, l'Agenzia delle entrate e l'ex Agenzia del territorio;

   trattasi di un centro direzionale, composto da quattro corpi di fabbrica, realizzato ad hoc, nel 1994, a seguito di una manifestazione di interesse dell'Intendenza di finanza di Cagliari;

   le trattative tra la parte privata e la parte pubblica iniziarono nel 1987 con l'obiettivo di accorpare tutti gli uffici finanziari di Cagliari e provincia;

   avrebbe dovuto acquistarlo la direzione generale degli Istituiti di previdenza che, nelle more, venne soppressa e sostituita dall'Inpdap, ma a causa dei numerosi ostacoli burocratici, si ripiegò per anni, sempre con il reciproco obiettivo della vendita/acquisto, sulla stipula di due contratti di locazione speculari: uno con la direzione regionale dell'Agenzia delle entrate (AdE) e l'altro con la direzione regionale dell'Agenzia del territorio (AdT). In entrambi i contratti, era prevista l'opzione d'acquisto dello stabile, la quale prevedeva, anche la facoltà di scomputare, in conto del prezzo d'acquisto, i canoni di locazione già corrisposti dall'amministrazione –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle due diverse opzioni come delineate e se ritenga di doverle valutare in termini di economicità dell'investimento, oltre che di adeguatezza sotto il profilo della buona qualità del servizio offerto all'utente;

   se intenda valutare l'opportunità di avviare le necessarie interlocuzioni finalizzate a operare una scelta che sia complessivamente la più aderente agli interessi della pubblica amministrazione, in ragione della funzionalità delle attività pubbliche descritte come del necessario contenimento della spesa pubblica.
(4-01780)

FAMIGLIA E DISABILITÀ

Interrogazione a risposta scritta:


   FIDANZA. — Al Ministro per la famiglia e le disabilità. — Per sapere – premesso che:

   alcuni giorni fa è apparsa sui social network la pubblicità di una mostra dal titolo «Porno per bambini», programmata per il 13 dicembre 2018 presso il Santeria Social Club, noto locale sito presso un immobile dato in concessione dal comune di Milano;

   da quanto si può vedere dai profili social della mostra stessa, il contenuto dell'esposizione verte su una serie di disegni dalla forte simbologia sessuale, ritraenti soggetti in pose equivoche;

   nonostante quanto dichiarato dall'ideatore e disegnatore della mostra, a giudizio dell'interrogante l'accostamento provocatorio dei termini «Porno» e «bambini» nonché alcuni dei contenuti rischiano di trasmettere un messaggio di legittimazione culturale di pratiche di natura pornografica e pedopornografica molto pericolose per i bambini;

   il fatto risulta, a giudizio dell'interrogante, necessario di attenzione a maggior ragione perché originariamente programmato all'interno di locali dati in concessione da una pubblica amministrazione e quindi destinati ad una ineludibile finalità sociale;

   a seguito delle proteste levatesi da più parti, sia spontaneamente sulla rete, sia da parte di esponenti politici e del mondo associativo, i gestori del locale, pur difendendone i contenuti, hanno deciso di annullare la mostra per motivi di opportunità –:

   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e di eventuali altre mostre dai contenuti simili organizzate sul territorio nazionale, dallo stesso o da altri artisti;

   quali iniziative culturali e divulgative abbia in programma per difendere i bambini da messaggi culturali o commerciali aggressivi, che possano minare un corretto e graduale approccio alla sessualità da parte degli stessi.
(4-01794)

GIUSTIZIA

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:

   la sera del 3 marzo del 2014, nel quartiere fiorentino di Borgo San Frediano, è deceduto il signor Riccardo Magherini mentre era in stato di fermo e di contenimento ad opera di due pattuglie dei carabinieri. Secondo il racconto dei testimoni oculari, Magherini sarebbe stato oggetto di una sequenza di calci e di violenze inferte dai militari che si sono avventati su di lui e lo hanno ammanettato, mentre uno dei carabinieri continuava a premergli un ginocchio sul collo. In questo stesso frangente veniva colpito da un carabiniere con calci all'altezza dell'addome. Quando Riccardo Magherini è ormai bloccato con il viso sull'asfalto e con i polsi ammanettati, giungono sul posto i volontari della Croce Rossa che, però, ricevono dai carabinieri l'ordine di non intervenire in quanto l'uomo potrebbe ancora esser pericoloso. Nel referto medico si legge: «Il paziente è stato trovato prono per terra, ammanettato e immobilizzato dai carabinieri, in arresto cardiorespiratorio». Durante il tragitto per l'ospedale Magherini viene ufficialmente dichiarato morto;

   una persona affacciata alla finestra riesce a filmare tutto con il telefonino e, il giorno successivo, consegna le immagini alla questura di Firenze che, dopo averle lavorate, le invia alla procura. Il video che è stato riconsegnato alla famiglia Magherini inizia con il frame di Riccardo già immobilizzato a terra. Al minuto 1 e 18 secondi si riesce a distinguere una voce maschile che asserisce: «Vedi se ti riprendi così!» per poi concludere: «Vuoi un altro po’ di ca...». A questo punto la registrazione si interrompe. Nei giorni successivi, la stampa locale descrive Magherini come un esagitato e violento, intento a girar nudo per la città sotto il probabile effetto di stupefacenti. Dalle testimonianze, però, emergono elementi discordanti rispetto a quanto riferito dai carabinieri. Inoltre, i testimoni denunciano di aver ricevuto intimidazioni da parte degli agenti;

   il 12 settembre 2014 i medici legali incaricati scrivono che a causare la morte di Magherini sarebbe stato un triplice meccanismo di tipo «asfittico», «disfunzionale cardiaco» e «tossico». Avrebbero giocato un ruolo determinante sia la cocaina sia l'asfissia, che «poteva essere evitata se l'uomo fosse stato alzato o, comunque, in una posizione diversa da quella prona in cui era costretto dai militari che non avrebbero rispettato le indicazioni internazionali»;

   il 13 luglio 2016 il tribunale di Firenze condanna per concorso in omicidio colposo (ex articoli 113, 589 cp) tre carabinieri a otto mesi di reclusione, concedendo però la sospensione condizionale della pena. Assolve, per non aver commesso il fatto, un quarto militare e due volontari della Croce Rossa. I militari vengono condannati per aver concorso alla morte di Magherini tenendolo per oltre 15 minuti prono a terra con le mani ammanettate dietro la schiena, riducendone in questo modo la «dinamica respiratoria», contrariamente alle direttive emanate dal comando generale dell'Arma dei carabinieri con la circolare di appena un mese prima, la n. 1168/483-1-1993 del 30 gennaio 2014;

   il 19 ottobre 2017 la corte di appello di Firenze conferma la condanna a 8 mesi per uno dei tre carabinieri e l'assoluzione per i due volontari; condanna a 7 mesi di reclusione gli altri due militari. La Corte condanna inoltre i tre carabinieri al pagamento di 230 mila euro a favore della famiglia di Magherini e a un parziale rimborso delle spese processuali;

   il 15 novembre 2018 la quarta sezione penale della Corte di Cassazione dispone l'annullamento senza rinvio della sentenza d'appello perché «il fatto non costituisce reato», in applicazione dell'articolo 620 del codice di procedura penale. Viene anche respinta la richiesta della parte civile di annullare la sentenza di condanna per omicidio colposo per rifare un processo con l'accusa di omicidio preterintezionale e annullata la condanna al risarcimento;

   a inizio udienza, secondo quanto riferito all'interrogante, è stato affermato dal Presidente del collegio che il dottor Vincenzo Pezzella era stato assegnato come relatore per la decisione di tale processo di particolare delicatezza;

   tale pronuncia sembrerebbe all'interrogante anomala in quanto permetterebbe di ritenere, come è stato anche sostenuto dall'avvocato Anselmo, che «non sussisterebbe l'elemento psicologico a carico dei Carabinieri imputati perché o non potevano accorgersi di quanto stava accadendo a Riccardo – e cioè che stava morendo asfissiato sotto di loro – oppure (peggio) perché hanno semplicemente fatto il loro dovere, non avendo in quel momento alcuna posizione di garanzia sulla salute e sulla vita di quel “soggetto” arrestato» –:

   alla luce delle criticità che emergono dalla vicenda di cui in premessa, se il Governo non intenda assumere iniziative normative finalizzate a disciplinare in maniera più stringente i limiti cui si devono attenere le forze dell'ordine in casi come quello descritto e le garanzie nei confronti delle persone in stato di fermo, così evitando che possano ripetersi in futuro situazioni analoghe.
(2-00195) «Magi, Verini».

Interrogazione a risposta orale:


   ZANETTIN. — Al Ministro della giustizia, al Ministro per la famiglia e le disabilità. — Per sapere – premesso che:

   come denunciato dal Corriere della sera del 23 novembre 2018, con sentenza immediatamente esecutiva n. 583 del 2018, del 19 settembre 2018, il tribunale civile di Rovigo ha condannato, in solido, l'Azienda U.l.s.s. 5 Polesana e le due ginecologhe, dottoressa Dina Paola Cisotto e dottoressa Cristina Dibello, al risarcimento in favore dei genitori di Eleonora, di dieci anni, resa tetraplegica a seguito di errori commessi in sala parto;

   nonostante una pronuncia giudiziale esecutiva, le compagnie, Assicuratori dei Lloyd's, e Am Trust Europe Limited, condannate, in solido, a manlevare l'azienda sanitaria rodigina e le due ginecologhe, dal pagamento del risarcimento record da 5 milioni e 100 mila euro, non intendono pienamente ottemperare;

   per i genitori della bambina, D.G. e B.C., si apre un nuovo incubo in quanto le condizioni economiche in cui (da anni) versano non consentono agli stessi di garantire neanche il minimo delle cure e delle terapie di cui la minore avrebbe bisogno, al fine di alleviare le grandi sofferenze cui è stata condannata;

   il caso, il 12 novembre, è già stato sottoposto all'IVASS, che vigila sul comportamento delle assicurazioni –:

   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare, sul piano normativo, per garantire alla famiglia della piccola Eleonora e a tutte quelle che si trovino in analoghe condizioni risarcimenti stabiliti in loro favore dai Tribunali civili.
(3-00363)

Interrogazione a risposta scritta:


   BIGNAMI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il 14 novembre 2018 si è verificata l'interruzione dei servizi informatici per tutti gli uffici giudiziari dei distretti di corte di appello dell'intero territorio nazionale e il problema ha riguardato, solo in parte, anche la giustizia penale con lo «stop» del sistema digitale operativo usato dalle procure per caricare le notizie di reato e assegnare in via informatica i fascicoli. La notizia è stata ampiamente documentata dagli organi di stampa;

   vi sono state conseguenze ben più gravose per la giustizia civile, la quale ha riportato la sospensione di tutti i sistemi operativi che consentono il funzionamento quotidiano del settore civile. Tale blocco ha comportato la paralisi dell'intero mondo della giustizia civile, poiché gli avvocati non hanno potuto procedere a depositare gli atti e i giudici sono stati impossibilitati a proseguire i processi, visto che, senza la visualizzazione degli atti, non hanno potuto redigere i verbali;

   all'origine di quanto sopracitato non vi sarebbe un semplice disservizio del Ministero, ma, probabilmente, un attacco hacker con il possibile furto delle credenziali pec gestite dalla Telecom dal centro dati di Pomezia, il quale, in tre edifici, gestisce 4.200 server;

   si sono verificate, negli ultimi anni, altre situazioni analoghe: cinque anni fa si bloccarono per dieci giorni i server di tutta la Sicilia e della Calabria e l'anno scorso vi è stato un duplice attacco hacker al sistema informatico di Palazzo Chigi e al sito della Scuola magistrati;

   quanto avvenuto risulta piuttosto grave, poiché potrebbe trattarsi di furti di dati sensibili e rilevanti ai fini dello svolgimento dei processi –:

   di quali informazioni si disponga al riguardo;

   quali iniziative si intendano assumere per il potenziamento dei sistemi di protezione delle reti informatiche di tutte le procure presenti sul territorio nazionale;

   se intenda adottare iniziative per avviare un tavolo tecnico con il Consiglio superiore della magistratura al fine di affrontare la tematica riguardante il funzionamento del processo civile telematico e la relativa sicurezza informatica;

   a quanto ammonti l'importo stanziato per potenziare la sicurezza informatica nei tribunali nell'anno corrente e se abbia già assunto iniziative per effettuare interventi in merito.
(4-01772)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   D'INCÀ. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   con l'atto di sindacato ispettivo n. 4-15910, il sottoscritto chiedeva al Ministro interrogato di adottare iniziative volte a consentire nel nostro Paese, l'omologazione degli autoveicoli attrezzati con carrelli elevatori sullo sbalzo posteriore degli autoveicoli destinati al trasporto di cose, così come consentito in molti Paesi europei;

   la richiesta avrebbe, peraltro, dato seguito all'impegno assunto dal Governo con l'approvazione dell'ordine del giorno 9/5626/62 accolto nella seduta dell'assemblea del 13 dicembre 2012;

   si tratterebbe, in buona sostanza, di una modifica all'articolo 164 del codice della strada, che agevolerebbe le numerose aziende di trasporto italiane che risultano al momento pesantemente penalizzate rispetto alla concorrenza europea, evitando, nel contempo, anche il rischio che le stesse aziende italiane, che necessitano di questo tipo di servizi di autotrasporto, si servano di autotrasportatori stranieri;

   secondo la direzione generale per la motorizzazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nella risposta all'interrogazione sopra citata, pubblicata in data 26 maggio 2017, la sistemazione di un carrello elevatore sullo sbalzo posteriore degli autoveicoli destinati al trasporto di cose, sarebbe una soluzione valida per rendere più efficiente la movimentazione delle merci trasportate dal medesimo autoveicolo e ammissibile da un punto di vista tecnico, stabilite, ovviamente, precise condizioni di sicurezza;

   gli uffici competenti non sarebbero quindi contrari alla soluzione citata salvo modificare quanto disposto dal vigente articolo 164 del nuovo codice della strada relativo alla «sistemazione del carico sui veicoli» –:

   alla luce di quanto esposto, se il Ministro interrogato non ritenga di assumere iniziative volte alla modifica della normativa in vigore sopra richiamata in maniera tale da venire incontro alle attese del comparto dell'autotrasporto, penalizzato dalla diversa disciplina vigente in molti altri Paesi europei, limitrofi e concorrenti.
(5-01064)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BIGNAMI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   a mezzo stampa (Il Resto del Carlino 29 novembre 2018) si apprende dell'intenzione di aprire, a gennaio 2019, un tavolo di lavoro al quale siederanno l'assessore alla sanità del comune di Bologna, l'assessore all'urbanistica, i referenti dell'aeroporto Marconi, di Ausl e di Arpae per monitorare e valutare gli effetti dell'impatto acustico sui residenti che vivono in prossimità dell'aeroporto;

   di recente, infatti, uno studio del dipartimento di sanità pubblica della Ausl Bologna ha dimostrato l'esistenza del problema: chi vive in aree con valori oltre i 60 decibel, ricorre allo specialista il 33 per cento delle volte in più di chi vive in un quartiere limitrofo ma meno rumoroso. Lo studio, infatti, ha messo a confronto i residenti della zona «rossa» con quelli del quartiere San Donato e San Vitale, un'area simile ma non interessata dal fenomeno. Tra i problemi più frequenti, rilevanti dai residenti della zona «rossa» vi sono disturbi gastrici, depressione e problemi alla sfera dell'udito;

   tra le soluzioni proposte, è stata avanzata quella di installare doppi vetri e isolanti acustici per scuole e condomini e un monitoraggio costante della salute di chi subisce gli effetti del traffico aereo. Ciò anche in considerazione dell'aumentato volume di traffico in partenza e in arrivo dal Marconi;

   tra le ipotesi prese in considerazione, vi sono anche le nuove rotte sopra Calderara, in una zona con capannoni industriali e quindi non problematica dal punto di vista dell'impatto acustico su residenti. Non sarebbe tuttavia così semplice: le rotte infatti sono normate dall'Enac, dunque il raggio di intervento dell'aeroporto è limitato in tal senso;

   l'assessore all'urbanistica del comune di Bologna, a mezzo stampa ha dichiarato che, in effetti, si è discusso proprio con l'Enac della possibilità di introdurre limiti al sorvolo della città in fascia serale. La scelta di avere più decolli sul lato di Calderara, però, comporterebbe più atterraggi sul lato di Bologna –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti;

   se siano previsti ulteriori incontri con Enac per valutare le proposte di cui in premessa e quale sia, al riguardo orientamento del Governo;

   se vi siano eventuali soluzioni allo studio di Enac con particolare riguardo alla eventuale modifica delle rotte e al divieto di sorvolo della città in fascia serale;

   in relazione al fenomeno dell'impatto acustico e ambientale in generale, se il Governo intenda avviare, per quanto di competenza, verifiche e accertamenti, eventualmente promuovendo una indagine epidemiologica, al fine di monitorare il reale effetto sulla salute dei residenti che vivono in prossimità del Marconi di Bologna.
(4-01768)


   BATTILOCCHIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   con la legge n. 865 del 1971, al fine di rendere effettivo il diritto alla prima casa, garantendolo alle classi meno abbienti, vennero istituite le figure giuridiche dell'edilizia convenzionata e sovvenzionata per diritto di superficie. La legge menzionata prevede che i comuni italiani, a seguito di esproprio, concedano terreni a cooperative di soggetti aventi i requisiti – tra i quali una soglia di reddito minima e non esser possessore di immobili – oppure diritto di superficie della durata di 99 anni, a società edili per l'edificazione di abitazioni destinate esclusivamente a quei soggetti aventi i requisiti ad un prezzo calmierato. È oggetto del presente atto il diritto all'alienazione che fino al 2011, decorsi cinque anni dalla prima assegnazione, è stato esercitato senza vincoli sui prezzi di vendita;

   nel 2011, la contingenza economica che ha, tra le altre conseguenze, vista l'impennata del differenziale tra Btp e Bund tedeschi, ha imposto manovre nazionali per far fronte al pagamento urgente degli interessi sul debito tra le quali il decreto-legge n. 70 del 2011 convertito dalla legge n. 106 del 2011 che istituì l'istituto dell'affrancazione, statuendo che gli attuali proprietari degli immobili edificati in diritto di superficie possono eliminare il vincolo del prezzo dal loro immobile pagando una somma, l'affrancazione, al Comune della convenzione;

   nel 2015 la sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 1813, sintetizzando, ha sancito che il legislatore con la legge n. 106 del 2011, avendo inserito la figura dell'affrancazione, non ha eliminato il vincolo del prezzo per il solo decorso del tempo stabilito e che il complesso normativo in cui è inserita l'affrancazione è teso a garantire un interesse superiore dello Stato che non può essere derogato dal privato cittadino, a prescindere che ne sia consapevole e/o a conoscenza, rendendo nulle tutte le azioni che costituiscono violazioni della norma imperativa, e parzialmente nulli i negozi di compravendita (a mente dell'articolo 1419 del codice civile), e sancendo il diritto a chiedere la restituzione dell'indebito pagato (articolo 2033 del codice civile). La Corte ha inoltre sottolineato che la ratio di base fosse quella di evitare speculazioni sull'edilizia agevolata;

   il quadro sopra descritto porta ad una situazione paradossale, ossia che l'attuale proprietario (acquirente) di un immobile in diritto di superficie è l'unico a poter affrancare l'immobile e al tempo stesso può chiedere la differenza del prezzo al suo venditore, perpetrando di fatto una «speculazione inversa»;

   quella sopra descritta è la situazione in cui versano migliaia di famiglie del collegio elettorale che l'interrogante rappresenta, ma è purtroppo ampiamente diffusa in tutto il Paese –:

   se il Governo non ritenga necessario assumere iniziative normative così da dirimere la paradossale situazione descritta in premessa.
(4-01771)


   GABRIELE LORENZONI, CATALDI, DEL MONACO e PARENTELA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la strada statale n. 4 Salaria è l'unica arteria stradale che collega la Capitale con il capoluogo della provincia di Rieti, per proseguire verso Ascoli Piceno attraversando l'area del cratere sismico venutasi a creare nel 2016; la stessa consolare a due corsie, una per senso di marcia, risulta essere sottodimensionata per il flusso di traffico in costante aumento soprattutto di natura pendolare, né esiste un collegamento ferroviario diretto tra l'entroterra reatino e ascolano con la Capitale che possa alleggerirlo;

   sono frequenti gli incidenti stradali, anche mortali, come riportato ultimamente dalle cronache locali, che hanno causato 7 vittime nell'ultimo mese nel tratto compreso nella provincia di Rieti, una serie di eventi luttuosi che hanno lasciato un segno di sconforto nella comunità e hanno portato il vescovo della diocesi di Rieti a chiedere interventi urgenti alle istituzioni, tanto da definire la strada «Malaria»;

   la stessa strada necessita, quindi, di interventi di messa in sicurezza e potenziamento non più rinviabili soprattutto nei tratti più critici, in particolare tra il chilometro 48 ed il chilometro 60;

   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore Delrio, il presidente della regione Lazio Zingaretti e quello della regione Marche Ceriscioli, insieme all'ex amministratore delegato di Anas Armani, presentarono il 17 ottobre 2017, nel corso di una conferenza stampa presso la sala del consiglio della provincia di Rieti, il «Piano di potenziamento della S.S. 4 Salaria», con l'obiettivo di «agevolare la ripresa socio-economica nelle aree interessate dal sisma» per un fabbisogno complessivo di 854 milioni di euro;

   ad oggi gli unici interventi di potenziamento di prossimo avvio nel tratto da Roma a Rieti, finanziati anche con fondi regionali, sono la variante all'abitato di Monterotondo Scalo per la quota parte della Salaria all'interno della città metropolitana di Roma, fuori dal cratere sismico ed estraneo al flusso di traffico pendolare dalle aree del cratere; risultano altresì finanziate le opere infrastrutturali per il potenziamento e il miglioramento funzionale degli svincoli di Rieti con fondi non regionali;

   risultano programmati nel CdP (contratto di programma) 2016-2020 l'adeguamento della piattaforma stradale e la messa in sicurezza dal chilometro 56 al chilometro 64, attraverso la realizzazione di una strada a quattro corsie, due per senso di marcia, per un importo dell'investimento pari a 68,38 milioni di euro finanziato solo con 14,24 milioni (14 milioni di euro da regione Lazio e 240.000 euro da CdP 2014) e con proposta di completamento del finanziamento per 54,14 milioni di euro a valere sul fondo infrastrutture;

   risulta non programmato nel CdP 2016-2020 ma previsto dal «piano di potenziamento della S.S. 4 Salaria» l'adeguamento della piattaforma stradale dal chilometro 64 al chilometro 70 (Ornaro-San Giovanni Reatino);

   la regione Lazio assegnò all'itinerario Passo Corese-Rieti un importo di circa 60 milioni di euro (prot. 1530/SP/07 del 16 ottobre 2007 – CDG-0125694 del 22 ottobre 2007), come confermato dall'ex assessore con delega alle infrastrutture della regione Lazio, e attuale consigliere regionale e presidente della «VI Commissione – Lavori pubblici, infrastrutture, mobilità, trasporti», Fabio Refrigeri in un'intervista al Messaggero (edizione di Rieti) del 4 novembre 2018: sarebbero ancora utilizzabili per finanziare il «tratto più pericoloso, [...] in particolare dal km 54,2 al km 64,6 [...] la regione aveva da metterci 70 milioni di euro» –:

   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;

   quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, per assicurare tutti i finanziamenti per i lavori di messa in sicurezza e potenziamento, anche in relazione al tratto da Passo Corese a Rieti;

   quali iniziative intenda assumere per programmare l'intervento dal chilometro 64 al chilometro 70 e, in generale, per garantire il prima possibile il finanziamento e l'avvio delle opere di potenziamento e di adeguamento per la messa in sicurezza dell'intera strada statale Salaria.
(4-01783)


   BIGNAMI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la strada statale n. 632 è una importante arteria di collegamento tra l'Emilia-Romagna e la Toscana. Diverse tratte sono di competenza delle rispettive città metropolitane e, in linea di massima, la strada è classificata come provinciale in entrambe le regioni;

   nel marzo 2018 si è aperto un pericoloso fronte franoso in località Ponte della Venturina, in direzione San Marcello Pistoiese, denominata «Traversa Pracchia»;

   in quella occasione la regione Emilia-Romagna è intervenuta per concordare le modalità attuative del primo intervento; la circolazione è stata ripristinata dopo circa un mese, in un unico senso di marcia con interruzione semaforica. Ad oggi il tratto stradale si trova ancora in quella condizione;

   la città metropolitana di Bologna in data 28 novembre 2018 ha approvato una ulteriore variazione di bilancio dalla quale si evince come i lavori di ripristino della succitata frana e più in generale relativi alla manutenzione della suddetta strada, siano stati spostati alla annualità 2019, stante la mancanza di fondi disponibili;

   il suddetto tratto costituisce uno snodo centrale per la viabilità dell'Appennino tosco-emiliano, in grado di collegare appunto il territorio bolognese con quello toscano. Tale strada, mettendo in collegamento regioni diverse, è oggetto di transito e di circolazione per un alto numero di veicoli e, dunque di cittadini, provenienti per motivi di lavoro e di turismo da entrambe le direzioni;

   un gruppo di cittadini delle frazioni interessate dal tratto stradale si è fatto promotore di una raccolta firme, raccogliendo quasi 400 sottoscrizioni e chiedendo interventi urgenti in quel tratto, sia in ordine al ripristino della frana, sia in ordine alla manutenzione ordinaria, costituita da pavimentazione, segnaletica e manutenzione scoline e scarpate adiacenti –:

   se sia a conoscenza dei fatti esposti;

   se, in considerazione delle significative criticità che emergono in relazione alla strada di cui in premessa, il Governo non intenda assumere le iniziative di competenza per destinare maggiori risorse agli enti territoriali per la manutenzione della rete stradale, con particolare riferimento alle tratte che costituiscono uno snodo nevralgico per i trasporti come nel caso sopra richiamato.
(4-01784)


   ROSATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, appendice II – articolo 320, Titolo IV, lettera H), prevede che le patenti di guida, categorie A e B, possano essere rilasciate o confermate ai candidati la cui insufficienza renale risulti positivamente corretta a seguito di trattamento dialitico o di trapianto, previa certificazione medica, per una validità non superiore a due anni;

   il periodo di validità delle patenti A e B, di norma, è di dieci anni fino al compimento del cinquantesimo anno di età; di cinque anni fino al compimento del settantesimo anno di età; di tre anni fino al compimento dell'ottantesimo anno di età; di due anni per i candidati di età superiore;

   la sezione III del Consiglio superiore di sanità nella seduta straordinaria del 19 febbraio 2018 ha redatto un parere in ordine al rilascio e al rinnovo della patente di guida a soggetti trapiantati;

   nel predetto parere la sezione III ritiene:

    a) di poter condividere quanto evidenziato dalle associazioni rappresentative dei soggetti trapiantati in merito alla opportunità di semplificazione del percorso per il conseguimento e la conferma della patente di guida ai soggetti trapiantati senza di differenziazione d'organo;

    b) che sia coerente l'ipotesi che i soggetti trapiantati vengano valutati presso la commissione medico locale in occasione della prima visita successiva al trapianto;

    c) che i successivi rinnovi possano essere effettuati dal medico monocratico, salvo quest'ultimo non ritenga necessaria una nuova visita collegiale;

    d) che ai soggetti affetti da patologia stabilizzata e non suscettibile di aggravamento si applichi la scadenza naturale di validità delle patenti di guida;

   nonostante questo parere del Consiglio superiore di sanità, ad oggi non risulta che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti abbia promosso alcuna modifica al decreto di cui sopra al fine di recepirne i contenuti –:

   se il Governo intenda adottare iniziative per recepire il contenuto del parere del Consiglio superiore di sanità formulato in data 19 febbraio 2018 in ordine al rilascio e al rinnovo della patente di guida a soggetti trapiantati;

   quali tempistiche e modalità il Governo intenda seguire per l'adozione delle iniziative di competenza volte a modificare il decreto di cui in premessa.
(4-01796)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:

   il decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, ha abrogato la protezione per motivi umanitari (nel 2017 concessa a oltre 30.000 richiedenti), introducendo alcune fattispecie che andranno a coprire solo in casi molto limitati la pluralità di situazioni che, in forma diversa, ricadono all'interno del diritto d'asilo, come previsto dall'articolo 10, terzo comma, della Costituzione;

   lo stesso decreto, prevedendo l'accesso allo Sprar solo ai beneficiari di protezione internazionale e ai minori stranieri non accompagnati, preclude la possibilità di una seconda accoglienza a quanti, pur essendo titolari di protezione umanitaria e trovandosi in condizioni di vulnerabilità, ne avrebbero avuto diritto prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 113 del 2018;

   diversi prefetti in tutta Italia da qualche giorno stanno diramando delle comunicazioni agli enti gestori dei centri in cui si afferma che tutti i titolari di protezione umanitaria, compresi quelli in situazioni di vulnerabilità, come donne incinte e famiglie con bambini, dovranno lasciare le strutture di prima accoglienza, i Centri di accoglienza straordinaria (Cas) e i Centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara);

   a titolo di esempio si riporta la comunicazione inviata dalla prefettura di Potenza in cui si afferma che, essendo l'accoglienza negli Sprar riservata solo ai titolari di protezione internazionale e ai minori non accompagnati, cesseranno anche i servizi di prima accoglienza «nei confronti di titolari di protezione umanitaria che dovranno pertanto essere invitati a lasciare le strutture. Questa prefettura non corrisponderà dal primo dicembre il pagamento delle somme per i servizi di accoglienza nei confronti dei suddetti stranieri che dovessero rimanere nelle strutture»;

   il 30 novembre 2018 26 persone sono state invitate a lasciare immediatamente il Cara di Isola Capo Rizzuto in Calabria, compresi una donna incinta e un bambino di cinque mesi, e la stampa riporta altri casi analoghi in tutta Italia;

   decine di migliaia di migranti regolari, con permesso per motivi umanitari, finiranno nei prossimi mesi per strada, con un notevole impatto sui territori e un carico sui servizi assistenziali dei comuni, senza che sia stata prevista per le persone vulnerabili alcuna forma di accompagnamento all'integrazione, cosa che fino a oggi accadeva con l'inserimento nel sistema Sprar;

   si determina così un paradosso in base al quale un richiedente asilo che vede respinta la sua domanda e fa ricorso può rimanere in accoglienza fino alla fine dell’iter giudiziario, mentre un richiedente che si vede riconosciuta la protezione umanitaria (per le pratiche avviate prima del 4 ottobre), anche se in una situazione di vulnerabilità, deve uscire dal sistema d'accoglienza –:

   quanti siano in previsione, secondo i dati del Ministero dell'interno, i titolari di protezione umanitaria che rimarranno fuori dal sistema di accoglienza e, tra questi, quanti non riceveranno una seconda accoglienza anche se considerati vulnerabili (ad esempio donne con figli, famiglie, neo-maggiorenni precedentemente accolti e con un percorso di inclusione avviato);

   se i futuri beneficiari di permessi per protezione speciale avranno accesso alla seconda accoglienza nel sistema Sprar;

   se non sia necessaria, quanto prima, una circolare del Ministero dell'interno alle prefetture con cui si chiarisca che i titolari di permesso per motivi umanitari, vulnerabili o che si trovino in circostanze particolari, pur non avendo accesso allo Sprar, abbiano diritto a essere accolti per almeno ulteriori 6 mesi in attesa di individuare soluzioni alternative di accoglienza adeguate alle loro condizioni.
(2-00196) «Magi, Schullian».

Interrogazione a risposta orale:


   ZANETTIN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il Giornale di Vicenza on line ricostruisce oggi una inquietante vicenda verificatasi nel capoluogo berico il 30 novembre 2018 tra Contrà Pescherie Vecchie e Piazza delle Poste;

   secondo la versione del consigliere comunale di Vicenza Jacopo Maltauro, che l'ha riassunta su Facebook: «Un ragazzo che si trovava dentro il bar Jeko a passare una serata in compagnia è stato derubato del suo telefono da un noto gruppo di ragazzi di colore che solo la settimana prima l'avevano sottratto anche alla stessa barista — scrive Maltauro —. Una volta rubato i ragazzi sono usciti dal locale e hanno scaraventato una sedia addosso ad una giovane ragazza lì seduta con gli amici». «Arrivata la polizia nel luogo circondato da testimoni indignati di fronte a quanto accaduto — prosegue nel suo racconto il consigliere comunale — i poliziotti, dopo aver lasciato scappare i ragazzi di colore con il cellulare rubato, hanno deciso di portare via a forza per “ubriachezza molesta” il diciannovenne vicentino che si ritrovava disperato dal furto del telefono e, nello spingerlo a forza in macchina, hanno applicato spray al peperoncino ai ragazzi che increduli chiedevano spiegazioni. Il fatto si è infine concluso con una contravvenzione di 100 euro al ragazzo trattenuto in questura fino a tarda nottata, alcuni ragazzi feriti dallo spray, una giovane ragazza stordita dalla sedia e i ragazzotti artefici del furto e dell'aggressione liberi»;

   il racconto è stato commentato anche dal presidente del consiglio comunale avvocato Valerio Sorrentino –:

   se i fatti così come esposti dal consigliere comunale Maltauro trovino conferma;

   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per evitare che nel centro storico di Vicenza abbiano a ripetersi episodi di violenza come quelli descritti.
(3-00361)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRAGOMELI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   ha suscitato forte indignazione nell'opinione pubblica l'episodio della aggressione avvenuta ai danni di un passeggero, su di un convoglio della tratta Lecco-Milano, da parte di un gruppo di ragazzi ai quali la vittima aveva semplicemente chiesto di ricomporsi, considerato che stavano occupando in maniera del tutto impropria dei sedili in un vagone pieno di viaggiatori;

   l'aggressione è stata di una violenza inaudita ed è stato solo grazie all'intervento di un poliziotto fuori servizio, in quel momento in viaggio sullo stesso convoglio, che le conseguenze per il malcapitato viaggiatore aggredito non sono state ancor più gravi (la vittima ha comunque subito la frattura di zigomi e orbita oculare); nonostante l'intervento degli agenti in stazione, i delinquenti avrebbero aggredito il passeggero anche al binario; in carcere sono finiti tre giovani di 18, 21, e 25 anni, tutti di nazionalità italiana;

   si tratta di un episodio molto grave che avviene a distanza di pochi giorni dalla conversione in legge del cosiddetto decreto sicurezza e che evidenzia quanto sia ampio lo «spread» tra propaganda politica e quotidianità delle persone;

   come emerso anche in occasione del tavolo tecnico – organizzato dall'interrogante a Lecco ne mese di dicembre 2017 e al quale hanno preso parte il direttore centrale delle forze di polizia insieme a delegati di Trenord S.r.l. e Polfer – è ormai evidente la necessità diffrontare in maniera più capillare la questione della sicurezza sui convogli ferroviari, in particolare della tratta richiamata;

   nel medesimo incontro erano state avanzate diverse ipotesi di intervento quali, ad esempio: l'installazione di tornelli, già presenti nelle grandi stazioni italiane e all'estero, in grado di «scremare» gli utenti, impedendo a chi non ha il biglietto di accedere ai treni; la possibilità di rafforzare il ruolo del personale delle ferrovie – oggi già dotato di palmari geolocalizzabili per le comunicazioni con la centrale operativa – consentendo loro non solo di effettuare controlli ma anche di elevare denunce in caso di irregolarità; ancora, aumentare il numero di agenti e guardie giurate in servizio nelle stazioni e sui convogli;

   occorre un coinvolgimento delle centrali educative, a partire dalle scuole, allo scopo di educare a una maggiore consapevolezza del rispetto degli spazi comuni e dei beni pubblici –:

   quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di attivare, in tempi ristretti e presso la prefettura di Milano, una task force operativa di livello regionale in grado di coordinare il lavoro delle prefetture lombarde, di Rfi – Rete ferroviaria italiana e degli altri organismi di controllo territoriale interessati, in maniera tale da realizzare al più presto interventi concreti che possano garantire maggiore sicurezza per gli utenti del trasporto ferroviario, quali, ad esempio, l'installazione di tornelli e videocamere di sicurezza, il rafforzamento dei dispositivi di controllo – in entrata e uscita dalle stazioni così come sui convogli – a supporto dell'azione di vigilanza effettuata dal personale di polizia e dagli operatori degli istituti privati;

   se il Governo non ritenga necessario avviare una campagna di sensibilizzazione sul rispetto dei beni e degli spazi comuni che coinvolga scuole e famiglie, allo scopo di scongiurare il ripetersi di drammatici episodi come quello di cui in premessa.
(5-01053)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la notte tra il 19 e il 20 novembre 2018, un incendio è divampato nei locali esterni della palestra Popolare Valerio Verbano, nel quartiere Tufello a Roma;

   già dalle prime indagini della polizia scientifica è emerso con chiarezza che si è trattato di un incendio doloso che, fortunatamente, non ha causato danni alla struttura e neanche ai locali interni della palestra;

   la palestra Popolare Valerio Verbano, che quest'anno compie dieci anni, è un luogo di sport e cultura frequentato ogni giorno da centinaia di persone, molte delle quali bambini. È un punto nevralgico, un luogo riqualificato e un simbolo antifascista del quartiere e della comunità, nato in memoria del giovane militante della sinistra ucciso da un gruppo di fascisti il 22 febbraio 1980 a poche centinaia di metri dalla struttura sportiva che porta il suo nome e da dove ogni anno partono in corteo migliaia di persone per ribadire la natura antifascista del quartiere e della città;

   a pochi giorni di distanza da quell'incendio, un altro atto vandalico si è verificato nel quartiere Tufello, questa volta nei confronti dell'auto del consigliere municipale di Sinistra Italiana-LeU Cesare Lucidi, alla quale sono state squarciate le gomme e vandalizzata la carrozzeria;

   certi episodi che sembravano confinati in un passato lontano stanno ritornando in maniera preoccupante a causa del clima che si respira in ogni ambito del nostro Paese, diventato sempre più pesante. Si assiste a una recrudescenza della violenza e dell'intolleranza che necessita di un deciso intervento delle istituzioni democratiche;

   sia questo gravissimo atto vandalico nei confronti dell'auto di un esponente politico della sinistra da sempre impegnato sul territorio a tutela dei più deboli e a difesa del diritto all'abitare, che l'incendio della palestra Popolare sembrano avere una chiara matrice neofascista contro cui ogni giorno l'interrogante si batte;

   si confida nelle indagini delle forze dell'ordine e della magistratura che certamente riusciranno a risalire al più presto agli autori di questo gesto vile –:

   con quali strumenti il Governo intenda prevenire episodi di violenza e intimidazioni come quelle descritte in premessa;

   quali iniziative siano state intraprese dalla questura di Roma in ordine agli atti vandalici di cui in premessa;

   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato per garantire maggior tutela e «agibilità» a tutte quelle singole persone e realtà associative che quotidianamente lavorano per migliorare le condizioni di vita dei cittadini e delle cittadine in quartieri spesso difficili e periferici delle città, per consentire loro di continuare il proprio lavoro senza dover subire alcuna forma di pressione, minaccia, intimidazione o insulto.
(4-01778)


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la data del 10 febbraio 2019, fissata per lo svolgimento delle elezioni regionali in Abruzzo, sembra contrastare non solo con il buon senso ma anche con una corretta gestione del denaro pubblico e con la partecipazione democratica che dovrebbe essere sempre garantita quando si chiama l'elettorato a votare;

   votando a febbraio la campagna elettorale si svolgerà nei mesi più freddi dell'anno, con tutte le difficoltà che ne conseguono e in più si farebbe un gigantesco spreco di denaro pubblico, dal momento che a maggio 2019, è prevista una tornata di elezioni europee e amministrative;

   l'articolo 7 del decreto-legge n. 98 del 2011 convertito dalla legge n. 111 del 2011 prevede l’election day e negli anni passati è già successo che le elezioni venissero accorpate, proprio in una logica che puntasse al risparmio e ad una maggiore partecipazione;

   accorpando le elezioni regionali in Abruzzo con le elezioni per il Parlamento europeo del 26 maggio, la regione risparmierebbe ben 6 milioni di euro e non chiamerebbe gli abruzzesi alle urne in un periodo in cui è altamente probabile che si verifichino delle nevicate che potrebbero pregiudicare l'esercizio del diritto di voto;

   basterebbe ricordare in che condizioni versava l'Abruzzo nei mesi invernali solo due anni fa, quando mezza regione era bloccata dalla neve e l'altra metà dall'acqua, con numerose frane e allagamenti, con interi paesi isolati;

   in particolare, i numerosi comuni di montagna presenti in Abruzzo potrebbero vivere condizioni di particolare disagio legate proprio alle avverse condizioni atmosferiche che si verificano in quel periodo dell'anno;

   purtroppo, scenari di questo tipo, anche grazie alla mancanza di investimenti per prevenire e tutelare il territorio, hanno effetti sempre più drammatici e sono sempre più frequenti. Pensare di fare una campagna elettorale a gennaio e votare a febbraio significa non conoscere quella regione;

   pur ritenendo necessario ridare al più presto la parola ai cittadini attraverso il voto è pur vero che serve metterli nelle migliori condizioni per farlo, senza rischiare di limitare la partecipazione e senza sperpero di denaro pubblico;

   compito della politica è promuovere la partecipazione al voto e non il contrario, specialmente in una fase in cui l'astensionismo raggiunge livelli preoccupanti –:

   se il Governo, alla luce delle criticità evidenziate in premessa, intenda assumere iniziative normative volte a rivedere la disciplina di cui all'articolo 7, comma 2, del decreto-legge n. 98 del 2011 in modo da chiarirne l'applicazione, con particolare riferimento a modalità e limiti, e in modo da dipanare ogni dubbio su tale specifico profilo della normativa elettorale, tenendo conto inoltre che, nel caso di specie, si rischia di determinare un inutile spreco di denaro pubblico, quantificabile intorno ai 6 milioni di euro, nonché un possibile pregiudizio dell'esercizio del diritto di voto dovuto alle difficoltà sopra evidenziate.
(4-01786)


   DI LAURO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il porto di Castellammare di Stabia ricade nella competenza dell'Autorità di sistema portuale del Mar Tirreno centrale;

   secondo quanto stabilito dall'articolo 5 della legge 28 gennaio 1994, n. 84, «[...] il piano regolatore di sistema portuale [...] è adottato dal comitato di gestione di cui all'articolo 9, previa intesa con il comune o i comuni interessati. Tale piano è, quindi, inviato per il parere al Consiglio superiore dei lavori pubblici [...]. Il piano, esaurita la procedura di cui al presente comma e quella di cui al comma 4, è approvato dalla regione interessata entro trenta giorni decorrenti dalla conclusione della procedura VAS, previa intesa con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti»;

   attualmente il piano regolatore portuale del porto di Castellammare risale al 1961 e, ad avviso dell'interrogante, non è più assolutamente rispondente alle esigenze attuali del porto e delle sue attività economiche, e necessita urgentemente di un aggiornamento approfondito;

   infatti, negli ultimi decenni le attività svolte all'interno dell'area portuale hanno subito drastici cambiamenti, a partire dalla centralità delle attività svolte da Fincantieri e dall'incremento della rilevanza del settore della nautica da diporto;

   anche guardando agli sviluppi futuri, come evidenziato da più parti, il settore crocieristico potrebbe rappresentare un importante sbocco economico per il porto e per il territorio circostante, posta la vicinanza con importanti scavi archeologici e altri luoghi di grande rilevanza turistica;

   le aree circostanti, a partire dal territorio comunale di Castellammare di Stabia, potrebbero ottenere innegabili benefici economici e strutturali a seguito di una migliore pianificazione portuale, in sinergia con le esigenze della città;

   nonostante le continue richieste da parte degli enti locali e altri soggetti istituzionali non è ancora stato definito un piano regolatore portuale per Castellammare di Stabia;

   è fondamentale verificare che tutte le società operanti all'interno della suddetta area portuale siano attualmente iscritte nelle relative «whitelist» antimafia –:

   se tutte le società concessionarie del porto di Castellammare di Stabia siano iscritte nelle «whitelist» antimafia;

   quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere al fine di promuovere l'adozione di un piano regolatore portuale per il porto di Castellammare, anche per il tramite della conferenza nazionale di coordinamento delle Autorità di sistema portuale di cui articolo 11-ter della legge 28 gennaio 1994, n. 84;

   se, alla luce di quanto esposto in premessa, il Governo non intenda adottare le iniziative di competenza per procedere alla valutazione dell'operato dell'attuale presidente dell'Autorità di sistema portuale del Mar Tirreno centrale, Pietro Spirito, ai fini di una sua sostituzione, nel caso non si riesca a pervenire in tempi brevi all'adozione di un Piano regolatore portuale.
(4-01793)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:

   è recentissima la notizia delle immediate e irrevocabili dimissioni del Comitato di scienziati incaricato di scegliere i presidenti degli enti di ricerca: quattro dei cinque membri si sono dimessi in contrasto con il Ministero sulla successione all'Agenzia spaziale italiana (Asi). Il quinto membro si è detto partecipe al disagio dei colleghi;

   il caso Asi si è aperto il 6 novembre 2018, quando l'astrofisico professor Roberto Battiston era stato revocato dalla presidenza dal Ministro interpellato: come sottolineato anche dal professore, «primo caso di spoils system in un ente di ricerca»;

   L'Asi da sola ha un budget di quasi un miliardo di euro. Il suo indotto (cosiddetta «space economy») vale in Italia 1,6 miliardi di euro all'anno e 6.300 posti di lavoro;

   a capo dell'agenzia il Comitato voleva uno scienziato puro. Il Ministero ha insistito affinché le maglie della selezione fossero allargate a comprendere anche un manager dell'aerospazio;

   la scelta del nuovo presidente, per legge, dal 2009 parte dal comitato di selezione: organo indipendente composto dai più importanti scienziati italiani. Spetta a tale organo raccogliere le candidature e selezionare cinque nomi: la rosa da cui il Ministro sceglie il presidente;

   dopo un'interlocuzione cavillosa di tre settimane – come si legge nella lettera di dimissioni – hanno deciso di abbandonare per protesta Lamberto Maffei (presidente del Comitato, neuroscienziato e presidente emerito dell'Accademia dei Lincei), Fabiola Gianotti (fisica e direttrice del Cern di Ginevra), Lucia Votano (fisica, ex direttrice dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso) e Aldo Sandulli (preside della facoltà di giurisprudenza di Suor Orsola Benincasa di Napoli). Resta in carica per ragioni di metodo e non di merito, Mauro Ferrari, che negli Stati Uniti dirige lo Houston Methodist Research Institute e l’Institute of Academic Medicine;

   dalla sua nomina, nel 2015, il comitato ha selezionato le rose di candidati di quasi tutti gli enti di ricerca: Inaf (astrofisica) nel 2015, Consiglio nazionale delle ricerche e Ingv (geologia) nel 2016. A maggio di quest'anno il Comitato aveva riconfermato Battiston alla guida dell'Asi e la sua scadenza era prevista per la fine del 2018;

   «Sino a qualche settimana fa – scrivono i dimissionari – nessun problema si è verificato, la comunità di intenti con gli uffici amministrativi è stata massima». Poi «al Comitato è stato richiesto di predisporre l'avviso pubblico per la Presidenza dell'ASI, a seguito della revoca dell'incarico al Presidente in carica, professor Roberto Battiston. Il Comitato ha predisposto il testo dell'avviso, attenendosi ai criteri e alle modalità seguiti negli anni precedenti». Lì è iniziata l’«interlocuzione cavillosa» sul profilo del candidato: secondo il Comitato una persona di «altissima qualificazione tecnico-scientifica»; secondo il Ministero, più genericamente, un manager appartenente al settore dell'aerospazio;

   si ricorda che la procedura di nomina del presidente e dei componenti dei consigli di amministrazione degli enti pubblici di ricerca di designazione governativa prevede che il Comitato di selezione fissi, con avviso pubblico, le modalità e i termini per la presentazione delle candidature e poi, per ciascuna posizione e in ragione del numero dei candidati, proponga al Ministro una rosa di cinque nominativi per la carica di presidente e di tre nominativi per quella di consigliere;

   si ricordano inoltre i princìpi di indipendenza, autonomia e autorevolezza della ricerca scientifica. In particolare, i commi primo e sesto dell'articolo 33 della Costituzione sottolineano: «L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento. Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato» –:

   quale sia l'orientamento del Ministro interpellato in merito e quali iniziative di competenza intenda intraprendere per affrontare la situazione che si è venuta a creare all'interno dell'Agenzia spaziale italiana, determinata da decisioni che risultano agli interpellanti discutibili;

   quali chiarimenti intenda fornire in merito all'atteggiamento di ostilità che sembra si sia venuto a creare in un ambito così importante come quello della scienza e della ricerca in Italia.
(2-00201) «Ascani, Delrio, Anzaldi, Benamati, Bonomo, Enrico Borghi, Boschi, Bruno Bossio, Campana, Cantini, Carnevali, Cenni, Ciampi, Del Barba, Di Giorgi, Marco Di Maio, Fassino, Fiano, Franceschini, Gariglio, Gribaudo, Librandi, Lotti, Morani, Navarra, Nobili, Paita, Pezzopane, Piccoli Nardelli, Prestipino, Raciti, Rizzo Nervo, Rosato, Rossi, Rotta, Scalfarotto, Serracchiani, Siani, Ungaro, Zan, Gadda».

Interrogazioni a risposta immediata:


   TOCCAFONDI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   con il disegno di legge di bilancio per il 2019, il Governo riduce significativamente le ore di alternanza scuola-lavoro nelle superiori;

   l'alternanza scuola-lavoro ha dimostrato la sua utilità perché ha aperto le porte della scuola al mondo esterno, mostrando che il lavoro oggi richiede non solo conoscenze disciplinari, ma anche competenze trasversali;

   alcuni dati utili: hanno partecipato all'alternanza scuola-lavoro il 90 per cento degli studenti dell'ultimo triennio delle scuole statali e il 76 per cento delle paritarie. Sono stati attivati ben 76.246 percorsi, coinvolgendo 6.000 scuole statali e paritarie. Le imprese hanno ospitato il 43 per cento degli studenti in alternanza scuola-lavoro, seguite da enti del terzo settore (11 per cento) e università (7 per cento). Ci sono state esperienze nelle stesse scuole (10 per cento);

   il Governo, invece che continuare in questo percorso che ha avuto un trend positivo, ha previsto un taglio delle ore minime: 90 ai licei (erano 200), 150 ai tecnici e 180 ai professionali (erano 400 per entrambi). Il calo del 58 per cento del monte-ore si applica anche ai fondi stanziati, con una riduzione pari a 56,5 milioni di euro dal 2019;

   dopo l'anno scolastico 2017-2018 era previsto un bilancio del primo triennio, da cui ricavare dati oggettivi per migliorare un'esperienza che ha già coinvolto circa 1.400.000 studenti e molti docenti. Per farlo il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca aveva creato un Osservatorio nazionale dell'alternanza scuola-lavoro. Il nuovo Governo sembra fino ad ora ignorare i dati del monitoraggio;

   invece di completare i monitoraggi, incoraggiare le migliori esperienze, si è ingranata la retromarcia, cancellando pure l'espressione «alternanza scuola-lavoro»; d'ora in poi si parlerà di «percorsi per le competenze trasversali e per l'orientamento»;

   la scelta lascia estremamente perplessi: si premia chi ha ignorato le norme, mortificando invece l'impegno di chi si è dato da fare per rispettarle. Non è chiaro che messaggio si sta dando agli studenti impegnati in quei percorsi;

   le competenze trasversali richiedono una maturazione che naturalmente ha tempi lunghi e chiama in causa l'intera struttura curricolare;

   il passo indietro del Governo sull'alternanza scuola-lavoro sembra un brutto segnale per gli studenti e i docenti che avevano provato ad alzare lo sguardo oltre le mura scolastiche e a dialogare con oltre 208 mila strutture ospitanti. È un indizio dell'assenza di una visione chiara di scuola del futuro per i nostri figli alla quale ispirare le politiche –:

   alla luce del monitoraggio del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca 2017/2018, che si chiede di conoscere, quale percorso il Ministro interrogato intenda perseguire.
(3-00365)


   MOLINARI, ANDREUZZA, BADOLE, BASINI, BAZZARO, BELLACHIOMA, BELOTTI, BENVENUTO, BIANCHI, BILLI, BINELLI, BISA, BOLDI, BONIARDI, BORDONALI, CLAUDIO BORGHI, BUBISUTTI, CAFFARATTO, CANTALAMESSA, CAPARVI, CAPITANIO, VANESSA CATTOI, CAVANDOLI, CECCHETTI, CENTEMERO, CESTARI, COIN, COLLA, COLMELLERE, COMAROLI, COMENCINI, COVOLO, ANDREA CRIPPA, DARA, DE ANGELIS, DE MARTINI, D'ERAMO, DI MURO, DI SAN MARTINO LORENZATO DI IVREA, DONINA, FANTUZ, FERRARI, FOGLIANI, FORMENTINI, FOSCOLO, FRASSINI, FURGIUELE, GASTALDI, GERARDI, GIACCONE, GIACOMETTI, GIGLIO VIGNA, GOBBATO, GOLINELLI, GRIMOLDI, GUSMEROLI, IEZZI, INVERNIZZI, LATINI, LAZZARINI, LEGNAIOLI, LIUNI, LO MONTE, LOCATELLI, LOLINI, EVA LORENZONI, LUCCHINI, MACCANTI, MAGGIONI, MARCHETTI, MATURI, MORELLI, MOSCHIONI, MURELLI, ALESSANDRO PAGANO, PANIZZUT, PAOLINI, PAROLO, PATASSINI, PATELLI, PATERNOSTER, PETTAZZI, PIASTRA, POTENTI, PRETTO, RACCHELLA, RAFFAELLI, RIBOLLA, SALTAMARTINI, SASSO, SEGNANA, STEFANI, TARANTINO, TATEO, TIRAMANI, TOCCALINI, TOMASI, TOMBOLATO, TONELLI, TURRI, VALBUSA, VALLOTTO, VINCI, VIVIANI, ZANOTELLI, ZICCHIERI, ZIELLO, ZOFFILI e ZORDAN. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   negli ultimi anni, nei giorni dell'avvento, si assiste alle iniziative avviate da insegnanti e dirigenti scolastici nelle scuole per sospendere quei riti – come il presepe e i canti natalizi – che da sempre contraddistinguono il Natale cattolico, questo perché si stanno affermando, sempre più, ad avviso degli interroganti tendenze laiciste che, in nome del rispetto della libertà religiosa, impongono l'abbandono di quelle tradizioni che costituiscono, da sempre, un punto di riferimento fondamentale per le nostre radici culturali;

   lo stesso dicasi del Crocifisso che viene sempre più spesso fatto oggetto di campagne per la sua rimozione dagli uffici pubblici;

   è notizia di questi giorni che alcune maestre di una scuola elementare del Veneto avrebbero chiesto agli alunni di omettere il nome di Gesù da una canzoncina di Natale per non offendere la sensibilità dei bambini non cattolici. Un'alunna di dieci anni, però, si sarebbe «ribellata» a tale decisione e ha raccolto numerose firme tra i compagni, fino a ottenere di poter recitare la canzone nella sua versione originale;

   l'integrazione tra le diverse culture ed etnie, per essere non solo formale, ma anche sostanziale, dovrebbe fondarsi sul rispetto delle identità che contraddistinguono i singoli popoli. È necessario rispettare il sentimento religioso diffuso nel Paese ospitante, mantenendo, soprattutto nelle scuole, quelle tradizioni e quei riti che contraddistinguono le festività cattoliche, a partire dal Natale, riconoscendo alle radici cristiane un valore fondante della cultura italiana, che è importante anche per gli appartenenti ad altre religioni o per gli atei e agnostici conoscere e rispettare, senza atteggiamenti di rifiuto o aprioristica preclusione;

   voler a tutti i costi cancellare i simboli della nostra identità significa rinunciare ai principi su cui si fonda la nostra società, dato che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, così come sancito dall'articolo 9, paragrafo 2, primo capoverso, dell'Accordo ratificato ai sensi della legge 25 marzo 1985, n. 121, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929 tra la Repubblica italiana e la Santa Sede –:

   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare affinché vengano preservati quei riti – come il presepe e i canti natalizi – che da sempre contraddistinguono il Natale cattolico, nonché tutti i simboli della nostra identità e delle nostre radici cristiane.
(3-00366)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GEMMATO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la Corte dei conti, in una recente relazione (deliberazione 10 settembre 2018, n. 18/2018/G), definisce non soddisfacente lo stato di attuazione del piano straordinario per la messa in sicurezza degli edifici scolastici (legge n. 289 del 2002), tenuto conto che dalla programmazione originaria sono ormai passati 13 anni, e che su 2.651 interventi programmati, ben 637, corrispondenti al 24,02 per cento, non risultavano attivi al 31 dicembre 2017;

   la Corte dei conti evidenzia che, alla data del 4 giugno 2018, su 39.847 scuole ben 17.160 (43 per cento) risultano in zona sismica 1 e 2 (cioè dove possono verificarsi terremoti, rispettivamente fortissimi e forti) e oltre il 50 per cento di questi risale a prima dell'entrata in vigore della normativa antisismica (1976) e solo il 21 per cento delle scuole presenti in queste aree risulta conforme alla normativa tecnica di costruzione antisismica;

   la relazione della Corte dei conti configura lo scenario dell'adeguamento alla normativa antisismica di tutti gli edifici scolastici esistenti in Italia, rilevando la gravità della mancata messa a norma dal punto di vista sismico per molti di essi, tenuto conto delle conseguenze e della giurisprudenza penale in materia;

   secondo quanto riportato dalla Corte dei conti, in materia di adeguamento alla normativa antisismica si è recentemente pronunciata la Corte di cassazione (Sezione VI penale, n. 190 del 2018);

   la Corte afferma che «... il caso di specie riguardava un'ipotesi di sequestro preventivo disposto dal Gip su un plesso scolastico, in un procedimento collegato ad un rinvio a giudizio per omissione di atti d'ufficio per un edificio il cui uso per l'istruzione scolastica era stato consentito nonostante il mancato adeguamento alle norme antisismiche ex articolo 328 c.p. nei confronti del sindaco, in concorso con l'assessore ai lavori pubblici e con il responsabile dei servizi tecnici...»;

   dalla relazione si evince che la sentenza avrebbe «...affermato l'erroneità del mancato riconoscimento, da parte del giudice di merito, dell'aggravamento delle conseguenze del reato di omissione di atti di ufficio, contestato per aver omesso di inibire (in ragione della bassa sismicità della zona e del rilevato minimo scostamento dai parametri tecnici di edificazione dell'immobile) al persistente uso della collettività un edificio scolastico, in quanto non rispondente a criteri di adeguatezza sismica...»;

   nel pronunciarsi, la Corte avrebbe affermato un principio di portata estremamente rilevante per il panorama delle strutture scolastiche che non risultino in regola con la normativa antisismica, poiché avrebbe «... annullato la sentenza di merito e disposto il rinvio al competente tribunale, affermando che il pericolo legittimante l'adozione del sequestro preventivo deve intendersi insito nella violazione della normativa di settore, indipendentemente dall'esistenza di un pericolo in concreto...»;

   appare evidente che, come afferma la stessa Corte dei conti nelle sue conclusioni, «...Le conseguenze sul patrimonio scolastico sono evidentemente di portata assai rilevante, in quanto il patrimonio scolastico che, a seguito delle ricognizioni effettuate, fosse riscontrato non perfettamente in regola con le norme antisismiche, non dovrebbe essere destinato all'istruzione scolastica...» e dunque potrebbe essere sottoposto a sequestro preventivo –:

   se il Governo intenda chiarire, anche alla luce della giurisprudenza penale e della recente sentenza della Corte di cassazione di cui in premessa, la quale afferma che il pericolo legittimante l'adozione del sequestro preventivo di un edificio deve intendersi insito nella violazione della normativa di settore antisismica indipendentemente dall'esistenza di un pericolo in concreto, quali iniziative di competenza intenda adottare qualora si riscontrassero strutture scolastiche non conformi ai disposti delle norme vigenti in materia antisismica;

   quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di accelerare e garantire la messa in sicurezza delle strutture scolastiche che, a seguito di futuri monitoraggi, non dovessero risultare in regola con le norme vigenti in materia antisismica.
(5-01036)


   ROTTA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   nel regolamento dell'asilo nido comunale di Codroipo, in provincia di Udine, è stato eliminato, con un emendamento approvato dalla maggioranza in consiglio comunale, ogni riferimento alle «diverse culture» o alle «culture di provenienza» degli alunni;

   come racconta il Messaggero Veneto, questa decisione avrà tra le conseguenze anche quella di mettere al bando bambolotti con la pelle di colore diverso da quella bianca, strumenti musicali che vengono utilizzati in altri Paesi o giocattoli che possano ricordare, appunto, culture diverse;

   gli uffici comunali avevano proposto delle modifiche per prevenire, ridurre e contrastare il rischio di emarginazione ed esclusione tra i bambini anche attraverso l'introduzione di giocattoli «che fanno riferimento alle diverse culture e alla cultura di provenienza», cosa che in termini pratici si sarebbe tradotta nella consegna ai piccoli anche di bambole con la pelle scura;

   sul tema si è dovuta esprimere anche la giunta comunale, il cui compito sarebbe quello di rendere il testo del regolamento dell'asilo nido «Mondo dei piccoli» coerente con le disposizioni regionali in materia di accreditamento delle strutture per l'infanzia. La maggioranza di centrodestra, al momento della ratifica del testo in consiglio comunale, ha nettamente respinto l'idea alla base della modifica, e ha presentato un emendamento correttivo firmato dai quattro capigruppo per eliminare ogni riferimento alle culture diverse;

   se, come dichiara il primo cittadino di Codroipo, tra gli obiettivi che il nido si propone nei confronti dei bambini «c'è quello di favorire la socializzazione e valorizzare le differenze» e come obiettivi rivolti ai genitori il nido dovrebbe «favorire le occasioni per arricchire ed integrare uno spazio di reciproco aiuto e sostegno, stimolando la socializzazione tra le famiglie», non si spiega la ragione di una scelta che metterebbe addirittura a rischio l'accreditamento del nido, cioè la possibilità di ricevere contributi per abbattere le rette, visto che non è più coerente con le direttive regionali;

   è infatti proprio la legge regionale n. 20 del 2005 che elenca le caratteristiche, i requisiti e le procedure per l'avvio di nidi d'infanzia a prevedere la «presenza di materiali didattici che fanno riferimento ad altre culture; nella, programmazione delle attività si pone attenzione alle culture di provenienza», proprio al fine di prevenire e ridurre le cause di emarginazione;

   fino a quando sarà consentito anche a bambini con origini diverse da quelle italiane di frequentare le scuole del Paese, sarebbe auspicabile sostenere processi di integrazione che aiutino i percorsi scolastici e di vita dei minori;

   appare, inoltre, grave che scelte che sembrano di natura propagandistica, gravino sulle spalle dei più piccoli –:

   se il Governo sia a conoscenza di tale fatto e se non ritenga di dover adottare iniziative, per quanto di competenza, per evitare che nelle scuole del nostro Paese si verifichino episodi di mancata inclusione a causa di ragioni etniche o razziali.
(5-01057)

Interrogazione a risposta scritta:


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   da fonti stampa si apprende che nel regolamento dell'asilo nido comunale di Codroipo, in provincia di Udine, è stato eliminato, con un emendamento approvato dalla maggioranza in consiglio comunale, ogni riferimento alle «diverse culture» o alle «culture di provenienza» degli alunni;

   tra le conseguenze di questa decisione vi sarebbe anche quella di mettere al bando bambolotti con la pelle di colore diverso da quella bianca, strumenti musicali che vengono utilizzati in altri Paesi o giocattoli che possano ricordare, appunto, culture diverse. Qualunque cosa possa ricordare ai bambini le altre culture o la propria cultura di provenienza, se diversa da quella italiana, verrebbe così cancellata;

   gli uffici comunali avevano proposto delle modifiche per prevenire, ridurre e contrastare il rischio di emarginazione ed esclusione tra i bambini anche attraverso l'introduzione di giocattoli «che fanno riferimento alle diverse culture e alla cultura di provenienza», cosa che in termini pratici si sarebbe tradotta nella consegna ai piccoli anche di bambole con la pelle scura;

   sul tema si è dovuta esprimere anche la giunta comunale, il cui compito sarebbe quello di rendere il testo coerente con le disposizioni regionali in materia di accreditamento delle strutture per l'infanzia;

   la maggioranza di centrodestra, al momento dell'approvazione del testo in consiglio comunale, avrebbe respinto l'idea alla base della modifica e presentato un emendamento correttivo per eliminare ogni riferimento alle culture diverse; a parere dell'interrogante iniziative di questo tipo, oltre a mortificare il ruolo e la funzione educativa della scuola che dovrebbe, sin dall'asilo, insegnare ai nostri bambini e alle nostre bambine a guardare il mondo con curiosità, a conoscere e ad avere rispetto per le altre culture, in un'ottica di vera integrazione, si pongono in palese contrasto con i valori posti alla base della nostra Costituzione;

   eliminare dalle scuole ogni riferimento alle culture diverse da quella italiana significa creare inutili tensioni sul tema dell'integrazione e della multiculturalità, impoverisce il percorso formativo e alimenta quel clima di intolleranza che nel nostro Paese ha già raggiunto pericolosi livelli di guardia, anche grazie alle politiche messe in atto e volte a negare l'accoglienza ai migranti –:

   quali iniziative il Governo intenda promuovere, per quanto di competenza, in tutte le scuole di ogni ordine e grado volte a riconoscere e valorizzare il carattere multiculturale della nostra società, facendo in modo che lo studio, la conoscenza e il confronto tra culture differenti da quella italiana diventino un elemento di ricchezza e centralità del percorso formativo;

   se il Governo intenda assumere iniziative di competenza per disincentivare la diffusione di messaggi che promuovono la cancellazione e la rimozione di ogni riferimento alle culture diverse da quella italiana, come accaduto nel caso esposto in premessa, atteggiamento che, a parere dell'interrogante, si pone in contrasto con i valori che stanno alla base della Costituzione italiana.
(4-01795)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta immediata:


   GRIBAUDO, DELRIO, ROTTA, ENRICO BORGHI, CARNEVALI, DE MARIA, FIANO, LEPRI, MORANI, PEZZOPANE, VISCOMI, SERRACCHIANI, CARLA CANTONE, LACARRA, MURA, ZAN e NOBILI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   dall'inchiesta televisiva de Le Iene sono emerse una serie di irregolarità riguardanti l'azienda edile Ardima costruzioni, di proprietà prima di Antonio Di Maio e poi di Paolina Esposito, genitori del Ministro interrogato, e donata nel 2014 alla Ardima srl, di cui sono soci, al 50 per cento ciascuno, lo stesso Ministro e la sorella, Rosalba, mentre il terzo fratello, Giuseppe, riveste il ruolo di amministratore;

   anche dalla documentazione patrimoniale depositata presso la Camera dei deputati dall'onorevole Di Maio emerge la titolarità di una partecipazione nella società Ardima srl; tuttavia, dalla suddetta partecipazione formalmente non risultano derivare redditi;

   Le Iene hanno contattato, tra gli altri, Domenico Sposito, un lavoratore della Ardima costruzioni che dichiara di aver svolto in azienda, per diversi anni, attività lavorativa senza regolare contratto di lavoro, cui ha fatto seguito, nel 2013, l'instaurazione di un contenzioso ancora pendente presso la corte di appello di Napoli; alla richiesta di chiarimenti dei giornalisti della trasmissione tv, il Ministro interrogato ha dichiarato di essere all'oscuro della vicenda;

   tale affermazione necessita, a parere degli interroganti, di una verifica scrupolosa, stante la delicatezza del caso e la perplessità generata dal fatto che, al momento dell'acquisizione della proprietà dell'azienda, uno dei due soci potesse essere all'oscuro della predetta controversia giudiziale;

   oltre a questa specifica situazione, sono stati segnalati altri tre casi di operai, Salvatore Pizzo, «Giovanni» e «Stefano», che dichiarano di aver lavorato presso la medesima azienda in «nero» o in condizioni di irregolarità contrattuale e contributiva;

   a seguito di una serie di approfondimenti da parte delle maggiori testate giornalistiche italiane, anche la posizione del Ministro interrogato necessita di chiarimenti in merito all'attività svolta nel corso degli scorsi anni nell'azienda di famiglia, relativamente alla propria condizione contrattuale e contributiva, al fine di fugare possibili dubbi sulla regolarità della prestazione lavorativa svolta –:

   se non intenda fornire ogni utile informazione riguardante la posizione lavorativa e contrattuale dei lavoratori che nel corso degli ultimi 10 anni abbiano prestato attività presso le società Ardima costruzioni e Ardima srl, anche con riferimento al proprio estratto conto contributivo, chiarendo altresì se sia stato percettore di trattamenti di indennità di disoccupazione o di altri redditi per gli anni a decorrere dal 2008, in maniera tale da favorire l'attività, senza condizionamenti, degli organismi preposti all'attività ispettiva.
(3-00367)

Interrogazioni a risposta orale:


   FITZGERALD NISSOLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   in data 23 maggio 1973, Italia e Stati Uniti d'America hanno concluso un accordo in materia di «sicurezza sociale, lavoratori migranti, parità di trattamento», successivamente modificato dall'Accordo aggiuntivo del 17 aprile 1984;

   in particolare, l'articolo 3, punto 2, dell'accordo dispone che esso non trovi applicazione «ai periodi di servizio prestato in qualità di agente diplomatico e consolare di carriera, o di agente di cancelleria ed a quelli coperti da regimi speciali istituiti per i dipendenti dello Stato o di enti pubblici, salvo quanto previsto dall'articolo 2 paragrafo 2»;

   l'accordo, dunque, si applica alle legislazioni concernenti altri regimi di previdenza per gli stessi eventi di cui all'articolo 2, paragrafo 1, concernente le «prestazioni per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti (...)», che saranno indicate dall'autorità competente italiana;

   gli enti interessati sono l'Inps, l'Inpgi, l'ex Enpals e l'ex Inpdai, attualmente incorporati nell'Inps;

   in attuazione del principio di reciprocità, il successivo articolo 5 prevede la facoltà di accedere alla totalizzazione dei periodi di assicurazione compiuti sulla base della legislazione di uno Stato contraente con i periodi di assicurazione compiuti in base alla legislazione dell'altro Stato;

   tuttavia, la legislazione vigente non consente agli ex dipendenti pubblici di poter beneficiare della totalizzazione dei contributi versati nei Paesi extra europei, totalizzazione, invece, prevista per i lavoratori iscritti all'Inps e agli altri istituti summenzionati;

   questo, a giudizio dell'interrogante in aperto contrasto con l'articolo 3 della Costituzione che sancisce il principio dell'eguaglianza dei cittadini;

   sono quasi un milione le pensioni in convenzione internazionale erogate dall'Inps ai cittadini italiani residenti all'estero e agli emigrati rientrati in Italia, e sono centinaia di migliaia i cittadini italiani residenti all'estero e in Italia i quali matureranno nei prossimi anni il diritto a una pensione italiana in pro rata attraverso l'applicazione di una convenzione bilaterale o multilaterale di sicurezza sociale;

   è necessario tutelare i lavoratori rientrati in Italia, per evitare di aggiungere al danno — la necessità di emigrare per motivi di lavoro, fenomeno tornato di grandissima attualità nei nostri giorni — la beffa dell'impossibilità di totalizzare i contributi versati in più Paesi;

   nessuna delle convenzione bilaterali attualmente in vigore contempla nel proprio campo di applicazione soggettivo i dipendenti pubblici italiani e i liberi professionisti i quali, quando emigrano nei Paesi extracomunitari, sono esclusi da ogni forma di tutela previdenziale (una intollerabile disparità di trattamento con i dipendenti privati che è stata invece da tempo colmata dai regolamenti comunitari di sicurezza sociale) –:

   se i Ministri interrogati non ritengano di adottare iniziative per superare l'assetto normativo descritto in premessa che, ad avviso dell'interrogante viola l'articolo 3 della Costituzione, sia sotto il profilo del fondamentale principio di uguaglianza, che del connesso principio di ragionevolezza, e appare distonico rispetto alla vigente normativa in materia di privatizzazione del pubblico impiego; in particolare, quali iniziative intendano adottare — per quanto di competenza — eventualmente attivando le procedure per la revisione dell'accordo di cui in premessa, affinché anche i dipendenti pubblici e i liberi professionisti rientrino nell'ambito di applicazione di tali accordi;

   posto che appare all'interrogante non conforme ai menzionati principi costituzionali e alla vigente normativa in materia previdenziale che gli ex dipendenti pubblici debbano lavorare un numero di anni superiore, in rapporto al numero degli anni che non vengono riconosciuti e totalizzati, quali iniziative intendano intraprendere, per quanto di competenza.
(3-00360)


   LOLLOBRIGIDA e MELONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   è di pochi giorni fa l'annuncio della sottosegretaria per l'economia e le finanze, Laura Castelli, che le tessere elettroniche per l'erogazione del reddito di cittadinanza a una platea di 5 milioni e mezzo di beneficiari sono in fase di stampa;

   di fatto, le norme non sono ancora definite nei dettagli e dunque agire sulla parte tecnologica della carta è praticamente impossibile: il disegno di legge di bilancio, ancora in discussione in prima lettura alla Camera dei deputati, infatti, prevede solo lo stanziamento finanziario di 9 miliardi di euro, di cui 1 per la riforma dei centri per l'impiego, ma non disciplina nel dettaglio le modalità di attuazione della misura;

   da successive nuove dichiarazioni, sempre confuse e non meno imbarazzanti del Vicepremier, è emerso che la stampa delle tessere elettroniche è stata affidata a Poste italiane, senza ulteriori precisazioni su iter e procedimento adottato per individuare la società cui affidare la stampa;

   non è chiaro in base a quali valutazioni personali il Vicepremier abbia scelto di interloquire con Poste italiane, dal momento che per appalti sopra i 200 mila euro l'aggiudicazione dovrebbe necessariamente passare da un bando pubblico europeo e l'affidamento diretto sarebbe possibile solo per aziende in house come il Poligrafico dello Stato;

   lo stesso Codacons ha presentato un esposto all'Anac finalizzato a ottenere chiarezza sull'affidamento della stampa delle card a Poste Italiane e conoscere se sia stata indetta una gara o altra procedura a norma di legge;

   la decisione dell'Esecutivo di disporre la stampa delle suddette tessere lascerebbe per altro presupporre che il Governo già conosca i dati anagrafici dei beneficiari del reddito di cittadinanza, posto che le tessere non possono essere al portatore, ma nominative –:

   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e quali siano, nel dettaglio, le modalità adottate, in mancanza di una norma che ne disciplini l'attuazione, per la stampa delle tessere elettroniche quale strumento per erogare la nuova misura di sostegno al reddito e se le stesse siano state adottate nel rispetto della normativa vigente;

   a quanto ammonti la spesa per la stampa delle tessere elettroniche e come funzioneranno;

   sulla base di quali criteri si stia procedendo alla stampa delle suddette tessere;

   quali iniziative intenda adottare il Governo per controllare le spese effettuate con la tessera del reddito di cittadinanza e in che misura.
(3-00373)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   è necessario adottare nuovi e più efficaci sistemi di prevenzione e controllo per garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori, in particolare, per quanto concerne l'inquadramento contrattuale, la retribuzione e il regolare pagamento di contributi previdenziali;

   sembrano sempre più frequenti le denunce di casi di lavoro in nero e di gravi frodi commesse dai datori di lavoro. Al riguardo, è recente la notizia di un maxi-raggiro che vede delle società pirata assorbire i dipendenti di altre aziende, modificando in peggio i contratti e non versando i contributi. Tali illeciti hanno già comportato ottomila denunce degli ispettori del lavoro, per milioni di euro di sanzioni;

   vittime di queste vere e proprie truffe sono dei lavoratori inconsapevoli di essere ceduti dal proprio datore di lavoro ad altre società, presso le quali risultano formalmente dipendenti;

   è il caso, ad esempio, di tre camerieri che dal 2002 lavorano in un noto ristorante del centro storico di Bologna, che dalla primavera del 2018 sono diventati, a loro insaputa, dipendenti di una cooperativa, pur continuando a svolgere la loro prestazione lavorativa presso l'originario datore di lavoro;

   si tratta di una nuova forma di caporalato dove i lavoratori vengono illecitamente gestiti attraverso degli artifizi posti in essere dai consulenti del lavoro e, di fatto «venduti», ad altre imprese mediante una catena di appalti e subappalti solo apparentemente regolare –:

   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato sui fatti esposti in premessa;

   se e quali iniziative di prevenzione e controllo intenda adottare, per quanto di competenza, per contrastare gli illeciti posti in essere dai datori di lavoro e che ledono gravemente i diritti dei lavoratori, come descritto in premessa.
(5-01062)


   MURA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il regolamento di attuazione del decentramento territoriale dell'Inps, determinazione presidenziale n. 52 del 16 maggio 2018, e la circolare n. 96, emanata il 21 settembre 2018, condizionano la presenza di un'agenzia dell'Inps nel territorio al rispetto di almeno uno dei tre seguenti parametri: popolazione residente di almeno 60 mila abitanti; personale in forza di almeno 10 unità; tasso di ipercopertura non superiore al 60 per cento, intendendosi per esso la quota di popolazione in grado di raggiungere una sede dell'Inps, nella stessa provincia, partendo dal comune di residenza e utilizzando mezzi propri entro un tempo massimo di 30 minuti;

   nel caso non sussistano le suddette condizioni, si prevede un percorso di riorganizzazione delle agenzie stesse sulla base di una proposta territoriale, puntualmente presentata dalla direzione dell'Inps della regione Sardegna;

   la Sardegna è la terza regione italiana per estensione territoriale, con una rete stradale e un servizio pubblico di trasporto insufficiente, con connessioni internet ancora insufficienti e non omogenee quanto a diffusione e velocità di trasmissione dati, con un indice di vecchiaia molto elevato, con una percentuale di pensionati che in molti comuni, in particolare quelli dell'entroterra, raggiunge il 40-50 per cento della popolazione e con una forte incidenza percentuale di categorie deboli e disagiate (invalidi, percettori di ammortizzatori sociali, indigenti);

   sindaci, forze sociali, comitati provinciali dell'Inps e il consiglio regionale della Sardegna, con due diversi ordini del giorno approvati all'unanimità, hanno espresso un parere fortemente contrario all'applicazione dei criteri di cui al suddetto regolamento;

   in data 10 novembre 2018 il presidente del consiglio regionale della Sardegna, onorevole Gianfranco Ganau, ha inviato specifica istanza al Ministro del lavoro e delle politiche sociali in cui si chiedeva un intervento al fine di definire un'organizzazione dell'Inps adeguata alle condizioni socio-economiche e territoriali dell'isola;

   in data 14 novembre 2018 il capo di gabinetto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha fatto pervenire alla presidenza del consiglio della regione sarda, specifica nota (prot. 18394 del 14 novembre 2018), con allegata nota del direttore generale dell'Inps (prot. 38965 del 7 novembre 2018), con cui si conferma di fatto la chiusura di diverse agenzie territoriali sarde dell'Istituto –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della particolare situazione in cui verrebbero a trovarsi migliaia di cittadini sardi, in particolare quelli residenti nelle aree interne e periferiche, laddove si procedesse alla riorganizzazione dell'Inps sulla base del regolamento citato;

   se il Ministro non intenda adottare iniziative affinché l'organizzazione e l'articolazione territoriale dell'Inps in Sardegna siano sottratte all'applicazione dei parametri di cui al succitato regolamento;

   se il Ministro non intenda adottare le iniziative di competenza affinché vengano esperite le procedure per il rinnovo del comitato regionale dell'Inps.
(5-01068)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TRAVERSI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   una piccola azienda distributrice locale di giornali, la Rovido Nello, di Carasco (Genova), con 14 dipendenti, rischia la chiusura. Da oltre quarant'anni l'azienda esercita l'attività di agenzia di distribuzione locale di quotidiani, riviste e carta stampata in genere alle edicole nell'area costiera del Levante di Genova ricompresa tra Pieve Ligure (Genova) e Framura (La Spezia), oltre all'entroterra Val Fontanabuona (Genova), Val D'Aveto (Genova), Varese Ligure (La Spezia) e Val di Vara;

   dal 2013 al 2017 una serie di fusioni tra distributori nazionali e distributori locali ha estromesso completamente dai contratti di distribuzione la piccola azienda di Nello Rovido che, ad oggi, si trova deprivata completamente del suo mercato e nell'impossibilità di vendere l'attività, considerato che l'intera distribuzione dei giornali è stata affidata ad aziende controllate o afferenti M-DIS Distribuzione Media spa;

   si tratta, ad avviso dell'interrogante, di un'operazione di «concentrazione», portata avanti dalla distributrice nazionale M-DIS Distribuzione Media spa, tramite fusione con altre società distributrici liguri che, negli anni, avrebbe di fatto portato allo svuotamento di tutti i contratti in carico alla Ditta Rovido;

   un'operazione che, come spesso accade, vede soccombere le piccole aziende del territorio a fronte di quelli che appaiono all'interrogante accordi tali da minare la concorrenza;

   nonostante le istanze inviate all'Autorità garante della concorrenza e del mercato per violazione delle norme per la tutela della concorrenza e del mercato, l'Autorità, a distanza di 11 mesi dalla prima segnalazione, non è ancora intervenuta e, se la risposta non arriverà in tempi rapidi, la Rovido si troverà costretta a dichiarare fallimento e licenziare i lavoratori;

   alla Ditta Rovido, a quanto consta all'interrogante, sono arrivate tutte le disdette dei contratti di distribuzione che sono stati assorbiti dalle società controllate dalla stessa distributrice nazionale M-DIS Distribuzione Media spa;

   le piccole imprese del territorio stanno già soffrendo per le criticità legate agli eventi drammatici degli ultimi mesi che hanno colpito tutta la regione Liguria e l'interrogante crede sia importante che almeno possano ricevere risposte certe dagli enti preposti;

   oggi, preservare i posti di lavoro e i piccoli imprenditori è doveroso soprattutto in questo momento di difficoltà sia per il mondo delle imprese che per i cittadini di questo territorio –:

   quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, per preservare le piccole aziende che si trovano in questo genere di difficoltà e che si sentono non adeguatamente tutelate.
(4-01774)


   CIPRINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   sempre più spesso in Italia emergono criticità in relazione a casi di aziende che porrebbero in essere prassi integranti ipotesi di mobbing;

   secondo quanto si apprende dalla stampa online www.umbriajournal.com del 21 novembre 2018, «Mobbing, vessazioni e trasferimenti forzati, terrore di perdere il lavoro, è il dramma di operatori e operatrici di un call center (tecnicamente operatore outbound) che opera nell'immediata periferia di Perugia, per l'esattezza a Ponte San Giovanni. “Senza preavviso, se non di due minuti – dice una di loro (che si è sentita male in azienda) – ci hanno comunicato che la pausa pranzo, anziché in azienda, la dovevamo fare fuori”. Cinque, tra quelle operatrici, vengono di fatto fatte uscire dal luogo di lavoro. Sotto la pioggia e al freddo, panini in mano, si infilano, per proteggersi dal maltempo dentro l'auto di una di loro. Non basta, tolta la possibilità di mangiare in azienda per l'ora di pausa pranzo – a quanto raccontano – viene proibita anche la merenda del pomeriggio. Questo sconvolgimento di abitudini, per altro e come già scritto, ha mandato in tilt l'equilibrio — già precario della nostra interlocutrice. Soffre di anoressia e di attacchi di panico, quindi, in un incontro, che a breve vi racconteremo, si è, per l ’appunto, sentita male ed è finita in ospedale. La sua narrazione, infatti, fa riferimento fino al giorno in cui si è sentita mancare in azienda ed è stato chiamato il 118»;

   tuttavia, non si tratterebbe di casi isolati: la stampa riferisce di molti dipendenti che sono andati via perché hanno trovato un lavoro migliore e di lavoratrici con famiglia che senza una motivazione apparente ovvero «per sopravvenute nuove esigenze organizzative» sono state trasferite in altri sedi dell'azienda, lontanissime dalla propria residenza;

   una lavoratrice addirittura è stata trasferita a Cosenza, altre in sedi distanti centinaia di chilometri: Aosta, Genova e altre città;

   secondo quanto riporta la stampa: «Il quadro che emerge è terrificante. E oggi davanti la sede dell'azienda, a Ponte San Giovanni, pare sia arrivata la Digos della Questura di Perugia, oltre ai colleghi giornalisti del Corriere dell'Umbria. Che c'è dietro tutto questo? Di sicuro volersi liberare di “vecchie” dipendenti che lavorano lì da un po’ di anni. Il guaio, però, è che nel mentre si trasferiscono forzosamente delle dipendenti e dei dipendenti, a centinaia e centinaia di chilometri di distanza, pare che nella filiale ponteggiana siano arrivate una decina di nuove unità lavorative. Giovani ingaggi, forse» –:

   se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto e se non ritenga opportuno intervenire, per quanto di competenza, anche promuovendo iniziative ispettive da parte degli organi preposti sul territorio, al fine di porre in essere le più opportune verifiche;

   quali iniziative di competenza, anche normative, intenda adottare affinché la posizione dei lavoratori venga adeguatamente tutelata da forme di vessazione e mobbing che possono pregiudicarne l'integrità psico-fisica o la carriera lavorativa.
(4-01788)


   NOBILI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il 25 novembre 2018 il programma televisivo di Italia 1 Le Iene ha aperto un caso mediatico attorno alla vicenda di Salvatore Pizzo, ex dipendente della ditta del padre del vice presidente del Consiglio Luigi Di Maio, che ha rivelato di aver lavorato in nero nella suddetta azienda;

   l'ex lavoratore Salvatore Pizzo ha riferito di aver lavorato in nero per due anni, tra il 2009 e il 2010 e ha raccontato di un infortunio sul lavoro e delle raccomandazioni del padre del vicepremier, Antonio Di Maio, di non dire che era successo mentre lavorava per lui, perché era in nero e avrebbe potuto passare molti guai;

   nel 2012 l'azienda, prima intestata alla madre del Ministro, Paolina Esposito, è confluita nell'Ardima srl, di proprietà al 50 per cento del vicepremier Luigi Di Maio e della sorella Rosalba;

   secondo successive rivelazioni attinenti al caso mediatico, ci sarebbero «almeno» altri tre dipendenti in nero nell'azienda di Antonio Di Maio;

   gli sviluppi dell'inchiesta potrebbero comportare l'invio di ispettori del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per verificare le ipotesi di irregolarità. Infatti, come ha dichiarato la leader della Cgil Susanna Camusso: «Credo che il Ministro del Lavoro abbia il dovere istituzionale di mandare gli ispettori a verificare la situazione perché solo su quella base potranno essere dati giudizi»;

   tuttavia, in tal caso, si configurerebbe, secondo l'interrogante, un palese conflitto di interessi ai sensi della normativa 215 del 2004, in quanto l'ispettorato del lavoro è vigilato dal Ministero diretto dal Vicepremier Luigi Di Maio;

   tale rilievo giuridico è peraltro aggravato da un rilievo politico, essendo il vicepremier Luigi Di Maio alla guida di un movimento che ha fatto del conflitto di interessi un tema chiave del suo progetto –:

   se intenda fornire chiarimenti circa la potenziale situazione di conflitto di interessi che si configurerebbe con l'invio di ispettori del lavoro – sottoposti alla vigilanza del suo stesso Ministero – per espletare le dovute verifiche circa le suddette asserite irregolarità contrattuali.
(4-01797)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI, FORESTALI E TURISMO

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, per sapere – premesso che:

   in attuazione di quanto disposto dall'articolo 3 della legge 6 agosto 2013, n. 97, con decreto del 7 aprile 2015 il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo stabiliva l'individuazione dei siti di particolare interesse storico, artistico, archeologico per i quali occorreva una specifica abilitazione per lo svolgimento della professione di guida turistica. Con ulteriore decreto dell'11 dicembre 2015, il Ministero stabiliva, inoltre, che la specifica abilitazione per l'esercizio della professione di guida turistica è rilasciata dalle regioni previa indizione di un bando regionale a cadenza biennale e il previo superamento di un esame scritto, orale e tecnico-pratico. L'ottenimento dell'abilitazione prevedeva successivamente l'iscrizione all'elenco nazionale delle guide turistiche dei siti di particolare interesse storico, artistico o archeologico;

   i due decreti ministeriali di cui in premessa sono stati annullati dal Tar del Lazio con sentenza n. 2831/2017 del 24 febbraio 2017 e, dopo il respingimento della sospensiva presentata dallo stesso Ministero, con sentenza del Consiglio di Stato n. 3859/2017. Tali pronunce sono intervenute su una disciplina di rilascio delle abilitazioni che non soddisfa la categoria. A causa, infatti, della mancata indizione dei bandi in alcune regioni, molti giovani desiderosi di intraprendere la professione di guida turistica hanno deciso negli ultimi anni di partecipare a bandi indetti da regioni diverse da quelle di origine e/o residenza. Inoltre, ottenuta l'abilitazione previo superamento di prove d'esame incentrate sulle bellezze storico-artistiche e culturali riferite ad ambiti provinciali e regionali, viene comunque loro consentito di svolgere la professione in ambito nazionale, visto che, ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 97 del 2017, l'abilitazione conseguita «è valida su tutto il territorio nazionale»;

   nonostante le sentenze del Tar e del Consiglio di Stato di cui sopra, molte regioni hanno continuato però a fissare ulteriori sessioni degli esami di abilitazione, incentivando di fatto anche l'organizzazione di corsi di formazione abilitanti da parte di agenzie formative private;

   a peggiorare ulteriormente la situazione del comparto, oltre al confuso quadro normativo, contribuisce anche il fatto che queste guide abilitate sono molto spesso affiancate da personale non abilitato, perlopiù dipendente da società e cooperative che operano nel campo della fornitura dei servizi turistici;

   si tratta di soggetti che esercitano la professione sprovvisti, appunto, di abilitazione e mediante contratti di lavoro precari, con conseguente sensibile riduzione degli standard di qualità e professionalità offerti e il verificarsi di numerosi casi di sfruttamento della forza-lavoro;

   le associazioni di categoria hanno recentemente stigmatizzato la situazione di cui sopra e nei recenti incontri avuti con il Ministro interpellato hanno esposto le problematiche su cui sarebbe opportuno intervenire, soprattutto in funzione dello stabilimento di un legame diretto del ruolo della guida turistica e dell'esercizio della professione con la conoscenza delle peculiarità artistiche, storiche e culturali del territorio e della regione in cui si ottiene l'abilitazione, ovvero del congruo riconoscimento economico per chi svolge l'attività di guida turistica;

   la situazione esposta in premessa richiede urgenti interventi normativi volti a regolamentare finalmente la materia –:

   quali iniziative di competenza il Ministro interpellato intenda adottare al fine di regolamentare in modo puntuale la professione di guida turistica, riconoscendo la professionalità degli operatori nonché la loro capacità di valorizzare le peculiarità di ciascun territorio.
(2-00194) «Testamento, Angiola, Casa, Del Monaco, Marzana, Parentela, Troiano, Villani».

Interrogazione a risposta orale:


   SPENA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   tra le eccellenze dell'agricoltura italiana, deve essere senz'altro annoverata l'agricoltura sociale. La legge 18 agosto 2015, n. 141, che la disciplina, è stata la prima in Europa in questo senso;

   il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria (Crea), con il supporto della Rete rurale sull'agricoltura sociale, ha presentato il 21 marzo 2018 un rapporto annuale sul tema dal quale risulta che negli ultimi 5 anni il settore è fortemente cresciuto, grazie a investimenti per 20,3 milioni di euro, dei quali solo un quarto derivanti da fondi pubblici, con attività di inserimento socio-lavorativo in favore delle fasce deboli della popolazione;

   in particolare, la gran parte delle attività di agricoltura sociale è rivolta a persone con disabilità, e segue i disoccupati con disagio socioeconomico, il cui numero, in questa fase di grande crisi economica, è cresciuto notevolmente. Significativa è la presenza di richiedenti asilo, ex detenuti e di persone affette da dipendenze in fase di recupero. L'introduzione dell'alternanza scuola lavoro ha contribuito all'incremento degli studenti tra i destinatari e anche i minori sono presenti in percentuali elevate;

   il principale canale di vendita delle imprese operanti nel settore dell'agricoltura sociale è quello della vendita diretta in azienda, seguito dai gruppi di acquisto e dai mercati contadini e rionali;

   si tratta dunque di un fenomeno che sta crescendo, composto per la gran parte da micro e piccole imprese (75 per cento). Per rafforzare questa realtà il legislatore aveva previsto una serie di norme regolatorie da introdurre tramite un decreto da emanare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, quindi entro il 22 novembre 2015. Tuttavia, a distanza di anni tale testo non è stato ancora pubblicato;

   in Conferenza Stato-regioni è stato approvato un testo, che dopo aver passato il vaglio delle Commissioni agricoltura della Camera e del Senato (parere favorevole emesso alla Camera il 26 settembre 2018), dovrebbe essere firmato dal Ministro;

   c'è grande attesa in questo senso; infatti, in molte regioni l'incredibile potenziale dell'agricoltura sociale è ancora espresso in maniera parziale, a causa di un sistema regionale che adducendo a scusa il ritardo del decreto, non attua i provvedimenti necessari a valorizzarlo –:

   quali siano i tempi di emanazione del decreto concernente i requisiti minimi e le modalità relativi alle attività di agricoltura sociale, di cui al comma 2 dell'articolo 2 della 18 agosto 2015, n. 141.
(3-00362)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BIGNAMI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   i contributi per le manifestazioni turistiche sono normati dal decreto ministeriale 29 marzo 2012;

   pervengono all'interrogante diverse segnalazioni sul fatto che numerose richieste di contributo risultino inevase per via della mancata nomina del comitato di valutazione di cui all'articolo 4 del suddetto decreto. Il predetto comitato, tuttavia, a quanto consta all'interrogante, si sarebbe costituito a novembre 2017 e avrebbe dovuto iniziare la valutazione delle istanze a partire da quelle del 2011 –:

   se il comitato di valutazione di cui in premessa abbia cominciato a vagliare le istanze di contributi per manifestazioni turistiche o se siano sorti eventuali ulteriori problemi e, in caso affermativo, quali;

   se, a seguito del recente trasferimento di funzioni relative al turismo dal Ministero dei beni e delle attività culturali al Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo sia stata eventualmente ipotizzata una modifica di tutti i componenti del comitato e, in caso affermativo quali ne siano le tempistiche;

   quali iniziative urgenti si intendano assumere per garantire l'erogazione di tali risorse, generalmente destinate a Pro Loco e associazioni, che rappresentano una grande e indispensabile ricchezza culturale del nostro Paese sotto il profilo della promozione dei territori.
(4-01782)


   ALBERTO MANCA, CADEDDU, DEL SESTO, PARENTELA e MARAIA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   in data 30 ottobre 2018 il sito internet Great Italian Food Trade, portale online attivo nella promozione del Made in Italy, ha pubblicato i risultati di un'indagine di mercato sui cesti natalizi offerti dai leader di questo specifico settore. Da tale indagine sarebbe emerso che «i cesti natalizi 2018 sono ricchi di lenticchie di ignota provenienza»;

   nell'articolo citato si evidenzia come il primo esportatore in Italia della categoria di legumi in questione sia il Canada e che la relativa porzione territoriale adibita a tale coltivazione sia la grande piana del Saskatchewan, area priva di montagne;

   alla luce di ciò, l'autore dell'articolo mette in risalto che:

    a) le etichette delle relative confezioni, nel caso di alcuni produttori, contengono la dicitura «prodotto di montagna», indicazione soggetta a un apposito regime di qualità e a precise regole derivanti dalla normativa europea (regolamento (UE) 1151/2012);

    b) in presenza di un marchio che i consumatori associano all'Italia, nel caso di altri produttori, vi è la probabilità che ci si trovi di fronte a prodotti realizzati altrove;

   per tali ragioni, l'autore del citato articolo reclama la necessità che l'ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (Icqrf) del Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo effettui le opportune verifiche con la finalità di:

    accertare il rispetto delle normative vigenti in tema di informazione al consumatore in tema di lealtà (regolamento (UE) n. 1169/2011);

    appurare che l'etichetta dei prodotti risponda ai requisiti previsti dal regolamento (UE) n. 1151/2012 e dal regolamento delegato (UE) n. 665/2014, affinché attraverso la dicitura lenticchia di montagna non si ingeneri confusione nel consumatore –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione riportata in premessa e di quali ulteriori informazioni disponga in merito;

   se, per quanto di competenza, intenda adottare iniziative per verificare che non vi siano state frodi in commercio o fenomeni di evocazione (italian sounding) e, qualora così fosse, per evitare che questi fatti si verifichino nuovamente o che producano le conseguenze temute di favorire l'importazione indiscriminata di prodotti agricoli da Paesi che essicano i legumi con glifosato e altri agrotossici, evocando le produzioni italiane senza alcun legame con l'Italia e senza rispettarne gli standard qualitativi.
(4-01789)


   LUCA DE CARLO e ROTELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto emerge da una analisi della Coldiretti sui dati Istat relativi ai primi otto mesi del 2018, sarebbe in atto una vera e propria invasione di nocciole dalla Turchia con un aumento del 30 per cento nelle importazioni in Italia destinate a rifornire soprattutto l'industria dolciaria;

   nonostante i numerosi allarmi scattati (ben 39) per gli elevati livelli di aflatossine cancerogene, le importazioni dalla Turchia hanno raggiunto quasi i 21 milioni di chili, facendo non solo concorrenza alle produzioni nazionali in forte espansione, ma mettendo a rischio anche la salute dei consumatori come dimostra l'alta percentuale di irregolarità registrata dal sistema di allerta rapido europeo (Rasff);

   come precisato dalla Coldiretti, lo spostamento all'estero delle fonti di approvvigionamento della materia prima agricola è spesso il primo passo della delocalizzazione che si realizza con la chiusura degli stabilimenti e il trasferimento di marchi storici e posti di lavoro fuori dai confini nazionali;

   l'Italia è il primo produttore europeo di nocciole, il secondo mondiale, e può vantare ben tre denominazioni di origine riconosciute dall'Unione europea, la nocciola del Piemonte igp, la nocciola di Giffoni igp, la nocciola romana dop;

   solo la Tuscia, con oltre 25.000 ettari coltivati, fornisce il 5 per cento della produzione mondiale, tra l'altro di altissima qualità, vista la certificazione dop della nocciola romana, garanzia di standard elevati;

   le istituzioni a tutti i livelli dovrebbero essere in prima linea nella tutela delle eccellenze nazionali e la nocciola vi rientra a pieno titolo, come, peraltro, dimostrano i numerosi accordi, stretti sul territorio, con le maggiori aziende del comparto, che hanno interesse a trasformare i prodotti migliori;

   la nocciolicoltura costituisce inoltre, per il viterbese, uno dei più importanti settori economici con migliaia di lavoratori impiegati, a vario titolo, nella filiera;

   tali dati, che destano attenzione e, nello stesso tempo, provocano grande preoccupazione, rimarcano la necessità, se mai ce ne fosse stato bisogno, di una inversione di tendenza per difendere la produzione nazionale di nocciole e i lavoratori italiani;

   è urgente un intervento rapido e incisivo in tal senso, atto a scongiurare anche irreparabili rischi sia per la salute dei consumatori che per l'economia di un territorio, come quello della Tuscia, per il quale la corilicoltura rappresenta uno dei settori trainanti –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative di competenza intendano adottare per evitare le gravi conseguenze descritte delle massicce importazioni di nocciole turche, prive dei necessari controlli di qualità e salubrità cui sono sottoposte quelle italiane, anche a tutela dei lavoratori impiegati nel settore.
(4-01791)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSSI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   in data 30 novembre 2018, l'Ordine dei medici di Bologna ha emesso un provvedimento di radiazione nei confronti di Sergio Venturi, medico e assessore alla salute della regione Emilia-Romagna;

   tale provvedimento non è relativo a un comportamento o a un'azione che Sergio Venturi ha svolto in qualità di medico per violazioni di carattere deontologico, ma si riferisce a una delibera di giunta adottata dalla regione;

   in tale delibera, adottata nel 2016, si danno disposizioni relative alla programmazione del personale impiegato nelle attività di pronto soccorso e nelle attività di emergenza urgenza;

   in questo caso l'azione disciplinare di un Ordine professionale sanziona una scelta attuata e deliberata dalla giunta regionale, organo esecutivo della regione, come stabilito dall'articolo 121 della Costituzione, che esprime nella sua attività politica e istituzionale la più totale collegialità;

   in diverse pubblicazioni presenti sul sito dell'Ordine dei medici si manifestano dubbi sull'obbligatorietà dei vaccini, oggetto di una decisione assunta dalla regione Emilia-Romagna attraverso appositi provvedimenti, affermando che «è utile ricordare che l'obbligatorietà delle vaccinazioni è stata gradualmente abbandonata in molte Nazioni, dove le vaccinazioni sono consigliate/raccomandate, salvo l'Italia, Francia, Germania e in alcuni Paesi dell'Europa dell'Est» –:

   posto che il provvedimento in questione appare di dubbia legittimità e motivato da ragioni che esulano dalle competenze proprie degli ordini professionali, quali iniziative di competenza intenda adottare, nell'esercizio dei propri poteri di vigilanza sull'Ordine dei medici, in relazione alla vicenda di cui in premessa.
(5-01066)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BIGNAMI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   la vigente normativa, in tema di retribuzione per i dirigenti medici che scelgano la libera professione extramoenia e senza un rapporto di esclusività con l'azienda, prevede tre principali diversità di trattamento per i medici stessi relativamente alla indennità di esclusività, premio di produzione e part-time;

   si tratta, in particolare, di medici afferenti al servizio sanitario nazionale che, per vari motivi, hanno optato per il regime di dirigente medico senza rapporto di esclusività con l'azienda, magari aprendo studi e ambulatori privati (senza dunque utilizzare le mura e i servizi della struttura pubblica), con i relativi costi di investimento e i conseguenti rischi di impresa;

   la normativa nazionale e il contratto collettivo nazionale impongono, doverosamente, a questi medici gli stessi obblighi lavorativi. Permangono però notevoli differenze retributive. L'indennità di esclusività, ad esempio, può superare i 700 euro al mese dopo 5 anni di anzianità e i 1000 euro al mese dopo i 15 anni; il premio di produzione, inoltre, è erogato dall'azienda in base alla qualità della prestazione del singolo professionista ma solo per i medici intramoenia; infine il part-time regolamentato per i soli dirigenti medici in rapporto esclusivo;

   tali disparità di trattamento si basano sull'unico assunto di aver effettuato la scelta di lavorare anche extramoenia. Si consideri che l'apertura di studi e ambulatori privati, con conseguente rischio di impresa, necessita di anni di esperienza e, pertanto, i validissimi medici che riescono ad avviare tali attività, vengono paradossalmente pagati meno dall'azienda sanitaria;

   la previgente normativa prevedeva invece la possibilità di scegliere un'attività ospedaliera a tempo pieno (38 ore settimanali) o a tempo definito (28 ore settimanali) con diverso trattamento economico. Attualmente, invece, a parità di orario settimanale, i professionisti che operano anche extramoenia sono soggetti a una disparità di trattamento, con impossibilità di progressione di carriera e di partecipazione alla divisione degli utili se si raggiungono obiettivi di risultato –:

   se intenda assumere le iniziative di competenza, anche di carattere normativo, per superare le disparità di trattamento economico per i professionisti che operano in extramoenia e al fine di valorizzare i professionisti stessi che, oltre a lavorare con l'azienda pubblica, assumono un rischio di impresa con l'apertura di studi e ambulatori privati, i quali, spesso, sopperiscono alle carenze del sistema pubblico stesso.
(4-01770)


   BIGNAMI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il 23 novembre 2018 in tutta Italia medici e veterinari hanno scioperato in aperto dissenso alle politiche in fatto di sanità del Governo: al centro della protesta, ci sono la mancanza di finanziamenti per il fondo sanitario, il contratto che da 10 anni attende il rinnovo, l'assenza di assunzioni;

   la stampa locale e nazionale lo ha definito un vero e proprio «Venerdì nero» della sanità: gli aderenti hanno incrociato le braccia per 24 ore, dopo settimane di mobilitazione e assemblee. I sindacati hanno parlato di un vero e proprio sistema sanitario al collasso, con circa 20 mila medici mancanti per sopperire al fabbisogno nazionale a seguito dei pensionamenti previsti per i prossimi anni;

   lo sciopero ha fatto registrare il 90 per cento di adesioni, con circa 40 mila interventi chirurgici rinviati;

   sempre a mezzo stampa, il Ministro alla salute avrebbe dato rassicurazioni sui fondi contenuti nella manovra di bilancio per i rinnovi contrattuali 2019-2021 e un contestuale aumento del fabbisogno sanitario nazionale per lo stesso biennio. Per il rinnovo della dirigenza gli impegni si aggirerebbero sui 450 milioni di euro l'anno;

   è stata inoltre ribadita la necessità, da parte del Ministro, di rimuovere l'anacronistico parametro del tetto di spesa del personale, aprendo il confronto in Conferenza Stato-regioni;

   tuttavia, le sigle sindacali hanno ribadito come non sia sufficiente l'incremento del fondo sanitario per il 2019 per appena un miliardo di euro pari allo 0,88 per cento, ossia in decremento rispetto all'inflazione –:

   se sia stato aperto un tavolo di confronto con le categorie e le sigle sindacali in questione per rispondere appieno alle richieste sollevate durante lo sciopero del 23 novembre 2018 ;

   quali iniziative urgenti e tempestive, di carattere normativo, il Ministro interrogato intenda adottare per un incremento adeguato del fondo sanitario e per garantire un numero di assunzioni rispondente al fabbisogno nazionale;

   quali esiti abbia dato il confronto in Conferenza Stato-regioni in merito al superamento del parametro del tetto di spesa del personale;

   con quali tempistiche si preveda di giungere al tanto atteso rinnovo contrattuale di cui in premessa e se sia stato aperto un tavolo di confronto con le regioni al fine di acquisire certezza degli accantonamenti, previsti per legge, per il rinnovo stesso.
(4-01773)


   BIGNAMI e VIETINA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   stante le linee di indirizzo per la riorganizzazione ospedaliera dell'Ausl Romagna del 2016, dall'ospedale di Santarcangelo in provincia di Rimini avrebbero dovuto essere recuperati otto posti letti per l'ospedale di comunità (Osco);

   l'adozione del bilancio di esercizio 2017 prevedeva lo stesso numero di posti letto per la casa della Salute di Santarcangelo;

   l'associazione Punto Rosa, a mezzo stampa, e a più riprese, ha segnalato come sia stato scelto, come sede per la realizzazione dell'ospedale di comunità, il piano dedicato al reparto di chirurgia senologica dell'ospedale Franchini di Santarcangelo, dove saranno assegnati 12 posti letto per l'Osco (https://www.riminiduepuntozero. it);

   l'associazione si era attivata, già nel gennaio 2017, quando erano state raccolte 45 mila firme a sostegno del reparto di senologia dell'ospedale di Santarcangelo. In particolare, si chiedeva una «unità semplice» dedicata all'interno del reparto di chirurgia generale di Rimini;

   va precisato che l'Osco è una struttura di degenza rivolta a pazienti che si trovano nella fase post acuta di dimissione dall'ospedale, oppure riacutizzati di malattie croniche che, per motivi vari, non possono essere trattati a domicilio, o affetti da patologie cronico-degenerative;

   l'associazione Punto Rosa sta dunque chiedendo a gran voce di bloccare il progetto di riduzione dei posti letto e il progetto dell'Osco all'interno del reparto di chirurgia senologica del Franchini, poiché ciò equivarrebbe al depotenziamento di una pluriaffermata eccellenza;

   secondo l'associazione, tale riorganizzazione stroncherebbe del tutto un reparto di chirurgia efficiente, un fiore all'occhiello, per la cura del carcinoma della mammella;

   i due reparti di Osco e senologia, inoltre, non risulterebbero nettamente separati, bensì comunicanti attraverso una porta apribile, con possibili disagi derivanti dall'accostamento di due reparti tanto diversi quanto delicati;

   va ricordato che, nel 2017, la chirurgia senologia di Santarcangelo e tutta la Breast Unit di Rimini hanno ottenuto la certificazione Eusoma, ente certificatore dell'Unione europea. Unica in tutta la Romagna, si è classificata nel gruppo delle 17 Breast Unit certificate su un totale di 105 presenti sul territorio nazionale (http://www.riminiduepuntozero.it) –:

   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative, di carattere normativo, per sancire una netta separazione tra gli ospedali di comunità (Osco) e i reparti delicati quali quello di senologia, sottraendo eventualmente i posti letto degli Osco dal computo della riorganizzazione sanitaria ed evitando dunque che i posti letto degli Osco siano recuperati da altri reparti ospedalieri;

   quali iniziative di competenza intenda assumere per il potenziamento delle strutture ospedaliere che si occupano della prevenzione e della cura del tumore al seno, a partire dal reparto di senologia di Santarcangelo e della Breast Unit di Rimini.
(4-01785)


   MAGI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 1, comma 419, della legge n. 205 del 2017, recante bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020, ha finanziato con 2 milioni di euro l'istituzione della Banca dati delle Disposizioni anticipate di trattamento, stabilendo che «entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge», il Ministero della salute avrebbe dovuto emanare un decreto per stabilire «le modalità di registrazione delle Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT) presso la banca dati»;

   la scadenza summenzionata era il 30 giugno 2018;

   per la realizzazione della banca dati, il Ministero della salute ha istituito, con decreto direttoriale del 22 marzo 2018, un gruppo di lavoro comprendente rappresentanti del Ministero, delle regioni e dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali;

   attraverso il parere del 31 luglio 2018 il Consiglio di Stato, cui è stato opportunamente richiesto un parere dal Ministero della salute, il 22 giugno 2018, si è espresso in modo chiaro sui quesiti posti in merito al gruppo di lavoro di cui sopra;

   il Sottosegretario di Stato per la salute Armando Bartolazzi, rispondendo all'interrogazione n. 3-00035 svolta in Senato il 18 ottobre 2018, ha informato «che la bozza di decreto elaborata dal Ministero della salute, nell'ottica di una più ampia condivisione di nuovi adempimenti previsti che graveranno anche su soggetti esterni, è stata condivisa proprio negli scorsi giorni con i principali stakeholder istituzionali, ai quali è stato richiesto di fornire in tempi brevi le loro eventuali osservazioni». Ciò è stato ritenuto necessario dal Ministero «per coinvolgere i principali destinatari delle indicazioni operative contenute nel decreto ministeriale in modo da assicurarne una volta approvato la piena operatività» e lo schema di decreto, secondo quanto previsto nella scorsa legge di bilancio, «dovrà essere sottoposto all'intesa presso la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, previa acquisizione del parere favorevole dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali»;

   con l'ordine del giorno 9/1117-A/50, approvato dalla Camera il 14 settembre 2018, il Parlamento ha impegnato il Governo «ad attivarsi per provvedere, nel più breve tempo possibile, alla realizzazione della Banca dati Nazionale così come previsto dai commi 418-419 della legge n. 205 del 2017» –:

   quale sia lo stato di avanzamento iter relativo al decreto istitutivo della banca dati destinata alla registrazione delle Disposizioni anticipate di trattamento ed entro quale data sarà emanato.
(4-01790)

SUD

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per il sud, per sapere – premesso che:

   dopo sette anni di recessione (2008-2014) l'economia delle regioni meridionali accenna una, seppur lenta, crescita, che tuttavia sta avvenendo in ritardo rispetto agli altri Paesi europei ed extra-europei;

  gli ultimi dati disponibili, contenuti nel Rapporto Svimez 2018 «L'economia e la società del Mezzogiorno», mostrano un tasso di crescita del prodotto interno lordo nel Mezzogiorno dell'1,4 per cento – rispetto al +1,5 per cento nel Centro-nord – con un trend di lenta ripresa rispetto all'anno precedente, seppur in un contesto di grande incertezza e con il rischio di una frenata dell'economia meridionale;

   il rapporto PMI Mezzogiorno 2018 attesta, inoltre, che le piccole e medie imprese del Mezzogiorno vantano un fatturato di 130 miliardi di euro, che vale circa il 10 per cento di tutto il prodotto interno lordo nel meridione. Rispetto all'anno precedente, nel 2017 il fatturato è aumentato del 2,7 per cento più della media nazionale ed è tornato ai livelli pre-crisi. Sotto il profilo numerico durante la crisi economica sono scomparse circa 4,000 imprese, essendo passati da 29.000 a meno di 25.000. Nel biennio 2016-2017 la rotta si è invertita, ma mancano ancora 2.000 aziende per tornare ai livelli pre-crisi;

   sussiste ancora una forte disuguaglianza territoriale tra il Nord e il Sud del Paese che, sotto il profilo sociale, riflette un forte indebolimento della capacità del welfare di supportare le fasce più disagiate della popolazione: la carenza e l'inadeguatezza della qualità dei servizi pubblici e di prestazioni essenziali incide, infatti, anche sulla tenuta sociale dell'area meridionale e rappresenta un ostacolo in termini di produttività delle imprese e benessere degli abitanti, facendo emergere un malessere economico, sociale, lavorativo e sanitario sempre più diffuso;

   sul tasso di apprendimento al Sud pesa anche il contesto economico-sociale e territoriale: la disoccupazione, la povertà diffusa, l'esclusione sociale, la minore istruzione delle famiglie di provenienza e, soprattutto, la mancanza di servizi pubblici efficienti influenzano i percorsi scolastici e l'apprendimento; basti pensare che il tasso di occupazione per i diplomati e i laureati nel Mezzogiorno a tre anni dalla laurea è pari a 70 mila su 160 mila (43,8 per cento) contro i 220 mila su 302 mila (72,8 per cento) del Centro-nord;

   questi dati spiegano anche perché negli ultimi 15 anni c'è stato un aumento dei giovani del Sud emigrati verso il Centro-nord e/o verso l'estero: nell'anno accademico 2016/2017, i giovani del Sud iscritti, all'università sono circa 685 mila circa, di questi il 25,6 per cento studia in un ateneo del Centro-nord. Nello stesso anno accademico il movimento «migratorio» per studio ha interessato, quindi, circa il 30 per cento dell'intera popolazione rimasta a studiare in atenei meridionali;

   tra le cause del crescente divario tra il Nord e il Sud del Paese vi è anche l'incapacità di accesso, di spesa e di utilizzo efficiente dei fondi europei, in particolare di quelli strutturali e di investimento destinati in via prioritaria alle regioni del Sud;

   la politica di coesione territoriale dell'Unione europea rappresenta – per impegno finanziario, estensione geografica e arco temporale – uno dei programmi più importanti al mondo in tema di redistribuzione di ricchezze tra regioni e Paesi, volti a stimolare la crescita nelle aree in ritardo di sviluppo con un approccio place based;

   in particolare per il Mezzogiorno i fondi della coesione, se accompagnati da adeguati investimenti nazionali che ne agevolino i meccanismi di spesa, possono favorire la trasformazione verso un'economia intelligente e inclusiva, per dare ai giovani l'opportunità di vivere e lavorare nei luoghi di appartenenza, per innalzare la qualità dei servizi (scuole, sanità, trasporti), per rendere l'ambiente più verde e più resiliente rispetto ai rischi;

   gli strumenti finanziari contenuti nei programmi operativi dei fondi strutturali mettono a disposizione consistenti risorse per sostenere il rafforzamento del tessuto produttivo del Mezzogiorno e l'accelerazione nell'utilizzo di queste risorse risulta fondamentale per garantire l'effettiva erogazione di tali fondi ai destinatari finali e contribuire a offrire alle PMI meridionali un contesto più efficiente nel quale competere;

   malgrado l'accelerazione intervenuta negli ultimi mesi la politica di coesione non è riuscita a ridurre i divari del Mezzogiorno, infrastrutturali, sociali, economici e l'Italia è ancora lontana dal centrare gli obiettivi di spesa prefissati per le politiche di coesione, così come diversamente successo nel resto dell'Europa; tale ritardo costituisce un fattore assai grave, considerato che questi fondi aggiuntivi rappresentano risorse fondamentali per il Sud, che andrebbero impiegate in modo più celere ed efficace;

   in particolare, l'attuazione dei programmi europei sconta oggi un ritardo che interessa sia i programmi operativi nazionali sia quelli regionali, coinvolgendo, sebbene in misura differente, le regioni del Mezzogiorno, come pure quelle del centro-nord;

   per rafforzare lo sviluppo e la competitività delle Pmi del Mezzogiorno appare, dunque, imprescindibile potenziare non solo l'effettiva capacità di spesa dei fondi di coesione, ma anche la cosiddetta capacity building delle amministrazioni coinvolte nella politica di coesione, elemento questo che incide positivamente sulla performance economica e che ha un effetto di stimolo per il prodotto interno lordo dei territori nei quali si interviene –:

   nell'ambito delle politiche di governo finalizzate ad un efficientamento della capacità di programmazione, progettazione e spesa dei fondi europei a disposizione del nostro Paese, in primis quelli strutturali destinati alle Regioni del Mezzogiorno, quali iniziative specifiche si intendano adottare a sostegno delle piccole e medie imprese che operano al Sud, al fine di poter assicurare un corretto impiego delle risorse e favorire la ripresa del sistema produttivo meridionale.
(2-00200) «Galizia, Scerra, Ianaro, Papiro, Villani, Penna, Bruno, Giordano, Di Lauro, Torto, De Giorgi, Carbonaro, Carelli, Carinelli, Casa, Cassese, Cataldi, Maurizio Cattoi, Chiazzese, Cillis, Cimino, Ciprini, Colletti, Corda, Corneli, Costanzo, Cubeddu, Dadone, Dall'Osso, D'Ambrosio, D'Arrando».

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

X Commissione:


   BERSANI e PASTORINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il fallimento della QUI!Group ha messo in ginocchio migliaia di esercenti convenzionati, con centinaia di milioni di euro di buoni pasto non pagati, e determinato il licenziamento dei lavoratori, sospesi da questa estate, portando con sé il rischio di un effetto domino per le altre imprese partecipate;

   il crack ha fatto emergere le problematicità del sistema dei buoni pasto e di un meccanismo senza garanzie che cela molte altre insidie per le imprese della ristorazione e del dettaglio alimentare che quotidianamente somministrano il pasto e lavorano, anticipando servizi e costi annessi;

   la necessità di rivedere completamente la regolamentazione del settore appare oggi di estrema urgenza, diversamente si assisterà alla chiusura di molte attività. Sono troppi gli esercizi commerciali divenuti ostaggio della macchina dei ticket non potendo scegliere di non accettarli, poiché ciò comporterebbe la riduzione del lavoro, in alcuni casi addirittura dell'80 per cento;

   negli ultimi anni sono stati apportati svariati interventi normativi per mettere argine alle distorsioni del mercato senza, tuttavia, raggiungere alcun miglioramento ma sortendo effetti diametralmente opposti a quelli sperati;

   a pagarne le conseguenze sono gli esercenti. Gli sconti concessi da Consip in fase di appalto alle società vincitrici vanno a ripercuotersi proprio sugli esercizi commerciali in forma di commissioni; queste ultime non dovrebbero superare la percentuale di ribasso applicata sul valore nominale del buono in fase di appalto, tuttavia ciò spesso non accade e gli esercenti si trovano a dover stipulare contratti che prevedono commissioni che si attestano tra il 10-15 per cento e che sono maggiorate se si richiedono tempi di pagamento più celeri;

   la situazione italiana rappresenta un unicum negativo nel panorama europeo. Si è ormai innescato un meccanismo che costa agli esercizi convenzionati almeno 500 milioni di euro all'anno –:

   se, non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, per tutelare le aziende del settore anche rivedendo il sistema italiano dei buoni pasto e stabilendo, a tal fine, nuove regole che garantiscano gare di appalto che riducano il valore nominale del buono pasto lungo tutta la filiera, un tetto massimo alle commissioni agli esercenti con valori analoghi a quelli dei Paesi europei, rating di affidabilità per le società emettitrici dei ticket, contratti chiari e trasparenti tra emettitori ed esercizi commerciali e l'abolizione della cumulabilità degli stessi buoni nonché la forma cartacea a favore del sistema elettronico che garantisce l'esercente, anche al fine di pagamenti puntuali e dell'eliminazione di inutili costi.
(5-01069)


   SILVESTRONI e ZUCCONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   quello delle aziende nautiche, spesso legate alle attività dei cantieri navali, di rimessaggio e di assistenza, è un settore chiave per l'economia italiana e per lo sviluppo dell'economia a forte vocazione all’export di un Paese come l'Italia che rappresenta una importante meta turistica mondiale e che nel litorale della provincia di Roma ha un enorme potenziale anche nell'area a sud della Capitale;

   il programma del Ministero dello sviluppo economico offre l'occasione per rilanciare l'economia regionale del Lazio e sfruttare il potenziale anche del litorale sud di Roma, come quello di Anzio e Nettuno –:

   quali iniziative di competenza intenda assumere per valorizzare e sviluppare l'economia nel litorale sud della provincia di Roma, anche attraverso misure di sostegno all'innovazione tecnologica e di tutela del «made in Italy».
(5-01070)


   MORETTO e FERRI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   lo stabilimento Sanac nasce nel 1972 all'interno del polo industriale di Massa Carrara in ragione della stretti vicinanza sia alle cave e al porto di Marina di Carrara, sia ai poli siderurgici di Piombino e di Genova-Cornigliano;

   nel 1995 entra a far parte del gruppo Riva in concomitanza con l'acquisto della società Uva s.p.a. di cui Sanac faceva parte;

   lo stabilimento di Massa è attivo nella produzione e nell'assistenza tecnica di refrattari per il sistema di spillaggio cosiddetto «a cassetto» per siviera, sistema brevettato e completamento progettato nello stesso stabilimento;

   attualmente risultano occupati nello stabilimento 124 operai di cui 9 con contratti a termine. Inoltre, all'interno del sito produttivo lavorano diverse società che impiegano circa 100 operai;

   l'azienda è entrata in amministrazione straordinaria dal marzo del 2015 trattandosi di una controllata di Uva s.p.a. Le difficoltà giudiziarie dell'acciaieria di Taranto e quelle finanziarie del gruppo Riva hanno causato un calo drastico degli ordini per la Sanac, con una conseguente diminuzione di produzione, fatturato e personale;

   il 2 febbraio 2017, nella riunione al Ministero dello sviluppo economico, il Governo pro tempore chiariva come la cessione di Sanac sarebbe stata oggetto di un bando pubblico e che l'attenzione del Governo sarebbe rimasta alta per garantire una interlocuzione tra Uva e Sanac al fine di favorire il mantenimento di una catena produttiva;

   il 5 giugno 2017 la cordata AM Investco Italy, una joint venture formata dal gruppo Marcegaglia e da Arcelor Mittal si aggiudicava la gara per il trasferimento degli asset aziendali di Uva s.p.a.;

   il 5 settembre 2018 presso il Ministero dello sviluppo economico è stato siglato l'accordo con Arcelor Mittal per la cessione dell'Ilva s.p.a.;

   ad oggi sono pervenute 5 manifestazioni di interesse da parte di aziende interessate alla Sanac: tre di operatori internazionali del settore dei refrattari, una di un fondo di investimento britannico e una di una multinazionale straniera attiva nel settore dell'acciaio;

   in data 5 dicembre 2018 è fissata l'apertura delle buste;

   è necessario confermare l'impegno assunto dal precedente Governo a salvaguardare la continuità di un'azienda fondamentale per il tessuto economico e sociale della provincia di Massa Carrara –:

   se il Governo intenda fornire chiarimenti e delucidazioni sul futuro industriale della Sanac di Massa indicando quali iniziative abbia assunto o intenda assumere al riguardo.
(5-01071)


   GIARRIZZO e VALLASCAS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   nel mese di ottobre 2018 l'Ocse ha presentato i risultati della sua valutazione sul funzionamento della normativa vigente (cosiddetta Start up act) in materia di start up innovative, così come si è strutturato a partire dall'approvazione del decreto-legge n. 179 del 2012;

   i dati contenuti nella citata valutazione evidenziano come la policy abbia funzionato nel creare un ambiente più favorevole alle giovani imprese, le quali hanno aumentato il fatturato, il valore aggiunto e gli asset (in particolare, la proprietà intellettuale) di circa il 10-15 per cento rispetto alle start up simili che non ne hanno beneficiato;

   le imprese iscritte hanno, inoltre, una maggiore probabilità di ottenere prestiti dalle banche (il flusso netto aumenta di circa il 14 per cento) a un tasso di interesse inferiore. L'Ocse rileva tuttavia una notevole eterogeneità nell'impatto della policy a seconda che le start up si finanzino mediante equity o debito. Il fatto stesso che molte imprese abbiano utilizzato il sistema di garanzia pubblica denota criticità nell'accesso al credito;

   le imprese beneficiarie dello Startup act hanno anche più del doppio delle probabilità di ricevere un finanziamento di venture capital (Vc) entro i primi tre anni di vita rispetto alle imprese non iscritte come start up innovative. Tuttavia, l'importo totale degli investimenti in Vc in Italia non sembra essere aumentato in modo significativo dopo l'introduzione della policy;

   la difficoltà di accesso ai finanziamenti e al capitale umano restano i grandi ostacoli alla nascita e alla crescita di start up in Italia, così come la presenza di una burocrazia troppo pesante;

   se finora si è pensato a creare un tessuto di imprese innovative, da oggi è necessario puntare sugli investimenti –:

   quali iniziative intenda intraprendere per avviare una nuova stagione di sviluppo per le neo imprese innovative.
(5-01072)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FASSINA e BERSANI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   la Snaitech spa azienda italiana leader nel settore del cosiddetto gaming, per la quale lavorano circa 650 dipendenti e migliaia di agenzie per scommesse disseminate sul territorio nazionale, dopo la fusione tra Snai e Cogetech e, successivamente, la sua totale acquisizione da parte dell'inglese Playtech, ha avviato un processo di ristrutturazione, aprendo nuovi scenari che non smettono di preoccupare i lavoratori;

   in vero, a livello generale, il sistema, alla ricerca di nuove sinergie aziendali ed economiche, è in continuo movimento attraverso operazioni societarie (incorporazioni, fusioni o costituzioni di grandi conglomerati industriali) che impongono un elevato livello di allerta;

   anche la Snaitech non è immune da tale fenomeno: ad ogni cambio societario si sono registrati, infatti, continui cambiamenti di strategia di basso profilo imprenditoriale come una diversa organizzazione del lavoro o politiche di riduzione del personale, il tutto al fine di rendere appetibili al mercato le azioni societarie. Così come il mettere in evidenza con ossessione, da parte dell'azienda, le performance raggiunte come l'importante ritorno all'attivo e utile di bilancio, o il dare risalto a un importante premio di risultato per i lavoratori (senza, peraltro, dare conto di quello riservato ai manager), sono fatti che dimostrano ancora un livello di relazioni sindacali che si pensava fosse stato superato;

   inoltre, i lavoratori lamentano la totale assenza di un piano industriale o di un qualsiasi piano di prospettiva, investimenti e organizzazione del lavoro, a garanzia del mantenimento dei livelli occupazionali;

   recentemente la Snaitech, citata in giudizio dalla Fiom per aver rifiutato di discutere in merito all'armonizzazione dei Contratti collettivi nazionali di lavoro, è stata chiamata a rispondere di condotta antisindacale avendo disapplicato ai propri dipendenti, a decorrere dal 1° novembre 2018 ossia prima della sua scadenza, il Contratto collettivo nazionale di lavoro dell'industria metalmeccanica per imporre quello del terziario, sostituzione frutto di un negoziato condotto parallelamente e fuori dalle regole contrattuali con sindacati minoritari e non rappresentativi;

   lo Stato italiano, che trae dal settore del gaming un importante gettito erariale, può regolamentarlo subordinando il rilascio delle relative concessioni solo se queste rispondono all'interesse pubblico e della collettività piuttosto che a logiche di mercato o di massimo profitto, specie se realizzato attraverso speculazioni che gravano pesantemente sui lavoratori. L'iniziativa economica privata, oltre ad essere libera, come recita la Costituzione, dovrebbe infatti anche essere indirizzata e coordinata ai fini sociali, e a garantire la sicurezza e la dignità dei lavoratori –:

   se il Governo non ritenga di dover aprire un tavolo di trattativa con le parti interessate anche al fine di adottare iniziative per regolamentare il settore, prevedendo il rilascio di nuove concessioni solo a fronte di precisi piani aziendali che garantiscano i diritti dei lavoratori e il mantenimento dei livelli occupazionali.
(5-01038)


   CENNI, FREGOLENT, CIAMPI e PEZZOPANE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   quella «geotermica» è una forma di energia naturale che trova origine dal calore della terra e, tra le energie rinnovabili, ha un valore aggiunto che condivide soltanto con l'idroelettrico: la continuità della produzione. La geotermia, quindi, può essere intesa come un elemento importante per la «green economy» e un sostegno significativo per sviluppare politiche «low carbon»;

   lo sviluppo corretto della geotermia può portare con sé effetti positivi, contribuendo in maniera importante alla lotta contro i cambiamenti climatici;

   l'Italia è paese dove l'energia geotermica è stata sfruttata per la prima vota a fini industriali, inaugurando anche importanti esperienze di teleriscaldamento ad uso civile, consentendo l'uso di fonti fossili per il riscaldamento domestico. Il nostro Paese è infatti uno dei principali produttori di energia geotermica a livello mondiale;

   attraverso strumenti di sostegno pubblico le fonti rinnovabili (Fer) hanno consolidato negli ultimi anni un ruolo di primo piano nell'ambito del sistema energetico italiano. Con il decreto ministeriale 23 giugno 2016, sono stati introdotti incentivi per l'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili diverse dal fotovoltaico;

   la nuova Strategia energetica nazionale, adottata dal Governo pro tempore nel mese di novembre 2017, considera lo sviluppo delle fonti rinnovabili come funzionale non solo alla riduzione delle emissioni ma anche al contenimento della dipendenza energetica, prefissando l'obiettivo al 2030 del 28 per cento di consumi da rinnovabili rispetto ai consumi complessivi;

   i nuovi incentivi verranno erogati nel rispetto del tetto complessivo di 5,8 miliardi di euro annui;

   l'ultimo schema di decreto sugli incentivi alle energie rinnovabili (denominato Fer 1) redatto dal Ministero dello sviluppo economico, avrebbe avuto il via libera dal Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, e sarebbe stata trasmessa alla Corte dei Conti;

   secondo i media nello schema di tale provvedimento non sarebbero stati inseriti i fluidi geotermici a media ed alta entalpia;

   tale indiscrezione avrebbe allarmato operatori del settore, concentrati fondamentalmente in Toscana e associazioni categoria, oltre a numerose comunità, rispetto alle ricadute negative per lo sviluppo economico, occupazionale e sociale locale che potrebbe causare un improvviso annullamento degli incentivi;

   ad oggi Camera e Senato non sono state interessate da alcun passaggio rispetto a tale schema di decreto;

   come riportato sul sito del Ministero dello sviluppo economico, il 27 novembre 2018, il Sottosegretario per lo sviluppo economico con delega all'energia Davide Crippa ha dichiarato: «Lo schema di decreto di incentivazione FER1, al momento in fase di approvazione, non comprende tutte le fonti energetiche rinnovabili, ma solo quelle con una pluralità di operatori ed un basso livello di costi. Il decreto prevede infatti l'assegnazione degli incentivi sulla base di aste a ribasso che premieranno gli operatori capaci di produrre l'energia da fonti rinnovabili a minor costo. La geotermia più avanzata tecnologicamente, proprio per la sua ridotta offerta complessiva ed i pochissimi operatori, verrebbe penalizzata dalla partecipazione a questo meccanismo. A tal fine, abbiamo previsto di inserire la geotermia in un altro decreto di prossima emanazione (FER2) sul quale, anche in questo caso, avvieremo un confronto con le Associazioni e gli operatori del settore. Il decreto FER2 permetterà di assicurare una disciplina più organica alla geotermia, promuovendo la qualificazione tecnologica e soprattutto quella ambientale, sotto il profilo dell'abbattimento delle emissioni anche degli impianti esistenti. L'obiettivo è quello di andare incontro alle preoccupazioni provenienti dai Comitati di cittadini presenti sui territori»;

   le aree geotermiche nel nostro Paese sono chiaramente definibili;

   la regione Toscana sta aggiornando le proprie normative in materia conciliando sviluppo geotermico e sostenibilità ambientale, consapevole della necessita di incentivare e garantire al massimo ogni sforzo per utilizzare tecnologie di nuova generazione nello sfruttamento geotermico e di garantire controlli e monitoraggio sull'esistente e informazioni alle comunità locali –:

   quali siano le determinazioni del Governo in materia di geotermia e se, nella fase di redazione dei provvedimenti «Fer1» e «FER2» siano stati sentiti regione, comuni, imprese e sindacati interessati.
(5-01047)

Interrogazione a risposta scritta:


   FRATOIANNI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   da notizie di stampa, si apprende che lo schema di decreto interministeriale sull'incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, cosiddetto «Fer1», che dovrà essere emanato dal Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, escluderebbe la geotermia dalle fonti rinnovabili, determinando con ciò l'esclusione dagli incentivi per le rinnovabili della produzione di energia da fonti geotermiche;

   il settore della geotermia vede una presenza molto numerosa di lavoratori e di impianti in Toscana, nel comprensorio dell'Alta valle di Cecina, in particolare lo stabilimento di Larderello, ma anche dei comuni dell'Amiata, del Grossetano e del Senese, in cui è presente il fluido che dà origine alla geotermia;

   sono diciassette i comuni in Toscana che dipendono, per molti aspetti, proprio dagli investimenti per lo sfruttamento del sottosuolo, portati avanti prevalentemente da Enel;

   aver escluso la geotermia tra le energie da fonti rinnovabili a cui assegnare incentivi, metterebbe a rischio gli investimenti di Enel Green Power in Toscana. Si parla di una cifra di 600 milioni di euro, entro i prossimi cinque anni per altrettante nuove centrali geotermiche che il colosso dell'energia stava pianificando, nel quadro del protocollo d'intesa che avrebbe dovuto firmare proprio con la regione;

   per interi territori, che da secoli convivono e vivono con questa risorsa, significherebbe devastazione sociale ed economica: si parla di un comparto che occupa circa tremila persone – tra diretti e indotto – e muove investimenti per 150 milioni di euro all'anno;

   nel rispetto dei diversi punti di vista sulla «bontà» di questa fonte rinnovabile, in particolare a seguito della sbagliata liberalizzazione del mercato sancita dal governo Monti e in funzione delle trivellazioni che si farebbero in altri territori della provincia, ad esempio in Alta Valdera e del loro impatto sul territorio, si tratta comunque di un comparto che se sviluppato bene potrebbe diventare sempre più eco-sostenibile. Ciò può avvenire solo a patto che rimangano i contributi pubblici perché gli investimenti di cui necessita il settore sono così cospicui che non sarebbero altrimenti sostenibili se non con gli incentivi pubblici e ci si limiterebbe, al massimo, alla gestione dell'ordinario avendo come unico orizzonte la chiusura degli impianti;

   in Italia, la geotermia fornisce circa il 3 per cento del fabbisogno energetico, che in Toscana sale a quasi il 30 per cento;

   la fine di tali contributi determinerebbe quindi l'incremento del malessere sociale mentre, a parere dell'interrogante, la geotermia, rinnovabile, eco-sostenibile e sicura sarebbe meno impattante per l'ambiente e tutelerebbe l'occupazione e la vocazione di un intero territorio che negli anni si è specializzato nel settore;

   il Governo non può non ascoltare la voce delle istituzioni locali, delle aziende, dei sindacati, delle comunità che chiedono che sia reinserita subito la geotermia nel decreto sugli incentivi alle rinnovabili –:

   se il Governo intenda assumere iniziative per modificare lo schema del decreto interministeriale sugli incentivi alle fonti rinnovabili cosiddetto Fer1, nell'ottica sia degli obiettivi 2030 di diffusione delle tecnologie rinnovabili, di contrasto ai cambiamenti ambientali e di diffusione dell'economia circolare, sia della tenuta occupazionale e degli investimenti nel settore della geotermia, reintroducendo la geotermia tra le energie da fonti rinnovabili a cui assegnare incentivi.
(4-01775)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Fiano e altri n. 1-00072, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 novembre 2018, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Pagani.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Luca De Carlo e Gemmato n. 4-01754, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 novembre 2018, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Butti.

  L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Gribaudo e altri n. 3-00367, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 dicembre 2018, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Nobili.

Cambio di presentatore di risoluzione in Commissione.

  Risoluzione in Commissione n. 7-00115, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 novembre 2018, è da intendersi presentata dall'onorevole Ehm, già cofirmatario della stessa.

Ripubblicazione di testi.

  Si pubblica di seguito il testo di tre interrogazioni a risposta immediata in Commissione, già pubblicate nel Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari del 4 dicembre 2018 in allegato al resoconto sommario della seduta della Commissione VIII Ambiente, territorio e lavori pubblici, di quattro interrogazioni a risposta immediata in Commissione, già pubblicate nel Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari del 4 dicembre 2018 in allegato al resoconto sommario della seduta della Commissione XIII Agricoltura, e di quattro interrogazioni a risposta immediata in Commissione, già pubblicate nel Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari del 5 dicembre 2018 in allegato al resoconto sommario della seduta della Commissione IX Trasporti, poste e telecomunicazioni:

   DEIANA, ILARIA FONTANA, ZOLEZZI, DAGA, D'IPPOLITO, FEDERICO, LICATINI, ALBERTO MANCA, MARAIA, RICCIARDI, ROSPI, TERZONI, TRAVERSI, VARRICA, VIANELLO, VIGNAROLI, MARINO, PERANTONI, SCANU, CADEDDU, LAPIA, CORDA e CABRAS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la Sardegna soffre da sempre di una carente rete stradale che spesso versa in condizioni non ottimali. È evidente che la puntuale manutenzione risulta, dunque, elemento imprescindibile per garantire l'efficienza dei collegamenti e la sicurezza dei viaggiatori;

   in Sardegna, la strada statale n. 131, arteria principale che collega l'intera isola, è in condizioni inaccettabili. Da troppo tempo, nel tratto tra Sassari/Oristano e Oristano/Sassari, di circa 100 chilometri, il manto stradale è gravemente deteriorato. Recentemente sono stati annunciati dall'Anas lavori di manutenzione su un tratto di circa 6 chilometri che ricade nei comuni di Ploaghe, Florinas e Codrongianos, così come, negli scorsi anni, sono stati posti in essere lavori di manutenzione di questa tipologia sempre su parti limitate. Nei restanti tratti, gli interventi tampone realizzati sono stati dei palliativi che si sono rivelati inefficaci a causa degli agenti atmosferici e del traffico automobilistico, costringendo Anas ad intervenire ripetutamente. I lavori di manutenzione così eseguiti, sono non solo inutili e inefficaci, ma rappresentano un costo continuo che potrebbe essere evitato. È altresì rilevabile che le condizioni del manto stradale migliorino nettamente nel tratto compreso tra Oristano/Cagliari in entrambi i sensi di marcia, con una dicotomia di gestione inspiegabile;

   ulteriore problematica riguarda i numerosi incroci a raso presenti sull'intera arteria che rappresentano, ad oggi, una delle principali cause di incidenti stradali;

   per le ragioni suddette andrebbero avviati urgentemente dei lavori di risistemazione del manto stradale nel tratto compreso tra Sassari/Oristano e Oristano/Sassari e una progettazione di svincoli che eliminino i numerosi incroci a raso –:

   quali iniziative e le soluzioni intenda mettere in atto il Ministro interrogato al fine di garantire la massima sicurezza dei viaggiatori che percorrono la strada statale n. 131.
(5-01044)

   BRAGA e FRAGOMELI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   nell'agosto 2017, la Conferenza unificata ha sancito l'intesa sullo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per la revisione delle reti stradali di interesse nazionale e regionale ricadenti nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Toscana e Umbria;

   a seguito di quanto sopra riportato, si sono attivate anche le regioni non ricomprese dalla richiamata intesa, tra cui la regione Lombardia;

   a seguito delle intese e degli accordi posti in essere tra Anas e le suddette regioni per il passaggio della gestione di arterie stradali provinciali ad Anas, perché ritenute di interesse nazionale, si attende l'emanazione di un nuovo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per assicurare una migliore manutenzione e sicurezza della rete stradale;

   le province spesso non hanno le risorse necessarie per gestire in maniera adeguata un numero di chilometri di rete stradale di assoluta rilevanza, come ad esempio per la regione Lombardia è il caso della Lecco-Bergamo e di altre arterie che per quanto provinciali, assumono un valore strategico per la mobilità dei cittadini;

   per quanto imminente ancora non risulta essere stato firmato alcun accordo per il trasferimento della gestione di strade provinciali all'Anas nelle regioni che non rientrano nel primo gruppo di cui al citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;

   le dimissioni del management di Anas e del presidente Armani possono costituire un pregiudizio nella tempistica di trasferimento delle competenze in commento –:

   quali siano i tempi di definizione del nuovo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per il trasferimento della gestione delle strade provinciali di interesse nazionale ricadenti nelle regioni interessate per una migliore e più efficiente cura delle infrastrutture stradali.
(5-01045)

   MURONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   con delibera 28 febbraio 2018 il Cipe ha approvato il progetto definitivo, primo stralcio Magenta-Vigevano, del collegamento strada provinciale ex strada statale n. 11 «Padana Superiore» – Tangenziale ovest di Milano;

   l'approvazione del 1o stralcio (tratte A e C) esclude e rinvia sine die la tratta B, Albairate-Milano, l'unico lotto in cui sarebbe auspicabile la riqualificazione della strada provinciale esistente, in aperta contraddizione con lo scopo originario del progetto, ovvero collegare Malpensa alla tangenziale ovest di Milano;

   il 1o stralcio è diverso dal progetto Anas del 2008, e non avrebbe dovuto essere autorizzato sulla base di delibere Via risalenti a tredici anni prima, che non tengono conto degli effetti cumulati di altri progetti nel frattempo realizzati o realizzandi sul territorio;

   nel medesimo quadrante territoriale insiste la ferrovia Milano-Mortara, in gran parte a binario unico, il cui progetto di raddoppio risulta privo di qualsiasi finanziamento;

   la Commissione per le petizioni del Parlamento europeo, nell'audizione dell'11 ottobre 2017, esaminando la petizione presentata da centinaia di cittadini, afferma che se il progetto «fosse portato a termine sulla base di una VIA obsoleta, potrebbe contribuire a una decisione da parte della Commissione di deferire l'Italia alla Corte di giustizia dell'Unione europea»;

   oltre ai comitati locali e alle associazioni ambientaliste, si sono dichiarati contrari all'opera stradale e favorevoli al raddoppio ferroviario e al miglioramento della viabilità esistente molti comuni dell'area, città metropolitana di Milano, parco del Ticino, parco agricolo sud Milano, le organizzazioni agricole: il territorio esprime infatti le più alte vocazioni agricole del milanese, ed ha acquisito importanti arrivi turistici; le connesse attività economiche sarebbero messe in grave difficoltà dall'impatto ambientale dell'opera che, tra l'altro, esporrebbe il parco del Ticino alla perdita di riconoscimento quale sito «Man and Biosphere» Unesco;

   ad ottobre la delibera del Cipe è stata impugnata al Tar da Parco agricolo sud Milano, città Metropolitana di Milano, parco del Ticino, comuni di Albairate, Cassinetta di Lugagnano, Boffalora sopra Ticino, nonché, ad adiuvandum, da comitati locali, associazione Parco Sud Milano e Legambiente –:

   se sia stato realizzato uno studio costi/benefici aggiornato e comprensivo dei flussi di traffico e se, in tale contesto, non si ritenga opportuno adottare le iniziative di competenza per annullare completamente il progetto dirottandone il finanziamento alla riqualificazione della rete stradale esistente e al potenziamento della linea ferroviaria Milano-Mortara.
(5-01046)

   VIVIANI, BUBISUTTI, COIN, GASTALDI, GOLINELLI, LIUNI, LO MONTE e LOLINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   il calabrone asiatico («vespa velutina») è un animale originario dell'Asia sud-orientale (Cina del sud, India del nord, penisola indocinese, arcipelago indonesiano);

   nel 2004 la «vespa velutina» è comparsa in Europa, in Francia, probabilmente introdotta con merci di origine cinese. Dopo il primo rilevamento, si è diffusa in pochi anni in quasi tutta l'Europa, penetrando anche in Belgio, Spagna, Portogallo e Germania, dimostrando la sua capacità di fare notevoli danni. Nel 2012 è apparsa per la prima volta in Italia, a Loano in Liguria;

   la «vespa velutina», o calabrone asiatico, è un pericoloso insetto alieno di origine cinese predatore di api e altri impollinatori, che, dopo la penetrazione in Liguria di ponente e Piemonte meridionale e centrale (in provincia di Cuneo e Torino), si è diffuso sempre più in Veneto, Lombardia e Emilia-Romagna;

   l'apicoltura svolge un compito essenziale per lo sviluppo dell'agricoltura nel suo complesso, dal punto di vista del funzionamento dell'ecosistema nazionale, consentendo l'indispensabile funzione dell'impollinazione, migliorando la biodiversità e assicurando la varietà genetica delle piante;

   in Italia sono attualmente presenti oltre 70.000 apicoltori con 1,3 milioni di alveari, per un fatturato complessivo superiore ai 60 milioni di euro;

   forte è l'allarme nel mondo dell'agricoltura per la presenza di questo insetto che sta causando gravi danni economici agli apicoltori italiani essendo in grado di ridurre fino al 75 per cento la produzione degli alveari;

   la produttività delle api risulta minacciata, oltre che dalla diffusione di parassiti, anche dalle condizioni meteorologiche: secondo dati recenti, il caldo record e i temporali improvvisi, che hanno caratterizzato il 2018, hanno fatto registrare un calo stimato del 50 per cento rispetto alla media degli ultimi anni;

   il calo della produzione di quest'anno comporterà l'aumento delle importazioni da altri Paesi, che già nel primo quadrimestre del 2018, ha fatto registrare una crescita del 32 per cento per un totale di oltre 9,4 milioni di chili, provenienti in particolare dall'Ungheria (+64 per cento), dalla Romania (+46 per cento), dalla Polonia (+34 per cento) e dalla Cina (+19 per cento) –:

   quali iniziative intenda porre in atto il Ministro interrogato al fine di arginare il dilagare della «vespa velutina», che sta causando tanti danni agli apicoltori italiani, e quali iniziative intenda assumere per sostenere gli apicoltori che devono affrontare emergenze sanitarie, cambiamenti climatici, predatori e parassiti, nonché la concorrenza dei Paesi esteri.
(5-01039)

   GALLINELLA, CADEDDU, CASSESE, CILLIS, CIMINO, DEL SESTO, GAGNARLI, L'ABBATE, LOMBARDO, MAGLIONE, ALBERTO MANCA, MARZANA, PARENTELA e PIGNATONE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali e del Ministro dello sviluppo economico del 9 dicembre 2016 è stato introdotto l'obbligo di indicare, nell'etichetta del latte e dei prodotti derivati commercializzati in Italia, la duplice menzione del Paese di mungitura e quello di condizionamento o trasformazione;

   con successivi decreti degli stessi Ministri del 26 luglio 2017, è stato introdotto l'obbligo di indicazione del Paese di coltivazione e di lavorazione o molinatura per la filiera grano duro-pasta e per il riso;

   entrambi i decreti stabiliscono che le indicazioni sull'origine debbano essere apposte in etichetta, in un punto evidente e nello stesso campo visivo, così da essere facilmente riconoscibili, leggibili ed indelebili, in piena conformità con quanto disposto dal regolamento (UE) n. 1169/2011;

   la chiarezza e la comprensibilità delle informazioni sono assicurate attraverso l'allocazione delle stesse in un punto evidente e la dimensione dei font deve essere coerente con quanto previsto dall'allegato IV del regolamento citato;

   con decreto del 7 maggio 2018 il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali ha chiarito che i suddetti decreti rimangono efficaci sino alla data di applicazione degli atti di esecuzione dell'articolo 26, paragrafo 3, del citato regolamento (UE) n. 1169/2011 e, quindi, fino alla data del 1o aprile 2020 prevista dal regolamento di esecuzione (UE) 2018/775 del 28 maggio 2018;

   i decreti citati prevedono un periodo transitorio per lo smaltimento delle scorte dei prodotti che non soddisfano i nuovi requisiti, in quanto immessi sul mercato o etichettati prima dell'entrata in vigore degli stessi;

   relativamente al latte e ai prodotti lattiero-caseari il termine di smaltimento è scaduto ad ottobre 2017, mentre la pasta e il riso possono essere commercializzati fino ad esaurimento;

   nonostante l'entrata in vigore dei provvedimenti nazionali, continuano ad essere vendute confezioni, in particolare di pasta, le cui etichette non risultano conformi ai requisiti di leggibilità e visibilità, non assicurando quel livello di trasparenza dell'informazione domandato dai consumatori italiani in sede di consultazione e assicurato dalla normativa summenzionata –:

   quali iniziative di vigilanza, attraverso l'Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (Icqrf), siano state assunte per garantire il rispetto degli obblighi dell'indicazione di origine dei prodotti messi in commercio o etichettati dopo l'entrata in vigore dei citati decreti nonché quali iniziative intenda ancora assumere per assicurare il raggiungimento del duplice scopo di tutelare il made in Italy e gli interessi dei consumatori.
(5-01040)

   D'ALESSANDRO, GADDA, CENNI, CARDINALE, CRITELLI, DAL MORO, INCERTI e PORTAS. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   nei giorni scorsi, nel corso di un incontro tra il Ministro interrogato e gli assessori regionali di settore è emersa l'assoluta rilevanza dei problemi legati ai cinghiali, agli ungulati, ai cormorani e alle nutrie;

   secondo i dati delle organizzazioni agricole sarebbero oltre 300 milioni di euro i danni provocati al comparto agricolo dalla presenza incontrollata di questi animali;

   la presenza massiccia di ungulati nelle aree rurali, e ormai anche periferiche dei centri urbani, è diventato anche un problema di ordine pubblico e di sicurezza in particolare per gli agricoltori e non solo, basti pensare al numero di incidenti stradali in numero crescente dovuto proprio alla presenza di animali selvatici;

   ad aggravare la situazione vi è anche il timore della estensione dei casi di peste suina in Europa di cui i cinghiali possono essere diffusori;

   il Ministro interrogato, intervenendo all'assemblea annuale della Cia ha annunciato di voler chiedere al Ministro Costa, all'Ispra e agli assessori regionali la costituzione di un tavolo al quale dovrebbero sedere anche i Ministri della salute e quello per le autonomie e gli affari regionali –:

   se vista l'effettiva intenzione di costituire questo tavolo e se il Governo abbia già in previsione di assumere iniziative per introdurre misure adeguate e corrispondenti risorse finanziarie da destinare a tali interventi, nonché uno snellimento burocratico per la richiesta dei risarcimenti, a supporto del comparto agricolo nel contrasto ai danni alle coltivazioni derivanti dalla presenza di animali selvatici.
(5-01041)

   NEVI, BOND, SANDRA SAVINO, CAON e SPENA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

  tra fine ottobre e inizio novembre 2018, una eccezionale ondata di maltempo, accompagnata da venti che hanno raggiunto i 190 chilometri orari, ha fatto strage di alberi nelle regioni Friuli, Trentino Alto Adige e Veneto. L'area coi danni maggiori è la provincia di Belluno. Sono state colpite duramente anche colture pregiate come quella gli abeti rossi, nelle foreste della Val Visdende e di Paneveggio, conosciute come le foreste dei violini;

  secondo alcune valutazioni, sono stati abbattuti 15 milioni di metri cubi di legname pari a circa 7 milioni di alberi, materia prima per i prossimi 5-10 anni. In alcune aree o province di queste regioni il settore forestale rappresenta fino al 10 per cento del Pil e interessa direttamente o indirettamente il 20 per cento delle famiglie;

  la Coldiretti l'11 novembre 2018 lanciato un allarme, secondo il quale il prezzo del legno è sceso del 30 per cento. Il mercato del legno, lungo l'arco alpino in Italia è sotto pressione con prezzi al ribasso, in alcuni casi dimezzati, con il rischio di un tracollo del valore per tutte le tipologie di legname, da costruzione, da ardere, da biomassa, da carta e da mobilio, a causa della presenza di un fiume di milioni di metri cubi di tronchi rasi al suolo o finiti nei corsi d'acqua;

  per fermare un effetto valanga sull'intera produzione nazionale, Coldiretti e Federforeste hanno consigliato, anche per chi non si trova nelle aree colpite, di non svendere a chi vuole avere legno italiano a prezzi di saldo. È stata chiesta la creazione di una Banca del legno per sostenerne il prezzo;

  le autorità locali hanno chiesto interventi per provvedere alla ricostruzione boschiva nelle aree devastate, alla manutenzione del territorio montano e delle valli alpine. È stata chiesta la redazione di un piano di riforestazione sul modello di quello adottato dalla Svizzera dopo la tempesta Lothar del 1999 e il riconoscimento del valore di presidio idrogeologico agli operatori agricolo-forestali delle aree montane;

  è necessario valorizzare il lavoro e il sacrificio di coloro che vi operano; bisogna intervenire sul reddito delle popolazioni montane colpite, al fine di evitare l'impoverimento e lo spopolamento di quelle aree –:

  nel quadro di una necessaria definitiva ricognizione dei danni al patrimonio forestale delle regioni Friuli, Trentino Alto Adige e Veneto, quali iniziative, per quanto di competenza, abbia adottato o intenda adottare il Ministro interrogato in relazione alle problematiche esposte in premessa.
(5-01042)

   LIUZZI, SCAGLIUSI, BARBUTO, BARZOTTI, LUCIANO CANTONE, CARINELLI, DE GIROLAMO, DE LORENZIS, FICARA, GRIPPA, MARINO, RAFFA, PAOLO NICOLÒ ROMANO, SERRITELLA, SPESSOTTO e TERMINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il sistema informativo nazionale federato delle infrastrutture (Sinfi) è stato realizzato a seguito del recepimento della direttiva 2014/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 operato con il decreto legislativo n. 33 del 2016;

   il decreto del Ministro dello sviluppo economico 11 maggio 2016 ha stabilito le modalità tecniche per la definizione del contenuto del Sinfi;

   in particolare, il decreto ministeriale, in attuazione dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 33 del 2016, ha specificato la tempistica con la quale le amministrazioni pubbliche e gli operatori di rete dovessero adempiere all'obbligo di comunicazione al Sinfi delle informazioni in loro possesso previsto dalla legge;

   presso il Ministero dello sviluppo economico, il Comitato del catasto delle infrastrutture (Sinfi), nella sua nuova composizione, ha già svolto due riunioni, il 22 ottobre e il 29 novembre 2018, al fine valutare lo stato di attuazione del progetto delle reti esistenti che tramite il Sinfi si vuole realizzare;

   come riportato dalle note ufficiali del Ministero dello sviluppo economico, pubblicate entrambe sul sito istituzionale del medesimo dicastero, la realizzazione del Sinfi è in stato di preoccupante arretratezza, sia per quanto riguarda le amministrazioni locali sia per quanto riguarda soprattutto la categoria degli operatori –:

  quali siano, alla luce dei dati in possesso del Ministro interrogato, i dati relativi alle inadempienze nel conferimento dei dati da parte della categoria degli operatori di rete e quali siano i grandi operatori ad oggi totalmente inadempienti.
(5-01058)

   ZANELLA e SOZZANI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   l'emittenza radiotelevisiva privata locale rappresenta un essenziale baluardo per il pluralismo dell'informazione e offre lavoro a circa 5.000 persone, tra cui molti giornalisti;

   il Ministro interrogato è più volte intervenuto contro questa categoria, auspicando la fine di molte realtà editoriali e dimostrando evidente fastidio per il pluralismo e per la libertà di stampa che, va ricordato, è sancita dall'articolo 21 della Costituzione. Vale la pena chiedersi se le manovre in atto non siano volte a eliminare una parte della libera informazione, che evidentemente disturba perché non gestibile, né sottomessa;

   il dibattito sulla liberazione delle frequenze della banda 700 in relazione all'asta per le frequenze 5G, conclusasi il 2 ottobre 2018, pare incentrato soprattutto sulla soppressione della riserva di un terzo della capacità trasmissiva assicurata per legge alle emittenti locali;

   in merito a ciò, il sottosegretario di Stato allo sviluppo economico ha confermato, rispondendo all'atto n. 5-00600, che il Governo sta valutando la revisione di detta riserva, senza ulteriori specifiche;

   l'asta ha garantito un introito di 4 miliardi di euro in più rispetto alla stima indicata nella legge di bilancio 2018, ma ciononostante il Governo non mostra alcuna intenzione di ristorare in maniera più adeguata la perdita di capacità trasmissiva per quanto concerne le tv, né di reimpiegare tali risorse per interventi adeguatamente finanziati, mirati e concreti sul settore, mentre si limita a impiegare queste risorse per ridurre il debito;

   vi è la volontà dichiarata di rivedere, se non proprio eliminare, quanto previsto dalla legge di stabilità 2016 che regola l'impiego dell'extra gettito Rai, cioè le eventuali maggiori entrate dal canone, prevedendo un finanziamento fino a 125 milioni di euro annui del fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione, a sostegno dell'editoria e dell'emittenza radiotelevisiva locale;

   tutto ciò è fortemente discrasico rispetto a quanto asserito dal Ministro interrogato durante l'unica audizione del 26 luglio 2018 nella IX Commissione della Camera, sulla necessità di accelerare l'erogazione dei contributi relativi alle annualità 2017/18 poiché fondamentali per la sopravvivenza di molte realtà radiotelevisive locali di cui sottolineava l'importanza –:

   quali siano le intenzioni del Governo in relazione ai finanziamenti pubblici all'editoria radiotelevisiva locale privata e come intenda garantire, in termini economici e di capacità trasmissiva, la continuità aziendale e il futuro delle televisioni locali, stante la volontà, se confermata, di intervenire sulla riserva di un terzo della capacità trasmissiva in seguito al rilascio della banda 700.
(5-01059)

   BRUNO BOSSIO, PIZZETTI, CANTINI, GARIGLIO, GIACOMELLI, NOBILI, PAITA, ANDREA ROMANO, ANNIBALI, BONOMO, BURATTI, CARLA CANTONE, CARNEVALI, CRITELLI, DE FILIPPO, DE LUCA, MARCO DI MAIO, FASSINO, FIANO, FRANCESCHINI, FRAGOMELI, GADDA, LACARRA, GAVINO MANCA, MORANI, MURA, NAVARRA, NOJA, BENAMATI e LOTTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il Ministro interrogato, in una serie di interventi televisivi, ha affermato che risulterebbero essere in stampa le «card» finalizzate alla erogazione del cosiddetto «reddito di cittadinanza»;

   in data 29 novembre 2018 è stato lo stesso Ministro, come riportato dalle agenzie di stampa, ad affermare che «da due settimane ho dato ordine al mio staff di lavorare con Poste Italiane per tutto, inclusa la stampa delle tessere» in riferimento a suddetta misura;

   è noto che l'eventuale fondo per il reddito di cittadinanza potrebbe diventare legge eventualmente solo dopo l'approvazione del disegno di legge di bilancio per l'anno 2019, attualmente all'esame del Parlamento, e, quindi, non prima della fine del mese di dicembre –:

   se Poste Italiane abbia effettivamente ricevuto mandato dal Governo e sulla base di quale atto, anche in relazione a quanto previsto dal contratto di programma in essere, per la stampa delle card relativamente al reddito di cittadinanza.
(5-01060)

   MACCANTI e CAPITANIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   in un incontro che nelle scorse settimane Poste Italiane ha organizzato a Roma con i 3.000 sindaci dei comuni con meno di 5.000 abitanti sono stati esposti gli impegni assunti da Poste nei loro confronti –:

   se siano stati definiti l'entità e i tempi di realizzazione del piano investimenti dedicato al «refresh» degli uffici, postali e se questi ultimi siano interessati da un piano di razionalizzazione e in caso affermativo secondo quali criteri, tenendo conto che occorrerebbe evitare che le risorse ai piccoli comuni determinino un effetto compensativo a danno dei comuni maggiori.
(5-01061)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:

   interrogazione a risposta scritta Zolezzi n. 4-00102 del 7 maggio 2018;

   interrogazione a risposta in Commissione Gallinella n. 5-00942 del 15 novembre 2018;

   interpellanza Zolezzi n. 2-00186 del 21 novembre 2018.