Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 28 novembre 2018

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,

   premesso che:

    l'obesità rappresenta ormai un problema rilevantissimo di salute pubblica e di spesa per i sistemi sanitari nazionali, spesa che diverrà insostenibile se non saranno adottate politiche di prevenzione adeguate, non disgiunte da programmi di gestione della malattia in grado di affrontare il fardello delle comorbidità, ciò ad intendere la situazione nella quale si verifica in uno stesso soggetto una sovrapposizione e un'influenza reciproca di più patologie, in questo caso connesse all'obesità (diabete, ipertensione, dislipidemia, malattie cardio e cerebrovascolari, tumori, disabilità);

    secondo stime recenti dell'Istat in Italia vi sono circa 21 milioni di soggetti in sovrappeso, mentre il numero degli obesi è di circa 6 milioni, con un incremento percentuale di circa il 10 per cento rispetto al 2001; è sovrappeso oltre 1 persona su 3 (36 per cento, con preponderanza maschile: 45,5 per cento rispetto al 26,8 per cento nelle donne) e obesa 1 su 10 (10 per cento) e oltre il 66,4 per cento delle persone con diabete di tipo 2 è anche sovrappeso o obeso;

    l'incremento dell'obesità è attribuibile soprattutto alla popolazione maschile, in particolare nei giovani adulti di 25-44 anni e tra gli anziani;

    sovrappeso e obesità affliggono principalmente le categorie sociali svantaggiate che hanno minor reddito e istruzione, oltre a maggiori difficoltà di accesso alle cure;

    l'obesità riflette e si accompagna dunque alle disuguaglianze, innestandosi in un vero e proprio circolo vizioso che coinvolge gli individui che vivono in condizioni disagiate, i quali devono far fronte a limitazioni strutturali, sociali, organizzative e finanziarie che rendono difficile compiere scelte adeguate relativamente alla propria dieta e all'attività fisica;

    nel nostro Paese tra gli adulti con un titolo di studio medio-alto la percentuale degli obesi si attesta intorno al 5 per cento (per le persone laureate è pari al 4,6 per cento, per i diplomati è del 5,8 per cento), mentre triplica tra le persone che hanno conseguito al massimo la licenza elementare (15,8 per cento);

    lo stigma sull'obesità, ovvero la disapprovazione sociale, come rilevato dalla World Obesity Federation, è una delle cause che, attraverso stereotipi, linguaggi e immagini inadatte, finisce per ritrarre l'obesità in modo impreciso e negativo;

    lo stigma del peso si riferisce ai comportamenti e agli atteggiamenti negativi che sono rivolti verso le persone unicamente a causa del loro peso;

    esistono dati a livello globale di discriminazione basata sul peso in molte fasi della vita lavorativa, come nell'orientamento professionale, nei colloqui e nelle procedure di selezione, nelle disparità salariali, nei minori avanzamenti di carriera, nelle azioni disciplinari più severe e nel più elevato numero di licenziamenti;

    il bullismo sui giovani con obesità e uno dei fattori presenti nell'ambiente scolastico;

    l'obesità desta particolare preoccupazione per l'elevata comorbidità associata, specialmente di tipo cardiovascolare, come ad esempio il diabete tipo 2, in genere preceduto dalle varie componenti della sindrome metabolica (ipertensione arteriosa e dislipidemia aterogena), con progressione di aterosclerosi e aumentato rischio di eventi cardio e cerebrovascolari;

    sono sufficienti pochi dati per valutare la dimensione del problema: in chi pesa il 20 per cento in più del proprio peso ideale aumenta del 25 per cento il rischio di morire di infarto e del 10 per cento di morire di ictus rispetto alla popolazione normopeso, mentre, se il peso supera del 40 per cento quello consigliato, il rischio di morte per qualsiasi causa aumenta di oltre il 50 per cento, per ischemia cerebrale del 75 per cento e per infarto miocardico del 70 per cento; alla luce di queste condizioni, anche la mortalità per diabete aumenta del 400 per cento;

    è altrettanto importante sottolineare la correlazione fra eccesso di peso e rischio di tumori: per ogni 5 punti in più di indice di massa corporea (Bmi) il rischio di tumore esofageo negli uomini aumenta del 52 per cento e quello di tumore al colon del 24 per cento, mentre nelle donne il rischio di tumore endometriale e di quello alla colecisti aumenta del 59 per cento e quello di tumore al seno, nella fase post menopausa, del 12 per cento;

    l'eccesso di peso è anche responsabile di patologie non letali ma altamente disabilitanti e costose in termini di accesso alle cure, come ad esempio l'osteoartrosi;

    la dimensione del problema è tale non solo da meritare l'attenzione delle istituzioni e della politica, ma anche da rappresentare una priorità nell'ambito delle scelte da adottare e delle azioni da intraprendere a stretto giro nell'insieme delle questioni di salute pubblica da affrontare con più urgenza, per contenere il fenomeno e contrastarne le devastanti conseguenze. Infatti, non si può più ignorare che l'obesità influenzi pesantemente anche lo sviluppo economico e sociale: secondo la Carta europea sull'azione di contrasto all'obesità, obesità e sovrappeso negli adulti comportano costi diretti (ospedalizzazioni e cure mediche) che arrivano a rappresentare fino all'8 per cento della spesa sanitaria nella regione europea; tali patologie, inoltre, sono responsabili anche di costi indiretti, conseguenti alla perdita di vite umane, e di produttività e guadagni correlati, valutabili in almeno il doppio dei citati costi diretti;

    a livello mondiale, l'obesità è oggi responsabile di un costo complessivo pari a circa 2000 miliardi di dollari, che corrisponde al 2,8 per cento del prodotto interno lordo globale; l'impatto economico dell'obesità, in altre parole, è sovrapponibile a quello del fumo di sigaretta e a quello di tutte le guerre, atti di violenza armata e di terrorismo;

    in Italia, i dati più recenti riguardo i costi dell'obesità sono stati ricavati nell'ambito del progetto Sissi, svolto con i database della medicina generale, dalla regione Toscana: lo studio stima che l'eccesso di peso sia responsabile del 4 per cento della spesa sanitaria nazionale, per un totale di circa 4,5 miliardi di euro nel 2012;

    i programmi di contrasto all'obesità del Ministero della salute fanno riferimento nello specifico a diverse linee di attività, quali: la collaborazione con la regione europea dell'Organizzazione mondiale della sanità per la definizione di una strategia di contrasto alle malattie croniche, denominata «Gaining Health»; la cooperazione con l'Organizzazione mondiale della sanità per la costruzione di una strategia europea di contrasto all'obesità; le indicazioni europee del Consiglio Epsco del 2006; il piano sanitario nazionale 2006-2008; il piano di prevenzione 2010-2012; lo sviluppo e il coordinamento del programma «Guadagnare salute»; il piano di prevenzione 2014-2018 per programmi di promozione della salute e strategie basate sull'individuo;

    l'impatto dell'obesità e delle malattie non trasmissibili (NCDs, non-communicable diseases), per le quali l'obesità rappresenta il principale fattore di rischio, è preso in seria considerazione ai vari livelli governativi;

    a settembre 2018 l'Assemblea delle Nazioni Unite ha inserito come priorità di azione, articolata in 13 punti, la lotta alle NCDs e all'obesità con particolare richiamo agli Stati membri per uno sforzo che aumenti e renda prioritaria la spesa indirizzata alla riduzione dei fattori di rischio delle NCDs e alla sorveglianza, alla prevenzione e alla diagnosi precoce degli stessi;

    in Inghilterra le policy sull'obesità sono state affrontate dai programmi «Change4life», incentrato particolarmente sulla prevenzione dell'obesità, e «Healthy Child Programme», indirizzato al contrasto dell'obesità giovanile; nel 2010, la responsabilità per le politiche alimentari è passata dalla Food Standard Agency al Department of Health e il Governo ha iniziato a collaborare con il mondo produttivo in una sorta di patto di responsabilità per la salute pubblica per far fronte a diverse problematiche, tra cui l'obesità;

    in Spagna nel 2011 è stata approvata una legge sulla sicurezza alimentare che contiene misure per l'implementazione della strategia contro l'obesità NAOS (Estrategìa para la nutrición, actividad física y prevención de la obesidad), con la possibilità di adattare le linee di azione ogni 5 anni; nel 2013 è stato istituito un Osservatorio sulle abitudini alimentari e per lo studio dell'obesità che, oltre al costante monitoraggio sulla prevalenza dell'obesità, prevede l'implementazione delle modifiche dello stile di vita;

    negli Stati Uniti il sistema federale non consente che vi sia una policy nazionale unitaria sull'obesità; tuttavia, a livello federale, nel 2011, è stata approvata la terapia intensiva comportamentale per l'obesità, ora rimborsata da Medicare e Medicaid;

    nel 2017 e nel 2018 l'assemblea plenaria del Comitato delle regioni dell'Unione europea ha approvato due pareri d'iniziativa (123rd plenary session, 11-12 maggio 2017 «Health in cities: the common good» e 131st plenary session, 10 ottobre 2018 «Mainstreaming sport into the EU agenda post-2020»), i quali hanno individuato come obiettivo, tra gli altri, rispettivamente la lotta dell'obesità nell'ambito urbano e il ruolo dell'attività fisica e sportiva nella prevenzione dell'obesità;

    il sistema di sorveglianza, denominato «OKkio alla salute», sul sovrappeso e sull'obesità nei bambini delle scuole primarie (6-10 anni) e i fattori di rischio correlati, promosso e finanziato dal Ministero della salute/CCM, coordinato dal Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (Cnesps) dell'Istituto superiore di sanità (Iss) in collaborazione con le regioni, il Ministero della salute e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, collegato al programma europeo «Guadagnare salute» e ai piani di prevenzione nazionali e regionali, facente anche parte dell'iniziativa della regione europea dell'Organizzazione mondiale della sanità «Childhood Obesity Surveillance Initiative (COSI)», evidenzia che in Italia complessivamente il 37 per cento dei bambini presenta un eccesso ponderale fra sovrappeso e obesità;

    si stima che 1 bambino su 3 sia fisicamente inattivo, maggiormente le femmine rispetto ai maschi, e la frequenza di sovrappeso e obesità nei bambini conferma livelli preoccupanti di eccesso ponderale: il 25 per cento dei bambini è in sovrappeso e l'11 per cento obeso, con maggiore prevalenza nelle regioni del sud d'Italia;

    secondo i dati della Childhood Obesity Surveillance initiative (2015-17) dell'Organizzazione mondiale della sanità l'Italia ha il maggior numero dei bambini obesi o in sovrappeso tra le nazioni europee;

    entro il 2030 una migrazione di massa porterà 1,47 miliardi di persone dalle campagne alle città, causando anche un incremento dell'obesità e, conseguentemente, importanti documenti quali il «Copenhagen Consensus of Mayors for healthier and happier cities for all» (WHO Europe 2018), la «Roma Urban Health Declaration» (2017 G7 on Health Italian Precidency), il Manifesto per la «Salute nelle città: bene comune» (Health City Institute-ANCI 2017), il «Bending the curve» (Cities Changing Diabetes Summit, Houston 2017), individuano nella lotta all'obesità in ambito urbano una delle priorità d'azione per le istituzioni governative e i sindaci nell'ambito dell’urban health;

    durante la giornata mondiale e nazionale dell'obesità 2018 (10-11 ottobre), l’Italian Obesity Network ha promosso il documento «MANIFESTO DELL'ITALIAN OBESITY NETWORK PER UN FUTURO SOSTENIBILE», sottoscritto da tutte le società scientifiche e le associazioni di pazienti attive sull'obesità in Italia che invita a: considerare l'obesità come una priorità nazionale a livello sanitario, politico, sociale e clinico, riconoscendo che la stessa è una malattia altamente disabilitante e rappresenta un importante fattore di rischio per lo sviluppo di malattie non trasmissibili (NCDs); realizzare un piano nazionale dell'obesità per affrontare le problematiche relative alla malattia, individuando obiettivi centrati sulla prevenzione, sulla diagnosi precoce, sulla gestione della malattia e delle complicanze, sull'offerta assistenziale, sull'accesso alle cure e ai trattamenti; incrementare la capacità del servizio sanitario nazionale di erogare e monitorare i servizi per la persona obesa attraverso l'individuazione e l'attuazione di strategie che abbiano come obiettivo la razionalizzazione dell'offerta, l'accesso alle cure e l'appropriatezza delle prestazioni erogate; migliorare la qualità di vita, la cura e la piena integrazione sociale per le persone obese, comprendendone i bisogni e le problematiche, attuando strategie di coinvolgimento familiare, sociale e nell'ambiente di lavoro; ridurre l'alto impatto dell'obesità e del sovrappeso infantile attraverso informazione e interventi mirati a ottenere un cambiamento permanente delle abitudini alimentari e dello stile di vita dei bambini, coinvolgendo il mondo della scuola, dello sport e le famiglie; assicurare le conoscenze circa la prevenzione dell'obesità, la diagnosi, il trattamento farmacologico e chirurgico, l'assistenza, attraverso il sostegno alla ricerca, per realizzare progressi nell'accesso alla cura, nella riduzione delle complicanze, e sulla morte prematura; prevenire l'obesità e il sovrappeso attraverso il miglioramento delle conoscenze della popolazione sui corretti stili di vita, controllando la non corretta nutrizione e l'inattività fisica nella popolazione generale; organizzare e realizzare attività di rilevazione epidemiologica finalizzate alla programmazione e al miglioramento dell'assistenza, alla comprensione del burden of diseasee dello stigma sociale per consentire una gestione efficace ed efficiente dell'obesità e del sovrappeso, rendendo al contempo omogenea l'assistenza su tutto il territorio nazionale; diffondere le competenze e le informazioni tra gli operatori della rete assistenziale, favorendo lo scambio continuo di informazioni per una gestione efficace ed efficiente, centrata sulla persona obesa; promuovere l'interdisciplinarietà in ambito medico, anche attraverso la formazione di team specialistici dedicati, prestando particolare attenzione alle disuguaglianze sociali e alle condizioni di fragilità e/o vulnerabilità socio-sanitaria sia per le persone a rischio sia per le persone con obesità,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative normative affinché nell'ordinamento siano introdotte una definizione di obesità come malattia cronica caratterizzata da elevati costi economici e sociali, una definizione del ruolo degli specialisti che si occupano di tale patologia e una definizione delle prestazioni di cura e delle modalità per il rimborso delle stesse, sul modello Medicare adottato negli Stati Uniti;

2) a implementare un piano nazionale sull'obesità che armonizzi a livello nazionale, le attività nel campo della prevenzione e della lotta all'obesità, un documento, condiviso con le regioni, che, compatibilmente con la disponibilità delle risorse economiche, umane e strutturali, individui un disegno strategico comune inteso a promuovere interventi basati sull'unitarietà di approccio, centrato sulla persona con obesità e orientato a una migliore organizzazione dei servizi e a una piena responsabilizzazione di tutti gli attori dell'assistenza;

3) ad adottare iniziative per assicurare alla persona con obesità il pieno accesso alle cure e ai trattamenti dietetico-alimentari, farmacologici e chirurgici;

4) ad adottare iniziative per prevedere una più stringente implementazione del patto nazionale della prevenzione 2014-2018 relativamente alle politiche di contrasto all'obesità;

5) a promuovere programmi per la prevenzione dell'obesità infantile e per la lotta alla sedentarietà attraverso iniziative coordinate che implementino a livello scolastico l'attività sportiva, l'attività fisica, la sana alimentazione e l'informazione sulla promozione dei corretti stili di vita;

6) a intraprendere iniziative congiunte e sinergiche di informazione alla popolazione a sostegno di quanto promosso dalla campagna nazionale e internazionale denominata Obesity Day;

7) a promuovere iniziative a tutela della persona con obesità negli ambienti lavorativi e scolastici, evitando discriminazioni e bullismo.
(1-00082) «Pella, Giacometto, Pentangelo, Rosso, Zangrillo, Occhiuto».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni III e XI,

   premesso che:

    il Venezuela versa in una condizione di crisi che ha raggiunto livelli insostenibili per la popolazione e l'iperinflazione erode, quotidianamente, il potere d'acquisto dei cittadini;

    in materia pensionistica, tra Italia e Venezuela vige la «Convenzione in materia di sicurezza sociale tra Italia e Venezuela», che è stata stipulata il 7 giugno 1988 e ratificata con la legge 6 agosto 1991, n. 260. A seguito della firma del relativo Accordo amministrativo di attuazione, avvenuta il 1° ottobre 1991, la convenzione è entrata in vigore il 1° novembre 1991;

    l'Inps ha istituito un polo specializzato presso la Direzione provinciale di Bari, competente su tutti gli aspetti burocratici in materia;

    l'articolo 6 della Convenzione di sicurezza sociale tra il Venezuela e l'Italia, in relazione ai pagamenti all'estero, recita che: «Le prestazioni in denaro dovute da uno Stato contraente saranno corrisposte integralmente e senza alcuna limitazione ai titolari che risiedono nel territorio dell'altro Stato contraente o in uno Stato terzo»;

    contravvenendo agli accordi, il Venezuela ha sospeso ogni erogazione del pro-rata pensionistico agli aventi diritto nel 2015;

    molte persone rientrate in Italia hanno visto svanire ogni loro sostentamento, riducendosi a chiedere aiuto a familiari e amici. Alcuni non hanno retto la vergogna e si sono tolti la vita, altri hanno perso la casa o sono nell'impossibilità a curarsi;

    i tentativi tecnici di risoluzione della questione, al momento, non hanno prodotto alcun risultato;

    la Convenzione di sicurezza sociale tra Italia e Venezuela, all'articolo 24, dispone che «Le controversie che possono nascere nell'interpretazione e applicazione della presente convenzione saranno risolte per quanto possibile dalle autorità competenti delle due parti. Le controversie che persistono saranno risolte per via diplomatica»,

impegnano il Governo:

   ad assumere iniziative affinché il Venezuela rispetti i termini pattuiti nella «Convenzione in materia di sicurezza seriale tra Italia e Venezuela» e del relativo «Accordo amministrativo di attuazione» in vigore;

   ad assumere iniziative per quantificare il trattamento pensionistico arretrato non corrisposto da parte del Venezuela e a stimare l'ammontare annuo del pro-rata venezuelano per i prossimi 10 anni;

   ad assumere iniziative normative volte a modificare la normativa vigente in materia, nella direzione di prevedere un'integrazione sul pro-rata pensionistico italiano, ovvero sull'assegno sociale se ne ricorrano i presupposti, del pro-quota non corrisposto dal Venezuela;

   a proporre alla controparte della Convenzione in materia di sicurezza sociale tra Italia e Venezuela una proposta di transazione, per cui l'Italia si accollerebbe il costo degli arretrati non corrisposti in cambio della corrispettiva quantità, al prezzo corrente, di barili di petrolio venezuelano;

   ad assumere iniziative per ottenere immediatamente che le competenti autorità del Venezuela eroghino una prestazione previdenziale minima provvisoria, in attesa che si giunga ad una soluzione dei problemi di disponibilità di valuta.
(7-00118) «Delmastro Delle Vedove, Rizzetto».


   La XIII Commissione,

   premesso che:

    tra il 24 e il 26 settembre 2018, favorito dal forte vento, si è sviluppato un vasto incendio che ha devastato il territorio nei comuni di Vecchiano, Buti, Calci e Vicopisano, interessando in particolare i monti Serra e Verruca, in provincia di Pisa;

    per domare le fiamme, dopo giorni di lotta, sono stati necessari 5 canadair e due elicotteri della Protezione civile, nonché i 5 elicotteri della flotta aerea regionale, oltre a centinaia di operatori tra operai forestali dei comuni interessati, volontari del Coordinamento volontario toscano, operatori addestrati antincendi boschivi (Aib) oltre a circa 100 vigili del fuoco;

    la procura di Pisa, a fronte dell'evidenza di focolai comparsi in più punti, ha aperto un fascicolo con l'ipotesi di rogo doloso e sta indagando tramite i carabinieri forestali e i vigili del fuoco;

    l'incendio ha interessato circa 1.000 ettari di boschi, vigneti, castagneti e campi. Le fiamme hanno risparmiato la Certosa di Calci, secondo monumento pisano per visite dopo Piazza dei Miracoli, ma non hanno risparmiato circa diecimila piante di ulivo, anche secolari, distribuite su oltre 100 ettari di coltura specializzata. Sono state minacciate anche abitazioni rurali, frazioni comunali e alcuni agriturismi, che si sono salvati grazie all'opera dei vigili del fuoco schierati a loro difesa. Centinaia di persone hanno dovuto lasciare le proprie abitazioni, alcune delle quali sono state danneggiate dalle fiamme;

    si stimano oltre 6 milioni di euro di danni solo nel comparto agricolo. Coldiretti prevede saranno necessari 15 anni per tornare alla normalità. Nel rispondere alle interrogazioni sui danni alle colture causati da questo incendio il Governo (3 ottobre 2018) ha dichiarato l'intenzione, in considerazione dell'eccezionalità della situazione, di attivare il fondo di solidarietà nazionale, normalmente destinato al ristoro dei soli danni da avversità atmosferiche assimilabili a calamità naturali, nei limiti e alle condizioni stabilite dalla corrispondente normativa europea in materia di aiuti di Stato in agricoltura,

impegna il Governo:

   a dare corso alle iniziative di competenza individuate in premessa, attivando le risorse del fondo di solidarietà nazionale di cui all'articolo 15 del decreto legislativo n. 102 del 2004, al fine di garantire il necessario sostegno finanziario alle imprese agricole danneggiate dagli incendi del 24-26 settembre 2018 in provincia di Pisa;

   a coordinare i suddetti interventi con le iniziative della regione toscana, in accordo con la regione medesima e con gli enti territoriali interessati, al fine di consentire il sollecito ripristino delle colture e la messa in sicurezza del territorio rurale percorso dal fuoco.
(7-00119) «Nevi, Mazzetti, Anna Lisa Baroni, Brunetta, Caon, Fasano, Sandra Savino, Spena».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LOTTI, BONOMO, BRUNO BOSSIO, BURATTI, CANTINI, CIAMPI, CRITELLI, DE FILIPPO, DE MENECH, DI GIORGI, MARCO DI MAIO, FIANO, FRAGOMELI, GADDA, INCERTI, GAVINO MANCA, MICELI, MOR, MORANI, MORETTO, MORGONI, MURA, NAVARRA, PAITA, PEZZOPANE, PICCOLI NARDELLI, ANDREA ROMANO, ROSATO, ROSSI, ROTTA, SENSI, SERRACCHIANI, TOPO, VISCOMI, ZAN e ZARDINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   il sostegno alla realizzazione e alla rigenerazione di impianti sportivi localizzati nelle aree svantaggiate del Paese e nelle periferie urbane, nonché alla diffusione, nelle stesse aree, delle attrezzature sportive ha rappresentato uno dei più importanti obiettivi raggiunti nella scorsa legislatura nell'ambito delle politiche sportive;

   per il raggiungimento dei suddetti obiettivi è stato istituito il fondo sport e periferie, in favore del quale sono stati stanziati oltre 500 milioni di euro;

   lo stanziamento iniziale, pari a 100 milioni di euro, effettuato con il decreto-legge 25 novembre 2015, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 2016, n. 9, è stato impiegato per la realizzazione del primo piano di interventi urgenti realizzato dal Coni;

   la legge 27 dicembre 2017, n. 205 (legge di bilancio 2018) ha successivamente integrato il citato fondo con ulteriori 10 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2018;

   alle risorse autorizzate con legge vanno tuttavia aggiunte le assegnazioni effettuate a valere sul Fondo per gli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese di cui all'articolo 1, comma 140, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (legge di bilancio 2017), tra cui 75 milioni di euro, che sarebbero dovuti servire, d'intesa con il Coni, per soddisfare le centinaia di richieste per interventi di piccole dimensioni (in particolar modo quelli di importo inferiore a 300.000 euro), di minore impatto mediatico ma spesso di maggiore necessità e utilità, perché a vantaggio delle piccole comunità locali che più hanno sofferto il peso della crisi;

   la Corte Costituzionale, con sentenza n. 74 del 2018, ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 1, comma 140, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, nella parte in cui non ha previsto un'intesa con gli enti territoriali;

   tale declaratoria di illegittimità costituzionale, tuttavia, riguardava solamente i settori di spesa rientranti nelle materie di competenza regionale, tra i quali non rientra l'attività sportiva agonistica nazionale che è quella che ha sin dall'inizio interessato il fondo sport e periferie;

   inoltre, a dimostrazione del grande impegno profuso nella scorsa legislatura sul tema dell'impiantistica sportiva, con delibera n. 26 del 28 febbraio 2018, il Cipe ha assegnato al fondo sport e periferie, nel frattempo trasferito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – ufficio per lo sport un importo pari a 250 milioni di euro;

   va, inoltre, sottolineata l'attenzione dedicata dal precedente Governo alla realizzazione degli strumenti applicativi, posto che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 maggio 2018 erano stati fissati i criteri e le modalità di gestione delle risorse del fondo sport e periferie;

   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 ottobre 2018 di approvazione del secondo piano pluriennale degli interventi, nell'ambito del fondo sport e periferie, tuttavia, nel ripartire lo stanziamento di 100 milioni di euro del quadriennio 2017-2020, ha riservato oltre la metà delle risorse a interventi di importo superiore a 300.000 euro, molti dei quali persino superiori a 1 milione di euro –:

   per quali ragioni non siano stati spesi gli ulteriori 75 milioni di euro del Fondo per gli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese di cui all'articolo 1, comma 140, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, che erano stati destinati agli interventi di importo inferiore a 300.000 euro e sui quali, non essendovi questioni di legittimità costituzionale, i comuni che avevano partecipato all'avviso del Coni avevano legittimamente riposto il loro affidamento;

   quali siano stati i criteri di scelta per l'individuazione degli interventi di realizzazione e rigenerazione di impianti sportivi a valere sullo stanziamento di 100 milioni di euro del quadriennio 2017-2020;

   quali siano le motivazioni della scelta di destinare una quota così rilevante delle risorse agli interventi di importo elevato.
(5-01022)

Interrogazione a risposta scritta:


   SILLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   con la legge 7 gennaio 1992, n. 20, veniva ratificata e diventava esecutiva la convenzione firmata a Venezia il 5 ottobre 1989 tra l'Italia e la Francia per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e per prevenire l'evasione e le frodi fiscali;

   l'articolo 18 della suddetta convenzione attribuisce al Paese di residenza la potestà fiscale sulle pensioni e sulle altre «remunerazioni analoghe»;

   il comma 2 del medesimo articolo precisa, in antitesi con il primo, che «le pensioni e altre somme pagate in applicazione della legislazione sulla sicurezza sociale di uno Stato, sono imponibili in detto Stato», vale a dire nel Paese erogatore;

   tale comma ha, dunque, dato origine ad un contenzioso interpretativo in ordine al contenuto del termine «sicurezza sociale» che, avrebbe dovuto essere stato risolto con l'accordo di procedura amichevole firmato nel 2000 dalle due parti;

   tale accordo amichevole, stabilendo che rientrano nella fattispecie della «sicurezza sociale» anche le pensioni contributive e, dunque, non solo – come ipotizzato in passato – quelle non contributive, quali l'integrazione al trattamento minimo, ovvero quelle di vecchiaia, invalidità e superstiti, ha confermato la confusione e, soprattutto, la doppia imposizione;

   l'ambiguità della norma, inoltre, ha indotto l'Agenzia delle entrate a emanare una circolare interpretativa ed applicativa del citato comma 2 dell'articolo 18 della Convenzione di Venezia (e di altre convenzioni di analogo contenuto stipulate dall'Italia con altri Stati dell'Unione europea);

   in questa circolare si è sostenuto che il citato comma 2 deve essere interpretato nel senso che le pensioni e le somme, menzionate nello stesso, sono soggette a imposizione in entrambi gli Stati, sulla base della legislazione nazionale di ciascuno;

   da numerose segnalazioni pervenute all'interrogante da parte di medici «pensionati» Enpam, residenti in Francia, risulta che questi cittadini italiani, pur avendo pieno diritto, in quanto residenti, alla sola imposizione fiscale francese, sarebbero di fatto soggetti alla doppia imposizione fiscale (Italia-Francia);

   appare incomprensibile perché in una convenzione contro le doppie imposizioni fiscali sia stata introdotta una norma che, al contrario, consente proprio la tassazione concorrente, interpretazione, tra l'altro, avallata dall'accordo amichevole tra l'Italia e la Francia del 2000 e successivamente, confermata – per via amministrativa – anche dall'Agenzia delle entrate;

   occorre, pertanto, un intervento che, alla luce del principio cardine dell'ordinamento tributario nazionale e sovranazionale (convenzione Ocse) che vietano la doppia imposizione giuridica, chiarisca la suesposta situazione che vede, illegittimamente, doppiamente percossa, una vasta platea di nostri connazionali medici che risiedono in Francia, platea della quale, tra l'altro, non si conosce neppure l'effettiva entità –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e, in particolare, per quanto di competenza, se sia in possesso di dati circa il numero di medici italiani, aventi diritto al trattamento previdenziale «Enpam», residenti in Francia;

   quali iniziative, anche di tipo normativo, il Governo intenda assumere al fine di rivedere e chiarire le condizioni della imposizione concorrente stabilite dalla citata convenzione di Venezia e del successivo accordo amichevole per i contribuenti italiani residenti in Francia, con particolare riguardo agli aventi diritto a trattamenti pensionistici da enti di diritto privato, tra i quali l'Enpam.
(4-01734)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   PALAZZOTTO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato la Turchia per l'arresto di Selahattin Demirtas, uno dei leader del principale partito filo-curdo della Turchia, il Partito democratico popolare (Hdp). La Corte ha stabilito che la detenzione mira a «soffocare il pluralismo» nel Paese. Ha esortato quindi Ankara a liberare il leader filo-curdo, arrestato nel novembre 2016;

   la sua detenzione costituisce una ingiustificata interferenza con la libera espressione del voto del popolo e il diritto del ricorrente a essere eletto e di esercitare il suo mandato parlamentare. Questo è quanto sostiene la Corte europea;

   Selahattin Demirtas è ricorso alla Corte di Strasburgo nel febbraio del 2017 assieme ad altri membri del partito pro curdo HDP, tutti eletti in parlamento, arrestati e tenuti in detenzione preventiva;

   si rammenta che oltre Demirtas si trovano in carcere anche la co-segretaria del partito Hdp, Figen Yuksekdag e altri 9 membri del medesimo partito;

   nel suo ricorso il leader politico sosteneva che il suo arresto, avvenuto il 4 novembre 2016, e la sua detenzione in attesa di giudizio violavano i suoi diritti e il 20 novembre la Corte europea dei diritti umani gli ha dato ragione;

   in particolare nella sentenza si evidenzia che, nell'estendere ripetutamente la detenzione di Demirtas, i giudici turchi non hanno mai condotto un'analisi approfondita delle ragioni che rendevano necessaria la sua carcerazione, limitandosi a fornire motivazioni generiche;

   inoltre, secondo i giudici europei, da tutte le informazioni fornite alla Corte è difficile sostenere che il leader pro curdo, se rilasciato, avrebbe deciso di fuggire all'estero per sottrarsi alla giustizia;

   la continuata detenzione di un leader dell'opposizione non ha messo a repentaglio solo i suoi diritti, ma il sistema democratico del Paese;

   il presidente turco Erdogan ha respinto la sentenza della Corte europea dei diritti umani, sostenendo di non essere vincolato al suo rispetto;

   a parere dell'interrogante gli arresti, i processi e le detenzioni che hanno colpito il partito Hdp sono illegali, e sono stati perpetrati con fini puramente politici, essendosi rivelate infondate tutte le accuse in cui è stato coinvolto Demirtas;

   un Paese che rimane candidato all'ingresso nell'Unione europea non può non rispettare le sentenze della Corte europea, così come non può violare i più basilari diritti umani e del resto anche in passato non sono mancati casi di sentenze accettate e rese esecutive anche da parte della Turchia;

   l'Alta rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri, Federica Mogherini, durante un viaggio ad Ankara ha auspicato che il rilascio di Demirtas avvenga in tempi brevi, così come il segretario generale del Consiglio d'Europa e la Presidente dell'assemblea parlamentare dell'organizzazione hanno dichiarato come le autorità turche dovrebbero comunque rilasciare Demirtas;

   il Ministro degli esteri turco ha accusato il capo della diplomazia dell'Unione europea Federica Mogherini di aver oltrepassato il suo mandato chiedendo il rilascio del leader curdo Selahattin Demirtas;

   quello che è accaduto in questi anni in Turchia contro l'opposizione democratica e parlamentare è inaccettabile e l'Italia, secondo l'interrogante, non si può permettere, da una parte, i «tappeti rossi» quando giungono nel nostro Paese rappresentanze del regime di Erdogan, e poi rimanere inerte e silente di fronte al continuo disprezzo e oltraggio dei valori democratici, dei diritti umani e del Parlamento di quel Paese;

   il Governo italiano ha il dovere di rendersi protagonista nella battaglia per il rispetto dei diritti umani –:

   se e quali iniziative di competenza, anche di tipo diplomatico, il Governo intenda intraprendere nei confronti del Governo turco a seguito della sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo richiamata in premessa e, ad oggi, non osservata dalla Turchia.
(4-01749)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   FEDERICO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la viabilità del comune di Colletorto in provincia di Campobasso è stata gravemente compromessa dai rilevanti movimenti franosi in località Macchie – cimitero comunale – Vallone Macchiarelle verificatisi sia a seguito degli eventi sismici dell'ottobre 2002 che degli eventi meteorici del gennaio-febbraio 2005;

   la frana, inizialmente localizzata al di sopra della strada provinciale n. 73b II diramazione Bifernina «Colletorto-Bonefro», si è progressivamente allargata verso sud compromettendo 300 metri della strada provinciale, arrivando a circa 10 metri dal locale cimitero. Da questa prima zona di distacco, Cimitero-Macchie, il fenomeno si è poi evoluto verso il vallone Macchiarelle; dopo il corpo della frana (colata), ha interessato la strada provinciale 73b II diramazione Bifernina «Colletorto-Casalnuovo M.ro» causandone lo sprofondamento;

   a causa dei suddetti fenomeni la viabilità sulla strada provinciale II diramazione Bifernina, sia in direzione «Colletorto-Bonefro» che direzione «Colletorto-Casalnuovo M.ro», è stata interrotta e, come unico percorso alternativo, viene utilizzata una strada interpoderale «Pozzo Berardinelli», anch'essa minacciata dal movimento franoso;

   l'amministrazione comunale di Colletorto in data 4 dicembre 2014 ha richiesto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un finanziamento pari a euro 2.540.966,21 per la realizzazione di interventi di messa in sicurezza del territorio, poiché le risorse economiche-finanziarie del comune e della regione risultavano insufficienti;

   in data 4 ottobre 2018 il prefetto di Foggia ha scritto al presidente della regione Puglia e della regione Molise, nonché alle amministrazioni comunali di Colletorto e di Casalnuovo Monterotaro, con una richiesta di ripristino della viabilità compromessa sulla strada provinciale n. 73b –:

   se il Governo sia a conoscenza delle circostanze descritte e che tipo di iniziative intenda mettere in atto, con il coinvolgimento degli enti territoriali interessati, al fine di garantire l'avvio di tutti i lavori necessari alla messa in sicurezza del fronte franoso e al ripristino della viabilità, anche alla luce delle istanze del comune di Colletorto dell'interlocuzione avviata dal prefetto.
(4-01740)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CIAMPI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   la Rocca di Ripafratta è un castello medioevale facente parte del sistema difensivo di confine della Repubblica Pisana nei confronti della Repubblica di Lucca;

   si tratta di un monumento di rilevante valore storico e architettonico, caratterizzato da un recinto a pianta poligonale irregolare, occupato al centro da una torre quadrangolare e da altre due torri adiacenti alle mura, la cui struttura originaria risale al 970;

   il complesso, che risiede nel territorio comunale di San Giuliano Terme (provincia di Pisa) versa da anni in condizioni fatiscenti, tali da impedire ogni tipologia di utilizzo, valorizzazione e fruizione;

   la fortificazione è circondata dalla vegetazione e in attesa di urgenti interventi di messa in sicurezza e conservazione. Gli stessi rinvenimenti archeologici, affiorati con gli scavi, sono stati gravemente danneggiati dall'incuria. Una serie di crepe si sono aperte nelle mura perimetrali, e il versante del fiume è soggetto ad un movimento franoso che a lungo andare potrebbe mettere a rischio l'incolumità della struttura;

   il recupero della Rocca, per il suo valore identitario, storico e comunitario e la sua importanza per la crescita turistica, economica e occupazionale del territorio, rappresenta una opportunità di sviluppo significativa per l'intera comunità;

   in questi anni la comunità locale e le istituzioni territoriali hanno promosso progetti e iniziative al fine di recuperare e valorizzare la «Rocca di Ripafratta»;

   sono andati però falliti, negli ultimi anni, tutti i tentativi promossi per recuperare tale struttura;

   gli attuali proprietari della Rocca, pur non attivando alcun recupero funzionale dell'area, hanno rifiutato di donare tale bene al comune;

   sono comunque in corso progetti di recupero e gestione della struttura, promossi, tra l'altro anche in collaborazione con l'Università di Pisa;

   il consiglio comunale di San Giuliano Terme, il 26 luglio 2018, ha votato all'unanimità una mozione che impegna la giunta a sostenere la candidatura della Rocca di Ripafratta come «luogo del cuore FAI», e a coinvolgere la regione e il Ministero per i beni e le attività culturali nel percorso di recupero;

   in una lettera inviata successivamente il sindaco di San Giuliano Terme ha quindi chiesto alla regione Toscana e al Ministero per i beni e le attività culturali «di entrare in possesso della Rocca di Riprafatta, dei terreni limitrofi e degli spazi di accesso e parcheggio necessari alla sua futura fruibilità al fine di avviare un percorso di recupero, restauro e valorizzazione che possa intercettare anche fondi di finanziamento europei, statali, regionali»;

   la Rocca di Ripafratta è riconosciuta (ai sensi della legge n. 1089 del 1939 e successivamente del decreto legislativo n. 490 del 1999) come bene culturale nazionale sottoposto a vincolo;

   l'articolo 30, comma 3, del decreto legislativo n. 42 del 2004 (codice dei beni culturali e del paesaggio) dispone che «I privati proprietari, possessori o detentori di beni culturali sono tenuti a garantirne la conservazione»;

   gli articoli 32, 33 e 34 del medesimo decreto dispongono comunque che il Ministero, in seguito ad una relazione tecnica del Soprintendente territorialmente competente, può imporre al proprietario, gli interventi necessari per assicurare la conservazione dei beni culturali. In determinati casi di urgenza, il Soprintendente può adottare immediatamente le misure conservative necessarie e il Ministero può concorre, in tutto o in parte, alla relativa spesa;

   la tematica relativa al restauro e alla fruizione di beni culturali di proprietà di soggetti privati è oggetto di discussione di molte aree dell'Italia e sono già sorte problematiche sulla mancanza di finanziamenti pubblici adeguati –:

   se sia a conoscenza delle problematiche relative alla «Rocca di Ripafratta» e ai tentativi di recupero promossi in questi anni;

   quali iniziative urgenti intenda assumere per garantire la messa in sicurezza dell'edificio e promuovere il recupero e la fruizione di tale bene artistico nazionale;

   se non ritenga necessario assumere iniziative volte a destinare le risorse ad oggi stanziate per le misure conservative urgenti e inderogabili di cui il Sovrintendente territorialmente competente può disporre, come prevede il decreto legislativo n. 42 del 2004, agli interventi volti ad assicurare la conservazione dei beni culturali di proprietà privata in stato di pericoloso degrado.
(5-01018)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   BIGNAMI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   da fonti stampa si apprende che l'Agenzia delle entrate territoriale della provincia di Rimini sta procedendo ad avanzare richiesta di pagamento dell'Imu sugli ombrelloni ai titolari degli stabilimenti balneari. L'Agenzia, in particolare, calcolerebbe circa 10 metri quadrati ad ombrellone, conteggiando 35 euro di Imu;

   la richiesta riguarderebbe tutte le annualità a partire dal 2011 (e dunque circa 15mila euro a stabilimento). Alcuni titolari avrebbero già versato le somme per il 2011 e il 2017;

   l'interpretazione dell'Agenzia in questione parrebbe essere quella di considerare gli ombrelloni una sorta di area commerciale delle spiagge, quella che produce reddito per i concessionari. Di qui la decisione di accatastarli e richiedere il pagamento dell'Imu. I titolari degli stabilimenti balneari, con l'accatastamento delle spiagge, hanno invece conteggiato, stanti le linee guida nazionali, le cabine e gli altri manufatti fissi, appunto «immobili»;

   l'Agenzia delle entrate di Rimini sarebbe l'unica in Italia a pretendere il pagamento dell'Imu sugli ombrelloni e tale situazione, crea, evidentemente, una forte disparità di trattamento con gli altri stabilimenti balneari non solo limitrofi e appartenenti ad altra provincia, ma con quelli di tutta Italia;

   quanto richiesto dall'Agenzia delle entrate di Rimini contrasterebbe con la definizione europea di bene immobile individuato come «qualsiasi fabbricato o edificio eretto sul suolo o ad esso incorporato, sopra o sotto il livello del mare, che non sia agevolmente smontabile né agevolmente rimovibile» e come «qualsiasi elemento, apparecchio o congegno installato in modo permanente in un fabbricato o in un edificio che non possa essere rimosso senza distruggere o alterare il fabbricato o l'edificio» (lettere b) e d) dell'articolo 13-ter del regolamento di esecuzione (UE) n. 1042/2013 del Consiglio del 7 ottobre 2013 che modifica il regolamento di esecuzione (UE) n. 282/2011 per quanto riguarda il luogo delle prestazioni di servizi) –:

   quali iniziative di competenza si intendano assumere per chiarire definitivamente la questione di cui in premessa, evitando che l'Agenzia delle entrate di Rimini prosegua, ulteriormente, nella richiesta di pagamento dell'Imu sugli ombrelloni, e al fine di stabilire anche eventuali rimborsi per gli imprenditori balneari che hanno già versato l'imposta per il 2011 e per il 2017.
(4-01733)


   BIGNAMI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:

   il decreto legislativo n. 152 del 2006 e, in precedenza, il decreto legislativo n. 22 del 1997 hanno previsto che i produttori e utilizzatori di imballaggi debbano iscriversi al Consorzio nazionale degli imballaggi. Il Conai ha la finalità di perseguire gli obbiettivi di recupero e riciclo di materiali di imballaggio previsti dalla legislazione europea;

   esso indirizza a tal fine l'attività di 6 consorzi di filiera rappresentativi dei materiali utilizzati quali materie prime per la produzione di imballaggi;

   il 25 giugno 2018 il Conai ha diramato la deliberazione avente per oggetto: «applicazione del Contributo ambientale Conai. Novità riguardante i commercianti di imballaggi vuoti dal primo gennaio 2019. Delibera CdA Conai del 20 giugno 2018» a seguito di alcune modifiche di statuto e regolamento consortili;

   con la delibera approvata dal consiglio di amministrazione di Conai in data 20 giugno 2018, ai soli fini dell'applicazione del contributo ambientale Conai (Cac), il commerciante di imballaggi vuoti è stato equiparato all'ultimo produttore di imballaggi, spostando, quindi, il prelievo del Cac al momento del trasferimento dell'imballaggio al primo effettivo «utilizzatore»;

   il divieto di tasse di effetto equivalente a dazi doganali è indicato negli articoli 28, paragrafo 1, e 30 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. La Corte di giustizia dell'Unione europea considera tassa di effetto equivalente ogni diritto imposto, indipendentemente dalla sua denominazione e dalla sua natura o forma che, «colpendo specialmente una merce importata da uno Stato membro ad esclusione del corrispondente prodotto nazionale, produca il risultato di alterarne il prezzo e di incidere così sulla libera circolazione delle merci alla stessa stregua di un dazio doganale» (Corte di giustizia dell'Unione europea 2/62 e 3/62 del 14 dicembre 1962 e causa 232/78 del 25 settembre 1979);

   l'attuale normativa prevede che per ogni imballo e prodotto, al momento della prima cessione (che avviene tra produttore e primo utilizzatore), il produttore deve applicare in fattura la tassa di smaltimento denominata contributo Conai;

   tale imposta viene pagata, pertanto, la prima e unica volta ed è atta a coprire i costi relativi allo smaltimento di un imballaggio o di un determinato oggetto;

   dal 1° gennaio del 2019, in seguito ai correttivi che il Conai ha apportato all'attuale normativa, pare che la tassa di smaltimento dovrà essere pagata ogni qual volta si procede alla vendita, per esempio, anche di un pallet a una azienda che lo ha ordinato al fine spedire della merce e tutto ciò anche se non è stato smaltito;

   a seguito delle modifiche che entreranno in vigore dal 1° gennaio del 2019, la tassa di smaltimento parrebbe tramutarsi in un'imposta sul trasferimento;

   attualmente, il valore della tassa di smaltimento si aggira sui 0,16 euro per ogni singolo pallet: calcolando che il prezzo del pallet è di circa 6 euro e che un pallet viene passato di mano mediamente 52 volte all'anno, significa che Conai giungerebbe a incassare 8 euro ogni pallet/anno. Va rilevato che un pallet non viene quasi mai smaltito immediatamente, perché in caso di danneggiamento, può essere riparato. Il suo ciclo di vita si aggira sui 20 anni, per ogni pallet prodotto si arriverebbe a incassare circa 160 euro a ciclo di vita;

   il valore della tassa potrebbe dunque risultare superiore al valore del bene, a giudizio dell'interrogante, configurando profili di incostituzionalità;

   in Italia si muovono mediamente 55 milioni di pallet ogni giorno, numero che, moltiplicato per 160 euro, darebbe circa 9 miliardi di euro;

   l'industria sarebbe inevitabilmente costretta a riversare tali costi sul prodotto finito con inevitabili aumenti progressivi di tutti i beni e generi alimentari acquistati dai consumatori italiani –:

   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per superare le criticità di cui in premessa.
(4-01737)


   BIGNAMI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   il documento unico di regolarità contributiva (durc), l'estratto del casellario per l'impresa, il certificato di regolarità fiscale sono documenti che normalmente si richiedono alle aziende, per motivazioni varie, anche a seguito, ad esempio, dell'aggiudicazione di una gara d'appalto delle istituzioni europee le quali, tra l'altro, non accettano autocertificazioni e, dalla data di aggiudicazione, concedono spesso anche solo una settimana per l'invio della documentazione;

   il percorso per ottenere il casellario e il certificato di regolarità fiscale, anche alla luce delle segnalazioni giunte all'interrogante, non sarebbe particolarmente agevole: i tempi di lavorazione raggiungono anche i 30 giorni, ci si deve recare fisicamente presso l'Agenzia delle entrate e spesso il certificato stesso non risulterebbe aggiornato. Talvolta, a causa del mancato aggiornamento, possono comparire anche cartelle «rottamate»: in quel caso il titolare dell'impresa, o altro soggetto autorizzato, deve recarsi presso Equitalia, farsi produrre ulteriore documentazione per poi tornare all'Agenzia delle entrate per accertare la regolarità fiscale;

   in tali situazioni è evidente una burocratizzazione eccessiva del percorso che non rende certo agevole la «vita» degli imprenditori, in particolare coloro che hanno una piccola-media impresa –:

   se sia a conoscenza dei fatti esposti;

   quali iniziative si intendano assumere per mettere l'Agenzia delle entrate nelle reali condizioni di fornire un certificato elettronico in merito alla situazione aggiornata delle aziende, con particolare riferimento al certificato di regolarità fiscale e all'estratto del casellario;

   se si intendano adottare iniziative volte a semplificare le procedure di cui in premessa, evitando, inoltre, che le aziende paghino le marche da bollo per i certificati in questione.
(4-01745)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIACCONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il penitenziario di Asti, è divenuto da alcuni anni casa di reclusione ad alta sicurezza, con una popolazione carceraria formata prevalentemente da detenuti «con fine pena mai o gravati da condanne per lunghi anni di detenzione», senza che contemporaneamente ci siano stati adeguati miglioramenti e implementazioni nell'organico nel personale;

   il 15 novembre 2018 nel carcere un agente penitenziario è stato brutalmente e violentemente aggredito con calci e pugni in testa e allo stomaco, da un detenuto di 34 anni con fine pena nel 2022;

   l'agente, prontamente soccorso dai colleghi ha dovuto ricorrere alle cure del pronto soccorso di Asti ed è stato ricoverato in ospedale;

   si tratta purtroppo solo dell'ennesimo episodio in cui gli agenti della polizia penitenziaria nel carcere di Asti subiscono in prima persona aggressioni da parte dei detenuti;

   inoltre, sempre nel mese di novembre 2018 nel medesimo carcere, pochi giorni prima dell'aggressione all'agente si è registrata una protesta di 40 detenuti, convinti dopo 4 ore di trattativa a rientrare nelle celle dal commissario e comandante Alessia Chiosso;

   da diverso tempo i sindacati di categoria protestano chiedendo maggiore sicurezza per gli agenti di polizia penitenziaria, da un lato, attraverso l'adeguamento dell'organico presente presso la casa di reclusione di Asti, attualmente non consono a garantire il normale grado di sicurezza degli agenti stessi, e, dall'altro lato, mediante l'applicazione, con decisione, delle misure necessarie per contrastare e reprimere fenomeni di aggressione similari a quelli esposti;

   la pianta organica della casa di reclusione, carente a tutti, i livelli è particolarmente deficitaria di figure chiave come ispettori e sovrintendenti di polizia penitenziaria –:

   se e in che termini il Ministro interrogato intenda intervenire con riguardo alla protesta di cui in premessa e a sostegno del personale della casa di reclusione di Asti, al fine di aumentare la sicurezza degli agenti nel penitenziario, nonché per incrementare l'organico presso la medesima struttura.
(4-01743)


   BUBISUTTI, PANIZZUT e MOSCHIONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   con il decreto legislativo n. 155 del 2012 sono stati soppressi 37 tribunali ordinari, 31 procure e circa 250 sezioni distaccate di tribunale;

   la riforma della geografia giudiziaria è stata ed è oggetto di lungo dibattito per i risultati poco coerenti con gli obiettivi prefissi e per l'aggravio di inefficienze e costi provocati nei territori interessati;

   tra gli effetti prodotti vi è l'accorpamento del tribunale di Tolmezzo (Udine) con il tribunale di Udine;

   il comune di Tolmezzo è piuttosto decentrato (circa 50 chilometri dal capoluogo di provincia) e la soppressione del tribunale comporta spostamenti rilevanti (fino a 100 chilometri) per le popolazioni delle aree limitrofe, spostamenti resi ancor più difficoltosi dall'area montuosa e dallo stato della viabilità;

   il circondario dell'ex tribunale di Tolmezzo è costituito da un territorio interamente montano comprendente 45 comuni, e i più decentrati sono distanti oltre 50 chilometri dalla sede;

   ultimamente è divenuto parte della circoscrizione elettorale di Tolmezzo, ovvero della circoscrizione dell'ex tribunale di Tolmezzo, anche il comune di Sappada, che dista da Udine oltre 92 chilometri, metà dei quali con una viabilità in territorio montano, tanto che la distanza media per raggiungere il capoluogo di provincia è di oltre un'ora e venti minuti con mezzi propri (la viabilità pubblica presenta invece tempi di gran lunga maggiori senza mezzi di collegamento diretto e nemmeno coincidenze che permettano di raggiungere Udine in orario utile per accedere agli uffici del tribunale o partecipare alle udienze fissate nell'orario mattiniero);

   molti altri comuni e comunità soffrono in uguale modo tale lontananza, divenuta un vero e proprio stato di abbandono di tutto il territorio;

   in Tolmezzo è insediato un carcere di massima sicurezza (con detenuti in «regime di 41-bis»);

   l'accorpamento ha determinato la conseguenza che tutte le attività di accesso alla sede di riferimento (Udine), per trasferimento detenuti ai processi, trasferte di polizia giudiziaria per deposito/ritiro atti e altro, scontano ora il relativo maggior numero di trasferte sia in termini di costi materiali che di tempi impiegati; la soppressione del tribunale di Tolmezzo reca notevole disagio e costi aggiuntivi per tutti gli utenti, oltre che per gli operatori del settore giudiziario;

   non risulta vi sia stato alcun tipo di risparmio di spesa, ma anzi si sono dovuti affrontare costi maggiori anche per il reperimento di immobili e strutture, anche prese in locazione nel comune di Udine (con costi consistenti), per esempio per gli uffici degli ufficiali giudiziari e per gli archivi; l'edificio che ospitava il tribunale di Tolmezzo era stato alla vigilia della chiusura completamente ristrutturato, con una spesa pubblica di oltre 4 milioni di euro, e ora langue in uno stato di abbandono e vuoto;

   la vicinanza al territorio permetteva una giustizia a misura d'uomo, rapida ed efficace. Basti considerare, a mero titolo esemplificativo, i costi dell'attività degli ufficiali giudiziari soprattutto nell'ambito delle esecuzioni (il cui costo è conteggiato in base ai chilometri percorsi) o i disguidi della cancelleria della volontaria giurisdizione che deve dare risposte anche ai cittadini e non solo agli addetti ai lavori, agli avvocati e altri; ora c'è un unico ufficio per tutta la provincia di Udine ovvero per una superficie di 4.905 chilometri quadrati con oltre 530.000 abitanti dislocati su territori del tutto disomogenei anche in termini di necessità –:

   quali siano i reali risparmi di spesa pubblica e quali le maggiori efficienze derivanti dalla soppressione del tribunale di Tolmezzo;

   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno adottare le iniziative di competenza per prevedere la riapertura del detto tribunale al fine di garantire una migliore operatività e un migliore servizio della giustizia in questo territorio montano comprendente 45 comuni.
(4-01744)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAVANDOLI, VINCI, TOMBOLATO, COMAROLI, DARA e LUCCHINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il ponte di Casalmaggiore, sulla strada provinciale 343/R ex strada statale Asolana nel tratto tra Colorno e Casalmaggiore, è trascorso giornalmente da un traffico sostenuto anche di mezzi pesanti ed è indispensabile per il collegamento tra Parma, Mantova e la bassa Cremonese;

   il traffico giornaliero risulta elevato, con circa 13.000 veicoli di cui 2.000 tir, anche a causa del perdurante ritardo nella realizzazione della bretella autostradale della «Ti-Bre» di collegamento tra l'uscita autostradale Parma Ovest nel comune di Fontevivo (PR) dell'A15 – autocamionale della Cisa e la A22 uscita Nogarole Rocca (VR);

   attualmente, il ponte risulta chiuso, dal settembre 2017, in attesa del prossimo inizio dei lavori già finanziati, ai fini del ripristino della circolazione;

   la chiusura del ponte ha creato gravi disagi alla popolazione e soprattutto ai pendolari che si recano giornalmente al lavoro e a tutte le aziende produttive della zona;

   il ponte di Casalmaggiore rappresenta un collegamento strategico tra la Lombardia e l'Emilia-Romagna, tuttavia, essendo stato inaugurato nel lontano 1958, ha ormai esaurito la sua funzione e mediamente ogni 7 anni necessita di importanti lavori di manutenzione e ristrutturazione; il Cnr ha inserito il ponte tra le opere da tenere sotto osservazione;

   è lampante che l'imminente intervento di manutenzione straordinaria del ponte di Casalmaggiore rappresenta solo un intervento «tampone» ed è impellente la necessità della realizzazione di un nuovo ponte di collegamento Colorno-Casalmaggiore che, ovviamente, dovrà essere costruito nello stesso punto o poco distante, essendo la posizione strategica per congiungere strade primarie di collegamento tra 2 regioni e 3 province; i cittadini chiedono soluzioni concrete e sicure; le istituzioni locali hanno assunto impegni precisi per la realizzazione di un nuovo ponte a Casalmaggiore e, in particolare, la regione Lombardia ha ultimamente stanziato 500 mila euro per lo studio di fattibilità:

   la strada provinciale 343/R - ex strada statale Asolana tratto Colorno-Casalmaggiore rientra tra le infrastrutture viarie, oggetto del protocollo d'intesa, stipulato in data 10 marzo 2017, tra Anas e la regione Lombardia, che dovrebbero essere trasferite all'Anas ed è in corso l’iter amministrativo di tale trasferimento –:

   se il Ministro interrogato intenda adottare iniziative affinché, nell'ambito del riparto delle risorse stanziate per investimenti di competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, anche a valere sui finanziamenti del fondo di cui all'articolo 1, comma 1072, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, una quota importante delle risorse da autorizzare per infrastrutture stradali sia destinata ai ponti del fiume Po ed, in particolare, alla realizzazione del nuovo ponte di collegamento tra Colorno e Casalmaggiore.
(5-01023)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GALLINELLA, ILARIA FONTANA e SCAGLIUSI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il progetto di raddoppio dell'aeroporto di Roma Fiumicino, costituito dalla convenzione per la gestione fino al 30 giugno 2044 del sistema aeroportuale e dal contratto di programma in deroga, stipulati tra Enac e la Società Aeroporti di Roma (Adr) è stato approvato con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 dicembre 2012;

   esso prevede la realizzazione di nuove piste e nuovi terminal su 1300 ettari di terreno, di cui 900 ricadenti nella riserva naturale statale del Litorale Romano, i quali dovrebbero dunque essere espropriati; il valore degli investimenti per questo progetto è stimato in circa 18 miliardi di euro di cui 12 a carico di Adr – e già finanziati con l'aumento delle tariffe di 10 euro a biglietto aereo in vigore dal 2012; i restanti costi saranno a carico pubblico;

   secondo il progetto di Adr, il raddoppio dovrebbe essere realizzato in tre fasi: dal 2018-2022 l'espropriazione dei terreni; dal 2021 al 2030 la costruzione dei megaterminal; dal 2030 al 2045, la costruzione del secondo terminal e della pista numero 5;

   la necessità del raddoppio, secondo il progetto, andrebbe ricercata nell'ipotetico aumento dei movimenti aerei, intendendo per tali gli atterraggi e i decolli; tuttavia, le previsioni si sono rivelate errate: si stimava che sarebbero stati 354.633 nel 2017, ma, se ne sono registrati 297.961, ai livelli di 15 anni fa, con uno scarto negativo del 18 per cento;

   nel marzo 2017, l'Enac ha presentato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, lo studio di impatto ambientale, che avvia la procedura di valutazione di impatto ambientale per il progetto, ma al momento non risulta ancora costituita la commissione preposta;

   allo stato attuale il progetto è bloccato a seguito di una lettera di sospensiva dell'Enac e collegata alla procedura di valutazione di impatto ambientale: in ragione del fatto che sono in fase di definizione due ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato (presentati dall'Ente dopo la «bocciatura» del progetto da parte di regione Lazio e Presidenza del Consiglio), appare opportuno «voler attendere per un periodo stimato di 10 mesi, la definizione di tali questioni prima del prosieguo della procedura di Via, la quale altrimenti sconterebbe una situazione giuridico amministrativa non ancora cristallizzata»;

   non bisogna dimenticare che, in ogni caso, i contratti siglati per il progetto tra Enac e Adr dovranno essere rispettati, pena un rimborso pari al mancato guadagno dalla data della disdetta fino al 2044; sarebbe quindi importante, a parere degli interroganti, anche una presa di posizione da parte del Governo che provi la non necessità dell'opera per il Paese nonché l'impatto negativo dal punto di vista ambientale, logistico, agricolo e della salute pubblica, con un notevole incremento dell'inquinamento atmosferico e acustico;

   da diverse fonti si apprende, inoltre, dell'esistenza di progetti paralleli a quello del raddoppio che potrebbero essere maggiormente utili e sostenibili, sfruttando, tra l'altro, l'area libera che già è presente all'interno dell'aeroporto –:

   se non intendano valutare, per quanto di competenza, la reale utilità dell'opera di raddoppio dell'aeroporto di Fiumicino, anche vagliando possibilità alternative rispetto al progetto della Società Aeroporti di Roma, che siano meno impattanti dal punto di vista ambientale, del contenimento di suolo e dell'inquinamento acustico, nonché più utili a rendere efficiente l'infrastruttura aeroportuale.
(4-01742)


   SCANU. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la legge n. 376 del 2003 ha disposto in favore del comune di Oristano un finanziamento di complessivi euro 3.000.000 per l'intervento relativo alla circonvallazione del comune di Oristano;

   il 19 luglio 2013, con comunicazione prot. n. 3423, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti chiedeva al comune una relazione sullo stato d'attuazione dell'opera con allegata una carta corografica della zona che evidenziasse il tracciato della circonvallazione finanziata; inoltre, chiedeva di fornire il cronoprogramma dei lavori e la rendicontazione della somma già erogata di euro 1.800.000;

   dal 2004 al 2013 nessun progetto è stato presentato al Ministero, lasciando il finanziamento inutilizzato;

   solo in data 1° agosto 2013 il comune di Oristano comunicava al Ministero che una circonvallazione era stata oggetto di progettazione da parte della provincia di Oristano, e che di recente erano stati aggiudicati i lavori per la realizzazione di un primo tratto della stessa; il ritardo nella realizzazione dell'opera veniva giustificato con la necessità di doversi raccordare all'infrastruttura provinciale;

   in data 30 agosto 2013 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con propria comunicazione, entrava nel merito del tracciato presentato dal comune di Oristano, evidenziando che lo stesso risultava un mero collegamento tra due strade interne all'abitato e non la circonvallazione finanziata, sottolineando l'impossibilità di finanziare progetti diversi da quelli previsti dalla norma in argomento;

   in data 29 ottobre 2013 il comune rispondeva alla nota del Ministero, precisando come l'amministrazione provinciale avesse appena definito un tracciato di circonvallazione cui il comune intende connettersi col proprio tracciato realizzando «un tratto di circonvallazione interna ritenuta assolutamente funzionale in termini di praticità ed efficienza». Con deliberazione della giunta comunale n. 66 del 24 aprile 2014 veniva approvato formalmente il progetto preliminare dei «lavori di realizzazione circonvallazione comune di Oristano»;

   appare di difficile comprensione la definizione utilizzata dal comune di Oristano di «circonvallazione interna»;

   il tracciato approvato, a giudizio dell'interrogante, è incompatibile con la presenza, a distanza estremamente ravvicinata, e su ambedue i lati della strada, di case, scuole e impianti sportivi. Il progetto approvato dalla giunta comunale, allontanerebbe il traffico da un percorso commerciale rendendo caotica, inquinata e pericolosa una zona residenziale;

   il tracciato attraversa, inoltre, le nuove aree di espansione previste dal piano urbanistico comunale, andando a costituire una strada urbana e generando il conseguente onere in capo al comune di sostituirsi ai privati nella realizzazione di parte delle opere di urbanizzazione;

   a seguito di nuove previsioni progettuali del comune, la strada in questione non si congiunge più con il tracciato progettato dalla provincia all'ingresso nord di Oristano, né a sud con via del Porto, semplicemente unisce due punti interni alla città, già collegati dalla viabilità esistente, realizzando di fatto una strada urbana, piuttosto che una circonvallazione;

   stante la sua natura di strada integralmente urbana, il progetto, secondo l'interrogante, non affronta problemi tecnici di ordine rilevante come: 1) studio di impatto acustico, attraversamenti pedonali e accessi veicolari; 2) illuminazione; 3) raccolta di acque piovane e altri sottoservizi –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti e quali siano i suoi orientamenti in merito, alla luce delle necessità evidenziate in premessa;

   se intenda adottare le iniziative di competenza affinché si correggano gli esistenti errori in quanto a difformità fra oggetto del finanziamento e opere previste in progetto e incomplete o errate previsioni progettuali, il tutto per rendere il progetto stesso conforme alla normativa vigente.
(4-01747)


   GRIPPA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il Consorzio per lo sviluppo industriale dell'area Chieti-Pescara è un ente pubblico economico istituito con decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1962, n. 1638; nella seduta del 14 novembre 1969 con deliberazione della Cassa per il Mezzogiorno n. 3363/ASI viene assentita la concessione al sopracitato ente per la realizzazione dei lavori di cui al progetto SAI/VP.491 per il completamento dell'asse attrezzato industriale dell'agglomerato principale Chieti-Pescara divenuta una delle principali arterie stradali per la mobilità regionale;

   con proprio decreto il prefetto della provincia di Chieti in data 17 novembre 1970 ha ordinato l'esproprio dei terreni interessati dalla costruzione dell'asse attrezzato Chieti Pescara fissando gli indennizzi e disponendone il deposito presso la Cassa depositi e prestiti da realizzarsi a cura dello stesso Consorzio in qualità del beneficiario espropriante; il tratto di strada in questione ai sensi del decreto del Ministero dei lavori pubblici n. 1773 del 4 febbraio 1993 veniva classificato come autostrada senza pedaggio;

   il 14 aprile 1998 attraverso la redazione di un verbale di consegna provvisorio del consorzio l'autostrada veniva ceduta all'Anas al fine di consentirne la gestione e ulteriori lavori di manutenzione;

   con nota datata 9 aprile 1998 prot. n. 1247, l'allora commissario regionale esprimeva ampia riserva nel riesaminare l'assetto dei rapporti anche pregressi tra gli enti, al fine di rilevare un ristoro per il Consorzio sia inerente agli oneri sopportati per la costruzione dell'opera che per gli indennizzi versati e i risarcimenti dovuti per i giudizi instauratisi;

   da una disparità di stime per il valore delle aree rispetto a quelle espropriate per la realizzazione del secondo ampliamento dell'aeroporto di Pescara nasceva un contenzioso da parte di alcuni proprietari. Alla fine di un complesso iter giudiziario si registra la condanna del Consorzio della Valle del Pescara con una sentenza passata in giudicato del 5 luglio 2001, n. 326;

   il Consorzio, con lettera prot. n. 1210 dell'8 aprile 1999, accettava una proposta transattiva del Ministero dei lavori pubblici inviata con decreto n. 465 del 10 marzo 1999; con la Dgr n. 627 del 19 settembre 2011, la regione Abruzzo ha dichiarato aperta la gestione liquidatoria del Consorzio, nominando all'uopo un collegio di liquidatori;

   la situazione debitoria del Consorzio al 31 dicembre 2015, data dell'approvazione del piano di liquidazione dell'ente, ammontava a 8.887.264,00 euro per debiti da sentenze passate in giudicato e di 2.252.290,00 euro come residuo da versare alla società Farsura Spa costruttrice del lotto lavori n. 491/2 per pagamenti in ritardo;

   pur essendoci sentenze passato in giudicato, tra cui quella del 5 luglio 2001, il Consorzio in data 30 ottobre 2001 con comunicazione prot. n. 3616 agli uffici dalla ex Agensud nella rendicontazione nulla riferiva in merito alla condanna per i risarcimenti degli espropriati;

   a tale comunicazione il 3 gennaio 2002 prot. n. 78 il provveditorato regionale alle opere pubbliche per l'Abruzzo a saldo della concessione dispone a favore del Consorzio il pagamento della somma di 344.497.550 milioni di lire riferito al progetto SAI/VP.491 con cui viene chiuso il rapporto di concessione; con ulteriore nota prot. n. 3248 del 14 settembre 2018 il Consorzio trasmette all'Anas le informazioni relative al contenzioso tra cui quello riguardante la sentenza n. 326 del 2001 –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e di quali ulteriori elementi sia in possesso; quali iniziative siano state adottate o si intendano adottare relativamente ai pagamenti sanciti da sentenze passate in giudicato, per quelli non in contenzioso e per i debiti totali in essere.
(4-01753)

INTERNO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:

   nella XVII legislatura sono state presentate le interrogazioni 4/12688 e 4/13587;

   per la perdurante inerzia del Ministero, il comune di Siderno ha citato in giudizio il Ministro dell'interno e la precedente terna commissariale domandando un risarcimento danni di euro cinque milioni (tribunale di Reggio Calabria, ruolo 1566/2018);

   il pendente giudizio è destinato ad acclarare una verità storica e documentale nell'interesse della legalità e dei cittadini;

   con decreto del Presidente della Repubblica dell'8 agosto 2018 è stato sciolto il comune di Siderno;

   l'ex sindaco Fuda ha presentato, insieme ad altri un ricorso contro il provvedimento di scioglimento; stando al ricorso dalla relazione del prefetto non emergerebbe il collegamento con la criminalità organizzata, risultando di contro evidenti e plateali forzature a discapito del normale prosieguo del mandato elettivo degli organi;

   sulla legittimità di tale scioglimento sarà la magistratura amministrativa a pronunciarsi;

   nel ricorso sono evidenziate due contestazioni contenute nella citata relazione prefettizia, che si rivelano infondate e di dubbia legittimità per i ricorrenti:

    a) nella relazione del prefetto di Reggio Calabria si contesta un interesse del sindaco per una impresa aggiudicataria di lavori sotto la gestione commissariale;

   Questa recita: «Di rilievo appare il comportamento del Sindaco Fuda che nel mese di giugno 2015 ha sollecitato la Prefettura di Reggio Calabria al rilascio dell'informazione antimafia nei confronti della Ditta “Italcostruzioni”, risultata aggiudicataria dei lavori del Palazzetto dello Sport, nel mese di luglio l'ente ha affidato i lavori alla Ditta citata e nel mese di novembre la stessa Prefettura-UTG ha emesso provvedimento interdittivo alla Ditta in parola, tra l'altro già coinvolta nelle operazioni di Polizia appena sopra riportate.»;

   la relazione sul punto sembrerebbe, ad avviso dei ricorrenti, errata, in quanto all'atto dell'insediamento dell'amministrazione Fuda l'impresa, con formale diffida al sindaco ed al dirigente dell'ufficio tecnico, segnala che erano trascorsi 1.456 giorni dall'aggiudicazione definitiva senza che fosse stato stipulato il relativo contratto;

   sempre da quanto emerge dal ricorso, la missiva del sindaco in merito al rilascio dell'informativa antimafia sopra citata avrebbe la legittima finalità di delineare il comportamento che il sindaco avrebbe dovuto tenere sulla fattispecie attesi i ritardi accumulati – nel regime commissariale – in assenza di comunicazioni prefettizie inerenti a eventuali interdittive;

   su decisione da parte del comune il contratto con la Italcostruzioni è stato rescisso il 7 marzo 2016. Da quanto emerge inoltre dal suddetto ricorso, il comune aveva chiesto di conoscere la posizione dell'Impresa il 23 febbraio 2012, 25 settembre 2013 e il 24 giugno 2015;

   l'interdittiva della Prefettura per «Italcostruzioni» arriva al comune il 12 dicembre 2016;

   i lavori previsti nel Pon legalità sono stati aggiudicati alla seconda impresa partecipante;

    b) con riferimento alla seconda contestazione, si rileva che la relazione recita: «Relativamente alla situazione economico-finanziaria e dei tributi, si è avuto modo di rilevare che l'ente non riesce con le proprie entrate a coprire le spese correnti, facendo ricorso all'utilizzo di somme a specifica destinazione. Inoltre, la scarsa percentuale di riscossione dei tributi nonché i ritardi nell'emissione dei ruoli ordinari e coattivi non contribuisce al prescritto risanamento dell'Ente a seguito del dissesto finanziario»;

   all'atto dello scioglimento, nelle casse comunali risulterebbe liquidità di euro 2.001.194,20 disponibili, 1.553.023,47 euro di Fondi vincolati; all'atto dell'insediamento dell'amministrazione Fuda, le somme disponibili erano pari a euro 286.634,83;

   alla data dello scioglimento, pur in presenza di circa 44 milioni di euro in opere pubbliche realizzate, in assenza di rilevi da parte della Commissione di accesso, la disponibilità dell'Ente era di euro 2.001.194,20, pur avendo dovuto il comune reperire le somme da trasferire all'organo straordinario di liquidazione per uscire dal dissesto;

   la documentazione comprovante quanto sostenuto è stata prodotta dai ricorrenti nell'impugnativa del decreto di scioglimento;

   trattandosi di documenti fondamentali è, secondo l'interpellante, anomalo che in sei mesi di verifiche la commissione di accesso non li abbia adeguatamente controllati e valutati;

   si evidenzia nel menzionato ricorso la precarietà e la scarsa pregnanza del materiale documentale a sostegno dello scioglimento, basato sul non verificato sospetto del «condizionamento mafioso» –:

   quali iniziative si intendano adottare, per quanto di competenza, in relazione all'operato della commissione di accesso che ha condotto un'attività, secondo quanto rilevato nel ricorso sopracitato, superficiale;

   quali iniziative intenda adottare nei confronti del prefetto di Reggio Calabria che ha sottoscritto una relazione ai fini dello scioglimento del consiglio comunale di Siderno sulla base di fatti che, sempre stando a quanto rilevato, risulterebbero destituiti di fondamento.
(2-00192) «Stumpo».

Interrogazioni a risposta orale:


   FATUZZO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   dopo il pesante «schiaffo» contrattuale, appare evidente che siano in gioco anche i diritti più elementari degli operatori di polizia, come quello del «buono pasto» riconosciuto a tutti i lavoratori. A Roma capitale e nell'intero territorio della città metropolitana, come in tutte le realtà territoriali ove non esistano mense nelle strutture dell'amministrazione della polizia di Stato o dove il loro raggiungimento non risulti agevole, in relazione ai tempi e alle distanze da percorrere, al personale in servizio viene consegnato il «buono pasto» da consumarsi presso esercizi commerciali convenzionati, oppure un pasto preconfezionato da ditte che hanno vinto regolari bandi di gara e appalti;

   dall'ultima rivalutazione dell'importo dei buoni pasto, risalente al 1992, ad oggi, dopo ventisei anni, il buono pasto riconosciuto ai dipendenti della polizia di Stato vale ancora novemila lire, circa 4,65 euro, e, a fini esemplificativi e di più immediata comprensione, il prezzo del pane all'epoca era di circa 1.600 lire per chilogrammo (0,83 euro), una tazza di caffè costava circa 800 lire (0,41 euro) e un litro di latte circa 1.200 lire (0,62 euro). Al momento della redazione del presente atto il prezzo medio di un chilogrammo di pane è pari a 3 euro, quello di una tazza di caffè a circa 0,90 euro e quello di un litro di latte circa 1,80 euro;

   risulta evidente che per un pasto completo e soddisfacente, adeguato alla dignità di un lavoratore come un agente di polizia in servizio, il gestore di qualsiasi esercizio convenzionato, pur volendo abbassare i propri guadagni per venire incontro alle esigenze di questa categoria di lavoratori, riesce a stento a fornire un primo piatto, un frutto e una bottiglietta di acqua;

   il Libero sindacato di polizia (Li.Si.Po.) sta sostenendo una dura battaglia affinché per gli appartenenti alla polizia di Stato, l'importo insufficiente di 4,65 euro per buono pasto sia elevato all'importo dei buoni pasto attualmente già in beneficio delle altre categorie di lavoratori e, comunque, ad un importo non inferiore a 7 euro (al netto delle imposte)-:

   se il Ministro interrogato intenda adoperarsi con sollecitudine, per quanto di competenza, per il necessario aumento dell'importo dei buoni mensa di cui in premessa, al fine di garantire un pasto adeguato agli operatori di polizia di Stato, sul territorio di Roma capitale così come nel resto della città metropolitana e delle altre realtà territoriali del Paese, dove non insistono mense dell'amministrazione della polizia di Stato.
(3-00356)


   DONZELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   ormai da tempo in Toscana si assiste a una enorme diffusione di coltivazioni e serre gestite da aziende cinesi. Come si è appreso a mezzo stampa nelle inchieste pubblicate dal quotidiano La Nazione di Prato nei giorni 26, 27 e 28 novembre 2018 e come l'interrogante ha personalmente verificato direttamente più volte con sopralluoghi, vengono spesso utilizzati fitofarmaci e sementi importati illegalmente che non seguono quindi le dovute procedure di controllo, e nei terreni dove sono presenti le coltivazioni vengono bruciati vari tipi di rifiuti, tra cui la plastica. Nelle serre, a volte utilizzate come dormitori abusivi dalla manodopera pagata in nero, non vengono rispettate le norme igienico-sanitarie. Poiché tali prodotti vengono a volte acquistati da venditori locali, ciò provoca un danno alle aziende toscane e aumenta il rischio per la salute dei consumatori –:

   quali iniziative si intendano adottare, per quanto di competenza, affinché vengano rispettate le normative igienico-sanitarie e sulla sicurezza alimentare;

   in che modo il Governo intenda intervenire, per quanto di competenza, in relazione al fenomeno e se non si ritenga opportuno promuovere un piano di controlli per far applicare le leggi attraverso una speciale task force ministeriale.
(3-00357)


   BOLDRINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il 19 novembre 2018 alle 00,47 il Ministro interrogato ha postato sulla pagina di Twitter «Matteo Salvini Leader della Lega. Ministro dell'Interno e Vicepresidente del Consiglio» una foto di tre ragazze partecipanti ad una manifestazione, riprendendola dalla propria pagina Facebook con la didascalia a commento «Poverette, e ridono pure...»; peraltro l'accesso a detta pagina Twitter può avvenire anche tramite il sito ufficiale del Ministero dell'interno, essendo prevista sullo stesso la possibilità di accesso a tale pagina;

   le ragazze ritratte nella foto sono evidentemente minorenni e, quindi, la diffusione della loro immagini, pur se eventualmente reperita in rete, è, come noto, soggetto alle norme che tutelano la privacy dei minori;

   la foto sulla pagina pubblica di Facebook e di Twitter del Ministro interrogato, accessibile questa ultima anche dal sito istituzionale del Ministero dell'interno, è stata oggetto di numerosi commenti;

   molti di detti commenti, erano e sono costituiti da gravi ingiurie anche a sfondo sessuale e da gravi minacce all'integrità fisica e di violenza sessuale;

   nonostante la pubblica denuncia della violazione della privacy costituita dalla pubblicazione della fotografia delle tre ragazze minorenni e dei probabili reati relativi ai commenti contenenti ingiurie e gravi minacce anche sessuali, nonché la presentazione sul fatto di una interrogazione sull'argomento, la foto delle tre ragazze minorenni e i commenti ingiuriosi e minacciosi sono ancora postati sulle pagine Facebook e Twitter del Ministro interrogato, quest'ultima si ribadisce accessibile anche dal sito istituzionale del Ministero dell'interno;

   la presenza del profilo Twitter del Ministro interrogato anche sul sito ufficiale del dicastero da lui diretto non permette di comprendere a chi sia riconducibile la responsabilità della gestione di tale pagina ovvero se sia sotto la diretta e personale gestione e responsabilità del Ministro interrogato o riconducibile alle attività di titolari di collaborazioni o consulenze con il Ministero dell'interno –:

   a chi sia affidata l'attività relativa alla gestione del profilo Twitter del Ministro interrogato accessibile anche dalla homepage del sito istituzionale del Ministero dell'interno e, quindi, chi abbia pubblicato la foto delle tre ragazze minorenni;

   per quale motivo a distanza di alcuni giorni non abbia adottato le iniziative di competenza per rimuovere la fotografia postata ritraente tre ragazze minorenni e, conseguentemente, cancellare le ingiurie e minacce nei confronti delle stesse, tanto più gravi in quanto rilevabili anche attraverso il sito istituzionale del Ministero dell'interno, essendo presente sullo stesso il rinvio alla pagina Twitter del Ministro.
(3-00358)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   recenti notizie di stampa (Il Mattinodi Padova del 17 novembre 2018) riportano la preoccupante situazione legata ai lavori dell'alta velocità, per cui nel mese di giugno 2018 è stato firmato il contratto di realizzazione che dovrebbe portare a breve all'apertura di cantieri tra Brescia e Verona, per un giro di affari pari a 1,9 miliardi di euro per 42 chilometri di linea già finanziati, che rientrerebbe nelle mire di diverse famiglie del veronese, indicate dagli ambienti investigativi come appartenenti al mondo criminale della ’ndrangheta calabrese;

   si tratta di gruppi familiari spesso collegati, da anni operanti nel settore ferroviario, come nel caso della famiglia Giardino, approdata negli anni ’90 in Veneto da Isola di Capo Rizzuto, le cui ditte hanno potuto contare per anni nei lavori in subappalto, in particolare della romana Generale Costruzioni Ferroviarie, leader nel settore ferroviario nei cantieri internazionali. Sul territorio veronese sono presenti anche altre famiglie, tra cui gli Aloisio, impegnati nella posa e nella manutenzione dei binari e dei Nicoscia, imparentati con i Giardino, la cui ditta di famiglia, dopo aver cambiato il nome in Nicofer srl Costruzioni ferroviarie, è stata interdetta dalla prefettura di Verona per infiltrazioni mafiose;

   gli interessi delle famiglie sospettate di collegamenti con la ’ndrangheta calabrese oltre al settore ferroviario si estendono ad altri ambiti, tra cui la ristorazione e il catering, con l'inserimento di giovani esponenti appartenenti ai diversi gruppi familiari, meno noti e individuabili;

   dalle stesse fonti di stampa si apprende un quadro allarmante relativo alla mappa della criminalità organizzata a Verona, ben delineata attraverso le varie interdittive antimafia firmate negli ultimi due anni dalle varie prefetture, di Verona (con ben sedici interdittive firmate dal prefetto Salvatore Mulas), Vicenza, Treviso, Venezia e Padova, che si sono susseguite nel tempo nei confronti di diverse ditte, quasi tutte collegate a soggetti di origine calabrese;

   in molti casi, nonostante il continuo interesse rivolto all'attività sospetta di molte imprese, non sono state svolte però parallelamente specifiche indagini da parte della magistratura, per cui le imprese hanno continuato a svolgere regolarmente le proprie attività –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se non ritenga di dover assumere iniziative urgenti volte a verificare, per quanto di competenza, la regolarità degli appalti affidati per la realizzazione dell'alta velocità tra Verona e Brescia, anche attraverso la costituzione di un apposito nucleo ispettivo.
(5-01020)


   FRAGOMELI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   come è noto l'articolo 1, comma 137, della legge n. 56 del 2014 ha stabilito perentoriamente che «nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico»;

   tale obbligo trova peraltro puntuale riscontro nella giurisprudenza amministrativa dei Tar e del Consiglio di Stato che ha costantemente considerato l'articolo 1, comma 137, della legge n. 56 del 2014 una disposizione con valore cogente e precettivo, e un parametro ineludibile di legittimità dei provvedimenti di nomina delle giunte e dei comuni di popolazione superiore ai 3000 abitanti;

   tuttavia, va messo in evidenza che non sempre tale disposizione è stata uniformemente applicata su tutto il territorio nazionale, talvolta sulla base della presunta considerazione che la norma citata riconoscerebbe al sindaco una mera facoltà in luogo di un obbligo vero e proprio;

   tuttavia, tale interpretazione non appare né essere sostenuta da pronunce giurisprudenziali conformi, né tantomeno essere sorretta dal dato letterale del comma 137 dell'articolo 1 della legge n. 56 del 2014;

   tra i casi più recenti va certamente citato quello del comune di Teglio, dove la giunta costituitasi il 21 giugno 2018, con 3 assessori uomini su 4, chiaramente non rispetta quanto previsto dall'articolo 1, comma 137, della legge n. 56 del 2014;

   il mancato rispetto della norma sopra-citata appare grave alla luce del fatto che tale norma è finalizzata a garantire, anche conformemente a quanto previsto dall'articolo 51 della Costituzione, un'adeguata presenza di genere anche negli organi esecutivi degli enti locali –:

   quali iniziative urgenti intenda adottare, per quanto di competenza, al fine di garantire l'applicazione uniforme dell'articolo 1, comma 137, della legge n. 56 del 2014 su tutto il territorio nazionale, stante la particolare rilevanza di una norma quale quella citata nel governo degli enti locali.
(5-01021)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BALDINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   come riportato da organi di stampa il movimento politico CasaPound risulterebbe avere sede all'interno di un edificio pubblico il quale sarebbe stato occupato senza titolo a partire dal 27 dicembre 2003, senza che mai siano state poste in essere azioni per recuperare l'immobile;

   si tratterebbe di un intero stabile di circa sessanta vani, con una ventina di appartamenti e con affaccio su via Napoleone III;

   detto appartamento, come riportano organi di stampa, risulterebbe essere di proprietà demaniale e sarebbe in carico al Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca il quale avrebbe però sostenuto di non avere più in carico il bene il quale sarebbe rientrato nella sfera di competenza dell'Agenzia del demanio;

   conseguentemente in quindici anni di occupazione, le casse dello Stato hanno subito un rilevante danno in termini di mancato utilizzo del cespite immobiliare;

   negli anni non risultano essere stati effettuati neppure i necessari censimenti al fine di comprendere chi occupi l'immobile e chi, tra gli abitanti, versi in condizioni di fragilità economico-sociale;

   secondo organi di informazione (http://m.espresso.repubblica.it) risulterebbero residenti nel palazzo occupato i vertici nazionali dell'organizzazione politica CasaPound, a partire dal segretario Simone Di Stefano ed il di lui fratello Davide Di Stefano;

   sempre tra i residenti risulterebbe essere stata, la moglie del presidente Gianluca Iannone, Maria Bambina Crognale, che alla camera di commercio, nel 2014, avrebbe dichiarato il medesimo domicilio di cui sopra;

   è notizia di alcuni giorni fa che la procura regionale della Corte dei Conti ha ordinato alla Guardia di finanza di effettuare un'ispezione che avrebbe dovuto permettere l'accesso ai locali e la valutazione del danno erariale sul quale starebbe lavorando la magistratura contabile;

   la Guardia di finanza ha poi effettuato un'ispezione presso il predetto stabile e, come riporta il Corriere della Sera, la procura di Roma ha aperto un'indagine per occupazione abusiva e resistenza a pubblico ufficiale nei confronti di venti militanti di CasaPound –:

   se l'immobile de quo sia occupato da persone socialmente ed economicamente fragili e quali iniziative di competenza siano state poste in essere al fine di ottenerne nuovamente la disponibilità.
(4-01739)


   NOBILI, GRIBAUDO, SCHIRÒ, DEL BARBA, ASCANI e BONOMO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nel luglio del 2017 il tribunale di Genova condanna per truffa ai danni dello Stato il fondatore della Lega Nord, Umberto Bossi, e l'ex tesoriere del partito, Francesco Belsito. Il procedimento riguardava i rimborsi elettorali ricevuti dalla Lega;

   lo scandalo era nato nei primi mesi del 2012, quando iniziò un'indagine sulla gestione dei rimborsi elettorali ricevuti dal partito, trasferiti invece in alcuni casi all'estero dove erano stati investiti in varie attività, tra cui l'acquisto di diamanti;

   sempre nel 2017 e nell'ambito del processo per truffa, il tribunale di Genova aveva deciso di procedere alla confisca al partito di circa 49 milioni di euro (48.969.617 euro), a titolo di risarcimento per i rimborsi ingiustamente utilizzati, quale «somma corrispondente al profitto, da tale ente percepito, dai reati per i quali vi era stata condanna»;

   la Corte di Cassazione, con la sua decisione del 12 aprile 2018 e le cui motivazioni sono state pubblicate il 3 luglio 2018, ha accolto il ricorso della procura e ha stabilito «l'esistenza di disponibilità monetarie della percipiente Lega Nord che si sono accresciute del profitto di reato, legittimando così la confisca diretta del relativo importo, ovunque e presso chiunque custodito e quindi anche di quello pervenuto sui conti e/o depositi in data successiva all'esecuzione del provvedimento genetico»;

   l'ipotesi della procura genovese era che la Lega, nelle gestioni successive a quella di Bossi, possa aver cercato di nascondere parte dei propri fondi per evitare che venissero sequestrati, trasferendoli in Lussemburgo per poi farli rientrare in Italia. La procura di Genova ha ipotizzato che la banca dalla quale i fondi erano stati prima trasferiti all'estero e poi rimpatriati sia la Sparkasse, la Cassa di Risparmio di Bolzano. Qui a giugno 2018 la Guardia di Finanza aveva acquisito varia documentazione;

   il 6 settembre 2018 il tribunale del riesame ha accolto il ricorso della procura di Genova e quindi confermato il sequestro dei fondi attuali e futuri della Lega, in relazione alla truffa ai danni dello Stato per 49 milioni di euro;

   invero, il 18 settembre 2018 è stato trovato un accordo circa la rateizzazione di 600 mila euro all'anno per 81 anni, senza interessi;

   ai sensi dell'articolo 640 del codice penale viene disposto che «chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno» viene punito con reclusione e multa; la pena assume carattere di maggiore gravità se la truffa è operata ai danni dello Stato;

   inoltre, ai sensi della Costituzione italiana il principio giuridico della trasparenza si qualifica come espressione del principio democratico, che è alla base della sovranità popolare, specie quando si tratta della gestione di fondi pubblici –:

   se il Ministro interrogato non intenda chiarire, alla luce di quanto esposto, con quali risorse sia finanziata la struttura comunicativa «Sistema intranet snc» guidata da Luca Morisi, e le altre riferibili al Ministro interrogato che curano le pagine facebook «Matteo Salvini», «Noi con Salvini», «Matteo Salvini Premier», «Lega – Salvini Premier», in particolare con riferimento a risorse pubbliche.
(4-01751)


   POLVERINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   l'8 agosto 2018 con decreto del Presidente della Repubblica è stato sciolto il Comune di Siderno;

   il 29 ottobre 2018 il sindaco Pietro Fuda, unitamente ad ex assessori e consiglieri, ha presentato ricorso contro lo scioglimento, secondo il quale nella relazione del prefetto di Reggio Calabria non emergerebbe il collegamento con la criminalità, risultando di contro forzature a discapito del normale prosieguo del mandato degli organi democraticamente eletti nel maggio 2015;

   stando a quanto riportato dal citato ricorso, due contestazioni, contenute nella relazione, appaiono macroscopicamente infondate: quanto alla prima, nella relazione si farebbe riferimento al «comportamento del Sindaco Fuda che nel mese di giugno 2015 ha sollecitato la prefettura-UTG di Reggio Calabria al rilascio dell'informazione antimafia nei confronti della Ditta “Italcostruzioni”, risultata aggiudicataria dei lavori del Palazzetto dello Sport, nel mese di luglio l'ente ha affidato i lavori alla ditta citata e nel mese di novembre la stessa prefettura-UTG ha emesso provvedimento interdittivo alla ditta in parola, tra l'altro già coinvolta nelle operazioni di polizia appena sopra riportate»;

   la relazione sul punto sembrerebbe, alla luce di quanto sostenuto dal ricorrente, palesemente errata, in quanto:

    a) dopo l'insediamento dell'amministrazione Fuda (1° giugno 2015), l'impresa di che trattasi (peraltro aggiudicataria di lavori sotto la gestione commissariale), il 29 giugno 2015, con formale diffida al sindaco e al dirigente dell'ufficio tecnico, evidenzia che erano trascorsi 1.456 giorni dall'aggiudicazione e che non era stato stipulato il relativo contratto;

    b) la missiva del sindaco Fuda del 24 giugno 2015 di sollecito per il rilascio dell'informativa antimafia è pertanto volta a delineare, nella forma di raccordo, il comportamento che egli avrebbe dovuto tenere attesi i ritardi accumulati e in assenza peraltro di comunicazioni prefettizie inerenti a eventuali interdittive;

    c) il comune aveva chiesto di conoscere la posizione dell'impresa in varie date: 23 febbraio 2012, 25 settembre 2013, 24 giugno 2015;

    d) a seguito di autonoma decisione il 7 marzo 2016 il comune rescinde il contratto con la Italcostruzioni;

    e) l'interdittiva dalla prefettura per «Italcostruzioni» arriva al comune il 12 dicembre 2016;

    f) il 1° dicembre 2016, dodici giorni prima, la prefettura di Reggio Calabria scrive al comune che nella gara esperita con i propri uffici per la realizzazione del campo di calcio «Gianluca Congiusta», le prime due ditte classificate risultano essere la Italcostruzioni e la ditta Cozzucoli; nella medesima nota è evidenziato che, stante il malfunzionamento del sistema informatico durante le operazioni di gara, si invita ad attivare le verifiche di legge, ai sensi dell'articolo 80 del decreto legislativo n. 50 del 2016;

   quanto alla seconda contestazione, si legge nella relazione (pagine 11 e 12): «Relativamente alla situazione economico-finanziaria e dei tributi, si è avuto modo di rilevare che l'ente non riesce con le proprie entrate a coprire le spese correnti facendo ricorso all'utilizzo di somme a specifica destinazione. Inoltre, la scarsa percentuale di riscossione dei tributi nonché i ritardi nell'emissione dei ruoli ordinari e coattivi non contribuisce al prescritto risanamento dell'Ente a seguito del dissesto finanziario»;

   a tal proposito il comune evidenzia che:

    a) all'atto dello scioglimento, nelle casse comunali risulterebbe liquidità pari a 2.001.194,20 euro disponibili e 1.553.023,47 euro di fondi vincolati;

    b) all'atto dell'insediamento dell'amministrazione Fuda, le somme disponibili erano pari solo a 286.634,83 euro;

    c) alla data dello scioglimento, pur in presenza, a quanto consta all'interrogante, di circa 44 milioni di euro di opere pubbliche realizzate – rispetto alle quali la commissione di accesso non ha mosso alcun rilievo – la disponibilità dell'ente sarebbe stata pari, come detto, a 2.001.194,20 euro;

   trattandosi di documenti fondamentali, quelli su citati ed altri prodotti in sede di impugnativa del decreto di scioglimento, appare all'interrogante alquanto anomalo che in sei mesi di verifiche la commissione di accesso non li abbia controllati e valutati –:

   quali iniziative intenda adottare il Governo, per quanto di competenza, nei confronti della commissione di accesso nel caso in cui risulti abbia condotto un'attività, secondo quanto eccepito nel ricorso sopra citato, superficiale e nei confronti del prefetto di Reggio Calabria che ha sottoscritto una relazione ai fini dello scioglimento del consiglio comunale di Siderno basata su irregolarità e su fatti che appaiono privi di fondamento.
(4-01752)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   PAOLO RUSSO e GIACOMETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   l'istituto Domenico Martuscelli è un ente per ciechi e ipovedenti nato nel 1873 come istituto scolastico posto alle dipendenze del ministero della pubblica istruzione;

   l'istituto Martuscelli segna una pagina nobile della storia della solidarietà nella città di Napoli già a partire da due secoli or sono;

   fino al 2000 la struttura ha svolto funzioni complementari come il convitto e le attività extra scolastiche per gli utenti della scuola speciale per ciechi «Domenico Martuscelli», poi soppressa in virtù della legge n. 515 del 1977;

   da allora la vita dell'istituto è stata caratterizzata da un inarrestabile declino causato dalla costante decrescita del numero di ospiti cui non corrispondeva la riduzione delle spese sostenute e da gestioni talvolta complesse;

   la graduale inversione di tendenza si è verificata soltanto con l'arrivo dell'ultimo commissario che ha man mano non solo lavorato per ripianare le perdite ma anche per strappare l'istituto al degrado strutturale e vocazionale;

   il 31 luglio 2018 è scaduto il mandato del commissario incaricato e da allora non si è proceduto ad alcuna nuova nomina ingessando e bloccando qualsivoglia attività meritoria posta in essere –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per impedire che l'ulteriore impasse determinata dalla fine del mandato del commissario riporti l'istituto Martuscelli nell'oblio sociale e nel baratro finanziario dal quale faticosamente si tenta di uscire e soprattutto se non si ritenga di assumere le iniziative di competenza per provvedere celermente al rinnovo dell'incarico del commissario ormai scaduto da oltre 100 giorni.
(4-01735)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XII Commissione:


   NOVELLI, VERSACE, PEDRAZZINI, BAGNASCO, BOND, BRAMBILLA, MINARDO e MUGNAI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   la legge n. 112 del 2016, cosiddetta legge sul «dopo di noi», ha introdotto importanti disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare;

   la legge si pone l'obiettivo di fornire una risposta alle famiglie dove sono presenti figli con disabilità, e che vivono con evidente e legittima ansia il momento in cui non potranno più garantire loro l'indispensabile aiuto;

   la legge n. 112 del 2016 prevede uno stanziamento a decorrere dal 2018 di 56,1 milioni di euro l'anno;

   il 6 settembre 2018 la Conferenza unificata ha espresso l'intesa sul riparto delle risorse del Fondo per l'assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare per l'anno 2018, previsto dalla legge n. 112 del 2016;

   come ha evidenziato anche la stessa Conferenza unificata il fondo è stato decurtato di circa 5 milioni di euro passando dai 56,1 milioni previsti dalla legge a decorrere dal 2018, ai 51,1 milioni effettivamente messi a disposizione per il 2018. Medesimo taglio verrà effettuato anche per il 2019, portando così a 10 milioni di euro il taglio complessivo in due anni;

   peraltro, ci sarebbe bisogno di incrementare le risorse per consentire l'attuazione della legge e garantire non solo la continuità dei progetti già avviati, ma anche per consentire a un numero sempre maggiore di persone di uscire dagli istituti e per attuare il loro diritto di decidere dove e con chi vivere;

   alla riduzione di risorse per gli anni 2018 e 2019, si somma inoltre un ritardo da parte delle regioni nel dare piena attuazione alla legge. Come riporta l'inchiesta del Corriere della Sera sul «Dopo di noi», solamente in Lombardia, Marche, Molise e Toscana si è avviata la stesura dei progetti il più possibile individuali per favorire percorsi di deistituzionalizzazione e di supporto alla domiciliarità. In troppe regioni non si va oltre a una programmazione di carattere generale;

   è importante monitorare e valutare gli effetti della legge n. 112 del 2016, e le problematiche legate alla piena attuazione della legge;

   peraltro, si evidenzia che la relazione del Governo che doveva essere trasmessa entro il 30 giugno 2018 alle Camere ancora non è stata presentata –:

   quali siano le maggiori criticità riscontrate nell'applicazione della legge n. 112 del 2016 da parte degli enti territoriali e se non si intendano assumere iniziative per ripristinare integralmente le risorse del Fondo per l'assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare, previste dalla suddetta legge.
(5-01024)


   CARNEVALI, DE FILIPPO e RIZZO NERVO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   sono passati più di due anni dall'entrata in vigore della legge n. 112 del 2016, «Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare», più comunemente denominata legge del «Dopo di noi», che ha come obiettivo quello di assicurare alle persone con disabilità gravi di decidere del proprio futuro e di scegliere dove e con chi vivere all'interno di un percorso che li porti alla massima autonomia possibile in vista del momento in cui i loro genitori non ci saranno più;

   fino all'approvazione della legge, infatti, l'unica risposta all'emergenza del «Dopo di noi» per le persone con disabilità grave consisteva nell'individuazione di un «posto letto» all'interno di un apposito istituto. Oggi, grazie alla legge n. 112 del 2016, invece, si può continuare a vivere la propria vita, con tutti i supporti necessari, nel proprio contesto personale e familiare;

   l'articolo 8 della suddetta logge prevede che il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, insieme a quello delegato per la famiglia e le disabilità presentino alle Camere, entro il 30 giugno di ogni anno, una relazione dettagliata sullo stato di attuazione della legge, sull'utilizzo delle risorse, nonché sull'andamento delle minori entrate derivanti dall'applicazione degli articoli 5 e 6 rispetto alle previsione stimate in 51,958 milioni di euro per l'anno 2017 e in 34,050 milioni di euro annui a decorrere dal 2018;

   a detta dell'Anfass (Corriere della Sera del 27 novembre 2018) solo in Lombardia, Marche, Molise e Toscana si è partiti con la stesura dei progetti individuali, in Lazio, Campania, Basilicata, Calabria si è cominciato a raccogliere le richieste mentre nelle restanti regioni il processo è molto più indietro e in Abruzzo, Puglia e Piemonte c'è solo una programmazione di carattere generale –:

   se il Ministro interrogato intenda chiarire quando sarà trasmessa alle Camere la relazione prevista dall'articolo 8 della legge n. 112 del 2016, quali siano i motivi di tale ritardo, in quali regioni siano già stati attivati i progetti personalizzati con i relativi budget di cura come previsto del decreto ministeriale attuativo del 23 novembre 2016 e se non ritenga doveroso, assumere iniziative per rifinanziare di almeno 5 milioni di euro il Fondo sul «dopo di noi» per il 2019.
(5-01025)


   D'ARRANDO, MASSIMO ENRICO BARONI, BOLOGNA, LAPIA, MAMMÌ, MENGA, NAPPI, NESCI, PROVENZA, SAPIA, SARLI, SPORTIELLO, TRIZZINO, TROIANO e LEDA VOLPI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   da una nota recentemente diffusa dalla Ong Save the Children risulta che in Italia 1 milione e 200 mila bambini sono al di sotto della soglia di povertà assoluta; si denuncia così una vera e propria emergenza nazionale;

   in seguito alla crisi economica e alla conseguente diminuzione degli strumenti di protezione sociale, è aumentato vertiginosamente lo stato di povertà assoluta in tutto il Paese: dal 2005, gli indigenti sono passati dal 3,3 all'8,4 per cento della popolazione italiana;

   nel corso di dieci anni, dal 2008 ad oggi, quando i poveri assoluti erano poco meno di 400 mila, la povertà nel nostro Paese si è triplicata colpendo maggiormente bambini ed adolescenti;

   secondo il rapporto Istat, la condizione di severa indigenza minorile ha un'elevata incidenza, pari al 12,1 per cento gravando per il 10,5 per cento sulle famiglie caratterizzate da almeno un figlio minore e rimanendo molto diffusa tra quelle con tre o più figli minori, circa per il 20,9 per cento;

   secondo gli stessi dati, inoltre, mentre il numero di minorenni in condizioni di estrema povertà è raddoppiato, nelle fasce d'età più avanzate la situazione è rimasta pressoché stabile: la povertà assoluta ha inciso sugli over 65 del 4,5 per cento;

   lo studio di Openpolis «La crescita della povertà tra i minori» evidenzia come l'aumento della povertà infantile sia collegato a fenomeni che minano la coesione sociale, come la dispersione scolastica e il mancato sviluppo personale e cognitivo;

   poiché l'impoverimento delle famiglie ha causato una forte emergenza della povertà infantile con il continuo incremento di bambini e ragazzi indigenti, appare indispensabile intervenire in favore dei minori e delle loro famiglie per offrire maggiore tutela e garantire loro un futuro;

   è conclamato che le risorse destinate all'infanzia e ai giovani sono da considerarsi non come una spesa ma come un investimento indispensabile per il progresso perché rappresentano senz'altro un volano per lo sviluppo ed il benessere della società tutta –:

   se il Governo, nella definizione del nuovo reddito di cittadinanza, non intenda introdurre un criterio che tenga prioritariamente conto delle famiglie con minori in povertà assoluta, in quanto sono proprio questi ultimi i più colpiti dall'impoverimento e più bisognosi di una efficace rete di servizi sociali.
(5-01026)

Interrogazione a risposta scritta:


   SPERANZA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   da quanto emerge da organi di stampa, da tempo, i lavoratori dipendenti del gruppo Edison spa addetti al servizio guardiadighe sono assoggettati a condizioni di vita e di lavoro inaccettabili, perché costretti, su unilaterale disposizione della società, a svolgere le loro mansioni sulla base di squadre di tre operatori, anziché cinque come accadeva in precedenza;

   ciò si traduce in turni di lavoro di durata insopportabile che raggiungono a volte le 56 ore consecutive;

   nella XVII legislatura sulla materia è stata depositata l'interrogazione al Senato n. 4-08938, che non ha avuto risposta;

   il gruppo Edison spa agisce nel modo indicato non solo in Friuli Venezia Giulia, ma anche nel resto d'Italia;

   spesso le concessioni idroelettriche sono scadute da tempo, ma non vengono messe a gara per inerzia dello Stato e nonostante le del diritto comunitario e domestico –:

   quali iniziative il Governo abbia assunto, per quanto di competenza, a tutela delle condizioni di vita di lavoro dei guardiadighe del gruppo Edison spa;

   se i turni di lavoro che vedono impegnati il guardiadighe anche per 56 ore consecutive, da solo e in località sperdute difficilmente raggiungibili (spesso anche dalle comunicazioni telefoniche), non costituiscano un rischio anche per la sicurezza dell'impianto vigilato e per il territorio sottostante;

   se non si ritenga di adottare le iniziative di competenza affinché siano bandite senza indugio le gare per assegnare le concessioni idroelettriche scadute e gestite in prorogatio da anni;

   se il Governo non ritenga di adottare senza indugio ogni iniziativa di competenza (fra cui le direttive di cui alla lettera o)), comma 1 dell'articolo 88 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 112) propedeutica alla pubblicazione dei bandi di gara di cui trattasi posto che la mancata pubblicazione dei medesimi costituisce un danno per la collettività e per i terzi eventualmente interessati a candidarsi alla gestione delle dighe in alternativa agli incumbent.
(4-01746)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI, FORESTALI E TURISMO

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, il Ministro della salute, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:

   in Toscana, è costante aumento il fenomeno delle coltivazioni in serra «made in China». Il fenomeno è stato oggetto di due trasmissioni televisive: «Viva l'Italia, oggi e domani» andata in onda il 22 novembre 2018 su Rete 4 e «Nemo» sulla Rai ad inizio aprile;

   la descrizione fatta sulla Nazione del 25 novembre 2018 dal comandante dei carabinieri forestali di Prato chiarisce la situazione; si tratta di un fenomeno tutto sommato ancora piccolo e circoscritto, ma dentro c'è un «universo-mondo»: uso di concimi illegali, mancato rispetto sulle autorizzazioni per le sementi, visto che molte arrivano direttamente dentro le valigie dal Paese di origine; fitti di terreni pagati sino a 10 volte tanto, in contanti e con contratti più o meno in regola; inoltre, sfruttamento dei lavoratori, precarie condizioni igieniche, smercio in mercati abusivi, creazione di una filiera interna alla comunità cinese totalmente illegale; inquinamento dei suoli con sostanze dannose, incenerimento illegale di rifiuti;

   già nel 2015 la stampa segnalava la presenza di una imprenditoria agricola cinese in Toscana. Le modalità operative utilizzate, escluse alcune eccezioni virtuose, sono sempre le stesse, simili a quelle che, a suo tempo, intaccarono il settore tessile, distruggendo i distretti con la concorrenza sleale: tanti contanti, lavoro nero, materiali scadenti, nessun rispetto per le regole; da anni Coldiretti, a seguito del sequestro di materiali illegali, chiede controlli sui semi e sui fitofarmaci usati in queste imprese agricole;

   le aziende agricole cinesi registrate presso le camere di commercio sono 114 a livello nazionale, ma l'impatto in certe zone è forte. Tra le province di Firenze e Prato si trova la massima concentrazione: qui i cinesi secondo la Coldiretti di Prato hanno in gestione il 20 per cento dei terreni lavorabili, che corrispondono a più del 60 per cento della superficie lavorata. Decine di ettari di terreno, completamente usati a serre e posizionati lungo il crinale sud tra le due province, noto per essere tra le zone più fertili e produttive. In genere, i terreni non sono acquistati, ma affittati. Per ottenere in affitto gli appezzamenti migliori, i cinesi pagano anche dieci volte il prezzo di mercato e, dopo qualche anno, l’«azienda» chiude, lasciando al proprietario italiano l'onere di bonificare il terreno per renderlo di nuovo coltivabile;

   tra la fine di gennaio e il febbraio 2018 sono state condotte dalle forze dell'ordine diverse operazioni in provincia di Prato, con sequestri di terreni, serre e prodotti. Nei campi l'ispezione «ha fatto emergere gravi criticità legate alla sicurezza dei luoghi di lavoro, alla presenza di manodopera irregolare e clandestina...». Nello stesso periodo è stato sequestrato a Prato un laboratorio abusivo di trasformazione di alimenti gestito da un cittadino cinese, finalizzato alla preparazione, cottura e trasporto dei cibi presso ditte di connazionali; nel settembre 2017 la polizia municipale di Montemurlo ha scoperto un servizio di catering abusivo; il 9 gennaio 2018, sono state sequestrate 50 cassette di verdura a due ambulanti abusivi cinesi: il comunicato del comune di Prato chiarisce che la merce è stata smaltita in discarica in quanto «il pessimo stato di igiene e di conservazione della merce non ne ha consentito la devoluzione ad enti benefici». A via Di Vittorio, tra i capannoni cinesi dell'Osmannoro a Firenze persiste da anni un mercato di prodotti agricoli totalmente illegale, fatto da cinesi per i cinesi, dove la presenza di italiani è malvista;

   tra i pericoli maggiori c'è la questione dei rifiuti. Per evitare controlli incrociati, non dare nell'occhio e fare tutto in economia, vengono costantemente accesi roghi nei campi, e dentro ci finisce un po’ di tutto: dal materiale per coprire le serre, alle cassette di plastica utilizzate per la raccolta, dagli scarti vegetali fino ai contenitori usati di fitofarmaci. I residenti di Prato, sono spesso costretti a chiudersi in casa e a ritirare i panni stesi all'aperto per evitare gli effetti delle plastiche che bruciano. In una delle relazioni delle ispezioni di gennaio 2018 si legge che: «... sul posto sono stati trovati rifiuti tossici bruciati accanto alle coltivazioni... come il polistirolo», oppure che mancavano completamente all'appello «i registri di carico e scarico per la tracciabilità di diserbanti e fertilizzanti utilizzati...»;

   gli strumenti usati dalle forze dell'ordine, il sequestro, le sanzioni pecuniarie delle quali è problematica la riscossione, e l'applicazione del «Daspo» ai venditori abusivi dei quali spesso è problematica l'identificazione, appaiono del tutto insufficienti ad arginare la crescita di un fenomeno che si configura come concorrenza sleale agli agricoltori onesti, oltre a determinare possibili, molteplici, danni ambientali e sanitari –:

   se il Governo non ritenga opportuno prevedere, anche mediante specifiche iniziative normative, ulteriori strumenti repressivi e di controllo rispetto al fenomeno esposto in premessa, tra i quali il costante presidio del territorio, le verifiche fiscali o la confisca delle aree e dei beni a fronte del perdurare delle condotte illecite.
(2-00191) «Silli, Nevi, Carrara, Spena, Ripani, Mazzetti».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LUCA DE CARLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 13, paragrafo 3, del Regolamento (CE) n. 889 del 2008 stabilisce che: «Gli alveari sono costruiti essenzialmente di materiali naturali che non presentano rischi di contaminazione per l'ambiente o i prodotti dell'apicoltura»;

   oltre alle arnie comunemente conosciute esistono in commercio i cosiddetti «porta sciami», arnie di più piccole dimensioni, dove le api possono essere tenute anche per un considerevole lasso di tempo;

   il Regolamento (UE) 2018/848, in vigore dal 17 giugno 2018 e in attuazione dal 1° gennaio 2021, al punto 1.9.6.5, lettera d), allegato II, parte II, prevede che, oltre agli alveari, anche i materiali utilizzati in apicoltura debbano essere costituiti essenzialmente da materiali naturali che non presentino rischi di contaminazione per l'ambiente o per i prodotti dell'apicoltura –:

   quali siano gli intendimenti del Governo in merito all'utilizzo dei porta sciami in polistirolo e se non ritenga, quantomeno, di consentirne l'impiego fino alla data di applicazione del regolamento comunitario di cui in premessa, anche al fine di non vanificare la spesa dei produttori che li hanno già acquistati.
(5-01019)

Interrogazione a risposta scritta:


   BIGNAMI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   a mezzo stampa si apprende di quanto accaduto ai titolari di un'azienda agricola di Gaggio Montano (BO) le cui capre, ben 17, sono state sbranate da un branco di cinque o sei lupi in pieno giorno;

   titolari dell'azienda avevano lasciato fuori le capre, come di consuetudine, alle 9 del mattino, ma, quando sono tornati a prenderle intorno alle 15, erano state tutte sbranate. I veterinari avrebbero confermato il «raid» giornaliero da parte di un branco di lupi;

   i titolari dell'azienda, sempre a mezzo stampa, chiedono «più attenzione per la montagna»: i danni da animali selvatici stanno progressivamente provocando un forte scoraggiamento in chi, con grande coraggio, continua a investire in questi territori frenandone lo spopolamento;

   in queste zone lupi e altri animali selvatici hanno trovato un habitat naturale, ma la preoccupazione più grande degli allevatori riguarda il fatto che il lupo, in particolare, non abbia quasi più timore di avvicinarsi anche in aree nelle quali l'uomo vive stabilmente;

   purtroppo, non si tratta di un caso isolato. Sono diverse le aziende agricole della regione Emilia-Romagna che, negli ultimi anni, hanno subito attacchi da parte dei lupi ai danni del bestiame;

   fermo restando che la presenza del lupo nelle aree montane e appenniniche è testimonianza di qualità dell'ambiente e posto che il lupo è dichiarato specie protetta dalla vigente normativa, è altrettanto indubbio che servano azioni concrete e mirate per sostenere realmente gli agricoltori e gli allevatori, per agevolarli nelle loro attività e per garantire loro la certezza e la tempestività del risarcimento –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti;

   se il Governo disponga di dati in relazione agli attacchi al bestiame, da parte di lupi, in particolare nella regione Emilia-Romagna negli ultimi cinque anni;

   se dai dati eventualmente in possesso si ravvisi effettivamente una criticità rispetto alla aumentata presenza del lupo sul territorio nazionale;

   se il Governo disponga di dati circa l'ammontare, per singola regione, dei risarcimenti erogati negli ultimi cinque anni alle aziende agricole e di allevamento in particolare per attacchi da parte di lupi;

   quali iniziative complessive si intendano mettere in campo per monitorare la presenza del lupo nelle aree montane e per mettere gli allevatori nelle condizioni di poter proseguire serenamente la propria attività, predisponendo adeguate azioni di tutela e garantendo la tempestività del risarcimento.
(4-01738)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAOLO RUSSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il morbo di Crohn è una malattia cronica dell'intestino;

   in Italia risultano affette da patologie croniche intestinali oltre 100 mila persone, tra queste molti giovani di età compresa tra i 20 ed i 25 anni;

   per poter condurre un'esistenza regolare i pazienti assumono regolarmente dei farmaci che contrastano l'insorgenza di fastidiosi sintomi come la diarrea;

   dal mese di agosto 2018 dagli scaffali delle farmacie è scomparso il Questran, medicinale insostituibile per chi soffre del morbo di Crohn;

   secondo quanto pubblicato sul sito dell'Agenzia italiana del farmaco il problema è stato determinato dalla mancata fornitura del principio attivo;

   non esiste una soluzione alternativa e i pazienti hanno provato a mettersi in contatto con le aziende sanitarie e gli ospedali, ma senza esito –:

   quali iniziative il Ministro interrogato, intenda assumere per frenare il crescente allarme tra le persone affette dal morbo di Crohn e per rispondere a una legittima domanda di salute.
(4-01736)


   DONZELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   la regione Basilicata, con legge regionale 12 gennaio 2017, n. 2, recante «Riordino del Sistema sanitario regionale di Basilicata», ha approvato le norme organizzative del servizio sanitario regionale per garantire l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza (Lea), in attuazione della legge 28 dicembre 2015, n. 208, e del decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70;

   con l'articolo 2 della predetta legge viene modificato radicalmente l'assetto funzionale e organizzativo delle aziende del servizio sanitario regionale e della rete ospedaliera;

   nell'ambito della riorganizzazione definita dal nuovo piano sanitario regionale, l'ospedale «San Giovanni Battista» di Chiaromonte (Pz) è identificato quale ospedale di comunità, con «specifica vocazione alla lungodegenza o alla riabilitazione»;

   il predetto ospedale ha tutti i requisiti per essere dichiarato presidio ospedaliero di area particolarmente disagiata, avendo tutti i requisiti richiesti dal punto 9.2.2 del decreto ministeriale n. 70 del 2015: è al servizio di una utenza di oltre ventiseimila abitanti e di un bacino di oltre venti comuni, in area montana fortemente compromessa per condizioni socio-economiche, con scarsa infrastrutturazione, caratterizzata da spopolamento e invecchiamento della popolazione, è l'unico presidio presente nell'ambito del territorio del Parco nazionale del Pollino;

   in data 11 maggio 2017, il Comitato civico «La nostra Voce per l'Ospedale di Chiaromonte» e la Onlus «Associazione Consumatori del Popolo» hanno impugnato la legge n. 2 del 2017 della regione Basilicata con un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, chiedendo l'annullamento, previa sospensiva, della riorganizzazione dell'ospedale di Chiaromonte;

   il Ministero della salute, con note n. 16312 del 25 maggio 2017 e n. 30341 del 25 settembre 2017, ha invitato la regione Basilicata a trasmettere controdeduzioni e copie degli atti e dei documenti citati nel ricorso, nonché altra documentazione ritenuta utile ai fini istruttori;

   la regione Basilicata, dopo oltre un anno, ha completamente disatteso le richieste del Ministero –:

   se sia informato dei fatti esposti in premessa e quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere al riguardo.
(4-01748)


   VINCI e TOMBOLATO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   l'accordo del 16 dicembre 2010 sulle «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo» ha impegnato le regioni italiane ad attuare 10 linee di azione per la ridefinizione del percorso nascita;

   con esso viene stabilito in 1000 parti anno il volume minimo per configurare le condizioni organizzative, di competenza e di expertice, necessarie per la sicurezza del percorso nascita;

   l'accordo ha pertanto previsto la chiusura dei punti nascita con un volume di attività inferiore a 500 parti/anno, in quanto non in grado di garantire sicurezza per la madre e il neonato, nonché l'adozione di stringenti criteri per la riorganizzazione della rete assistenziale, fissando il numero di almeno 1000 parti/anno quale parametro cui tendere;

   il Ministero ha al riguardo specificato che il criterio di chiusura dei punti nascita con meno di 500 parti non va considerato con accezione punitiva nei confronti della popolazione, poiché non scaturisce da mere finalità economiche di contenimento della spesa, bensì dalla necessità di fornire alla donna e al neonato un'assistenza di livello elevato e che tale garanzia può essere assicurata innanzitutto da adeguati standard operativi, tecnologici e di sicurezza, ma soprattutto dalla presenza, con livelli di operatività h24 intesa come guardia attiva, di personale qualificato che, potendo seguire una casistica numerosa, è in grado di effettuare un corretto inquadramento delle pazienti e una corretta gestione della gravidanza, mantenendo ed accrescendo nel tempo la propria competenza;

   l'accordo ha comunque previsto la possibilità in deroga di mantenere attivi i punti nascita con volume minimo di 500 parti/anno, esclusivamente in caso di reali situazioni orogeografiche critiche, ovvero in presenza di aree geografiche notevolmente disagiate, esclusivamente a condizione che in tali strutture siano garantiti tutti gli standard organizzativi, tecnologici e di sicurezza previsti per le unità operative ostetriche e neonatologico/pediatriche di 1° livello. Inoltre, con il decreto ministeriale 11 novembre 2015, si è demandato al Comitato percorso nascita nazionale il compito di esprimere un parere sulla richiesta, da parte delle regioni e delle province autonome, di deroghe per punti nascita con volumi di attività minori di 500 parti;

   nell'ottobre 2017 il Ministero della salute ha comunicato alla regione Emilia-Romagna il parere negativo espresso dal Comitato rispetto alla deroga richiesta per mantenere attivo, tra gli altri, il punto nascita, operante sull'Appennino emiliano, di Borgo Val di Taro (PR), avente un volume inferiore ai 500 parti annui;

   nel caso del punto nascita di Borgo Val di Taro, la decisione di chiusura del centro di fatto, contrariamente alla suddetta specificazione, ad avviso degli interroganti si legge come un atto afflittivo per la popolazione del particolare comune montano che in questo modo si vede eliminata anche la sicurezza psicologica di poter intraprendere un percorso procreativo sapendo di avere al proprio fianco un servizio sanitario presente e sempre disponibile. Va da sé che tale decisione scoraggia le nascite di nuovi figli e destina allo spopolamento il fragile territorio montano del comune di Borgo Val di Taro;

   da informazioni assunte dagli interroganti, parrebbe che la regione Emilia Romagna, almeno per quanto riguarda Borgo Val di Taro, non abbia rappresentato nella richiesta di deroga la significativa distanza da percorrere per raggiungere i punti nascita alternativi alla struttura da chiudere né abbia accennato alla pericolosità di eventuali parti in itinere per le partorienti –:

   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intraprendere iniziative urgenti volte a consentire la riapertura del centro nascite di Borgo Val di Taro (PR).
(4-01750)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   CABRAS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   a partire dalla scorsa estate il territorio del Sulcis-Iglesiente ha registrato crescenti disservizi nel servizio di consegna della corrispondenza erogato da Poste Italiane s.p.a.. I ritardi arrivano anche fino a tre settimane e, da quanto si apprende da cittadini e amministratori locali, tali ritardi sono ormai diventati la norma;

   i comuni più colpiti riguardano comunità già costrette a lottare quotidianamente contro l'isolamento e la carenza di servizi: Fluminimaggiore, Carloforte, Domusnovas, Gonnesa, Musei e Villamassargia sono solo alcuni dei comuni che devono fare i conti con i disservizi postali;

   i pesanti disagi del territorio si sono tradotti in diverse proteste di piazza, nonché in azioni legali avverso Poste Italiane per i danni causati dal ritardo nella consegna della corrispondenza. Oltre alla corrispondenza tradizionale, infatti, i ritardi interessano bollette e quei prodotti editoriali in abbonamento i cui contratti con Poste Italiane vincolano questa a tempi di recapito imperativi ormai puntualmente disattesi di settimane, arrecando così grave pregiudizio economico all'editoria locale;

   secondo i lavoratori di Poste Italiane e i sindacati di settore l'introduzione del nuovo modello sconta un personale poco numeroso, costretto a rotazioni di turno e di servizio difficilmente sostenibili. Tale disservizio sarebbe il frutto di scelte aziendali orientate a logiche di profitto che mettono in secondo piano la natura del servizio pubblico erogato da Poste Italiane;

   l'inizio dei disservizi ha coinciso con l'introduzione del nuovo modello organizzativo denominato «Joint Delivery» e introdotto progressivamente in Sardegna a partire dal 20 giugno 2018, con l'obiettivo di estenderlo a tutta la regione entro l'anno;

   il modello «Joint Delivery» è stato previsto da «Deliver 2022», il piano quinquennale di Poste Italiane annunciato il 27 febbraio 2018 che mira ad aumentare ricavi e utili secondo criteri di profitto che, secondo molti, stanno compromettendo la qualità del servizio nelle zone più periferiche e, pertanto, meno profittevoli. I due macrointerventi sono: il potenziamento dei servizi finanziari e assicurativi e la riorganizzazione della divisione corrispondenza e pacchi;

   inoltre, gli interventi di Poste Italiane sono stati criticati anche in tema di personale. Tra gli «obiettivi operativi» del piano figurano infatti: a) una cospicua riduzione del personale, che passerà da 138.000 a 123.000 dipendenti, per un taglio totale di 15.000 unità in meno nell'arco del quinquennio, equivalente a una riduzione annuale media di 3.000 lavoratori; b) la riassegnazione di 4.500 dipendenti in servizio «a un ruolo commerciale di front-line»; c) l'assunzione di 10.000 «figure professionali qualificate», di cui la metà in ambito finanziario e assicurativo –:

   se il Ministro interrogato sia in possesso di ulteriori dati relativi alla riorganizzazione del servizio postale erogato da Poste Italiane s.p.a. in Sardegna e, in particolare, nel Sulcis-Iglesiente;

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per porre fine ai disservizi postali che da mesi colpiscono le comunità del Sulcis-Iglesiente;

   quali ulteriori iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per salvaguardare l'editoria locale del Sulcis-Iglesiente che ha nel servizio postale il suo principale canale di distribuzione;

   se il Ministro interrogato non intenda adottare le iniziative di competenza affinché il servizio postale erogato da Poste Italiane s.p.a., che rappresenta un importante servizio pubblico non sia subordinato alle logiche di profitto.
(4-01741)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Luca De Carlo e altri n. 7-00116, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 novembre 2018, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ciaburro.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Del Monaco e altri n. 4-01685, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 novembre 2018, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Giovanni Russo.

  L'interrogazione a risposta immediata in assemblea Troiano e altri n. 3-00352, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 novembre 2018, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Leda Volpi, Provenza, Lorefice, Nesci.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta immediata in Commissione Roberto Rossini, n. 5-01015 del 27 novembre 2018.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ACQUAROLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nel comune di Corridonia si sta assistendo in questi giorni a un grave strappo nei confronti della democrazia;

   con deliberazione n. 165 del 6 luglio 2018 la giunta comunale dava avvio alla ricognizione sulla legittimità del comportamento di due componenti del collegio di revisore dei conti, Giuseppina Giacobbi e Antonietta Brandimarte, dando mandato al sindaco a procedere all'eventuale contestazione degli addebiti mossi a loro carico;

   a parere della giunta erano state rilevate gravi inadempienze e insanabili contrasti con l'amministrazione comunale da parte del collegio dei revisori: dall'assenza di collaborazione con il consiglio comunale al rallentamento e all'ostruzione dell'attività amministrativa; dall'emissione di pareri non favorevoli senza motivazioni valide all'aumento dei costi di gestione dell'ente alle ingerenze nella gestione politico-amministrativa;

   con successiva deliberazione n. 53 del 25 luglio 2018 il consiglio comunale proponeva di revocare l'incarico di revisore dei conti del comune di Corridonia alle dottoresse Giuseppina Giacobbi e Antonietta Brandimarte;

   nella seduta del consiglio comunale del 30 luglio 2018 la revoca del mandato veniva ratificata, col voto contrario del presidente del consiglio ed ex sindaco Nelia Calvigioni e con l'uscita dall'aula della minoranza;

   in particolare, secondo la denuncia della minoranza «Ieri sera abbiamo assistito ad un consiglio comunale di basso livello, vista l'importanza dei punti all'ordine del giorno ci aspettavamo una discussione con un taglio diverso, più responsabile, il sindaco ha preferito leggere per quasi due ore tutti i documenti e le missive che l'organo di revisione si è scambiato con l'ente in merito al procedimento di revoca. Un atto di eccessiva trasparenza che ci fa pensare che aveva uno scopo più nobile, ossia quello di posticipare l'apertura della discussione, che infatti, è iniziata a mezzanotte inoltrata»;

   come si apprende da fonti di stampa, peraltro, i gruppi di minoranza avevano chiesto alla giunta di ritirare la proposta di revoca, evidenziando tutte le perplessità in fatto e in diritto in merito al procedimento di revoca, non ultimo che nell'oggetto della proposta non si parlava di revoca e quindi la proposta di delibera si poteva considerare viziata;

   a parere dei tre gruppi di opposizione, peraltro, le due componenti dell'organo di revisione sono state revocate dall'incarico senza un giustificato motivo e sulla base di una proposta di delibera quanto mai dubbia, ricordando che «il collegio dei revisori (...) è un organo terzo, nominato per estrazione dalla Prefettura, e non scelto dalla vecchia amministrazione. Tale organo formato da stimati professionisti che hanno profuso impegno e dedizione nello svolgimento del loro operato, non può essere revocato a piacimento, la legge prevede una ristrettissima serie di casi. I casi di revoca dei revisori in tutta Italia sono veramente rari e legati a gravissimi inadempimenti certamente non ravvisabili nella nostra situazione» –:

   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in relazione alla vicenda esposta in premessa e se intenda assumere le iniziative di competenza volte a chiarire i presupposti di legge per la revoca e la sostituzione del collegio dei revisori.
(4-00895)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiedono chiarimenti in merito alla revoca dell'incarico ai componenti del collegio dei revisori del comune di Corridonia, in provincia di Macerata, si chiede inoltre, se il Ministro intenda assumere iniziative di competenza volte a chiarire i presupposti di legge per la revoca e la sostituzione del collegio dei revisori.
  Come noto, a norma dell'articolo 235, comma 2 del decreto legislativo n. 267 del 2000 «Il revisore è revocabile solo per inadempienza ed in particolare per la mancata presentazione della relazione alla proposta di deliberazione consiliare del rendiconto entro il termine previsto dall'articolo 239, comma 1, lettera
d)» mentre l'articolo 239 del Tuel prevede, al comma 1, lettera a), tra i compiti del revisore dei conti, lo svolgimento di «attività di collaborazione con l'Organo consiliare secondo le disposizioni dello Statuto e del Regolamento».
  In relazione all'interpretazione della predetta normativa si richiama la sentenza n. 02785 del 9 maggio 2018 con la quale il Consiglio di Stato ha precisato che la norma del Testo unico degli enti locali non limita il presupposto della revoca alla mancata presentazione della relazione alla proposta di deliberazione consiliare del rendiconto entro il termine previsto dal citato articolo 239, essendo tale fattispecie indicata – non a caso dopo la precisazione «in particolare» – solo al fine di individuare, tra le varie possibili «inadempienze» dell'organo di revisione, quella che, a parere del legislatore, potrebbe essere sufficiente a fondare il provvedimento sanzionatorio di revoca. Ne discende che, ogniqualvolta, nello svolgimento dell'attività di collaborazione, il revisore incorra in «inadempienze» – pure diverse da quella ipotizzata nell'articolo 235 – ne è legittima la revoca, con provvedimento motivato.
  A completare il quadro normativo della fattispecie in questione concorre anche il regolamento di contabilità armonizzata del comune di Corridonia, (approvato dal Consiglio comunale il 27 dicembre 2017) dove è previsto che «l'incarico di componente dell'Organo di Revisione può essere revocato per inadempienza nell'espletamento delle sue funzioni, ed in particolare, per la mancata presentazione della relazione alla proposta di deliberazione consiliare del rendiconto entro il termine previsto dall'articolo 239, comma 1, lettera
d), del decreto legislativo 267/2000; nonché in caso di insanabile contrasto con l'Ente».
  Ciò premesso, come ricordato nell'interrogazione, il 6 luglio 2018 la Giunta comunale di Corridonia, con propria delibera, ha avviato un procedimento ricognitivo teso a valutare la legittimità del comportamento di due componenti del predetto collegio dei revisori contabili.
  In particolare, nella citata delibera si contestava «l'assenza di collaborazione dei componenti del Collegio dei Revisori dei Conti con il Consiglio Comunale e l'Amministrazione anche in assoluto spregio del particolare stato emergenziale post Sisma del 2016 in cui versa l'Ente; il reiterato mancato rispetto dei termini previsti dal regolamento di Contabilità Armonizzata dell'Ente per l'emissione di pareri obbligatori; il rallentamento ed ostruzione dell'attività amministrativa con comportamenti esclusivamente ispettivi, inquisitori e reiterati accessi presso gli Uffici; l'emissione di pareri non favorevoli non supportati da motivazioni valide e non attinenti la gestione economico-finanziaria; l'indebito aumento dei costi di gestione dell'ente a causa della presenza delle componenti dell'organo di revisione in orario di chiusura dell'Ente stesso in contrasto con il vigente regolamento di Contabilità Organizzata dell'Ente; le pesanti accuse ed offese ai funzionari ed agli amministratori; le ingerenze nelle scelte politico amministrative e il danno all'immagine dell'Ente».
  Peraltro, il vice segretario comunale responsabile del procedimento ha avviato l'istruttoria per verificare se tali irregolarità potessero costituire presupposti sufficienti e congrui all'avvio del procedimento di revoca dell'incarico dei componenti del collegio dei revisori dei conti sopra menzionati.
  Il 14 luglio 2018, all'esito dell'istruttoria, l'Amministrazione comunale notificava alle componenti del collegio dei revisori dei conti l'avvio del procedimento di revoca dell'incarico di revisore per inadempienza e per gravi e insanabili contrasti con l'Ente, con relativa contestazione di addebito.
  Il 24 luglio 2018 l'organo di revisione del comune di Corridonia e suoi componenti provvedevano a redigere le proprie controdeduzioni avverso l'avvio del procedimento di revoca dell'incarico, oggetto di successivo riscontro (precisamente il 27 luglio) da parte del comune di Corridonia.
  Infine, il 30 luglio 2018, al termine del procedimento, il Consiglio comunale, ritenuti consistenti, legittimi e validi gli addebiti formulati, approvava la citata proposta della Giunta comunale del 6 luglio 2018, avente ad oggetto «avvio ricognizione su legittimità del comportamento delle componenti del Collegio dei Revisore dei Conti – provvedimenti conseguenti».
  La prefettura di Macerata, su istanza del comune di Corridonia, ha poi provveduto, secondo quanto previsto dal decreto del Ministero dell'interno n. 23 del 15 febbraio 2012, all'estrazione a sorte dei nominativi per la nomina dei sostituti componenti del collegio dei revisori dei conti del comune.
  L'estrazione è stata effettuata in seduta pubblica presso la sede della prefettura il 9 agosto 2018.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo Sibilia.


   BIGNAMI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il 1° marzo 2016 il Ministero dell'interno, ai sensi dell'articolo 151 del T.u.e.l., provvedeva a differire ulteriormente il termine utile per l'approvazione dei bilanci comunali di previsione dell'anno 2016 dal 31 marzo al 30 aprile 2016;

   il comune di Fabbrico, in provincia di Reggio Emilia, nonostante il differimento dei termini citati, a metà maggio non aveva ancora approvato il bilancio: in data 14 maggio 2016, i consiglieri di minoranza provvedevano ad informare il prefetto di Reggio Emilia;

   il prefetto di Reggio Emilia, con nota prot. N. 1957/Area II del 20 maggio 2016 diffidava l'amministrazione comunale di Fabbrico ad approvare il bilancio entro e non oltre il 9 giugno 2016 preannunciando che, in caso di mancata approvazione del relativo bilancio, avrebbe nominato un commissario e provveduto all'immediato avvio della procedura di scioglimento del consiglio comunale;

   l'amministrazione comunale di Fabbrico solamente in data 19 maggio 2016 provvedeva ad approvare lo schema di bilancio ed il relativo D.U.P trasmesso, successivamente, al consiglio comunale per l'approvazione;

   in data 25 maggio 2016 un consigliere di minoranza, partecipando alla conferenza dei capigruppo, vista la mancata trasmissione dello schema di bilancio e dei relativi allegati ai consiglieri di minoranza, manifestava al sindaco la necessità di convocare il Consiglio comunale in una data tale da garantire ai consiglieri l'acquisizione di copia della documentazione relativa al bilancio;

   nonostante la mancata trasmissione della documentazione il sindaco decideva comunque di convocare il consiglio comunale per il 31 maggio 2016 e in pari data il consiglio provvedeva all'approvazione del bilancio previsionale;

   nel luglio 2016 il capogruppo e un consigliere di minoranza presentavano ricorso volto ad impugnare la serie di delibere oggetto di contestazione;

   con sentenza del 25 ottobre 2017 il Tar Emilia-Romagna, sede di Parma, ha dichiarato il ricorso e i motivi aggiunti inammissibili per difetto di legittimazione attiva atteso che «nel caso di specie la violazione dello “jus ad officium” non dipende dal contenuto dispositivo dei provvedimenti impugnati, ma dalle particolari e concrete modalità con cui si è svolto il procedimento che ha condotto alla loro adozione, ovvero dall'asserito ritardo con il quale sarebbero stati predisposti i documenti da prendere in visione per potere partecipare consapevolmente alla deliberazione»;

   sulla questione tuttavia sembrano esistere interpretazioni diverse:

    1. il Tar di Reggio Calabria, sez. I, 21 agosto 2012, sentenza n. 542, aveva già posto in evidenza che «lo ius ad officium dei consiglieri comunali si estende sino a comprendere la pretesa ad un effettivo e sostanziale accertamento (...) perché nel caso in cui tale condizione dovesse non sussistere, ne deriverebbero importanti conseguenze sull'assetto dell'amministrazione (...) cui la legge riconnette una delle ipotesi di scioglimento del consiglio comunale»;

    2. indicativa in merito è anche la sentenza del Tar Sardegna: «i termini in questione sono funzionali all'esercizio incomprimibile delle prerogative dei consiglieri comunali le quali, peraltro, debbono esplicarsi in un arco di tempo limitato, ma ragionevole, in quanto strettamente connesso ad un termine finale e ineludibile di approvazione» (Tar Sardegna, Cagliari, Sez. II, 2 maggio 2016, n. 387);

    3. inoltre, il Tar Marche, Ancona, sez. I, sent. N. 400 del 20 aprile 2014 ha indicato espressamente: «secondo i principi generali, l'avvenuta violazione delle procedure e delle garanzie previste dal regolamento del consiglio comunale costituisce violazione del munus pubblico dei singoli consiglieri. Le conseguenze di tale lesione non si limitano al piano politico ma, incidendo sull'investitura dell'organo collegiale riunito per deliberare, hanno riflessi anche sui provvedimenti amministrativi» –:

   se sia a conoscenza della situazione;

   quali iniziative di competenza, anche di carattere normativo, si intendano assumere per garantire appieno e senza criticità di carattere interpretativo lo ius ad officium dei consiglieri comunali.
(4-00699)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede chiarimenti in merito all’iter seguito dall'amministrazione comunale di Fabbrico, in provincia di Reggio Emilia, per l'approvazione del bilancio di previsione dell'anno 2016, chiede inoltre, di conoscere quali iniziative, anche di carattere normativo, si intenda assumere per garantire lo ius ad officium dei consiglieri comunali.
  Come ricordato nell'interrogazione, il Ministero dell'interno (in data 1° marzo 2016) ha provveduto in favore degli enti locali a differire ulteriormente il termine utile per l'approvazione del bilancio di previsione 2016, dal 31 marzo al 30 aprile del medesimo anno.
  Il 14 maggio 2016 i consiglieri comunali di minoranza di Fabbrico informavano il prefetto di Reggio Emilia della persistenza del ritardo del comune nell'approvazione della delibera di bilancio.
  Successivamente, il 20 maggio 2016, il prefetto ha diffidato l'ente locale ad approvare il relativo bilancio entro e non oltre venti giorni dalla notifica, ossia entro il 9 giugno 2016.
  L'amministrazione comunale di Fabbrico, il 19 maggio 2016, con due delibere di Giunta, ha approvato lo schema di bilancio ed il relativo documento unico di programmazione trasmesso, successivamente, al consiglio comunale per l'approvazione.
  Il successivo 31 maggio, il consiglio-comunale ha approvato il bilancio di previsione 2016-2018, dandone immediata comunicazione al prefetto.
  Il capogruppo e un consigliere di minoranza del citato comune hanno presentato ricorso al Tar Emilia-Romagna, sezione di Parma, depositato il 2 agosto 2016, per l'annullamento della delibera di approvazione del bilancio.
  Il comune di Fabbrico e la prefettura di Reggio Emilia, tramite la competente avvocatura distrettuale dello Stato, si sono costituiti in giudizio.
  Con sentenza del 25 ottobre 2017 il Tar Emilia Romagna, sezione di Parma, ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile, per difetto di legittimazione attiva dei consiglieri ricorrenti alla impugnativa del bilancio di previsione.
  Il giudice amministrativo, nella citata pronuncia, afferma che: «la legittimazione ad agire dei consiglieri non risiede nella deviazione dell'atto impugnato rispetto allo schema normativamente previsto, quando da essa non derivi la compressione di una prerogativa del loro ufficio protetta dall'ordinamento generale, occorrendo in ogni caso avere riguardo, a questo fine, alla natura ed al contenuto della delibera impugnata e non già delle norme interne relative al funzionamento dell'organo.
  Ne consegue che la contestazione dei consiglieri dissenzienti non può limitarsi a censurare l'oggetto o le modalità di formazione della deliberazione senza dedurre che da esse ne sia derivata una lesione delle loro prerogative, giacché questa non discende automaticamente da violazione di forma o di sostanza nell'adozione di un atto deliberativo.
  Pertanto, l'omissione o il ritardo nel fornire ai consiglieri dell'ente locale gli atti presupposti ad una proposta di delibera non costituisce lesione delle prerogative inerenti l'ufficio di consigliere comunale, rimanendo la suddetta tutela circoscritta in un ambito esclusivamente politico, all'interno dell'organo di cui fanno parte, affidata all'espressione a verbale del proprio dissenso in quanto corollario del più generale principio sopra affermato.
  Atteso che nel caso di specie la violazione dello
jus ad officium non dipende dal contenuto dispositivo dei provvedimenti impugnati, ma dalle particolari e concrete modalità con cui si è svolto il procedimento che ha condotto alla loro adozione, ovvero dall'asserito ritardo con il quale sarebbero stati predisposti i documenti da prendere in visione per potere partecipare consapevolmente alla deliberazione, deve escludersi la legittimazione dei consiglieri comunali ad impugnare le deliberazioni consiliari da cui al ricorso».
  I due consiglieri comunali in questione hanno proposto ricorso al consiglio di Stato avverso la predetta decisione del Tar; il giudizio risulta tutt'ora pendente.
  Per quanto attiene a possibili iniziative di carattere normativo inerenti l'esercizio dello
ius ad officium, si rappresenta che eventuali proposte potranno essere valutate nell'ambito di un'opera di revisione sistematica del testo unico sull'ordinamento degli enti locali che, a venti anni dalla sua approvazione, potrebbe consentire di ridefinire il complessivo assetto della materia, armonizzando le disposizioni originarie sia con la riforma del Titolo V della Costituzione (legge costituzionale n. 3 del 2001) sia con i numerosi interventi di settore succedutisi negli anni.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo Sibilia.


   BIGNAMI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nel comune di Conselice, in provincia di Ravenna, esiste una via intitolata a Silvio Pasi, noto partigiano che operò in Romagna al termine della seconda guerra mondiale. La via in questione si trova nella frazione di Lavezzola e l'intitolazione risale al 1980;

   come testimoniato da diverse fonti storiche, Pasi fu accusato insieme ad altri dodici ex partigiani, delle uccisioni nella tenuta della famiglia Manzoni-Ansidei a Lugo, nella notte tra il 7 e l'8 luglio 1945. Per quegli omicidi Pasi fu condannato, nel 1953, insieme agli altri dodici, all'ergastolo per omicidio aggravato e a cinque anni di reclusione per soppressione di cadavere;

   l'eccidio dei conti Manzoni è solo una tra le tante terribili vicende passate sotto silenzio e oscurate all'indomani della seconda guerra mondiale, periodo nel quale terribili e sanguinose furono le vigliacche rappresaglie operate dai partigiani, a guerra finita, e che avevano come obiettivo anche persone innocenti, colpevoli di essere solo simpatizzanti o di essere parenti di persone simpatizzanti della Repubblica sociale italiana;

   i conti Manzoni-Ansidei furono prelevati dalle loro abitazioni alla fine della seconda guerra mondiale da un gruppo di partigiani che sequestrarono la contessa Beatrice Manzoni, i tre figli (Giacomo, Luigi e Reginaldo), la domestica della casa, Francesca Anconelli, e il cane di famiglia. I corpi martoriati furono ritrovati nel 1948 quando uno degli indagati confessò il delitto;

   una vicenda mai del tutto chiarita e sulla quale mai è intervenuta nemmeno una impronta di umana pietas volta a una necessaria e doverosa riappacificazione storica. Nel 2008, infatti, la maggioranza di sinistra del consiglio comunale di Lugo rifiutò di intitolare una strada alla contessa Beatrice Manzoni, donna fortemente inserita nel tessuto sociale del territorio e che fu presidentessa internazionale della conferenza femminile di San Vincenzo de’ Paoli;

   appare all'interrogante quantomeno inopportuno, per non dire vergognoso, che ancora oggi un comune perseveri nel mantenere l'intitolazione di una strada a un pluriomicida comunista –:

   di quali elementi disponga il Ministro interrogato circa le motivazioni e i presupposti in base ai quali è stata autorizzata l'intitolazione della via di cui in premessa e quali siano, per quanto di competenza, i suoi orientamenti al riguardo.
(4-01138)

  Risposta. — L'intitolazione a Silvio Pasi di una via nel comune di Conselice — cui si fa riferimento nell'interrogazione — fu deliberata dal Consiglio comunale nella seduta del 22 luglio 1982 con la seguente motivazione: «fin da giovane si impegnò in un'opera assidua di organizzazione della Resistenza clandestina al regime fascista [...] contribuendo in modo sostanziale a dare corpo a quella rete organizzativa che dopo l'8 settembre 1943 avrebbe permesso di intraprendere la lotta armata contro il nazi-fascismo ed in questa egli fu valoroso comandante partigiano».
  La denominazione fu successivamente autorizzata con provvedimento della prefettura dell'8 marzo 1983, acquisito il parere della deputazione di storia per le provincie di Romagna.
  Le amministrazioni comunali precedenti a quella in carica hanno ricevuto in passato diverse richieste di revisione di tale intitolazione, che non sono mai state accolte.
  Da ultimo, anche la mozione di revoca presentata quest'anno è stata rigettata dal consiglio comunale, sulla base del parere dell'istituto storico della resistenza e dell'età contemporanea in Ravenna e provincia.
  Per quanto riguarda, più in generale, la disciplina vigente in materia di toponomastica stradale, si ricorda che la materia è disciplinata dal regio decreto-legge n. 1158 del 1923 convertito con legge n. 473 del 1925, recante «Norme per il mutamento del nome delle vecchie strade e piazze comunali», nonché dalla legge n. 1188 del 1927, recante «Toponomastica stradale e monumenti a personaggi contemporanei».
  Con riferimento al cambio di denominazione dei toponimi esistenti, la citata legge n. 473 del 1925 prevede che i comuni, qualora intendano mutare il nome di vecchie strade o piazze comunali, debbano «ottenere preventivamente l'approvazione del Ministero dell'istruzione Pubblica per il tramite delle Soprintendenze ai Monumenti».
  La legge n. 1188 del 1927 attribuisce ai prefetti la competenza ad autorizzare le intitolazioni di nuove strade e piazze pubbliche, oltre che di monumenti e altri ricordi permanenti, sentito il parere della regia deputazione di storia patria o della società storica del luogo.
  Il procedimento amministrativo di intitolazione di una nuova strada ovvero di mutamento di un toponimo esistente è avviato mediante una deliberazione della giunta comunale (articolo 48, comma 2 del decreto legislativo n. 267 del 2000), contenente la relativa proposta che dovrà essere inviata alle Amministrazioni competenti, alla luce del quadro normativo sopra esposto.
  Ciò premesso, si precisa che il Ministero dell'interno ha dato indicazione di procedere al mutamento dei toponimi esistenti solo in base a effettive necessità, considerati i disagi che tali iniziative possono arrecare ai cittadini per l'aggiornamento dei documenti e il conseguente aggravio di lavoro a carico degli uffici competenti.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo Sibilia.


   BILLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il rinnovo e il rilascio del passaporto sono una delle maggiori criticità sollevate attualmente dalla comunità italiana all'estero;

   un kit per la raccolta dei dati biometrici, comprendente un software per la memorizzazione dei dati anagrafici ed un dispositivo per l'acquisizione delle impronte digitali, è stato realizzato dall'Istituto poligrafico e zecca dello Stato ed è attivato da tempo con esito positivo a detta sia dei consolati che degli utenti;

   in particolare, i cittadini trovano utile il fatto che il consolato offra, anche grazie a questo kit, un servizio «quasi a domicilio» particolarmente vantaggioso quando la circoscrizione consolare è estesa;

   la circolare del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale n. 3 del 21 giugno 2017 prevede anche per i consoli onorari la possibilità di procedere alla captazione dei dati biometrici di connazionali che richiedono un documento elettronico, per il successivo inoltro all'ufficio consolare di prima categoria;

   all'interrogante risulta che il funzionario addetto debba recarsi di persona periodicamente al consolato per connettere fisicamente il kit al computer del consolato e scaricarne i dati;

   il garante per la protezione dei dati personali, in data 26 gennaio 2017, ha espresso parere favorevole sul testo delle integrazioni da apportare al provvedimento del direttore generale della direzione generale per gli italiani all'estero e le politiche migratorie, concernente «specifiche tecniche di sicurezza del processo di emissione del passaporto elettronico», adottato ai sensi dell'articolo 9 del decreto del Ministro degli affari esteri n. 303/014 del 23 giugno 2009, recante «Disposizioni relative al modello e alle caratteristiche di sicurezza del passaporto ordinario elettronico»;

   all'interrogante risulta inoltre che sia in fase di sviluppo un software di comunicazione che permetterebbe di scaricare da remoto i dati immagazzinati in questo kit, nel rispetto della privacy dei dati trasmessi, senza la necessità che il funzionario addetto debba recarsi all'ufficio consolare di prima categoria;

   il kit rappresenta quindi un validissimo strumento per migliorare i servizi consolari ottimizzando risorse e costi nell'ottica del «consolato digitale» e della digitalizzazione della pubblica Amministrazione –:

   se il Governo sia a conoscenza dello sviluppo del software citato in premessa, che semplificherebbe le operazioni di rilascio e rinnovo dei passaporti per i cittadini italiani residenti all'estero e, in caso affermativo, quali siano i tempi per la sua adozione.
(4-00553)

  Risposta. — Come noto, ai titolari di uffici consolari onorari è data la possibilità di acquisire in loco, tramite dotazioni hardware e software, i dati anagrafici e biometrici dei richiedenti passaporto, per successiva trasmissione fisica all'ufficio consolare di prima categoria, che provvede all'istruttoria e alla stampa del libretto. Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, in collaborazione con l'Istituto poligrafico e zecca dello Stato, ha da tempo avviato un progetto che, nel recepire le indicazioni tecniche del garante della privacy citate dall'interrogante, consente la trasmissione securizzata dei dati così acquisiti, senza necessità per il titolare dell'ufficio consolare onorario di recarsi di persona presso l'ufficio consolare di prima categoria. I dati vengono infatti caricati telematicamente dal titolare dell'ufficio consolare onorario su un circuito protetto, per la successiva lavorazione da parte del competente ufficio di prima categoria.
  A seguito del positivo esito dei
test operativi eseguiti nel mese di giugno 2018 presso il Consolato onorario di Palma de Maiorca, è stato possibile collaudare l'infrastruttura centrale deputata al progetto, configurare le postazioni di lavoro da assegnare ai titolari di uffici consolari onorari e creare le relative utenze.
  È tuttora in corso la fornitura, da parte dell'Istituto poligrafico e zecca dello Stato, delle 113 postazione mobili destinate, per il tramite degli uffici consolari di prima categoria, ad altrettanti uffici consolari onorari, nonché delle
smart card personalizzate (cosiddette Sco) e dei dispositivi one time password (Oto) indispensabili per la trasmissione dei dati. Alla data del 20 agosto sono già state inviate 90 postazioni e entro la fine del mese si prevede rinvio delle relative Sco e Otp. Allo stato attuale, risultano otto gli uffici consolari onorari che utilizzano il nuovo software (Phuket, Palma di Maiorca, Alicante, Pittsburgh, Brema, Cardiff, Auckland, Malindi), per un totale di 144 pratiche di passaporto.
  Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale assicura il costante monitoraggio del dispiegamento delle postazioni nonché, per il tramite di un apposito servizio di
helpdesk, l'assistenza tecnica necessaria a garantire la piena operatività del progetto presso gli uffici consolari onorari.
  L'operatività del nuovo sistema per la captazione e trasmissione dei dati biometrici a distanza che a breve entrerà a regime per i consolati onorari interessati consentirà un servizio di prossimità all'utente (particolarmente gradito nel caso di grandi circoscrizioni consolari o per gli utenti che hanno difficoltà di mobilità); un risparmio per l'erario (non dovendo più coprire le spese di missione del console onorario presso la sede di I categoria per il trasferimento fisico dei dati biometrici – sistema in vigore prima dell'applicazione del progetto di cui si tratta); un migliore utilizzo delle ormai scarse risorse umane delle sedi consolari.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ricardo Antonio Merlo.


   BINELLI, VANESSA CATTOI, FUGATTI, SEGNANA e ZANOTELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   la Val Rendena si trova nel Trentino-Alto Adige, in provincia di Trento, ed è suddivisa in 10 amministrazioni comunali, che comprendono una popolazione vasta, aumentata per effetto del massiccio turismo attirato dalle bellezze naturali dei territori;

   tali paesaggi di altissimo valore ambientale ospitano tuttavia grandi carnivori che sempre più spesso si spingono nelle valli, fino ai centri abitati, o che si rischia di incontrare durante passeggiate nei boschi o verso i laghi;

   in particolare, si sono registrate aggressioni da parte degli orsi, che rendono di fatto impossibile la convivenza tra l'uomo e tali animali;

   spesso i cittadini si sentono «confinati» ed evitano le gite e le passeggiate in montagna;

   è sufficiente avventurarsi in una strada di montagna, persino asfaltata, per incontrare plantigradi sul percorso, rendendo impossibile il proseguimento del tragitto, anche con mezzi a motore, come documentano filmati pubblicati dai media locali;

   a tal proposito, sabato 7 aprile 2018 è stato pubblicato dal sito www.news.giudicarie.com un video che riprende le spettacolari immagini dell'incontro di un ragazzo con un esemplare di orso, che si è fermato davanti a lui per parecchi minuti, fortunatamente senza conseguenze;

   a parere degli interroganti il progetto «Life ursus» è stato sottovalutato dalle autorità locali, che hanno perso di fatto il controllo sugli esemplari, e le associazioni ambientaliste pubblicano vademecum su «cosa fare se si incontra un orso», come fosse la cosa più normale del mondo;

   la provincia di Trento continua a disinteressarsi della problematica ma, con l'approssimarsi della stagione estiva e quindi dell'incremento delle gite e delle escursioni, si rende assolutamente necessario un aumento del livello di guardia, già alto da anni;

   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno e urgente convocare un tavolo istituzionale, coinvolgendo gli enti locali interessati ai vari livelli, per trovare una soluzione condivisa e valutare iniziative normative, anche allo scopo di consentire alla provincia di Trento una gestione autonoma delle problematiche legate ai grandi carnivori tutelati dalla direttiva 92/43/CEE «Habitat».
(4-00074)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle problematiche connesse alla gestione e conservazione dell'orso in Italia, in particolare nella Provincia Autonoma di Trento, si rappresenta quanto segue.
  Occorre, in primo luogo, ricordare che l'orso è una specie particolarmente tutelata dal quadro normativo europeo: la Convenzione di Berna lo inserisce tra le specie strettamente protette (allegato II) mentre la Direttiva Habitat lo colloca tra le specie di interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di ZSC e una protezione rigorosa (allegati B e D).
  Per quanto concerne la disciplina nazionale, la richiamata normativa europea è stata recepita dal decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 nonché da una serie di disposizioni contenute nella legge 11 febbraio 1992, n. 157.
  In base al quadro normativo nazionale e comunitario sopra delineato, in via generale, è dunque attualmente vietata l'uccisione di esemplari della specie. Le norme prevedono possibilità di deroga ai divieti di cattura o abbattimento solo in caso di gravi danni e a condizione che non esistano soluzioni alternative praticabili e che la deroga non pregiudichi il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente delle popolazioni di lupo e di orso.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha da sempre tenuto in grande considerazione la necessità di realizzare e garantire un'efficace conservazione e gestione dell'orso in Italia, trattandosi di specie di alto valore naturalistico la cui tutela non può prescindere da una adeguata gestione dei conflitti con la zootecnia.
  Con questa finalità, si segnala che dal 2015 è stata formalmente istituita una commissione tecnica composta da Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la provincia autonoma di Trento e l'Ispra per la gestione dell'orso e dei grandi carnivori. Dalla sua istituzione, la commissione si incontra regolarmente per affrontare le questioni relative alla gestione e conservazione dell'orso che, peraltro, trova tutela anche nell'ambito del Piano d'Azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno sulle Alpi centro-orientali (Pacobace).
  L'Ispra ha evidenziato, peraltro, che, in ragione delle caratteristiche ecologiche delle specie di grandi carnivori, che si muovono su aree molto vaste, e degli obblighi derivanti dall'impatto normativo comunitario, la gestione dell'orso richiede necessariamente una pianificazione su scala sovra-provinciale, dell'intero contesto alpino.
  Ad ogni modo, è opportuno segnalare, che la provincia autonoma di Trento e Bolzano, nella gestione della problematica in esame, ha presentato una proposta di norma di attuazione dello Statuto speciale, finalizzata a conferire alle province autonome le competenze spettanti allo Stato ai sensi dell'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche). La norma prevede di demandare al presidente della provincia interessata l'adozione delle misure di prevenzione e di intervento urgente connesse alla gestione della presenza dell'orso e del lupo nel territorio provinciale, nel rispetto delle finalità, delle condizioni e dei limiti ivi previsti. La predetta norma integrativa è stata sottoposta all'esame della Commissione paritetica di cui all'articolo 107 dello Statuto (commissione dei dodici), anche al fine di attivare il confronto istruttorio con i Ministeri competenti.
  Alla luce delle informazioni esposte, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ribadisce la propria disponibilità al confronto è alla ricerca di soluzioni condivise, ferma restando la consolidata e coerente contrarietà del ministero rispetto ad atti normativi delle regioni o delle province autonome, di deroga alla legge vigente in materia, in violazione dei princìpi costituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   BITONCI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   a Padova ha sede il 2° reparto manutenzione missili dell'Aeronautica militare italiana, presidio militare storico, al quale sono addetti centinaia di civili e militari;

   grazie alla sua centralità territoriale, il reparto ha da sempre ricoperto un ruolo di particolare rilievo nell'attività dell'aeronautica militare in Veneto;

   con la legge 31 dicembre 2012, n. 244, recante la «Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale e norme sulla medesima materia», è stata avviata una contrazione del 30 per cento delle attuali strutture operative, logistiche, formative, territoriali e periferiche del Ministero della difesa, di cui sono stati strumento i due decreti legislativi n. 7 è n. 8 del 28 gennaio 2014, riguardanti, rispettivamente, la revisione dell'assetto strutturale e organizzativo delle Forza armate e quella del personale militare e civile;

   con successivi atti è stata disposta la soppressione del 2° reparto manutenzione missili di Padova entro il 2018, con rilocazione «sull'aeroporto di Treviso per razionalizzazione degli assetti di supporto»;

   era dal 2013 che si susseguivano voci circa la chiusura di questo presidio militare, intervallate da accelerazioni e smentite che hanno in più fasi intimorito e rassicurato il personale dipendente della base;

   recentemente, tuttavia, i dipendenti militari e civili del 2° reparto manutenzione missili di Padova sono stati avvisati dell'intenzione del Ministero della difesa e dello Stato Maggiore dell'Aeronautica di voler dar corso alle previsioni delle soppressioni, possibilmente entro l'anno 2018;

   il territorio della provincia di Padova ha già perso, negli ultimi decenni, importanti presidi dell'aeronautica militare (quelli di Monte Venda, Vigodarzere e Bagnoli di Sopra), alcuni dei quali sono divenuti in seguito strutture per l'accoglienza dei profughi;

   alla soppressione del 2° reparto manutenzione missili conseguirebbero l'abbandono di un quantitativo rilevante di strutture destinate nel breve termine al degrado e all'incuria, nonché un disimpegno sul ruolo dell'aeroporto civile di Padova, con importanti effetti diretti sull'indotto e nell'occupazione nei settori legati alla presenza militare in città;

   la rilocazione su altre sedi del personale e la chiusura della base causerebbero grave disagio a tanti dipendenti, molti dei quali padovani di adozione, con effetti negativi per il tessuto commerciale cittadino, in particolare nel quartiere San Giuseppe e nelle aree limitrofe;

   l'attuazione di questa misura di razionalizzazione rischia inoltre di creare, nel giro di pochi mesi, una nuova sacca di degrado a pochi passi dal centro storico, oltre che una serie di disagi per il personale dipendente e ripercussioni negative sull'economia reale cittadina –:

   alla luce delle circostanze generalizzate in premessa, se il Governo non ritenga possibile rivedere, revocandola, la decisione concernente la soppressione del 2° reparto manutenzione missili dell'Aeronautica militare italiana basato a Padova.
(4-00081)

  Risposta. — Il provvedimento di rilocazione del 2° reparto manutenzione missili – non si tratta di «soppressione», in quanto il reparto è di previsto trasferimento in altra sede – rientra, al pari di altre analoghe misure disposte per l'intero territorio nazionale, nel quadro della razionalizzazione operata in aderenza alla legge n. 244 del 2012 «Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale».
  In particolare, la riduzione del dispositivo territoriale dell'Aeronautica militare ha comportato una ristrutturazione oculata, improntata alla salvaguardia dell'operatività e dell'ottimizzazione delle risorse umane e materiali, che rispecchia altresì le razionalizzazioni funzionali ai nuovi sistemi d'arma acquisiti.
  Tenendo nel debito conto le conseguenze di tali provvedimenti in termini di contrazioni organiche e di movimentazioni, si è da subito operato per armonizzarne – pur nell'ambito della natura discrezionale che connota i trasferimenti autoritativi del personale da parte dell'Amministrazione difesa – la pianificazione con le esigenze del personale dipendente.
  In particolare, la trasformazione e la rilocazione degli enti dislocati su Padova è stata partecipata al personale militare sia a scopo informativo, sia per acquisire informali elementi per un reimpiego ottimale, compatibilmente con le prioritarie esigenze istituzionali.
  Per il personale civile, è stato già coordinato con le amministrazioni locali il reimpiego totale su Padova presso gli enti di organizzazione delle Forze armate rimanenti sul territorio.
  Le infrastrutture che ospitano il 2° reparto manutenzione missili, in carico all'Aeronautica militare, verranno rese disponibili per la cessione e valorizzazione alle amministrazioni pubbliche locali o centrali attraverso gli enti preposti della difesa.
  Non ultimo, rappresento che è attualmente allo studio la fattibilità di una proroga di un anno, dal 31 dicembre 2018 al 31 dicembre 2019, dell'attuazione dei succitati provvedimenti, soprattutto al fine di agevolare una migliore pianificazione dei trasferimenti, nel richiamato spirito di coniugare le esigenze di servizio con quelle del personale coinvolto.

La Ministra della difesa: Elisabetta Trenta.


   BOND. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   i residenti e in particolare i proprietari delle strutture ricettive di Arabba, seconda località turistica per numero di presenze in provincia di Belluno, segnalano da tempo le condizioni di degrado in cui versa la caserma Gioppi, un tempo gloriosa base logistica addestrativa del comando truppe alpine ed oggi abbandonata e desolatamente vuota, struttura che offre un indecoroso spettacolo nel centro del paese, tra lamiere contorte e giardino incolto, ridotto a deposito di rifiuti;

   i residenti hanno inviato una lettera al comando truppe alpine di Bolzano senza ricevere risposta; una seconda lettera certificata (raccomandata-elettronica) è stata inviata al Capitano Gianluca Guidi al comando delle forze operative Nord in piazza Prato della Valle (Padova). In tale lettera i proprietari delle strutture ricettive limitrofe alla caserma, esasperati dalla situazione, hanno chiesto di potersi attivare, come privati cittadini, per rimuovere tale scempio e smaltire lamiere, ferro ed immondizia. A fronte di tale richiesta l'arma dei carabinieri ha avvertito che un simile intervento, se pur più che comprensibile, è passibile di denuncia penale d'ufficio per accesso in zona militare con limite invalicabile –:

   se non ritenga opportuno intervenire con la massima sollecitudine, anche in considerazione dell'inizio della stagione estiva, per avviare lavori di sistemazione e messa in sicurezza presso la caserma Gioppi di Arabba (Belluno), al fine di non danneggiare il decoro di tale centro turistico e di garantire la sicurezza dei cittadini;

   se non ritenga opportuno intervenire, al riguardo anche per motivi legati al prestigio delle Forze armate.
(4-00588)

  Risposta. — La caserma «Gioppi», costituita da 5 principali corpi di fabbrica di cui uno denominato appunto palazzina «Gioppi», nell'ultima stagione invernale, a seguito di alcuni eventi meteorologici particolarmente intensi, ha subito un deterioramento delle proprie condizioni infrastrutturali.
  Tale circostanza ha indotto l'Amministrazione militare ad avviare, in data 2 luglio 2018, i lavori finalizzati alla rimozione del materiale pericolante e alla completa messa in sicurezza della facciata della palazzina della Caserma in argomento, attraverso il ricorso a ditta esterna.
  La definitiva sistemazione del sito è stata ultimata nel mese di luglio 2018.

La Ministra della difesa: Elisabetta Trenta.


   CANTALAMESSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nella giornata del 1° luglio 2018, si è verificato l'ennesimo disastro ambientale in una zona già martoriata da tali eventi, e precisamente all'interno di un centro di stoccaggio di ecoballe, in località Ponte delle Tavole a San Vitaliano (Napoli) a circa 100 metri dal centro abitato;

   il sito di stoccaggio andato a fuoco è di proprietà società «Ambiente S.r.l. - Ecologia Buscino» che opera nel settore della raccolta, del trattamento e dello smaltimento dei rifiuti;

   l'incendio verificatosi è stato di enorme portata e ha coinvolto le balle di immondizia depositate in un capannone della suddetta azienda;

   come accennato in precedenza, l'area interessata ha già subito nel tempo tragici eventi ambientali, si ricorda tra tutti l'episodio del cosiddetto «Triangolo dei veleni» (Acerra, Nola, Marigliano). Inoltre, il comune di San Vitaliano è già tra i più inquinati d'Italia (le polveri sottili hanno sforato per 113 giorni la soglia di pm10 nell'ultimo anno);

   il vasto incendio, con conseguente rogo tossico, ha provocato un'enorme nube nera, rendendo l'aria irrespirabile. Per tale ragione – considerato il rischio di una intossicazione da diossina – i sindaci dei paesi limitrofi hanno provveduto ad emanare delle ordinanze aventi ad oggetto il divieto di commercializzare i prodotti agricoli coltivati nei fondi situati nelle immediate adiacenze del rogo e di trattenersi all'aperto, nonché l'obbligo di restare in casa con le finestre chiuse e i condizionatori d'aria spenti;

   in tale zona i roghi tossici si verificano quasi quotidianamente seppur con intensità variabile, aggravando, occorre ribadirlo nuovamente, l'impatto ambientale in un'area già ferita e martoriata dalla tragedia della «Terra dei fuochi»;

   la magistratura svolgerà tutte le indagini necessarie per accertare o scongiurare l'eventuale matrice dolosa dell'incendio delle balle –:

   quali iniziative di competenza intendano adottare per tutelare la salute dei cittadini residenti in quest'area e promuovere delle verifiche e degli accertamenti in merito alla corretta applicazione delle norme ambientali e di sicurezza da parte della società Ambiente s.p.a. (dalla cui sede è divampato l'incendio), tenuto conto della localizzazione dell'evento in prossimità del centro residenziale del comune di San Vitaliano;

   se i quantitativi dei rifiuti esistenti nei depositi dell'azienda risultino corrispondenti a quelli autorizzati.
(4-00614)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'incendio verificatosi il 1° luglio 2018 e che ha interessato lo stabilimento della ditta Ambiente s.p.a. in San Vitaliano, provincia di Napoli, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  L'ARPAC intervenuta sul posto, ha riferito che la società svolge attività di trattamento e recupero rifiuti autorizzata con Dd n. 273 dell'8 ottobre 2012 successivamente modificato fino al Dd autorizzazione integrale ambientale n. 47 dell'8 marzo 2017.
  La parte interessata dall'incendio ha riguardato aree di stoccaggio di balle di rifiuti di carta, plastica e legno, nello specifico, nella zona del capannone C, in cui si effettuano operazioni di stoccaggio e trattamento dei rifiuti (ingombranti, legno, carta, plastica) per una superficie di circa 1.500 metri quadrati.
  L'ARPAC ha fatto presente che il nucleo nucleare-biologico-chimico-radiologico dei Vigili del fuoco, in fase di spegnimento, ha effettuato le prime ricerche che non hanno evidenziato superamenti di sostanze ritenute nocive (sostanze volatili) ed ha effettuato due diversi sopralluoghi, rispettivamente il 5 e il 12 luglio, in accordo con il NOE di Napoli, a seguito dei quali, per il principio di precauzione, i cumuli di rifiuti sono stati classificati a vista ed è stato assegnato loro il codice CER in base alle diverse tipologie.
  La stessa agenzia ha inoltre specificato che successivamente alla rimozione dei rifiuti a cura del soggetto obbligato, ai sensi dell'articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006, dovranno essere effettuate delle indagini preliminari nell'area oggetto di incendio, al fine di verificare l'eventuale superamento delle CSC (concentrazione soglia di contaminazione).
  Sempre l'ARPAC ha fatto presente, inoltre, che al gestore è stato prescritto che i rifiuti classificati, previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria procedente, dovranno essere rimossi ed avviati al recupero e/o smaltimento secondo la natura degli stessi, ai sensi della normativa vigente ed in base al piano di intervento che la ditta dovrà provvedere a realizzare.
  Nei giorni 6 e 7 luglio 2018 è stato effettuato anche il prelievo di
top-soil nei territori dei comuni di Nola e San Vitaliano, rispettivamente oggetto della ricaduta di eventuali inquinanti provenienti dal plum dei fumi dell'incendio per la direzione prevalente N, NE per la ricerca di diossina, furani, PCB, C > 12 e metalli.
  In data 9 luglio sono stati effettuati campionamenti di alcuni pozzi ad uso agricolo nel comune di San Vitaliano nell'area adiacente l'impianto oggetto di incendio per la ricerca, tra le altre cose, di metalli, IP A, PCB, Idrocarburi.
  Per quanto riguarda la qualità dell'aria, l'ARPAC ha precisato che durante l'incendio è stata effettuata una prima immediata verifica dei dati di monitoraggio di qualità dell'aria disponibili, provenienti dalla rete regionale di monitoraggio, e sono stati istallati due ulteriori laboratori mobili, i cui rilevamenti sono stati integrati e confrontati con quelli delle centraline fisse.
  Nei giorni successivi all'evento, le rilevazioni hanno mostrato un limitato incremento delle concentrazioni di NO2, comunque al di sotto dei valori soglia fissati dalla normativa, mentre, nei gironi successivi, i dati sono risultati in coerenza agli usuali scenari di evoluzione di questo tipo di inquinante.
  Nei giorni seguenti, le concentrazioni si sono attestate su livelli usualmente misurati.
  Più in particolare, l'andamento delle concentrazioni di ozono risulta coerente con l'evoluzione giornaliera e stagionale per questo tipo di inquinante, con una lieve flessione dei valori rispetto al giorno precedente anche a causa della minore insolazione dovuta alla velata copertura nuvolosa osservata. Con riferimento al benzene, le concentrazioni osservate hanno confermato un andamento pressoché stabile durante le 24 ore del giorno 2 luglio, con l'eccezione di alcuni picchi orari per San Vitaliano, probabilmente dovuti a fenomeni di diffusione dell'inquinante dal sito dell'incendio verso la zona in cui è installata la centralina. Nei giorni seguenti, nel complesso, le concentrazioni si sono attestate su livelli usualmente misurati.
  Per il monossido di carbonio, sono stati confermati valori tipicamente registrati e ampiamente al di sotto delle soglie normative vigenti.
  Con riferimento alle polveri sottili, non sono stati registrati superamenti del valore limite giornaliero nell'area per il giorno 2 luglio. Le concentrazioni medie giornaliere di PM10 sono state maggiori nelle centraline di S. Vitaliano e Pomigliano, mentre quelle di PM2,5 sono risultate coerenti con i livelli usualmente osservati in questo periodo dell'anno ad eccezione della stazione di Tufino, per la quale non si esclude un parziale impatto del trasporto di materiale combusto aerodisperso.
  In merito all'evento, occorre inoltre evidenziare che, per migliorare la sicurezza di impianti come quello di San Vitaliano, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con apposita circolare del 15 marzo 2018, ha diramato le «linee guida per la gestione operativa degli stoccaggi negli impianti di gestione dei rifiuti e per la prevenzione dei rischi».
  Inoltre, ferme restando le determinazioni dell'autorità giudiziaria, che ha in corso indagini relative all'impianto di San Vitaliano, la cabina di regia, istituita sulla base del patto per la terra dei fuochi, ha individuato aree dove hanno sede i siti di stoccaggio e trattamento dei rifiuti, in modo da consentire alle Forze dell'ordine e alle polizie locali, congiuntamente ai militari dell'Esercito, di predisporre in quei territori mirati dispositivi di vigilanza nell'ambito delle operazioni straordinarie programmate.
  Secondo quanto riferito dall'incaricato per il contrasto del fenomeno dei roghi della Campania, i dati mostrano che questa nuova misura è in grado di potenziare ai massimi livelli la capacità di controllo.
  Tali risultati trovano riscontro anche nei dati dei vigili del fuoco relativi agli interventi di spegnimento degli incendi di rifiuti. Infatti, sempre secondo quanto riferito dall'incaricato, l'andamento dell'ultimo quinquennio vede una diminuzione del fenomeno (si è scesi dai 3.984 interventi complessivi effettuati nel 2012, ai 1.932 interventi alla fine del 2017), in lieve controtendenza lo scorso anno, ha ripreso a decrescere nei primi mesi del 2018.
  In relazione agli eventi che interessano la tipologia di impianti in questione, la prefettura di Napoli ha comunicato inoltre che, sulla base della direttiva adottata dal Ministero dell'interno il 13 luglio 2018, sono stati sensibilizzati anche i sindaci a mobilitare i corpi di Polizia municipale e i gestori al fine di predisporre le misure utili ad arginare il fenomeno.
  La problematica relativa alle attività di controllo, prevenzione e contrasto di tali eventi è stata affrontata anche in sede di comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica il 1° agosto 2018, alla presenza di tutti i soggetti interessati.
  In tale sede, il Vicepresidente della Giunta regionale ha informato della proposta di modifica della legge n. 14 del 2016 che prevede misure integrative e prescrizioni più rigorose per la gestione dei siti, tra cui specifici emendamenti riguardanti l'obbligo, a carico dei gestori, di dotare i siti di un sistema integrato di videosorveglianza, nonché una vigilanza H24, pena la revoca delle autorizzazioni.
  La Prefettura ha fatto, in ultimo, presente che la regione approverà le linee guida contenenti le predette prescrizioni da inserire negli atti autorizzatori relativi alla messa in esercizio degli impianti di trattamento rifiuti e che la proposta è stata approvata dal Consiglio regionale nella predetta seduta del 1° agosto scorso.
  Per quanto concerne i dati relativi al quantitativo dei rifiuti, autorizzati e presenti, nell'impianto in questione, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha provveduto ad interessare i diversi soggetti competenti e pertanto, non appena perverranno ulteriori elementi informativi, si provvederà a fornire aggiornamenti. Si rassicura, comunque, che sarà mantenuto altro il livello di attenzione sulla questione, condividendo strategie ed indirizzi d'intervento con i soggetti istituzionali interessati.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   CAPPELLACCI e PITTALIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la continuità territoriale tra Sardegna e penisola è regolata dal regime di imposizione di oneri di servizio pubblico, di cui al decreto ministeriale n. 61 del 2013;

   il decreto, adottato nel rispetto degli articoli 16 e 17 del regolamento (CE) n. 1008/2008, permetteva il varo nel 2013 di un nuovo modello di continuità territoriale aerea sulle rotte Cagliari-Roma, Cagliari-Linate, Alghero-Roma, Alghero-Linate, Olbia-Roma, Olbia-Linate, e viceversa, prevedendo nove mesi di tariffa unica e tre di tariffe agevolate per i soli residenti;

   l'articolo 16, paragrafo 2, prevede: «Qualora altre modalità di trasporto non possano garantire servizi ininterrotti con almeno due frequenze giornaliere, gli Stati membri interessati hanno la facoltà di prescrivere, nell'ambito degli oneri di servizio pubblico, che i vettori aerei comunitari che intendono operare sulla rotta garantiscano tale prestazione per un periodo da precisare, conformemente alle altre condizioni degli oneri di servizio pubblico»;

   tra gli elementi da valutare, il paragrafo 3, lettera b), indica: «la possibilità di ricorrere ad altre modalità di trasporto e dell'idoneità di queste ultime a soddisfare il concreto fabbisogno di trasporto, in particolare nel caso in cui i servizi ferroviari esistenti servano la rotta prevista con un tempo di percorrenza inferiore a tre ore e con frequenze sufficienti, coincidenze e orari adeguati»;

   la Sardegna è un'isola, l'assenza assoluta della possibilità di raggiungere le destinazioni in tre ore con altri mezzi di trasporto è un dato oggettivo e incontrovertibile;

   l'articolo 1, commi 837 e 840, della legge 27 dicembre 2006 (finanziaria 2007) prevedeva il passaggio delle funzioni in materia di continuità territoriale alla regione autonoma della Sardegna e l'assunzione dei relativi oneri finanziari a carico della medesima regione;

   attualmente, le interlocuzioni tra la regione Sardegna e l'Unione europea sono in fase di stallo, rilevandosi divergenze sull'interpretazione dell'articolo 16, paragrafo 1 secondo il quale: «Tale onere è imposto esclusivamente nella misura necessaria a garantire che su tale rotta siano prestati servizi aerei di linea minimi rispondenti a determinati criteri di continuità, regolarità, tariffazione o capacità minima, cui i vettori aerei non si atterrebbero se tenessero conto unicamente del loro interesse commerciale»;

   l'Unione europea interpreterebbe «servizi minimi» restrittivamente e in contrasto con l'orientamento della stessa Commissione rischiando di neutralizzare la «ratio» regolamentare, considerando che un regime di oneri di servizio «minimo» dovrebbe garantire il diritto alla mobilità dei cittadini residenti in Sardegna e essere orientato allo sviluppo economico-sociale della regione. L'articolo 16, paragrafo 1, recita: «Uno Stato membro può imporre oneri di servizio pubblico riguardo ai servizi aerei di linea effettuati tra un aeroporto comunitario e un aeroporto che serve una regione periferica o in via di sviluppo all'interno del suo territorio o una rotta a bassa densità di traffico verso un qualsiasi aeroporto nel suo territorio, qualora tale rotta sia considerata essenziale per lo sviluppo economico e sociale della regione servita dall'aeroporto stesso»;

   la continuità tra territori del Paese è di rilievo nazionale e l'articolo 36 della legge n. 144 del 1999, assegna al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti la competenza a imporre con proprio decreto oneri di servizio pubblico sui servizi di linea effettuati tra gli scali aeroportuali della Sardegna ed i principali aeroporti nazionali;

   occorre un'azione forte da parte di tutti i livelli statali presso le istituzioni europee a tutela del diritto alla mobilità dei sardi e alla necessità di superare la condizione di insularità;

   tale intervento deve avvenire con la massima urgenza, considerando che l'attuale regime di imposizione degli oneri di servizio è già scaduto, e prorogato ai sensi del decreto ministeriale del 25 ottobre 2017 «fino all'entrata in vigore della nuova imposizione di oneri di servizio pubblico in via di definizione» –:

   se il Governo intenda intervenire presso la Commissione europea al fine di sostenere la rivendicazione della Sardegna a un'interpretazione del richiamato regolamento coerente con la tutela del diritto alla mobilità e della continuità territoriale per i territori insulari.
(4-00628)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Sulla base dei lavori della conferenza dei servizi, conclusi il 12 luglio 2018, per definire i nuovi oneri di servizio pubblico sui collegamenti aerei da e per la regione Sardegna, in conformità al regolamento (CE) n. 10008/2008, questo Ministero in data 8 agosto 2018 ha emanato il decreto n. 367 la cui nota informativa è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea n. C314 il 6 settembre 2018.
  Con tale provvedimento, pubblicato integralmente nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 222 il 24 settembre 2018 e consultabile sul sito di questo Ministero, sono stati imposti oneri di servizio pubblico sui collegamenti aerei tra gli scali sardi di Alghero. Cagliari e Olbia e gli scali di Roma Fiumicino e Milano Linate.
  Questa amministrazione, dopo aver ricevuto dalla regione Sardegna, che ha competenza in materia di continuità territoriale sarda, i bandi di gara per ciascuna delle rotte onerate e la relativa documentazione tecnica, ne ha verificato congiuntamente all'Enac, contenuto e quindi gli stessi ha curato le connesse note informative di gara (articolo 17, paragrafo 5, regolamento (CE) n. 1008/2008).
  Tutta la documentazione relativa ai sei bandi per le gare da esperire qualora nessun vettore aereo accettasse l'imposizione degli oneri senza compensazione finanziaria è stata trasmessa il 20 settembre 2018 alla Rappresentanza permanente d'Italia per l'inoltro alla Commissione europea e la successiva pubblicazione.
  Detti bandi sono stati pubblicati nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea n. C362 dell'8 ottobre 2018, da tale data decorrono i due mesi entro i quali le compagnie aeree interessate potranno presentare le offerte (articolo 17, paragrafo 4, regolamento (CE) n. 1008/2008).

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Danilo Toninelli.


   CARETTA e CIABURRO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'esponenziale ed incontrollato incremento delle popolazioni di lupo (canis lupus), riscontrabile negli ultimi anni in molte regioni italiane, sta già provocando gravi ripercussioni negative tra le popolazioni umane esistenti, in particolare per coloro che esercitano l'attività agricola, l'allevamento, la gestione faunistica, ma anche tra la cittadinanza tutta, preoccupata per la propria incolumità minacciata dalla presenza di questo grande carnivoro, che non esita a spingersi, nel corso delle sue attività predatorie, in prossimità dei centri abitati;

   da numerosi incontri tenutisi in questi ultimi mesi sul territorio italiano è emersa la forte preoccupazione da parte di molti sindaci ed amministratori locali per gli effetti negativi che si potrebbero creare a danno del turismo e delle varie attività produttive, oltre allo stato di comprensibile disagio dei cittadini nel vedere minacciata la loro sicurezza dalla presenza crescente di questi grandi carnivori;

   gli allevatori italiani, già provati dalle difficoltà causate dalla grave crisi economica che sta stritolando le loro attività, non possono permettersi il lusso di sostenere ulteriori costi aggiuntivi legati alle predazioni dei branchi di lupi che stanno imperversando in alcune aree della penisola, causando, oltre ai danni materiali per gli animali di allevamento sbranati, anche uno stato d'animo gravato da una comprensibile apprensione, tale da indurre molti allevatori a lasciare le proprie attività con il conseguente abbandono del territorio che causerebbe gravi ripercussioni per la salvaguardia del territorio stesso e dell'ambiente –:

   se non ritenga di assumere iniziative per provvedere al risarcimento di tutti i danni diretti ed indiretti causati dalla predazione dei lupi sul territorio italiano entro e non oltre sei mesi dalla data dell'accertamento effettuato dalle autorità competenti;

   se non intenda attuare immediatamente un efficace piano di gestione e di contenimento del lupo (canis lupus) su tutto il territorio nazionale, così come del resto avviene negli altri Paesi membri dell'Unione europea, in modo da garantire la compatibilità tra la presenza di questo grande carnivoro e le attività umane, la corretta gestione della fauna selvatica e la salvaguardia del territorio.
(4-00310)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle problematiche connesse alla gestione e conservazione del lupo in Italia, in particolare nella provincia autonoma di Trento, si rappresenta quanto segue.
  Occorre, in primo luogo, ricordare che il lupo è specie particolarmente tutelata dal quadro normativo europeo: la convenzione di Berna lo inserisce tra le specie strettamente protette (allegato II) mentre la direttiva Habitat lo colloca tra le specie di interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di ZSC e una protezione rigorosa (allegati B e D).
  Per quanto concerne il quadro normativo nazionale, la richiamata disciplina europea è stata recepita dal decreto del Presidente della Repubblica dell'8 settembre 1997, n. 357 nonché da una serie di disposizioni contenute nella legge 11 febbraio 1992, n. 157.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare tiene in grande considerazione la necessità di realizzare e garantire un'efficace conservazione e gestione del lupo e dell'orso in Italia, trattandosi di specie di alto valore naturalistico la cui tutela non può prescindere da una adeguata gestione dei conflitti con la zootecnia.
  Con questa finalità, l'Italia si è dotata nel 2002, in particolare, di un piano d'azione per la conservazione e gestione del lupo, che esclude la possibilità di attivare deroghe ai divieti di abbattimento della specie. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha, inoltre, predisposto e portato in discussione presso la conferenza Stato-regioni un aggiornamento del predetto piano d'azione. In tale piano sono individuate 22 azioni per regolare il rapporto uomo-lupo che prevedono soluzioni alternative all'abbattimento. Allo stato, si è in attesa della sua condivisione da parte delle regioni, in quanto autorità competenti per la gestione del territorio.
  In base al vigente quadro normativo, sia nazionale che comunitario, in via generale, è dunque attualmente vietata l'uccisione di esemplari della specie. Le norme prevedono possibilità di deroga ai divieti di cattura o abbattimento solo in caso di gravi danni e a condizione che non esistano soluzioni alternative praticabili. Inoltre, tale deroga non deve pregiudicare il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, delle popolazioni di lupo.
  L'ISPRA ha evidenziato, peraltro, che, in ragione delle caratteristiche ecologiche delle due specie di grandi carnivori, che si muovono su aree molto vaste, e tenuto conto degli obblighi derivanti dalla normativa europea, la gestione del lupo e dell'orso richiede necessariamente una pianificazione su scala sovra-provinciale, così da ricomprendere dell'intero contesto alpino.
  Infine, per quanto concerne la disciplina del risarcimento dei danni, si segnala che la stessa è già sufficientemente normata dalla legge n. 157 del 1992, che ne affida la competenza alle regioni.
  Alla luce delle informazioni esposte, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ribadisce la propria disponibilità al confronto e alla ricerca di soluzioni, e continuerà a svolgere la propria attività senza ridurre in alcun modo il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   VANESSA CATTOI, BINELLI, FUGATTI, SEGNANA e ZANOTELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   un articolo del 22 gennaio 2018 sintetizza l'allarme che reca nel Trentino la presenza dei lupi, più volte sottolineato dai media negli ultimi mesi, e denota una profonda rottura della convivenza equilibrata tra l'uomo e il lupo in questo territorio;

   la foto di due carcasse di capre sul terreno sbranate dai lupi, in Vallarsa, fa rabbrividire e, purtroppo, non è l'unico orribile spettacolo nello scenario dei media di questi mesi; il comportamento aggressivo dei lupi in Vallarsa sta mettendo in crisi tutte le mandrie e i greggi;

   segnalazioni vi sono state a Matassone e nei dintorni di Ometto, dove gli animali si sarebbero spinti fino al limite dei centri abitati; una carcassa di volpe divorata è stata trovata nei pressi del centro abitato;

   il ritrovamento a Foxi di due carcasse sbranate dai lupi, con relativa conferma da parte del veterinario, ha creato paura e timore negli abitanti della zona che, da una parte, si interrogano sul numero degli esemplari di lupo presenti in Vallarsa e, dall'altra, si rivolgono alla provincia, chiedendo interventi concreti per la propria sicurezza;

   la provincia autonoma di Trento ha messo in atto alcune azioni che tuttavia si limitano al monitoraggio della specie, all'informazione del pubblico, al confronto tra le categorie economiche maggiormente interessate alla presenza dei grandi carnivori, all'indennizzo per gli allevatori; si tratta di azioni che non risolvono questioni basilari di gestione della presenza di nuovi branchi nelle valli e non garantiscono la sicurezza dei cittadini;

   il Ministro interrogato ha elaborato un «Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia» in attuazione della strategia nazionale per la biodiversità che, tuttavia, non ha completato l’iter di approvazione anche per la contrarietà di regioni e province autonome in sede di Conferenza Stato-regioni;

   a livello europeo, nell'ambito del percorso di revisione intermedia della strategia dell'Unione europea sulla biodiversità e del «Piano d'azione per la natura, i cittadini e l'economia», di cui alla comunicazione della Commissione al Parlamento COM2017/198, è stata recentemente approvata dal Parlamento europeo una risoluzione, la P8_TA(2016)0034, che sottolinea che le «direttive sulla tutela della natura prevedono un'ampia flessibilità onde agevolarne l'attuazione tenendo conto delle esigenze economiche, sociali, culturali e regionali secondo quanto sancito dalla direttiva Habitat;» e riconosce la necessità di «valutare accuratamente il ruolo dei grandi predatori e l'eventuale introduzione di misure di adattamento, in modo da salvaguardare la biodiversità, il paesaggio agricolo e l'allevamento del bestiame nelle regioni di montagna, praticato da secoli»;

   la situazione in Vallarsa è grave ed è lampante la necessità di prendere immediati provvedimenti per risolvere tale situazione di emergenza e di pericolo che preoccupa i cittadini e soprattutto gli allevatori –:

   quali iniziative urgenti il Ministro intenda adottare per far fronte alla grave situazione di emergenza e di pericolo che crea il proliferare della presenza del lupo in Vallarsa e se il Ministro non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza per affidare alla provincia autonoma di Trento la gestione in autonomia della presenza e dello stato di conservazione dei grandi carnivori come l'orso e il lupo, in conformità alla sicurezza dei cittadini e alle esigenze economiche e agricole locali.
(4-00050)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame relativa alle problematiche connesse alla gestione e conservazione dei grandi carnivori in Italia ed in particolare del lupo nella Provincia autonoma di Trento, si rappresenta quanto segue.
  Occorre, in primo luogo, ricordare che il lupo è specie particolarmente tutelata dal quadro normativo europeo: la Convenzione di Berna lo inserisce tra le specie strettamente protette (allegato II) mentre la direttiva Habitat lo colloca tra le specie di interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di Zone speciali di conservazione (Zsc) e una protezione rigorosa (allegati B e D).
  Per quanto concerne il quadro normativo nazionale, la richiamata disciplina europea è stata recepita dal decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 nonché da una serie di disposizioni contenute nella legge 11 febbraio 1992, n. 157.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare tiene in grande considerazione la necessità di realizzare e garantire un'efficace conservazione e gestione del lupo e dell'orso in Italia, trattandosi di specie di alto valore naturalistico la cui tutela non può prescindere da un'adeguata gestione dei conflitti con la zootecnia.
  Con questa finalità, l'Italia si è dotata nel 2002 di un piano d'azione per la conservazione e gestione del lupo, che esclude la possibilità di attivare deroghe ai divieti di abbattimento della specie. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha, inoltre, predisposto e portato in discussione presso la Conferenza Stato-regioni un aggiornamento del predetto piano d'azione. In tale piano sono individuate ventidue azioni per regolare il rapporto uomo-lupo che prevedono soluzioni alternative all'abbattimento. Allo stato, si è in attesa della sua condivisione da parte delle regioni, in quanto autorità competenti per la gestione del territorio.
  In base al vigente quadro normativo, sia nazionale che comunitario, in via generale, è dunque attualmente vietata l'uccisione di esemplari della specie. Le norme prevedono possibilità di deroga ai divieti di cattura o abbattimento solo in caso di gravi danni e a condizione che non esistano soluzioni alternative praticabili. Inoltre, tale deroga non deve pregiudicare il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, delle popolazioni di lupo.
  L'Ispra ha evidenziato, peraltro, che, in ragione delle caratteristiche ecologiche delle due specie di grandi carnivori, che si muovono su aree molto vaste, e tenuto conto degli obblighi derivanti dalla normativa europea, la gestione del lupo e dell'orso richiede necessariamente una pianificazione su scala sovra-provinciale, così da ricomprendere l'intero contesto alpino.
  Con riferimento alle iniziative urgenti sui casi specificatamente segnalati, si rappresenta che la Provincia autonoma di Trento ha chiesto di poter attuare attività di dissuasione sul lupo in prossimità di Canazei e che queste sono state autorizzate dal Ministero previo parere dell'Ispra.
  Atteso quanto sopra, occorre comunque segnalare che le province autonome di Trento e Bolzano, nella gestione della problematica in esame, hanno presentato una proposta di norma di attuazione dello statuto speciale, finalizzata a conferire alle stesse le competenze spettanti allo Stato ai sensi dell'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 (regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche). La norma prevede di demandare al presidente della Provincia interessata l'adozione delle misure di prevenzione e di intervento urgente connesse alla gestione della presenza dell'orso e del lupo nel territorio provinciale, nel rispetto delle finalità, delle condizioni e dei limiti ivi previsti. La predetta norma integrativa è stata sottoposta all'esame della commissione paritetica di cui all'articolo 107 dello statuto (Commissione dei dodici), anche al fine di attivare il confronto istruttorio con i ministeri competenti.
  Alla luce delle informazioni esposte, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ribadisce la propria disponibilità al confronto e alla ricerca di soluzioni condivise, ferma restando la consolidata e coerente contrarietà del Ministero rispetto ad atti normativi delle regioni o delle province autonome, di deroga alla legge vigente in materia, in violazione dei princìpi costituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   CIRIELLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   i discendenti di italiani all'estero trovano difficoltà ad ottenere la cittadinanza italiana;

   ciò è dovuto ad una serie di problematiche che rallentano e ostacolano l'iter burocratico complessivo;

   da fonti istituzionali si apprende che la trattazione della pratica si rivelerebbe tortuosa fin dal principio, essendo difficoltoso anche l'ottenimento di un primo colloquio presso le rappresentanze consolari; malgrado la legge preveda che l'intero procedimento non possa eccedere i 240 giorni (tabella 4, allegata al decreto ministeriale 3 marzo 1995, n. 171, regolamento di attuazione degli articoli 2 e 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241), allo stato attuale, in Paesi come quelli del sud America, solo per un singolo appuntamento in consolato, l'attesa potrebbe sfiorare anche i due anni, facendo sì che la durata complessiva del procedimento si aggiri intorno ai dieci; un esempio al riguardo è quello del signor O.S.M., il quale desidererebbe ottenere la cittadinanza italiana per lui ed i suoi figli, ma, nonostante abbia pronta oramai da tempo l'intera documentazione da presentare al consolato italiano in Buenos Aires, non riesce ad ottenere un appuntamento da ben più di un anno;

   le tempistiche per ottenere la documentazione, necessaria per la procedura, non sono brevi, ma, al contrario, le risposte per i richiedenti, da parte – soprattutto – dei municipi italiani, arrivano con grandissimo ritardo;

   la presenza di circolari e prassi interpretative ha sempre di più complicato tale fase documentale, in quanto è venuta meno la possibilità di utilizzare autocertificazioni e semplificazioni di ogni genere;

   la riduzione del personale delle ambasciate e, soprattutto, dei consolati italiani all'estero, ha soltanto contribuito a peggiorare lo stato delle cose, che la predisposizione di strumenti informatici non sembra aver migliorato;

   tale complessa situazione ha fatto sorgere numerosi episodi spiacevoli; in Brasile, per esempio, alcune persone hanno sfruttato le difficoltà degli uffici diplomatici a fornire risposte immediate, creando delle agenzie che, a pagamento, offrivano servizi ai richiedenti, con la promessa di accelerare i tempi per il riconoscimento della cittadinanza italiana; anche in Italia, nel maggio 2017, i poliziotti hanno arrestato sette persone della criminalità organizzata che, tramite i comuni, riuscivano a reperire in tempi brevissimi l'intera documentazione;

   ciononostante, attualmente, gli italo discendenti subiscono una violazione del proprio diritto di essere riconosciuti italiani, in contrasto con quanto previsto dall'articolo 3 della Costituzione poiché la rete consolare italiana continua a non riuscire a soddisfare l'elevato numero di richieste per ottenere la cittadinanza italiana nel mondo;

   a parere dell'interrogante vi sarebbe la necessità di ammodernare l'attuale normativa, datata e non al passo con i tempi per fronteggiare questa situazione che limita in modo ingiusto la volontà e l'orgoglio delle persone che hanno discendenza italiana di essere riconosciute come veri cittadini italiani –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti e, considerata la gravità degli stessi, quali iniziative urgenti intenda assumere, per quanto di competenza, anche di carattere normativo, per risolvere le criticità dei procedimenti relativi all'accertamento del possesso della cittadinanza italiana iure sanguinis.
(4-00376)

  Risposta. — La vigente legge sulla cittadinanza italiana (n. 91 del 1992) prevede il principio della trasmissione della cittadinanza iure sanguinis, una disciplina che ha – tra l'altro – costituito indubbiamente una garanzia di tutela per le famiglie dei tanti nostri connazionali emigrati tra la fine del XIX e i primi decenni del XX secolo, nella misura in cui essa ha consolidato un vincolo di appartenenza con la madrepatria. L'ampio riconoscimento dello status civitatis per filiazione, ha altresì facilitato il rientro in Italia di moltissime famiglie, al termine della propria esperienza, spesso difficile, all'estero.
  Con il passare del tempo, a seguito di una crescente domanda di riconoscimenti alimentata anche da situazioni di crisi economica nei Paesi ospiti, la nostra rete consolare, specialmente in America Latina, deve oggi fronteggiare una mole crescente di pratiche di ricostruzione dello
status civitatis, in un quadro che d'altro lato ha visto nell'ultimo decennio una progressiva e costante diminuzione delle risorse umane disponibili.
  Molte delle domande di cittadinanza riguardano discendenti di avi italiani trasferitisi all'estero alla fine dell'800 e richiedono esame e verifica dell'autenticità di decine e decine di atti di stato civile stranieri riguardanti molte generazioni di familiari. Le ricostruzioni in parola, proprio per l'estrema vetustà delle linee di discendenza (che in taluni casi risalgono agli Stati pre-unitari) presentano elevatissimi profili di complessità, che ne dilatano i tempi di trattazione. Non infrequenti sono, inoltre, i casi di falsificazione documentale, ciò che impone alle nostre sedi di adoperare il massimo livello di attenzione. Si contano così attualmente decine di migliaia di pratiche presentate e in attesa di istruttoria, con tempi di attesa che in alcuni casi possono rivelarsi assai lunghi.
  Ma il problema non è solo rappresentato dal tempo richiesto per l'esame delle pratiche, che i nostri consolati riescono di norma a comprimere entro i termini di legge, bensì l'attesa inevitabile a causa della domanda esorbitante – per la presentazione delle istanze e per la consegna della documentazione. Le persone in lista di attesa ammontano in alcuni casi anche ad alcune decine di migliaia. Il solo consolato generale a San Paolo, che ha registrato un aumento vertiginoso del numero di iscritti residenti (da circa 124.000 nel 2007 agli oltre 228.000 odierni), conta oggi 3.730 pratiche in corso di trattazione e circa 167.000 in attesa di presentazione. Il consolato generale a Curitiba dal canto suo conta 1.100 pratiche in trattazione e circa 23.000 in attesa di presentazione.
  Una situazione che in nessun modo è ascrivibile agli uffici consolari o ai loro responsabili e addetti, bensì alle tante richieste in una materia estremamente complessa e alle quali negli anni recenti non sono state commisurate le risorse, specie umane, a disposizione.
  Eppure i nostri uffici consolari sono riusciti comunque ad aumentare la consistenza nell'insieme dei servizi erogati. Il numero di passaporti emessi nel mondo è arrivato a quasi 350 mila, registrando un aumento del 16 per cento dal 2016 al 2017; nello stesso periodo le pratiche di stato civile sono arrivate a quasi 205.000, con un incremento del 7,5 per cento. E le pratiche di riconoscimento di cittadinanza sono aumentate di quasi il 25 per cento.
  A seguito della situazione sopradescritta, si sono moltiplicati i ricorsi sia giurisdizionali che para-giurisdizionali da parte di richiedenti che lamentano i ritardi delle pratiche di riconoscimento. L'onda del contenzioso ha, peraltro, l'effetto paradossale di distogliere risorse nei Consolati dall'attività ordinaria e dai servizi, rallentando così ulteriormente la trattazione delle pratiche.
  Per fronteggiare l'emergenza il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha già impartito istruzioni mirate, che gli uffici consolari stanno traducendo in misure organizzative interne: turnazione del personale, apertura di sportelli aggiuntivi, informative sui siti
web, acquisti di dotazioni informatiche, ricorso a personale in regime di somministrazione temporanea (cosiddetto interinale). Si è rilanciato con le altre amministrazioni interessate un processo volto alla semplificazione e razionalizzazione delle disposizioni amministrative sui procedimenti di riconoscimento, oltre a procedere alla redistribuzione tra gli uffici consolari del 30 per cento del contributo per le ricostruzioni di cittadinanza pagato dagli istanti per disposizione di legge, volto al miglioramento dei servizi consolari all'estero – fra cui in primis la gestione delle pratiche di cittadinanza.
  Per promuovere una soluzione l'azione amministrativa non basta. Si rende ormai indifferibile anche un aggiornamento delle risorse disponibili che coniughi ripristino dell'efficienza amministrativa e reclutamento di nuovo personale e questo Governo è intenzionato a mettere fine al
trend calante in termini di risorse umane e finanziarie cui abbiamo assistito negli ultimi anni ed avviare invece un'azione per il loro graduale recupero.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ricardo Antonio Merlo.


   CIRIELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   nella casa circondariale di Fuorni, a Salerno, il numero del personale di polizia penitenziaria in servizio è pari a 230 unità, con una carenza di 64 agenti, secondo quanto previsto dalla pianta organica, in base alla quale il penitenziario salernitano dovrebbe essere dotato di 394 unità;

   da tempo i sindacati degli agenti di custodia denunciano, inascoltati, la grave carenza organica di polizia penitenziaria, costretta a lavorare in condizioni di estrema difficoltà, tra turnazioni massacranti e straordinari non sempre retribuiti;

   è dura la denuncia dei sindacati Osapp, Uil Papp, Uspp, Cgil Fp e Cnpp: «Mancano più di 60 poliziotti penitenziari e inoltre bisogna procedere ad una rideterminazione dei carichi di lavoro, in vista dell'apertura ex novo di ulteriori tre quadri. Estenuanti le condizioni di lavoro, che provocano negli agenti segni di accertato disagio psicologico, poiché temono per la loro incolumità personale»;

   secondo i sindacati, il personale in servizio «è totalmente abbandonato a sé stesso e si trova a dover affrontare, quasi sempre in solitudine, la gestione dei detenuti. Personale a cui viene negata anche una dignitosa giornata festiva»;

   per il segretario del sindacato autonomo della polizia penitenziaria, Emilio Fattorello, inoltre, «da oltre un anno rimarchiamo le difficoltà di gestione della popolazione detenuta che, sempre più spesso, si ripercuotono sul personale, con eventi critici violenti. Questi atteggiamenti sono favoriti dalla mancanza di un'adeguata risposta sanzionatoria, ricompresa nell'ambito del trattamento rieducativo previsto dall'ordinamento penitenziario»;

   sempre secondo il segretario del Sappe occorre fare chiarezza rispetto a tali criticità: «L'Amministrazione ha due diverse posizioni: a livello centrale le carenze da noi denunciate hanno trovato come risposta l'invio di 12 unità, in quanto l'istituto di Salerno vivrebbe le stesse criticità in campo regionale e nazionale degli altri istituti penitenziari. Da parte della direzione della Casa circondariale di Fuorni, invece, sembra che la carenza sia superiore ed è per questo che non si riesce a garantire la sicurezza dovuta e i diritti del personale operante» –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, accertata la veridicità e la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative intenda adottare per affrontare la situazione relativa alla carenza d'organico nella casa circondariale di Fuorni, assicurare dignità professionale e migliorare le condizioni di lavoro degli agenti di polizia penitenziaria.
(4-00638)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame l'interrogante, richiamate le scoperture del personale di polizia penitenziaria in servizio presso la casa circondariale di Fuorni, a Salerno, da cui scaturirebbero una serie di criticità che si riverberano pregiudizievolmente sulle condizioni di lavoro degli stessi operatori di polizia penitenziaria, vittime anche di eventi critici violenti favoriti dalla mancanza di una adeguata risposta sanzionatoria, chiede di sapere se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti e, accertata la verità e la gravità degli stessi, quali iniziative urgenti intenda adottare per affrontare la situazione relativa alla carenza d'organico nel suddetto istituto nonché per assicurare la dignità professionale e migliorare le condizioni di lavoro degli agenti di polizia penitenziaria.
  Con riferimento alla dotazione organica della casa circondariale di Fuorni, deve innanzitutto evidenziarsi che quello delle scoperture è un problema che su larga scala interessa la maggior parte degli istituti penitenziari del Paese, dovendo sul punto richiamarsi la riduzione complessiva degli organici operata dalla legge n. 124 del 2015 (cosiddetta legge Madia) e rivista dal decreto legislativo 95/2017 che ha rimodulato al ribasso la dotazione organica complessiva del corpo, passata da 44.610 unità a 41.202 unità. Allo stato attuale, risultano in servizio 37.260 unità con un tasso di copertura pari al -9,6 per cento.
  Presso la casa circondariale di Fuorni, a fronte di una pianta organica di 243 unità di polizia penitenziaria, quale prevista con Pcd del 29 novembre 2017, sviluppato in applicazione del decreto ministeriale del 2 ottobre 2017, ne risultano in servizio 219 unità.
  È di tutta evidenza, pertanto, come presso il ridetto istituto penitenziario la percentuale di scopertura risulti sostanzialmente allineata a quella rilevabile su base nazionale, non potendo conseguentemente osservarsi, sul piano numerico, profili di eccezionale criticità.
  Nessun elemento di criticità è del pari ravvisabile con riferimento alla risposta sanzionatoria rispetto a condotte disciplinarmente rilevanti da parte dei detenuti all'interno della struttura penitenziaria in argomento che, di contro, appare assolutamente adeguata.
  Difatti, prendendo a riferimento gli eventi critici verificatisi nel primo semestre del 2018 sono stati elevati e definiti 113 rapporti disciplinari a carico della popolazione detenuta, con una media di 19 rapporti disciplinari al mese, conclusisi, nell'80 per cento dei casi, con l'irrogazione di una sanzione disciplinare.
  Nell'ambito dei 113 rapporti disciplinari, si è potuto registrare un totale di sei episodi di aggressioni
stricto sensu dirette al personale di polizia penitenziaria, pari al 5 per cento degli eventi disciplinari del semestre, conclusisi con l'applicazione della sanzione disciplinare più grave, l'esclusione dalle attività in comune, c.d. isolamento disciplinare, nonché con il deferimento alla locale procura della Repubblica tramite la redazione di apposita notizia di reato.
  In definitiva, sulla base degli elementi forniti dall'amministrazione penitenziaria, non risultano dati o circostanze da cui dedurre, allo stato, la sussistenza di situazioni emergenziali presso la casa circondariale di Fuorni da fronteggiare con l'adozione di provvedimenti urgenti di competenza del Ministero della giustizia che, nondimeno, mantiene desta l'attenzione rispetto a ogni tipo di criticità organizzativa e gestionale che involga gli istituti di pena del Paese.
  D'altro canto, con precipuo riferimento alla questione degli organici innanzi richiamata, deve darsi atto della prospettiva migliorativa derivante dall'immissione in ruolo di 1.232 nuovi vice ispettori del corpo di polizia penitenziaria, che verranno nominati al termine del relativo corso di formazione, nonché dalla già avvenuta attivazione delle procedure per il concorso interno a complessivi 2.851 posti per la nomina alla qualifica di vice Sovrintendente del ruolo maschile e femminile del corpo di polizia penitenziaria a seguito del decreto legislativo n. 95 del 2017 in materia di revisione dei «ruoli delle forze di polizia».

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   COMAROLI, ALESSANDRO PAGANO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   Taiwan è un paese libero ed il suo legittimo Governo, democraticamente eletto, esercita pienamente tutte le qualità e capacità giuridiche della sovranità territoriale, marittima ed aerea;

   la Repubblica popolare cinese rappresenta un player di primo piano nella comunità internazionale, con un mercato vasto e in costante crescita;

   l'interscambio commerciale tra Roma e Pechino è stato pari a quarantadue miliardi di euro nel solo 2017;

   la Repubblica italiana intrattiene intensi rapporti di carattere commerciale ed economico con Taiwan, rapporti implementati all'interno del Foro italo-taiwanese di cooperazione economica, industriale e finanziaria;

   le statistiche dell'organizzazione mondiale del commercio (OMC) collocano Taiwan al diciottesimo posto come Paese esportatore e come ventiduesima economia mondiale per prodotto interno lordo;

   le relazioni con Taiwan hanno registrato una forte crescita negli ultimi anni anche in ambiti quali gli scambi universitari, l'industria 4.0 e il turismo, soprattutto grazie agli accordi di esenzione dal visto per i cittadini taiwanesi che si recano in Europa e viceversa;

   la stessa Unità per il contenzioso diplomatico del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, in un documento del 22 ottobre 2009, ebbe a rilevare che «La personalità giuridica internazionale di Taiwan non può essere messa in dubbio in quanto questa viene attribuita alle entità che siano organizzazioni sovrane di una comunità territoriale. In tale categoria appare evidentemente rientrare Taiwan la cui soggettività internazionale viene contestata per motivazioni politiche e non in base a riscontri fattuali»;

   nonostante questa realtà storica, istituzionale e politica, passata e presente, il Governo di Pechino, negli ultimi mesi e settimane, sta cercando di imporre, con interventi pressanti caratterizzati da sorprendenti toni ammonitori, a società di vari Paesi – tra le quali alcune italiane – la propria censura e le proprie direttive politico-amministrative volte a identificare, nei loro siti web, Taiwan come parte del suo territorio;

   la Portavoce della Casa Bianca, commentando recentemente le menzionate azioni cinesi, le ha descritte come «assurdità orwelliane», aggiungendo che «gli sforzi della Cina per esportare la sua censura e la sua impostazione politica agli americani e al resto del mondo saranno contrastati»; le Leggi, gli Accordi e le decisioni giudiziarie, emesse nel corso degli anni, di tanti Paesi – tra i quali Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Svizzera e Canada – ritengono correttamente che Cina e Taiwan sono due entità giurisdizionali diverse, distinte e separate;

   anche il Parlamento italiano, sulla stessa linea, il 15 aprile 2015 ha approvato la legge n. 62 del 2015 sulla esenzione della doppia imposizione fiscale tra Italia e Taiwan, legge pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 112 il 16 maggio 2015;

   all'interrogante risulta che ad alcune aziende italiane, operanti a Taiwan, sia stato chiesto da parte di Pechino di identificare, all'interno dei propri siti web aziendali, Taiwan come parte integrante della Repubblica Popolare Cinese –:

   se il Governo sia a conoscenza delle richieste menzionate in premessa e quali iniziative intenda assumere al riguardo.
(4-00580)

  Risposta. — Risulta a questo Ministero l'invio nell'aprile 2018, a una trentina di compagnie aeree internazionali, di lettere da parte dell'amministrazione per l'aviazione civile cinese (CAAC) recanti la richiesta di verificare che, nei rispettivi siti internet, i riferimenti ad Hong Kong, Macao e Taiwan fossero «appropriati».
  Nella lettera si faceva esplicita richiesta di un corretto uso di indicatori – quali riferimenti cartografici e topografici – nonché categorizzazioni geografiche – quali ad esempio evitare di differenziare Hong Kong e Taiwan come entità distinte rispetto alla Repubblica popolare cinese (sia nella denominazione che con riferimento ad evidenze grafiche tipo uso di mappe geografiche con colori diversi eccetera).
  Interessata al riguardo da alcuni associati, l'associazione internazionale del trasporto aereo (IATA), aveva prospettato due possibili soluzioni alle compagnie aeree: invitare la CAAC a riconsiderare le proprie posizioni oppure chiedere un'estensione dei termini (inizialmente fissati nel 25 maggio 2018) entro cui «adeguarsi» alle richieste delle autorità della Repubblica popolare cinese.
  Anche Alitalia risulta essere stata destinataria della menzionata lettera. La compagnia aerea si è rivolta al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale «per conoscere – nel più ampio contesto della politica una “sola Cina” – la posizione ufficiale dell'Italia sul tema del riconoscimento di Taiwan, in modo da garantire il massimo allineamento tra Azienda e Paese».
  Si è confermato ad Alitalia che, fin dallo stabilimento di relazioni diplomatiche con la Repubblica popolare cinese (1970), l'Italia aderisce in maniera coerente alla politica una «sola Cina» e di conseguenza non intrattiene relazioni diplomatiche con la «Repubblica di Cina», istituita sull'isola di Taiwan dal 1949.
  Pertanto l'Italia, al pari degli altri Paesi dell'Unione europea, nell'ambito delle sue relazioni con Taiwan, si astiene dal riferirsi alle autorità di Taipei come «Repubblica di Cina» pur sviluppando con l'isola rapporti pragmatici di collaborazione di carattere economico-commerciale e culturale.
  Pertanto la questione della denominazione di Taiwan in quanto espressione geografica, e non come soggetto giuridico internazionale, da parte di operatori commerciali attiene alla libertà di impresa. Si ritiene pertanto che operatori commerciali, quali ad esempio vettori aerei, siano liberi di definire, nella maniera ritenuta più opportuna, una destinazione geografica sulla base, ad esempio, della loro prassi nel
marketing, della coerenza della comunicazione nei confronti dei clienti, di possibili responsabilità nei confronti di giurisdizioni interessate (a cominciare da quella taiwanese), nonché di ogni altra relativa considerazione di opportunità.
  A tale specifico riguardo appare verosimile che tale considerazione non potrà prescindere dalla probabilità che l'utilizzo di denominazioni considerate incompatibili con il principio di unicità della Cina da parte delle autorità della Repubblica popolare cinese arrechi un pregiudizio negativo all'operatore interessato nel quadro di sue attività sul mercato sino-continentale.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Manlio Di Stefano.


   CONTE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   Torre del Greco è la quarta città della Campania e conta più di 86.000 abitanti;

   tale città è commissariata dal mese di agosto 2017, dopo le dimissioni del sindaco e si appresta a eleggere il sindaco e il consiglio comunale il 10 giugno 2018;

   come da norma, la commissione elettorale comunale (Cec) ha continuato a svolgere le sue funzioni;

   in base all'articolo 6 della legge 8 marzo 1989, n. 95, e successive modifiche, «Tra il venticinquesimo e il ventesimo giorno antecedenti la data stabilita per la votazione» la Cec provvede «alla nomina degli scrutatori, per ogni sezione elettorale del comune, scegliendoli tra i nominativi compresi nell'albo degli scrutatori in numero pari a quello occorrente»;

   il 16 maggio 2018 tale commissione era chiamata a designare gli scrutatori e i due ex consiglieri comunali componenti della Cec, con le proprie preferenze, determinavano la nomina di 280 scrutatori. Il commissario prefettizio, che ha nominato altri 140 scrutatori, ha sorteggiato la quota a lui riservata;

   un membro della Cec, grazie ai cui voti sono stati nominati più di 141 scrutatori, risulta candidato alla prossima competizione elettorale per un seggio al consiglio comunale;

   il ruolo di scrutatore deve essere di totale imparzialità e deve garantire il regolare svolgimento delle elezioni;

   tale pubblico ufficio è retribuito per legge con circa euro 104;

   dal punto di vista normativo è possibile sia la nomina diretta che il sorteggio –:

   quali iniziative di competenza intenda intraprendere affinché le operazioni di voto nel comune di Torre del Greco si svolgano nella totale trasparenza e senza rischi di tenuta democratica;

   se non ritenga opportuno farsi promotore di un'iniziativa normativa che vada nella direzione di modificare la disciplina che permette ad un candidato di nominare chi deve effettuare le operazioni di voto in cui è parte interessata.
(4-00344)


   CONTE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   Torre del Greco, città di oltre 86.000 abitanti nella provincia di Napoli, il 10 giugno 2018 è stata chiamata a eleggere il sindaco e il consiglio comunale;

   alle urne nessuno dei sette candidati è riuscito a raggiungere la maggioranza assoluta e, dunque, il 24 giugno 2018 i cittadini torresi saranno chiamati al ballottaggio per scegliere tra il candidato sindaco più votato, Giovanni Palomba o Luigi Mele;

   nelle settimane precedenti le elezioni amministrative, si sono verificati episodi di voto di scambio, come riportato nell'interrogazione a risposta scritta, n. 4-00344 presentata sulla vicenda riguardante la nomina degli scrutatori;

   l'11 giugno 2018, il quotidiano «Il Mattino», pubblica un articolo dal titolo «Torre del Greco al ballottaggio corsa a tre per sfidare Palomba», che riporta una denuncia dell'ex sindaco Ciro Borriello, il quale afferma di aver girato un video che certifica la compravendita di voti e che lo avrebbe consegnato in Procura;

   il 12 giugno 2018 il sito giornalistico Fanpage.it pubblica un video-inchiesta che documenta la compravendita dei voti in cambio di soldi per un candidato al consiglio comunale che risulterebbe eletto in caso di vittoria del ballottaggio da parte del candidato sindaco Palomba;

   come riportato, il 14 giugno dalla testata online «ilfattoquotidiano.it», le segnalazioni circa le indicazioni di voto venivano date direttamente fuori dal seggio, in pieno silenzio elettorale. Tale situazione si è protratta per l'intera giornata e le forze dell'ordine faticavano ad impedirlo –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti e di quali ulteriori elementi disponga, per quanto di competenza, su quanto accaduto durante le operazioni di voto e di scrutinio del primo turno delle elezioni amministrative di cui in premessa e se non ritenga opportuno intensificare la presenza delle forze dell'ordine presso i seggi di Torre del Greco in occasione dello svolgimento del ballottaggio del 24 giugno 2018.
(4-00473)

  Risposta. — Le elezioni amministrative del 10 giugno 2018 hanno interessato, nella provincia di Napoli, 20 comuni, di cui 12 con popolazione superiore a 15.000 abitanti e 8 con popolazione inferiore a detta soglia.
  Per garantire la complessiva regolarità delle consultazioni e prevenire il fenomeno del cosiddetto «voto di scambio», in tutte le realtà territoriali interessate, compresa quella di Torre del Greco oggetto della presente interrogazione, la prefettura di Napoli ha disposto mirati servizi sia in chiave di prevenzione generale e di controllo del territorio che di repressione di eventuali turbative, anche con l'impiego di personale di rinforzo delle Forze dell'ordine.
  La tornata elettorale del 10 giugno 2018 è stata, pertanto, oggetto di analisi in diverse riunioni di coordinamento delle Forze di polizia, nel corso delle quali sono state definite le misure più idonee a garantire, a seconda del contesto territoriale, lo svolgimento delle operazioni elettorali in un clima di massima trasparenza, scevro da qualsiasi forma di condizionamento e/o di inquinamento.
  Sul territorio è stata potenziata la presenza delle Forze di polizia a garanzia di tutti i partecipanti alla competizione, proprio al fine di prevenire e contrastare turbative nella fase della campagna elettorale.
  In quest'ottica sono stati intensificati anche i dispositivi di protezione a tutela degli obiettivi istituzionali e alle sedi dei partiti e dei movimenti politici.
  Si evidenzia, altresì, che in occasione dei successivi ballottaggi, oltre ai servizi di vigilanza fissa presso i seggi elettorali, la questura di Napoli, ha programmato un ulteriore impiego di risorse per un'attività di vigilanza dinamica.
  Con riferimento al video richiamato nell'atto di sindacato ispettivo, si fa presente che personale del commissariato di pubblica sicurezza di Torre del Greco ha acquisito alcuni video
reportage diffusi dal sito web «Napoli Fanpage» sulla presunta compravendita di voti provvedendo ad informarne l'autorità giudiziaria.
  In proposito, 5 soggetti – tutti pregiudicati – sono stati denunciati in stato di libertà per associazione a delinquere finalizzata allo scambio elettorale politico mafioso ai sensi dell'articolo 416-
ter del codice penale.
  Inoltre, il nucleo operativo radiomobile della compagnia Carabinieri del medesimo comune, ha eseguito, per presunte irregolarità verificatesi nel primo turno elettorale, otto perquisizioni domiciliari, delegate dalla procura della Repubblica di Torre Annunziata, nell'ambito di un'attività investigativa tuttora in corso è coperta da segreto d'indagine.
  A seguito degli ipotizzati episodi di «voto di scambio», su segnalazione di diverse irregolarità riscontrate dall'ufficio elettorale della prefettura, il comune di Torre del Greco ha provveduto, in vista del turno di ballottaggio, alla sostituzione dei Presidenti di seggio di 4 sezioni elettorali.
  In ordine alla nomina degli scrutatori, la questura di Napoli ha informato che, agli atti del competente commissariato di pubblica sicurezza, non risultano presentate formali denunce o esposti.
  Fin qui, la ricostruzione degli elementi a conoscenza del Governo.
  Riguardo, poi, alle eventuali modifiche normative per rendere sempre più trasparente il procedimento elettorale in ogni sua fase, si assicura che è una priorità di questo Esecutivo l'approvazione di norme utili a disinnescare ogni tentativo di distorsione e inquinamento del voto.
  In tale direzione è vista con estremo favore l'iniziativa normativa n. 543, dei deputati Nesci ed altri, attualmente all'esame dell'Assemblea della Camera, proposta di legge già approvata in prima lettura, sul finire della passata legislatura con un'ampia convergenza politica.
  Sicuro beneficio in termini di trasparenza dei procedimenti elettorali potrà derivare dalle modifiche che si intendono apportare al sistema di scelta degli scrutatori, oggi rimesso alle decisioni delle commissioni elettorali comunali con il solo vincolo di individuarli dall'apposito albo.
  La reintroduzione del sistema del sorteggio degli scrutatori non può che essere vista con favore e ciò unitamente alla previsione di specifiche nuove ipotesi di incompatibilità, al divieto di ricoprire per più di due volte le funzioni di componente di seggio nella stessa sezione elettorale e, infine, alla specifica formazione da destinare a presidenti e scrutatori sulle procedure elettorali e sui modi per prevenire e individuare i tentativi di broglio.
  Si segnala, infine, che è intenzione del Ministero dell'interno approfondire le ipotesi tecniche e di fattibilità per l'introduzione del voto elettronico nel nostro Paese.
  E in tal senso, è in via di istituzione un apposito gruppo di esperti, rappresentanti delle diverse Amministrazioni interessate, cui sarà affidato uno studio di fattibilità, attuativa e tecnico-organizzativa, del voto e dello scrutinio elettronico che, partendo delle esperienze pregresse italiane e straniere, possa delineare un modello che contemperi le esigenze di modernizzazione e snellimento delle procedure elettorali con le necessarie garanzie formali e costituzionali.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo Sibilia.


   DI SAN MARTINO LORENZATO DI IVREA, FORMENTINI, GRIMOLDI, RIBOLLA e ZOFFILI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   in Brasile, come in altri Paesi in cui gli italiani sono emigrati, i nostri concittadini che chiedono il rilascio del passaporto lamentano di dover superare ostacoli burocratici e liste di attesa che arrivano fino a tredici anni per ottenere il riconoscimento della cittadinanza e il rilascio del primo passaporto;

   la richiesta di fare ricorso a tutti i vice consoli onorari per velocizzare almeno la raccolta dei dati biometrici è una proposta avanzata da più parti e agevolata da strumenti tecnologici già in uso;

   la circolare del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale n. 3 del 21 giugno 2017 prevede per i consoli onorari, oltre che per i «funzionari itineranti», la possibilità di procedere alla captazione dei dati biometrici di connazionali che richiedono un documento elettronico, per il successivo inoltro all'ufficio consolare di prima categoria –:

   se risulti al Ministro interrogato che alla succitata circolare sia stato dato seguito nelle sedi diplomatiche italiane nel mondo e, nello specifico, in Brasile.
(4-01067)

  Risposta. — Per agevolare il rilascio a distanza del passaporto ai cittadini residenti in zone remote del territorio della circoscrizione consolare di appartenenza, già dal 2016 questa amministrazione ha avviato il progetto «FI.CO.» che prevede la distribuzione presso gli uffici consolari onorari di postazioni mobili per la captazione offline dei dati biometrici. In questa prima fase del progetto, che ha coinvolto 33 consolati onorari di cui 4 in Brasile (Fortaleza, Salvador, Manaus e Ribeirao Preto), il console onorario doveva recarsi personalmente presso la sede di riferimento per scaricare i dati raccolti. Questa circostanza ha costituito un ostacolo alla più ampia diffusione del progetto, presentando criticità evidenti dal punto di vista logistico e di sicurezza. Ciononostante, le pratiche raccolte nel 2017 presso l'intera rete consolare onoraria sono state circa 9.300, di cui circa 1000 presso i succitati uffici consolari onorari brasiliani.
  Considerato il successo riscontrato presso l'utenza, nel 2017 è stata quindi avviata la seconda fase del progetto, che ha permesso la sostituzione delle vecchie macchine con attrezzature di nuova generazione che consentono l'inoltro telematico securizzato dei dati biometria dagli uffici consolari onorari alle sedi primarie di riferimento, evitando così che i consoli onorari debbano periodicamente recarsi presso la sede di riferimento per la materiale consegna dei dati raccolti.
  Tale fase è terminata lo scorso giugno, con la distribuzione di 115 postazioni mobili. In Brasile, oltre ai 4 uffici consolari già attivi, sono state inviate due ulteriori 1 postazioni in favore degli uffici onorari di Florianopolis e Londrina, per un totale di 6 uffici operanti sul territorio.
  Attualmente le nuove postazioni assegnate sono in fase di collaudo e ne sono state attivate 19 in altrettanti consolari onorari che hanno inviato circa 500 impronte. Per il Brasile, è stata finora attivata la postazione di Ribeirao Preto, afferente alla circoscrizione del consolato generale di San Paolo, che ha finora inviato alla sede oltre 30 pratiche di rilascio passaporto.
  Parallelamente, si è proceduto all'aggiornamento normativo con l'emanazione della Circolare n. 3 del 21 giugno 2017, che ha innovato il precedente impianto in vigore dal 2012 ampliando tra l'altro il numero dei compiti attribuibili ai titolari degli uffici consolari onorari, fissati comunque in un elenco tassativo. In particolare, è ora facoltà della sede sovraordinata valutare attentamente, data la delicatezza del settore, l'opportunità di conferire al titolare dell'ufficio onorario la funzione cui fa riferimento l'interrogante, ossia la «captazione dei dati biometrici di connazionali che richiedono un documento elettronico, per il successivo inoltro all'Ufficio consolare di I categoria» (punto 18 della circolare).

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ricardo Antonio Merlo.


   DONZELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   da tempo il tribunale di Massa si trova a operare in una costante situazione di carenza di magistrati;

   attualmente la situazione si è ulteriormente aggravata e non pare destinata a migliorare in considerazione dei prossimi trasferimenti ad altra sede di due giudici del settore penale;

   la gravità della situazione è stata denunciata al Csm dall'Anm giunta distrettuale ligure, che ha evidenziato come il tribunale di Massa sia senza un presidente in carica e vi sia una scopertura dei ruoli di magistrato nella misura di quattro unità, destinate a diventare cinque, con ben tre scoperture nel settore penale;

   tale stato di cose creerà inevitabilmente gravi disfunzioni organizzative e il presumibile blocco di delicati processi;

   le disfunzioni riguarderanno soprattutto l'ufficio del giudice per le indagini preliminari e del giudice per le udienze preliminari, nonché la formazione dei collegi penali;

   nonostante ciò, ad oggi, la corte d'appello di Genova non ha preso provvedimenti –:

   se il Ministro interrogato sia informato dei fatti esposti in premessa e quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere in merito, al fine di garantire la piena funzionalità del tribunale di Massa.
(4-00773)

  Risposta. — Con l'interrogazione parlamentare in esame si chiede quali urgenti iniziative si intenda assumere, al fine di garantire la piena funzionalità del tribunale di Massa, che «si trova ad operare in una costante situazione di carenza di magistrati», con una scopertura, nel settore penale, di ben tre unità, idonea a creare gravi disfunzioni soprattutto per l'ufficio del giudice per le indagini preliminari nonché per la formazione dei collegi penali.
  Al riguardo, il presidente della Corte d'appello di Genova ha sottolineato la «più assoluta infondatezza dei timori palesati nell'interrogazione del deputato Donzelli circa le generiche ipotesi di “disfunzioni organizzative” e di “presumibile blocco” di delicati processi, atteso che “attualmente sono presenti presso il tribunale di Massa nove giudici rispetto agli undici previsti dalla pianta organica”», essendo scoperto il posto di presidente del tribunale dal mese di febbraio 2018, ma essendo attualmente coperto l'unico posto di presidente di sezione penale.
  Il presidente della Corte d'appello, in particolare, compiendo una valutazione necessariamente comparativa, ha rappresentato che la situazione dell'organico del tribunale di Massa, non è affatto deteriore rispetto a quella presente negli altri tribunali del distretto di Corte d'appello di Genova, posto che la vacanza di soli due posti rispetto alla pianta organica costituisce la regola nella totalità dei distretti di Corte d'appello.
  In ogni caso, il presidente ha evidenziato di aver ritualmente provveduto a richiedere, conformemente all'istanza pervenuta dall'allora presidente del tribunale di Massa, l'applicazione extra-distrettuale del presidente di sezione dott. Sgambati, trasferito presso la Corte di appello di Firenze, per la definizione dei processi già iniziati (richiesta accolta dal Csm con delibera del 1° ottobre 2017), nonché di avere, successivamente, a seguito del trasferimento del dott. Garofano dal Tribunale di Massa al tribunale di La Spezia, disposto l'applicazione del predetto magistrato con due distinti, successivi provvedimenti.
  In ultimo, il presidente ha ricordato che ad aprile 2019 prenderanno servizio presso il tribunale di Massa ben quattro M.o.t., nominati con decreto ministeriale del 7 febbraio 2018, tre dei quali saranno assegnati al settore penale e uno al settore civile.
  Alla luce dei chiarimenti resi, quindi, non può affatto riconoscersi presso il tribunale di Massa una situazione di organico tale da generare allarmante stallo processuale o intollerabili disfunzioni organizzative.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   DONZELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   nelle strutture penitenziarie sono ormai all'ordine del giorno gli episodi di violenza che si perpetrano a danno degli agenti di polizia penitenziaria, con effetti preoccupanti sia per la violenza con cui vengono commessi, sia per la graduale escalation con cui si verificano;

   è il caso dei gravi fatti di ordine e sicurezza che si sono registrati, nella serata del 16 settembre 2018, nella casa circondariale «A. Santoro» di Potenza e che hanno coinvolto tre detenuti extracomunitari, di cui uno «attenzionato» perché sembra che sia radicalizzato;

   è stato possibile arginare la violenza commessa solo grazie alla professionalità del personale di servizio e al supporto della centrale operativa regionale che ha collaborato con le altre forze di polizia, scongiurando i piani di evasione e la rivolta che si stava già innescando;

   purtroppo si tratta, il più delle volte, di detenuti con problematiche psichiatriche, più che soggetti con alto indice delinquenziale, a cui non si riesce a far fronte anche a causa della grave carenza di organico delle strutture penitenziarie;

   da tempo vengono denunciate le condizioni disumane in cui si lavora presso le strutture carcerarie della Basilicata e, in diverse occasioni, il provveditorato Puglia-Basilicata è stato messo al corrente della grave situazione emergenziale;

   nello spirito di contribuire a mettere in sicurezza il lavoro della polizia penitenziaria, l'Unione dei sindacati di polizia penitenziaria (Uspp) della Basilicata, ha proposto l'adozione del «taser» anche per la polizia penitenziaria, allo stato attuale solo in fase sperimentale, in attesa della riforma organica del settore, come da più parti sollecitata –:

   se non ritenga opportuno promuovere iniziative, anche di carattere normativo, tese a risollevare il sistema penitenziario nel suo complesso, garantendo una maggiore sicurezza per gli utenti e gli operatori che in esso operano e quali urgenti iniziative intenda attuare per impedire che i fatti descritti in premessa possano ripetersi.
(4-01134)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame l'interrogante, richiamato un recente episodio di violenza consumatosi lo scorso 16 settembre presso la casa circondariale di Potenza ad opera di tre detenuti extracomunitari quale caso emblematico delle condizioni, a suo dire «disumane», in cui si lavora presso le strutture carcerarie di Puglia e Basilicata, chiede di sapere se il Ministro non ritenga opportuno promuovere iniziative, anche di carattere normativo, tese a sollevare il sistema penitenziario nel suo complesso, garantendo una maggiore sicurezza per gli utenti e gli operatori che in esso operano e quali urgenti iniziative intenda attuare per impedire che i fatti descritti in premessa possano ripetersi.
  Va considerato in premessa, con riferimento all'episodio di aggressione richiamato nell'interrogazione, che i tre detenuti coinvolti erano stati assegnati alla casa circondariale di Potenza da soli tre giorni provenienti dalla libertà e ciò ha sicuramente comportato una non sufficiente conoscenza delle loro peculiari caratteristiche e dei conseguenti rischi per la sicurezza.
  Più nello specifico, i tre detenuti, nel corso della sera del 16 settembre 2018, presso il reparto di prima accoglienza dell'istituto penitenziario potentino, provocavano il danneggiamento della camera di pernottamento ove erano allocati, cercando di sfondare la parete divisoria del bagno con l'uso di un piede di porco onde accedere all'esterno della camera prospiciente al corridoio della sezione, per poi desistere dalla loro azione solo a seguito di una lunga opera di mediazione messa in atto dagli operatori di polizia penitenziaria prontamente intervenuti.
  Il giorno successivo, la competente direzione generale, disponeva l'allontanamento dei detenuti presso istituti penitenziari extra distretto dotati di sezioni protette.
  Con specifico riferimento alla dotazione organica, occorre preliminarmente osservare che la scopertura degli organici di polizia penitenziaria è un dato diffuso su tutto il territorio nazionale, ed allo stato si attesta su un tasso pari al 9,9 per cento che interessa principalmente le figure degli ispettori e dei sovrintendenti, mentre va segnalato il dato in controtendenza relativo al ruolo degli agenti/assistenti, per i quali risulta un esubero pari all'1,04 per cento.
  Ciò posto, va detto che il tasso di scopertura del personale di polizia penitenziaria rispetto alle strutture carcerarie lucane sembra allineato a quello della media nazionale, non evidenziando profili di particolare o di eccezionale criticità, risultando amministrate un totale di n. 2.299 unità, rispetto alle n. 2329 unità, stabilite dal decreto ministeriale 2 marzo 2013.
  Più specificatamente, presso la casa circondariale di Potenza risultano presenti un totale di n. 115 unità, rispetto ad una previsione organica di n. 122 unità.
  Anche la fisionomia delle scoperture, con specifico riguardo ai profili professionali, non si discosta dalla situazione complessiva del paese, atteso che le carenze maggiori interessano i ruoli dei sovrintendenti (-100 per cento) e degli ispettori (-30 per cento), a fronte di un esubero degli agenti pari al +9,4 per cento.
  Per arginare gli effetti della riduzione dell'organico, proprio con riferimento alle suddette figure professionali, sono intervenute misure correttive quali l'immissione in ruolo di 976 nuovi vice ispettori del corpo di polizia penitenziaria, nominati al termine del relativo corso di formazione in itinere (concorso interno per la nomina a 643 viceispettori del corpo di polizia penitenziaria elevato a 1232 posti), nonché l'attivazione delle procedure per il concorso interno a complessivi 2.851 posti per la nomina alla qualifica di vice sovrintendente del ruolo maschile e femminile.
  Va altresì menzionato l'investimento di 500 milioni di euro per il personale dell'intero, comparto sicurezza, tra cui rientra, evidentemente, anche la polizia penitenziaria.
  Ciò detto su scala nazionale, giova segnalare che l'organico del corpo presso l'istituto di pena del capoluogo lucano, tramite mobilità ordinaria dell'anno in corso, definita lo scorso mese di settembre, è stato oggetto di un incremento pari a 4 unità maschili del ruolo agenti/assistenti.
  Gli eventi critici, con specifico riguardo alle aggressioni al personale, sono oggetto di costante attenzione di questo Dicastero e del competente dipartimento che, lo scorso 12 giugno, ha diramato apposita lettera circolare con cui sono stati invitati i provveditori regionali, i direttori penitenziari e i comandanti di reparto a verificare, fornendo rassicurazioni in merito, l'effettiva dotazione delle misure precauzionali – già indicate con circolare del 2015 – atte a preservare, innanzitutto, l'incolumità del personale e consistenti:

   nell'istituzione, nell'ambito delle unità operative, di un servizio di controllo;

   nell'istituzione delle sezioni ex articolo 32 del regolamento di esecuzione;

   nella pronta risposta dell'amministrazione sia sul versante disciplinare, attraverso la tempestiva convocazione del consiglio di disciplina, sia sul versante penale, in presenza difatti integri gli estremi di reato. Con la medesima missiva è stato invitato l'ufficio per l'attività ispettiva e del controllo a continuare a svolgere il periodico monitoraggio della situazione relativa agli eventi critici.

  Sempre sul tema della sicurezza nelle carceri, occorre richiamare la lettera circolare, da ultimo emessa dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria il 9 ottobre 2018 con l'intento di valorizzare l'applicazione degli strumenti normativi, previsti sia dalla legge n. 354 del 1975 che dal decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000, da cui è disceso il trasferimento ad altri istituti di quei soggetti che si siano resi responsabili, fra l'altro, di aggressioni nei confronti degli operatori penitenziari e di altri detenuti.
  Con specifico riferimento alla dotazione del cosiddetto
taser, resta ferma, allo stato, la riserva da parte del Ministero della giustizia di valutarne, in prospettiva, eventuali futuri margini di impiego, anche in tale delicato contesto.
  Sul fronte normativo, va dato atto dell'approvazione definitiva del decreto legislativo, in corso di pubblicazione, (AG 39), con il quale si è inciso in senso migliorativo sulla vita detentiva attraverso la previsione di norme che, direttamente o indirettamente, possono avere delle ricadute benefiche sulle condizioni di sicurezza delle carceri, ossia quelle volte al rispetto della dignità umana mediante la responsabilizzazione dei detenuti e quelle volte a favorire l'integrazione delle persone detenute straniere (comma 85, lettera
o).
  Per altro, proprio con riferimento all'elevato numero di detenuti stranieri che rappresentano una percentuale significativa della popolazione carceraria incidendo in senso negativo sia sul sovraffollamento che sulle correlate problematiche di ordine e sicurezza negli istituti di pena, va detto che le coordinate operative di questo Ministero sono tese a favorire ed agevolare le condizioni perché l'espiazione della pena possa avvenire nelle carceri dei paesi di provenienza.
  Sono in atto, infatti, percorsi volti a sottoscrivere trattati e/o accordi bilaterali per agevolare e semplificare il trasferimento dei detenuti al fine dell'esecuzione penale nello Stato di provenienza; a tale scopo, diversi incontri sono stati già tenuti dal sottoscritto Ministro con gli omologhi ministri dell'Albania, della Romania e del Marocco.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   FERRO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   ANAS Spa è una società partecipata del Ministero dell'economia e delle finanze sulla quale il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti esercita una vigilanza tecnica. Nella gestione della rete stradale e autostradale italiana di interesse nazionale ANAS esegue servizi di progettazione, costruzione e manutenzione stradale;

   il Compartimento ANAS di Catanzaro ha in gestione 1.335,860 Km di strade calabresi tra cui è ricompreso anche il Viadotto Bisantis (ex Morandi) di Catanzaro, realizzato nel 1962 dall'architetto Morandi;

   i recenti fatti che hanno interessato il Viadotto Morandi di Genova hanno suscitato preoccupazione nei cittadini catanzaresi anche in considerazione delle criticità emerse nei mesi scorsi e confermate dall'ordinanza adottata il 24 novembre 2017 con la quale è stata disposta, fino al 25 novembre 2018, l'interdizione al traffico pesante su quel tratto di strada («il transito veicolare sul viadotto Bisantis della SS109 Bis/Dir tra i KM 0+00 e 0+500» è consentito «esclusivamente a tutti i veicoli di massa complessiva fino a 35 Q.li ed agli AUTOBUS locali/regionali adibiti a servizio pubblico fino a 190 Q.li»);

   ANAS, pur confermando l'assenza di criticità per il Viadotto Bisantis, ha già appaltato i «Lavori di manutenzione straordinaria per il ripristino corticale del calcestruzzo nonché dei ferri d'armatura degli elementi strutturali del Viadotto Bisantis (ex Morandi)», per un importo di euro 796.209,06 e l'ultimazione dei lavori sarebbe prevista per il 27 gennaio 2019. Da notizie di stampa si apprende, inoltre, che il Viadotto Bisantis (ex (Morandi) dovrebbe essere oggetto di ulteriori lavori di manutenzione già programmata –:

   quale sia il reale stato del Viadotto Bisantis (ex Morandi) di Catanzaro;

   quali siano gli interventi di manutenzione programmati da ANAS sul Viadotto Bisantis (ex Morandi) di Catanzaro;

   quali iniziative urgenti intenda assumere il Ministro interrogato per garantire la sicurezza della viabilità dei catanzaresi, anche destinando nuove risorse finanziarie e accelerando la realizzazione degli interventi manutentivi già programmati;

   se il Ministro interrogato, superando la fase degli annunci propagandistici, non intenda avviare una seria ricognizione dello stato di manutenzione delle arterie statali, provinciali e comunali della Calabria.
(4-01008)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  In via preliminare occorre evidenziare che le opere d'arte presenti sulla rete stradale gestita da Anas sono oggetto di procedure standardizzate di controllo che consistono in ispezioni a cadenza trimestrale, effettuate dal personale di esercizio e in un esame tecnico annuale sia per le opere d'arte maggiori che per altri manufatti minori nel caso di anomalie registrate nel corso delle ispezioni trimestrali. Sulla base di questo processo costante di controlli viene redatto il piano di interventi di manutenzione sulla rete stradale di competenza Anas, finanziato mediante l'approvazione del Contratto di programma tra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e la società Anas.
  Per quanto riguarda in particolare i lavori sul viadotto Bisantis (ex Morandi), sulla strada statale 109
bis-dir di Catanzaro, Anas ha riferito che sono in corso di esecuzione, interventi di manutenzione straordinaria per il ripristino corticale del calcestruzzo nonché dei ferri d'armatura degli elementi strutturali del viadotto. Detti lavori, avviati nel 2017 con attività preliminari di indagine e primi ripristini urgenti, sono articolati in tre lotti.
  Il primo lotto per un importo pari a 999.666,00 euro è stato aggiudicato con gara d'appalto nel 2018 alla ditta Alessi costruzioni; i lavori sono stati consegnati lo scorso mese di luglio e la conclusione è programmata per il mese di febbraio 2019. Le parti d'opera oggetto di intervento manutentivo sono i cavalletti I e II.
  Il secondo lotto dell'importo di 1.400.000,00 euro è stato approvato ed è prevista a breve la consegna dei lavori all'aggiudicatario dell'accordo quadro delle opere d'arte in Calabria, consorzio valori. L'avvio dei lavori è previsto per il corrente mese di ottobre e avranno una, durata di 400 giorni; la conclusione è prevista per novembre 2019. Le parti d'opera oggetto di intervento manutentivo sono i ritti dell'arcata e parte dell'impalcato corrispondente.
  Il terzo lotto dell'importo di 1.000.000,00 euro è in via di emissione e approvazione; i corrispondenti lavori saranno consegnati a seguire al lotto secondo al medesimo aggiudicatario dell'accordo quadro. L'avvio dei lavori è previsto per il mese di novembre 2018 e si concluderanno nel mese di dicembre 2019. Le parti d'opera oggetto di intervento manutentivo sono i cavalletti V, VI e VII.
  Durante l'esecuzione dei lavori saranno programmati ulteriori lotti a completamento degli interventi manutentivi e sarà contestualmente conclusa l'attività di progettazione di miglioramento/adeguamento sismico già avviata, che potrà essere resa esecutiva nel 2019 con affidamento alla medesima impresa dell'accordo quadro fino a completamento dei lavori entro il 2020.
  Anas, inoltre, ha comunicato che lo scorso 12 settembre ha firmato un accordo di collaborazione con l'Università della Calabria per la consulenza scientifica e il supporto di ulteriori attività progettuali sul viadotto Bisantis.
  Infine, per quanto riguarda i lavori di manutenzione straordinaria in corso o in fase di avvio sulle arterie statali della Calabria si allega un elenco dettagliato degli interventi (disponibile presso il Servizio Assemblea) elaborato dalla medesima società Anas.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Danilo Toninelli.


   FERRO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   la Calabria è sempre più isolata dal resto del Paese per il carente sistema dei trasporti aggravato dal notevole incremento del costo dei biglietti aerei soprattutto nei periodi festivi e durante la stagione estiva;

   i collegamenti aerei sono indispensabili e indifferibili non solo dal punto di vista turistico ed economico, ma anche per la qualità di vita degli abitanti;

   la Calabria, tra l'altro, è particolarmente svantaggiata, rispetto al resto del Paese, per un divario notevole in termini di infrastrutture e di servizi che comporta un sostanziale isolamento e un notevole aggravio per la mobilità dei suoi cittadini in evidente contrasto con l'articolo 16 della Costituzione;

   la S.a.cal. s.p.a. – Società aeroportuale calabrese s.p.a. – gestisce tutti e tre gli scali aeroportuali calabresi e, quindi, potrebbe contribuire, in maniera sostanziale ed efficace, ad un miglioramento complessivo dei trasporti in un quadro unitario;

   è necessario assicurare condizioni favorevoli per gli abitanti della Calabria che non possono subire un'ingiustificata discriminazione che li mette in condizione di emarginazione non solo rispetto agli scali nazionali, ma anche rispetto all'Europa;

   è necessario favorire, proprio in virtù della situazione di marginalità socio-economica della Calabria, interventi diretti alla realizzazione di un servizio con tariffe sostenibili per i cittadini calabresi, anche per quanto riguarda la tratta tra l'aeroporto di Lamezia Terme e quello di Roma;

   l'articolo 82 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, ha esteso l'applicazione della disciplina sulla continuità territoriale di cui all'articolo 36 della legge 17 maggio 1999, n. 144, ai collegamenti con le città calabresi di Crotone e Reggio di Calabria –:

   quali iniziative urgenti intenda adottare il Governo per sviluppare gli aeroporti calabresi in modo tale da ripristinare la fruizione di diritti costituzionalmente garantiti ai cittadini calabresi;

   quali iniziative urgenti di competenza intendano adottare i Ministri interrogati per sviluppare un servizio aereo con tariffe sostenibili per i cittadini calabresi, anche con riferimento alla tratta tra l'aeroporto di Lamezia Terme e quello di Roma;

   quale sia lo stato di attuazione della continuità territoriale aerea da e per Crotone e Reggio di Calabria e quale sia l'ammontare delle risorse destinate a tale scopo;

   se il Governo non intenda assumere iniziative per estendere la continuità territoriale aerea anche allo scalo di Lamezia Terme, considerato l'isolamento dovuto allo stato delle infrastrutture stradali, all'insufficienza dei collegamenti ferroviari e alle difficoltà che attualmente interessano gli altri due scali calabresi;

   quali iniziative urgenti intenda assumere, per quanto di competenza, il Ministro per le politiche agricole alimentari, forestali e del turismo per incentivare i flussi turistici verso gli scali calabresi, considerato che altre destinazioni, nazionali ed estere, sono raggiungibili a tariffe di gran lunga inferiori.
(4-01038)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si evidenzia quanto segue.
  In merito alle urgenti iniziative governative per sviluppare gli aeroporti calabresi, si evidenzia che SA.CAL. è stata autorizzata all'anticipata occupazione e gestione degli scali di Crotone e Reggio Calabria proprio con la finalità di assicurare e tutelare il diritto alla mobilità dei cittadini e consentire senza interruzioni i voli da e per Reggio Calabria nonché con l'obiettivo, quanto al l'aeroporto di Crotone, di ripristinare nel più breve tempo possibile l'operatività del medesimo.
  
Inoltre, per i suddetti aeroporti sono in via di conclusione i rispettivi iter di emanazione dei decreti interministeriali relativi al rilascio della concessione di gestione totale. Solo dopo la suddetta emanazione SA.CAL. potrà sottoscrivere un contratto di programma per l'attuazione degli investimenti infrastrutturali previsti e per l'adozione di un regime tariffario che consenta il raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario.
  Quanto alle iniziative per sviluppare un servizio aereo con tariffe sostenibili per i cittadini calabresi, ove ci si riferisca ad un sistema che operi in regime di libero mercato non sottoposto ad Oneri di servizio pubblico (OSP). siffatte iniziative governative sono precluse dal Regolamento (CE) n. 1008/2008, il cui articolo 15 prescrive, al paragrafo 1, che i vettori aerei comunitari hanno la facoltà di prestare servizi aerei intracomunitari e, al paragrafo 2, che gli Stati membri si astengono dall'assoggettare la prestazione di servizi aerei intracomunitari da parte dei vettori aerei unionali a qualsivoglia permesso o autorizzazione. Per quanto riguarda la fissazione di tariffe sostenibili, anche in tal caso trattasi di aspetti lasciati alla libera concorrenza dei vettori, come testimonia l'articolo 22 del citato regolamento comunitario, il cui paragrafo 1 prescrive che i vettori aerei comunitari e, per reciprocità, quelli dei Paesi terzi fissino liberamente le tariffe aeree passeggeri e merci per i servizi aerei intracomunitari, mentre il successivo paragrafo 2 dispone che gli Stati membri non possano operare discriminazioni in base alla nazionalità o alla identità dei vettori aerei, consentendo a quelli comunitari di fissare tariffe aeree passeggeri e merci per i servizi aerei, tra il proprio territorio e un Paese terzo.
  Circa gli OSP, va ricordato che le caratteristiche dei servizi aerei che vengono sottoposti a detti oneri (scali di partenza e destinazione, tariffe massime, frequenze minime, e altro) sono stabilite nel corso di una conferenza di servizi alla quale partecipano rappresentanti di questo Ministero, dell'ENAC e della regione interessata dall'attivazione dei collegamenti, e che la conferenza viene convocata su impulso del territorio di riferimento (presidente della regione), unico che ha piena contezza delle esigenze di collegamento della regione, una volta che si abbia la certezza della copertura finanziaria.
  Peraltro, le recenti esperienze in materia di OSP per la Regione Calabria non hanno sempre fatto registrare esiti positivi spesso per l'indisponibilità dei vettori ad assumere il servizio alle condizioni imposte dal bando di gara, al punto che dal 2013 (anno in cui cessarono gli OSP sulla rotta Torino-Reggio Calabria) in poi tutte le rotte calabresi sono state restituite al libero mercato.
  Ad ogni buon conto, si riferisce che, con riguardo all'ammontare delle risorse destinate alla continuità territoriale aerea da e per gli scali di Reggio Calabria e Crotone, nel bilancio dell'ENAC risultano al momento somme derivanti da residui di finanziamenti di continuità concluse o mai attivate, pari a circa euro 1.800.000 per lo scalo di Crotone e a circa euro 2.800.000 per lo scalo di Reggio Calabria.
  In merito alla continuità territoriale aerea per l'aeroporto di Lamezia Terme si rappresenta che anche sullo detto scalo in passato sono stati imposti OSP le cui gare europee ad evidenza pubblica hanno avuto esito negativo; in ogni caso, come sopra riportato, l'iniziativa per l'attivazione della procedura dell'imposizione di OSP è demandata al presidente della Regione.
  In tale stato di cose, come si è già avuto modo di comunicare, il Ministero si è adoperato affinché Alitalia potenziasse i collegamenti da e per Reggio Calabria. Infatti, anche grazie all'impegno profuso da Alitalia, dal 1° novembre la compagnia di bandiera tornerà a servire la tratta Reggio Calabria - Roma con tre voli al giorno e manterrà il collegamento giornaliero con Milano-Linate. Inoltre, garantirà agli utenti dello scalo reggino un totale di ventotto frequenze ogni settimana per soddisfare le esigenze di mobilità del territorio: ciò rappresenta indubbiamente un impegno concreto per riavvicinare il Sud al resto del Paese. Si segnala infine che la società SA.CAL. è in contatto con le altre compagnie aeree per l'apertura di nuove rotte, tutelando così anche i lavoratori delle società di gestione aeroportuali. Anche per quanto riguarda l'aeroporto di Crotone sono stati presi contatti con più compagnie aeree per promuovere l'avvio di collegamenti stabili con le principali città italiane.
  Attraverso lo sforzo congiunto di questo Ministero, del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali è oggi intenzione del Governo, di rilanciare lo scalo, la compagnia di bandiera e l'intero comparto del trasporto aereo, salvaguardando le tante professionalità che non vanno in alcun modo disperse. Rimane dunque fermo l'impegno di continuare a monitorare la situazione, affinché la Calabria possa avere sempre maggiore offerta di mobilità.
  Infine, in ordine alle iniziative per incentivare i flussi turistici verso gli scali calabresi, il Ministero per le politiche agricole alimentari, forestali e del turismo ha comunicato che il 5 settembre il Ministro Centinaio si è recato in visita in Calabria; nel corso dei vari incontri con le autorità locali e i rappresentanti delle categorie di settore sono state affrontate le problematiche più urgenti che interessano la regione in materia di agricoltura e turismo.
  In tale contesto, è stata sottolineata l'importanza di far conoscere e rendere attrattive tutte quelle località che, pur non inserite nei circuiti turistici tradizionali, sono in grado di offrire al turista bellezze naturali, culturali e gastronomiche di altissimo livello; e la Calabria è una tra le regioni italiane che meglio rappresenta la sinergia tra agricoltura e turismo.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Danilo Toninelli.


   FIORINI, BIGNAMI e VIETINA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   con il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), l'intera struttura penitenziaria di Reggio Emilia è stata trasformata in casa circondariale – casa di reclusione e riorganizzata proprio per l'aumento delle molteplici difficoltà operative in cui è chiamato a operare il Reparto di Polizia penitenziaria di Reggio Emilia;

   le sezioni e le tipologie di detenuti gestiti nell'istituto penale di Reggio Emilia sono: una sezione accoglienza per detenuti nuovi giunti; quattro sezioni per detenuti comuni e media sicurezza fino a quattro 4 anni di custodia cautelare; una sezione con una diramazione interna di 3 sottosezioni per la gestione di detenuti comuni pericolosi, ex articolo 32 della legge n. 354 del 1975, recante l'ordinamento penitenziario, detenuti sottoposti a grande sorveglianza per il rischio suicidano e una per l'esecuzione dei provvedimenti disciplinari dell'esclusione dalle attività in comune; due sezioni dell'articolazione igiene e salute mentale; una sezione reclusione per condanna definitiva da 4 anni a salire, fino all'ergastolo; una sezione AS3 di detenuti partecipanti al cosiddetto processo Aemilia (12 imputati di ’ndrangheta sui quali gli agenti sorvegliano anche durante le udienze); una sezione AS3 femminile «Z»; una sezione per trans; una sezione per detenuti dimittenti; una sezione per detenuti semiliberi e lavoranti all'esterno; infine, dagli spazi dell'ex ospedale psichiatrico giudiziario sono state ricavate due sezioni dell'articolazione igiene e salute mentale, che raccoglie soggetti con problematiche;

   il reparto di Reggio Emilia lamenta una carenza di risorse umane, meccaniche e tecnologiche per il supporto necessario a garantire maggiore sicurezza nella gestione di eventi pericolosi e per contrastare atti di aggressioni a cui si espone l'incolumità fisica e professionale di ogni singola unità di personale;

   in merito, le cronache riportano alla mente due recenti e gravi episodi di aggressione che hanno messo a dura prova gli agenti: un tunisino che inneggiando all'Isis ha appiccato del fuoco nella cella; l'aggressione di un comandante da parte di un detenuto marocchino a rischio islamizzazione;

   ad oggi, nella casa circondariale scontano la pena 370 detenuti – di cui il 68 per cento stranieri – e operano circa 170 agenti, invece dei 240 previsti. Si stima una mancanza di 80 agenti necessari per fronteggiare adeguatamente le azioni di controllo e repressione necessari nella struttura, se non a costo di 12 ore di lavoro quotidiano e riposi saltati. Si evidenzia, inoltre, che il 10 settembre 2018 ulteriori 7 unità saranno inviate nelle scuole di formazione e aggiornamento per partecipare al corso allievi per vice ispettori;

   la situazione del carcere di Reggio Emilia non è un caso isolato in regione. Solo per fare un esempio, il 28 luglio 2018, nel carcere di Rimini, durante la messa, è scoppiata una rissa tra due gruppi contrapposti di albanesi e marocchini. Solo grazie all'intervento della polizia penitenziaria è stata sedata ma due ispettori sono finiti in ospedale;

   dal 2016 al 2017, per i dati del sindacato Sappe, le aggressioni e colluttazioni sono aumentate notevolmente, passando da circa 8.500 a oltre 9.500;

   il 6 luglio 2018, il primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo ha toccato con mano la situazione in cui opera la polizia penitenziaria durante una visita al carcere di Reggio Emilia –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra esposto;

   quali iniziative abbia assunto e intenda assumere per garantire adeguati standard di sicurezza nelle strutture afferenti alla gestione del Ministero della giustizia;

   quali iniziative si intendano mettere in campo per prevenire aggressioni a danno del personale carcerario, e se, anche alla luce di quanto illustrato, non ritenga di adeguare, nel più breve tempo possibile, gli organici della polizia penitenziaria del carcere di Reggio Emilia alle reali necessità dell'istituto;

   se si intenda dotare il Corpo della polizia penitenziaria di nuovi strumenti, tra cui, monitor di videosorveglianza, spray urticanti, unità cinofile e, in particolare, Taser.
(4-00891)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame si chiede conto delle iniziative assunte dall'amministrazione in relazione a due gravi episodi di aggressione, uno posto in essere ai danni del comandante degli istituti penali di Reggio Emilia, dal detenuto Ouahrane Mohamed, già noto per azioni violente e individuato quale soggetto a rischio radicalizzazione, e l'altro riguardante l'incendio della cella da parte di un detenuto tunisino. Chiedono, altresì, di sapere quali misure siano state adottate per far fronte alla carenza di organico di personale di polizia penitenziaria presso gli istituti dell'Emilia-Romagna e se si intenda intervenire per innalzare gli standards di sicurezza anche dotando il Corpo di polizia di nuovi strumenti di vigilanza e difesa.
  Vanno preliminarmente ricostruiti gli eventi verificatisi quali presupposto della richiesta dell'interrogante.
  L'aggressione del comandante degli istituti penali di Reggio Emilia, per quanto comunicato dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, si è verificato l'8 giugno 2018, allorquando il medesimo si recava presso la camera di pernottamento del detenuto Ouahrane, al fine di tentare un dialogo con il medesimo che, poco prima, per futili motivi, aveva rivolto minacce al personale di polizia penitenziaria.
  In particolare, non appena veniva aperta la camera, il detenuto si scagliava contro il comandante colpendolo con un pugno al volto e avvinghiandolo con una presa al collo e, solo il pronto intervento del personale addetto al piano, evitava che l'aggressione potesse avere ulteriori e più gravi conseguenze.
  Il comandante aggredito, su richiesta del medico di guardia che assicurava le prime cure, veniva condotto per ulteriori accertamenti presso il locale pronto soccorso, da cui veniva dimesso con una prognosi di 15 giorni. Le tre unità di personale intervenute in ausilio del comandante, sottoposte a visita medica presso l'ambulatorio dell'istituto, riportavano, due di esse, 5 giorni di prognosi, e la terza 1 giorno.
  La direzione avviava il procedimento disciplinare con immediata convocazione del consiglio di disciplina, che comminava, nei confronti dell'autore dell'aggressione, la sanzione della esclusione dalle attività in comune per 15 giorni.
  Inoltre, in considerazione della gravità dell'accaduto e ritenuta l'opportunità che l'autore del grave gesto fosse allontanato dall'istituto, il provveditorato regionale disponeva, per ragioni di sicurezza, il trasferimento del detenuto presso il penitenziario di Fossombrone, chiedendo, contestualmente, alla direzione generale detenuti e trattamento di provvedere al trasferimento presso un istituto al di fuori del distretto. L'11 giugno, la predetta direzione disponeva il trasferimento del detenuto presso la casa circondariale di Catanzaro, eseguito il 23 giugno 2018, al termine della sanzione disciplinare inflitta.
  Della vicenda veniva, altresì, notiziata la locale procura della Repubblica per le ipotesi delittuose di resistenza, oltraggio e lesioni aggravate.
  Il detenuto Ouahrane, durante il periodo trascorso presso la casa circondariale di Catanzaro, si è reso autore di un episodio di «colluttazione» con altro detenuto, nonché di due atti di aggressione fisica ai danni del personale di polizia penitenziaria. In data 7 settembre 2018 il medesimo è stato assegnato presso la casa circondariale di Vibo Valentia ove, allo stato, si trova ristretto. Durante il periodo di detenzione presso la citata struttura penitenziaria, il detenuto si è reso nuovamente autore di atti di aggressione e minaccia nei confronti del personale di polizia penitenziaria.
  Il ristretto ha dimostrato di essere un soggetto tendente alla violenza, turbolento e refrattario alla disciplina. Gli episodi di particolare gravità ai cui si è, reso responsabile evidenziano la sua pericolosità per i modi arroganti e minacciosi tenuti sia nei confronti di altri detenuti sia nei confronti del personale di polizia penitenziaria.
  Il suo
curriculum penitenziario è segnato da numerosi comportamenti contrari alle regole interne, con un progressivo peggioramento della sua condotta, tanto da richiedere la costante e particolare attenzione degli operatori penitenziari. In conseguenza degli eventi descritti, il detenuto, in data 15 ottobre 2018, è stato sottoposto al regime di sorveglianza particolare di cui all'articolo 14-bis dell'ordinamento penitenziario, per la durata di mesi sei.
  Il secondo degli eventi critici sopra segnalati, è stato posto in essere dal detenuto Tebini Haitem, di nazionalità tunisina, che in data 16 giugno 2018, alle ore 21.40 circa, successivamente ad un litigio occorso con altra persona ristretta nella medesima sezione detentiva, dolosamente incendiava gli effetti personali ed i beni presenti all'interno della propria camera di pernottamento.
  Il personale di polizia penitenziaria, malgrado la resistenza offerta dal detenuto ed il suo tentativo di impedire il tempestivo intervento degli agenti, riusciva a porre in essere le procedure di evacuazione di tutti gli altri detenuti presenti nella sezione e a domare, con l'utilizzo degli estintori, le fiamme che avevano già interessato gran parte dell'arredo e generato fumo che aveva invaso il corridoio della sezione medesima.
  Il detenuto Tebini Haitem, tanto durante le concitate fasi di evacuazione e spegnimento dell'incendio, quanto in quelle successive, brandendo una lama da barba, minacciava gli operatori di polizia penitenziaria di compiere ulteriori azioni violente, auto ed etero dirette, pronunciando più frasi inneggianti all'Isis.
  Alle ore 23.15 circa, anche a seguito dell'intervento del comandante di reparto, il detenuto desisteva dall'azione intrapresa, gettava la lama da barba posseduta ed accettava di sottoporsi al controllo medico delle proprie condizioni di salute.
  Successivamente, al fine di prevenire danni a persone, nonché l'insorgenza di ulteriori disordini, veniva trasferito in camera individuale di altra sezione detentiva, ai sensi dell'articolo 78 del decreto del Presidente della Repubblica del 30 giugno 2000, n. 230.
  Tutti i detenuti coinvolti, così come il personale di polizia penitenziaria intervenuto, sono stati visitati dal medico di turno, che non riscontrava particolari problematiche fisiche.
  La direzione avviava procedimento disciplinare con immediata convocazione del consiglio di disciplina che comminava la sanzione della esclusione dalle attività in comune per 15 giorni. Del fatto, veniva, altresì, portata a conoscenza la locale procura della Repubblica per le ipotesi delittuose di cui agli articoli 336, 337, 341-
bis, 423 e 635 del codice penale.
  Considerata la gravità dell'accaduto nonché l'opportunità che l'autore del grave gesto fosse allontanato dall'istituto di Reggio Emilia, il provveditorato regionale in data 20 luglio 2018 disponeva, per ragioni di sicurezza, il trasferimento del detenuto presso il penitenziario di Bologna chiedendo, contestualmente, alla competente direzione generale di valutare la possibilità di allontanare il detenuto in un istituto al di fuori del distretto. Alla luce di tale richiesta il detenuto, il successivo 30 luglio 2018, veniva assegnato alla casa di reclusione di Padova.
  Tanto rappresentato sulle vicende specifiche, preme rilevare, in via generale, come il fenomeno del verificarsi degli eventi critici, con particolare riguardo alle aggressioni ai danni del personale, sia alla costante attenzione del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.
  In tale direzione, il 12 giugno 2018, il capo del dipartimento ha diramato apposita circolare, con la quale, nell'esprimere vicinanza e solidarietà agli operatori, ha invitato i provveditori regionali, i direttori penitenziari e i comandanti di reparto a verificare l'effettiva adozione delle misure precauzionali – già indicate con circolare del 2015 – atte a preservare, innanzitutto, l'incolumità del personale.
  In particolare, è prevista l'istituzione, nell'ambito delle unità operative, di un servizio di controllo, deputato a supportare il personale in servizio, e non solo al momento del verificarsi dell'evento critico; è altresì prevista, compatibilmente con le specifiche esigenze ricettive degli istituti, la creazione delle sezioni di cui all'articolo 32 del regolamento di esecuzione.
  Nell'ambito di tali misure precauzionali, è altresì raccomandata, a fronte di episodi critici ai danni del personale, la prontezza della risposta dell'amministrazione sia sul versante disciplinare, attraverso la tempestiva convocazione del consiglio di disciplina, sia sul versante penale, in presenza di fatti integranti gli estremi di reato, da segnalare prontamente all'autorità giudiziaria.
  E giova rilevare come, nelle vicende richiamate dagli interroganti, la risposta della direzione dell'istituto sia stata assolutamente tempestiva e in linea con le misure raccomandate.
  Va poi aggiunto che, con la medesima circolare dello scorso giugno, il capo del dipartimento ha invitato l'ufficio per l'attività ispettiva e del controllo a proseguire nel periodico monitoraggio della situazione relativa agli eventi critici in argomento.
  Da ultimo, con nota del 9 settembre 2018, è stata diramata apposita disposizione ai provveditori regionali, ai direttori degli istituti e ai domandanti di reparto affinché – in presenza di eventi critici di particolare gravità, tra i quali gli episodi di aggressione – sia assicurata tempestiva comunicazione al capo dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per le conseguenti necessarie valutazioni e iniziative.
  Certo non può negarsi, e veniamo all'ulteriore tema posto dagli interroganti, che la situazione presso gli istituti penitenziari di Reggio Emilia risulti aggravata dalla significativa carenza di organico.
  Pur trattandosi, purtroppo, di un dato comune a molte strutture presenti sul territorio nazionale, a Reggio Emilia risultano in servizio 192 unità di polizia penitenziaria a fronte di una previsione in pianta organica pari a 240, registrandosi una carenza di organico pari al 20 per cento.
  Considerato, poi, che la popolazione detenuta presente è di complessive 389 unità – a fronte di una capienza pari a 297 posti – il rapporto personale/detenuti, che mediamente si attesta sul 62 per cento risulta, nell'istituto in questione, particolarmente deficitario, essendo ridotto al 49,3 per cento.
  Le carenze maggiori riguardano, in particolar modo, il ruolo dei sovrintendenti e degli ispettori, rispettivamente all'82,9 per cento e al 75,0 per cento.
  A tale riguardo occorre, tuttavia, rilevare come l'amministrazione penitenziaria mantenga alta l'attenzione su tale istituto e, con l'obiettivo di colmare il
gap esistente, ha previsto, una serie di interventi nella direzione oggetto della richiesta formulata dagli interroganti, sebbene la carenza di organico esaminata, tuttavia, lungi dall'essere peculiare dell'istituto in oggetto, è comune alla generalità degli istituti nazionali.
  Invero, è prevista una correzione della situazione descritta con l'immissione in ruolo di 976 nuovi vice ispettori del corpo di polizia penitenziaria, nominati al termine del relativo corso di formazione già avviato. Quanto, invece, al ruolo dei sovrintendenti, sono già state attivate le procedure per il concorso interno a complessivi 2.851 posti per la nomina alla qualifica di vice sovrintendente del ruolo maschile e femminile del corpo di polizia penitenziaria, a seguito del decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95, in materia di revisione dei ruoli delle Forze di polizia. Per quanto riguarda, invece, il ruolo agenti-assistenti nell'istituto in argomento si registra un esubero pari al +2,3 per cento rispetto all'organico previsto (20 unità femminili +153 unità maschili), giusta previsione di cui al decreto ministeriale 2 ottobre 2017, come dettagliato con Pcd 29 novembre 2017. Si vuole, da ultimo, rilevare che Istituto
de quo, tramite mobilità ordinaria dell'anno in corso, che si è definita nel mese di settembre 2018, è stata oggetto di un incremento di 9 unità maschili e 4 unità femminili, appartenenti alla qualifica degli agenti/assistenti del corpo.
  Con riferimento, invece, al tema delle misure volte al contrasto della radicalizzazione di matrice jihadista, si evidenzia che, ormai da anni, l'amministrazione penitenziaria, attraverso il nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria, provvede allo studio del fenomeno del terrorismo internazionale, anche mediante il monitoraggio dei detenuti ristretti per tali reati e dei soggetti segnalati per rischio proselitismo e radicalizzazione violenta in ambito penitenziario.
  Per tali ragioni, i soggetti imputati o condannati per il reato di terrorismo internazionale o per reati ad esso connessi sono inseriti nel circuito penitenziario alta sicurezza 2, che prevede la rigorosa separazione dalla restante popolazione detenuta e dagli altri appartenenti al medesimo circuito, al fine di evitare fenomeni di proselitismo.
  In considerazione dell'innalzamento della minaccia terroristica, sono state poi adottate, nel corso degli anni, una serie di misure di controllo di carattere preventivo sempre più affinate, volte a contrastare il rischio di radicalizzazione violenta di natura confessionale e di proselitismo anche nelle sezioni di media sicurezza.
  I risultati delle attività di controllo, monitoraggio ed osservazione sono condivisi con il comitato di analisi strategica antiterrorismo, con la direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e, in presenza di fatti di rilievo penale, con l'autorità giudiziaria.
  Coerentemente con tali misure di prevenzione, come riferito dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, il detenuto Ouahrane, dal 1° giugno 2017, è stato inserito tra i profili ad alto rischio radicalizzazione anche perché, sin dal suo ingresso nel circuito penitenziario, ha posto in essere comportamenti sempre più aggressivi, con gravi minacce al personale e atti di aggressione, tempestivamente comunicati alle procure della Repubblica di Parma, Piacenza e di Reggio Emilia, che, come riferito, in relazione a tali fatti hanno aperto dei procedimenti penali.
  Il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha, inoltre, comunicato di aver segnalato il detenuto e le gravi condotte tenute al comitato di analisi strategica antiterrorismo per le determinazioni in ordine all'adozione di misure di prevenzione da applicare al termine della detenzione.
  Relativamente, infine, alla possibilità di dotare la polizia penitenziaria di strumenti di difesa – premesso che è già prassi consolidata la previsione, negli istituti penitenziari, di impianti di videosorveglianza (impianto di recente implementato presso l'istituto di Reggio Emilia attraverso l'acquisto di un congruo numero di telecamere) e dell'utilizzo, allorquando necessario, di unità cinofile – si rappresenta, quanto all'uso della pistola
taser, che l'amministrazione penitenziaria, pur avendo preso parte ai lavori del gruppo tecnico (istituito nel novembre 2017 presso l'ufficio per il coordinamento e la Pianificazione delle forze di polizia del dipartimento di pubblica sicurezza) – ha ritenuto di soprassedere, in questa prima fase, alla sperimentazione della pistola elettrica in ambito penitenziario, ferma restando la possibilità di valutare possibili proiezioni future dell'impiego di tale dispositivo anche in tale delicato contesto.
  Alla luce di quanto rappresentato, le iniziative intraprese dimostrano dunque l'attenzione riservata all'istituto di Reggio Emilia e si inseriscono coerentemente nell'azione del Ministero della giustizia in tema di esecuzione penale, le cui linee programmatiche proprio l'11 luglio 2018 sono state illustrate dal Ministro dinanzi alle commissioni giustizia del Senato e della Camera.
  Questo non significa che le cose vadano bene, la mancanza di personale nelle nostre carceri resta critica.
  In tale direzione, partendo da una seria ed approfondita interlocuzione con tutti gli operatori coinvolti, l'impegno sarà quello di assicurare un decisivo miglioramento delle condizioni e del funzionamento del sistema penitenziario nel suo complesso, attraverso interventi incisivi anche sugli organici di polizia penitenziaria, con il duplice obiettivo di assicurare, da un lato, il pieno rispetto della dignità del detenuto in carcere, dall'altro, piena sicurezza e dignità lavorativa al personale di Polizia penitenziaria, che quotidianamente continua ad adempiere con grande professionalità al proprio dovere.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   FOTI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il tribunale ordinario di Bologna, seconda sezione civile, con sentenza n. 644/2018 (pubblicata il 27 febbraio 2018) ha dichiarato «l'intervenuta risoluzione per impossibilità sopravvenuta della prestazione di S... srl prevista nel contratto d'appalto stipulato tra le parti in data 24.10.2012»;

   detto contratto stipulato tra la predetta società ed il Ministero della difesa riguardava, giusto il bando di gara, la «rimozione dei rifiuti da aree definite ed interne al comprensorio denominato "ex Pertite" mediante prelievo, selezione, classificazione, caratterizzazione e smaltimento» –:

   se e quali iniziative intenda assumere al riguardo il Governo nei confronti dei responsabili del bando di gara, atteso che il Ministero della difesa è stato condannato alla rifusione delle spese di lite e di quelle per il consulente tecnico d'ufficio;

   se sia noto ai Ministri interrogati che, di recente, è stata data pubblica comunicazione del fatto che l'intera area in questione non necessita più di bonifica alcuna, mentre, fino ad oggi, la bonifica veniva ritenuta indispensabile e oltremodo onerosa stante la rilevata (è il caso della lite che interessa il presente atto di sindacato ispettivo) presenza di amianto;

   con riferimento al quesito che precede, tenuto conto anche delle vicende penali che hanno interessato l'area ex Pertite, se e quali specifici controlli e verifiche si intendano disporre, per accertare il reale stato, sotto il profilo ambientale, della detta area.
(4-00010)

  Risposta. – Nel merito delle iniziative da assumere «nei confronti dei responsabili del bando di gara» per la rimozione di rifiuti speciali rinvenuti a seguito delle indagini giudiziarie, si rende noto che il Ministero della difesa, ai sensi degli articoli 452 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010, ha istituito un'apposita commissione, presieduta dal brigadiere generale Loria, attualmente impegnata nelle necessarie attività di approfondimento per individuare profili di responsabilità.
  Per quanto concerne, invece, le informazioni relative alla bonifica dell'area e alla verifica dello stato ambientale dei luoghi, si specifica che il comprensorio «
ex Pertite» è inserito nel portafoglio immobiliare di cui al Protocollo d'Intesa siglato il 27 febbraio 2017 dal Ministero della difesa, dalla regione Emilia-Romagna, dal comune di Piacenza, dall'agenzia del demanio e dall'azienda unità sanitaria locale di Piacenza, quale possibile sedime per la realizzazione del nuovo ospedale.
  Al riguardo, è stato ritenuto opportuno avviare un'indagine preliminare a cura di reparti specialistici del Ministero della difesa ed in tale quadro è stato elaborato uno schema di approfondimento ambientale finalizzato a verificare l'assenza di potenziali fonti inquinanti sul sedime, con particolare riferimento a metalli pesanti, residui di esplosivo, idrocarburi e amianto.
  L'attività è stata illustrata nel dettaglio in occasione di un incontro tenuto il 20 febbraio 2018 presso la sede del polo di mantenimento pesante nord di Piacenza, aperto anche alla stampa locale, durante il quale è stato anche chiarito che le attività dell'approfondimento ambientale riguardano zone non interessate dall'attività di rimozione dei rifiuti speciali attualmente in corso e sono finalizzate a escludere ogni potenziale contaminazione del terreno e, più in generale, a escludere la presenza di materiale di origine antropica.
  I campionamenti del terreno sono stati effettuati da una squadra specialistica del 7° reggimento difesa NBC di Civitavecchia e gli esiti analitici di questa prima fase (febbraio 2018) hanno confermato l'assenza di potenziali inquinanti presso l’
ex Pertite.
  Successivamente, nei primi giorni di ottobre 2018, è stata condotta la seconda fase dell'attività che ha previsto la raccolta – e successiva analisi dal parte del Cetli Nbc – di ulteriori 40 campioni. Gli esiti analitici dovrebbero essere resi noti entro il primo trimestre 2019.
  Infine, si comunica che le predette attività di rimozione dei rifiuti speciali, recentemente rifinanziate, proseguiranno secondo il protocollo coordinato con l'agenzia regionale per la protezione ambiente dell'Emilia-Romagna.

La Ministra della difesa: Elisabetta Trenta.


   FOTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   con reiterate istanze rivolte alla direzione generale del personale della formazione, ufficio pensioni, del Ministero di giustizia, l'operatore giudiziario B1 T.P., assunta in data 17 aprile 2000 a seguito di pubblico concorso, in servizio presso l'ufficio del giudice di pace di Piacenza, richiedeva ai competenti servizi del Ministero che le venissero riconosciuti i periodi rappresentati, giusto l'estratto contributivo allegato alle dette istanze;

   la predetta non ha mai ricevuto risposta alcuna, nonostante – si ripete – i numerosi solleciti ed il fatto che la richiesta formulata, reiterata – come detto – più volte, non solo pare del tutto legittima ma anche di impossibile archiviazione –:

   se e quali iniziative intenda assumere affinché all'operatore giudiziario in questione, sia data immediata ed esaustiva risposta, accertando le ragioni per le quali sino ad oggi non si sia provveduto in merito ed, eventualmente, assumendo, nei confronti dei responsabili dell'omessa evasione dell'istanza, gli atti dovuti.
(4-00617)

  Risposta. — Con l'interrogazione parlamentare in esame, si rappresenta la vicenda di un operatore giudiziario B1, assunto il 17 aprile 2000, a seguito di pubblico concorso e in servizio presso l'ufficio del giudice di pace di Piacenza, che aveva reiteratamente chiesto all'ufficio pensioni di questo dicastero il riconoscimento di un pregresso periodo contributivo, senza ottenere alcun riscontro.
  Al riguardo, si rappresenta che, con nota del 14 giugno 2018, l'ufficio pensioni di questo dicastero ha trasmesso all'ufficio del giudice di pace di Piacenza il prospetto di calcolo relativo all'operatore giudiziario in questione, con l'indicazione dei periodi di contribuzione da ricongiungere, ai fini del diritto a percepire un'unica pensione.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   FOTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:

   come opportunamente denunciato dalla Confedilizia e dalla Proprietà fondiaria di Piacenza, la determinazione del costo di costruzione ancorata ai valori dell'Osservatorio del mercato immobiliare, che vuole mettere in atto la regione Emilia-Romagna, si pone, a giudizio dell'interrogante, in aperto contrasto con la normativa nazionale, la quale prescrive l'adozione di tutt'altro criterio, con evidenti conseguenze in termini di legittimità;

   l'articolo 16, comma 9, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 6 giugno 2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), prevede, infatti, per quanto di interesse, che il costo in questione sia «determinato periodicamente dalle Regioni con riferimento ai costi massimi ammissibili per l'edilizia agevolata», come definiti dalle stesse regioni;

   tale previsione, per la quale non si rinviene alcuna norma che, ai fini che interessano, ne prevede l'aggiornamento, non può non essere considerata, all'evidenza, un principio posto dal legislatore statale a garanzia dell'uniforme adozione, su tutto il territorio nazionale, di un unico criterio di calcolo; un principio, quindi, fondamentale per la disciplina edilizia. A sostegno di questa tesi depone l'orientamento della Corte costituzionale (sentenza n. 125 del 26 maggio 2017) sul tema, la quale ha annoverato, tra i principi fondamentali in materia edilizia, le disposizioni caratterizzate dalla finalità di offrire, ad un interesse comune, «una protezione unitaria sull'intero territorio nazionale»;

   è qui il caso di rammentare che – in applicazione del dettato costituzionale di cui all'articolo 117, terzo comma – l'articolo 2 («Competenze delle Regioni e degli enti locali») del predetto decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 dispone espressamente, al comma 1, che «le Regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico»;

   appare quindi di tutta evidenza che prevedere la determinazione del costo di costruzione legata ai valori dell'Osservatorio del mercato immobiliare, piuttosto che ai costi massimi ammissibili per l'edilizia agevolata significa per l'interrogante disattendere palesemente questa impostazione per condurre ad un aggravio dei costi di costruzione (in un momento in cui lo stato del settore proprio non ne avrebbe bisogno) a beneficio degli enti pubblici interessati e a carico dei risparmiatori nell'edilizia –:

   quale sia l'orientamento del Governo al riguardo e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, per garantire il rispetto della normativa statale vigente in materia di edilizia, al fine di garantire un'adozione uniforme su tutto il territorio nazionale e superare le criticità di cui in premessa.
(4-00859)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Le modalità di determinazione dei costi sia dell'edilizia agevolata sia dell'edilizia sovvenzionata sono stati fissati dal decreto ministeriale 5 agosto 1994 recante Determinazione dei limiti massimi di costo per gli interventi di edilizia residenziale sovvenzionata e di edilizia residenziale agevolata.
  In particolare, ai sensi dell'articolo 9 del suddetto decreto, l'aggiornamento dei costi definiti dalle regioni e dalle province autonome di Trento e Bolzano, può essere effettuato annualmente sulla base della variazione percentuale registrata dall'indice ISTAT generale, nazionale del costo di costruzione di un fabbricato residenziale fra il mese di giugno 1994 e il mese di giugno di ciascun anno successivo.
  Pertanto, ai sensi del decreto ministeriale citato questo Ministero, acquisita la variazione percentuale comunicata dall'ISTAT, informa dell'intervenuta variazione annuale gli assessori regionali per l'edilizia residenziale pubblica delle regioni e delle province autonome.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Danilo Toninelli.


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   su 450 immobili confiscati alla criminalità organizzata in tutta la Toscana, solo 18 sono stati riassegnati e vengono utilizzati. Gli altri «deperiscono» in attesa di nuovi proprietari e gestori. Sono 47 le aziende confiscate e solo due quelle assegnate, mentre il dato sul riutilizzo è ignoto;

   emblematico è il caso dell'edicola anti-mafia di Borgo Stretto, a Pisa, che ha chiuso nel mese di febbraio 2018 e che fino a poca tempo fa veniva portato ad esempio come recupero di un'impresa sottratta alle mafie. Si è di fronte ad un altro fallimento del ritorno alla legalità di un'attività commerciale confiscata alla criminalità organizzata e restituita alla legalità. Su questa vicenda è intervenuta con forza anche l'associazione Libera, fondata nel 1995 da Luigi Ciotti per sollecitare l'opinione pubblica alla lotta contro le mafie;

   secondo l'ex direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata Giuseppe Caruso, lo Stato confisca i beni alla criminalità organizzata e poi non sa riportarli a nuova vita, per mancanza di mezzi e fondi;

   purtroppo le procedure burocratiche per riutilizzare i beni sono lentissime, basta citare i casi di una villa a Forte dei Marmi, confiscata nel 1996, trasferita al comune nel 2003 e ancora oggi non si sa come riutilizzarla, oppure c'è il caso di Suvignano a Monteroni d'Arbia. Anche questo un bene confiscato nel 1996 all'imprenditore edile Vincenzo Piazza, appartenente a Cosa Nostra. Nel 2018 deve ancora essere riconsegnata alla collettività;

   altre difficoltà sono legate ai tempi lunghi della giustizia italiana, alla carenza di competenze degli amministratori giudiziari, alla mancanza di strutture adeguate delle pubbliche amministrazioni per rispondere al riutilizzo dei beni, alle banche che faticano a concedere il credito alle cooperative che hanno in gestione il bene;

   un rapporto della Banca d'Italia del 2013 addirittura adombra il sospetto che le banche chiudano i fidi alle imprese in odore di mafia quando stanno per essere bloccate dalla magistratura, come se lo sapessero prima;

   a parere dell'interrogante sino ad oggi è mancata in via prioritaria la volontà politica per far sì che i beni confiscati alle mafie vengano effettivamente restituite alla collettività e non si è mai intervenuti adeguatamente sia per superare gli ostacoli burocratici e le lungaggini che portano all'affidamento dei beni che per supportare i soggetti che si trovano a doverli gestire;

   ciò determina il fallimento dello Stato che dovrebbe dimostrare che un'efficace lotta alle mafie passa anche dall'essere in grado di gestire e rilanciare le attività e i beni sequestrati –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e, per quanto di competenza, quali strumenti intendano mettere in atto per supportare e rendere più efficiente il riutilizzo dei beni sequestrati alle mafie;

   quali iniziative urgenti intenda assumere il Governo rispetto alla situazione registrata in Toscana alla luce di quanto descritto in premessa.
(4-00481)

  Risposta. — L'interrogazione presentata dall'interrogante pone l'attenzione sulle difficoltà che lo Stato incontra nel riutilizzare in maniera efficace i beni confiscati alla criminalità organizzata.
  Si premette che la legge 17 ottobre 2017, n. 161 ha previsto un incremento di personale dell'agenzia nazionale al fine di consentirne un'azione più incisiva ed efficace ed una maggiore operatività.
  La specifica attenzione del Governo sulla tematica è testimoniata dal recente decreto-legge n. 113 del 4 ottobre scorso con il quale si è inteso dare un ulteriore impulso all'organizzazione dell'agenzia mediante l'introduzione di specifiche misure volte alla razionalizzazione delle procedure di gestione e destinazione dei beni confiscati.
  In merito alla situazione dei beni confiscati nella regione Toscana si rappresenta che, attualmente, risultano nella gestione dell'agenzia complessivamente 484 beni, in particolare si tratta di:

   52 aziende confiscate (di cui 35 in via definitiva);

   432 immobili confiscati (di cui 156 confiscati in via definitiva), 68 dei quali già portati in conferenza di servizi con gli esiti evidenziati nell'ultima colonna della seguente tabella.
   

  PROVINCIA

  IMMOBILI IN
  GESTIONE

  AZIENDE IN
  GESTIONE

  IMM. IN CONFERENZA
  del 25.5.2018

  AREZZO

  23

  2

  41 (tutti richiesti)

  FIRENZE

  46

  11

  2 (tutti richiesti)

  GROSSETO

  4

  0

  7 (tutti richiesti)

  LIVORNO

  39

  11

  2 (nessuno richiesto)

  LUCCA

  140

  9

  1 (richiesto)

  MASSACARRARA

  11

  5

  //

  PISA

  60

  4

  //

  PISTOIA

  5

  3

  12 (solo 3 richiesti)

  PRATO

  18

  7

  3 (tutti richiesti)

  SIENA

  18

  0

  //

  TOTALE

  364

  52

  68

  484

   Più in dettaglio, sui 68 beni portati nella conferenza dei servizi tenutasi presso la prefettura di Firenze in data 25 maggio 2018, è stata acquisita manifestazione d'interesse per 57 beni in relazione ai quali sono in corso le procedure di destinazione.
   La maggior parte dei predetti 57 immobili sarà destinata agli enti territoriali per finalità sociali e per emergenza abitativa, 4 verranno mantenuti al patrimonio dell'Erario.
   Per quanto riguarda i cespiti menzionati nell'interrogazione si rappresenta che per l'edicola di Borgo Stretto, a Pisa, la confisca è divenuta definitiva in data 26 gennaio 2016. Nell'ambito dell'amministrazione giudiziaria, il giudice delegato, ha autorizzato, in data 9 aprile 2014, l'amministratore a stipulare contratto di affitto di azienda con la cooperativa Axis Acli; in conseguenza della morosità per omesso pagamento di numerose rate del canone di affitto, alla cooperativa venne richiesto il pagamento di quanto dovuto. A seguito di tale richiesta il 21 febbraio 2018 la cooperativa comunicava la chiusura dell'attività commerciale in quanto non economicamente sostenibile, tanto da far registrare una perdita di esercizio nel 2017.
   Relativamente alla «villa a Forte dei Marmi» non meglio individuata e, per come segnalato nell'interrogazione, confiscata nel 1996, al protocollo dell'ANBSC non risultano i pertinenti atti giudiziari; dall'attività di monitoraggio dell'impiego dei beni confiscati svolta dall'ANBSC, è emerso che un immobile sito a Forte dei Marmi, via Matteo Civitali n. 253, era stato destinato al predetto comune con decreto del Ministero delle finanze nel 1998 e che, nel 2003, su richiesta dell'amministrazione comunale, la destinazione venne modificata per assolvere a «finalità istituzionali», quale alloggio per famiglie senza tetto.
   Per quanto riguarda l'azienda agricola Suvignano, sita nella zona collinare a circa 15 chilometri da Siena e ricadente nei territori dei comuni di Monteroni D'Arbia (Siena), per la maggior parte, e di Murlo (Siena), si rappresenta quanto segue.
   L'azienda si sviluppa per circa 713 ettari di superficie, in parte boschiva e in gran parte coltivata o destinata ad attività zootecnica. Fanno parte dell'azienda numerosi poderi, alcuni di particolare pregio artistico, che ospitano anche l'attività di accoglienza agrituristica.
   Nel 2013 l'Agenzia aveva decretato il mantenimento al patrimonio dello Stato dell'azienda per essere destinata alla vendita, ai sensi dell'articolo 48, comma 8, lettera
b) del decreto legislativo n. 159 del 2011. Tuttavia risultò evidente la necessità di procedere alla modifica della predetta destinazione stante le diverse opposizioni che il provvedimento aveva sollevato da parte della regione Toscana, dei comuni ove l'azienda ha sede, e della stessa commissione parlamentare antimafia nazionale la quale aveva ritenuto necessaria la restituzione alla pubblica fruizione del patrimonio aziendale tramite le Istituzioni locali.
   A seguito del ripianamento di tutte le esposizioni debitorie gravanti sulla società, l'agenzia ha quindi avviato intese, con la regione Toscana, e i comuni di Monteroni d'Arbia e Murlo, al fine di individuare, ai sensi del codice antimafia, il percorso di destinazione dell'azienda maggiormente idoneo a mantenere i livelli occupazionali, preservandone il valore e la continuità aziendale.
   Durante la seduta del consiglio direttivo dell'agenzia nazionale tenutosi lo scorso 24 ottobre, è stata deliberata la destinazione definitiva dell'azienda agricola Suvignano S.r.l., ai sensi dell'articolo 48, comma 8-
ter del codice antimafia.
   In particolare è stato disposto il trasferimento delle quote della predetta Società (comprensiva del patrimonio aziendale costituito da una tenuta di oltre 700 ettari) a favore dell'ente terre regionali Toscane che provvederà alla relativa gestione sulla base di un'apposita convenzione stipulata con i comuni di Monteroni d'Arbia e Murlo, nonché con la regione Toscana.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Luigi Gaetti.


   FRATOIANNI e CONTE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   durante le operazioni di voto del 10 giugno 2018 per il rinnovo del consiglio comunale di Castellammare di Stabia (Napoli), si è manifestato di nuovo l'inaccettabile fenomeno della compravendita di voti (come è noto si fotografa la scheda elettorale con le preferenze espresse come prova da esibire per ricevere un compenso in danaro);

   l'episodio, già di per sé grave, assume un significato ancora più preoccupante, perché avviene in una situazione cittadina dove sono state lanciate accuse pesanti sul condizionamento esercitato da «poteri forti» e dalla stessa criminalità sulla vita politica cittadina;

   al rione Cmi nel plesso di via Napoli rappresentanti di lista di Leu si son visti costretti a denunciare al 113 e alle forze dell'ordine presunti tentativi di compravendita davanti ai seggi ripresi anche dalle telecamere di videosorveglianza installate sui pali della pubblica illuminazione;

   a seguito del clima politico pesante e del nuovo scioglimento anticipato del 2017 l'ex sindaco è stato ascoltato dalla Commissione parlamentare antimafia e successivamente dalla stessa magistratura;

   le elezioni rappresentano, sicuramente, un terreno favorevole per chi voglia – e la camorra ne è la principale protagonista – condizionare, determinare gli esiti del voto e la elezione di singoli consiglieri comunali;

   il quotidiano Il Mattino nella giornata del 16 giugno 2018, a pagina 35, riporta in un reportage sulla città, in modo dettagliato, ciò che è accaduto con le pressioni che i clan hanno fatto sulla città, in vista della coalizione elettorale, e le due relative inchieste che, a dire della stampa locale, sono state aperte in procura –:

   se, in occasione delle elezioni del 10 giugno 2018, siano state disposte, per quanto di competenza, le misure necessarie per impedire, bloccare e contrastare fenomeni di condizionamento del voto;

   se il 10 giugno 2018, giorno dello svolgimento del voto, fossero attivi tutti gli impianti di videosorveglianza di cui la città di Castellammare dispone, in particolare quelli che interessano i plessi scolastici sede di seggi elettorali.
(4-00492)

  Risposta. — Le elezioni amministrative del 10 giugno 2018 hanno interessato, nella provincia di Napoli, 20 comuni, di cui 12 con popolazione superiore a 15.000 abitanti e 8 con popolazione inferiore a detta soglia.
  Per garantire la complessiva regolarità delle consultazioni e prevenire il fenomeno della compravendita di voti in tutte le realtà territoriali interessate, compresa quella di Castellammare di Stabia oggetto della presente interrogazione, la prefettura di Napoli ha disposto mirati servizi sia in chiave di prevenzione generale e di controllo del territorio che di repressione di eventuali turbative, anche con l'impiego di personale di rinforzo delle Forze dell'ordine.
  La tornata elettorale del 10 giugno 2018 è stata, pertanto, oggetto di analisi in diverse riunioni di coordinamento delle Forze di polizia, nel corso delle quali sono state definite le misure più idonee a garantire, a seconda del contesto territoriale, lo svolgimento delle operazioni elettorali in un clima di massima trasparenza, scevro da qualsiasi forma di condizionamento e/o di inquinamento.
  Sul territorio è stata potenziata la presenza delle Forze di polizia a garanzia di tutti i partecipanti alla competizione, proprio al fine di prevenire e contrastare turbative nella fase della campagna elettorale. In quest'ottica sono stati intensificati anche i dispositivi di protezione a tutela degli obiettivi istituzionali e alle sedi dei partiti e dei movimenti politici.
  Si evidenzia, altresì, che in occasione dei successivi ballottaggi, oltre ai servizi di vigilanza fissa presso i seggi elettorali, la Questura di Napoli, ha programmato un ulteriore impiego di risorse per un'attività di vigilanza dinamica.
  In particolare, nell'ambito delle attività di controllo presso i seggi elettorali di Castellammare di Stabia, risulta, sulla base di quando riferito dalla predetta questura, che nella mattinata del 10 giugno 2018, personale del locale Commissariato di polizia di Stato è intervenuto presso la sezione n. 44, dove ha proceduto all'identificazione degli elettori che il presidente di seggio aveva denunciato in quanto avevano fotografato con il proprio cellulare la loro espressione di voto.
  Gli atti acquisiti sono stati trasmessi alla competente autorità giudiziaria.
  In merito all'impianto di videosorveglianza presente sul territorio del comune di Castellammare di Stabia, il comando provinciale dei carabinieri ha riferito che le telecamere ubicate nei pressi dei plessi scolastici adibiti a seggi elettorali, risultavano tutte funzionanti, ad eccezione della «SD37» – (via Cicerone, altezza scuola «Cicerone»), della «SD38» ( via Monaciello loc. Scanzano) e della «SD42» ( traversa Tavernola, altezza scuola «Wojtyla»).
  Il citato comando ha altresì fatto presente che presso le proprie articolazioni territoriali, non sono state presentate denunce o esposti inerenti la problematica in argomento, né la stessa è stata delegata dall'autorità giudiziaria a svolgere attività d'indagine.
  In ultimo, l'approvazione l'11 ottobre 2018 dell'A.C. 543 Nesci, cosiddetto «elezioni pulite», in prima lettura, ad avviso del Governo contiene delle disposizioni atte a contrastare questo tipo di fenomeno.
  Ciò dimostra la ferma e concreta intenzione dell'Esecutivo di promuovere un'azione politica volta ad innalzare il livello di tutela della legalità nel procedimento elettorale.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo Sibilia.


   FRATOIANNI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   Ippazio Luceri, noto attivista salentino impegnato nell'opposizione al gasdotto Tap, si trova dalla mattina del 26 giugno 2018, in stato di fermo in Grecia, in attesa che il giudice di turno prenda in esame il suo caso;

   Ippazio Luceri, noto a tutti come «Pati» è un docente scolastico di 63 anni, attivista «No Tap», che nei giorni scorsi ha raggiunto Kavala, nei pressi del confine con la Turchia, per associarsi alla mobilitazione di un folto gruppo di contadini della zona che si oppongono all'avvio delle opere per il passaggio del gasdotto Tap. Luceri, insieme al presidente del comitato locale, sta sostenendo anche lo sciopero della fame;

   come nel Salento, anche nella piana di Filippi, una parte della popolazione contesta quotidianamente la realizzazione dell'infrastruttura energetica che dall'Azerbaijan punta alla Puglia, passando da Turchia, Grecia e Albania. E proprio la mattina del 26 giugno, nel tentativo di sbarrare la strada a mezzi e operai, una decina di manifestanti sono stati fermati dalla locale polizia –:

   se e con quali strumenti il Ministro interrogato intenda intervenire presso il Governo Greco, per garantire il rispetto e la tutela dei diritti del cittadino italiano Ippazio Luceri, attualmente in stato di fermo in Grecia.
(4-00572)

  Risposta. — Il signor Ippazio Luceri, che si trovava in Grecia per protestare contro la costruzione del gasdotto Trans-Adriatico (Trans Adriatic Pipeline – TAP), è stato fermato il 26 giugno 2018 dalle autorità di polizia elleniche con altri sette cittadini greci nella zona di Kavala con l'accusa di «violenza e disturbo dei lavori», a seguito di denuncia da parte della compagnia incaricata della realizzazione dell'opera.
  Appresa la notizia, l'ambasciata ad Atene, in stretto raccordo con la Farnesina, ha prontamente preso contatto con le autorità locali per appurare le ragioni del fermo e verificare le condizioni del connazionale.
  Lo stesso 26 giugno il vice console onorario a Kavala si è recato presso il comando di Polizia, dove l'interessato era ristretto, e ne ha potuto constatare il buono stato psico-fisico.
  Il Signor Luceri è stato rilasciato il 27 giugno e gli è stato consentito di rientrare in Italia. La prima udienza nell'ambito del procedimento penale a suo carico è prevista per il 12 dicembre 2018.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ricardo Antonio Merlo.


   FRATOIANNI, PASTORINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   da un articolo pubblicato sul quotidiano la Repubblica cronaca di Genova del 7 settembre 2018 si apprende che dal 23 agosto 2018 i vigili del fuoco di La Spezia sono senza autoscala. L'unico mezzo a disposizione del comando provinciale sarebbe infatti in riparazione;

   il problema coinvolgerebbe tutta la Liguria, perché in base al luogo dell'emergenza l'autoscala deve essere inviata nel territorio di La Spezia dal distaccamento di Chiavari, dal comando di Massa o di Parma. Una gestione dei soccorsi siffatta va evidentemente a discapito dell'incolumità delle persone e degli stessi vigili del fuoco, come denunciato anche dalla Fp-Cgil ligure;

   è ovvio che le conseguenze della mancanza dell'autoscala si manifestano nell'operatività quotidiana e determinano anche un allungamento dei tempi di intervento;

   l'autoscala per i vigili del fuoco è uno strumento essenziale, senza il quale il loro lavoro risulta assai compromesso. Il suo utilizzo risulta fondamentale in gran parte dei loro interventi, non solo nel caso degli incendi, dove un intervento tempestivo è determinante nel salvare vite umane, ma anche per i soccorsi agli anziani caduti in casa in condizioni che non consentono di calarsi dall'alto;

   c'è poi da sottolineare come il rischio di appoggiarsi alle autoscale di altri comandi non è solo legato al ritardo negli interventi e ai tempi di percorrenza, ma anche all'effetto di lasciare sguarnito anche il comando che «presta» il mezzo;

   ad esempio, il comando provinciale di Genova ha tre autoscale di cui solo due attualmente in servizio, perché la terza è in riparazione e non sarà disponibile prima di metà settembre, così come l'autoscala al comando di La Spezia non sarà a disposizione prima della fine del mese di settembre; quella sostitutiva inviata il 23 agosto aveva anch'essa un guasto;

   a parere dell'interrogante occorrono nuovi e urgenti investimenti da parte del Governo per garantire l'adeguata dotazione di mezzi e strumenti al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, al quale non manca la stima dell'interrogante per l'egregio lavoro che quotidianamente svolgono e spesso, come dimostra quanto sopra esposto, in condizioni difficili –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e con quali strumenti intenda intervenire affinché venga garantita un'adeguata fornitura di mezzi e risorse a tutti i comandi dei vigili del fuoco, innanzi tutto risolvendo l'emergenza verificatasi nel comando di La Spezia.
(4-01066)

  Risposta. — In relazione a quanto segnalato nell'interrogazione in merito all'autoscala in dotazione al Comando dei vigili del fuoco di La Spezia, si comunica che la criticità è stata gestita in un primo momento con un'autoscala dei Comando di Savona e successivamente con l'assegnazione provvisoria di un'autoscala del Comando di Massa Carrara, che è rimasta presso il Comando della Spezia fino alla riparazione del suo mezzo, avvenuta il 2 ottobre 2018.
  Anche se l'età media dei mezzi a disposizione nella Regione Liguria è in linea con quella attuale a livello nazionale, la situazione delle autoscale in quella regione si inserisce, comunque, in un più ampio quadro generale in cui le carenze di fondi e le progressive riduzioni degli stanziamenti hanno impedito un adeguato rinnovamento del parco mezzi.
  Nell'assicurare che la necessità di attrezzare il Corpo nazionale dei vigili del fuoco con una nuova più efficiente dotazione di uomini e mezzi è già all'attenzione di questo Ministero e sarà adeguatamente valutata in occasione dei provvedimenti di imminente calendarizzazione, si fa presente che, per superare, nell'immediato, le criticità evidenziate a livello regionale, sono stati, comunque, già stipulati i contratti per l'acquisto di 25 nuove autoscale, delle quali 3 saranno in consegna ai comandi della Liguria entro la fine del 2018.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Stefano Candiani.


   FUSACCHIA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   all'estero vivono circa 5 milioni di italiani (statistiche dell'Anagrafe degli italiani all'estero);

   i cittadini italiani anche dall'estero devono poter partecipare alla vita politico-istituzionale del nostro Paese;

   i cittadini italiani all'estero devono pertanto avere accesso a un'informazione libera, puntuale e veloce anche via internet, che è diventato un mezzo fondamentale di diramazione efficiente dell'informazione;

   il sito internet del Ministero dell'interno presenta ai cittadini che la consultano da alcuni Paesi esteri una schermata che indica che l'accesso è bloccato nel loro Paese di residenza;

   tra i Paesi in cui vige questo blocco vi sarebbero sia Paesi europei, ad esempio la Polonia, sia Paesi extraeuropei come il Brasile e l'Argentina;

   in tali Paesi sono residenti numerosi cittadini italiani –:

   se il Governo sia a conoscenza del blocco del sito web del Ministero dell'interno, se abbia una mappatura chiara del fenomeno, se ne conosca la causa e se stia provvedendo alla risoluzione del problema che limita la libertà d'informazione dei cittadini italiani all'estero.
(4-01188)

  Risposta. — L'interrogazione in esame riguarda l'accessibilità del sito internet del Ministero dell'interno per i cittadini che lo consultano da alcuni Paesi esteri.
  Al riguardo, si rappresenta che – nell'ambito della protezione dei propri servizi informatici e telematici e, in particolare, dei siti
web istituzionali, tra i quali il portale web www.governo.it – l'amministrazione dell'interno ha adottato misure finalizzate a impedire minacce informatiche provenienti da alcune zone geografiche, dalle quali si registrano con maggiore frequenza attacchi cibernetici.
  Di conseguenza, le reti appartenenti ad alcuni Paesi europei ed extraeuropei – quali la Polonia, il Brasile e l'Argentina – sono state inizialmente sottoposte a limitazioni d'accesso al portale
web istituzionale del Ministero dell'interno.
  Successivamente, allo scopo di consentire ai cittadini residenti all'estero di consultare il sito in questione, tale blocco è stato rimosso ma rimane ancora necessario mantenerlo nei confronti delle reti telematiche di taluni Stati che presentano un grave rischio di minaccia cibernetica.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo Sibilia.


   GALLO, BRUNO, DE GIROLAMO, GIORDANO, DI LAURO e PROVENZA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   in occasione del primo turno delle elezioni amministrative del comune di Torre del Greco, tenutesi il 10 giugno 2016, alcuni organi di informazione hanno riportato notizie di brogli elettorali, che potrebbero aver condizionato, anche in maniera significativa, il risultato elettorale;

   ciò è particolarmente evidente anche alla luce dei risultati dei diversi candidati alla carica di sindaco, e in particolare dei due candidati che hanno ottenuto i voti necessari per il seguente turno di ballottaggio: secondo i dati pubblicati sul sito del Ministero dell'interno, sul totale di 41.779 voti espressi, il candidato sindaco Palomba Giovanni avrebbe ottenuto 14.135 preferenze mentre il candidato sindaco Luigi Mele ne avrebbe ottenuto 6.163; il candidato Luigi Sanguigno invece, arrivato terzo per numero di voti, si è fermato a 5.785 preferenze, vale a dire meno di 400 voti di scarto da Mele;

   viste le numerose denunce di brogli, che sono state fatte anche a mezzo di organi di informazione, vi è dunque il fondato dubbio che il risultato elettorale possa esser stato manipolato, anche con riguardo ai soggetti che avrebbero diritto a disputare il turno di ballottaggio che si terrà il 24 giugno 2018;

   in particolare un video-denuncia di fanpage.it mostra chiaramente gravissimi casi di corruzione elettorale in cambio di denaro nei pressi delle sezioni elettorali di Torre del Greco che potrebbero anche configurarsi come casi di scambio elettorale politico-mafioso;

   inoltre, la gestione del comune di Torre del Greco è stata interessata negli ultimi 10 mesi dall'amministrazione straordinaria di un commissario prefettizio a seguito di dimissioni del sindaco Ciro Borriello, arrestato nell'ambito di un'indagine su presunti «fondi neri» in cambio di favori ad una ditta impegnata nella raccolta dei rifiuti; la relazione conclusiva del commissario ha evidenziato numerose criticità che interessano il comune, in particolar modo la gestione dei rifiuti, settore che, come è noto, risulta essere uno tra i più esposti agli interessi della criminalità organizzata;

   quanto sopra descritto non fa altro che aggiungere ulteriori elementi di criticità ad un quadro già desolante fatto di possibili brogli elettorali che puntualmente sono denunciati in tutta Italia da associazioni, cittadini e stampa ad ogni tornata elettorale, con grave pregiudizio per il buon funzionamento della democrazia e delle istituzioni repubblicane –:

   di quali elementi disponga il Governo sull'eventuale condizionamento del voto nelle elezioni amministrative del 10 giugno 2018, tenutesi a Torre del Greco e se non intenda, per quanto di competenza promuovere ogni iniziativa volta a garantire il regolare svolgimento delle elezioni comunali nella giornata del 24 giugno 2018, onde evitare eventuali manomissioni del voto;

   se non intenda, assumere iniziative, per quanto di competenza, anche normative, volte ad assicurare una maggiore presenza delle forze dell'ordine nei pressi dei seggi elettorali durante le operazioni di voto e di scrutinio, al fine di ostacolare la compravendita di voti o altre forme di condizionamento;

   se e quali iniziative intenda intraprendere, anche di tipo normativo, per modificare l'attuale sistema di voto e scrutinio, al fine di rendere le procedure elettorali più trasparenti, onde evitare pericoli di manomissioni o condizionamenti.
(4-01314)

  Risposta. — Le elezioni amministrative del 10 giugno 2018 hanno interessato, nella provincia di Napoli, 20 comuni, di cui 12 con popolazione superiore a 15.000 abitanti e 8 con popolazione inferiore a detta soglia.
  Per garantire la complessiva regolarità delle consultazioni e prevenire il fenomeno del cosiddetto «voto di scambio», in tutte le realtà territoriali interessate, compresa quella di Torre del Greco oggetto della presente interrogazione, la prefettura di Napoli ha disposto mirati servizi sia in chiave di prevenzione generale e di controllo del territorio che di repressione di eventuali turbative, anche con l'impiego di personale di rinforzo delle Forze dell'ordine.
  La tornata elettorale del 10 giugno 2018 è stata, pertanto, oggetto di analisi in diverse riunioni di coordinamento delle forze di polizia, nel corso delle quali sono state definite le misure più idonee a garantire, a seconda del contesto territoriale, lo svolgimento delle operazioni elettorali in un clima di massima trasparenza, scevro da qualsiasi forma di condizionamento e/o di inquinamento.
  Sul territorio è stata potenziata la presenza delle forze di polizia a garanzia di tutti i partecipanti alla competizione, proprio al fine di prevenire e contrastare turbative nella fase della campagna elettorale. In quest'ottica sono stati intensificati anche i dispositivi di protezione a tutela degli obiettivi istituzionali e alle sedi dei partiti e dei movimenti politici.
  Si evidenzia, altresì, che in occasione dei successivi ballottaggi, oltre ai servizi di vigilanza fissa presso i seggi elettorali, la Questura di Napoli, ha programmato un ulteriore impiego di risorse per un'attività di vigilanza dinamica.
  Con riferimento al video richiamato nell'atto di sindacato ispettivo, si fa presente che personale del Commissariato di Polizia di Stato di Torre del Greco ha acquisito alcuni video
reportage diffusi dal sito web «Napoli Fanpage» sulla presunta compravendita di voti provvedendo ad informarne l'autorità giudiziaria.
  In proposito, 5 soggetti – tutti pregiudicati – sono stati denunciati in stato di libertà per associazione a delinquere finalizzata allo scambio elettorale politico mafioso ai sensi dell'articolo 416-
ter del codice penale. Inoltre, il Nucleo operativo radiomobile della compagnia carabinieri del medesimo comune, ha eseguito, per presunte irregolarità verificatesi nel primo turno elettorale, otto perquisizioni domiciliari, delegate dalla procura della Repubblica di Torre Annunziata, nell'ambito di un'attività investigativa tuttora in corso e coperta da segreto d'indagine.
  A seguito degli ipotizzati episodi di «voto di scambio», su segnalazione di diverse irregolarità riscontrate dall'ufficio elettorale della prefettura, il comune di Torre del Greco ha provveduto, in vista del turno di ballottaggio, alla sostituzione dei presidenti di seggio di 4 sezioni elettorali.
  In ordine alla nomina degli scrutatori, la questura di Napoli ha informato che, agli atti del competente commissariato di pubblica sicurezza, non risultano presentate formali denunce o esposti.
  Fin qui, la ricostruzione degli elementi a conoscenza del Governo.
  Riguardo, poi, alle eventuali modifiche normative per rendere sempre più trasparente il procedimento elettorale in ogni sua fase, si assicura che è una priorità di questo Esecutivo l'approvazione di norme utili a disinnescare ogni tentativo di distorsione e inquinamento del voto.
  In tale direzione è vista con estremo favore l'iniziativa normativa n. 543, degli Onorevoli Nesci ed altri, attualmente all'esame dell'Assemblea della Camera, proposta di legge già approvata in prima lettura, sul finire della passata legislatura con un'ampia convergenza politica.
  Sicuro beneficio in termini di trasparenza dei procedimenti elettorali potrà derivare dalle modifiche che si intendono apportare al sistema di scelta degli scrutatori, oggi rimesso alle decisioni delle commissioni elettorali comunali con il solo vincolo di individuarli dall'apposito albo.
  La reintroduzione del sistema del sorteggio degli scrutatori non può che essere vista con favore e ciò unitamente alla previsione di specifiche nuove ipotesi di incompatibilità, al divieto di ricoprire per più di due volte le funzioni di componente di seggio nella stessa sezione elettorale e, infine, alla specifica formazione da destinare a presidenti e scrutatori sulle procedure elettorali e sui modi per prevenire e individuare i tentativi di broglio.
  Si segnala, infine, che è intenzione del Ministero dell'interno approfondire le ipotesi tecniche e di fattibilità per l'introduzione del voto elettronico nel nostro Paese.
  E in tal senso, è in via di istituzione un apposito gruppo di esperti, rappresentanti delle diverse amministrazioni interessate, cui sarà affidato uno studio di fattibilità, attuativa e tecnico-organizzativa, del voto e dello scrutinio elettronico che, partendo delle esperienze pregresse italiane e straniere, possa delineare un modello che contemperi le esigenze di modernizzazione e snellimento delle procedure elettorali con le necessarie garanzie formali e costituzionali.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo Sibilia.


   GEMMATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il 28 novembre 2017 il territorio di Brindisi, con la decadenza dalla carica di sindaco del presidente Maurizio Bruno, si è venuta a trovare nella vacanza del seggio di presidente della provincia;

   dal 29 novembre 2017, nel rispetto della legge n. 56 del 2014, il consigliere-vicepresidente Tanzarella avrebbe subito dovuto indire e consentire si svolgessero le elezioni del presidente entro 90 giorni;

   si succedevano una serie di diffide del consigliere provinciale capogruppo di Fratelli d'Italia Continelli al vicepresidente e al prefetto di Brindisi e, nonostante i pareri del segretario generale della provincia circa la grave situazione di illegittimità di atti venutasi a creare, le elezioni del presidente non venivano indette;

   il 4 luglio 2018 il Tar Puglia-Sez.LE con sentenza n. 1159/2018, disponeva la indizione delle elezioni nel termine di 30 giorni e nominava commissario ad acta il prefetto di Brindisi in caso di inadempimento del consigliere-vicepresidente;

   anche il Consiglio di Stato, su ricorso personale del Tanzarella, con provvedimento 3732/2018 rigettava la domanda di decreto cautelare e confermava il disposto del Tar-Puglia;

   risulterebbe che il consigliere-vicepresidente avrebbe prima demansionato e poi sostituito i pareri di non conformità in atti del segretario generale della provincia, con quelli di piena legittimità di una dirigente vicesegretario, con ciò compromettendo la legittimità della intera azione amministrativa;

   la stessa Autorità nazionale anticorruzione è intervenuta, con diverse deliberazioni del luglio 2018, giudicando il comportamento della amministrazione provinciale discriminatorio nei confronti del responsabile anticorruzione interno all'ente e sanzionando personalmente il consigliere-vicepresidente Tanzarella per non aver adottato il piano anticorruzione;

   di tutto quanto sopra, a mezzo Pec istituzionale, è stato opportunamente notiziato il competente Ministero dell'interno – capo dipartimento affari interni e territoriali;

   è evidente la situazione di abuso che perdura presso la provincia di Brindisi, dove, vacante il seggio dell'organo presidente da oltre 8 mesi, il soggetto che avrebbe dovuto indire le elezioni non lo ha fatto, così continuando a svolgere di fatto, in spregio della legge e dei disposti delle magistrature amministrative, le funzioni presidenziali –:

   quali siano state le iniziative poste in essere, per quanto di competenza, dal Ministero dell'interno in relazione al caso per un positivo sviluppo della questione, atteso che la popolazione della provincia di Brindisi, per il tramite degli elettori consiglieri e sindaci del territorio, attende da diversi mesi di eleggere democraticamente, in osservanza dell'articolo 1 della Costituzione italiana, il presidente della provincia di Brindisi.
(4-01043)

  Risposta. — In merito all'interrogazione indicata in esame si premette che, con sentenza n. 1159/2018, il Tar Puglia – ai sensi dell'articolo 1, comma 79 della legge n. 56 del 2014 – ha ordinato al vicepresidente della provincia di Brindisi di indire le elezioni del presidente della provincia.
  Il Consiglio di Stato-terza sezione, in data 7 agosto 2018, ha confermato la sentenza in appello, respingendo l'istanza cautelare proposta dal vicepresidente facente funzioni, fissando al 6 settembre la discussione collegiale cautelare, al fine di verificare l'effetto sul caso di specie dell'intervenuta previsione di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto-legge 25 luglio 2018, n. 91, convertito in legge 21 settembre 2018, n. 108, secondo cui il mandato dei presidenti di provincia e dei consigli provinciali in scadenza tra la data del decreto-legge e il 31 ottobre è prorogato sino a tale data, nella quale si terranno le elezioni per il rinnovo delle cariche di presidente e/o di consigliere provinciale.
  Nelle more, il vicepresidente ha emesso decreto n. 48 del 16 agosto 2018 con cui ha convocato i comizi elettorali per l'elezione del presidente della provincia in data 31 ottobre 2018. Il 6 settembre 2018, la terza sezione del Consiglio di Stato – con ordinanza collegiale n. 04267/2018 REG. PROV. CAU – ha dichiarato improcedibile l'istanza cautelare per dichiarata rinuncia dell'appellante, a seguito dell'avvenuta fissazione delle elezioni provinciali per il 31 ottobre 2018, data coincidente (come sopra detto) con quella stabilita dal richiamato decreto-legge n. 90 del 2018 che, appunto, ha previsto una data generalizzata per tutto il territorio della Repubblica ai fini dello svolgimento delle elezioni provinciali.
  Per quanto concerne i rilievi sull'attività di natura amministrativa posta in essere dal vicepresidente in questione, si rammenta che gli atti amministrativi emessi dagli organi di governo degli enti locali non possono essere sottoposti al vaglio di questa amministrazione, poiché la mera attività di consulenza svolta dalla medesima, nell'ambito di una collaborazione con gli enti locali, non può che essere propedeutica all'esercizio dei poteri propri degli amministratori locali stessi.
  Infatti, in conseguenza della riforma costituzionale in materia, che ha comportato l'abrogazione di ogni forma di controllo amministrativo sugli enti locali, gli eventuali vizi di legittimità degli atti adottati possono essere fatti valere solo nelle competenti sedi giurisdizionali, secondo le consuete regole vigenti in materia.
  Al riguardo, si sottolinea che la prefettura di Brindisi ha seguito comunque con attenzione la fattispecie, sin dal momento della decadenza del Presidente e della conseguente assunzione delle funzioni da parte del vicepresidente, a norma dell'articolo 9, comma 9 dello statuto della provincia.
  Per quanto invece attiene ai richiami agli interventi dell'Anac contenuti nell'interrogazione, si segnala che i relativi procedimenti, non attinenti alla vicenda concernente l'elezione del Presidente, si sono sviluppati in parallelo alla stessa, senza il coinvolgimento di questa amministrazione.
  Si segnala, infine, che i profili specifici attinenti al rispetto, nella vicenda in esame, delle norme disciplinanti l'esercizio delle funzioni e delle prerogative del Segretario generale, sono attualmente all'esame della prefettura di Bari – albo dei segretari comunali e provinciali – sezione regionale Puglia per gli aspetti di propria competenza.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo Sibilia.


   GRIBAUDO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   nella casa di reclusione «Giuseppe Montato» di Alba, nei giorni a cavallo tra il 25 e il 31 dicembre 2015 e Capodanno 2016, avvenne un'epidemia di legionellosi che costrinse al ricovero d'urgenza in ospedale alcuni dei detenuti;

   poiché non si trattava del primo caso di questa malattia, a tutela della salute del personale in servizio e dei detenuti e per eseguirei necessari lavori di manutenzione dell'impianto idrico, l'amministrazione penitenziaria dispose l'immediata sospensione delle attività dell'istituto, con il trasferimento dei detenuti in altri penitenziari del Piemonte e il trasferimento del personale ad altre sedi;

   all'atto della chiusura i posti regolamentari erano 144 ed il personale contava in pianta organica 124 agenti di polizia penitenziaria e 6 educatori; la struttura è dotata di 1 campo sportivo, 1 palestra, 4 aule per attività formative, 1 teatro, 2 locali biblioteca, 1 locale di culto e 1 laboratorio;

   nei primi mesi del 2016 il Governo pro tempore stanziò 2.000.000 di euro, a valere sul piano di edilizia penitenziaria 2016-2018, per i lavori di «adeguamento dei reparti di detenzione con rifacimento impianti idrico sanitari e termici», ma nel corso dell'anno non venne effettuato alcun intervento; su sollecito e suggerimento dei Garanti dei detenuti del Piemonte è stato riaperto nel 2017, dopo gli opportuni lavori, il padiglione collaboratori, per dar luogo alle attività di socializzazione e formazione che erano fiore all'occhiello di questa struttura, fra cui la cura del vigneto carcerario per la produzione del vino «Vale La Pena», esempio di eccellenza nel settore dell'agricoltura sociale in Italia;

   si apprende dal Garante dei detenuti di Alba che nell'autunno 2017 è stato reso noto un cronoprogramma, il quale indicherebbe come data di fine lavori il mese di dicembre 2019 e che negli ultimi mesi del 2017 sarebbe stato affidato l'incarico, alla ditta Magicom Ingegneria di Roma, per il supporto alla progettazione;

   il 22 marzo 2018 è stato pubblicato sul sito del Ministero della giustizia il piano per l'edilizia penitenziaria per gli anni 2018-2020, che prevede per la casa di reclusione albese un importo di 4.500.000 di euro;

   l'attuale situazione del carcere di Alba pone in condizione precaria il personale addetto e le rispettive famiglie, a causa di trasferimenti e incertezza sulla sede finale di destinazione, determina il deterioramento delle strutture rimaste vuote, impedisce la piena messa in atto delle attività socializzanti per i detenuti, indispensabili per impedire la recidiva, svilisce le attività culturali, educative e imprenditoriali nate nella città di Alba per il recupero dei detenuti e concorre al sovraffollamento delle carceri italiane –:

   quali iniziative intenda adottare per garantire il più rapido recupero dell'intera struttura del carcere di Alba, dando luogo ai lavori di ristrutturazione e manutenzione da tempo previsti e più volte rimandati.
(4-00246)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante chiede di sapere quali iniziative il Ministro intenda adottare per garantire il più rapido recupero dell'intera struttura del carcere di Alba, dando luogo ai lavori di ristrutturazione e manutenzione già da tempo previsti e più volte rimandati, dopo che venne disposta la chiusura dell'istituto di pena a seguito di una epidemia di legionellosi sviluppatasi fra la fine del 2015 e l'inizio del 2016.
  Va innanzitutto fatto rilevare che per consentire l'apertura, seppur parziale dell'istituto, già dal mese di gennaio dello scorso anno il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria era più volte intervenuto sia presso la direzione generale del personale e delle risorse sia presso il provveditorato regionale (nei mesi di febbraio e marzo 2017) affinché, nelle more della realizzazione degli interventi più complessi, fossero eseguiti i lavori necessari a consentire l'apertura del reparto di nuova costruzione, sezione ex collaboratori oggi destinato a detenuti a media sicurezza, sito in edificio distinto dall'altra struttura, costituito da 2 piani (5 camere detentive al 1° piano e 17 camere al 2°) per una capienza di 39 posti disponibili. Nel mese di maggio 2017, ultimati i lavori di modifica dell'impianto idro-termo-sanitario nella centrale termica, eseguite le relative prove di funzionalità, nonché gli esami di laboratorio che hanno dato esito negativo in ordine alla presenza del batterio della legionella, è stato possibile riaprire detto padiglione che, alla data del 21 giugno 2018, risulta ospitare 46 detenuti che fruiscono della modalità custodiale aperta.
  Per quanto riguarda, invece, i lavori relativi al restante complesso – che prevedono, secondo quanto richiesto dall'Asl competente, il completo e radicale rifacimento di tutto l'impianto idro-termosanitario, nonché l'adeguamento al decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000 dei servizi igienici annessi alle camere detentive – a fronte di una iniziale previsione di spesa di tre milioni di euro per le sole opere di rifacimento delle condutture idriche e degli impianti di riscaldamento, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ritenendo del tutto incomprensibile una stima economica così elevata, ha ripetutamente richiesto di contenere assolutamente le spese, incaricando il direttore generale del personale e delle risorse di valutare se vi fossero professionalità dell'amministrazione in grado di dare risposte risolutive al problema secondo criteri di economicità disponendo, per l'ipotesi negativa, l'affidamento a professionalità competente con preventivo di spesa.
  Nel successivo mese di giugno la competente direzione generale conferiva all'esterno l'incarico di supporto alla progettazione per gli impianti idro-termo-sanitari, collaborazione che ha supplito alla mancanza dei programmi di calcolo e testi più volte richiesti alla direzione generale per i servizi informatici che solo alla fine del mese di luglio 2017 faceva pervenire la strumentazione necessaria per la predisposizione delle altri parti del progetto, quali il capitolato, il piano per la sicurezza ed il coordinamento ed il piano di manutenzione dell'opera. Tale ritardo, come asserito dalla direzione generale del personale e risorse, non ha consentito di rispettare il termine di affidamento dei lavori all'impresa che risulterà aggiudicataria della gara.
  Allo stato, la progettazione degli interventi di recupero della struttura è in fase di chiusura e si sta procedendo con la predisposizione degli elaborati da trasmettere al C.T.A. ed ai vigili del fuoco territorialmente competenti.
  Considerati i tempi necessari per gli adempimenti propedeutici alla gara e la fase prevista per la procedura comparativa, si può ragionevolmente ritenere che i lavori nei reparti detentivi possano essere conclusi entro la fine del 2019.
  Da ultimo, per completezza si rappresenta che, al fine di ottimizzare l'impiego del personale della casa di reclusione di Alba, attesa la sola parziale riapertura della medesima, il provveditore regionale ha concordato, in via sperimentale, sentite le organizzazioni sindacali, la costituzione di un gruppo di operatori chiamato a intervenire a supporto delle attività di traduzione e piantonamento svolte nel territorio cuneese.
  L'impiego del personale albese a supporto delle attività dei nuclei del sud Piemonte, riducendo il costante ricorso al personale dei reparti degli istituti di Cuneo, Fossano e Saluzzo, contribuisce a migliorare le condizioni di lavoro di tali realtà penitenziarie ed i servizi complessivamente erogati.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   GRIMOLDI e RIBOLLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto pubblicato in un articolo apparso 5 febbraio 2017 sul quotidiano La Verità pare che, a causa del numero troppo elevato di denunce e degli eccessivi ritardi nella loro iscrizione nell'apposito registro o dell'iscrizione nel cosiddetto modello 44 (ossia a carico di ignoti), presso la procura di Milano i reati di furto, salvo «casi clamorosi», di fatto non vengano perseguiti;

   dal medesimo articolo si apprende, altresì, che, già nel dicembre 2015, a seguito di una ispezione ordinaria sull'attività della procura di Milano, nell'ultimo quinquennio, l'ispettorato generale del Ministero della giustizia aveva rilevato un notevole ritardo nell'iscrizione dei procedimenti a carico di ignoti, superiore ai 60 giorni dalla ricezione della denuncia per ben 72.147 procedimenti, e l'impossibilità, addirittura, di poter quantificare il numero dei fascicoli pervenuti e non ancora iscritti;

   a conferma di tale situazione vi sarebbe anche la circostanza che nella relazione all'inaugurazione dell'anno giudiziario 2017, tenuta dal presidente della Corte di appello di Milano, Marina Tavassi, tra le dodici tipologie di reato elencate nella tabella dei fascicoli definiti e pendenti, nonostante il continuo aumento delle denunce, non appare il reato di furto;

   la stessa omissione compare nelle relazioni di inaugurazione dell'anno giudiziario anche del 2015 e del 2016, nonostante dall'ultimo bilancio sociale della Corte di appello di Milano, risulterebbe che tra il 1° luglio 2014 e il 30 giugno 2015 sono state registrate ben 47.685 denunce per furto;

   stante l'elevato numero di denunce, e innegabile che a Milano vi sia una situazione di emergenza in tema di sicurezza, a giudizio degli interroganti, non adeguatamente evidenziata dalle statistiche ufficiali, per mancanza o incompletezza dei dati come sopra rilevato, ma tuttavia percepita in modo evidente dai cittadini ed aggravata dalla situazione di generale impunità che verrebbe avvertita nel capoluogo lombardo;

   i furti in appartamento rappresentano la categoria più numerosa e, a fronte di un loro aumento nell'ultimo decennio del 151 per cento nel Nord-Ovest, nella zona più colpita, a Milano, l'incremento sarebbe stato addirittura del 229,2 per cento –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e se quanto riferito in merito alla procura di Milano corrisponda al vero;

   se non ritenga opportuno promuovere un'ulteriore ispezione ministeriale onde accertare la situazione presso la medesima procura;

   quali iniziative siano state adottate a seguito delle risultanze dell'ispezione effettuata nel 2015 per i problemi già allora evidenziati, quale sia il numero dei procedimenti pervenuti e iscritti presso la procura di Milano e quelli pendenti e definiti presso il tribunale e la Corte di appello di Milano per il reato di furto negli anni 2014, 2015 e 2016.
(4-00263)

  Risposta. — L'interrogazione parlamentare in esame trae spunto da un articolo pubblicato sul quotidiano La Verità, in data 5 febbraio 2017, in cui si rilevava che, presso la procura di Milano, a causa del numero troppo elevato di denunce e degli eccessivi ritardi nella iscrizione nell'apposito registro o nel cosiddetto modello 44 (ossia a carico di ignoti), i reati di furto, salvo «casi clamorosi» di fatto non vengono perseguiti.
  Premessa, quindi, la situazione di emergenza in tema di sicurezza esistente a Milano, non adeguatamente evidenziata dalle statistiche ufficiali, ma sentitamente percepita dai cittadini ed aggravata dalla situazione di generale impunità che si avverte nel capoluogo lombardo, il deputato interrogante ha chiesto di conoscere se non sia opportuno disporre un'ispezione ministeriale, onde accertare la situazione presso la procura e quali iniziative siano state adottate a seguito delle risultanze dell'ispezione effettuata nel 2015 per i medesimi problemi, già allora evidenziati.
  L'interrogazione in esame ne ricalca altra, già formulata in data 13 febbraio 2017, a seguito della quale è stata disposta un'attività di monitoraggio sulla situazione di ritardo nell'iscrizione di notizie di reato a carico di ignoti presso la procura della Repubblica di Milano.
  Al riguardo, il procuratore della Repubblica del capoluogo lombardo aveva chiarito che dal mese di marzo 2017, con l'istituzione obbligatoria del portale delle notizie di reato l'iscrizione di tutte le notizie di reato, ivi comprese quelle a carico di ignoti, avviene in modo automatico, per cui, da quella data, non si pone più alcun problema di possibili ritardi.
  Per il periodo precedente — dal 2011 al 28 febbraio 2017 —, il procuratore aveva già all'epoca evidenziato la gravissima carenza di personale, alla quale riteneva di non poter far fronte se non con un altrettanto straordinario finanziamento, sulla cui erogabilità, tuttavia, non aveva avuto notizia alcuna da parte degli organi competenti.
  Con nota del 17 aprile 2018, poi, il procuratore generale presso la Corte di appello di Milano ha ribadito che le C.N.R. a carico di ignoti trasmesse con elenchi dal 1o marzo 2017, sono iscritte in modo automatico, mentre, per le C.N.R. trasmesse singolarmente, permane un maggior ritardo nella registrazione, a causa dell'inadeguatezza della dotazione del personale amministrativo.
  

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   GRIMOLDI e RIBOLLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   in seguito alle ondate migratorie, lo Stato ha delegato le prefetture a stipulare accordi diretti con privati per reperire nei comuni immobili da destinare all'ospitalità dei richiedenti asilo;

   gli accordi, spesso stipulati all'insaputa dei sindaci, portano a dislocare nei diversi comuni molte persone bisognose, senza possibilità per i sindaci di adeguare il sistema dei servizi alle reali necessità di nuovi residenti, impedendo agli stessi di prevenire problemi di ordine pubblico e di natura igienico-sanitaria in situazioni particolari;

   stando alle informazioni direttamente acquisite dall'interrogante, diversi sindaci, già nei mesi di luglio e agosto 2017, si sono trovati costretti ad adottare ordinanze contingibili ed urgenti per prevenire imminenti pericoli di natura sanitaria e di ordine pubblico;

   le ordinanze prevedono, dunque, che i privati comunichino preventivamente al sindaco la partecipazione ai bandi delle prefetture e l'eventuale sottoscrizione di accordi con le stesse, in modo che il sindaco, autorità sanitaria locale ed ufficiale del Governo in materia di sicurezza pubblica, possa effettuare i dovuti controlli igienico-sanitari sugli immobili destinati all'accoglienza e prevenire eventuali problemi di ordine pubblico;

   tali sindaci hanno notificato tale ordinanza alle prefetture prima che questa diventasse efficace;

   le ordinanze sono in vigore per un periodo limitato, essendo adottate per prevenire situazioni di emergenza;

   i prefetti, nei mesi di settembre e ottobre 2017, avrebbero invitato tali sindaci a ritirare le ordinanze o a rivederne i contenuti alla luce di quelli che appaiono agli interroganti indefiniti elementi di dubbia legittimità;

   alla luce di queste richieste, alcuni sindaci hanno revocato o annullato, nel mese di ottobre e novembre, tali ordinanze, essendo venuta meno l'urgenza con l'interruzione dei bandi prefettizi;

   le prefetture, allo stesso modo, hanno incaricato l'Avvocatura di Stato di impugnare le ordinanze chiedendone la sospensione al Tar;

   in seguito alla notifica dei ricorsi, altri sindaci, a quanto risulta agli interroganti, hanno annullato o revocato le ordinanze, con immediata comunicazione alle prefetture;

   le prefetture, a quanto risulta agli interroganti, avrebbero iscritto comunque a ruolo molti ricorsi, portando in discussione davanti al Tar atti già revocati o annullati e generando, comunque, delle spese legali, per gli interroganti inutili in capo a molti comuni –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se, considerato il ruolo di raccordo degli uffici territoriali del Governo nei confronti degli enti locali, ruolo che dovrebbe basarsi sulla leale collaborazione, intenda assumere le iniziative di competenza per evitare che i contenziosi possano nei fatti generare costi per comuni, favorendo un generale aumento della spesa pubblica.
(4-00338)

  Risposta. — Nell'interrogazione in oggetto, concernente la stipula di accordi diretti tra prefetture e privati per il reperimento nei comuni di immobili da destinare all'ospitalità dei richiedenti asilo, si evidenzia che spesso tali accordi sarebbero stati stipulati all'insaputa dei sindaci, senza dare la possibilità agli stessi di prevenire problemi di ordine pubblico e di natura igienico-sanitari.
  Di conseguenza, la mancata informazione avrebbe costretto i rappresentanti degli enti locali ad adottare ordinanze contingibili ed urgenti per prevenire imminenti pericoli di natura sanitaria e di ordine pubblico.
  Al riguardo, si rappresenta che alcune Prefetture, in particolare del nord Italia, ritenendo illegittime le citate ordinanze, adottate ai sensi degli articoli 50 e 54 del decreto legislativo n. 267 del 2000, per mancanza dei requisiti della contingibilità ed urgenza, hanno chiesto ai rappresentanti degli enti locali di revocare i provvedimenti nell'ottica del principio di leale collaborazione tra amministrazioni.
  In particolare, risulta che le prefetture di Milano, Lecco, Bergamo, Novara, Padova, Parma, Modena, Massa-Carrara, La Spezia, ed Enna solo nei casi di mancata revoca dei provvedimenti comunali contrari ai predetti accordi abbiano interessato le competenti sedi distrettuali dell'avvocatura dello Stato, le quali hanno ritenuto necessario procedere all'impugnazione.
  Si informa, inoltre, che le cause in corso sono state definite dai Tar competenti con l'annullamento delle ordinanze adottate dai sindaci (e non revocate su invito delle prefetture) e conseguente condanna dei comuni al pagamento delle spese di giudizio in favore dell'amministrazione ricorrente.
  Con riferimento alle spese legali, si osserva che per espressa disposizione normativa (articolo 9, comma 4, del decreto-legge 90 del 2014, come modificato dall'articolo 1, comma 486, lettere
a) e b), legge 27 dicembre 2017, n. 205), è fissata la percentuale e le modalità di riparto delle somme ed è preclusa alle amministrazioni ricorrenti, nei confronti delle quali è stata emessa sentenza favorevole, qualsiasi valutazione discrezionale.
  Il tema, sotto il profilo strettamente politico, è stato affrontato nella fase di conversione del decreto «sicurezza», dove è stato inserito un emendamento che prevede l'assenso esplicito favorevole da parte dell'ente locale di riferimento per l'affidamento di immobili destinati all'ospitalità dei richiedenti asilo.
  

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo Sibilia.


   GRIMOLDI e RIBOLLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   la situazione organica della casa circondariale di Monza è sempre più critica, paradossale e contraddittoria;

   da un lato, la denuncia sindacale, quasi quotidiana, della grave e cronica carenza di personale di polizia penitenziaria in regione Lombardia – e quindi anche nell'istituto monzese – dall'altro il provveditorato regionale per la Lombardia che rileva al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, con nota n. 79664 del 2 novembre 2016, le gravi difficoltà in essere nel distretto lombardo, appunto dovute alla gravissima carenza di organico chiedendo al medesimo «pur conscio delle difficoltà di nuove assegnazioni che producano effettivi incrementi, quanto meno, di evitare, o meglio, limitare, i distacchi fuori sede»; sempre il provveditorato regionale per la Lombardia, con successiva nota n. 93056 del 19 dicembre 2016, invita «i Signori Direttori e Comandanti di reparto a operare una razionalizzazione dei posti di servizio, basandosi sul personale effettivamente posto a disposizione e non già sull'organico che “dovrebbe” essere presente», pur riconoscendo che non si può «come ineluttabilmente rischia di succedere, far ricadere sul personale presente gli effetti negativi della carenza di organico»;

   il paradosso è raggiunto con l'utilizzo di tre unità di polizia penitenziaria in Sala Convegno, depauperando ulteriormente l'esiguo numero di personale rimasto a turno;

   in altri termini tre agenti, che oggi lavorano nelle sezioni del carcere di Monza, sono destinati a coprire un servizio che, ancora per un paio di settimane, sarà gestito da una società esterna, con compiti diversi da quelli loro spettanti, come mansioni da barista;

   secondo il Ministero, in regione Lombardia, su 19 istituti di pena, dovrebbero esserci 5.208 poliziotti penitenziari, ma quelli effettivamente presenti sono soltanto 3.779, vale a dire il 30 per cento in meno;

   tale carenza riguarda tutti i livelli: i commissari (previsti 57, presenti 33), gli ispettori (134 invece di 511), i sovrintendenti (116 invece di 529) e soprattutto gli agenti (3.496 su un fabbisogno accertato di 4.111);

   è assurda, a parere dell'interrogante, l'attuale situazione che vede gli istituti penitenziari lombardi contendersi e sottrarsi tra loro gli agenti per tamponare le necessità e tappare i buchi e, al contempo, gli agenti medesimi ridotti all'osso e costretti a rinunciare a riposi e ferie accumulando ore ed ore di straordinari –:

   se e quali urgenti iniziative intenda adottare per porre fine a quanto esposto in premessa, a cominciare dall'utilizzo di personale in servizi non istituzionali.
(4-00343)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, gli interroganti, richiamate la carenza di organico di cui soffrono gli istituti penitenziari lombardi, con particolare riferimento alla casa circondariale di Monza, rispetto a cui si assiste al «paradosso» dell'impiego di tre unità presso la sala convegni con mansioni di barista, chiedono di sapere se e quali iniziative il Ministro intenda assumere per porre fine a quanto esposto, a cominciare dall'utilizzo di personale per fini non istituzionali.
  Va innanzitutto premesso che, secondo gli elementi forniti dal dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, il personale in servizio presso la casa circondariale di Monza è costituito da 318 unità, con una carenza complessiva di sole tre unità rispetto alla previsione organica di cui al P.C.D. del 29 novembre 2017 sviluppato in applicazione del decreto ministeriale del 2 ottobre 2017.
  Ne deriva un tasso di scopertura assolutamente modesto.
  Le criticità attengono, in particolare, al personale appartenente ai ruoli di sovrintendente e di ispettore, in quanto presenti in numero ridotto rispetto alla previsione organica, sebbene occorra precisare che trattasi di una situazione, per altro in linea con la maggior parte degli istituti penitenziari, destinata a migliorare già nel primo triennio dell'anno venturo grazie al recente riordino delle Forze di polizia di cui al decreto legislativo n. 59 del 2017.
  Per quanto riguarda, invece, la questione dell'impiego di unità del comparto sicurezza presso il bar dell'istituto monzese, dove lavorano anche due detenuti in regime di articolo 21 dell'ordinamento penitenziario, si rappresenta che tale previsione ottempera a rilievi formulati dal Ministero dell'economia e delle finanze che ha disposto l'affidamento del servizio alla gestione diretta anziché, come in passato, a soggetti terzi.
  L'impiego del personale dell'Amministrazione all'interno degli spacci/sale convegno degli istituti penitenziari – giustificato quale intervento di protezione sociale (secondo quanto stabilito dall'articolo 41 della legge di riforma n. 395 del 1990) ed autorizzato dall'articolo 19 della legge 321 del 1991 – fu largamente compresso, dalla fine del 2010, a seguito di decisione, dell'allora consiglio di amministrazione, di esternalizzare la gestione degli spacci.
  La cosiddetta esternalizzazione condusse, però, da un lato, ad una notevole contrazione degli introiti, necessari per finanziare i compiti espletati dall'ente di assistenza, dall'altro, a frequenti sospensioni delle attività di somministrazione per l'inadeguatezza dei soggetti affidatari del servizio, privando così il personale di un importante luogo di aggregazione per il recupero psico-fisico, oltre che di mero ristoro.

  Da tale circostanza nacque il rilievo fatto in esito alla visita ispettiva effettuata nei mesi di marzo-maggio 2015 dall'ispettorato generale di Finanza, reiterato nonostante le oggettive argomentazioni giustificative rivolte in sede di riscontro dal consiglio di amministrazione.
  Le perplessità enunciate dall'ispettorato generale di Finanza sono attualmente oggetto di valutazione della procura della Corte dei conti.
  Lo stesso Ragioniere generale dello Stato ha raccomandato «il proseguimento delle procedure di reinternalizzazione degli spacci/sale convegno, nell'ottica del miglioramento e della convenienza economica della gestione degli stessi» in occasione dell'approvazione dei bilanci preventivi e consuntivi dell'ente di assistenza.
  Pertanto il consiglio di amministrazione dell'ente, in ottemperanza a quanto disposto dal Ministero dell'economia e della finanza, deliberato di non rinnovare i contratti con ditte/cooperative al fine di ricondurre le gestioni esternalizzate in amministrazione diretta, anche con l'utilizzazione di mano d'opera detenuta.
  Diverse determinazioni da parte di questo Dicastero risulterebbero, in definitiva illegittime e palesemente dannose.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   INVERNIZZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   sulla base delle disposizioni del decreto ministeriale del 15 agosto 2017, recante la direttiva sui comparti di specialità delle forze di polizia e sulla razionalizzazione dei presìdi di polizia, sarebbe stata decisa la soppressione del distaccamento di polizia stradale di Treviglio;

   il predetto distaccamento sta del resto sperimentando da tempo una diminuzione dei propri effettivi che induce a ritenere ormai prossima l'esecuzione del conseguente provvedimento di chiusura;

   attualmente l'unità operativa distaccata di Treviglio garantisce il servizio di polizia stradale sulla viabilità ordinaria della provincia di Bergamo, sorvegliando gli itinerari della pianura che attraversano e connettono cinquanta comuni;

   la presenza di un distaccamento della polizia stradale proprio a Treviglio consente di accelerare i tempi di intervento;

   il presidio della polizia stradale situato a Treviglio è altresì un valido supporto operativo per le azioni di prevenzione e controllo del territorio condotte dalle altre forze dell'ordine e dalle polizie locali;

   il distaccamento è operativo nella provincia bergamasca da ben 59 anni e nel 2017 ha garantito un indice di copertura giornaliera del territorio pari a tre pattuglie al giorno, assicurando i quattro turni della giornata nelle fasce orarie 01/07, 07/13, 13/19 e 19/01;

   è noto che la competenza della polizia stradale si estende inoltre alle attività di controllo dei pubblici esercizi (autofficine, centri di revisione, autoscuole, agenzie pratiche automobilistiche, autosaloni, gommisti e carrozzerie), prestando particolare attenzione alle violazioni in materia amministrativa e ambientale;

   la chiusura del distaccamento di polizia stradale comporterebbe pertanto gravissime ricadute sul territorio della provincia bergamasca sul piano dell'efficacia delle attività di prevenzione, repressione e soccorso pubblico –:

   se, alla luce delle circostanze generalizzate in premessa, il Governo ritenga effettivamente di dover sopprimere il distaccamento di polizia stradale di Treviglio e se non consideri invece più opportuno rinunciare a tale soppressione.
(4-00114)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante chiede notizie in merito all'eventuale chiusura del distaccamento della polizia stradale di Treviglio, in provincia di Bergamo, auspicando un'opportuna rinuncia all'iniziativa.
  Si premette che la linea d'intervento che il Governo intende attuare, con determinazione, sul versante della sicurezza dei cittadini ha come obiettivo primario l'innalzamento dell'azione di prevenzione e contrasto delle Forze di polizia rispetto ai diversi fenomeni di illegalità.
  Il raggiungimento di tale risultato richiede, come passaggio necessario, il potenziamento della capacità operativa delle diverse componenti del sistema sicurezza, da realizzare sia attraverso l'attuazione di un più efficace modello organizzativo degli uffici e dei reparti esistenti sia attraverso un mirato piano di potenziamento straordinario degli organici in alcuni settori strategici.
  In tale quadro il dipartimento della pubblica sicurezza ha già predisposto un progetto per la revisione delle dotazioni organiche delle questure e per la definizione di un nuovo modello organizzativo delle stesse e dei commissariati di pubblica sicurezza; ciò sulla base di parametri e indicatori che fanno riferimento alla complessità dei contesti territoriali di riferimento e, in particolare modo, agli indici di delittuosità generali e al radicamento della criminalità organizzata, all'esistenza di condizioni di particolare conflittualità sociale, oltre naturalmente all'incidenza dei fenomeni migratori.
  Intendo precisare che il nuovo impianto, per il quale è in corso un confronto con le organizzazioni sindacali della polizia di Stato, non prevederà in nessuna sede riduzioni di personale.
  Il Governo sta procedendo, infatti, ad un potenziamento degli organici.
  Su tale versante va segnalato lo stanziamento di 500 milioni di euro inserito nel disegno di legge di bilancio, approvato dal Consiglio dei ministri del 15 ottobre 2018, finalizzato al piano straordinario di assunzioni per poliziotti, magistrati e personale amministrativo.
  Per quanto riguarda il Ministero dell'interno, il piano straordinario di potenziamento riguarderà, oltre alla polizia di Stato, anche il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, il personale della carriera prefettizia e quello dell'amministrazione civile, al fine di assicurare il mantenimento dei necessari standard di funzionalità anche in relazione ai peculiari compiti in materia di immigrazione e di ordine pubblico e di favorire, altresì, il necessario ricambio generazionale.
  Per la polizia di Stato, l'intenzione è quella di procedere ad un ripianamento al 100 per cento del
turn-over del personale attraverso l'attuazione di un piano quinquennale di assunzioni per azzerare le carenze di organico, con evidenti benefìci anche sul piano dell'abbassamento dell'età media del personale in servizio.
  Per quanto riguarda il caso specifico, ossia l'eventuale chiusura del distaccamento della polizia stradale di Treviglio, si rappresenta che questo Governo, in ragione delle peculiarità dei presìdi delle specialità della polizia di Stato sul territorio, ha ritenuto di non dare seguito al piano di chiusura che aveva approntato il precedente Esecutivo.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Nicola Molteni.


   INVERNIZZI e TOMBOLATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   con parere 30/3/2018 n. 300/A/2689/18/105/20/3 il Ministero dell'interno ha risposto ad una richiesta di chiarimenti da parte della prefettura di Arezzo circa l'uso della targa di prova sui veicoli sprovvisti di copertura per la responsabilità civile auto, specificando che, diversamente dalla prassi ormai consolidata, l'autorizzazione alla circolazione di prova di cui all'articolo 98 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, ha il solo scopo di evitare di munire della carta di circolazione un veicolo che circola su strada per determinate esigenze;

   secondo il parere del Viminale, a poter circolare con targa di prova possono essere esclusivamente i veicoli non immatricolati e in genere i veicoli privi di carta di circolazione, compresi quelli per i quali in conseguenza di variazioni tecniche deve essere aggiornata;

   questo parere sancisce quindi l'invalidità dell'autorizzazione di prova (e della relativa targa) se questa viene adoperata per spostare o testare un veicolo usato (già immatricolato). Il Ministero dell'interno afferma che «il fatto che tra i soggetti che possono richiedere ed ottenere l'autorizzazione alla circolazione di prova siano inclusi anche gli esercenti di officine di riparazione e di trasformazione, non implica affatto che il titolo autorizzativo in esame possa anche servire per la circolazione dei veicoli immatricolati non revisionati, privi di assicurazione RCA». Le officine quindi, paradossalmente, non possono più utilizzare questa targa per testare un veicolo in riparazione;

   questa interpretazione danneggia tutti i soggetti che attualmente utilizzano, nel rispetto dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 2001, n. 474 (Regolamento di semplificazione del procedimento di autorizzazione alla circolazione di prova dei veicoli), l'autorizzazione di prova per motivi di lavoro su veicoli immatricolati: commercianti di automobili usate, esercenti di officine di riparazione e carrozzerie;

   il regolamento di cui sopra prevede, infatti, che l'obbligo di munire della carta di circolazione di cui agli articoli 93, 110 e 114 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, i veicoli che circolano su strada per esigenze connesse con prove tecniche, sperimentali o costruttive, dimostrazioni o trasferimenti, anche per ragioni di vendita o di allestimento, non sussiste per determinati soggetti se autorizzati alla circolazione di prova rilasciata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, fra cui: le fabbriche costruttrici di veicoli a motore e di rimorchi e i commercianti autorizzati, le fabbriche costruttrici di carrozzerie e di pneumatici, gli esercenti di officine di riparazione e di trasformazione;

   il parere del Ministero dell'interno è, a giudizio degli interroganti, palesemente in contrasto con il decreto del Presidente della Repubblica n. 474 del 2001, in considerazione del fatto che ovviamente i veicoli da testare da parte di officine, produttori di pneumatici e di allestimenti per verificarne il corretto funzionamento nonché da parte di commercianti di auto usate per far provare l'auto su strada a possibili acquirenti, sono già immatricolati. Questo parere rende, di fatto, inutile uno strumento fondamentale nella gestione di alcune attività commerciali;

   in questa fase di confusione creata da una contraddizione fra interpretazioni della norma, sembra che siano già state comminate le prime sanzioni a carico di chi utilizza targhe di prova su veicoli immatricolati, fino a prevedere il sequestro della vettura ai sensi dell'articolo 193 del codice della strada (obbligo dell'assicurazione di responsabilità civile) –:

   se i Ministri interrogati non ritengano urgente assumere iniziative per chiarire definitivamente e univocamente che i soggetti di cui all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 2001, n. 474, sono autorizzati a circolare, per esigenze strettamente connesse alla propria attività lavorativa, con veicoli muniti di targa di prova, anche se immatricolati.
(4-00425)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Alla luce della vigente normativa, decreto del Presidente della Repubblica del 24 novembre 2001, n. 474 e articolo 98 del codice della strada, questa Amministrazione ritiene legittima la circolazione di prova anche dei veicoli non ancora immatricolati, sempreché detta circolazione sia connessa ad esigenze di prove tecniche o di vendita.
  Tuttavia, considerato il diffuso fenomeno di abuso nell'utilizzo delle autorizzazioni alla circolazione di prova, è stata ravvisata l'esigenza di adottare misure correttive al richiamato decreto del Presidente della Repubblica n. 474 del 2001, finalizzate, da un lato, a contrastare tale fenomeno e dall'altro, a garantire che gli operatori del settore possano continuare ad utilizzare in piena legalità le targhe di prova.
  In quest'ottica è in corso un tavolo tecnico cui partecipano rappresentanti di questa Amministrazione e rappresentanti del Ministero dell'interno, al quale è stato affidato il compito di redigere uno schema di decreto recante modifiche al decreto del Presidente della Repubblica n. 474 del 2001 e il cui scopo è anche quello di definire le modalità e i termini di utilizzo delle targhe di prova sui veicoli immatricolati.

  Peraltro, nelle more dell'adozione delle citate modifiche, in considerazione della necessità di evitare l'irrogazione di provvedimenti sanzionatori agli operatori del settore, il Ministero dell'interno su sollecitazione di questo Dicastero, ha provveduto a diramare il 30 maggio 2018 la circolare n. 300/A/4241/18/105/20/3, con la quale ha richiesto agli organi preposti al controllo di evitare per il momento ogni azione sanzionatoria ed economicamente pregiudizievole nei confronti degli operatori del settore che agiscono secondo la prassi consolidata di utilizzare le targhe prova anche su veicoli già immatricolati ma sprovvisti di copertura assicurativa.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Danilo Toninelli.


   IOVINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   in questi giorni ancora una volta si è assistito alla morte di un lavoratore intento a svolgere le proprie mansioni;

   in un Paese industrializzato come il nostro è intollerabile che questi accadimenti proseguano con tale frequenza e che sia le cosiddette morti bianche che i tragici incidenti e infortuni sul posto di lavoro colpiscano continuamente i lavoratori. Da anni tali tragedie non cessano di esistere e i Governi succedutisi nel tempo non hanno mai realmente invertito la rotta in termini di totale attuazione della normativa sulla sicurezza del lavoro;

   il giovane Aniello Bruno è deceduto al pastificio «Ferrara» nel reparto dei pallettizzatori dove lavorava con modelli di macchine definiti all'avanguardia e svolgendo lavori routinari in cui vengono impiegati plurimi operai. Una sorta di pressa, di circa 1 metro e mezzo quadrato e denominato «ascensore», è scesa giù colpendolo mortalmente;

   alcune testate giornalistiche, fra cui Il Mattino, riportano che: «sono in molti a sottolineare che già da qualche giorno prima della tragedia alcuni addetti agli imballaggi avevano segnalato al capo del settore un problema legato proprio a quel macchinario, che sembrava non andare alla perfezione». Su tale questione si chiede, nel rispetto delle indagini pendenti, un immediato chiarimento per l'impatto sociale che ha sviluppato tale grave notizia nel territorio;

   l'interrogante ha fiducia nella magistratura, nelle indagini in corso, nel prossimo espletamento dell'autopsia e della perizia medico legale, ma ritiene che il «punctum dolens» non sia solo questo;

   difatti, la sicurezza sul posto di lavoro richiede un intervento radicale dal punto di vista normativo e nella concreta attuazione di queste norme, poiché in un moderno sistema industriale tali fatti non devono più esistere;

   la sicurezza sul posto del lavoro non può essere vista come un ulteriore onere burocratico e costo, e a nulla valgono gli sgravi, le agevolazioni e le prescrizioni sul punto se poi nella «pratica» ci si scontra con una normativa insufficiente, con le difficoltà dei controlli ispettivi e con la «collusione» presente in determinati ambiti;

   il tutto si colloca in procedimenti e processi connessi penali e civili, nonché amministrativi, le cui lungaggini, anche inerenti agli aspetti sanzionatori, non possono non incidere sulla repressione delle cosiddette morti bianche e degli incidenti sul lavoro;

   nell'immediato, si dovrebbe aprire una riflessione sull'opportunità di eliminare i tempi prescrizionali con riferimento a tali reati e sanzioni, o quanto meno allungarne i termini, intervenendo però contemporaneamente sulle lungaggini processuali e procedimentali che rappresentano un'altra forma di subdola vanificazione del sistema normativo;

   la politica per troppo tempo ha tentato di fare interventi che hanno manifestato la loro totale inadeguatezza, considerando che ad oggi il fenomeno non è stato ancora eliminato;

   è opportuno promuovere un tavolo tecnico e una campagna di sensibilizzazione, anche nelle istituzioni scolastiche ed universitarie e all'interno della società civile, affinché si risolva una volta per tutte la questione concernente la sicurezza sul lavoro, sfoltendo poi le lungaggini amministrative e processuali e creando un sistema di controllo più intenso ed efficiente unito ad un sistema di sanzioni, non solo più dure, ma caratterizzato dal requisito legale della «certezza», e ove effettivamente le somme richieste, i risarcimenti e altro siano effettivamente recuperati e ove le pene, anche accessorie, siano concretamente applicate;

   l'imputazione penale dovrà realmente estendersi a tutti coloro che, direttamente o indirettamente, sono obbligati alla vigilanza –:

   di quali specifiche informazioni disponga in merito all'episodio di cui in premessa;

   su un piano più generale, quali iniziative di competenza intenda assumere per far finalmente cessare accadimenti come quelli denunciati.
(4-00732)

  Risposta. — In riferimento all'atto parlamentare in esame, concernente l'infortunio mortale sul lavoro occorso al signor Aniello Bruno il 12 luglio 2018, sulla base delle informazioni fornite tra l'altro dall'Inail, si rappresenta quanto segue.
  A seguito di regolare denuncia di infortunio inviata telematicamente, il 13 luglio 2018, dal Pastificio Guido Ferrara s.p.a. di Nola, la sede Inail di Caserta ha disposto un accertamento ispettivo per determinare le cause e le circostanze dell'evento al fine di riconoscere le prestazioni assicurative e attivare il Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro (ai sensi della legge n. 296 del 2006.
  All'esito dei predetti accertamenti ispettivi è emerso che l'infortunio si è verificato durante la quarta ora di lavoro allorquando il lavoratore è rimasto schiacciato mentre stava utilizzando il «pallettizzatore», macchinario che serve a comporre la pedana con il prodotto finito.
  Su tale incidente, il tribunale di Nola ha aperto un procedimento penale (R.G. n. 2057/2018) nel quale risultano indagati il datore di lavoro, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il capoturno.
  La sede Inail di Caserta sta provvedendo all'acquisizione dei dati utili alla costituzione della rendita a superstite, in presenza del requisito della «vivenza a carico», e al pagamento dell'assegno funerario. È stata inoltre avviata l'istruttoria per la prestazione a carico del predetto Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro.
  Quanto alle iniziative del Governo, in tema di prevenzione e tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, se ne evidenzia l'estrema centralità nell'azione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'Inail, tanto sul piano della tutela di diritti fondamentali dei lavoratori e delle lavoratrici quanto su quello della necessità che le imprese comprendano e condividono l'importanza di approcciare in modo diverso da come è stato fino ad ora il tema sicurezza e prevenzione.
  Sul piano giuridico, una disciplina fondamentale in materia è rappresentata dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (cosiddetto Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro) attraverso il quale è stato realizzato un riordino complessivo della normativa al fine di semplificare, coordinare e razionalizzare le disposizioni esistenti in un unico testo. Tale disciplina – oggetto di successive modifiche e integrazioni nell'ottica di un continuo miglioramento – ha impegnato, e tutt'ora impegna, diverse amministrazioni centrali e locali in un articolato e graduale processo di attuazione, non solo in una prospettiva sanzionatoria e repressiva, ma anche al fine di realizzare una moderna cultura della prevenzione e della sicurezza condivisa all'interno degli ambienti di lavoro nel comune interesse dei lavoratori e delle imprese.
  Occorre tuttavia considerare che molteplici fattori, spesso connessi tra loro, hanno determinato, nel corso del tempo, un mutamento delle condizioni di lavoro e l'insorgere di nuovi rischi; basti pensare, ad esempio, all'innovazione tecnologica, al progressivo invecchiamento della popolazione attiva e alla difficoltà, per le piccole e medie imprese, di valutare le situazioni di rischio e di adottare strategie appropriate per mettere in sicurezza i propri lavoratori.
  Tale nuovo contesto richiede un'attenzione costante da parte di tutti gli attori coinvolti, che non può esaurirsi nel necessario aggiornamento del quadro normativo ma che deve riguardare anche il rafforzamento del sistema istituzionale e l'accrescimento della cultura e della sensibilità sui temi della prevenzione.
  In proposito, il Ministro Di Maio in un recente intervento presso l'Assemblea della Camera dei deputati, ha sottolineato la necessità di sviluppare nuove strategie finalizzate all'introduzione di strumenti concreti, pratici e adeguati alle condizioni di lavoro e alle dimensioni dell'impresa che siano in grado di assicurare il benessere e l'integrità fisica dei lavoratori e, al contempo, la sostenibilità economica e organizzativa delle imprese.
  In particolare, il Ministro ha evidenziato la necessità di:

   1) valorizzare il sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (S.I.N.P.) uno strumento che fornisce dati utili per orientare, programmare, pianificare e valutare l'efficacia dell'attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali anche indirizzando l'attività di vigilanza attraverso l'utilizzo integrato delle informazioni disponibili negli attuali sistemi informativi;

   2) avviare la cosiddetta Flexicurity, uno strumento che consente a chi viene espulso dal mondo del lavoro (ovvero a chi lascia volontariamente un lavoro perché non lavora in condizioni di sicurezza) di formarsi attraverso un centro per l'impiego che deve essere efficiente - e per questo il Governo si sta impegnando per una loro ristrutturazione - di essere successivamente inserito in nuovo ambiente di lavoro che gli consenta di rispettare le norme in materia di salute e di sicurezza;

   3) favorire un sistema di premialità nei confronti delle imprese che decidono di investire in sicurezza, migliorando le condizioni negli ambienti di lavoro e impegnandosi nella formazione;

   4) diffondere, sin dalla scuola, la cultura della sicurezza del lavoro mediante il potenziamento degli strumenti di alternanza scuola-lavoro.

  Con riferimento alle politiche ed alle iniziative messe in campo dall'Inail in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, si evidenzia, sul piano generale, che la prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali costituisce un obiettivo strategico prioritario dell'Inail, nell'ottica del tendenziale azzeramento del fenomeno infortunistico e tecnopatico.
  In particolare, l'istituto è da tempo impegnato a promuovere la cultura della prevenzione, favorendo ogni iniziativa promozionale idonea a determinare un accrescimento delle conoscenze in materia di sicurezza per aziende, lavoratori e studenti, con particolare attenzione all'aspetto della formazione.
  Per conseguire gli specifici obiettivi in ambito prevenzionale, l'istituto opera in sinergia e di concerto con i Ministeri, le regioni, le parti sociali e altri organismi operanti nel settore, con i quali ha messo in campo una serie di attività ed iniziative. Nell'ambito di tali rapporti interistituzionali, vanno segnalate, da ultimo, quelle legate al tavolo tecnico ristretto in materia di sicurezza sul lavoro, attivato il 10 maggio 2018, nell'ambito della collaborazione tra l'istituto, la conferenza delle regioni e delle province autonome, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l'ispettorato nazionale del lavoro.
  In tale ambito è stata, altresì, concordata la collaborazione dell'Inail con l'ispettorato nazionale del lavoro riguardo due iniziative: la valutazione dell'ispezione del lavoro in Italia e la campagna europea «Lavoro sano e sicuro per i lavoratori somministrati e i lavoratori distaccati l'UE».
  L'Inail collabora, inoltre, con le principali associazioni di categoria al fine di promuovere l'adozione dei sistemi di gestione della salute e sicurezza (SGSL) previsti dall'articolo 30, comma 5, del decreto legislativo n. 81 del 2008.
  Sul versante del supporto economico alle aziende, l'istituto mette a disposizione delle imprese risorse per il miglioramento della salubrità e della sicurezza degli ambienti di lavoro. Il programma di finanziamento a fondo perduto denominato ISI, ad esempio, rivolto alle imprese anche individuali iscritte alla Camera di commercio industria, artigianato ed agricoltura, è divenuto ormai un programma strutturale per il quale sono stati stanziati più di 1,8 miliardi di euro dal 2010 ad oggi.
  Altrettanto importanti sono le iniziative formative dell'Inail destinate al mondo della scuola finalizzate al trasferimento della cultura e dei valori in tema di salute e della sicurezza nei luoghi di studio, di lavoro e di vita quotidiana. Il 16 dicembre 2017, in occasione degli stati generali dell'alternanza scuola-lavoro, è stato sottoscritto, infatti, il protocollo d'intesa Inail-Ministero dell'istruzione che ha lo scopo di individuare le strategie di intervento e la realizzazione di programmi formativi volti a favorire la diffusione della cultura della salute e sicurezza nelle istituzioni scolastiche.
  Nella stessa circostanza è stato rilasciato un corso di formazione generale in modalità di apprendimento
e-learning denominato «Studiare il lavoro», destinato agli studenti degli Istituti scolastici secondari di secondo grado inseriti nei percorsi di alternanza scuola.
  Si evidenzia, infine, l'importante offerta formativa dell'Inail in materia di salute e sicurezza sul lavoro destinata al mondo del lavoro che propone iniziative differenziate in relazione ai destinatari coinvolti.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Claudio Durigon.


   LONGO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   con l'articolo 5-bis del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, è stata introdotta una norma che modifica il regime delle entrate riscosse dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale quale corrispettivo del riconoscimento della cittadinanza italiana;

   nello specifico, il comma 1 inserisce l'articolo 7-bis nella sezione I della tabella dei diritti consolari, allegata al decreto legislativo 3 febbraio 2011, n. 71, da riscuotere presso le ambasciate ed i consolati all'estero a fronte dei numerosi servizi da questi prestati;

   l'articolo 7-bis in questione introduce, nella tariffa consolare la fattispecie dei diritti da riscuotere per il trattamento della domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana a persona maggiorenne, fissando l'importo nella misura di 300 euro;

   la relazione tecnica governativa al provvedimento in questione riportava che gli atti di riconoscimento della cittadinanza italiana hanno visto negli ultimi anni una crescita esponenziale, che renderebbe irragionevole mantenere la gratuità della relativa pratica amministrativa. Infatti, le operazioni di ricostruzione iure sanguinis della cittadinanza risultano di grande complessità, in particolare nelle Americhe, dove l’iter può estendersi anche oltre le sei generazioni;

   il suddetto tributo aggiuntivo dovrebbe comportare un miglioramento, in termini di accelerazione del procedimento amministrativo per il riconoscimento della cittadinanza o, in generale, della qualità dei servizi consolari resi agli utenti;

   una parte dei fondi risulta arrivata ai consolati, anche se non esiste rendicontazione di tali risorse;

   la legge di stabilità 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208) ha disposto all'articolo 1, comma 622, uno stanziamento di 2 milioni di euro per il 2016 a favore delle rappresentanze diplomatiche e degli uffici consolari, finalizzati, tra l'altro, all'assistenza alle comunità di italiani residenti nella circoscrizione consolare di riferimento;

   questo perché da tempo si sentiva l'esigenza di modificare i criteri di gestione finanziaria degli uffici italiani all'estero, prevedendo la possibilità che la riscossione dei diritti consolari potesse confluire direttamente in fondi di gestione presso le singole sedi diplomatico-consolari in modo da poter essere reinvestite nelle stesse e finanziare direttamente molte delle attività degli istituti diplomatico-consolari, dal personale, gravato dalla mole di lavoro arretrato, agli immobili che necessitano di manutenzione, alle attività di assistenza alle comunità di italiani ivi residenti;

   infatti, le risorse del comma 622 sono in particolare finalizzate alle seguenti tipologie d'intervento: manutenzione degli immobili, attività di istituto, su iniziativa della rappresentanza diplomatica o dell'ufficio consolare interessati e assistenza alle comunità di italiani residenti nella circoscrizione consolare di riferimento;

   il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale pro tempore Gentiloni, in un intervento in Aula in sede di question time nell'ottobre del 2016 dichiarò: «Siamo riusciti, negli ultimi due anni, a far rimanere una parte dei ricavi delle nuove emissioni di documenti nelle reti consolari e siamo riusciti (...) a rafforzare la nostra attività. È possibile che le risorse acquisite da ciascun consolato rimangano, tra virgolette, in casa, cioè che ogni consolato possa trattenerle? È una discussione che abbiamo in corso con il Ministero dell'economia e delle finanze e credo sia una discussione sensata» –:

   in che modo vengano distribuite ed adoperate le somme prelevate per la trattazione delle pratiche di riconoscimento della cittadinanza italiana;

   se il Ministro interrogato intenda fornire dettagli sull'attuazione del comma 622 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2016, chiarendo quali siano stati i criteri di ripartizione e, di conseguenza, i destinatari dei fondi stanziati per il 2016 tra le varie rappresentanze diplomatiche, e se non ritenga utile continuare sulla strada intrapresa nel 2016 assumendo iniziative per stanziare ulteriori fondi per migliorare l'attività delle rappresentanze diplomatiche e gli uffici consolari.
(4-00561)

  Risposta. — Nel 2014 è stata introdotta, nella tariffa consolare, una disposizione che prevede la riscossione di un contributo pari a 300 euro per la trattazione delle istanze di riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis.
  La legge di bilancio per il triennio 2017-2019 (legge n. 232 del 2016, articolo 1, comma 429) ha stabilito che una quota pari al 30 per cento delle entrate derivanti dalla trattazione delle pratiche di cittadinanza sia riassegnata, a decorrere dal 2017, sullo stato di previsione della spesa del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
  La rendicontazione delle entrate riscosse ha cadenza trimestrale e viene presentata dagli uffici all'estero entro due mesi dalla chiusura di ogni trimestre. La relativa riassegnazione, sulla base della richiesta presentata, ha luogo con l'emanazione di un decreto a firma del Ministro dell'economia e finanze. La norma non consente alcuna discrezionalità nel riparto tra le sedi interessate: ogni ufficio riceve esattamente il 30 per cento delle percezioni riscosse (cioè 90 euro per ciascuna pratica acquisita nel corso del periodo di riferimento).
  Le somme riassegnate confluiscono sul capitolo 1613 (che finanzia i bilanci delle sedi all'estero), per poter essere destinate agli stessi Uffici consolari che abbiano contribuito alla relativa riscossione, come previsto dalla norma, al fine del «rafforzamento dei servizi consolari per i cittadini italiani residenti o presenti all'estero, con priorità per la contrattualizzazione di personale locale da adibire, sotto le direttive e il controllo dei funzionari consolari, allo smaltimento dell'arretrato riguardante le pratiche di cittadinanza presentate presso i medesimi uffici consolari.».
  La direzione generale per gli italiani all'estero e le politiche migratorie ha, a più riprese, fornito — di concerto con le altre direzioni generali interessate — indicazioni alla rete sull'impiego di tali risorse economiche, che possono essere utilizzate per diverse finalità, quali:

    reclutare personale in regime di somministrazione a tempo determinato (cosiddetto interinale);

    valorizzare le strutture ricettive dell'utenza;

    garantire una rinnovata formazione del personale;

    avviare o potenziare l'informatizzazione degli archivi;

    prevedere ulteriori forme di comunicazione;

    digitalizzare l'erogazione dei servizi;

    acquistare beni strumentali;

   La ripartizione delle somme è effettuata in proporzione al numero delle pratiche trattate da ogni sede (90 euro a pratica).
   Quanto all'andamento complessivo delle riassegnazioni, nell'anno 2016 la somma complessiva «restituita» alle sedi è stata pari a 2.955.420,00 euro.
   Tra le sedi che hanno registrato gli importi riassegnati più cospicui figura Porto Alegre e San Paolo del Brasile (con circa 300.000 ciascuna), seguite da Buenos Aires (233.000 euro circa).
   Per l'anno 2017 l'importo è aumentato di oltre il 10 per cento, e l'andamento sembra tuttora essere complessivamente al rialzo (con quasi 2.500.00 euro da riassegnare fino a tutto il mese di agosto 2018, e circa 3.700.00 proiezione fino a fine anno).
   Con la legge di bilancio n. 208 del 2015 (articolo 1, comma 622), sul capitolo 1613 sono stati stanziati per il solo esercizio 2016, 2 milioni di euro da destinare a varie finalità: principalmente spese di manutenzione degli immobili per incrementare i livelli di sicurezza, attività di istituto ed assistenza alla comunità di italiani residenti nella circoscrizione consolare di riferimento.
   Il Ministero ha provveduto a destinare tali fondi, in proporzione alle esigenze rappresentate dalle sedi. Le modalità di utilizzo di tali somme per le suddette finalità, in aggiunta alle assegnazioni ordinarie che vengono annualmente disposte a favore degli uffici all'estero per sopperire alle esigenze di funzionamento e attività istituzionali, sono poi state stabilite dalle sedi stesse valutando le singole realtà locali, in base alla propria autonomia gestionale sancita dal decreto del Presidente della Repubblica n. 54 del 2010.
   Resta, tuttavia, la necessità, più volte segnalata, di incrementare le risorse umane dedicate ai servizi consolari per gli italiani all'estero. Senza un deciso potenziamento del personale, sia di ruolo che a contratto, la rete estera non può fare fronte alla domanda crescente di servizi, sia da parte delle centinaia di migliaia di oriundi che, soprattutto in America latina, chiedono il riconoscimento della cittadinanza italiana sia da parte della «nuova emigrazione», ai quali questo Governo intende fornire servizi di qualità.
   

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Manlio Di Stefano.


   ALBERTO MANCA, PERANTONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   nel corso di una recente visita presso la casa di reclusione «Paolo Pittalis» di Nuchis (Tempio Pausania, Sassari), svoltasi in data 3 settembre 2018, si riscontrava presso la struttura medesima il permanere degli annosi problemi alla rete idrica interna, apparsi immediatamente dopo l'inaugurazione della stessa, avvenuta nel 2012;

   tali criticità provocano continue infiltrazioni e perdite lungo i muri, dovute alle otturazioni delle condotte, a loro volta da imputare al fatto che le tubazioni del carcere sono in ferro e il passaggio dell'acqua ne determina tanto l'ossidazione quanto il distacco della relativa zincatura;

   l'acqua che fuoriesce dalle condutture, per via dell'elevata concentrazione di ferro e zinco, si presenta rossastra e con sedimenti di colore marrone. Le percentuali di questi elementi in essa riscontrate risultano superiori alle soglie massime previste dalla legge, pertanto la stessa non è potabile. In conseguenza di ciò, per gli utilizzi alimentari se ne rende necessario un costante e oneroso approvvigionamento dall'esterno;

   i malfunzionamenti della rete idrica in diversi settori dell'edificio costringono, inoltre, intere sezioni dello stesso a rimanere prive di acqua calda e senza riscaldamento nei mesi invernali, con evidenti disagi per i detenuti;

   oltre a questi inconvenienti di carattere strutturale, l'istituto palesa serie carenze di personale: in base alla ripartizione territoriale della dotazione organica prevista dalla «tabella E» del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 giugno 2015, n. 84 (richiamata altresì dal decreto ministeriale 9 novembre 2017), la casa di reclusione «Paolo Pittalis» dovrebbe disporre di:

   quattro funzionari della professionalità giuridico-pedagogica (il doppio di quelli effettivamente presenti);

    tre funzionari contabili (invece di due);

    un funzionario dell'organizzazione e delle relazioni (figura assente);

    due operatori (figura assente);

    quattro assistenti amministrativi (in luogo dei tre effettivamente presenti);

    un contabile (figura assente);

    due assistenti tecnici (figura assente);

   allo stato attuale si contano dieci unità in meno delle diciassette complessivamente previste e necessarie per garantire l'efficiente funzionamento della struttura, la quale ospita quasi esclusivamente detenuti in regime di alta sicurezza (AS3) –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle situazioni descritte e quali iniziative abbia assunto o intenda assumere in merito.
(4-01167)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame l'interrogante, richiamate le criticità della casa di reclusione «Paolo Pittalis» di Tempio Pausania, tanto con riferimento al malfunzionamento della rete idrica della struttura, quanto con riferimento alle carenze di organico rispetto a varie figure professionali, chiede di sapere se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle situazioni descritte e quali iniziative abbia assunto o intenda assumere in merito.
  Va innanzitutto premesso che, sulla base degli elementi forniti dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, il competente ufficio del locale provveditorato, risulta sempre essersi attivato, nel corso degli ultimi anni e compatibilmente con le risorse finanziarie assegnate, al fine di garantire le condizioni minime per il funzionamento dell'istituto, rivolgendo particolare premura a tutte le criticità relative alla rete idrica.
  Nel 2015, si è proceduto ad esperire i primi sopralluoghi sia da parte dei tecnici del locale Provveditorato che da parte dei tecnici della direzione generale del personale e delle risorse.
  Le analisi chimiche fatte eseguire a cura della direzione dell'istituto lasciavano emergere lo sforamento dai limiti di legge dei valori di ferro e zinco.
  In considerazione della portata del fenomeno e delle problematiche imputabili a difetti di costruzione e posa in opera, nel corso del mese di novembre di quell'anno, il locale provveditorato, per il tramite del Ministero delle infrastrutture – provveditorato alle opere pubbliche di Cagliari, faceva richiedere con urgenza un intervento in garanzia da parte dell'appaltatore.
  Nel 2016, in seguito alle interlocuzioni con il competente ufficio tecnico per l'edilizia penitenziaria del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti comunicava la propria disponibilità alla redazione della perizia tecnico-economica per la realizzazione degli urgenti interventi risolutivi della problematica, attraverso l'istallazione di un deferrizzatore, la pulizia della vasca, la pulizia delle tubazioni, ovvero la loro sostituzione.
  In seguito all'assegnazione straordinaria di fondi da parte della direzione generale di cui sopra, per un importo complessivo di euro 43.758,00, venne avviata la procedura per la realizzazione degli interventi suddetti a cura del provveditorato alle opere pubbliche.
  Gli interventi sono stati eseguiti tra la fine del 2016 e gli inizi del 2017.
  Nel corso delle opere, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti constatava la necessità di proseguire nella pulizia/sostituzione delle tubazioni con ulteriori interventi da definire congiuntamente al Dipartimento amministrativo penitenziario.
  Nell'anno 2017, la Direzione generale del personale e delle risorse assicurava al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, l'assegnazione dei fondi per l'ulteriore intervento di pulizia delle tubazioni. Nel contempo emergevano problematiche di funzionamento sull'impianto di deferrizzazione di nuova installazione, imputabile probabilmente alla ridotta portata nominale rispetto ai fabbisogni dell'utenza, prontamente segnalati dalla Direzione dell'istituto.
  Tale aspetto induceva la stessa autorità dirigente a non procedere al pagamento della fattura trasmessa dall'appaltatore ed a richiedere le necessarie valutazioni da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Provveditorato alle opere pubbliche di Cagliari in qualità di stazione appaltante.
  Nel 2018, analogamente a quanto verificatosi episodicamente nel corso degli anni precedenti, si è dovuto provvedere, in emergenza, alla riparazione di un tratto delle tubazioni a servizio della caserma agenti.
  In data 21 giugno 2018 è stato eseguito un sopralluogo congiunto da parte dei tecnici del Ministero delle infrastrutture, del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e del locale provveditorato, all'esito del quale è stato rilevato il corretto stato di manutenzione del deferrizzatore e la possibilità di effettuare la pulizia di circa 1.000 metri lineari di tubazioni con fondi a disposizione del Ministero delle infrastrutture, pur non potendo escludersi il rischio della portata non risolutiva di tale intervento e della eventualità di dover far ricorso alla sostituzione parziale/totale delle tubature.
  Si è inoltre proceduto allo svuotamento delle vasche di accumulo da cui è emersa l'esigenza di un loro risanamento.
  La Direzione generale del personale e delle risorse umane, dunque, in data 11 settembre 2018, ha chiesto al provveditorato interregionale per le opere pubbliche per il Lazio, l'Abruzzo e la Sardegna, in qualità di committente e stazione appaltante, dell'intera struttura di Tempio Pausania, di valutare la possibilità di finanziare, nonché eseguire, un sostanziale intervento di completa sostituzione delle attuali tubazioni di adduzione idrica in ferro zincato con tubazioni in polipropilene e/o in PVC-A per condotte in pressione, ritenendo questa soluzione idonea ad eliminare le criticità che affliggono l'istituto.
  Considerati i rischi per la salute, va dato atto che, allo stato, la rete idrica di distribuzione interna è alimentata dal collegamento diretto al punto di distribuzione esterno all'istituto.
  In attesa del ripristino della qualità delle acque alla popolazione detenuta è assicurata la distribuzione di 2 litri di acqua imbottigliata
pro capite al giorno.
  Per la preparazione dei pasti, nelle cucine detenuti e agenti, viene ugualmente utilizzata acqua imbottigliata.
  Con riferimento, poi, alla situazione degli organici del «Comparto Funzioni Centrali» si evidenzia che la pianta organica della casa circondariale «Paolo Pittalis» di Tempio Pausania consta di n. 18 unità, inclusa l'unità dirigenziale ivi assegnata temporaneamente, e che l'attuale tasso di scopertura è pari al 50 per cento.
  Le carenze riguardano tutti i profili professionali, ed in particolare quello di funzionario giuridico-pedagogico (due unità presenti su quattro previste), quello di funzionario contabile di area seconda (nessuna unità presente su una prevista) e quello di assistente tecnico (nessuna unità presente su due previste).
  In ogni caso va precisato che la carenza contabile di area seconda è parzialmente compensata dalla presenza di due funzionari contabili sui tre previsti in pianta organica.
  Questo Ministero, tuttavia, non esclude né tralascia ogni possibile margine di risoluzione, o quantomeno, di contenimento dei problemi connessi a tali carenze, sia mediante possibili immissioni di personale dall'esterno che, entro i limiti del possibile, fronteggiando eventuali criticità a livello locale.
  Da ultimo, per completezza di esposizione, va detto che a livello regionale, il tasso di scopertura si attesta sul -26,7 per cento, corrispondenti a n. 72 posti vacanti.
  Sul punto, deve però evidenziarsi che si è provveduto ad integrare il comparto mediante l'inserimento di cinque unità di funzionario contabile (una ulteriore unità assumerà servizio il 5 novembre 2018), di dodici unità di funzionario giuridico-pedagogico, di due unità di funzionario tecnico e di un'unità di funzionario dell'organizzazione e delle relazioni.
  Al momento risultano concluse tutte le procedure interne ed esterne finalizzate alla integrazione di personale del comparto funzioni centrali.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   MAZZETTI e CASCIELLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il 25 luglio 2018, un grosso incendio è divampato in una struttura di stoccaggio e smaltimento di materiale di imballaggio carta e plastica del gruppo De Gennaro. Si tratta di uno degli impianti di raccolta rifiuti più grandi del Mezzogiorno, situato nella zona industriale di Pascarola, a Caivano, nell'area nord di Napoli;

   l'incendio a Caivano, probabilmente di natura dolosa, e che segue di appena qualche settimana l'incendio sviluppatosi in un deposito di stoccaggio a San Vitaliano, ha reso l'aria irrespirabile a distanza di chilometri, e ripropone con forza anche il tema legato ai sistemi di sicurezza di questi impianti che lavorano i rifiuti;

   l'area interessata da questo incendio, è già da anni martoriata da anni di roghi di rifiuti e sversamenti illeciti. Una parte della Campania continua a bruciare. Bruciano gli impianti di trattamento dei rifiuti, Caivano, San Vitaliano, due roghi a Battipaglia — nell'azienda Nappi e nello Stir;

   dietro questi episodi potrebbe esserci anche la volontà di far saltare il già delicato e precario equilibrio sul quale si regge il traballante sistema della raccolta differenziata in Campania e l'emergenza rifiuti che la provincia di Salerno sta vivendo, con operazioni di trattamento dei rifiuti indifferenziati rallentate e ritardi su tutta la raccolta;

   è indispensabile escludere che via sia una sorta di regia, perché il fuoco possa sottrarre prove o liberare spazi in discarica, oppure, ancora peggio, attivare il business della rimozione dei rifiuti speciali;

   proprio in relazione a quest'ultimo incendio, all'interno dell'azienda Di Gennaro di Caivano, si è appreso che un anno fa i militari della Forestale (l'attuale Ministro interrogato ne era comandante regionale) avevano contestato alla ditta la violazione della normativa per la sicurezza sul lavoro perché sulla piattaforma che è andata a fuoco, c'erano balle di scarti che andavano rimossi. Questo avrebbe comportato una sanzione amministrativa e l'attuazione di una serie di prescrizioni. Ma l'incendio di Caivano ha bruciato proprio quelle balle. Tutto questo dopo che la stessa ditta, in una lettera di due settimane fa inviata alle prefetture, ai sindaci dei comuni della Campania, alle forze dell'ordine e ai vertici della regione aveva evidenziato la necessità che i consorzi addetti allo smaltimento, per i quali l'azienda lavora, intervenissero per la rimozione di quegli scarti di lavorazione;

   peraltro, tra il 2014 al 2017, sono andati a fuoco 218 impianti e 32 discariche con un'impennata proprio nell'ultimo anno. Mentre nello stesso periodo all'interno dei depositi e nelle discariche campane si sono registrati 22 roghi, spesso in zone sensibili, soprattutto aree adiacenti ai campi rom. Stando ad alcune informazioni nell'ultimo anno 70 mila tonnellate di rifiuti sono state stipate negli impianti di tritovagliatura, aggiunte a quelle accumulate negli anni precedenti, per un potenziale di 130 mila tonnellate di rifiuti. Completano questo quadro molto preoccupante poi i depositi gestiti dai privati dove si lavorano i rifiuti separati o derivati dalla raccolta differenziata –:

   quali iniziative immediate si preveda di avviare, per quanto di competenza, al fine di garantire la salute pubblica e l'ambiente dei territori indicati in premessa, oggetto di una vera e propria emergenza ambientale;

   quali iniziative intendano adottare, nell'ambito delle proprie competenze e anche sul piano normativo, al fine di implementare i sistemi di sicurezza degli impianti che lavorano i rifiuti, con riguardo ai territori a maggior criticità ambientale, e in particolare in quelle aree campane già interessate da anni di sversamenti illeciti e roghi di rifiuti;

   se non si intendano assumere le iniziative di competenza per procedere con sollecitudine al fine di ricomprendere anche gli impianti di cui in premessa tra i siti «sorvegliati speciali».
(4-00848)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'incendio verificatosi lo scorso 25 luglio presso la ditta di trattamento e recupero rifiuti «Di Gennaro s.p.a.», sita nell'agglomerato ASI di Caivano, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Secondo quanto riferito dalla prefettura di Napoli, le fiamme hanno interessato l'area di stoccaggio delle balle di rifiuti in carta, plastica e legno. Per quanto concerne le iniziative attuate nell'immediatezza dell'evento, si segnala innanzitutto che sono intervenute sul posto complessivamente otto squadre del comando provinciale dei vigili del fuoco, sia di Napoli che di Caserta, affiancate anche da unità impegnate nella «Terra dei fuochi», e coadiuvate da personale della stessa ditta Di Gennaro.

  Sono intervenuti, altresì, il nucleo regionale Nbcr e il nucleo provinciale Nbcr di Caserta.
  Le fiamme hanno interessato una superficie di circa 5.000 metri quadri, con un'altezza massima di tre metri, quindi con un volume di circa 15.000 metri cubi, ed è stato fronteggiato inizialmente con la copertura di terreno e l'utilizzo di pale meccaniche, per evitare l'impiego di acqua che, senza un successivo recupero della parte reflua, avrebbe potuto interessare le falde acquifere.
  La prefettura ha fatto presente, inoltre, che la superficie interessata è stata fin da subito circoscritta, evitandosi così la propagazione ad altro materiale combustibile presente nel sito. Il fumo, grazie alle condizioni atmosferiche, si è diretto verso l'alto, calata progressivamente nel corso delle operazioni.
  L'intervento è stato ultimato alle ore 13.00 circa del 29 luglio, e l'area sottoposta a sequestro.
  Inoltre, per quanto concerne le misure immediate a tutela della salute pubblica, i comuni della zona (Caivano, Cardito, Crispano. Afragola, Frattamaggiore, Frattaminore, Casalnuovo e Acerra per l'area metropolitana di Napoli) sono stati invitati dalla Asl NA 2 Nord, nelle more degli esiti delle verifiche eseguite da Arpa Campania, ad ordinare alla popolazione, con provvedimenti contingibili ed urgenti, alcune norme di comportamento precauzionali.
  Dall'attività di monitoraggio dell'aria relativa a diossina e furani effettuata dall'Arpa Campania è emerso che i valori registrati, risultati superiori a quelli di riferimento nel corso dell'incendio tra il 25 e il 26 luglio 2018, sono rientrati al di sotto delle soglie di riferimento nelle giornate successive all'evento (27, 28, 29 e 30 luglio).
  Atteso quanto sopra esposto, in via più generale si precisa che il fenomeno dei roghi negli impianti di gestione dei rifiuti è sicuramente un tema primario nell'ambito delle attività istituzionali legate alla gestione dei rifiuti.
  A tal proposito, per migliorare la sicurezza di impianti di gestione dei rifiuti, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con apposita circolare del 15 marzo 2018, ha diramato le «linee guida per la gestione operativa degli stoccaggi negli impianti di gestione dei rifiuti e per la prevenzione dei rischi».
  Inoltre, la cabina di regia, istituita sulla base del patto per la Terra dei fuochi ha individuato aree dove hanno sede i siti di stoccaggio e trattamento dei rifiuti, in modo da senza pregiudicare in modo grave la respirabilità dell'aria, e l'intensità delle fiamme è consentire alle forze dell'ordine e alle polizie locali, congiuntamente ai militari dell'esercito, di predisporre in quei territori mirati dispositivi di vigilanza nell'ambito delle operazioni straordinarie programmate, proprio al fine di rafforzare le attività di controllo.
  Con riferimento a tale nuovo dispositivo, l'incaricato per il contrasto del fenomeno dei roghi della Campania ha precisato che i dati mostrano la capacità dello stesso di potenziare ai massimi livelli le attività di controllo. Questi risultati trovano riscontro anche nei dati dei vigili del fuoco relativi agli interventi di spegnimento degli incendi di rifiuti. Infatti, l'andamento dell'ultimo quinquennio vede una diminuzione del fenomeno (si è scesi dai 3.984 interventi complessivi effettuati nel 2012, ai 1.932 interventi alla fine del 2017), in lieve controtendenza lo scorso anno, ha ripreso a decrescere nei primi mesi del 2018.
  La prefettura di Napoli ha comunicato inoltre che, secondo le indicazioni della direttiva del Ministro dell'interno del 13 luglio scorso, sono stati sensibilizzati anche i sindaci a mobilitare i corpi di polizia municipale e i gestori, al fine di adottare le misure utili ad arginare il fenomeno.
  Sempre la prefettura precisa ancora che la problematica relativa all'attività di controllo diretta a prevenire e contrastare tale tipologia di eventi è stata affrontata anche in sede di Comitato Provinciale per l'Ordine e la Sicurezza pubblica lo scorso 1° agosto, alla presenza di tutti i soggetti interessati.
  In tale sede, proprio al fine di incrementare le misure di sorveglianza, vigilanza e controllo negli impianti in questione, il vice presidente della giunta regionale ha informato della proposta di modifica della legge n. 14 del 2016 che prevede misure integrative e prescrizioni più rigorose per la gestione dei siti, tra cui specifici emendamenti riguardanti l'obbligo, a carico dei gestori, di dotare i siti di un sistema integrato di videosorveglianza, nonché una vigilanza H24, pena la revoca delle autorizzazioni.
  La prefettura ha fatto, in ultimo, presente che la regione approverà le linee guida contenenti le predette prescrizioni da inserire negli atti autorizzatori relativi alla messa in esercizio degli impianti di trattamento rifiuti e che la proposta è stata approvata dal consiglio regionale nella predetta seduta del 1° agosto scorso.
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura comunque che questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di valutare possibili revisioni della disciplina, mantenendo alto il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   MELONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, recante «Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148», ha disposto la soppressione di alcuni tribunali ordinari, sezioni distaccate e procure della Repubblica;

   tra gli uffici soppressi erano comprese le cinque sezioni distaccate del tribunale centrale di Santa Maria Capua Vetere: Aversa, Caserta, Carinola, Piedimonte Matese e Marcianise, in conseguenza all'istituzione del tribunale di Napoli Nord, con competenza sui comuni dell'agro aversano, attualmente rientranti nella giurisdizione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere;

   la soppressione della sede di Caserta, inizialmente prevista a decorrere dal 2013, è stata posticipata fino al 2018, e il trasferimento degli uffici ha avuto luogo nell'estate 2018, seppur non nella sede definitiva;

   il trasferimento del tribunale sta provocando evidenti e gravi disagi a tutti gli addetti ai lavori, sia agli avvocati che agli stessi cancellieri e funzionari amministrativi, che oramai vivono in una condizione di totale incertezza in merito al prosieguo dell'attività, con evidenti ripercussioni negative sull'andamento dei processi;

   la paventata decisione di dislocare le cancellerie presso la sede del tribunale di Santa Maria Capua Vetere — già pienamente ingolfato — e le aule d'udienza presso altra struttura, già sede del giudice di pace del medesimo comune, tra l'altro poco fruibile e manchevole delle necessarie infrastrutture e dei servizi capaci di assorbire l'inevitabile maggior affluenza di avvocati, consulenti e degli stessi cittadini, comporterà un ulteriore rallentamento delle attività giudiziarie — o nell'eventualità più grave — un'interruzione delle stesse;

   la chiusura del tribunale di Caserta rischia di avere gravi ripercussioni in un territorio ad alta densità criminale nel quale i cittadini palesano un'esigenza di sicurezza e certezza del diritto e lo Stato ha il dovere di presidiare il territorio –:

   se sia informato dei fatti esposti in premessa e quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere in merito.
(4-01133)

  Risposta. — Con l'interrogazione parlamentare in esame si chiede di sapere quali iniziative intenda assumere il Ministero della giustizia in ordine alla chiusura del tribunale di Caserta, sede distaccata del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, inizialmente prevista per il 2013 e poi posticipata fino al 2018, che «sta provocando evidenti e gravi disagi a tutti gli addetti ai lavori».
  In proposito, si rappresenta che l'attività è proseguita presso il tribunale di Caserta, nell'edificio di via Grafer, fino al 13 settembre 2018, data in cui è scaduto il termine fissato dall'articolo 8 del decreto legislativo n. 155 del 2012.
  Attualmente, le attività, sia civili, sia penali, sono regolarmente svolte presso le sedi giudiziarie a disposizione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, alle quali, nei prossimi mesi, si aggiungerà il nuovo edificio denominato «Caserma Mario Fiore», oggetto di una – oramai ultimata – ristrutturazione.

  Presso tale edificio, in particolare, sarà trasferito il settore civile, attualmente, invece, ubicato in un immobile assolutamente non idoneo ed in locazione passiva (con ciò realizzandosi anche un notevole risparmio di spesa).
  Inoltre, al tribunale di Santa Maria Capua Vetere è stato anche recentemente assegnato un nuovo fabbricato, di proprietà comunale, ma concesso in comodato gratuito al Ministero della giustizia, denominato «ex casa comunale».
  Allorquando ne inizierà l'effettiva fruizione, dunque, ne conseguirà un ulteriore miglioramento delle condizioni lavorative generali.
  Presso la sede di via Grafer in Caserta, di proprietà comunale ma vincolata ad uso giudiziario ed in ottime condizioni generali, invece, verranno dislocati gli uffici del giudice di pace di Caserta, allo stato ubicati in un fabbricato in condizioni manutentive non ottimali ed anch'esso in locazione passiva, con un ulteriore notevole risparmio di spesa, pari a circa 720.000,00 euro annui.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   MICELI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il sistema di accesso alla professione di avvocato, disciplinato dalla legge 31 dicembre 2012, n. 247, prevede una nuova modalità di svolgimento dell'esame di avvocato, con temi da redigere senza l'ausilio dei codici annotati con la giurisprudenza e con un numero maggiore di materie da discutere per l'esame orale;

   l'entrata in vigore della nuova disciplina è stata più volte prorogata;

   ad oggi, i candidati che si apprestano a partecipare agli esami di abilitazione previsti per il prossimo dicembre 2018 dovranno dunque affrontare l'esame secondo le nuove modalità, ciò comportando innumerevoli difficoltà interpretative e oggettive incertezze in ordine alle modalità di svolgimento dell'esame stante le annuali proroghe dell'entrata in vigore della nuova disciplina, nonché serie disparità di trattamento rispetto ai candidati che hanno partecipato agli esami negli anni precedenti;

   si ritiene necessario un ripensamento dell'intero sistema di accesso alla professione forense;

   le associazioni forensi che si occupano della tutela dei praticanti avvocati hanno unanimemente segnalato le difficoltà applicative del nuovo sistema, auspicando, fino a quando non sarà fatta chiarezza, che l'esame si tenga con le modalità ante riforma;

   il Ministro interrogato, rispondendo in Commissione giustizia alla interrogazione n. 5-00169, ha tenuto a fornire rassicurazioni in merito sottolineando l'intenzione del suo dicastero «di mettere in discussione ed eventualmente rivedere nel suo complesso l'impianto normativo in esame nonché valutare favorevolmente una proroga della sua entrata in vigore che non sia limitata ad un mero spostamento temporale fine a se stesso ma che sia finalizzata ad una rivalutazione complessiva della normativa in oggetto» –:

   quali iniziative, nell'ambito delle sue competenze, intenda adottare al fine di dare seguito agli intendimenti sopra esposti, possibilmente a partire dal prossimo provvedimento utile.
(4-00760)

  Risposta. — Con l'interrogazione parlamentare in esame, premesso che il sistema di accesso alla professione di avvocato, disciplinato dalla legge 31 dicembre 2012, n. 247, prevede una nuova modalità di svolgimento del relativo esame, con temi da redigere senza l'ausilio dei codici annotati con la giurisprudenza e con un numero maggiore di materie da discutere per la prova orale, si chiede se i candidati che si apprestano a partecipare all'esame di abilitazione previsto per il prossimo dicembre 2018 dovranno affrontarlo secondo le nuove modalità, pur potendosi paventare serie disparità di trattamento rispetto ai candidati che hanno partecipato agli esami negli anni precedenti.
  La materia è disciplinata dalla legge 31 dicembre 2012, n. 247 – recante la «Nuova disciplina della professione forense» – che ha modificato i criteri di accesso alla professione di avvocato, prevedendo, tra l'altro, che la prova scritta debba svolgersi senza possibilità di avvalersi di codici annotati.
  L'articolo 49, dettando la disciplina transitoria, ha, peraltro, sancito che «per i primi cinque anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, l'esame di abilitazione all'esercizio della professione di avvocato si effettua, sia per quanto riguarda le prove scritte e le prove orali, sia per quanto riguarda le modalità di esame, secondo le norme previgenti».
  L'articolo 46, comma 6, della medesima legge ha, poi, affidato ad un regolamento del Ministro della giustizia il compito di disciplinare le modalità e le procedure di svolgimento dell'esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato e quelle di valutazione delle prove scritte ed orali sulla base di specifici criteri previsti dalla citata disposizione primaria.
  Le nuove modalità di svolgimento dell'esame, infine, sono state introdotte dal decreto ministeriale n. 48 del 2016, nel dichiarato intento di assicurare al massimo grado la regolarità delle prove, e, di conseguenza, la serietà delle selezione dei candidati unicamente in base al merito, così mantenendo ed incrementando gli
standard qualitativi dell'avvocatura italiana e così da assicurare agli utenti la massima professionalità di coloro che sono chiamati a svolgere l'attività difensiva.
  Il raggiungimento dei predetti obiettivi è affidato, tra l'altro, alle seguenti previsioni innovative: obbligo di schermatura dei locali in cui si svolgono le prove scritte, a cura della competente direzione del Ministero dello sviluppo economico; controllo dei candidati all'ingresso nei locali degli esami, da svolgersi sia con criteri casuali, sia quando si ha fondato motivo di ritenere che il candidato rechi con sé degli oggetti che non possono essere introdotti (tra cui, in particolare, strumenti informatici idonei a memorizzare informazioni, anche in assenza di connessione internet); costituzione di un
database, a cura della direzione generale per i sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, coadiuvata da una commissione permanente presieduta dal direttore del centro elaborazione dati della Corte di cassazione, destinato a contenere le domande che possono essere rivolte ai candidati nel corso delle prove orali.
  In questo quadro, si deve evidenziare che il decreto-legge n. 91 del 25 luglio 2018, recante, proroga di termini previsti da disposizioni legislative, è stato convertito con modificazioni dalla legge n. 108 del 21 settembre 2018, che ha differito di ulteriori due anni l'entrata in vigore della nuova disciplina dell'esame di abilitazione
.
Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   MOLINARI, GUSMEROLI, LIUNI, GIGLIO VIGNA, PATELLI, PETTAZZI, CAFFARATTO, MACCANTI, BENVENUTO, GIACCONE, BOLDI e TIRAMANI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   negli ultimi cinque anni le strade statali nella provincia del Verbano-Cusio-Ossola versano in uno stato di completo abbandono, senza ricevere alcun tipo di manutenzione ordinaria o straordinaria;

   nel medesimo stato di abbandono versano anche le strade provinciali, soprattutto a seguito della cosiddetta riforma Delrio, in base alla quale sono stati decurtati i fondi destinati alle province;

   il 1° aprile 2018 si è verificata una frana sulla strada statale 337 in Val Vigezzo, che ha provocato due morti, con la conseguente chiusura del tratto ancora non agibile;

   esiste un progetto dell'Anas, che prevede un intervento di 70 milioni di euro per la messa in sicurezza della strada 337 in Val Vigezzo, confermato dai dirigenti Anas nel recente vertice svoltosi in prefettura, a seguito della tragedia del 1° aprile 2018;

   tuttavia, i tempi tecnici dell'Anas per la realizzazione del predetto progetto, che a seguito della frana potrebbe necessitare di ulteriori modifiche e costi, sono compresi tra il 2022 ed il 2026; sono tempi incompatibili con l'urgenza di far fronte al problema in un territorio di confine che basa la sua economia sul turismo e sull'attività dei frontalieri;

   intanto, continuano gli smottamenti sulla strada provinciale di Bognanco, sulla Cannobina e quella della Valle Anzasca, mentre la strada statale del Sempione, che collega il nostro Paese con la Svizzera, evidenzia tratti percorribili ad una sola corsia;

   anche nella provincia di Novara, in corrispondenza con la statale 33 del Sempione, nella zona di Borgoticino, è stato sospeso il cantiere dei lavori di realizzazione della variante;

   l’iter per il passaggio della gestione delle strade provinciali all'Anas in Piemonte è fermo per assenza di fondi –:

   quali iniziative di competenza intenda adottare il Governo affinché vengano con urgenza apportati i necessari e adeguati interventi di manutenzione delle strade statali nella provincia del Verbano-Cusio-Ossola e nella provincia di Novara, in modo da poterne garantire la percorrenza in sicurezza da parte della popolazione ed evitare la congestione su importanti collegamenti viari, in particolare quelli citati in premessa, il cui cattivo stato ostacola la viabilità tra l'Italia e la Svizzera.
(4-00295)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, relativo all'evento franoso verificatosi il 1° aprile 2018, la società Anas ha comunicato di aver predisposto la chiusura della strada statale (SS) 337 della Val Vigezzo in corrispondenza del chilometro 27+300.
  Il comune di Re ha provveduto all'esecuzione dei lavori di messa in sicurezza del versante di propria competenza, consentendo così ad Anas di eseguire i lavori di pavimentazione del piano viabile e di installazione delle barriere
guard-rail.
  La strada statale è stata riaperta al transito in data 25 maggio 2018, con sette giorni di anticipo rispetto alla data prevista.
  Inoltre, la predetta società, accogliendo le richieste pervenute dalle Autorità locali, ha provveduto a regolamentare il traffico veicolare a senso unico alternato, mediante semafori o movieri, in base alle necessità connesse allo svolgersi delle lavorazioni:

   dalle ore 12.30 alle ore 13.30, dal lunedì al sabato;

   dalle ore 17.00 alle ore 8.00 del giorno successivo, dal lunedì al sabato;

   dalle ore 00.00 alle ore 24.00 di ogni domenica.

  Le modalità di apertura sono state concordate con le Amministrazioni locali, in modo da consentire sia il prosieguo degli interventi di manutenzione da parte del comune di Re e della regione Piemonte che il completamento di quelle attività di cui si è fatta carico Anas, come concordato nel corso del sopralluogo del 10 maggio 2018 con regione e comune, nonché dei lavori di posa in opera di reti sulla parte della pendice interessata dalla frana più prossima alla strada, volte a ripristinare la situazione ex ante l'evento.
  Per quanto riguarda, invece, gli interventi di manutenzione delle strade statali nella provincia del Verbano-Cusio-Ossola, si segnalano quelli di risanamento, programmati da Anas per il corrente anno, il cui investimento complessivo ammonta a circa 10 milioni di euro.

  Il 6 luglio scorso sono terminati i lavori di ripavimentazione della strada statale 33 del Sempione, in tratti saltuari tra il chilometro 133+035 e il chilometro 142+635, eseguiti con l'istituzione del senso unico alternato in corrispondenza del cantiere di lavoro.
  Per quanto attiene alle criticità causate dalla caduta massi dal versante prospiciente la strada statale 34 del lago Maggiore, lo scorso 29 marzo si è tenuto presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un incontro con i rappresentanti degli enti territoriali competenti per il dissesto idrogeologico della zona.
  In tale sede si è convenuto che la regione Piemonte provvederà a svolgere le necessarie ispezioni su parte del versante prospiciente la statale, finalizzate alla realizzazione di interventi di messa in sicurezza del territorio (reti paramassi, disgaggi pilotati, ecc), per un investimento di circa 25 milioni di euro.
  Da ultimo, si comunica che nello scorso mese di maggio Anas ha avviato gli affidamenti per l'esecuzione delle indagini geomorfologiche per la progettazione e la realizzazione di due gallerie e per i lavori di ripristino del manto stradale della statale del lago Maggiore, per un investimento complessivo di circa 35 milioni di euro.
  Sarà cura del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti monitorare costantemente la situazione affinché la realizzazione degli interventi avvenga nei tempi programmati.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Danilo Toninelli.


   MOLLICONE e RIZZETTO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   2 dicembre 2016 il maresciallo dei carabinieri Prisciano è stato congedato dal comando generale dell'Arma dei carabinieri per procedimenti penali pendenti, procedimenti disciplinari di consegna di rigore e valutazione caratteristica degli ultimi 2 anni inferiore alla media;

   il Tar del Lazio 1a sezione-bis in data 1o marzo 2017 ha accolto la domanda di sospensiva cautelare del provvedimento di congedo del maresciallo Prisciano, obbligando l'Arma dei carabinieri a rivalutare, ex novo l'intera vicenda «senza tener conto della parte penale e tenendo conto della particolare situazione del Maresciallo»;

   la «particolare situazione» era relativa ad accuse infamanti di maltrattamenti sporte dalla ex moglie, per le quali il maresciallo è stato assolto dalla autorità giudiziaria con formula piena perché il fatto non sussiste;

   l'Amministrazione della difesa, a quanto consta agli interroganti, invece di far ripartire ex novo tutto l’iter, utile a soddisfare le richieste del Tar del Lazio e, quindi, reintegrare il maresciallo, non solo non impugna l'ordinanza facendola così passare in giudicato, ma emette un nuovo atto ove dichiara di aver tenuto conto delle indicazioni del Tar, e considerata la documentazione caratteristica e le gravissime sanzioni disciplinari, ridispone il congedo;

   anche tale atto è stato impugnato dal maresciallo dinanzi al Tar laziale che, con ordinanza del 3 maggio 2017, ha annullato anche questo nuovo documento, condannando il Ministero ad una sanzione pecuniaria. Dopo tale condanna, il Ministero ha impugnato la decisione dinanzi al Consiglio di Stato che ha annullato la sanzione per elusione di giudicato all'Amministrazione della difesa e l'intera seconda ordinanza del Tar laziale, quella del 3 maggio 2017;

   il maresciallo Prisciano sarebbe stato congedato per refrattarietà alla disciplina militare e documentazione caratteristica inferiore alla media negli ultimi 2 anni;

   le gravissime sanzioni disciplinari che hanno portato alla dichiarazione di refrattarietà alla disciplina militare consistono in 3 consegne di rigore, per un totale di ben 23 giorni di consegna di rigore. Tutte e tre avrebbero in comune la sanzione di idee politiche; e già solo questo basterebbe per annullarle;

   dette sanzioni gli sarebbero state inflitte per condotte «commesse» libero dal servizio; successivamente viene trasferito a 800 chilometri dalla propria figlia, che non riesce a vedere per quasi 2 anni a causa dell'ex moglie;

   secondo quanto riferito agli interroganti dopo oltre 5 mesi di attesa per il trasferimento temporaneo urgente per stare accanto alla figlia che non vede da quasi due anni a causa dell'ex moglie, compila una lettera per sapere a che punto fosse la pratica per il suo trasferimento e, contestualmente, chiede l'annullamento in autotutela dei summenzionati procedimenti disciplinari. Per questo viene denunciato e viene a conoscenza di ciò quando il Comando generale avvia un nuovo procedimento disciplinare, cui seguono altri 8 giorni di consegna di rigore;

   il Tar del Lazio aveva ordinato di rimuovere gli aspetti penali; si rileva come l'ultima sanzione che fa riferimento ad un procedimento penale — tra l'altro, archiviato — invece sia rimasta «conteggiata» dall'Amministrazione della difesa, eludendo così le disposizioni del Tar;

   le sanzioni cui è stato sottoposto il maresciallo fanno riferimento a provvedimenti, disciplinari che appaiono di carattere politico; la stessa Arma dei carabinieri non comprenderebbe il perché delle punizioni: il maresciallo in Toscana ed in Sardegna viene sanzionato duramente per le idee contenute nel suo libro e nei suoi articoli, mentre il comando provinciale di Udine decide di non avviare nemmeno il procedimento disciplinare in quanto condotte democratiche fatte libere dal servizio («non indicato status militare» e «grado Arma») –:

   quali siano le ragioni che hanno portato al congedo del maresciallo Prisciano, quali siano i motivi per cui l'Amministrazione della difesa non abbia ottemperato a quanto disposto dal Tar di Roma e se non si ritenga opportuno reintegrare in servizio il maresciallo.
(4-00772)

  Risposta. — Il Sottufficiale richiamato nell'atto, a decorrere dal 24 settembre 2016 è stato collocato in congedo, ai sensi dell'articolo 949, comma 2, del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, in quanto ritenuto non «meritevole di essere ammesso in servizio permanente».
  L'interessato avverso il provvedimento ha proposto ricorso cautelare al Tar Lazio – Roma che, con ordinanza n. 1070 del 2017, ha accolto la richiesta di sospensiva cautelare, «ai fini del riesame».
  Il Comando generale dell'Arma dei carabinieri, in esecuzione di tale ordinanza ha proceduto a un ulteriore esame della posizione del ricorrente, a conclusione del quale, ha ribadito la propria originaria decisione attraverso una nuova motivazione, determinando, pertanto, con provvedimento in data 27 marzo 2017, il collocamento in congedo del militare ancora una volta per «non ammissione in servizio permanente».
  Anche questo secondo provvedimento è stato impugnato con ricorso per motivi aggiunti al Tar Lazio che, con ordinanza n. 2192 del 2017, ha accolto la domanda cautelare del ricorrente, sospendendo il provvedimento.
  Il 15 maggio 2017, l'amministrazione avverso quest'ultima ordinanza ha proposto appello al Consiglio di Stato che, in accoglimento delle motivazioni addotte dall'appellante, con provvedimento del 27 luglio 2017, ha rigettato l'istanza cautelare, rilevando come l'amministrazione della difesa abbia fatto «buon governo della norma sancita dall'articolo 949 cod. ord. mil.».
  Per quanto riguarda, invece, il merito della questione oggetto della controversia giudiziaria, il Tar Lazio ha fissato, per il prossimo 3 dicembre 2018, l'udienza pubblica per la relativa discussione.
  In conclusione, considerato quanto finora rappresentato, si evidenzia come la vicenda sia tuttora
sub iudice, in attesa di un provvedimento giurisdizionale definitivo.
La Ministra della difesa: Elisabetta Trenta.


   MORETTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il Ministero dell'interno - dipartimento di pubblica sicurezza prot. 300/A/2689/18/105/20/3 del 30 marzo 2018 in risposta ad una richiesta ai chiarimenti da parte della prefettura di Arezzo, ha affermato che non si può marciare né sostare su strade pubbliche o aperte al pubblico con veicoli immatricolati non revisionati o privi di assicurazione per la responsabilità civile auto (Rca) propria e quindi anche nel caso in cui vi sia apposta la targa «prova»;

   in caso di violazione si rischia una sanzione di 849 euro se l'assicurazione è scaduta da oltre 30 giorni (594,30 euro con lo sconto per chi paga entro 5 giorni) o di 212,25 se si riattiva dopo il 15° giorno ma non oltre il 30° (148,58 se si paga entro 5 giorni);

   il decreto del Presidente della Repubblica n. 474 del 2001, dispone (articolo 1, comma 1) che «L'obbligo di munire della carta di circolazione (...) i veicoli che circolano su strada per esigenze connesse con prove tecniche (...), dimostrazioni o trasferimenti, anche per ragioni di vendita o di allestimento, non sussiste per i seguenti soggetti se autorizzati alla circolazione di prova ai sensi del presente articolo»;

   la normativa elenca, oltre ai costruttori di veicoli, di pneumatici e agli istituti universitari ed enti di ricerca che conducono sperimentazione sui veicoli, anche i concessionari, i commercianti autorizzati e gli autoriparatori;

   in base a quanto richiamato i concessionari, rivenditori e autoriparatori in possesso di targa prova non sono obbligati a immatricolare una macchina che circola per esigenze di prova;

   la Motorizzazione civile, con una circolare applicativa del 2004 (prot. n. 4699/M363 del 4 febbraio 2004), ha precisato che: «i veicoli che circolano su strada per esigenze connesse con prove tecniche, sperimentali o costruttive, dimostrazioni o trasferimenti, anche per ragioni di vendita o di allestimento, non devono essere muniti della carta di circolazione e quindi possono non essere targati, ma provvisti di un'autorizzazione per la circolazione di prova»;

   quello della circolazione di prova dei soli veicoli non immatricolati, è un principio che è stato ribadito recentemente dal tribunale civile di Vicenza (sezione II, sentenza del 22 febbraio 2016): «Il veicolo già targato, anche se circola per esigenze di prova, a scopo dimostrativo o per collaudo, non può esibire la targa prova e, se lo fa, degli eventuali danni derivanti dalla circolazione risponderà l'assicuratore del veicolo e non quello della targa prova»;

   quindi ci si trova di fronte a questa fattispecie: se la macchina non è immatricolata può circolare con la targa di prova, qualora fosse immatricolata invece si è a rischio di sanzione e comunque la targa di prova non copre né dalla mancata revisione né dall'assenza di assicurazione;

   l'interpretazione addotta dalla polizia stradale pone in estrema difficoltà autoriparatori e rivenditori che necessitano di continui spostamenti dei veicoli per fini lavorativi, limitandone in questo modo, l'operatività e la possibilità di svolgere a pieno la loro attività –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative intenda assumere al fine di fare definitivamente chiarezza circa la criticità emersa, consentendo ad autoriparatori e rivenditori di poter svolgere il proprio lavoro in base a quanto già previsto dal citato decreto del Presidente della Repubblica n. 474 del 2001.
(4-00367)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Alla luce della vigente normativa, decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 2001, n. 474 e articolo 98 del codice della strada, questa amministrazione ritiene legittima la circolazione di prova anche dei veicoli non ancora immatricolati, sempreché detta circolazione sia connessa ad esigenze di prove tecniche o di vendita.
  Tuttavia, considerato il diffuso fenomeno di abuso nell'utilizzo delle autorizzazioni alla circolazione di prova, è stata ravvisata l'esigenza di adottare misure correttive al richiamato decreto del Presidente della Repubblica n. 474 del 2001 finalizzate, da un lato, a contrastare tale fenomeno e dall'altro, a garantire che gli operatori del settore possano continuare ad utilizzare in piena legalità le targhe di prova.
  In quest'ottica è in corso un tavolo tecnico cui partecipano rappresentanti di questa amministrazione e rappresentanti del Ministero dell'interno, al quale è stato affidato il compito di redigere uno schema di decreto recante modifiche al decreto del Presidente della Repubblica n. 474 del 2001 e il cui scopo è anche quello di definire le modalità e i termini di utilizzo delle targhe di prova sui veicoli immatricolati.
  Peraltro, nelle more dell'adozione delle citate modifiche, in considerazione della necessità di evitare l'irrogazione di provvedimenti sanzionatori agli operatori del settore, il Ministero dell'interno su sollecitazione di questo dicastero, ha provveduto a diramare il 30 maggio 2018 la circolare n. 300/A/4241/18/105/20/3, con la quale ha richiesto agli organi preposti al controllo di evitare per il momento ogni azione sanzionatoria ed economicamente pregiudizievole nei confronti degli operatori del settore che agiscono secondo la prassi, consolidata di utilizzare le targhe prova anche su veicoli già immatricolati ma sprovvisti di copertura assicurativa.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Danilo Toninelli.


   MUGNAI e D'ETTORE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   in data 22 giugno 2018 la dirigenza della Bekaert Group (ex Pirelli) di Figline Valdarno ha comunicato la chiusura della fabbrica entro 75 giorni: si tratta di una realtà produttiva specializzata nella produzione di steel cord, che occupa 318 lavoratori;

   dopo la fissione da parte di Pirelli erano state date delle garanzie che oggi purtroppo sembrano svanite e ci si trova davanti a questa decisione secca e annunciata come «irrevocabile»;

   l'età media dei lavoratori coinvolti è sui 50 anni, troppo giovani per andare in pensione e troppo anziani per trovare nuove occupazioni. Per il territorio si rischia un impatto devastante; con l'indotto si arriva a più di 400 persone coinvolte, senza tener conto altresì degli ulteriori condizionamenti negativi del tessuto imprenditoriale locale;

   quanto sta accadendo non sarebbe neanche in linea con quanto aveva inizialmente stabilito il Ministero dello sviluppo economico il 29 marzo 2018, quando, cioè, aveva promesso l'apertura di un tavolo di contrattazione con i sindacati per evitare la chiusura dell'impianto e il licenziamento dei dipendenti, che significa abbandonare al proprio destino 318 famiglie;

   mentre la città metropolitana di Firenze si era già occupata della vicenda attraverso un suo organismo interno, l'unità di crisi, al fine di scongiurare la chiusura dello stabilimento, acquistato nel 2014 da Pirelli; gli interroganti rilevano l'inattività della regione Toscana che solo ora, a licenziamenti ormai avvenuti, sembra accorgersi della drammaticità della situazione anche se da diverso tempo si parla delle intenzioni della proprietà;

   si rimarca che da parte di lavoratori e sindacati c'è stata sempre, fin dalle trattative per il passaggio da Pirelli a Bekaert, nel 2015, la piena disponibilità a sostenere processi di crescita della produttività del sito; inoltre, si segnala che il Valdarno è negli ultimi anni già stato attraversato da varie crisi aziendali, con esiti diversificati, ma che ne hanno minato gravemente la tenuta occupazionale e produttiva e si deve evitare a tutti i costi che quello della Bekaert diventi l'ennesimo tavolo aperto sul territorio toscano –:

   se non ritenga di attivare, in tempi rapidissimi, iniziative e strumenti ad ogni livello per scongiurare la perdita dei 318 posti di lavoro e di uno stabilimento importante che rappresenta un patrimonio di tutto il Valdarno e della Toscana.
(4-00542)

  Risposta. — Si risponde all'atto in esame rappresentando quanto segue.
  Il Ministero dello sviluppo economico segue, dal 2016, gli avvenimenti della multinazionale belga
Bekaert.
  Quest'ultima, il 23 giugno 2018, ha comunicato la decisione di chiudere i siti di Figline e Incisa Valdarno, dedicati alla produzione di rinforzi in acciaio per pneumatici, e di sospendere le attività lavorative per 318 dipendenti.
  Tale decisione ha destato notevoli perplessità, in quanto, nel corso dell'incontro svoltosi presso il Ministero dello sviluppo economico il 29 marzo scorso, al quale hanno partecipato i rappresentanti delle istituzioni locali, oltre che le organizzazioni sindacali e i rappresentanti della società, quest'ultima aveva illustrato un piano concernente gli obiettivi e l'avanzamento dei progetti in corso relativi proprio al sito di Figline, affermando che la
mission dello stabilimento era quella di divenire leader per l'industrializzazione dei rinforzi d'acciaio per pneumatici.
  In tale sede, inoltre, veniva prospettato l'impegno a discutere con le organizzazioni sindacali percorsi e soluzioni condivise con i lavoratori alla luce di un forte peggioramento dei risultati aziendali.
  In seguito, la società è giunta alla decisione di licenziare tutti i 318 dipendenti dello stabilimento di Figline-Valdarno per delocalizzare in Romania, senza alcun preventivo confronto e senza alcuna spiegazione sulle vere ragioni che hanno indotto la proprietà ad un atto così grave.
  Tale improvvisa decisione è stata oggetto di un nuovo confronto tenutosi al Ministero dello sviluppo economico, il 27 giugno 2018.
  A tale incontro hanno partecipano i rappresentanti delle istituzioni nazionali e territoriali nonché le organizzazioni sindacali, ma non i rappresentanti della
Bekaert, che non si sono presentati al tavolo.
  Durante la riunione è stata ribadita sia la gravità della decisione in sé, considerata dannosa per le famiglie coinvolte e per l'economia del territorio, sia quella dei modi in cui la decisione stessa era stata presa, posto che essa era stata adottata senza alcuna forma di contraddittorio.
  Il Ministro della sviluppo economico, di conseguenza, ha chiesto con forza la revoca immediata dei licenziamenti e l'avvio di un confronto serio e concreto, per dare un futuro produttivo allo stabilimento toscano e alla presenza di
Bekaert in Italia.
  In data 30 luglio 2018 si è tenuto un ulteriore incontro volto a risolvere le problematiche determinate dalla scelta della
Bekaert, al quale hanno partecipato nuovamente i rappresentanti della Società e le rappresentanze sindacali. In tale sede si è data lettura del piano inviato dalla Società al Ministero dello sviluppo economico.
  Tale piano prevedeva, in sintesi, che la società:

    avrebbe mantenuto il sito toscano attivo nonché avrebbe continuato le attività in esso svolte fino al 31 dicembre 2018;

    avrebbe promosso, con la collaborazione del proprio advisor, progetti di reindustrializzazione presentati da terze parti (purché quest'ultime non fossero concorrenti della Bekaert);

    avrebbe messo a disposizione, in parallelo alle attività di reindustrializzazione, un sistema di incentivazione all'esodo su base volontaria;

    qualora la procedura di licenziamento collettivo già avviata e attualmente in fase consultiva, si fosse conclusa con un accordo, avrebbe prorogato il termine sino al 31 gennaio 2019.

  Le organizzazioni sindacali, invece, chiedevano unitariamente la sospensione della procedura di mobilità.
  I rappresentanti delle Istituzioni presenti, da parte loro, hanno esortato la proprietà ad accogliere la proposta avanzata dai sindacati, evidenziandone sia l'importanza sia il carattere unitario.
  I rappresentanti della Società, tuttavia, hanno confermato l'indisponibilità ad accogliere la proposta di sospensione della procedura di mobilità, rendendosi comunque disponibili ad informare il vertice della multinazionale belga.
  In data 21 settembre 2018 si è tenuto, pertanto, un nuovo incontro tra le parti, durante il quale si è dato atto, tra l'altro, dell'impegno preso dal Ministro dello sviluppo economico, del lavoro e delle politiche sociali, per la reintroduzione della cassa integrazione per cessazione di attività. Opportunità, quest'ultima, eliminata dalle norme del così detto
Jobs Act.
  Il culmine di tali fatti è rappresentato, infine, dall'incontro del 3 ottobre 2018, tenutosi presso la sede del Ministero dello sviluppo economico, durante il quale è stato siglato l'accordo sul piano sociale e sui nuovi ammortizzatori per i lavoratori dello stabilimento di Figline Valdarno della multinazionale belga
Bekaert.
  Il succitato accordo è stato reso possibile proprio grazie alla reintroduzione della cassa integrazione per cessazione fortemente voluta dal Ministro Luigi Di Maio.
  Infatti, l'accordo, che vede anche l'impegno dei vari soggetti sul territorio (dalle imprese alle Istituzioni), ha previsto una serie di misure a tutela dei dipendenti e finalizzati alla reindustrializzazione del sito, tra i quali:

    la sospensione della procedura di licenziamento collettivo;

    la cassa integrazione della durata di un anno, a partire dal 1° gennaio 2019 (resa possibile dopo l'introduzione dell'articolo 44 del decreto-legge 28 settembre 2018, n. 109);

    incentivi all'esodo che prevedono tre scaglioni di anzianità per ogni fascia. In relazione al piano industriale, preme sottolineare che la produzione dell'azienda continuerà fino al 31 dicembre 2018 e che l'attuazione del piano sarà monitorata dal Ministero dello sviluppo economico attraverso incontri con le parti a cadenza mensile.

  Quanto al profilo occupazionale, l'accordo è volto, da un lato a recuperare la crisi incentivando i nuovi soggetti che possono essere interessati a insediarsi in quell'area produttiva, dall'altro, a premiare chi decide di assumere i lavoratori della Bekaert altrove.
  In proposito, si osserva che alle aziende che investiranno nello stabilimento verrà applicata una scontistica in proporzione al numero di dipendenti riassorbiti, mentre le aziende che assumeranno i dipendenti
Bekaert avranno incentivi alla riassunzione.
  Tali fatti dimostrano che il Ministero dello sviluppo economico ha posto la massima attenzione sulla vicenda
Bekaert e che si è attivamente e concretamente impegnato per trovare una soluzione alle problematiche connesse. Invero, la soluzione è stata perseguita, in via generale, attraverso una stretta al fenomeno delle continue delocalizzazioni che affliggono il Paese, con l'introduzione di sanzioni alle imprese che, dopo aver ricevuto contributi pubblici, decidano di delocalizzare (con il decreto-legge n. 87 del 2018, anche detto decreto dignità, convertito in legge n. 96 del 2018).
  In via specifica, tra le azioni che il Governo è riuscito a portare avanti, al fine di poter fronteggiare nel migliore dei modi possibili le conseguenze negative derivanti dalle innumerevoli situazioni di crisi aziendale, è stato finalmente reintrodotto, in caso di cessazione dell'attività produttiva, l'accesso al trattamento straordinario di integrazione salariale per i lavoratori coinvolti.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Davide Crippa.


   PALAZZOTTO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il 2 maggio 2018 due velisti italiani, Aldo Revello e Antonio Voinea sono scomparsi a 300 miglia al largo delle Azzorre, nel tratto di oceano tra l'arcipelago portoghese e Gibilterra, mentre erano a bordo della «Bright», un'imbarcazione di 14 metri;

   i due stavano ritornando dalle Antille verso Sarzana, in Liguria, dopo aver accompagnato turisti in crociera, attività che svolgono di professione;

   nei giorni successivi, dopo il disperato appello di Rosa Cilano, moglie di Aldo Revello, uno dei dispersi, che ha sottolineato come ci siano infiniti casi di persone che sono sopravvissute su una zattera anche oltre 70 giorni, il Governo italiano ha impegnato la fregata della Marina, la nave Alpino, alla ricerca dei due velisti dispersi, perlustrando in 48 ore 5.500 miglia quadrate di oceano senza che però sia emersa nessuna evidenza del naufragio. Nella zona è rimasta un'unità militare portoghese;

   ad oggi, nonostante siano trascorsi parecchi giorni dal naufragio, sembrerebbero non esserci dati che confermino un possibile affondamento dell'imbarcazione e per questo, raccogliendo gli appelli dei familiari, a parere dell'interrogante bisognerebbe non abbandonare le ricerche;

   secondo i familiari dei dispersi, i due potrebbero trovarsi sulla zattera della «Bright» ed essere sopravvissuti al naufragio;

   alla ricerca dei due velisti scomparsi hanno dato il loro contributo anche due gruppi del Consiglio nazionale delle ricerche che continuano a «gettare» zattere virtuali per cercare di restringere il campo delle ricerche. In pratica, utilizzando dei modelli matematici e statistici che cercano di tenere conto di tutte le variabili rilevanti, come il vento, le correnti, le onde, le caratteristiche dell'imbarcazione, vengono gettate virtualmente migliaia di zattere per vedere che rotta intraprendono a seconda delle condizioni iniziali, al fine di individuare quella più probabile della zattera gonfiabile di salvataggio. Ovviamente, anche piccolissime modifiche nelle condizioni iniziali generano risultati completamente diversi e bisogna aggiungere che purtroppo i modelli per l'oceano Atlantico non hanno la stessa accuratezza di altri, ad esempio mancano i dati che riguardano le maree e il moto ondoso, e questo fa aumentare l'incertezza;

   secondo le prime ricostruzioni, l’«epirb», che sarebbe il dispositivo di allarme dell'imbarcazione (acronimo di Emergency position indicating radio beacons) non si aziona a contatto con l'acqua, ma manualmente, e questo porterebbe a ritenere che Aldo Revello e Antonio Voinea abbiamo avuto il tempo di scendere sotto coperta e poi di risalire per lanciare la zattera di salvataggio;

   tra le ipotesi avanzate come causa del naufragio e sulle quali si starebbe indagando, visto che si tratta di una porzione di oceano molto trafficato, c'è quella dello speronamento di un mercantile che però poteva essere avvistato a distanza, specie per le buone condizioni meteorologiche e marine di quel giorno –:

   se e con quali mezzi il Governo intenda far piena luce sulle cause dell'incidente descritto in premessa;

   se si intendano proseguire le ricerche dei due velisti scomparsi e dispersi insieme alla loro imbarcazione il 2 maggio 2018 al largo delle Azzorre non solo attraverso l'impiego di imbarcazioni ma avvalendosi di tutti gli strumenti tecnologici a disposizione, quali satelliti e radar, oltre che della collaborazione dei gruppi di ricerca del Cnr richiamati in premessa;

   se si intendano assumere iniziative nei confronti delle autorità portoghesi affinché continuino le ricerche dei nostri connazionali, che, a parere dell'interrogante, dovrebbero proseguire in collaborazione tra i due Paesi.
(4-00314)

  Risposta. — La vicenda della scomparsa dei velisti Aldo Revello (cittadino italiano) e Antonio Voinea (di nazionalità romena), che si trovavano a bordo dell'imbarcazione a vela «Bright» in navigazione nell'oceano Atlantico, è stata seguita sin dal principio con la massima attenzione dall'Ambasciata a Lisbona e dalla Farnesina, in stretto contatto con le altre amministrazioni coinvolte ciascuna per i rispettivi ambiti di intervento (segnatamente, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministero della difesa).
  Il 2 maggio 2018 la guardia costiera portoghese ha rilevato l'ultima posizione della barca a vela a circa 700 chilometri a est del porto di Ponta Delgada (isole Azzorre), nelle acque territoriali portoghesi, dando tempestiva comunicazione della presenza a bordo di due cittadini italiani alla centrale operativa del nostro comando generale delle capitanerie di porto.

  Le autorità marittime portoghesi hanno altresì dato immediato avvio alle ricerche in mare, con ingenti mezzi di soccorso.
  Appresa la notizia dalla guardia costiera italiana, l'ambasciata a Lisbona, in stretto raccordo con la Farnesina, è prontamente intervenuta a più riprese presso le competenti autorità portoghesi per sensibilizzarle affinché ogni sforzo fosse profuso per giungere al ritrovamento dei signori Revello e Voinea, auspicando in particolare che le operazioni di ricerca potessero durare il più a lungo possibile.
  Il 5 maggio 2018, dopo tre giorni di intense ricerche, le autorità portoghesi hanno deciso di sospendere le operazioni. La nostra rappresentanza è pertanto nuovamente intervenuta chiedendo con fermezza la ripresa delle attività di ricerca. Ciò, non solo per sostenere le richieste dei familiari – con i quali la Farnesina si è sempre mantenuta in costante contatto – ma anche in considerazione del fatto che in passato erano stati registrati casi di sopravvivenza per diverse settimane di naufraghi su «zattere» alla deriva.
  Il 7 maggio 2018 è stata ribadita alle autorità portoghesi l'aspettativa italiana che le operazioni di ricerca potessero riprendere quanto prima, anche in concomitanza con l'imminente arrivo di una nave militare italiana nella zona. La fregata «Alpino» della nostra Marina militare, di passaggio nell'area per esercitazioni, aveva infatti previsto di iniziare il 7 maggio delle perlustrazioni, che poi si sono effettivamente protratte fino al giorno seguente, l'8 maggio.
  Il passo compiuto dalla Farnesina al più alto livello politico ha ottenuto come risultato la ripresa del comando delle operazioni da parte di un'unità della Marina militare portoghese, lacuale ha atteso l'arrivo della nave italiana e ha assunto il compito di
On scene commander (Osc).
  Il 9 maggio 2018, dopo sette giorni di capillari attività su una vastissima area dell'oceano Atlantico, le autorità di Lisbona hanno comunicato che le ulteriori ricerche effettuate non avevano, purtroppo, avuto alcun esito e che sarebbero pertanto cessate, questa volta definitivamente. Anche la nave italiana ha lasciato l'area per riprendere la sua iniziale rotta.
  Le autorità portoghesi hanno dedicato complessivamente alle operazioni di ricerca oltre 70 ore, partendo peraltro dal presupposto che – considerata la temperatura del mare nella zona (circa 16°C) – i tempi previsti di sopravvivenza in acqua in simili circostanze sono di circa 27 ore.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ricardo Antonio Merlo.


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   nell'ambito della recente Conferenza Stato-regioni si è discusso della modifica al decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, che ha recepito la direttiva 92/43/CEE, cosiddetta direttiva habitat, per inserire alcune disposizioni sulla gestione delle specie animali aliene;

   risulta che le regioni abbiano chiesto impropriamente una modifica alla normativa in questione, per ottenere libertà di deroga alla citata direttiva, rispetto alla gestione di due specie, orsi e lupi, anche per il loro possibile abbattimento;

   ebbene, in uno scenario in cui questi animali vengono uccisi di frequente dal bracconaggio nei modi più brutali – con fucili, cibo avvelenato e addirittura lacci di filo metallico – iniziative che ne possano comportare la soppressione, oltre a violare la normativa comunitaria, metterebbero a rischio due specie simbolo della biodiversità del nostro Paese –:

   se e quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato a tutela delle specie citate e contro le iniziative di abbattimento.
(4-00653)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame relativa alle problematiche connesse alla gestione e conservazione dell'orso e del lupo in Italia, in particolare nella Provincia autonoma di Trento, si rappresenta quanto segue.
  Occorre, in primo luogo, ricordare che sia l'orso che il lupo sono specie particolarmente tutelate dal quadro normativo europeo: la Convenzione di Berna le inserisce tra le specie strettamente protette (allegato II) mentre la direttiva
Habitat le colloca tra le specie di interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di ZSC e una protezione rigorosa (allegati B e D).
  Per quanto concerne il quadro normativo nazionale, la richiamata disciplina europea è stata recepita dal decreto del Presidente della Repubblica dell'8 settembre 1997, n. 357 nonché da una serie di disposizioni contenute nella legge 11 febbraio 1992, n. 157.
  Il Ministero dell'ambiente ha da sempre tenuto in grande considerazione la necessità di realizzare e garantire un'efficace conservazione e gestione dell'orso e del lupo in Italia, trattandosi di specie di altro valore naturalistico la cui tutela non può prescindere da una adeguata gestione dei conflitti con la zootecnia.
  Con questa finalità, l'Italia si è dotata nel 2002, in particolare, di un piano d'azione per la conservazione e gestione del lupo, che esclude la possibilità di attivare deroghe ai divieti di abbattimento della specie. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha, inoltre, predisposto e portato in discussione presso la Conferenza Stato-regioni un aggiornamento del predetto piano dazione. In tale piano sono individuate ventidue azioni per regolare il rapporto uomo-lupo che prevedono soluzioni alternative all'abbattimento. Allo stato, si è in attesa della sua condivisione da parte delle regioni, in quanto autorità competenti per la gestione del territorio.
  In base al quadro normativo nazionale e comunitario sopra delineato, in via generale, è dunque attualmente vietata l'uccisione di esemplari della specie. Le norme prevedono possibilità di deroga ai divieti di cattura o abbattimento solo in caso di gravi danni e a condizione che non esistano soluzioni alternative praticabili e che la deroga non pregiudichi il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, delle popolazioni di orso e di lupo.
  Per quanto concerne l'orso, si segnala che dal 2015 è stata formalmente istituita una commissione tecnica composta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la Provincia autonoma di Trento e l'Ispra per la gestione dell'orso e dei grandi carnivori. Dalla sua istituzione, la commissione si incontra regolarmente per affrontare le questioni relative alla gestione e conservazione dell'orso che, peraltro, trova tutela anche nell'ambito del piano d'azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno sulle alpi centro-orientali.
  L'Ispra ha evidenziato, peraltro, che, in ragione delle caratteristiche ecologiche delle due specie di grandi carnivori, che si muovono su aree molto vaste, ed agli obblighi derivanti dall'impatto normativo comunitario, la gestione del lupo e dell'orso richiede necessariamente una pianificazione su scala sovra-provinciale, dell'intero contesto alpino.
  Ad ogni modo, è opportuno segnalare che la Provincia autonoma di Trento e Bolzano, nella gestione della problematica in esame, ha presentato una proposta di, norma di attuazione dello statuto speciale, finalizzata a conferire alle province autonome le competenze spettanti allo Stato ai sensi dell'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 (regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli
habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche). La norma prevede di demandare al presidente della Provincia interessata l'adozione delle misure di prevenzione e di intervento urgente connesse alla gestione della presenza dell'orso e del lupo nel territorio provinciale, nel rispetto delle finalità, delle condizioni e dei limiti ivi previsti. La predetta norma integrativa è stata sottoposta all'esame della commissione paritetica di cui all'articolo 107 dello statuto (Commissione dei dodici), anche al fine di attivare il confronto istruttorio con i ministeri competenti.
  Alla luce delle informazioni esposte, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ribadisce la propria disponibilità al confronto e alla ricerca di soluzioni condivise, ferma restando la consolidata e coerente contrarietà del ministero rispetto ad atti normativi delle regioni o delle province autonome, di deroga alla legge vigente in materia, in violazione dei princìpi costituzionali.
  È stato, inoltre, previsto un intenso programma di prevenzione, nel quale si contempla tra l'altro di rafforzare la rete dei controlli, anche attraverso le forze di polizia locale.
  A ciò si aggiunge l'ipotesi di inasprire le pene per i bracconieri, innalzando il livello dei reati e passando dalla fattispecie della contravvenzione a quella del delitto.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   ROMANIELLO, COSTANZO, SABRINA DE CARLO, LOMBARDO, MAMMÌ, MENGA e OLGIATI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   Alessandro Fiori era un manager di 33 anni originario di Soncino, in provincia di Cremona. Partito da casa il 12 marzo 2018, aveva preso un volo per Istanbul per incontrare una ragazza straniera che aveva conosciuto due giorni prima a una festa. Non aveva avvertito nessuno e i genitori si erano accorti della sua partenza solo il mercoledì successivo;

   il venerdì seguente, non riuscendo a mettersi in contatto con lui, il padre e lo zio erano andati in Turchia a cercarlo e avevano scoperto che il ragazzo era stato derubato di soldi e carte di credito da un tassista, e che forse era stato addirittura rapito. C'era stato anche un appello alla tivù turca. Poi alcune inutili segnalazioni, fino al drammatico ritrovamento del corpo nel Bosforo, davanti a Istanbul, il 28 marzo 2018;

   la polizia inizialmente aveva fatto sapere che la morte era avvenuta per un malore. Ad ogni modo, se così fosse stato, l'autopsia l'avrebbe subito rivelato. Infatti, un infarto, crea seri danni al cuore, mentre l'annegamento provoca la penetrazione di acqua nei polmoni;

   l'autopsia invece, ha chiarito che la morte è stata provocata da un colpo inferto sul retro della testa con grande violenza, il che lascia supporre che Fiori sia stato colpito e poi gettato nello stretto;

   secondo quanto si apprende, i risultati dell'autopsia turca, eseguita il 30 marzo 2018, sarebbero stati correttamente depositati in procura il 30 maggio 2018, cioè nei tempi prescritti. Ciononostante, nessuno degli inquirenti ha fornito i dati, né tantomeno qualcuno si è occupato di aprire un'inchiesta, nonostante il contenuto;

   il giudice che si era occupato del caso, poi trasferito a fine agosto, ha ignorato i risultati dell'autopsia e le prove raccolte, nonostante le evidenze;

   l'ultima segnalazione di Alessandro in vita risalirebbe a lunedì 26 marzo 2018. Sarebbe stato visto nel quartiere di Thopane, situato vicino al Consolato italiano. Secondo una ricostruzione probabile, debilitato e senza riferimenti, stava cercando proprio di raggiungere il nostro Consolato;

   Alessandro avrebbe quindi, in base alle telefonate degli avvistamenti, vagato per dieci giorni senza meta, confuso debilitato prima di essere ucciso, probabilmente lo stesso 26 marzo 2018 –:

   quali iniziative di competenza abbia intrapreso il Ministro per giungere alla verità dell'assassinio di Alessandro Fiori e se sia a conoscenza di quali siano le motivazioni per le quali non sia stata avviata un'indagine sull'accaduto.
(4-01466)

  Risposta. — Il Signor Alessandro Fiori ha fatto perdere le proprie tracce il 14 marzo 2018 a Istanbul, dove era giunto per turismo il 12 marzo precedente.
  Appresa la notizia della scomparsa, il consolato generale ad Istanbul, in stretto raccordo con la Farnesina ed in contatto con il padre del connazionale – nel frattempo giunto sul posto – si è subito attivato con le competenti autorità locali perché fosse adottata ogni possibile misura atta a consentire il ritrovamento dell'interessato.
  Il corpo senza vita del signor Fiori veniva purtroppo rinvenuto il 27 marzo 2018 sulle rive del Bosforo. La salma, la cui identità è stata accertata tramite esame del Dna, è stata traslata in Italia il successivo 31 marzo.
  Il nostro consolato generale, di concerto con l'ambasciata ad Ankara, ha svolto a più riprese interventi presso le competenti autorità turche perché le indagini relative al decesso del connazionale proseguissero fino al definitivo accertamento delle cause, che avevano condotto al tragico evento. In occasione dei passi svolti la nostra rappresentanza ha sempre ricevuto assicurazioni in tal senso ed un fascicolo sul caso del Signor Fiori risulta tuttora aperto.
  Il 5 settembre 2018 l'ambasciata ad Ankara ha formalmente chiesto informazioni sullo stato delle indagini e un passo di eguale tenore è stato svolto dal consolato generale nei confronti del capo della polizia di Istanbul.
  Allo stato attuale risulta che il procuratore inizialmente titolare del fascicolo sia passato ad altro incarico e si è tuttora in attesa che venga individuato un altro pubblico ministero che segua l'attività investigativa.
  L'ambasciata è in procinto di intervenire nuovamente sulle autorità turche perché sia identificato quanto prima il nuovo titolare dell'inchiesta e che sia finalmente reso disponibile il rapporto autoptico definitivo sulla salma del connazionale.
  La nostra rappresentanza ad Ankara e il consolato generale a Istanbul – in contatto con i familiari del signor Fiore e con i loro legali – continueranno a seguire la vicenda con la massima attenzione fino a quando non si farà piena luce sulle circostanze che hanno portato al decesso del connazionale.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ricardo Antonio Merlo.


   EMANUELA ROSSINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   la direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche vieta l'abbattimento delle specie Ursus arctos e Lupus canis per la tutela e la conservazione delle specie, salvo casi particolari come quelli legati a un alto livello di pericolosità, oppure quando l'abbattimento non pregiudica o mette a rischio la conservazione della specie;

   il regolamento attuativo della «direttiva habitat», di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, all'articolo 11, ha disciplinato le deroghe, ovvero i casi e le fattispecie in cui il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare può disporre la cattura o l'abbattimento degli esemplari;

   in Trentino-Alto Adige, in virtù delle particolari condizioni del territorio, negli ultimi anni è diventato quanto mai urgente prendere provvedimenti che garantiscano la naturale e normale convivenza della vita in montagna e lo svolgimento delle attività agricole e pastorali pur in presenza dei grandi carnivori e i ripetuti fatti di cronaca ne sono la prova;

   la Commissione paritetica del Trentino-Alto Adige della XVII legislatura ha avviato l’iter per l'approvazione di una norma di attuazione che integrasse la precedente norma di attuazione del 1974, volta proprio a demandare alle province la competenza sulla gestione delle situazioni di maggiore criticità legate alla presenza dell'orso e del lupo –:

   se il Governo ritenga opportuno valutare la possibilità di assumere le iniziative di competenza per attribuire alle province autonome di Trento e di Bolzano le funzioni in materia di tutela, programmazione e gestione delle specie Ursus arctos e Lupus canis, al fine di garantire un'equilibrata convivenza tra i suddetti grandi carnivori e l'uomo e gli animali domestici e da allevamento.
(4-00049)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle problematiche connesse alla gestione e conservazione dei grandi carnivori in Italia ed in particolare del lupo nella provincia autonoma di Trento, si rappresenta quanto segue.
  Occorre, in primo luogo, ricordare che il lupo è specie particolarmente tutelata dal quadro normativo europeo: la Convenzione di Berna lo inserisce tra le specie strettamente protette (allegato II) mentre la direttiva Habitat lo colloca tra le specie di interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di ZSC e una protezione rigorosa (allegati B e D).
  Per quanto concerne il quadro normativo nazionale, la richiamata disciplina europea è stata recepita dal decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 nonché da una serie di disposizioni contenute nella legge 11 febbraio 1992, n. 157.
  Il Ministero dell'ambiente tiene in grande considerazione la necessità di realizzare e garantire un'efficace conservazione e gestione del lupo e dell'orso in Italia, trattandosi di specie di alto valore naturalistico la cui tutela non può prescindere da un'adeguata gestione dei conflitti con la zootecnia.
  Con questa finalità, l'Italia si è dotata nel 2002 di un piano d'azione per la conservazione e gestione del lupo, che esclude la possibilità di attivare deroghe ai divieti di abbattimento della specie. Il Ministero dell'ambiente ha, inoltre, predisposto e portato in discussione presso la conferenza Stato-regioni un aggiornamento del predetto piano d'azione. In tale piano sono individuate ventidue azioni per regolare il rapporto uomo-lupo che prevedono soluzioni alternative all'abbattimento. Allo stato, si è in attesa della sua condivisione da parte delle regioni, in quanto autorità competenti per la gestione del territorio.
  In base al vigente quadro normativo, sia nazionale che comunitario, in via generale, è dunque attualmente vietata l'uccisione di esemplari della specie. Le norme prevedono possibilità di deroga ai divieti di cattura o abbattimento solo in caso di gravi danni e a condizione che non esistano soluzioni alternative praticabili. Inoltre, tale deroga non deve pregiudicare il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, delle popolazioni di lupo.
  L'ISPRA ha evidenziato, peraltro, che, in ragione delle caratteristiche ecologiche delle due specie di grandi carnivori, che si muovono su aree molto vaste, e tenuto conto degli obblighi derivanti dalla normativa europea, la gestione del lupo e dell'orso richiede necessariamente una pianificazione su scala sovra-provinciale, così da ricomprendere l'intero contesto Alpino.
  Con riferimento alle iniziative urgenti sui casi specificatamente segnalati, si rappresenta che la provincia autonoma di Trento ha chiesto di poter attuare attività di dissuasione sul lupo in prossimità di Canazei e che queste sono state autorizzate dal Ministero previo parere dell'ISPRA.
  Atteso quanto sopra, occorre comunque segnalare che le province autonome di Trento e Bolzano, nella gestione della problematica in esame, hanno presentato una proposta di norma di attuazione dello Statuto speciale, finalizzata a conferire alle stesse le competenze spettanti allo Stato ai sensi dell'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli
habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche). La norma prevede di demandare al Presidente della provincia interessata l'adozione delle misure di prevenzione e di intervento urgente connesse alla gestione della presenza dell'orso e del lupo nel territorio provinciale, nel rispetto delle finalità, delle condizioni e dei limiti ivi previsti. La predetta norma integrativa è stata sottoposta all'esame della Commissione paritetica di cui all'articolo 107 dello Statuto (commissione dei dodici), anche al fine di attivare il confronto istruttorio con i Ministeri competenti.
  Alla luce delle informazioni esposte, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ribadisce la propria disponibilità al confronto e alla ricerca di soluzioni condivise, ferma restando la consolidata e coerente contrarietà del Ministero rispetto ad atti normativi delle regioni o delle province autonome, di deroga alla legge vigente in materia, in violazione dei princìpi costituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   ROSTAN. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto riportato dalla testata online «Cronache di Il quotidiano indipendente», in data 7 giugno 2018, Augusto La Torre, detenuto nel penitenziario di Ivrea, avrebbe utilizzato un'intervista, rilasciata attraverso il suo avvocato, Filippo Barbagianni, e pubblicata sul sito internet www.appiapolis.it il 4 giugno, per indirizzare insulti e messaggi inquietanti verso magistrati e giornalisti;

   secondo il quotidiano, già la frase che chiude l'intervista, una citazione di Gramsci, conterrebbe un messaggio preciso: «Io sono sconfitto momentaneamente, ma la forza delle cose lavora per me a lungo andare»;

   prima lo stesso La Torre avrebbe attaccato il pubblico ministero Alessandro D'Alessio, e il collega di «Cronache» Giuseppe Tallino;

   «Credo che alcuni giornalisti – dichiara La Torre secondo quanto detto dal quotidiano napoletano – siano indegni di pubblicare i loro articoli e alcuni direttori di testate siano colpevoli di favoreggiamento e di concorso esterno con uomini e donne che usano i media per delegittimare i loro nemici. Dunque, sono dei delinquenti e dei calunniatori di professione con l'aggravante di saperlo di essere. Ecco perché non chiederò più loro di rettificare i loro articoli, e se un giorno, come spero, dovessero chiedermi un'intervista riceveranno in risposta la seguente frase: “Non parlo con i calunniatori, parlo soltanto con i veri giornalisti, quelli che solitamente scrivono la verità e quando capiscono di aver scritto una inesattezza non solo la rettificano senza aspettare che gli venga chiesto ma sono anche umili da scusarsi”»;

   in data 11 giugno 2018, presso la procura della Repubblica del tribunale di Santa Maria Capua a Vetere, il giornalista Giuseppe Tallino ha presentato denuncia-querela contro Augusto La Torre, esponendo i fatti sopra menzionati, e in particolare alcuni passaggi dell'intervista, di La Torre, nella quale lo stesso apostrofava Tallino come «pseudo giornalista»; La Torre inoltre parlava di giornalisti «pennivendoli, asini patentati, la vergogna del giornalismo» proferendo altri, ulteriori, improperi;

   nella stessa denuncia, il giornalista Tallino segnala di essere in uno stato di profondo disagio e di preoccupazione per la sua incolumità;

   «Il dottor D'Alessio – ha detto il boss all'indirizzo del pubblico ministero – sa benissimo che non lo stimo, gliel'ho detto in faccia dinanzi ai miei legali. E non perché come vuole far credere ha fatto indagini su di me o su mio figlio, ma perché non è un uomo serio»;

   va ricordato che La Torre risulta essere un personaggio di primo piano della criminalità dell'area casertana. Considerato il boss di Mondragone, è stato a lungo detenuto in regime di 41-bis per poi passare al rango di collaboratore di giustizia, tornando quindi al regime ordinario;

   secondo gli inquirenti, il potere dei La Torre non è scalfito; esistono indagini in corso, che hanno portato all'arresto del figlio e del fratello del boss, con cui si è ipotizzato un tentativo di riformare il clan;

   appare, in ogni caso, grave che un boss detenuto possa approfittare di un'intervista per lanciare messaggi all'esterno, soprattutto con un chiaro contenuto minaccioso –:

   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in ordine alla vicenda riportata in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere, anche sul piano normativo, per evitare che possano essere veicolati da persone detenute messaggi offensivi e inquietanti nei confronti di magistrati e giornalisti, come emergerebbe nel caso sopra richiamato.
(4-00511)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame l'interrogante, richiamando un'intervista rilasciata da Augusto La Torre, detenuto presso il carcere di Ivrea, attraverso il suo avvocato e pubblicata il 4 giugno 2018 sul sito www.appiapolis.it con cui lo stesso avrebbe indirizzato insulti e messaggi inquietanti nei confronti del pubblico ministero Alessandro D'Alessio e del giornalista Giuseppe Tallino, chiede di sapere di quali elementi disponga il Ministro in ordine alla vicenda e quali iniziative di competenza intenda assumere, anche sul piano normativo, per evitare che possano essere veicolati da persone detenute messaggi offensivi e inquietanti nei confronti di magistrati e giornalisti.
  Preliminarmente, sulla base degli elementi raccolti dal dipartimento per gli affari di giustizia, risulta in atti che, a seguito della denuncia – querela sporta l'11 giugno 2018 da Giuseppe Tallino nei confronti di Augusto La Torre, è stato incardinato procedimento penale presso la procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere che ha trasmesso gli atti per competenza territoriale alla direzione distrettuale antimafia della procura della Repubblica di Napoli.
  Con specifico riferimento alla posizione giuridica di Augusto La Torre, per quanto di interesse rispetto all'interrogazione parlamentare, deve farsi rilevare che il predetto, pur classificato quale collaboratore di giustizia, non è sottoposto, né proposto è nemmeno proponendo per lo speciale programma di protezione.
  Allo stesso, pertanto, è applicato un regime di detenzione ordinario che dunque non risente di alcuna restrizione
ex art. 18 dell'ordinamento penitenziario ed ex art. 30 del regolamento di esecuzione che disciplinano rispettivamente le materie dei «colloqui, corrispondenza e informazione» e «della corrispondenza epistolare e telegrafica».
  Per altro, richiamando il testo dell'interrogazione parlamentare, da cui si evince che l'intervista in argomento sarebbe stata rilasciata dal La Torre per il tramite del suo difensore, è appena il caso di evidenziare che, quand'anche in astratto, il detenuto fosse stato sottoposto ad un regime detentivo connotato da restrizioni, da ciò non potrebbe farsi discendere alcuna violazione dell'ordinamento penitenziario, atteso che la corrispondenza fra difensore ed assistito sfugge alle eventuali restrizioni e/o visti di cui all'articolo 18-
ter, comma 2, legge n. 354 del 1975.
  Del resto, l'assetto normativo in vigore appresta profili di tutela sia in sede civile che in sede penale rispetto a condotte diffamatorie e/o intimidatorie del tipo di quella che si assume posta in essere dal La Torre, trattandosi, al contempo, di un illecito civile che dà vita ad una forma di responsabilità aquiliana
ex articolo 2043 codice civile cui conseguono forme di ristoro a favore del danneggiato in termini di risarcimento e restituzioni, nonché di un illecito penale astrattamente sussumibile nelle fattispecie di minaccia e diffamazione aggravata (articoli 612, 595, comma 3 del codice penale) il riconoscimento giudiziale della cui colpevolezza dà vita all'applicazione della sanzione penale.
  Ne discende come l'ampio spettro degli strumenti di tutela che l'attuale assetto ordinamentale appresta, in sede sia civile che penale, rispetto a siffatte tipologie di condotta renda superfluo e sovrabbondante un ulteriore intervento in sede legislativa, laddove non appaiono nemmeno prospettabili,
de iure condendo, ragionevoli margini per una limitazione dei colloqui difensivi o per forme di censura preventiva delle dichiarazioni del detenuto di cui il difensore si faccia latore all'esterno, venendo prima facie in rilievo profili di illegittimità costituzionale che, del resto, la Corte costituzionale ha già messo in luce allorquando ha dichiarato l'incostituzionalità dell'articolo 41-bis, comma 2-quater, lettera b), ultimo periodo, della legge n. 354 del 1975, ritenendo irragionevoli le restrizioni al diritto ai colloqui difensivi che detta norma faceva discendere, in modo automatico e indefettibile, dall'applicazione del regime detentivo speciale a carico dei detenuti (cui era concesso di avere con i difensori, fino a un massimo di tre volte alla settimana, una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli previsti con i familiari, pari, rispettivamente, a dieci minuti e a un'ora).
  La corte, infatti, ha ritenuto che tali restrizioni, per il modo in cui erano congegnate, costituissero un
vulnus del diritto di difesa incompatibile con la garanzia di inviolabilità sancita dall'articolo 24 comma 2 della Costituzione.
Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   PAOLO RUSSO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   alle 14,30 del 1° luglio un incendio di vaste proporzioni si è sviluppato all'interno della piattaforma ecologica della società Ambiente Spa di via Ponte delle Tavole a San Vitaliano (Napoli);

   il rogo ha interessato lo stabilimento dentro il quale sono stoccati multimateriali provenienti dalla raccolta differenziata quali carta, cartone, legno e plastiche;

   la nuvola sprigionata dalle fiamme ha avvolto numerosi centri abitati e la cenere si è posata su numerose case dell’hinterland che si trovano ad alcuni chilometri di distanza dal luogo in cui è avvenuto l'incendio;

   l'episodio si è verificato in un territorio già duramente colpito dall'inquinamento atmosferico determinato da un picco di polveri sottili che spesso supera i livelli delle maggiori metropoli del mondo;

   è elevato e legittimo l'allarme suscitato tra la popolazione –:

   se il Governo intenda fornire elementi, nell'ambito delle proprie competenze, sulle iniziative assunte per scongiurare, nell'immediato, i rischi per la salute pubblica e per l'ambiente, e sulle azioni che saranno messe in campo per monitorare e verificare le conseguenze sulle qualità dell'aria e le ricadute delle diossine e degli altri agenti tossici sul suolo.
(4-00615)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'incendio verificatosi il 1° luglio 2018 e che ha interessato lo stabilimento della ditta Ambiente S.p.a. in San Vitaliano, provincia di Napoli, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Per quanto concerne, innanzitutto, le iniziative adottate nell'immediatezza dell'evento, l'Arpac intervenuta sul posto ha riferito che la società svolge attività di trattamento e recupero rifiuti autorizzata con DD n. 273 dell'8 ottobre 2012 successivamente modificato fino al DD AIA n. 47 dell'8 marzo 2017. La parte interessata dall'incendio ha riguardato aree di stoccaggio di balle di rifiuti di carta, plastica e legno, nello specifico, nella zona del capannone C, in cui si effettuano operazioni di stoccaggio e trattamento dei rifiuti (ingombranti, legno, carta, plastica) per una superficie di circa 1.500 mq.
  L'Arpac ha fatto presente, altresì, che il nucleo nucleare-biologico-clinico radiologico dei Vigili del Fuoco, in fase di spegnimento, ha effettuato le prime ricerche che non hanno evidenziato superamenti di sostanze ritenute nocive (sostanze volatili) ed ha effettuato due diversi sopralluoghi, rispettivamente il 5 e il 12 luglio, in accordo con il Noe di Napoli, a seguito dei quali, per il principio di precauzione, i cumuli di rifiuti sono stati classificati a vista ed è stato assegnato loro il codice Cer in base alle diverse tipologie.
  La stessa Agenzia ha inoltre specificato che successivamente alla rimozione dei rifiuti a cura del soggetto obbligato, ai sensi dell'articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006, dovranno essere effettuate delle indagini preliminari nell'area oggetto di incendio, al fine di verificare l'eventuale superamento delle Csc (concentrazione soglia di contaminazione).
  Sempre l'Arpac ha fatto presente, inoltre, che al gestore è stato prescritto i rifiuti classificati, previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria procedente, dovranno essere rimossi ed avviati al recupero e/o smaltimento secondo la natura degli stessi, ai sensi della normativa vigente ed in base al piano di intervento che la ditta dovrà provvedere a realizzare.
  Nei giorni 6 e 7 luglio 2018 è stato effettuato anche il prelievo di
top-soil nei territori dei comuni di Nola e San Vitaliano, rispettivamente oggetto della ricaduta di eventuali inquinanti provenienti dal plum dei fumi dell'incendio per la direzione prevalente N, NE per la ricerca di diossina, furani, PCB, C > 12 e metalli.
  In data 9 luglio sono stati effettuati campionamenti di alcuni pozzi ad uso agricolo nel comune di San Vitaliano nell'area adiacente l'impianto oggetto di incendio per la ricerca, tra le altre cose, di metalli, Ipa, Pcb, idrocarburi.
  Per quanto riguarda la qualità dell'aria, l'Arpac ha precisato che durante l'incendio è stata effettuata una prima immediata verifica dei dati di monitoraggio di qualità dell'aria disponibili, provenienti dalla rete regionale di monitoraggio, e sono stati istallati due ulteriori laboratori mobili, i cui rilevamenti sono stati integrati e confrontati con quelli delle centraline fisse.
  Nei giorni successivi all'evento, le rilevazioni hanno mostrato un limitato incremento delle concentrazioni di NO2, comunque al di sotto dei valori soglia fissati dalla normativa, mentre, nei gironi successivi, i dati sono risultati in coerenza agli usuali scenari di evoluzione di questo tipo di inquinante.
  Nei giorni seguenti, le concentrazioni si sono attestate su livelli usualmente misurati.
  Più in particolare, l'andamento delle concentrazioni di ozono risulta coerente con l'evoluzione giornaliera e stagionale per questo tipo di inquinante, con una lieve flessione dei valori rispetto al giorno precedente anche a causa della minore insolazione dovuta alla velata copertura nuvolosa osservata. Con riferimento al benzene, le concentrazioni osservate hanno confermato un andamento pressoché stabile durante le 24 ore del giorno 2 luglio, con l'eccezione di alcuni picchi orari per San Vitaliano, probabilmente dovuti a fenomeni di diffusione dell'inquinante dal sito dell'incendio verso la zona in cui è installata la centralina. Nei giorni seguenti, nel complesso, le concentrazioni si sono attestate su livelli usualmente misurati.
  Per il monossido di carbonio, sono stati confermati valori tipicamente registrati è ampiamente al di sotto delle soglie normative vigenti.
  Con riferimento alle polveri sottili, non sono stati registrati superamenti del valore limite giornaliero nell'area per il giorno 2 luglio. Le concentrazioni medie giornaliere di PM10 sono state maggiori nelle centraline di San Vitaliano e Pomigliano, mentre quelle di PM2,5 sono risultate coerenti con i livelli usualmente osservati in questo periodo dell'anno ad eccezione della stazione di Tufino, per la quale non si esclude un parziale impatto del trasporto di materiale combusto aerodisperso.
  In merito all'evento, occorre inoltre evidenziare che, per migliorare la sicurezza di impianti come quello di San Vitaliano, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con apposita circolare del 15 marzo 2018, ha diramato le «linee guida per la gestione operativa degli stoccaggi negli impianti di gestione dei rifiuti e per la prevenzione dei rischi».
  Inoltre, ferme restando le determinazioni dell'autorità giudiziaria, che ha in corso indagini relative all'impianto di San Vitaliano, la cabina di regia, istituita sulla base del patto per la terra dei fuochi, ha individuato aree dove hanno sede i siti di stoccaggio e trattamento dei rifiuti, in modo da consentire alle forze dell'ordine e alle polizie locali, congiuntamente ai militari dell'esercito, di predisporre in quei territori mirati dispositivi di vigilanza nell'ambito delle operazioni straordinarie programmate.
  Secondo quanto riferito dall'incaricato per il contrasto del fenomeno dei roghi della Campania, i dati mostrano che questa nuova misura è in grado di potenziare ai massimi livelli la capacità di controllo.
  Tali risultati trovano riscontro anche nei dati dei vigili del fuoco relativi agli interventi di spegnimento degli incendi di rifiuti. Infatti, sempre secondo quanto riferito dall'incaricato, l'andamento dell'ultimo quinquennio vede una diminuzione del fenomeno (si è scesi dai 3.984 interventi complessivi effettuati nel 2012, ai 1.932 interventi alla fine del 2017), in lieve controtendenza lo scorso anno, ha ripreso a decrescere nei primi mesi del 2018.
  In relazione agli eventi che interessano la tipologia di impianti in questione, la prefettura di Napoli ha comunicato inoltre che, sulla base della direttiva adottata dal Ministero dell'interno il 13 luglio 2018, sono stati sensibilizzati anche i sindaci a mobilitare i corpi di polizia municipale e i gestori al fine di predisporre le misure utili ad arginare il fenomeno.
  La problematica relativa alle attività di controllo, prevenzione e contrasto di tali eventi è stata affrontata anche in sede di comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica il 1° agosto 2018, alla presenza di tutti i soggetti interessati.
  In tale sede, il vice presidente della giunta regionale ha informato della proposta di modifica della legge n. 14 del 2016 che prevede misure integrative e prescrizioni più rigorose per la gestione dei siti, tra cui specifici emendamenti riguardanti l'obbligo, a carico dei gestori, di dotare i siti di un sistema integrato di videosorveglianza, nonché una vigilanza H24, pena la revoca delle autorizzazioni.
  La prefettura ha fatto, in ultimo, presente che la regione approverà le linee guida contenenti le predette prescrizioni da inserire negli atti autorizzatori relativi alla messa in esercizio degli impianti di trattamento rifiuti e che la proposta è stata approvata dal consiglio regionale nella predetta seduta del 1° agosto 2018.
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura, comunque, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare manterrà altro il livello di attenzione sulla questione, condividendo strategie ed indirizzi d'intervento con i soggetti istituzionali interessati.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   PAOLO RUSSO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il 25 luglio 2018 un vasto incendio si è sviluppato nella zona industriale di Caivano, nel napoletano, all'interno dell'azienda «Di Gennaro» specializzata nella selezione dei rifiuti della raccolta differenziata;

   il 1° luglio 2018 analogo rogo si verificò a San Vitaliano, dentro il piazzale della piattaforma ecologica della società «Ambiente»;

   il 25 giugno 2018 a bruciare furono i materiali stoccati all'interno della Nappi Sud di Battipaglia;

   l'11 giugno tocca alla azienda Gav srl di Gricignano assistere all'incendio del materiale plastico detenuto;

   in due anni sono stati registrati oltre 261 roghi di rifiuti in ogni parte d'Italia;

   vanno considerati il crescente allarme tra la popolazione, preoccupata dagli effetti nocivi degli inquinanti che si propagano nell'aria e l'inquietante statistica che oggettivamente evidenzia un pericoloso vulnus nella filiera delle misure di prevenzione all'interno degli impianti di selezione e di trattamento dei rifiuti –:

   se non si ritenga di istituire una task force nazionale per il monitoraggio di questa inquietante escalation di incendi e roghi dai risvolti sospetti, anche coinvolgendo autorevoli esponenti del mondo scientifico e medico, al fine di dettare un protocollo standard per tutelare, per quanto di competenza, nelle immediate prossimità delle zone in cui si è verificato l'evento incendiario ed in attesa degli esiti degli esami in tali aree favorendo l'assunzione di adeguati comportamenti, la popolazione interessata dalle nubi cariche di veleni;

   se non ritenga di dover assumere iniziative, per quanto di competenza, per promuovere una revisione della procedura concernente le autorizzazioni per gli impianti di selezione e trattamento dei rifiuti, al fine di realizzare un sistema di controllo video permanente e di rilevamento incendi che, con l'ausilio delle nuove tecnologie, possa prevenire i disastri che creano nocumento all'ambiente ed ai cittadini e scoraggiare, laddove si trattasse di eventi di natura dolosa, azioni criminali.
(4-00845)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si precisa che il fenomeno dei roghi negli impianti di gestione dei rifiuti è sicuramente un tema primario nell'ambito delle attività istituzionali legate alla gestione dei rifiuti.
  A tal proposito, per migliorare la sicurezza di impianti di gestione dei rifiuti, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con apposita circolare del 15 marzo 2018, ha diramato le «linee guida per la gestione operativa degli stoccaggi negli impianti di gestione dei rifiuti e per la prevenzione dei rischi».
  Inoltre, la cabina di regia, istituita sulla base del patto per la terra dei fuochi ha individuato aree dove hanno sede i siti di stoccaggio e trattamento dei rifiuti, in modo da consentire alle forze dell'ordine e alle polizie locali, congiuntamente ai militari dell'esercito, di predisporre in quei territori mirati dispositivi di vigilanza nell'ambito delle operazioni straordinarie programmate.
  Con riferimento a tale nuovo dispositivo, l'incaricato per il contrasto del fenomeno dei roghi della Campania ha precisato che i dati mostrano la capacità dello stesso di potenziare ai massimi livelli le attività di controllo.
  Tali risultati trovano riscontro anche nei dati dei vigili del fuoco relativi agli interventi di spegnimento degli incendi di rifiuti. Infatti, l'andamento dell'ultimo quinquennio vede una diminuzione del fenomeno (si è scesi dai 3.984 interventi complessivi effettuati nel 2012, ai 1.932 interventi alla fine del 2017), in lieve controtendenza nel 2017, ha ripreso a decrescere nei primi mesi del 2018.
  La prefettura di Napoli ha comunicato inoltre che, secondo le indicazioni della direttiva del Ministro dell'interno del 13 luglio 2018, sono stati sensibilizzati anche i sindaci a mobilitare i corpi di polizia municipale e i gestori, al fine di adottare le misure utili ad arginare il fenomeno.
  Sempre la prefettura precisa ancora che la problematica relativa all'attività di controllo diretta a prevenire e contrastare tale tipologia di eventi è stata affrontata anche in sede di comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica il 1° agosto 2018, alla presenza di tutti i soggetti interessati.
  In tale sede, il vicepresidente della giunta regionale ha informato della proposta di modifica della legge n. 14 del 2016 che prevede misure integrative e prescrizioni più rigorose per la gestione dei siti, tra cui specifici emendamenti riguardanti l'obbligo, a carico dei gestori, di dotare i siti di un sistema integrato di videosorveglianza, nonché una vigilanza H24, pena la revoca delle autorizzazioni.
  La prefettura ha fatto, in ultimo, presente che la regione approverà le linee guida contenenti le predette prescrizioni da inserire negli atti autorizzatori relativi alla messa in esercizio degli impianti di trattamento rifiuti e che la proposta è stata approvata dal consiglio regionale nella predetta seduta del 1° agosto 2018.
  Alla luce delle informazioni esposte, questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina, anche al fine di rafforzare ulteriormente le attività di monitoraggio.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   nella regione Friuli Venezia Giulia, attualmente sono presenti 3 camere di commercio:

    quella di Pordenone con 31.771 imprese registrate, 28.945 imprese attive, 39 dipendenti (giugno 2017) e una azienda speciale;

    quella di Udine con 62.253 imprese registrate, 54.729 imprese attive, 76 dipendenti (giugno 2017) e 2 aziende speciali;

    quella di Venezia Giulia con 34.594 imprese registrate, 30.443 imprese attive, 72 dipendenti (giugno 2017) e 3 aziende speciali;

    il totale è di 128.618 imprese registrate, 114.117 imprese attive, 187 dipendenti (giugno 2017) e 6 aziende speciali;

   il decreto del Ministro dello sviluppo economico del 16 febbraio 2018 reca, tra gli altri, l'accorpamento della camera di commercio di Pordenone e quella di Udine, nonché il mantenimento della camera di commercio della Venezia Giulia;

   l'assetto previsto dal suddetto decreto, le cui procedure sono già state avviate, è il seguente:

    per la camera di commercio di Pordenone e Udine si prevede la sede ad Udine con 94.024 imprese registrate, nessuna azienda speciale e 113 dipendenti (proiezione al 31 dicembre 2019);

    per la camera di commercio della Venezia Giulia si prevede la sede a Trieste con 30.443 imprese registrate, 2 aziende speciali e 69 dipendenti (proiezione al 31 dicembre 2019);

   l'assetto suindicato evidenzia lo squilibrio in termini di potenziali ricadute sui servizi a favore delle imprese e dei territori;

   la giunta camerale di Pordenone ha contestato l’iter del riordino delle camere di commercio in quanto non rispettoso delle prerogative che le norme costituzionali e lo statuto di autonomia garantiscono alla regione Friuli Venezia Giulia;

   nella seduta della Conferenza Stato-regioni del 30 luglio 2015, la regione Friuli Venezia Giulia aveva considerato accoglibile l'accorpamento della camera di commercio di Gorizia e Trieste «auspicando che questo accorpamento potesse costituire il primo passo verso il riordino del sistema camerale regionale con il quale, tenendo conto delle specificità geo-economiche dei territori, si potesse giungere alla creazione di un'unica CCIAA in Regione»;

   allo stato attuale risulta che la camera di commercio di Pordenone ha presentati ricorso al Tar del Lazio lamentando violazione di legge e delle norme costituzionali sul riparto delle attribuzioni fra lo Stato e la regione Friuli Venezia Giulia, posto che la riorganizzazione, a seguito della mancata acquisizione dell'intesa in Conferenza Stato-regioni (11 gennaio 2018), è stata autorizzata da una delibera del Consiglio dei ministri, priva dei necessari requisiti motivazionali e procedimentali;

   nel ricorso è stata anche richiesta la misura cautelare di sospensione dell'efficacia del decreto ministeriale impugnato (oltre al suo annullamento), limitatamente alla parte in cui ridefinisce la circoscrizione della camera di commercio di Pordenone, mediante l'istituzione della camera di commercio di Pordenone e Udine –:

   se, alla luce di quanto esposto in premessa, non ritenga di assumere ogni iniziativa per favorire una soluzione che rispetti le competenze sul riordino delle camere di commercio spettanti alla regione autonoma Friuli Venezia Giulia.
(4-00232)

  Risposta. — Con riferimento all'atto in esame, concernente il piano di rideterminazione delle circoscrizioni territoriali del sistema camerale, con particolare richiamo alla regione Friuli Venezia Giulia, si rappresenta quanto segue.
  Nello specifico, oltre a quanto già noto all'interrogante circa l’
iter di adozione del decreto ministeriale 16 febbraio 2018 e, in particolare, alle fasi che hanno determinato gli esiti della Conferenza Stato-regioni dell'11 gennaio 2018, va rilevato che all'interno del verbale della suddetta Conferenza è riportato espressamente che il Ministero dello sviluppo economico ha manifestato la disponibilità a tener aperto il dialogo fattivo con le regioni ed ha tenuto conto della possibilità di accogliere le richieste per un allargamento del numero complessivo delle camere di commercio.
  Tra l'altro, è opportuno prendere atto che, nell'ambito della riunione di coordinamento tenutasi il 10 gennaio 2018, la commissione attività produttive, non potendo registrare una posizione unitaria, aveva deciso di riportare alla Conferenza le posizioni delle singole regioni che avevano sollevato problematicità in merito al riordino previsto dal citato decreto legislativo. Tra queste, preme rilevare che la regione Friuli Venezia Giulia in quella sede aveva richiesto di procedere all'accorpamento delle attuali tre camere di commercio in un'unica Camera a far data dal 1° gennaio 2021.
  Relativamente al ricorso giurisdizionale presentato dalla camera di commercio, industria artigianato e agricoltura di Pordenone, con il quale era stato richiesto l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia, del decreto ministeriale 16 febbraio 2018, anche nella sola parte in cui veniva istituita la camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Pordenone-Udine, nonché degli atti presupposti e consequenziali, si fa presente che il T.a.r. Lazio, sezione terza-
ter, con ordinanza del 13 giugno 2018, n. 3609, ha rigettato la domanda cautelare, ritenendo che «il ricorso non si presenta assistito da apprezzabili profili del fumus boni iuris, anche avuto riguardo alle puntuali deduzioni delle parti intimate e all'indirizzo espresso dalla Sezione su questioni analoghe (cfr. ordd. 17 maggio 2018, nn. 2960 e 2964, e 1° giugno 2018, n. 3262)».
  Invero, in data 28 giugno 2018 la camera di commercio di Pordenone ha, proposto appello al Consiglio di Stato, avverso la citata ordinanza emessa dal T.a.r. del Lazio. Tuttavia, in data 23 agosto 2018, la medesima camera di commercio, ha dichiarato di rinunciare all'appello proposto.
  In seguito a tale rinuncia, le procedure di accorpamento tra la camera di Pordenone e quella di Udine sono terminate con la costituzione, in data 8 ottobre 2018, della nuova «Camera di commercio di Pordenone-Udine».
  Tale vicenda, è emblematica del fatto che il riordino delle camere di commercio italiane è finalizzato ad ottenere un maggior dinamismo dell'intero sistema imprenditoriale, ridefinendone i punti di riferimento sul territorio, in ragione degli obiettivi e delle strategie comuni.

Il Vice Ministro dello sviluppo economico: Dario Galli.


   SANDRA SAVINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   per il superamento delle situazioni di particolare degrado di determinate aree caratterizzate da una massiva concentrazione di cittadini stranieri, nell'agosto 2017, ai sensi del decreto-legge n. 91 del 2017, sono stati nominati commissario straordinario ai migranti per l'area del comune di Castel Volturno il prefetto Francesco Antonio Cappetta, commissario straordinario per l'area del comune di San Ferdinando nel territorio di Reggio Calabria, il prefetto Andrea Polichetti, commissario straordinario per l'area di Manfredonia il prefetto Iolanda Rolli;

   questi territori sono caratterizzati da una massiccia presenza ormai strutturale di cittadini extracomunitari anche perché questi, in quelle zone, prestano la loro opera stagionalmente presso le numerose aziende agricole attive sul territorio;

   con distinti decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 agosto 2018, il Governo, ha ritenuto di non confermare l'incarico ai tre commissari straordinari ai quali, con decisione del Consiglio dei ministri del 6 luglio 2018, su proposta del Ministro dell'interno, era già stato assegnato un ulteriore incarico con evidente e conseguente depotenziamento del loro impegno nei territori nei quali ricoprivano il ruolo di commissari straordinari;

   l'incarico di commissario straordinario per l'area del comune di San Ferdinando (Reggio Calabria) è stato assegnato al prefetto pro tempore di Reggio Calabria dottor Michele Di Bari; al prefetto pro tempore di Foggia dottor Massimo Mariani è stato assegnato l'incarico per l'area del comune di Manfredonia e al prefetto pro tempore di Caserta dottor Raffaele Ruberto l'incarico per l'area di Castel Volturno;

   aver nominato come commissari straordinari tre prefetti già impegnati sui loro territori testimonia, secondo l'interrogante, la scelta del Governo di disinvestire sugli interventi nei territori citati, in quanto, senza nulla togliere al valore delle persone neonominate, non potranno certo destinare la stessa attenzione dovendosi dividere su più incarichi;

   i progetti di intervento in aree così fortemente caratterizzate dal disagio avrebbero richiesto, da una parte, che fosse confermata la scelta di nominare soggetti con impegno esclusivo, dall'altra una più lunga presenza dei soggetti istituzionali già inseriti nel territorio, al fine di assicurare una reale e concreta continuità degli interventi e dei progetti già avviati, così come richiesto dai cittadini residenti;

   erano già stati avviati dai precedenti commissari interventi finalizzati a ripristinare la legalità, condurre la lotta al caporalato e riqualificare e valorizzare i territori; a tal fine erano, in alcuni casi, state individuate anche le risorse e definiti piani di intervento, anche con altri soggetti attivi sul territorio –:

   se e quali iniziative intenda assumere il Governo per assicurare la continuità dei progetti già messi in opera dai precedenti commissari e per garantire la validità e la corretta gestione degli interventi finalizzati a ripristinare la legalità e la tranquillità dei cittadini in merito alla concreta presenza delle istituzioni nei territori di cui in premessa.
(4-01095)

  Risposta. — Come ricordato nel testo dell'interrogazione, nell'agosto del 2017 il Governo ha nominato tre commissari straordinari per il superamento delle situazioni di particolare degrado delle aree dei comuni di Manfredonia, San Ferdinando e Castelvolturno, caratterizzate da una massiva concentrazione di cittadini stranieri.
  I commissari designati, ferme restando le competenze del Ministero dell'interno, e d'intesa con i prefetti competenti per territorio, sono stati chiamati a definire un piano di interventi per il risanamento di quelle aree e a coordinarne la realizzazione in raccordo con gli uffici periferici statali e in collaborazione con le regioni e gli enti locali.
  Le strutture commissariali hanno quindi messo in campo una complessa e delicata attività di programmazione di interventi, grazie anche al supporto e alla fattiva collaborazione delle prefetture che hanno messo a disposizione la conoscenza diretta delle dinamiche territoriali e la capacità di interlocuzione con tutte le amministrazioni coinvolte.
  Il pieno supporto delle prefetture è stato non solo doveroso, ma soprattutto funzionale rispetto ai propri compiti istituzionali, tra i quali rientrano, ordinariamente, il ripristino della legalità, il recupero di condizioni di vita accettabili e decorose per gli immigrati e la garanzia di una maggiore sicurezza per la collettività.
  I commissari nominati nel 2017, con delibera del Consiglio dei ministri del 6 luglio 2018, sono stati poi incaricati di titolarità di uffici centrali e periferici, con decorrenza dalla data di scadenza naturale dell'incarico di che trattasi, e precisamente dal 21 agosto 2018. Alla luce del nuovo incarico, non è stato possibile confermarli nelle funzioni precedenti, svolte in via esclusiva.
  Il Governo, quindi, con provvedimenti dell'agosto del 2018, ha assegnato le funzioni commissariali previste dall'articolo 16 del decreto-legge n. 91 del 2017 ai prefetti delle province in cui insistono le tre aree connotate da situazioni di particolare degrado.
  Tale scelta, anche per le ragioni suesposte, trova una sua logica e una sua giustificazione, funzionale e istituzionale, nella necessità di assicurare la continuità delle linee di intervento già avviate sul territorio.
  E su tale versante il coinvolgimento personale e diretto del prefetto della provincia non può essere considerato un arretramento rispetto al primo modello commissariale ma, viceversa, la garanzia del raggiungimento pieno ed efficace degli obiettivi fissati dal Legislatore.
  Infine, si assicura che gli attuali commissari sono già impegnati nei rispettivi territori per garantire la continuità dei progetti avviati dai loro predecessori, promuovendo la realizzazione degli interventi precedentemente stabiliti al fine di ripristinare la legalità, con il coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionali interessati.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo Sibilia.


   SCHIRÒ, UNGARO, LA MARCA e CARÈ. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   nell'agosto del 2014, nel quadro delle politiche di contenimento della spesa pubblica, il Consolato di San Gallo (Svizzera) veniva accorpato al Consolato generale d'Italia di Zurigo;

   in conseguenza di tale decisione, i 57.000 cittadini italiani iscritti all'Aire, residenti nel Consolato di San Gallo, ricadevano sotto la tutela di quello di Zurigo, che in tal modo superava complessivamente le 200.000 unità;

   per fronteggiare tali nuove esigenze, si provvedeva a trasferire il personale operante nella sede di San Gallo presso il Consolato generale di Zurigo, in vista di un ulteriore rafforzamento della pianta organica con altro personale inviato dalla sede centrale;

   di fatto, la dotazione di personale del Consolato generale di Zurigo si è progressivamente assottigliata, con appesantimento dei servizi alla comunità dei connazionali e con una riduzione delle permanenze settimanali nelle sedi di San Gallo Lucerna e Coira, già sedi di consolati;

   nella più immediata prospettiva, per il rientro del personale alla Farnesina non vi è notizia di assegnazione di nuovo personale o di nuove assunzioni in loco;

   l'insufficienza di personale tende quindi a tradursi in prolungamento dei tempi di rilascio dei passaporti e delle carte d'identità, nonché di compimento delle altre operazioni amministrative –:

   se l'attribuzione per la Svizzera di sole tre unità tra le 100 a contratto locale da assumere a sostegno dell'attività dei consolati, previste dalla legge di bilancio 2018, sia adeguata rispetto alle esigenze di funzionalità dei servizi offerti ai nostri connazionali, come nell'accennato caso del Consolato generale d'Italia a Zurigo;

   quali iniziative intende assumere il Governo per dare concrete prospettive di rafforzamento della dotazione del personale di ruolo, per fronteggiare in un'ottica meno immediata la situazione di emergenza venutasi a creare nel Consolato generale di Zurigo.
(4-00836)

  Risposta. — In merito a quanto richiesto dall'interrogante circa la carenza di risorse umane che caratterizza il consolato generale d'Italia a Zurigo non posso che rilevare come si tratti purtroppo di uno dei tanti casi critici della nostra rete a seguito della continua contrazione delle risorse finanziarie e umane assegnate al Ministro per gli affari esteri e la cooperazione internazionale dai governi nell'ultimo decennio. Il Ministero ha visto infatti una riduzione del personale pari a 1.200 unità, ovvero il 33 per cento del proprio organico, e, senza interventi correttivi, sono previsti nei prossimi anni collocamenti a riposo nell'ordine di circa 100 unità per anno, in un contesto peraltro di continua crescita dell'età media del personale di ruolo (oggi 56 anni). I provvedimenti di contenimento della spesa pubblica approvati nel corso dell'ultimo decennio (tra i quali la spending review di cui al decreto-legge n. 95 del 2012), hanno inoltre comportato la chiusura di oltre 60 strutture all'estero tra ambasciate, consolati ed istituti di cultura. Per quanto riguarda la rete consolare tale opera di riduzione aveva interessato principalmente l'Europa, anche in considerazione del maggior grado di integrazione delle nostre comunità nei Paesi di residenza e della possibilità di fornire un maggior numero di servizi per via telematica. La situazione del consolato generale a Zurigo – che ha anche assunto le competenze del consolato in San Gallo dopo la chiusura di quest'ultimo nel 2014 – si colloca in questo contesto.
  A fronte di tale pesante eredità è intenzione di questo Governo arrestare la continua riduzione delle risorse allocate alla rete consolare e ove possibile invertire la tendenza per consentire un graduale recupero di risorse umane e finanziare. Peraltro sulla base delle autorizzazioni ottenute lo scorso anno l'Amministrazione ha almeno potuto avviare le procedure concorsuali per la selezione e l'assunzione di 177 funzionari amministrativi e consolari nel biennio 2018-2019, nonché di 44 funzionari appartenenti all'area della promozione culturale. 11 personale assunto andrà a sostituire parzialmente quello che cesserà nel prossimo biennio per raggiunti limiti di età e sarà determinante per preservare la funzionalità della rete all'estero. Si tratta di misure che contribuiranno almeno ad arginare l'emorragia di personale e che consentiranno la messa a punto di interventi mirati a sostegno degli uffici della rete in situazione più critica dal punto di vista della dotazione di risorse umane, sulla base di un'attenta valutazione delle priorità più urgenti a cominciare da quelle consolari.
  Per quanto riguarda il consolato generale a Zurigo nell'immediato, oltre alle misure di carattere generale volte a favorire la mobilità del personale di molo e la flessibilità del suo impiego sulla rete (introduzione del profilo unico amministrativo, contabile e consolare; formazione e aggiornamento professionale multi-disciplinare; revisione degli organici e ri-orientamento del personale verso Paesi di crescente priorità per gli interessi nazionali), l'Amministrazione ha profuso il massimo impegno per far fronte alle maggiori necessità della sede, interessata da un continuo aumento degli iscritti all'AIRE (da 203.044 nel 2015 a 216.305 nell'agosto 2018, mentre i passaporti rilasciati sono passati dai 10.504 nel 2015 a 11.345 del 2017).
  In particolare, lo scorso luglio sono state pubblicizzate tre posizioni nei settori consolare e contabile. Le due unità con profilo consolare potranno presto integrare l'organico della sede, rafforzandone l'efficienza in termine di erogazione di servizi al pubblico; mentre per quanto riguarda quello contabile, l'Amministrazione non sta risparmiando sforzi per l'individuazione di una unità con la necessaria esperienza che possa coprire l'incarico nel minor tempo possibile. Con lo stesso impegno l'Amministrazione continuerà a seguire gli avvicendamenti previsti per Zurigo per il 2019, anche ricorrendo, ove necessario, allo strumento delle assegnazioni brevi e delle missioni per far fronte ad eventuali necessità straordinarie, come già avvenuto in passato.
  Per quanto riguarda i dipendenti a contratto, la distribuzione delle 100 unità aggiuntive previste dalla legge di bilancio 2018, effettuata secondo criteri di priorità basati principalmente sull'esigenza di garantire il funzionamento degli uffici all'estero e di rispondere alla crescente domanda di servizi, ha consentito purtroppo di soddisfare solo parzialmente le effettive necessità della rete. In particolare, alla rete svizzera sono state attribuite 3 unità aggiuntive, di cui una a Zurigo a tempo determinato, che va ad aggiungersi ad una unità a tempo indeterminato già autorizzata. È tuttavia necessario sottolineare che il personale a contratto, per la natura delle mansioni svolte, non può essere considerato alternativo al personale di ruolo e di conseguenza l'assunzione delle nuove unità a contratto non può rappresentare un rimedio definitivo.
  Si fa infine presente che per richiedere un passaporto al consolato generale di Zurigo non è necessario alcun previo appuntamento – servizio
walk-in – ed il passaporto viene rilasciato a vista, ove la documentazione sia completa.
  La Farnesina seguirà attentamente gli sviluppi della questione, continuando a mettere a punto interventi mirati a sostegno degli uffici della rete in situazione più critica dal punto di vista della dotazione delle risorse umane. In tale ottica è essenziale compiere ogni sforzo per poter reperire risorse umane sufficienti alle nostre rappresentanze diplomatico-consolari e, di conseguenza, un livello di servizi in linea con le esigenze dei cittadini e delle imprese all'estero.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ricardo Antonio Merlo.


   SEGNANA, BINELLI, VANESSA CATTOI, FUGATTI e ZANOTELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   cinquant'anni fa nel nostro Paese il lupo era considerato vicino all'estinzione e si pensava che ne sopravvivessero anche meno di un centinaio di esemplari nel nostro territorio, mentre oggi gli avvistamenti e le aggressioni da parte dei lupi, interessano varie regioni del Nord;

   in particolare, il Trentino conta parecchi branchi più o meno grandi di lupi e il numero crescente di esemplari fa registrare numerosi attacchi al bestiame, costringendo molti pastori ad abbandonare precocemente i pascoli in quota, con conseguenti costi per l'attività agricola;

   i numeri non sono certi e un censimento accurato degli animali non è ancora stato fatto;

   per sapere se ci siano lupi in una zona i metodi usati sono tanti: si va dalla registrazione degli ululati all'avvistamento e fino all'analisi genetica degli escrementi;

   sempre più spesso i predatori si avvicinano ai paesi gettando nel panico la popolazione, costretta ad assistere a scene bizzarre e raccapriccianti;

   nei giorni scorsi, ad esempio, due carcasse di caprioli sono stati trovati nel bosco a pochissima distanza dalle abitazioni della località di San Giorgio a Borgo Valsugana (TN), dove vivono tre famiglie con bambini piccoli (dai 2 ai 7 anni) e dove vi è un convento di suore e un vivaio;

   l'Unità per la tutela forestale dell'Arma dei carabinieri, rimuovendo i malcapitati animali, sembra che abbia confermato la presenza di due lupi nella zona, quali autori della predazione;

   nelle scorse settimane un pullman con a bordo una scolaresca ha assistito al passaggio di un branco; non è inconsueto inoltre vedere lupi al ciglio delle strade, che si sbranano una preda;

   testimonianza di tali episodi è documentata su molti siti web, che ritraggono immagini e filmati di scene che coinvolgono questi grandi e pericolosi carnivori;

   è di tutta evidenza che la presenza del lupo renda problematica la convivenza pacifica ed equilibrata con l'uomo, tanto da creare aspettative negli abitanti del Trentino da parte delle competenti istituzioni;

   la provincia autonoma di Trento, sollecitata anche dagli interroganti, non ha messo in campo nessuna misura efficace e tangibile, per la risoluzione della problematica, al punto che gli esemplari nel corso degli anni sembrano moltiplicarsi velocemente e i branchi vengono avvistati sempre più spesso;

   la risoluzione P8_TA(2016)0034 approvata dal Parlamento europeo riconosce la necessità di «valutare accuratamente il ruolo dei grandi predatori e l'eventuale introduzione di misure di adattamento, in modo da salvaguardare il paesaggio agricolo e l'allevamento nelle regioni di montagna, praticato da secoli» ed evidenzia come le «direttive sulla tutela della natura prevedono un'ampia flessibilità onde agevolarne l'attuazione tenendo conto delle esigenze economiche, sociali, culturali e regionali secondo quanto sancito dalla direttiva Habitat» –:

   se il Ministro interrogato intenda adottare con urgenza le iniziative di competenza per attribuire alla provincia autonoma di Trento la gestione di problematiche specifiche e territoriali, inerenti alla presenza del lupo;

   quali iniziative intenda adottare per contenere il numero degli esemplari, evitando la proliferazione incontrollata dei lupi e la presenza di branchi vaganti sul territorio, che rendono di fatto impossibile il sereno svolgimento delle attività giornaliere e tradizionali della popolazione trentina, come nel recente episodio avvenuto nella località di San Giorgio a Borgo Valsugana (TN).
(4-00109)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle problematiche connesse alla gestione e conservazione dei grandi carnivori in Italia ed in particolare del lupo nella provincia autonoma di Trento, si rappresenta quanto segue.
  Occorre, in primo luogo, ricordare che il lupo è specie particolarmente tutelata dal quadro normativo europeo: la convenzione di Berna lo inserisce tra le specie strettamente protette (allegato II) mentre la direttiva habitat lo colloca tra le specie di interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di Zona speciale di conservazione e una protezione rigorosa (allegati B e D).

  Per quanto concerne il quadro normativo nazionale, la richiamata disciplina europea è stata recepita dal decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 nonché da una serie di disposizioni contenute nella legge 11 febbraio 1992, n. 157.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare tiene in grande considerazione la necessità di realizzare e garantire un'efficace conservazione e gestione del lupo e dell'orso in Italia, trattandosi di specie di alto valore naturalistico la cui tutela non può prescindere da un'adeguata gestione dei conflitti con la zootecnia.
  Con questa finalità, l'Italia si è dotata nel 2002 di un piano d'azione per la conservazione e gestione del lupo, che esclude la possibilità di attivare deroghe ai divieti di abbattimento della specie. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha, inoltre, predisposto e portato in discussione presso la Conferenza Stato-regioni un aggiornamento del predetto piano d'azione. In tale piano sono individuate ventidue azioni per regolare il rapporto uomo-lupo che prevedono soluzioni alternative all'abbattimento. Allo stato, si è in attesa della sua condivisione da parte delle regioni, in quanto autorità competenti per la gestione del territorio.
  In base al vigente quadro normativo, sia nazionale che comunitario, in via generale, è dunque attualmente vietata l'uccisione di esemplari della specie. Le norme prevedono possibilità di deroga ai divieti di cattura o abbattimento solo in caso di gravi danni e a condizione che non esistano soluzioni alternative praticabili. Inoltre, tale deroga non deve pregiudicare il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, delle popolazioni di lupo.
  L'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale ha evidenziato, peraltro, che, in ragione delle caratteristiche ecologiche delle due specie di grandi carnivori, che si muovono su aree molto vaste, e tenuto conto degli obblighi derivanti dalla normativa europea, la gestione del lupo e dell'orso richiede necessariamente una pianificazione su scala sovra-provinciale, così da ricomprendere l'intero contesto alpino.
  Con riferimento alle iniziative urgenti sui casi specificatamente segnalati, si rappresenta che la provincia autonoma di Trento ha chiesto di poter attuare attività di dissuasione sul lupo in prossimità di Canazei e che queste sono state autorizzate dal Ministero previo parere dell'Ispra.
  Atteso quanto sopra, occorre comunque segnalare che le province autonome di Trento e Bolzano, nella gestione della problematica in esame, hanno presentato una proposta di norma di attuazione dello statuto speciale, finalizzata a conferire alle stesse le competenze spettanti allo Stato ai sensi dell'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli
habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche). La norma prevede di demandare al presidente della provincia interessata l'adozione delle misure di prevenzione e di intervento urgente connesse alla gestione della presenza dell'orso e del lupo nel territorio provinciale, nel rispetto delle finalità, delle condizioni e dei limiti ivi previsti. La predetta norma integrativa è stata sottoposta all'esame della commissione paritetica di cui all'articolo 107 dello Statuto (commissione dei dodici), anche al fine di attivare il confronto istruttorio con i ministeri competenti.
  Alla luce delle informazioni esposte, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ribadisce la propria disponibilità al confronto e alla ricerca di soluzioni condivise, ferma restando la consolidata e coerente contrarietà del ministero rispetto ad atti normativi delle regioni o delle province autonome, di deroga alla legge vigente in materia, in violazione dei princìpi costituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Sergio Costa.


   SERRACCHIANI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto affermato dall'Alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini, l'Europa sta lavorando per «mantenere ed approfondire le relazioni economiche con l'Iran», «sviluppare un ambiente imprenditoriale trasparente e basato sulle regole in Iran» e «proteggere gli operatori economici dell'Unione europea»;

   l'Unione europea vuole evitare che le nuove sanzioni americane possano gravare sulle imprese comunitarie, puntando a mantenere viva l'intesa siglata nel 2015 e a non mettere in gioco gli scambi commerciali tra l'Iran e i Paesi europei;

   la Danieli&Officine Meccaniche, azienda italiana con sede a Buttrio (Udine), è uno dei leader mondiali nella produzione di impianti siderurgici, in particolare nel settore dei prodotti lunghi, del cui mercato mondiale detiene oltre il 90 per cento di quota;

   la Danieli occupa nel sistema manifatturiero italiano una posizione importante e strategica;

   in particolare, per la regione Friuli Venezia Giulia Danieli rappresenta un'azienda guida nel campo economico, occupazionale e dell'innovazione tecnologica;

   a causa dell'uscita dal trattato sul nucleare del gennaio 2016 da parte degli Stati Uniti, la Danieli si è vista congelare commesse per 1,5 miliardi di euro in Iran;

   secondo l'amministratore delegato Alessandro Trivillin e il direttore finanziario Alessandro Busi gli ordini non sarebbero più finanziati poiché, dopo la sigla del trattato, «le banche non sono più disponibili a sostenere progetti iraniani per la paura di ottenere sanzioni secondarie»;

   le commesse riguarderebbero una centrale elettrica e impianti per produrre acciaio ad uso civile –:

   quali iniziative immediate e urgenti il Governo intenda intraprendere, sia in sede comunitaria sia nei confronti degli Stati Uniti, per supportare l'azione della diplomazia dell'Unione europea nel superare tale blocco che impedisce a questa azienda di completare opere già approvate.
(4-00282)

  Risposta. — A seguito dell'annuncio dell'8 maggio scorso del Presidente Trump circa il ritiro degli Stati Uniti d'America dal Joint Comprehensive Plan of Action (JCPoA), l'Amministrazione statunitense ha avviato il ripristino, in due distinte tranche da 90 e 180 giorni, delle sanzioni nei confronti dell'Iran e delle aziende, americane e straniere, che operano con controparti iraniane. Tra i settori colpiti dalla sanzioni americani rientrano anche quelli relativi alla vendita diretta o indiretta, fornitura o trasferimento da o verso l'Iran di metalli grezzi o semi-lavorati come alluminio e acciaio.
  L'aspetto più contundente è costituito dal carattere extra-territoriale delle sanzioni secondarie statunitensi, che espone gli operatori commerciali e bancari europei a danni economici sia diretti che indiretti (in termini di
over-compliance e de-risking). La posizione italiana, in linea con le dichiarazioni fin qui rilasciate dall'Alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini a nome degli stati membri dell'Unione europea, è di profondo rammarico per la decisione americana e di conferma contestuale dell'impegno per la piena attuazione dell'accordo, finché l'Iran continuerà ad attuarlo (come finora certificato dall'Aiea in 12 rapporti consecutivi, da ultimo il 30 agosto u.s.).
  In ambito Unione europea, all'indomani dell'annuncio statunitense, il Servizio europeo di azione esterna (SEAE) ha avviato un'intensa attività di coordinamento con gli stati membri, realizzata anche tramite l'organizzazione di consultazioni periodiche cui l'Italia garantisce costante e adeguata partecipazione. Tale coordinamento ha segnato un importante passaggio lo scorso 7 agosto, quando, contestualmente alla reintroduzione da parte statunitense del primo
set di sanzioni verso l'Iran, sono entrate in vigore le contromisure elaborate dall'Unione europea al fine di tutelare i rapporti economico-commerciali con l'Iran e gli interessi delle aziende europee.
  La Commissione europea ha adottato infatti il regolamento delegato che modifica il mandato per i prestiti esterni della Banca europea per gli investimenti (BEI), inserendo l'Iran nell'elenco dei Paesi ammissibili ai finanziamenti BEI, e ha parimenti concluso la procedura per l'emendamento dell'annesso del così detto «Regolamento di Blocco» (Reg. 2271/96), strumento volto a neutralizzare gli effetti delle sanzioni extraterritoriali di Paesi terzi su persone fisiche e giuridiche dell'Unione europea. Sono state contestualmente pubblicate delle linee guida esplicative a beneficio del settore privato circa l'applicazione del citato regolamento. Tali strumenti hanno peraltro portata ed efficacia limitate a fronte dell'impatto delle sanzioni statunitensi.
  Per tale motivo, nella fase attuale, gli sforzi europei e italiani sono finalizzati alla ricerca di un meccanismo che consenta di mantenere aperti alcuni canali di pagamento verso l'Iran anche posteriormente all'entrata in vigore del secondo
set di misure statunitensi (5 novembre 2018), per consentire le transazioni di beni non soggetti a sanzioni statunitensi (nel settore umanitario, incluso quello sanitario, dell'agri-food e dei beni di consumo).
  Sono state infine intraprese varie azioni di interlocuzione diretta, sia a livello bilaterale, che dell'Unione europea, volte a sensibilizzare le autorità statunitensi circa l'impatto negativo della reintroduzione delle sanzioni sul
business europeo, la cui salvaguardia rimane il principale obiettivo sia dell'Unione europea che di questo Governo.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Manlio Di Stefano.


   SILLI, MAZZETTI, PICCHI e DONZELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   la cronaca dei giorni scorsi ha riportato il grave ed increscioso episodio avvenuto nel carcere pratese della Dogaia, dove un giovane detenuto originario del Togo, che deve scontare la pena dopo una condanna per violenza sessuale, ha aggredito un'ispettrice della polizia penitenziaria, tentando di strangolarla. Un altro agente è rimasto contuso;

   il giovane, mentre si trovava in infermeria, si sarebbe scagliato improvvisamente contro la donna afferrandola per il collo per poi bloccarla contro il muro del locale. Grazie al pronto intervento degli altri agenti si sarebbe evitato il peggio;

   la vicenda desta grande preoccupazione e rammarico, anche perché episodi del genere, purtroppo, non rappresentano casi isolati; pertanto è necessario fare chiarezza su quanto avvenuto, per evitare che simili situazioni possano ripetersi in futuro, anche a seguito di opportune valutazioni in merito al sovraffollamento carcerario e al sottodimensionamento dell'organico preposto all'interno del carcere –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'episodio riportato in premessa;

   se e quali interventi intenda attuare per poter verificare la situazione esistente nel carcere pratese della Dogaia e nelle carceri italiane in genere, a fronte dei tanti episodi di violenza che si manifestano negli istituti di pena;

   quali azioni si intendano mettere in campo per prevenire aggressioni a danno del personale carcerario, e se, anche alla luce di quanto illustrato, non si ritenga di aumentare l'organico della polizia penitenziaria all'interno del carcere pratese della Dogaia;

   quali iniziative abbia assunto e intenda assumere per garantire adeguati standard di sicurezza nelle strutture afferenti alla gestione del Ministero della giustizia.
(4-00131)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame gli interroganti, nel fare riferimento ad un episodio di aggressione ai danni di un'ispettrice di Polizia penitenziaria consumatosi presso il carcere pratese della Dogaia per mano di un detenuto originario del Togo, chiedono di sapere se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'episodio, se e quali interventi intenda attuare per poter verificare la situazione esistente nel carcere pratese della Dogaia e nelle carceri italiani in generale a fronte dei tanti episodi di violenza che si consumano negli istituti di pena, quali azioni si intendano intraprendere per prevenire aggressioni ai danni del personale carcerario e se non si ritenga di aumentare l'organico della Polizia penitenziaria all'interno del carcere pratese della Dogaia, nonché quali iniziative il Ministro abbia assunto e intenda assumere per garantire adeguati standard di sicurezza nelle strutture afferenti al Ministero della giustizia.
  Va innanzitutto premesso, in punto di fatto, che, secondo gli elementi forniti dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, in data 11 aprile 2018, il detenuto Kalipè Gilbert, già in carico al servizio psichiatrico a far data dall'ingresso in istituto, chiedeva di parlare con un medico riferendo all'Ispettrice di sorveglianza del reparto di aver bisogno di aiuto perché sentiva strane «voci» che lo invitavano «a far male a qualcuno per purificare il mondo».
  Il caso veniva immediatamente sottoposto all'attenzione della psichiatra, già presente sul piano detentivo per effettuare delle visite.
  Durante il colloquio congiunto con l'ispettore e il medico psichiatra, il Kalipè si mostrava tranquillo non dando alcun segnale di aggressività, accettando tra l'altro la somministrazione di ulteriore terapia farmacologica.
  In attesa del rientro sul piano della psichiatra, recatasi nell'infermeria centrale per il prelievo dei medicinali necessari, improvvisamente il detenuto afferrava l'ispettrice per il bavero della giacca spingendola contro il muro; al momento dei fatti la suddetta si trovava all'interno della sala attigua all'ambulatorio infermieristico del piano detentivo, ove nel frattempo aveva fatto accomodare il Kalipè.
  Intervenuto tempestivamente il personale in servizio, il detenuto è stato condotto in isolamento, dove successivamente ha assunto la terapia e si è mostrato dispiaciuto per quanto accaduto.
  In data 17 aprile si è tenuto il consiglio di disciplina che ha comminato al ristretto 10 giorni di esclusione dalle attività in comune; è stata altresì debitamente predisposta comunicazione di notizia di reato indirizzata alla competente procura della Repubblica e il successivo 28 aprile il detenuto è stato trasferito per motivi di sicurezza alla Croce Rossa di Spoleto, ove si trova tuttora recluso. In merito all'accaduto si evidenzia, come anche relazionato dalla stessa ispettrice, che il Kalipè non aveva dato segnali di aggressività fino a quel momento.
  Anche nelle fasi immediatamente successive all'episodio il detenuto ha assunto un atteggiamento remissivo, mantenendo una condotta tranquilla e collaborativa.
  In merito al personale coinvolto nell'evento, si evidenzia che l'ispettore ha riportato lievi escoriazioni e piccola ecchimosi al collo; mentre l'assistente capo intervenuto nelle fasi di contenimento, ha riportato un trauma contusivo alla mano destra con prognosi di giorni cinque.
  Tutto ciò premesso, deve innanzitutto evidenziarsi, per i fini che nella presente sede rilevano, che gli episodi di aggressione in danno del personale, se rapportati all'incremento della popolazione detenuta, sembrano evidenziare, nel corrente anno, un
trend in diminuzione, come può evincersi dal seguente prospetto:
  

Anno

Aggressioni

Detenuti

  2017

  587
  di cui 47 posti in essere da detenuti sottoposti a monitoraggio

  57.608

  2018 (al 18 giugno)

  288
  di cui 21 posti in essere da detenuti sottoposti a monitoraggio

  58.717

  Oltre a questo dato, va comunque fatto rilevare che lo scorso 12 giugno, il capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, alla luce degli episodi di aggressione in danno del personale, ha diramato apposita lettera circolare con la quale, nell'esprimere vicinanza e solidarietà, ha richiamato l'attenzione dei provveditori regionali, dei direttori penitenziari e dei comandanti di reparto, al rispetto di tutte le prescrizioni già impartite con precedente circolare del 2015, invitando i suddetti a verificare – fornendo rassicurazioni in merito – che siano state adottate tutte le misure precauzionali atte a preservare, innanzitutto, l'incolumità del personale, quali:

   l'istituzione, nell'ambito delle unità operative, di un servizio di controllo che possa intervenire in ausilio del personale in servizio e non solo al momento del bisogno;
   l'istituzione delle sezioni
ex articolo 32 del regolamento di esecuzione;
   la pronta risposta dell'amministrazione sia sul fronte disciplinare, attraverso la tempestiva convocazione del consiglio di disciplina, sia sul versante penale, qualora il fatto (come quello accaduto nell'istituto di Prato) integri gli stremi di reato, mediante comunicazione all'autorità giudiziaria.

  Da ultimo, con specifico riferimento alla dotazione organica dell'istituto penitenziario di Prato, si rappresenta che rispetto ad una previsione organica di 310 unità – quale rideterminata dal P.C.D. del 29 novembre 2018, in attuazione del decreto ministeriale 2 ottobre 2017 – risultano in servizio 269 unità, con un tasso di scopertura che appare sostanzialmente in linea rispetto alla media nazionale.
  La carenza di organico è un dato comune, purtroppo, a tanti altri istituti penitenziari stante la riduzione complessiva degli organici operata dalla legge 7 agosto 2015, n. 124 (cosiddetta legge Madia), e rivista dal decreto legislativo n. 95 del 2017 che ha rimodulato la dotazione organica complessiva del corpo, passata da 44.610 unità a 41.202 unità, dotazione che, allo stato, è rappresentata da sole 36.179 unità, con una carenza complessiva pari al -12,2 per cento.
  Tanto premesso, questo Ministero si riserva di tenere in debita considerazione la situazione dell'istituto di Prato in occasione delle prossime assegnazioni di personale.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   SPERANZA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   Bekaert in Italia si occupa della produzione di rinforzi in acciaio per pneumatici, nonché di vendita e distribuzione degli stessi, di prodotti per l'edilizia e di altro tipo con fili d'acciaio per l'industria italiana. Attualmente, impiega 600 dipendenti nelle tre distinte società site in Figline e Incisa Valdarno, Assemini (Cagliari) e Milano. Il sito di Figline Valdarno, in particolare, è attivo nella produzione e nello sviluppo di prodotti con rinforzi in acciaio, tra cui corde, trafilati per il rinforzo di tubi ad alta pressione e cerchietti, nonché semilavorati da fornire ad altri stabilimenti di rinforzi in acciaio di Bekaert nell'Emea;

   da organi di stampa si apprende che la direzione di Bekaert Group ha annunciato in una nota la decisione di chiudere il sito italiano di Figline e Incisa Valdarno e di cessare tutte le attività ivi svolte. La direzione ha informato la rappresentanza sindacale unitaria del sito di Figline, le organizzazioni sindacali e le autorità competenti in merito a tale decisione. Inoltre, nella nota si legge che, a causa dei suoi costi strutturali notevolmente superiori rispetto a quelli degli altri stabilimenti di rinforzi in acciaio per pneumatici di Bekaert nella regione Emea, il sito non è stato in grado di generare performance sostenibili dal punto di vista finanziario;

   dopo l'annuncio della chiusura vi è stato uno sciopero e un'assemblea permanente nello stabilimento Bekaert di Figline Valdarno;

   sempre da quanto si apprende da organi di stampa questa decisione sarebbe in aperto contrasto con le affermazioni che gli stessi vertici della Bekaert avevano fatto tre mesi fa nell'ultimo incontro al Ministero dello sviluppo economico sulla situazione del sito produttivo di Figline. In quella sede si confermavano il buon andamento dei volumi produttivi, la prosecuzione dei rapporti di committenza con la Pirelli e i progressi di tre progetti innovativi del piano aziendale;

   a maggio 2018 è stata approvata una mozione in consiglio regionale per chiedere alla giunta di attivarsi presso l'azienda per capire le reali intenzioni della proprietà, a seguito della notizia del mancato rinnovo contrattuale per i lavoratori interinali –:

   quali siano gli orientamenti del Governo in merito e quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, in relazione alla situazione in cui versano i lavoratori coinvolti nel licenziamento con conseguenze anche nella perdita di tecnologie e professionalità italiane, al fine di evitare ancora una volta un caso di delocalizzazione;

   se il Governo intenda adottare, per quanto di competenza, iniziative volte a chiarire le scelte compiute da parte dell'azienda.
(4-00544)

  Risposta. — Si risponde all'atto in esame rappresentando quanto segue.
  Il Ministero dello sviluppo economico segue, dal 2016, gli avvenimenti della multinazionale belga Bekaert.
  Quest'ultima, il 23 giugno 2018, ha comunicato la decisione di chiudere i siti di Figline e Incisa Valdarno, dedicati alla produzione di rinforzi in acciaio per pneumatici, e di sospendere le attività lavorative per 318 dipendenti.
  Tale decisione ha destato notevoli perplessità, in quanto, nel corso dell'incontro svoltosi presso il Ministero dello sviluppo economico il 29 marzo 2018, al quale hanno partecipato i rappresentanti delle istituzioni locali, oltre che le organizzazioni sindacali e i rappresentanti della società, quest'ultima aveva illustrato un piano concernente gli obiettivi e l'avanzamento dei progetti in corso relativi proprio al sito di Figline, affermando che la
mission dello stabilimento era quella di divenire leader per l'industrializzazione dei rinforzi d'acciaio per pneumatici.
  In tale sede, inoltre, veniva prospettato l'impegno a discutere con le organizzazioni sindacali percorsi e soluzioni condivise con i lavoratori alla luce di un forte peggioramento dei risultati aziendali.
  In seguito, la società è giunta alla decisione di licenziare tutti i 318 dipendenti dello stabilimento di Figline-Valdarno per delocalizzare in Romania, senza alcun preventivo confronto e senza alcuna spiegazione sulle vere ragioni che hanno indotto la proprietà ad un atto così grave.
  Tale improvvisa decisione è stata oggetto di un nuovo confronto tenutosi al Ministero dello sviluppo economico, il 27 giugno 2018.
  A tale incontro hanno partecipano i rappresentanti delle istituzioni nazionali e territoriali nonché le organizzazioni sindacali, ma non i rappresentanti della Bekaert, che non si sono presentati al tavolo.
  Durante la riunione è stata ribadita sia la gravità della decisione in sé, considerata dannosa per le famiglie coinvolte e per l'economia del territorio, sia quella dei modi in cui la decisione stessa era stata presa, posto che essa era stata adottata senza alcuna forma di contraddittorio.
  Il Ministro della sviluppo economico, di conseguenza, ha chiesto con forza la revoca immediata dei licenziamenti e l'avvio di un confronto serio e concreto, per dare un futuro produttivo allo stabilimento toscano e alla presenza di Bekaert in Italia.
  In data 30 luglio 2018 si è tenuto un ulteriore incontro volto a risolvere le problematiche determinate dalla scelta della Bekaert, al quale hanno partecipato nuovamente i rappresentanti della società e le rappresentanze sindacali. In tale sede si è data lettura del piano inviato dalla società al Ministero dello sviluppo economico.
  Tale piano prevedeva, in sintesi, che la società:

   avrebbe mantenuto il sito toscano attivo nonché avrebbe continuato le attività in esso svolte fino al 31 dicembre 2018;

   avrebbe promosso, con la collaborazione del proprio advisor, progetti di reindustrializzazione presentati da terze parti (purché quest'ultime non fossero concorrenti della Bekaert);

   avrebbe messo a disposizione, in parallelo alle attività di reindustrializzazione, un sistema di incentivazione all'esodo su base volontaria;

   qualora la procedura di licenziamento collettivo già avviata e attualmente in fase consultiva, si fosse conclusa con un accordo, avrebbe prorogato il termine sino al 31 gennaio 2019.

  Le organizzazioni sindacali, invece, chiedevano unitariamente la sospensione della procedura di mobilità.
  I rappresentanti delle Istituzioni presenti, da parte loro, hanno esortato la proprietà ad accogliere la proposta avanzata dai sindacati, evidenziandone sia l'importanza sia il carattere unitario.
  I rappresentanti della società, tuttavia, hanno confermato l'indisponibilità ad accogliere la proposta di sospensione della procedura di mobilità, rendendosi comunque disponibili ad informare il vertice della multinazionale belga.
  In data 21 Settembre 2018 si è tenuto, pertanto, un nuovo incontro tra le parti, durante il quale si è dato atto, tra l'altro, dell'impegno preso dal Ministro dello sviluppo economico, del lavoro e delle politiche sociali, per la reintroduzione della cassa integrazione per cessazione di attività. Opportunità, quest'ultima, eliminata dalle norme del cosiddetto
Jobs Act.
  Il culmine di tali fatti è rappresentato, infine, dall'incontro del 3 ottobre 2018, tenutosi presso la sede del Ministero dello sviluppo economico, durante il quale è stato siglato l'accordo sul piano sociale e sui nuovi ammortizzatori per i lavoratori dello stabilimento di Figline Valdarno della multinazionale belga Bekaert.
  Il succitato accordo è stato reso possibile proprio grazie alla reintroduzione della cassa integrazione per cessazione fortemente voluta dal Ministro Luigi Di Maio.
  Infatti, l'accordo, che vede anche l'impegno dei vari soggetti sul territorio (dalle imprese alle Istituzioni), ha previsto una serie di misure a tutela dei dipendenti e finalizzati alla reindustrializzazione del sito, tra i quali:

   la sospensione della procedura di licenziamento collettivo;

   la cassa integrazione della durata di un anno, a partire dal 1° gennaio 2019 (resa possibile dopo l'introduzione dell'articolo 44 decreto-legge 28 settembre 2018, n. 109);

   incentivi all'esodo che prevedono tre scaglioni di anzianità per ogni fascia.

  In relazione al piano industriale, preme sottolineare che la produzione dell'azienda continuerà fino al 31 dicembre 2018 e che l'attuazione del piano sarà monitorata dal Ministero dello sviluppo economico attraverso incontri con le parti a cadenza mensile.
  Quanto al profilo occupazionale, l'accordo è volto, da un lato a recuperare la crisi incentivando i nuovi soggetti che possono essere interessati a insediarsi in quell'area produttiva, dall'altro, a premiare chi decide di assumere i lavoratori della Bekaert altrove.
  In proposito, si osserva che alle aziende che investiranno nello stabilimento verrà applicata una scontistica in proporzione al numero di dipendenti riassorbiti, mentre le aziende che assumeranno i dipendenti Bekaert avranno incentivi alla riassunzione.
  Tali fatti dimostrano che il Ministero dello sviluppo economico ha posto la massima attenzione sulla vicenda Bekaert e che si è attivamente e concretamente impegnato per trovare una soluzione alle problematiche connesse.
  Invero, la soluzione è stata perseguita, in via generale, attraverso una stretta al fenomeno delle continue delocalizzazioni che affliggono il Paese, con l'introduzione di sanzioni alle imprese che, dopo aver ricevuto contributi pubblici, decidano di delocalizzare (con il decreto-legge 87 del 2018, anche detto decreto dignità, convertito in legge n. 96 del 2018).
  In via specifica, tra le azioni che il Governo è riuscito a portare avanti, al fine di poter fronteggiare nel migliore dei modi possibili le conseguenze negative derivanti dalle innumerevoli situazioni di crisi aziendale, è stato finalmente reintrodotto, in caso di cessazione dell'attività produttiva, l'accesso al trattamento straordinario di integrazione salariale per i lavoratori coinvolti.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Davide Crippa.


   TESTAMENTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   sono ormai, purtroppo, sempre più frequenti le notizie di tragici incidenti sulle strade molisane, dove i livelli di sicurezza risultano essere sempre più bassi a causa delle deformazioni del manto stradale ovvero della scarsa o – addirittura – del tutto assente illuminazione su ampi tratti di strade;

   all'interno di questo quadro non proprio invidiabile, risulta all'interrogante che, da alcune settimane, sulle strade della Valle del Volturno e – più in generale – della provincia di Isernia, molte gallerie siano poco illuminate o totalmente al buio, situazione che mette gravemente a rischio l'incolumità fisica di automobilisti, centauri e ciclisti. Nello specifico si apprende da fonti di stampa (www.newsdellavalle.com, 1° luglio 2018) che il 1° luglio un ciclista è rimasto gravemente ferito dopo l'impatto con un'autovettura avvenuto sulla strada statale 158 «Valle del Volturno», all'interno della galleria che separa i territori di Rocchetta a Volturno e Cerro. Inoltre, sempre il sito giornalistico www.newsdellavalle.com ha dato notizia di un altro incidente avvenuto il 4 luglio sempre sulla strada statale 158, sotto la galleria che divide i territori di Colli a Volturno e Rocchetta a Volturno e che ha visto coinvolti – questa volta per fortuna senza gravi conseguenze – un'autovettura e un motociclista;

   a seguito di questi ultimi gravi sinistri gli automobilisti hanno protestato vivamente contro la decisione di spegnere l'illuminazione all'interno delle gallerie. Si tratta di una misura ancor meno comprensibile se adottata in un momento dell'anno in cui l'affluenza e il traffico sulle strade molisane aumentano con l'arrivo della bella stagione, l'organizzazione di gite fuori porta e vari eventi culturali. Inoltre, bisogna evidenziare che, finora, Anas non ha mai risposto alle richieste di chiarimento inviate dai cittadini circa lo spegnimento dell'illuminazione delle gallerie –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti;

   se non ritenga opportuno approfondire la questione e fare chiarezza sulle motivazioni che hanno indotto Anas alla riduzione dell'illuminazione nelle gallerie sopra citate;

   se e quali iniziative, nei limiti delle proprie competenze, intenda adottare per ripristinare idonei livelli di sicurezza relativamente alla strada statale 158 «Valle del Volturno» e garantire un'adeguata illuminazione delle gallerie ivi presenti.
(4-00933)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si evidenzia quanto segue.
  Occorre premettere che la gestione della strada statale 158, che si sviluppa tra Abruzzo, Molise e Campania, è in parte di competenza della società Anas e in parte della regione Campania. Inoltre, l'intero tratto campano della ex strada statale 158 della Valle del Volturno, dal chilometro 43+600 al chilometro 98+225, a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 febbraio 2000 è stato trasferito da Anas alla regione Campania ai sensi dell'articolo 101, comma 1, del decreto legislativo n. 112 del 1998, nell'ambito delle attività di individuazione e di trasferimento delle strade non comprese nella rete autostradale e stradale nazionale.
  Invece, per quanto di competenza Anas, la società riferisce che nel tratto abruzzese non sono presenti gallerie, mentre nel tratto molisano tutti gli impianti nelle gallerie ricadenti nel territorio della provincia di Isernia risultano funzionanti e in corrispondenza delle stesse, al fine di preavvertire l'utenza stradale, vi è la segnaletica di obbligo e di pericolo prevista dal codice della strada e dal relativo regolamento; in caso di malfunzionamenti, Anas provvede al relativo rinforzo con l'apposizione di ulteriori segnali stradali.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Danilo Toninelli.


   TOCCAFONDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la manutenzione ciclica delle carrozze di Trenitalia destinata al servizio ferroviario sulla media distanza viene effettuata nel polo tecnologico di Osmannoro, frazione del comune di Sesto Fiorentino (Firenze);

   l'officina attualmente occupa 200 ferrovieri e circa 50 addetti di ditte esterne; le carrozze in manutenzione ciclica presso sono circa 2.000; hanno un'età media tra 40 e 50 anni e non sono dotate di sistema antincendio. In base al decreto ministeriale sulla sicurezza nelle gallerie ferroviarie per i veicoli circolanti sulla rete italiana, entro l'8 aprile 2021 le imprese ferroviarie, e quindi anche Trenitalia, dovranno dotare il materiale rotabile per il trasporto passeggeri di impianto antincendio;

   l'inserimento del sistema antincendio in tutte le vecchie carrozze richiede un investimento consistente, pertanto Trenitalia ha ritenuto conveniente l'acquisto di nuovo materiale rotabile, riducendo la flotta impiegata nella media distanza a circa 500 carrozze;

   per garantire un regolare ciclo di manutenzione ogni 4/5 anni, sono sottoposte a manutenzione presso l'officina suddetta circa 500 carrozze l'anno;

   l'impianto è utilizzato anche per la manutenzione dei treni regionali Trenitalia toscani; in questo comparto sono impiegati circa 230 ferrovieri;

   la sostituzione delle carrozze vetuste e i nuovi acquisti di materiale rotabile equipaggiato di impianto antincendio potrebbero determinare una consistente riduzione delle commesse per manutenzione dell'officina stessa;

   per mantenere gli attuali livelli di occupazione sarebbe necessario affidare all'officina delle lavorazioni su altre carrozze o treni di nuova generazione, oltre a quelle sui treni a media percorrenza e sui regionali toscani;

   sia l'accordo sottoscritto il 3 marzo 1999 tra Ministero dei trasporti, Ferrovie dello Stato, regione Toscana, comune e provincia di Firenze, che il protocollo del 2005 tra i medesimi soggetti prevedevano lo sviluppo del polo manutentivo di Osmannoro. In particolare, il trasferimento ad esso delle attività e manutenzione «ciclica» del materiale rotabile dalle officine di Porta a Prato;

   le officine, sia quella adibita alla manutenzione dei treni nazionali che quella per i treni regionali, sono costruite secondo i più aggiornati criteri tecnologici; sono collocate in un contesto ottimale, ad adeguata distanza dai centri urbani, opportunamente collegate alla rete ferroviaria, stradale e non distanti dalla direzione tecnica di Trenitalia di Firenze dedicata all'ingegneria della manutenzione e del materiale rotabile nuovo, con circa 200 addetti fra ingegneri e personale altamente qualificato;

   nella vicina Pistoia, si trova la società Hitachi che ha costruito il treno AV 1000 e altri con tecnologie all'avanguardia che potrebbe collaborare con l'officina di Osmannoro;

   l'officina per la manutenzione ciclica dispone di 5 binari lunghi 350 metri, un reparto per la tornitura delle ruote dei treni di ultima generazione e con modico investimento può essere attrezzata per nuove lavorazioni;

   la manutenzione corrente dei treni della Toscana, attualmente effettuata nei capannoni che possono accogliere 1 o 2 carrozze o locomotive, richiede un investimento aggiuntivo di circa 50 milioni di euro per raddoppiare tali strutture da 70 a 150 metri e oltre di lunghezza. I nuovi convogli richiedono infatti interventi di manutenzione a treno completo –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, per valorizzare gli investimenti effettuati, le competenze, l'esperienza e la professionalità delle maestranze e per salvaguardare l'occupazione, promuovendo l'affidamento al polo di Osmannoro, già dotato di torneria ruote, della manutenzione ciclica dei nuovi treni regionali e dei rotabili che circolano sulla rete nazionale, non solo di Trenitalia, ma anche di altre aziende ferroviarie;

   se e quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere per l'ampliamento dei capannoni di Osmannoro destinati alla manutenzione corrente dei treni «Rock e Pop» della Toscana.
(4-00585)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, occorre premettere che le problematiche connesse al rilancio del polo tecnologico di Firenze Osmannoro non rientrano nell'ambito delle competenze di questo ministero. Tali problematiche sono da ricondurre a valutazioni sostanzialmente commerciali effettuate in piena autonomia dalle imprese ferroviarie interessate e nel rispetto delle prescrizioni tecniche dettate in materia di sicurezza.
  Tuttavia, al fine di fornire una risposta all'interrogazione in esame, sono state chieste dettagliate informazioni al gruppo Ferrovie dello Stato che ha comunicato quanto segue.
  Nell'attuale piano d'impresa Trenitalia conferma il ruolo fondamentale dell'ingegneria relativa al materiale rotabile e delle officine di manutenzione ciclica (Omc), ciò indipendentemente da quelle che possono essere gli assetti organizzativi o le tipologie di prodotti lavorati. La manutenzione è un fattore strategico per l'impresa ferroviaria in quanto fondamentale sia per la sicurezza, sia per migliorare il servizio per i clienti; la sicurezza a sua volta è una priorità per il gruppo Ferrovie dello Stato.
  In particolare, per quanto riguarda il caso specifico delle officine di manutenzione ciclica di Firenze Osmannoro, Ferrovie dello Stato riferisce di essere in una fase che va nella direzione di un forte ricambio del materiale rotabile, con l'ingresso in circolazione di treni regionali. Si tratta dei più importante investimento fatto negli ultimi anni in questo settore e che interessa una cifra complessiva di circa 6 miliardi che porterà a un imponente ricambio della attuale flotta regionale.
  Questa evoluzione del materiale rotabile porterà alla cessazione delle attività di ciclica delle vetture media distanza a partire dal 2020-2021 in poi e queste lavorazioni saranno sostituite da altri mezzi,
in primis le carrozze Vivalto.
  Per quanto riguarda poi la manutenzione ciclica dei treni
Rock e Pop, Trenitalia ha comunicato che sta valutando le officine in cui eseguirla e l'impianto di Osmannoro è ricompreso in questa valutazione.
  Va tuttavia tenuto presente che il problema è di medio-lungo periodo in quanto i nuovi treni entreranno via via in servizio dal 2019-2020 e normalmente le lavorazioni di ciclica si effettuano dopo 5-6 anni dall'entrata in servizio. Ciò vuol dire che si tratta di una questione che verrà affrontata a partire dal 2025 circa.
  Infine, per quanto concerne i livelli occupazionali, Ferrovie dello Stato ha comunicato che non sono previste riduzioni in termini occupazionali presso le officine di manutenzione ciclica di Firenze Osmannoro.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Danilo Toninelli.


   UNGARO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   sono molti i blog e gli articoli in rete che descrivono la situazione – purtroppo poco nota all'opinione pubblica nazionale – degli italiani detenuti all'estero spesso in situazioni «degradanti, in termini di diritti umani, igiene, rapporti con altri detenuti e salute, diritto alla difesa», come conferma anche l'associazione onlus «Prigionieri del Silenzio»;

   secondo il dato più aggiornato sono 3.278 i nostri connazionali detenuti all'estero, lontani da casa e dai familiari, a volte richiusi in carceri dove non vengono rispettati i diritti umani, spesso privati di un equo processo. Uno su 5 ha riportato una condanna, tre su 4 sono ancora in attesa di giudizio: l'80 per cento in Europa, il 14 per cento nelle Americhe, il resto sparsi negli altri continenti;

   non è raro che i nostri connazionali detenuti vengano sottoposti a umiliazioni e a condizioni di vita del tutto incompatibili con un percorso di riabilitazione, come è peraltro sancito dalla Costituzione italiana. Ed è praticamente la regola, soprattutto in certe realtà, che si ritrovino a vivere in strutture lontanissime dai grandi centri, senza cure adeguate: c'è chi aspetta anni per una tac e chi si ammala di epatite, scabbia e altre infezioni, soprattutto senza un'assistenza legale degna di questo nome e spesso in una lingua sconosciuta;

   è giusto pagare per il reato commesso, ma nessuno può privare una persona dei propri diritti o nessuno deve espiare la pena in condizioni inumane –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della questione e se, per affrontarla, non intendano assumere iniziative per istituire, presso i rispettivi dicasteri e per quanto di competenza, uffici di collegamento interministeriali a supporto delle missioni diplomatiche italiane all'estero affinché sia data piena applicazione, a tutela dei connazionali all'estero, alla Convenzione sul trasferimento delle persone condannate, adottata a Strasburgo il 21 marzo 1983 e già ratificata dal nostro Paese.
(4-00730)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta che nell'ambito dell'Unione europea la materia del trasferimento dei detenuti è regolata dalla decisione-quadro 2008/909/GAI del Consiglio in data 27 novembre 2018, attuata dall'Italia col decreto legislativo del 7 settembre 2010 n. 161, entrato in vigore in data 16 ottobre 2010. Tutti gli Stati membri, fatta eccezione per la Bulgaria, hanno attuato la sopra citata decisione-quadro, sulla cui base negli ultimi anni sono state aperte, ai fini dell'esecuzione in Italia di pene detentive applicate da Paesi appartenenti all'Unione europea, complessivamente n. 255 procedure, così temporalmente ripartite: anno 2016 = n. 112; anno 2017 = n. 83; 1° semestre 2018 = n. 60. L'applicazione di detta decisione quadro non ha fatto registrare profili di criticità. Al contrario, si è potuta constatare una celere trasmissione da parte delle autorità giudiziarie europee della documentazione necessaria ai fini del riconoscimento delle sentenze e una altrettanto celere definizione dei relativi procedimenti da parte delle corti di appello territorialmente competenti.
  Quanto ai trasferimenti regolati dalla convenzione sul trasferimento delle persone condannate, firmata a Strasburgo in data 21 marzo 1983, e dal relativo protocollo addizionale, firmato in data 18 dicembre 1997, si segnala che le procedure passive (ossia quelle aperte per il trasferimento in Italia di persone condannate nei Paesi aderenti alla predetta convenzione) attivate nell'ultimo quinquennio sono temporalmente così ripartite: anno 2014 n. 61 fascicoli aperti - n. 41 trasferimenti autorizzati o eseguiti; anno 2015 = n. 29 fascicoli aperti, n. 39 trasferimenti autorizzati o eseguiti; anno 2016 = n. 29 fascicoli aperti, n. 20 trasferimenti autorizzati o eseguiti; anno 2017 = n. 59 fascicoli aperti, n. 20 trasferimenti autorizzati o eseguiti; primo semestre 2018 n. 24 fascicoli aperti, n. 9 trasferimenti autorizzati o eseguiti.
  L'esame dei dati sin qui riportati consente di affermare che la convenzione di Strasburgo si è rivelata uno strumento efficace ai fini del trasferimento in Italia dei connazionali detenuti in Paesi aderenti alla convenzione in discorso.
  Considerazioni analoghe a quelle in precedenza illustrate, possono essere svolte in relazione agli accordi bilaterali sul trasferimento dei detenuti che l'Italia ha firmato con Stati non facenti parte né dell'Unione europea né del Consiglio d'Europa. In tutti questi accordi, difatti, il trasferimento del singolo detenuto richiede necessariamente il suo consenso.
  Più in particolare l'Italia ha concluso accordi bilaterali con i seguenti Paesi: Thailandia – Trattato di cooperazione per l'esecuzione delle sentenze penali, sottoscritto a Bangkok il 28 febbraio 1984, entrato in vigore il 9 febbraio 1990; Perù – Trattato sul trasferimento delle persone condannate e di minori in trattamento speciale, sottoscritto a Roma il 24 novembre 1994, entrato in vigore il 17 agosto 1999; Cuba – Accordo per l'esecuzione delle sentenze penali, sottoscritto a L'Avana il 9 agosto 1998, entrato in vigore il 19 luglio 2000; Egitto – Accordo sul trasferimento delle persone condannate, firmato a Il Cairo il 15 febbraio 2001, entrato in vigore in data 1° luglio 2013; India – Accordo sul trasferimento delle persone condannate, firmato a Roma il 10 agosto 2012, entrato in vigore in data 1° aprile 2013; Repubblica Dominicana – Trattato sul trasferimento delle persone condannate, firmato a Santo Domingo il 14 agosto 2002, entrato in vigore in data 8 settembre 2010; Hong Kong – Accordo sul trasferimento delle persone condannate, firmato a Hong Kong il 18 dicembre 1999, entrato in vigore il 14 dicembre 2002; Kazakhistan – Trattato sul trasferimento delle persone condannate, firmato ad Astana l'8 novembre 2013, entrato in vigore il 26 settembre 2015.
  Sono stati ratificati i seguenti ulteriori accordi bilaterali: Brasile – Trattato sul trasferimento delle persone condannate, firmato a Brasilia il 27 marzo 2008, ratificato dall'Italia con legge 10 febbraio 2015 n. 17; Marocco – Convenzione sul trasferimento delle persone condannate, firmata a Rabat il 10 aprile 2014, ratificata dall'Italia con legge 28 luglio 2016 n. 152.
  In attesa di ratifica, invece, vi sono i seguenti accordi: Nigeria (firmato l'8 novembre 2016); Colombia (firmato il 16 dicembre 2016; Argentina (firmato l'8 maggio 2018).
  Sono stati parafati, infine, accordi con i seguenti Paesi: Kenya; Senegal; Kosovo; Uruguay.
  Negli ultimi anni il Ministero della giustizia ha fortemente intensificato le negoziazioni in materia di cooperazione internazionale in materia penale, con significativa attenzione verso gli accordi bilaterali sul trasferimento delle persone condannate. Vanno in particolare segnalati gli accordi, come sopra raggiunti, con Paesi strategicamente importanti quali Kenya, Nigeria e Colombia, con i quali l'Italia non aveva mai avuto in questa materia relazioni bilaterali. Così come va segnalato che sono in corso negoziazioni con altri Paesi a vario titolo significativi, quali Cina, Filippine, Capo Verde, Vietnam e, soprattutto, Tunisia.
  Gli accordi bilaterali assumono particolare rilevanza in quanto, mentre la cooperazione penale in materia di estradizioni e assistenza giudiziaria può avere luogo anche sulla base della mera cortesia internazionale, l'assenza di accordi sul trasferimento delle persone condannate impedisce qualunque ipotesi di collaborazione, con la paradossale conseguenza che un cittadino italiano detenuto all'estero non può essere trasferito in Italia neppure nel caso in cui vi sia il suo consenso e l'accordo dell'altro Stato interessato.
  La Farnesina segue, attraverso l'azione della propria rete diplomatico-consolare, più di 3.000 casi di cittadini italiani detenuti all'estero, presenti nelle diverse parti del mondo, con una netta prevalenza dell'Europa dove risultano attualmente oltre 2.400 connazionali detenuti.
  Le attività degli uffici diplomatici e consolari all'estero, coordinate dalla Farnesina, consistono nel prestare assistenza ai connazionali detenuti e, all'occorrenza, nel mantenere i contatti con le famiglie, che spesso si trovano in Italia. Tali attività possono riguardare una molteplicità di interventi, differenti a seconda delle esigenze specifiche di ogni singolo caso, anche in ragione dei sistemi normativi in vigore in ogni Paese, ma che in generale si sostanziano in rendere visita al detenuto; fornire nominativi di legali di riferimento; curare i contatti con i familiari; assicurare, ove necessario, assistenza medica al detenuto e fornirgli generi di conforto. Inoltre, qualora ne ricorrano le condizioni, ci si potrà adoperare per facilitare il trasferimento in Italia della persona condannata in via definitiva, che si trovi in un Paese aderente alla convenzione di Strasburgo sul trasferimento dei detenuti del 1983 o in un Paese con cui l'Italia ha in essere un apposito accordo bilaterale. Infine, in particolari casi, ove la legislazione locale lo consenta, l'ufficio diplomatico-consolare potrà sostenere le domande di grazia in favore dei connazionali.
  Le rappresentanze diplomatico-consolari svolgono sempre più spesso un'azione di impulso e di supporto presso le autorità locali delle richieste avanzate dai legali dei connazionali detenuti. Si tratta di interventi volti a ottenere informazioni sulla vicenda giudiziaria o a tutela dei diritti del detenuto, sostenendo – ad esempio – una domanda di trasferimento presso un'altra struttura carceraria o un altro padiglione per migliorare le condizioni detentive. Per contro, in nessun caso l'ambasciata o il consolato possono intervenire in giudizio per conto del connazionale e sono tenute al pieno rispetto dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura dello Stato accreditatario. Non è neppure possibile farsi carico delle spese legali di un intero procedimento penale che vede coinvolto un connazionale, ad eccezione dei casi di particolare gravità e comunque dopo aver accertato, sia l'impossibilità a provvedere in tal senso da parte dei congiunti, sia la mancanza in loco di eventuali forme di patrocinio gratuito. L'assistenza economica a titolo di partecipazione alle spese legali in favore di un cittadino italiano in stato di fermo o detenzione riveste, quindi, carattere eccezionale, sulla base della normativa consolare vigente.
  La Farnesina, a sua volta, mantiene i contatti con il Ministero della giustizia italiano. La collaborazione attiva con tale dicastero è infatti indispensabile per agevolare lo scambio di informazioni in tutti i casi di rimpatrio di connazionali condannati all'estero. Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale è quindi a disposizione per valutare ogni possibile iniziativa che possa consentire un rafforzamento dell'attività di sostegno alla rete diplomatico-consolare con particolare riferimento alla questione dei cittadini italiani detenuti all'estero, inclusa la proposta di istituire ufficiali di collegamento interministeriali (presso i Ministeri degli affari esteri e della giustizia) nelle forme e nei tempi più opportuni.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ricardo Antonio Merlo.


   VIETINA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la legge 27 dicembre 2017, n. 205 (legge di bilancio 2018), ha previsto l'allargamento della platea dei comuni beneficiari dell'ampliamento delle facoltà assunzionali fino al 100 per cento della spesa dei cessati dell'anno precedente. In particolare, l'estensione riguarda i Comuni fino a 5 mila abitanti e la facoltà assunzionale al 100 per cento (turn over pieno) si applica nel caso in cui le spese di personale dell'anno precedente siano inferiori al 24 per cento della media delle entrate correnti dell'ultimo triennio (articolo 863 della legge di bilancio 2018). Nel caso in cui la media sia superiore al 24 per cento le facoltà assunzionali rischiano di essere notevolmente ridotte;

   per quanto attiene alla polizia locale, la legge di bilancio 2018 prevede che le assunzioni possano essere, per il 2018, del 100 per cento rispetto alle cessazioni dell'anno precedente, mentre, per i comuni al di sotto dei 1.000 abitanti, il turn over viene calcolato per «teste» prevedendo l'assunzione nel limite dei cessati dell'anno precedente;

   è stato previsto, inoltre, che gli enti possano utilizzare le capacità assunzionali non totalmente utilizzate del triennio precedente secondo il criterio dei resti;

   con il decreto-legge n. 50 del 2017 è stato infine precisato che i comuni possano cedere all'Unione di cui fanno parte la propria capacità assunzionale. Le Unioni, invece, hanno facoltà di procedere autonomamente alle assunzioni nel limite del 100 per cento dei cessati dell'anno precedente;

   nonostante l'apertura e il segnale dato in riferimento alle capacità assunzionali per i piccoli comuni, resta grande la criticità, a parere dell'interrogante, rispetto alla percentuale del 24 per cento sopra citata che non consente ancora una piena autonomia decisionale per piccoli comuni che hanno già una dotazione organica particolarmente ridotta e frutto delle limitazioni imposte negli anni precedenti;

   la ratio delle norme qui citate, infatti, sembra essere prettamente ed esclusivamente numerica e non legata al servizio (eccezion fatta per la polizia locale) suscettibile di venir meno a seguito del pensionamento. Tra l'altro, non si tiene conto, in alcun modo, del fatto che il pensionamento potrebbe avvenire nei primi mesi dell'anno con conseguente impossibilità per il comune di assumere fino all'anno successivo –:

   quali iniziative di competenza si intendano assumere per potenziare e ampliare la capacità assunzionale dei piccoli comuni fino a 5000 abitanti e per collegare le assunzioni ai servizi erogati, svincolandole da criteri prettamente numerici.
(4-00799)

  Risposta. — L'interrogazione fa riferimento all'ampliamento delle facoltà assunzionali dei comuni previsto dal comma 863 dell'articolo 1 della legge di stabilità, n. 205 del 2017.
  Tale ampliamento è riferito agli enti con popolazione compresa tra 1.000 e 5.000 abitanti che presentino una spesa, precedente a quella dell'assunzione, del 24 per cento della media delle entrate correnti registrate nei conti consuntivi dell'ultimo triennio, fermo restando che per i comuni con popolazioni fino a 1.000 abitanti le facoltà assunzionali sono pari al 100 per cento dei cessati dell'anno precedente.
  Per i comuni che invece presentino un valore maggiore del citato 24 per cento le possibilità di assunzioni restano quelle ordinariamente previste dall'articolo 1, comma 228 della legge n. 208 del 2015 (modificato dall'articolo 22 del decreto legislativo n. 50 del 2017) che, per l'anno 2018, sono pari al 75 per cento della spesa delle cessazioni verificatesi nell'esercizio precedente, purché il rapporto dipendenti-popolazione di tale esercizio sia più favorevole rispetto a quello definito triennalmente dal decreto del Ministro dell'interno previsto dall'articolo 263, comma 2, del TUEL, provvedimento questo emanato, per il triennio 2017-2019, in data 10 aprile 2017, previo parere della conferenza Stato-Città.
  In tale quadro normativo, dunque, si ritiene che l'eventuale ulteriore ampliamento delle capacità assunzionali dei Comuni di minori dimensioni, anche in relazione all'erogazione dei servizi forniti dagli enti, vada rimesso all'emanazione di un apposito provvedimento legislativo che è attualmente in fase di studio e che non può prescindere dal dover tenere in debito conto le possibilità economiche del nostro Paese e quindi anche del coinvolgimento di altri Ministeri.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo Sibilia.


   VIVIANI, FORMENTINI e ZOFFILI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   due pescherecci di Mazara del Vallo sono stati abbordati il 9 ottobre 2018 da una vedetta e scortati al porto Ras Al Hilal, dove sono giunti in nottata: da notizie avute dal distretto della pesca, gli equipaggi stanno bene e non risultano agli arresti;

   si tratta del «Matteo Mazzarino», della società armatoriale M.C.V. Pesca dell'armatore Vincenzo Asaro, con a bordo sette uomini di equipaggio al comando del capitano Alberto Figuccia, e del motopesca Afrodite Pesca, della Afrodite Pesca srl dei fratelli Pellegrino (140 tonnellate di stazza lorda, con 6 uomini di equipaggio a bordo al comando del capitano Vincenzo Pellegrino);

   l'unità di crisi del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale sta monitorando la situazione, in costante contatto con l'ambasciata –:

   come intenda procedere il Ministro interrogato al fine di riportare in acque territoriali italiane i pescherecci trattenuti in Libia.
(4-01440)

  Risposta. — Nella notte del 9 ottobre 2018 unità militari libiche, dipendenti da milizie locali, hanno sequestrato due pescherecci italiani di Mazara del Vallo, il Matteo Mazzarino e l'Afrodite pesca, quest'ultimo catturato dopo l'esplosione di alcuni colpi di arma da fuoco. I due pescherecci incrociavano in attività di pesca circa 25 miglia a nord-est di Derna (nell'est del Paese), all'interno della zona di pesca protetta libica che si estende per 62 miglia oltre il limite esterno delle acque territoriali. Entrambi sono, stati condotti nel porto di Ras Al Hilal, 50 chilometri a ovest di Derna.
  Su indicazione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Moavero Milanesi, l'ambasciata d'Italia a Tripoli è stata tempestivamente coinvolta nella vicenda e ha immediatamente preso contatto con le Autorità interessate, operando per ottenere il rilascio rapido degli equipaggi e dei pescherecci, avvenuto intorno alle ore 23:00 dell'11 ottobre dopo il pagamento di una sanzione, amministrativa e il sequestro del pescato. Nonostante l'iniziale uso della forza, anche a seguito dell'intervento della nostra Ambasciata, gli equipaggi sono stati trattati correttamente, secondo quanto appreso degli armatori che hanno mantenuto contatti continui con i due comandanti, con l'Ambasciata a Tripoli e con l'unità di crisi della Farnesina (che è stata in contatto anche con i familiari dei marittimi coinvolti).
  Allo scopo di gestire eventuali criticità, una unità della nostra marina militare, che si trovava al momento del sequestro a oltre 350 miglia di distanza, si è diretta rapidamente al largo di Derna a eventuale supporto di una soluzione della vicenda.
  Cruciale per la positiva soluzione del sequestro è stato anche l'intervento svolto direttamente sul Generale Haftar dalla Viceministra Del Re, in quelle ore in visita a Bengasi nel quadro delle attività di preparazione della conferenza di Palermo sulla Libia del 12-13 novembre 2018.
  Come ha sottolineato il Ministro Moavero Milanesi, tale positivo risultato è stato possibile grazie ad un'importante azione diplomatica, portata avanti con grande efficacia e doveroso riserbo ed agevolata dai nostri intensi rapporti con le autorità della Libia e dalla determinazione italiana a favorire la stabilizzazione di un Paese a noi così vicino.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ricardo Antonio Merlo.