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XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 30 luglio 2018

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,

   premesso che:

    con il termine maternità surrogata, o utero in affitto, oppure gestazione per altri (Gpa), si intende quella pratica basata sulla disponibilità del corpo di una donna, per realizzare un progetto di genitorialità altrui, per cui si intraprende una gravidanza con l'intento di affidare il nascituro a terzi all'atto della nascita;

    ancora oggi sono molti i Paesi del mondo in cui non vige un divieto generalizzato di tale pratica. A voler riportare la situazione a livello europeo, si rileva che in molti Stati del nostro continente la pratica è legale. Nello specifico, è opportuno distinguere i Paesi in cui la maternità surrogata altruistica e commerciale è legale (Russia, Ucraina, Cipro, Bielorussia), Paesi in cui la maternità surrogata altruistica è legale, ma quella commerciale è vietata (Belgio, Grecia, Regno Unito, Paesi Bassi, Danimarca, Ungheria, Lettonia, Irlanda, Portogallo), Paesi in cui qualsiasi forma di maternità surrogata è vietata per legge (Italia, Bulgaria, Germania, Francia, Malta, Svizzera, Norvegia, Svezia, Islanda, Estonia, Moldova, Turchia) e Paesi in cui non c'è un divieto esplicito della pratica (Austria, Finlandia);

    ogni Stato ha, comunque, sul punto liberamente legiferato dettando discipline diverse: in Austria e Germania vi è un esplicito divieto, in Norvegia non vi è una disciplina specifica, ma il divieto si cela dietro la prevista illiceità della cessione di ovociti alla donna che presta il proprio utero; in Svizzera è espressamente vietata ogni tipologia di donazioni di embrioni e di maternità sostitutiva, per tutelare la dignità della madre surrogata e del nascituro; la Francia, pur ammettendo la donazione di ovociti, esclude l'affitto dell'utero, prevedendo anche una sanzione penale a carico sia della madre surrogata, sia dei genitori committenti; in Spagna, infine, è l'articolo 10.1 della legge n. 14 del 2 maggio 2006 sulle tecniche di riproduzione umana assistita che vieta la surrogazione di maternità, in particolare stabilendo che sarà nullo il contratto con il quale si convenga la gestazione, con o senza pagamento, a carico di una donna che rinuncia alla filiazione materna a beneficio del contraente o di un terzo; in Inghilterra, invece, a seguito del «Report of the Committee of Inquiry into Human Fertilization and Embryology», il 16 luglio 1985 venne redatta la prima legge organica in materia di surrogazione, ove si riconosce l'utilità di tale strumento al fine di risolvere il problema della sterilità ed infertilità umana;

    l'Ucraina, una delle nazioni più povere d'Europa, è diventata in poco tempo il luogo dove sempre più coppie italiane ed europee si recano per una maternità surrogata. Secondo i dati riportati dalla Bbc News a febbraio 2018, si stima che nel Paese avvengano circa 500 maternità surrogate ogni anno. Le coppie straniere sono arrivate in massa in questo angolo d'Europa a partire dal 2015, quando in Asia i centri tradizionalmente più noti per ricorrere alla maternità surrogata hanno iniziato a chiudere uno dopo l'altro, a seguito di molti scandali per sfruttamento delle donne. Sia l'India che la Thailandia, dove la pratica è stata per lungo tempo legale, hanno introdotto di recente norme restrittive che non consentono più il cosiddetto «turismo della surrogazione» per le coppie provenienti dall'estero. Eliminati India, Nepal e Thailandia, le persone si sono rivolti all'Ucraina, uno dei pochi luoghi rimasti dove la maternità surrogata può ancora essere praticata a un costo decisamente inferiore rispetto a quanto avviene negli Stati Uniti;

    le leggi ucraine riconoscono i «genitori intenzionati» come genitori biologici già dal momento del concepimento e non pongono limiti al prezzo dell'operazione, creando di fatto un libero mercato dove sono le donne che affittano l'utero a stabilire il prezzo. La facilità con cui si può diventare madri surrogate e i vantaggi economici hanno attratto nel tempo un gran numero di donne che hanno deciso di rendersi disponibili per questa pratica in cambio di una maggiore indipendenza economica, nonostante vi siano situazioni di cattivi screening sanitari e centri che accettano un numero troppo alto di clienti per poter poi offrire un adeguato livello di assistenza;

    allo stesso tempo, in Europa vi sono alcuni Paesi che hanno compiuto passi in avanti importanti, tra cui la Svezia, inizialmente propenso a legalizzare la pratica di maternità surrogata ancorché altruistica e che, in seguito a un'inchiesta governativa sul fenomeno e sotto la spinta di numerose associazioni per i diritti umani e del movimento delle donne, ha preso di recente una posizione ferma contro la maternità surrogata, sancendo il divieto per tutti i tipi di maternità surrogata, quella commerciale, compresa quella «altruistica», prevedendo stringenti misure per impedire e punire i cittadini che vanno all'estero per accedere a queste tecniche;

    se la situazione europea ancora oggi presenta numerose disomogeneità, altrettanto variegata e complessa sembra essere la situazione nel resto del mondo, dove la maternità surrogata è ammessa e praticata in Paesi estremamente diversi per cultura e ricchezza – si pensi al Sud Africa, all'Uganda, al Venezuela, all'India e al Nepal rispetto agli Stati Uniti (New York, New Jersey, New Mexico, Nebraska, Virginia, Oregon, Washington) e al Canada (eccetto Québec dove è vietata in qualsiasi forma);

    in Canada e negli Stati Uniti, per esempio, la materia è regolamentata in modo dettagliato; in particolare negli Stati Uniti la questione è affrontata soprattutto da un punto di vista commerciale e creando dei distinguo tra «gestazione altruistica» e «gestazione lucrativa»;

    così, se nel caso canadese è permesso solo il primo tipo, in alcuni stati degli Usa in cui tale pratica è ammessa, si può ricorrere ad entrambe le formule; la pratica della maternità surrogata non è solo una tecnica riproduttiva, ma tocca molti diritti umani e temi etici;

    secondo il principio dell'indisponibilità del corpo umano, l'acquisto, la vendita o l'affitto dello stesso sono fondamentalmente contrari al rispetto della sua dignità. La mercificazione del bambino e la strumentalizzazione del corpo della donna sono anch'essi contrari alla dignità umana. Tuttavia, alcune donne acconsentono ad impegnarsi in un contratto che aliena la loro salute e la loro dignità, a vantaggio dell'industria e dei mercati della riproduzione, sotto la spinta di molteplici pressioni, spesso di natura esclusivamente economica. E, in particolare in quei Paesi dove vige una regolamentazione molto dettagliata, si è sviluppato un fiorente «mercato della riproduzione» che vanta un fatturato annuo di svariati miliardi di dollari;

    la pratica della maternità surrogata viene realizzata da imprese che si occupano di riproduzione umana, in un sistema fortemente organizzato che comprende cliniche, medici, avvocati, e agenzie di intermediazione. Questo sistema ha bisogno di donne come mezzi di produzione in modo che la gravidanza e il parto diventino delle procedure funzionali, dotate di un valore d'uso e di un valore di scambio, e si iscrivano nella cornice della globalizzazione dei mercati che hanno per oggetto il corpo umano;

    la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 ha affermato il principio della difesa della dignità umana come obiettivo primario da perseguire, oltre che nel perimetro di sovranità dei singoli Stati, anche nello spazio delle relazioni internazionali, con ciò escludendo la legittimità di ogni pratica mercantile di scambio che abbia ad oggetto gli esseri umani;

    la Convenzione sui diritti dell'infanzia approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 (ratificata dall'Italia con legge del 27 maggio 1991, n. 176) impegna gli Stati ad adottare tutti i provvedimenti legislativi e amministrativi necessari per attuare i diritti riconosciuti dalla stessa Convenzione e, in particolare, il diritto dei bambini a non essere privati degli elementi costitutivi della loro identità (articolo 8) e il diritto ad essere protetti contro ogni forma di sfruttamento economico (articolo 32);

    la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea sancisce, all'articolo 3, il «divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro»; la Convenzione di Oviedo, sottoscritta il 4 aprile 1997 sui diritti dell'uomo e la biomedicina all'articolo 21 stabilisce che «Il corpo umano e le sue parti non debbono essere, in quanto tali, fonte di profitto»;

    la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (Cedaw), adottata nel 1979 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite ed entrata in vigore nel 1981, è stato il primo strumento legale internazionale atto a garantire il rispetto dei diritti umani delle donne ed eliminare «la discriminazione in tutte le sue forme e manifestazioni»;

    la Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica – cosiddetta Convenzione di Istanbul – adottata dal Consiglio d'Europa l'11 maggio 2011 ed entrata in vigore il 1° agosto 2014, siglata dal Consiglio d'Europa e dall'Unione europea (firmata il 13 giugno 2017) e ratificata da 27 Stati è uno strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza e di discriminazione, comprendendo in tale nozione tutte le forme di coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che nella vita privata e familiare;

    la risoluzione del Parlamento europeo sulla definizione di un nuovo quadro politico dell'Unione europea in materia di lotta alla violenza contro le donne del 5 aprile 2011 (2010/2209(INI)), impegna gli Stati membri a «riconoscere il grave problema della surrogazione di maternità, che costituisce uno sfruttamento del corpo e degli organi riproduttivi femminili»;

    il 17 dicembre 2015, il Parlamento europeo ha discusso e approvato la risoluzione per la relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo nel 2014 e sulla politica dell'Unione europea in materia; al paragrafo 115 della risoluzione approvata, il Parlamento europeo condanna la pratica della surrogazione, che compromette la dignità umana della donna dal momento che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usati come una merce;

    dopo che il Parlamento europeo ha condannato la pratica della maternità surrogata, anche il Consiglio d'Europa (l'organismo di Strasburgo preposto alla tutela dei diritti dell'uomo nei 47 Paesi che ne fanno parte) l'11 ottobre 2016 ha bocciato il rapporto «Human rights and ethical issues related to surrogacy» o più comunemente chiamato «Rapporto de Sutter» che intendeva aprire il varco alla legalizzazione della maternità surrogata nei Paesi membri. Dopo due anni di serrate battaglie, sette mesi di confronto in commissione affari sociali e sanità e sviluppo sostenibile, e ben cinque votazioni, tutte negative, tale rapporto è stato respinto impedendo che avvenisse una legittimazione a livello sovranazionale di una pratica che, utilizzando il corpo delle donne violandone i diritti, risulta gravemente lesiva della dignità umana;

    tuttavia, nel diritto internazionale ed europeo non è prevista alcuna disposizione giuridica che vieti in maniera universale la maternità surrogata; le tipologie di maternità surrogata riconosciute variano da Paese a Paese, i legislatori europei hanno competenze limitate in materia di diritto di famiglia e non esistono regolamenti internazionali o standard minimi che gli Stati sono tenuti a rispettare;

    diversamente, in Italia la legge n. 40 del 2004 prevede espressamente il divieto di pratiche riconducibili al cosiddetto utero in affitto. Recita, infatti, l'articolo 12, comma 6, della citata legge: «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro»;

    tale disposizione va letta in combinato con il comma 8 della medesima legge ai sensi del quale «non sono punibili l'uomo e la donna cui sono applicate le tecniche di fecondazione assistita»: la legge italiana intende, dunque, impedire qualsiasi attività di lucro sulla capacità di una donna di dare la vita, e intorno all'essere che nasce;

    il divieto di realizzazione, organizzazione e pubblicizzazione di pratiche di maternità surrogata sancito dall'articolo 12, comma 6, della legge n. 40 trova una copertura nei princìpi sanciti dagli articoli 1 e 3 della Carta di Nizza-Strasburgo e dall'articolo 21 della Convenzione di Oviedo, relativi all'inviolabilità della dignità umana e all'inammissibilità di ogni forma di mercificazione del corpo umano o di sue singole parti, oltre a trovare fondamento nell'articolo 31 della Costituzione; tuttavia, rimane un punto controverso sul versante applicativo quello relativo alla violazione dell'articolo 12 della legge anche se commesso all'estero;

    sul tema la giurisprudenza italiana ed europea sembrano convergere verso il medesimo obiettivo: tutelare il nascituro. Infatti, la Corte costituzionale con la sentenza n. 272 del 2017 ha chiarito che la surrogazione di maternità «offende in modo intollerabile la dignità delle donne e mina nel profondo le relazioni umane» e riconosce che «nel silenzio della legge» non è possibile disciplinare univocamente la filiazione che da essa discende, ricordando poi come il nostro ordinamento le attribuisca un «elevato grado di disvalore»;

    per i giudici della Consulta per attribuire la filiazione di un bambino nato da un utero in affitto bisogna innanzitutto considerare la profonda contrarietà della pratica nel nostro corpus giuridico rilevando, altresì, che «l'esigenza di verità» nella filiazione non può imporsi «in modo automatico sull'interesse del minore» ma serve «una valutazione comparativa»;

    bisogna dunque escludere che «l'accertamento della verità biologica e genetica dell'individuo costituisca un valore di rilevanza costituzionale assoluta», ma allo stesso tempo bisogna «riconoscere un accentuato favore dell'ordinamento per la conformità dello status alla realtà della procreazione»: tra queste due dimensioni bisogna operare un «bilanciamento», consapevoli che il punto di equilibrio deve coincidere con «l'interesse del minore»;

    la Corte ha precisato che per il riconoscimento del figlio bisogna tenere in considerazione alcune variabili «oltre alla durata del rapporto con il minore, e quindi, alla condizione identitaria già acquisita, oggi assumono particolare rilevanza le modalità del concepimento e della gestazione» e la possibilità per il genitore sociale di stabilire, mediante l'adozione in casi particolari, un legame giuridico che garantisca al minore un'adeguata tutela;

    a livello europeo un passo importante è stato raggiunto attraverso la sentenza della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo – CEDU (24 giugno 2017) che si è pronunciata, in via definitiva, sul ricorso promosso dallo Stato italiano a seguito di un giudizio, originariamente avviato da due coniugi, in merito a decisioni adottate da organi giurisdizionali italiani sul tema della maternità surrogata;

    la questione sottoposta all'attenzione della Corte riguardava il mancato riconoscimento, da parte delle autorità italiane, della trascrizione dell'atto di nascita relativo alla paternità di un bambino a due coniugi, la signora Paradiso e il signor Campanelli che avevano fatto ricorso alla maternità surrogata. In questa occasione, la Corte ha rilevato che, così come dimostrato dalle autorità italiane, nel caso in questione vi era un'assenza di qualsiasi legame biologico tra il bambino e i ricorrenti ravvisando la necessità che per sussistere giuridicamente una relazione genitore-figlio vi debba essere, alla base, un legame biologico o un'adozione legale;

    le conseguenze sociali, economiche e giuridiche che derivano dal ricorso di sempre più coppie alla surrogata sono molteplici e di difficile gestione, anche in Italia, dove la pratica è formalmente vietata;

    è necessario attivarsi in tutte le sedi opportune per riconoscere e tutelare in maniera omogenea negli ordinamenti nazionali e internazionali i diritti delle donne e dei bambini oggetto di sfruttamento e di mercificazione, e porre fine a questa moderna forma di schiavitù,

impegna il Governo:

1) a richiedere, nelle opportune forme e sedi internazionali, il rispetto, da parte dei Paesi firmatari, delle convenzioni internazionali per la protezione dei diritti umani e del bambino nonché ad attivarsi per sanzionare ogni forma di costrizione alla procreazione, in attuazione dei principi della Convenzione di Istanbul;

2) ad assumere, nelle sedi competenti sia a livello europeo che internazionale, ogni iniziativa atta a favorire la messa al bando universale di tutte le forme di legalizzazione della maternità surrogata, valutando l'opportunità di promuovere l'adozione di un protocollo aggiuntivo alla Cedaw (Carta contro lo sfruttamento e la schiavitù delle donne) che condanni in modo univoco la pratica della maternità surrogata, unitamente alla necessità di pervenire a un'apposita convenzione internazionale, al fine di sancire definitivamente i principi di indisponibilità del corpo umano e della protezione della vite e dell'infanzia;

3) ad assumere ogni iniziativa utile, in ambito nazionale, allo scopo di vigilare circa la piena attuazione della normativa vigente in materia, con particolare riguardo al comma 6 dell'articolo 12 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, limitatamente alle ipotesi di surrogazione di maternità commesse all'estero da cittadini italiani, con particolare attenzione alla provenienza in alcuni Paesi che fanno di tale pratica un lucroso business.
(1-00028) «Carfagna, Occhiuto».


   La Camera,

   premesso che:

    secondo l'Istat, nel 2017 le persone in povertà assoluta erano oltre 5 milioni (l'8,4 per cento della popolazione, in crescita rispetto al 7,9 per cento del 2016 e al 7,6 del 2015), mentre quelle in povertà relativa erano quasi 9,4 milioni (il 15,6 per cento della popolazione, contro il 14 per cento dell'anno precedente e il 13,7 per cento della popolazione del 2015);

    ai fenomeni «classici» di povertà, associati a condizioni di disagio sociale e di disoccupazione, si sono aggiunti nuovi fenomeni determinati dalla crescita di lavoratori autonomi, intermittenti e sottoccupati, soprattutto giovani, che operano nella sharing economy e che spesso ricevono retribuzioni al di sotto della soglia di povertà;

    la quarta rivoluzione industriale metterà sempre più a rischio percentuali elevate di professioni a basso contenuto tecnologico non più richieste dal mercato del lavoro, determinando fenomeni di disoccupazione di lunghissima durata che non potranno essere ammortizzati dai tradizionali sostegni al reddito delle persone che hanno perso involontariamente il lavoro, che hanno normalmente una durata non superiore a due anni;

    con il reddito d'inclusione (Rei) è attualmente possibile raggiungere solo 900 mila persone in condizioni di povertà assoluta su un totale di oltre 5 milioni;

    il «reddito di cittadinanza» e la «pensione di cittadinanza», previsti nel «contratto per il governo del cambiamento» sottoscritto dall'attuale maggioranza, determinerebbero un costo aggiuntivo annuo superiore a 20 miliardi (oltre 40 secondo l'Inps), insostenibile per le finanze pubbliche e per i vincoli di bilancio, anche comunitari, aggravati dal debito;

    l'insostenibilità della spesa aggiuntiva per i due redditi di cittadinanza è stata confermata dal Ministro dell'economia e delle finanze, Giovanni Tria, che in audizione nella Commissione Finanze del Senato ha affermato che il costo della misura non può essere considerato addizionale ma in parte sostitutivo di altre misure. Il Ministro ha aggiunto che si deve quindi parlare di «costo differenziale» che dipenderà dal disegno specifico della norma che introdurrà il reddito di cittadinanza, che dovrà sostituire e trasformare strumenti di protezione sociale già esistenti;

    appare sempre più evidente, al netto della propaganda elettorale, che una misura capace di eliminare sostanzialmente la povertà assoluta attraverso l'introduzione di una misura universale e strutturale di reddito minimo d'inserimento rivolta a tutte le famiglie, anche se costituite da persone ritirate dal lavoro, è sostenibile solo attraverso una riforma complessiva di numerose misure di welfare che preveda l'eliminazione o la rimodulazione di alcune prestazioni esistenti e la loro sostituzione con nuove prestazioni fondate su princìpi di maggiore equità sociale, di corrispondenza ai bisogni reali e di migliore utilizzo delle risorse esistenti;

    la proposta di legge n. 671, contenente disposizioni per il contrasto della povertà e per la riforma delle prestazioni sociali, presentata il 29 maggio 2018, potrebbe essere la strada di avvio per un percorso di riforma per l'abolizione della povertà assoluta attraverso la sostituzione o l'eliminazione di prestazioni esistenti: di conseguenza, si autofinanzia sostanzialmente con le risorse esistenti, redistribuendole a favore delle fasce più povere e riducendo quelle rivolte alle fasce più abbienti;

    qualsiasi misura di sostegno al reddito per l'eliminazione della povertà assoluta è destinata a fallire, a costare oltre ogni ragionevole stima e a incentivare comportamenti di azzardo morale da parte dei beneficiari idonei al lavoro e non occupati, in assenza di un sistema di servizi per l'impiego pubblici e privati efficace, efficiente e con il personale adeguato, che sappia realizzare il progetto d'inclusione personalizzato, predisposto dall'ambito territoriale sociale, finalizzato al superamento della condizione di povertà, al reinserimento lavorativo e all'inclusione sociale del nucleo familiare beneficiario. In assenza di queste condizioni strutturali e pregiudiziali, la previsione di sanzioni, come la revoca del beneficio per il mancato rispetto degli obblighi previsti dal progetto d'inclusione personalizzato, è puramente teorica e non realizzabile. Ogni riforma unitaria dei servizi per l'impiego che determini livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi uniformi nel territorio, al fine di attuare il reddito minimo d'inserimento e più in generale un efficace ricollocamento dei disoccupati attraverso politiche attive, è resa impraticabile dalla competenza concorrente in questa materia tra Stato e Regioni, determinata dal titolo V della Costituzione,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per l'eliminazione della povertà assoluta attraverso l'istituzione di un reddito minimo d'inserimento universale pari alla differenza tra il valore della soglia di povertà assoluta relativo al nucleo familiare beneficiario e quello dell'indicatore della situazione reddituale ai fini Isee dello stesso nucleo familiare, non sostitutivo degli attuali sostegni al reddito delle persone che hanno perso involontariamente il lavoro, procedendo contemporaneamente a una completa revisione di altre prestazioni di welfare e prevedendo in particolare l'eliminazione di attuali misure che siano da ritenersi assorbite nel reddito minimo;

2) ad assumere le iniziative di competenza, con il coinvolgimento di tutte le forze parlamentari, per promuovere una riforma costituzionale limitata esclusivamente al titolo V della parte II della Costituzione, al fine di restituire allo Stato le competenze esclusive in materia di servizi per il lavoro, ferme restando le competenze attribuite alle regioni a statuto speciale e alle province autonome.
(1-00029) «Magi, Schullian, Fusacchia, Tabacci».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VIII e IX,

   premesso che:

    a differenza di altri macro-settori, dal 1990 a oggi quello dei trasporti ha aumentato le proprie emissioni climalteranti (CO2), del 23 per cento in Europa (EU28) e del 9 per cento in Italia. Il settore dei trasporti è divenuti la prima causa di emissioni di CO2 equivalenti con il 27 per cento del totale (2016), superando le emissioni generate dalla produzione di elettricità e dall'industria. In Italia la quota di emissioni generate dai trasporti è in linea con la media europea;

   le ragioni della mancata diminuzione delle emissioni del sistema dei trasporti in Italia sono distribuite, secondo il parere tutti gli esperti, tra un incremento della mobilità di merci e passeggeri (+ 34 veicoli per chilometro delle percorrenze su strada delle merci e + 17 per cento dei passeggeri) e una troppo contenuta diminuzione delle emissioni specifiche (CO2 a Km) a causa di un miglioramento delle tecnologie inferiore alle attese, soprattutto nell'uso reale;

   tra il 2000 e il 2015, a livello globale, il consumo di energia del settore trasporti è cresciuto del 35 per cento; oggi corrisponde a quasi un quarto dei consumi energetici del pianeta. Il livello di motorizzazione nell'Europa dell'Est, in Cina, Russia e America del Sud è in costante crescita;

   il fermento industriale attorno alla mobilità elettrica e alle batterie, il clima di crescente preoccupazione riguardo alla qualità dell'aria nei centri urbani, l'avvio di una discussione politica – in alcuni Paesi dell'Unione europea e in Cina e India – sulla messa al bando dei motori a combustione interna, segnalano che si potrebbe essere sul limitare di un profondo cambiamento;

   elettrificazione della mobilità privata, sistemi di sharing mobility sempre più articolati e semplici da usare, mobilità collettiva in sede protetta con tempi affidabili e aggiornamenti sugli smartphone, strade e piazze libere dalle auto e quindi sicure per gli spostamenti a piedi e in bicicletta ma anche per ripiantare alberi e creare spazi per una diversa vivibilità urbana: questi sono alcuni dei punti fondamentali per cambiare la città e la vita dei cittadini;

   gli italiani sono divisi sui provvedimenti da attuare per limitare il problema dell'inquinamento: il 46 per cento è preoccupato al punto di chiedere maggiori limitazioni alla vendita e alla circolazione di mezzi inquinanti, il 48 per cento considera invece inutili ulteriori limitazioni. Il 17 per cento degli italiani dichiara agli intervistatori di conoscere e di aver tenuto in considerazione anche le posizioni in tema ambientale espresse dal proprio partito per scelta di voto;

   si stanno introducendo divieti di circolazione sempre più severi per i veicoli a combustione nei centri città (Firenze da 2020, Roma dal 2024) e poi in tutte le aree urbane inquinate (Milano dal 2025 tutta gasolio free e dal 2030 tutto il trasporto pubblico sarà elettrico). A tal proposito è interessante notare che il 2030 è la data dichiarata anche in alcuni programmi elettorali dei partiti;

   le politiche per la realizzazione di un sistema di mobilità sostenibile rappresentano, a livello mondiale, una leva strategica utile per perseguire la riduzione delle emissioni climalteranti finalizzate al contenimento del surriscaldamento globale, in linea con gli obiettivi stabiliti con l'accordo di Parigi - COP 21;

   il Ministero allo sviluppo economico dovrebbe predisporre entro dicembre 2018 il Piano energia e clima, che ridefinirà, anche per il settore mobilità e trasporti, le fonti energetiche e le emissioni climalteranti attribuibili all'Italia al 2030, in relazione agli impegni internazionali, in parte vincolanti;

   la III Conferenza mondiale Habitat sullo sviluppo urbano sostenibile che si è tenuta dal 17 al 20 ottobre 2016 a Quito (Ecuador) ha elaborato la nuova Agenda urbana delle Nazioni Unite per i prossimi venti anni;

   nel 2017 i Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle infrastrutture e dei trasporti e dello sviluppo economico hanno reso pubblico il documento «Elementi per una Roadmap della mobilità sostenibile», frutto dell'incontro di un gruppo di lavoro partecipato (e in parte firmato) da oltre 130 istituzioni e stakeholder che si sono ritrovati a Palazzo Chigi tra la primavera del 2017 e i primi mesi 2017, ma tale documento non è mai stato recepito dal Governo;

   come rilevato dal documento «Elementi per una roadmap della mobilità sostenibile», redatto con il supporto scientifico di Rse, solo veicoli elettrici alimentati da fonti rinnovabili, e biocarburanti in sostituzione integrale a quelli fossili costituiscono un rilevante contributo alla riduzione delle emissioni;

   nel maggio 2017 la Commissione europea ha presentato un pacchetto di proposte legislative volte a realizzare, entro il 2025, un sistema di trasporti pulito, competitivo e interconnesso;

   tra gli obiettivi delle proposte presentate dalla Commissione europea ci sono tra gli altri: promuovere la sostenibilità; modificare il comportamento dei consumatori e i modelli di domanda; garantire la sicurezza stradale; migliorare il quadro sociale e le condizioni di lavoro nel settore dei trasporti su strada; ridurre le emissioni di CO2 l'inquinamento atmosferico e la congestione del traffico; incoraggiare l'adozione di sistemi di pedaggio più equi; ridurre gli oneri burocratici per le imprese;

   le stime reali delle emissioni dei veicoli Euro 6 prese in considerazione dal sistema delle Agenzie per l'ambiente per il catasto delle emissioni attribuiscono ai veicoli a combustione interna moderni circolanti in Italia valori variabili tra 168 grammi a chilometro per i veicoli a gas e 192 grammi per i diesel, ben lungi dai valori previsti dai valori di riferimento previsti dall'Europa (130 grammi oggi e 95 grammi dal 2021);

   secondo le stime più accreditate, anche con l'entrata in vigore delle nuove procedure di prova (più realistiche) e dei nuovi limiti alle emissioni in sede di omologazione dei nuovi veicoli immessi sul mercato, la stima delle emissioni reali di CO2 dei veicoli a combustione, non scenderanno, neanche nel 2025, al di sotto dei 100-130 grammi di CO2 a chilometro e, per questa ragione, sarà necessario introdurre obblighi vincolanti e crescenti di Zev (zero emission vehicle) come in California (e in altri 10 stati USA) e in Cina;

   ai costi ambientali e sanitari dell'inquinamento da traffico, si devono aggiungere l'incidentalità e la mancata riduzione della mortalità sulla strada: l'Italia si era impegnata di fronte all'Europa a scendere al di sotto 2.700 morti per incidenti nel 2017 e 2.500 nel 2020 e invece si è chiuso il 2016 a 3.283 e il 2017 sopra i 3.300;

   l'Istat, così come l'Osservatorio Audimob, a cura di Isfort, che monitora semestralmente la mobilità degli italiani, ha appurato come la crisi, come i costi crescenti nell'uso dell'automobile, sta ampliando la popolazione «non mobile», sino al 25 per cento (2012-2013) e come la lenta uscita dalla crisi ancora non abbia restituito mobilità ad una parte della popolazione, soprattutto la mobilità «non obbligata» da ragioni di lavoro, di studio, di necessità;

   nuove differenze sociali, legate all'accesso a servizi di mobilità socialmente sostenibili per le fasce deboli della popolazione, non sono legate alla disponibilità di un'ampia flotta di autoveicoli, con costi di gestione relativamente contenuti (38 milioni di veicoli, che pagano pochissimo di bollo, manutenzione), ma piuttosto ad un elevato costo di uso (carburante, consumi, assicurazione) e alla mancanze di alternative poco costose (linee comode di trasporto pubblico, percorsi sicuri in bicicletta o e-bike o veicoli leggeri, servizi di car sharing): differenze quindi decisamente più accentuate fuori dalle aree urbane del centro nord;

   come ben illustrato dal dossier di Legambiente «Vie libere alla micromobilità elettrica», la diffusione di mezzi che permettono spostamenti leggeri di prossimità oppure l'intermodalità (con treno, trasporto pubblico locale o auto) in ambito urbano o interurbano, anche con motori elettrici, possono rappresentare una soluzione nuova, economicamente ed ambientalmente sostenibile, ma richiedono di essere normati e controllati sotto il profilo della sicurezza da un aggiornamento del Codice della strada;

   sempre nella chiave della sicurezza e della crescita della sostenibilità sono le richieste di associazioni come Fiab (Federazione italiana associazioni amici della bicicletta) di revisione del codice della strada: tanto più che la mobilità leggera sembra, allo stato del mercato internazionale, dalla Cina all'Europa, la grande favorita dall'elettrificazione (in Cina nel 2016 sono state vendute 300 mila auto elettriche e 30 milioni di ebike e scooter elettrici, in Europa a fronte di 200 mila ecar, 3 milioni di 2 ruote elettriche);

   gli scenari possibili di mobilità futura, elettrica, connessa, condivisa e sempre più intermodale (si useranno più mezzi per compiere lo stesso viaggio) fanno pensare ad un riequilibrio del parco nazionale disponibile: Legambiente (in «Green Mobility». Edizioni ambiente, 2018) ipotizza 18 milioni di mezzi di mobilità elettrica leggera, 18 milioni di quadricicli e automobili, contro un parco attuale di 38 milioni di automobili endotermiche, scarsamente utilizzate e altamente inquinanti;

   la leva fiscale è stata determinante in questi anni nel determinare le scelte di mobilità dei cittadini: il gettito fiscale complessivo generato dal settore dei trasporti e dell’automotive in particolare, così come i costi e gli investimenti nel bilancio dello Stato attribuibili allo stesso settore sono rilevanti: 73 miliardi di euro all'anno, il 15 per cento circa del gettito fiscale complessivo;

   le stime di Legambiente («Green Mobility». Edizioni ambiente, 2018) sul gettito fiscale di un sistema di trasporti completamente elettrico, con la fine delle accise sui carburanti fossili, anche prevedendo un raddoppio del bollo (tasse di proprietà) e dei pedaggi (parcheggi, pedaggi urbani e stradali), prevedono un dimezzamento del gettito fiscale complessivo del settore e una riduzione della spesa pubblica necessaria per mitigare gli effetti sanitari, ambientali, di incidentalità e in infrastrutture;

   le tasse di proprietà (di possesso) di veicoli a motore sono diventate irrisorie, soprattutto per i mezzi di lavoro, sino all'assurdo che 1 metro quadro di occupazione di suolo pubblico per tavolini di un bar in periferia a Milano o Roma, costa quanto il bollo di un camion da 3,5 tonnellate che occupa in sosta almeno 15 volte più spazio;

   le stime di Legambiente (sul 2016) su una possibile correzione delle accise che rendessero i costi del carburante proporzionali alle emissioni di CO2, a parità di gettito fiscale complessivo, attribuiscono alla benzina un costo di 1,33 euro al litro (contro ad una media nell'anno di 1,53), per il gasolio di 1,47 euro al chilogrammo (a fronte di 1,38), per il gpl di 0,89 euro al litro (invece di 0,63), per il metano di 1,52 euro al chilogrammo (0,96): la distorsione di consumi a vantaggio del gasolio è quindi stata indotta più da vantaggi fiscali che dall'effettiva efficienza dei motori a gasolio;

   i Pums, i piani urbani mobilità sostenibile, sono ormai riconosciuti dall'Unione europea e dallo Stato italiano (decreto ministeriale 4 agosto 2017) come lo strumento principale di governo locale della mobilità: sono l'unico strumento politico in mano ai comuni e alle città metropolitane per ridisegnare la mobilità (piano dotato di finanziamento, contrariamente ai Piani urbani del traffico) e lo spazio urbano (la previsione Pums fa variante urbanistica);

   nella Terza conferenza internazionale delle città dotate di Pums, i sindaci presenti hanno lanciato la «Carta di Brema» il 13 aprile 2016, in cui si afferma, al punto 1, che «Parlare di efficienza dei trasporti significa innanzitutto pensare a un uso efficiente dello spazio stradale. Lo spazio stradale è una risorsa preziosa e limitata», mentre il Pums del comune di Milano afferma nelle sue linee guida che «lo spazio pubblico è bene comune»;

   al tempo stesso bisogna ridisegnare lo spazio pubblico delle città. Le politiche della mobilità hanno guardato in questi soprattutto alle infrastrutture e ai veicoli in circolazione. Come invece dimostra l'esperienza di successo di tante città europee occorre mettere al centro dell'attenzione il ridisegno dello spazio urbano per restituire spazi alla mobilità pedonale, ciclabile, ai mezzi pubblici in sede protetta, con risultati positivi in termini di accessibilità e di qualità e vivibilità delle città;

   i percorsi ciclabili non devono limitarsi a offrire servizi di mobilità, ma devono cambiare radicalmente lo shift modale e diventare occasioni per il miglioramento qualitativo, funzionale ed estetico del tessuto urbano e per diffusi interventi di redistribuzione dello spazio pubblico, sottraendolo alle auto e restituendolo alle persone e alla vita comunitaria. Esempio di un nuovo modo di inserire un'opera pubblica in un contesto metropolitano è il Grab, il Grande raccordo anulare delle bici capitolino. Il progetto della ciclovia realizzato dai cittadini e dalle associazioni (tra cui Legambiente) e finanziato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è un'infrastruttura leggera e ad alta redditività ambientale, sociale, economica e culturale che punta non solo a far crescere gli spostamenti in bici ma a migliorare i luoghi che attraversa senza aggiungere volumetrie e cemento in un territorio massivamente edificato;

   il deferimento dell'Italia alla Corte di giustizia europea per aver violato ripetutamente i limiti di polveri sottili (Pm10) nei propri centri urbani e l'avvio della procedura anche per il superamento dei limiti di NO2, impongono (anche) all'Italia una revisione della pianificazione nazionale e regionale atta ad arginare l'inquinamento sia con misure d'emergenza immediatamente efficaci (blocchi stagionali della circolazione o abbassamento del riscaldamento) che con politiche strutturali di medio lungo termine (veicoli ed abitazioni a quasi o zero emissioni);

   la decisione del deferimento purtroppo non è una sorpresa. Legambiente, insieme a Cittadini per l'aria e all’European Environmental Bureau (EEB), aveva già denunciato nei mesi scorsi come le misure antismog sottoposte dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al giudizio dell'Unione europea non coprivano tutti i settori in cui bisognerebbe intervenire in maniera drastica, con un'applicazione stringente per essere efficaci e risolutive;

   occorrerebbe:

    a) estendere il protocollo antinquinamento Governo-regioni per la lotta all'inquinamento, oggi attivo solo per la pianura Padana, a tutta Italia e introdurre misure più severe per la circolazione dei veicoli più inquinanti (blocco stagionale Euro3 diesel ed Euro2 benzina). Così come è indispensabile introdurre misure di limitazione della velocità nelle strade e, soprattutto nelle autostrade, in funzione dei livelli di inquinamento sia invernali che estivi (ozono e smog fotochimico) come già fanno tutte le nazioni confinanti, con l'Italia (Francia, Svizzera, Austria e Slovenia);

    b) incentivare e diffondere la mobilità ciclistica, creando un contesto generale amico della bicicletta, nel quale sia possibile per un ciclista muoversi ovunque in modo confortevole e sicuro; si produrrebbero in tal modo dei benefici di cui gioverebbero anche tutti gli altri utenti della città;

    c) sviluppare gli interventi di moderazione del traffico e le zone 30, quali strumenti in assoluto più importanti su cui deve potersi basare qualunque politica per la ciclabilità;

    d) applicare gli strumenti di pianificazione forniti dal piano urbano della mobilità sostenibile (Pums) dotandosi di strumenti specifici quale il piano della ciclabilità, affinché le politiche amministrative per la mobilità vengano attuate il più possibile in un'ottica metropolitana, e di continuità di rete, attraverso processi noti in anticipo e condivisi con i cittadini;

    e) potenziare e ripensare il servizio di trasporto pubblico in genere, come risorsa, per soddisfare anche le esigenze degli utenti con bici al seguito, favorendo l'intermodalità, la realizzazione di bicistazioni, servizi di bike sharing, parcheggi per bici diffusi, adeguati e sicuri,

impegnano il Governo:

   a predisporre, parallelamente al piano energia e clima, entro il 2018, una «road map mobilità e trasporti 2030» governativa, con obiettivi coerenti e proporzionati agli impegni internazionali di riduzione delle emissioni climalteranti e sanitariamente ed ambientalmente rilevanti;

   a predisporre, entro il 2019, il nuovo piano generale dei trasporti e della logistica, introducendo dei target di mobilità sostenibile per le merci e per i passeggeri su gomma, ferro e via mare;

   ad assumere le iniziative di competenza per elaborare, in coerenza con quanto definito nei piani strategici, l'insieme delle misure riformatrici necessarie modificando il codice della strada;

   a predispone uno studio, da portare all'attenzione delle parti sociali, di riforma dell'apparato fiscale che grava sul sistema dei trasporti di lungo periodo, che accompagni coerentemente la pianificazione strategica di trasformazione della mobilità e dei trasporti in Italia e la possibile riorganizzazione della spesa pubblica relativa al settore;

   a inserire nel disegno di legge di bilancio per il 2019 le prime misure di incentivo e disincentivo (bonus-malus) della mobilità sostenibile, andando oltre la logica della rottamazione (sostituzione di un veicolo più inquinante con uno un po’ meno inquinante), ad esempio:

    a) spostando il carico fiscale soprattutto sui carburanti che generano maggior inquinamento (ad esempio costo finale proporzionale alle emissioni di CO2);

    b) riequilibrando il carico fiscale dall'uso alla proprietà dei mezzi di trasporto e favorendo piuttosto la condivisione (sharing), l'uso pubblico l'acquisto e l'uso di Zev (zero emission vehicle) e tassando proporzionalmente i veicoli a combustione interna nuovi in base alla massa e alla potenza;

    c) accompagnando queste misure con la previsione in ambito nazionale dell'obbligo assegnato ai costruttori e agli importatori di quote di mercato di veicoli elettrici (ZEN): 1 per cento nel 2019 e crescente negli anni successivi (sino al 100 per cento nel 2030);

   a ridefinire e dare maggiore coerenza al piano strategico nazionale della mobilità sostenibile, all'Osservatorio Pums (Piani urbani di mobilità sostenibile) e agli strumenti finanziari (piano annuale di spesa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti) a sostegno di quei comuni che si sono dotati di Pums con obiettivi sfidanti e coerenti, oppure di quei territori, anche turistici, che si sono dotati di piani di accoglienza e mobilità sostenibili;

   a predisporre una revisione della pianificazione e degli strumenti di intervento per ottemperare agli obblighi di risanamento della qualità dell'aria, sia per rientrare rapidamente negli obblighi europei per superare la procedura di infrazione in corso, sia per rispettare i valori guida di esposizione sanitariamente rilevanti, a tal fine assumendo le iniziative di competenza per assegnare obblighi coerenti agli enti gestori e alle autorità che sfuggono ai poteri regionali (autostrade, porti, aeroporti) e attribuire, nelle procedure di infrazione, responsabilità e oneri a carico delle regioni inadempienti;

   a predisporre un piano nazionale della ciclabilità con concrete azioni finalizzate ad incentivare e favorire l'uso della bicicletta, con particolare attenzione al piano della rete degli itinerari ciclabili, nel quale siano previsti gli interventi da realizzare, comprensivo dei dati sui flussi ciclistici, delle lunghezze dei tracciati, della stima economica di spesa e di una motivata scala di priorità e di tempi di realizzazione;

   ad adottare iniziative per prevedere una norma che stabilisca la destinazione di una quota delle contravvenzioni alla ciclabilità, con particolare attenzione agli interventi sulla sicurezza stradale a tutela degli utenti deboli (pedoni, ciclisti, bambini, anziani, disabili), prevedendo annualmente le quote da destinarsi alle suindicate finalità;

   ad adottare iniziative per prevedere, oltre alle infrastrutture riservate alla bicicletta (piste ciclabili, passerelle, sottopassi), utili per sviluppare la mobilità ciclistica, anche tutti gli interventi che costituiscono l'applicazione dei princìpi e dei criteri di moderazione del traffico, facendo sì che queste misure siano finalizzate ad intervenire sul traffico automobilistico privato, creando le condizioni fisiche per renderlo compatibile con le altre forme di mobilità (mezzi pubblici, ciclisti e pedoni) e con le diverse funzioni urbane, riducendo le possibilità di conflitto e dunque realizzando concretamente la coesistenza in sicurezza tra la mobilità motorizzata e le altre.
(7-00032) «Muroni, Stumpo, Fornaro, Rostan, Del Barba, Gribaudo».


   Le Commissioni VIII e X,

   premesso che:

    il territorio della provincia di Taranto (comprendente i comuni di Taranto, Crispiano, Massafra, Montemesola), è dichiarato «area ad elevato rischio di crisi ambientale» a seguito di un iter, iniziato con un'istanza presentata dalla regione Puglia nel 1988, con deliberazione del Consiglio dei ministri del 30 novembre 1990, dichiarazione reiterata poi con la deliberazione dell'11 giugno 1997. Con la deliberazione del 1990 il Consiglio dei ministri richiede al Ministero dell'ambiente, di intesa con la regione Puglia ed altri enti locali interessati, di predisporre un piano di disinquinamento per il risanamento del territorio di Taranto. Il piano, previa ricognizione dello stato di inquinamento delle acque, dell'aria e del suolo, nonché delle relative fonti inquinanti, definisce la tipologia, la fattibilità ed i costi degli interventi di risanamento;

    la deliberazione del 1990 prevedeva, inoltre, la costituzione di una Commissione Stato-regione Puglia-enti locali, con compiti di coordinamento delle attività relative al risanamento dell'area ad elevato rischio di crisi ambientale; la commissione viene nominata con decreto del Ministro dell'ambiente del 15 giugno 1995, n. 086/95/SIAR e, nella riunione del 29 luglio 1997, essa esprime parere favorevole sullo schema di piano di disinquinamento per il risanamento del territorio citato della provincia di Taranto;

    il piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della provincia di Taranto, è approvato con decreto del Presidente della Repubblica del 23 aprile 1998;

    con il suddetto decreto si intendeva finanziare anche gli interventi del «piano straordinario di completamento e razionalizzazione dei sistemi di collettamento e depurazione delle acque reflue», approvato con decreto del Ministero dell'ambiente in data 29 luglio 1997;

    il territorio dichiarato «area ad elevato rischio di crisi ambientale», comprendente i comuni di Taranto, Crispiano, Massafra, Montemosola e Statte, ha un'estensione di circa 564 chilometri quadrati, con una popolazione residente di circa 280.000 abitanti ed una estensione costiera di circa 35 chilometri;

    nell'area sono presenti insediamenti industriali di rilevante dimensione che influenzano in modo importante sia il quadro socio-economico, che quello ambientale e paesaggistico; l'elevata antropizzazione, talvolta incontrollata e poco supportata da infrastrutture adeguate, rappresenta un ulteriore aspetto di pericolo per gli ecosistemi;

    all'interno del territorio considerato come «area ad elevato rischio ambientale» si trovano zone che possiedono caratteristiche di notevole interesse ai fini della conservazione del patrimonio naturale. Numerosi provvedimenti legislativi nazionali e regionali, disposizioni comunitarie ed accordi internazionali ne promuovono la tutela e ne identificano le zone di maggiore interesse;

    i biotopi presenti comprendono zone umide, aree rupestri e boschive, tratti di corsi d'acqua, isole e tratti di costa sia di natura sabbiosa che rocciosa; di particolare interesse sono le aree del Mar Piccolo, le saline, le isole Cheradi e la zona delle gravine;

    nel corso della seduta del 23 gennaio 2018 l'amministrazione comunale da avvio all’iter procedimentale per la realizzazione di un'area di tutela e valorizzazione della biodiversità marina nei mari di Taranto;

    l'atto d'indirizzo punta a mettere a sistema le aree naturali protette ivi presenti, inserite nella rete ecologica pugliese e facenti parte della rete Natura 2000. Fra questi siti vengono citati: la riserva naturale regionale orientata «Palude La Vela» (istituita con legge regionale n. 11 del 15 maggio 2006), il sito di interesse comunitario (Sic) «Mar Piccolo», il sito di interesse comunitario «Masseria Torre Bianca» ed il sito di interesse comunitario a mare «Posidonieto Isola di San Pietro – Torre Canneto». La volontà di mettere a sistema l'intera biodiversità marina del Mar Piccolo e del Mar Grande, inglobandoli in un «unicum» costiero, risale ai tempi del progetto «Posidonia», che inglobava anche il fiume Galeso, per il quale si intendeva realizzare, riprendendo un precedente progetto risalente alla meta degli anni ’90 e che fu presentato dal presidente pro tempore della provincia di Taranto, Domenico Rana, un «Bioparco Letterario». Come è noto, però, il fiume decantato dai poeti classici dovrà dapprima essere interessato dagli interventi di bonifica, essendo il corso del fiume inquinato dalla presenza di policlorobifenili (PCB);

    è stato previsto anche il progetto «Posidonia», ovvero il piano particolareggiato per il recupero ecologico e produttivo del Mar Piccolo e del fiume Galeso;

    la situazione dei fondali marini appare grave: le acque del Mar Piccolo e del Mar Grande, nonché quelle immediatamente ad occidente della città, hanno risentito in maniera significativa dello stato di degrado prodotto in 40 anni di attività industriale. La situazione appare particolarmente compromessa nel tratto costiero prospiciente la città, dove sono state individuate estese zone di Posidonia oceanica, morta a causa degli scarichi inquinanti (sia civili che industriali) e dell'indiscriminata attività di pesca condotta illegalmente nelle praterie. In ultimo, ma non certo per importanza, va citata la pessima gestione delle risorse biologiche lungo l'intera fascia costiera tarantina ed in particolare quelle dell'acquacoltura sovradimensionata rispetto alle potenzialità produttive e alle capacità di smaltimento dei siti e alla pesca illegale e devastante dei datteri di mare o dei coralli;

    quanto la situazione ambientale illustrata in precedenza abbia avuto negli anni un significativo riscontro lo si evince dai dati economici del 2017 sulle presenze turistiche nella provincia di Taranto: i vari osservatori ci confermano come, a fronte di una percentuale regionale di esercizi dell'11 per cento, con un aumento del 12 per cento rispetto all'anno precedente, si contrapponga una riduzione dei posti letto dello 0,7 per cento, portando la quota provinciale al 7,4 per cento;

    in merito ai dati sulle presenze per abitante la provincia di Taranto si attesta ad un rapporto di 1,71 per cento e per gli arrivi per abitante ad uno 0,42, i più bassi della regione;

    la produzione, la trasformazione e la commercializzazione dei molluschi bivalvi e, in particolare, del Mytilus galloprovincialis, costituisce una frazione limitata dell'intero settore produttivo nazionale. Ciò nonostante, tali attività – presenti in molte aree costiere italiane – assumono un'importanza socio-economica molto elevata in Puglia, specie in provincia di Taranto, e sono in continuo sviluppo, così come tutto il comparto dei prodotti di origine animale;

    negli ultimi anni, a fronte di un notevole incremento della capacità produttiva del nostro Paese, si è assistito ad una progressiva diminuzione sia della redditività di impresa – a causa in primo luogo del vertiginoso aumento del carburante – sia del valore della produzione a livello regionale, in quanto il prezzo di vendita è rimasto pressoché invariato, o si è addirittura livellato verso il basso, fino a raggiungere anche 0,38 euro al chilogrammo. I costi di produzione però sono aumentati anche per la necessità di adeguarsi all'avvento delle nuove tecniche produttive e per gli oneri derivanti dall'osservanza delle norme di carattere igienico-sanitario; il settore è inoltre danneggiato da criticità ambientali e da forme di abusivismo,

impegnano il Governo:

   ad assumere iniziative anche per il tramite del Commissario straordinario per la bonifica di Taranto, per dare il via ad un risanamento ambientale dell'intera zona, comprendendo le isole Cheradi (riserva naturale) ed i fondali prospicienti (riserva marina), in modo tale che si producano effetti anche per la tutela della salute dei cittadini;

   ad assumere iniziative per la pianificazione e lo sviluppo in materia turistica, rafforzando la rete territoriale ed intersettoriale tra operatori di settori ed istituzioni, tramite la pianificazione ed il coordinamento fra le attività del suddetto Commissario e le imprese di zona, instaurando nuove strategie di accordo che possano valorizzare le attività delle piccole e medie imprese del turismo;

   ad assumere iniziative per assicurare lo sviluppo produttivo dell'area di Taranto, anche con riferimento alla filiera della mitilicoltura.
(7-00033) «Andreuzza, Lucchini, Binelli, Bazzaro, Dara, Piastra, Patassini, Pettazzi, Colla, Badole, Gobbato, Parolo, D'Eramo, Raffaelli, Valbusa».


   La III Commissione,

   premesso che:

    le lezioni dei corsi di italiano gestite dal Coasit (Comitato di assistenza scuole italiane) nella circoscrizione di Londra contano circa 5.000 studenti;

    durante la presentazione del bilancio consuntivo 2017, il Consolato Generale d'Italia a Londra ha rilevato alcune possibili irregolarità di carattere contabile, di cui ha tempestivamente informato il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;

    si è resa pertanto necessaria, a titolo precauzionale, la sospensione di ogni ulteriore erogazione a favore del Coasit, che ha quindi ritenuto di sospendere le attività didattiche con diverse settimane di anticipo rispetto alla scadenza naturale dei corsi;

    gli accertamenti in merito sono in corso e si rendono tanto più necessari in quanto tesi ad accertare la corretta rendicontazione dell'utilizzo di fondi pubblici, a tutela di tutti i soggetti coinvolti;

    il Governo, rispondendo ad un atto di sindacato ispettivo, ha espresso la «ferma intenzione della Farnesina» a «intraprendere ogni misura atta a garantire la continuità delle attività didattiche nella circoscrizione di Londra», in ragione dell'importanza della promozione della lingua e cultura italiana nel contesto locale, nonché a tutela dei docenti impiegati nei corsi, degli studenti e delle loro famiglie;

    appare necessario agli interroganti disporre, al di là dell'espressione di tale intenzione, di rassicurazioni in merito alla tempistica per la riapertura dei corsi,

impegna il Governo

ad intraprendere ogni iniziativa atta a garantire la continuità delle attività didattiche nella circoscrizione di Londra già a partire dal prossimo anno scolastico 2018-2019.
(7-00034) «Billi, Formentini, Grimoldi, Comencini, Caffaratto, Coin, Di San Martino Lorenzato Di Ivrea, Ribolla, Zoffili».


   La IV Commissione,

   premesso che:

    in Italia l'81 per cento delle cause degli incidenti stradali è di natura soggettiva, infatti 3 su 4 sono dovuti a distrazioni al volante: il maggiore responsabile è l'uso dello smartphone mentre si guida;

    questi sono i risultati del primo anno di lavoro del «Tavolo sulla sicurezza stradale», assise informale a cui partecipano interlocutori come Anas, Ania, Aci, polizia stradale, #Forumautomotive e Dekra Italia, composta tra gli altri dal presidente della Commissione trasporti del Senato nella XVII legislatura, Altero Matteoli e dall'ex deputato, già membro della commissione trasporti della Camera, Paolo Gandolfi, presentati nel 2017 a Roma, nella sede ACI;

    meno incidenti stradali ma più vittime nel 2017 rispetto al 2016: il numero dei morti è aumentato del 2,9 per cento rispetto all'anno precedente;

    i carabinieri svolgono servizio in tutte le strade, con posti di blocco o servizio di soccorso nel caso di incidenti e sinistri, esponendosi al rischio di essere vittime della negligenza di automobilisti distratti;

    è del 2017 la notizia che i veicoli della polizia stradale sono dotati di una tecnologia all'avanguardia che risponde ai requisiti di sicurezza, praticità ed efficienza per agevolare le attività di controllo del territorio, che si aggiungono al «tradizionale» allestimento previsto per i servizi di polizia stradale, ossia riguardano il pannello luminoso abbattibile a messaggio variabile collocato sul tettino che fornisce notizie utili all'utenza;

    l'Arma dei carabinieri ha, nella propria dotazione, esclusivamente per le automobili del nucleo radiomobile, il pannello luminoso a messaggi variabile;

    per una maggiore sicurezza, in special modo per chi è in servizio in strade secondarie e non principali, vista anche la riorganizzazione delle forze dell'ordine promossa dal precedente Governo, appare necessario, dove la visibilità è minore e, complice la distrazione, è più probabile il rischio di incidente, dotare ogni automobile in servizio delle barre luminose con messaggio variabile;

    appare inoltre necessario dotare ogni automobile dei carabinieri delle cosiddette torce a vento, già in dotazione alla polizia stradale, o di appositi dispositivi stradali per emergenze temporanee,

impegna il Governo

ad assumere le iniziative di competenza per dotare di ulteriori dispositivi per la sicurezza stradale, quali la barra luminosa a messaggio variabile e le cosiddette torce a vento, o, in alternativa, dispositivi stradali per emergenze temporanee, tutte le autovetture dell'arma dei carabinieri in servizio.
(7-00031) «Deidda, Ferro».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta orale:


   SILVESTRONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   la situazione dei roghi, da parte dei rom, su tutto il territorio nazionale, ma soprattutto in zona «La Barbuta», tra Roma e l'aeroporto di Ciampino, è diventata oramai intollerabile;

   si levano ormai da anni, quasi quotidianamente, i fumi tossici di materiale altamente inquinante che avvelenano i quartieri circostanti, il comune di Ciampino, fino ad arrivare ai Castelli romani. Il materiale che viene bruciato, come è altrettanto noto, è il frutto di un commercio in gran parte illegale fra i nomadi e, probabilmente, privati esterni dediti a commerci di materiale di scarto;

   domenica 22 luglio 2018 dal campo rom summenzionato si è sprigionato l'ennesimo «rogo tossico» che ha inondato con i suoi fumi, i quartieri e i comuni circostanti e un intero tratto del Gra, con gravi ripercussioni per la viabilità e tenendo impegnati per ore i vigili del fuoco;

   come facilmente ipotizzabile, i roghi vengono appiccati nei campi nomadi per favorire «il business dello smaltimento illegale» di rifiuti e per recuperare quanto possibile (specie il rame);

   nell'evidenza del fatto che non possono esistere «zone franche» ove lo Stato rinunzia al controllo del territorio e all'applicazione delle sue leggi ed è fondamentale che al più presto, a beneficio dell'ambiente e dei cittadini residenti, il campo rom, «La Barbuta» e i terreni limitrofi tornino un luogo di legalità sotto la sovranità dello Stato;

   dal 2013, infatti, la legge stabilisce che chi appicca fuoco a rifiuti è punito con la reclusione da 2 a 5 anni, inoltre l'articolo 452-quarter del codice penale prevede che chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale è punito con la reclusione da cinque a quindici anni –:

   quali iniziative il Governo intenda assumere, per quanto di competenza, per contrastare le attività criminali connesse ai roghi tossici causati dalla combustione illecita di ogni tipo di rifiuto, all'interramento di materiali e sostanze pericolose, alla creazione di discariche a cielo aperto.
(3-00113)


   BERLINGHIERI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il giornalista del Giornale di Brescia, nonché corrispondente Ansa e di altre testate, Andrea Cittadini, risulta essere stato indagato dalla magistratura per istigazione alla violazione del segreto d'ufficio per le notizie date in relazione alle vicende della scomparsa dell'imprenditore Mario Bozzoli (8 ottobre 2015) e alla sparizione di una giovane palazzolese, poi ritrovata (febbraio 2017);

   il giornalista in questione risulta essere stato sottoposto a perquisizione di casa, automobile e supporti informatici da parte di uomini dell'Arma dei carabinieri, con il sequestro di cellulare e tablet e lo stesso risulta essere stato trattenuto in caserma per circa 10 ore;

   pur nel pieno rispetto del lavoro della magistratura e delle forze dell'ordine, la libertà di stampa è un bene prezioso non negoziabile per le democrazie;

   l'ordine dei giornalisti e il sindacato della stampa hanno manifestato solidarietà al giornalista Cittadini parlando di «colpo al cuore al diritto dell'informazione»;

   ipotizzare che una indagine giornalistica possa costituire un illecito penale per istigazione a delinquere e cioè far rivelare segreti d'ufficio ai dipendenti pubblici è una questione assai delicata –:

   se il Governo sia conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative di competenza, anche normative, intendano assumere per assicurare il pieno diritto della libertà di stampa.
(3-00114)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SERRACCHIANI, DEL BARBA, FRAGOMELI, FREGOLENT, COLANINNO, LIBRANDI, MANCINI, TOPO e UNGARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   con la Legge di bilancio 2018 (articolo 1, commi da 1106 a 1109, della legge n. 205 del 27 dicembre 2017) è stato istituito un fondo in favore dei risparmiatori delle «quattro banche» (Banca delle Marche s.p.a., Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio Soc. Coop., Cassa di Risparmio di Ferrara s.p.a. e Cassa di Risparmio delle provincia di Chieti s.p.a.), e delle due banche venete (Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza) che dimostrino di aver subito un danno ingiusto a causa della violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza, relativi alla sottoscrizione e al collocamento di strumenti finanziari;

   al fine di estendere la platea degli aventi diritto al ristoro e, in particolare, con l'obiettivo di velocizzare quanto più possibile le procedure, si è previsto che il danno ingiusto subito dai risparmiatori possa essere riconosciuto non solo con sentenza passata in giudicato, ma anche con pronuncia degli arbitri presso l'Autorità nazionale anticorruzione;

   requisiti, modalità e condizioni necessarie per l'operatività del Fondo, la cui dotazione complessiva è pari a 100 milioni di euro, devono essere stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze; da fonti stampa si è appreso che tali norme attuative, predisposte dal Governo uscente, hanno subito a marzo un arresto, per volontà di alcune forze politiche, che avrebbero chiesto di non procedere con l'emanazione del citato decreto, per lasciare al successivo esecutivo il compito di stabilire come risarcire i risparmiatori;

   il decreto attuativo non risulta, ad oggi, ancora emanato: nei fatti, l'attuale Governo sta rallentando un processo che aveva invece conferito, una concreta speranza ai risparmiatori colpiti, bloccando una norma che era peraltro stata oggetto di una complicata trattativa a livello comunitario, al fine di non violare le norme stringenti sulle gestione delle risoluzioni bancarie che impedirebbero qualsiasi forma di ristoro per gli investitori –:

   se le norme attuative che stabiliscono requisiti, modalità e condizioni necessarie per l'operatività del fondo di cui all'articolo 1, commi da 1106 a 1109, della legge n. 205 del 27 dicembre 2017 in favore dei risparmiatori che hanno subito un danno ingiusto saranno emanate in tempi brevi al fine di avviare celermente le procedure di ristoro.
(5-00256)


   FIANO, QUARTAPELLE PROCOPIO e FASSINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   ad una giovane campionessa di scacchi di 7 anni, «Liel Levitan», di nazionalità israeliana, è stata negata la partecipazione al campionato mondiale di scacchi che si svolgerà nella città tunisina di Monastir dal 1o al 9 settembre 2018;

   il Paese organizzatore, la Tunisia, non permette agli israeliani di entrare nel Paese, in quanto la Tunisia, come la maggior parte dei Paesi arabi e mediorientali, non ha — ufficialmente — rapporti con Israele;

   questo non è il primo caso del genere, a causa dell'ostilità nei confronti dello Stato ebraico anche in ambito sportivo;

   i giocatori di scacchi israeliani sono stati anche banditi dai campionati del mondo di King Salman World Rapid e Blitz in Arabia Saudita nel 2017;

   per gli interroganti questo boicottaggio «sportivo-politico», oltre a costituire l'ennesimo ostacolo per la proficua ripresa del confronto diplomatico internazionale sulla vicenda israelo-palestinese, rappresenta un vero e proprio atto di discriminazione razziale e antisemita ai danni di sportivi e in particolare, in questo caso, di una bambina;

   se il Governo non ritenga di attivarsi con la massima sollecitudine presso le competenti sedi dell'Unione europea e nei rapporti bilaterali con la Tunisia per promuovere la partecipazione degli atleti di tutte le nazionalità alla manifestazione sportiva di cui sopra e testimoniare l'indignazione del Governo italiano a quello che appare agli interroganti una forma di boicottaggio discriminatorio.
(5-00258)


   VERINI, FIANO, ENRICO BORGHI, BAZOLI, CANTINI, CARLA CANTONE, CENNI, CIAMPI, CRITELLI, MARCO DI MAIO, FRAGOMELI, GIACHETTI, GAVINO MANCA, MANCINI, MARATTIN, MICELI, NOJA, PAITA, PEZZOPANE, PINI, RIZZO NERVO, ROTTA e SCALFAROTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   per consentire la ricostruzione dei gravissimi eventi che negli anni 1969-1984 segnarono la storia Paese, il 22 aprile 2014, l'allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi, con una direttiva, dispose che – con procedura straordinaria – tutte le amministrazioni dello Stato versassero all'Archivio centrale dello Stato la documentazione in loro in possesso relativa specificamente «agli eventi di Piazza Fontana a Milano (1969), di Gioia Tauro (1970), di Peteano (1972), della Questura di Milano (1973), di Piazza della Loggia a Brescia (1974), dell'Italicus (1974), di Ustica (1980), della stazione di Bologna (1980), del Rapido 904 (1984)»;

   per dare organicità a quanto previsto nella direttiva, il 28 settembre 2016, l'allora segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri disponeva la costituzione di un Comitato consultivo presso l'Archivio centrale dello Stato e sotto il coordinamento del sovrintendente dell'Archivio centrale con il compito di vigilare sulla piena attuazione della direttiva in merito alle attività di versamento dei documenti;

   dopo varie sollecitazioni da parte delle associazioni dei familiari delle vittime delle stragi, in prossimità del passaggio di consegne all'attuale esecutivo, il segretario generale della Presidenza del Consiglio, in data 3 maggio 2018 – con direttiva analoga a quella del 28 settembre 2016 – ha disposto la costituzione di un nuovo Comitato, coordinato sempre dal sovrintendente dell'Archivio e i cui componenti termineranno il loro mandato il 31 dicembre 2018. L'incarico attribuito riguarda quanto stabilito sia dalla direttiva del 22 aprile 2014 che dalla direttiva del 2 dicembre 2014 afferente gli atti del sequestro e dell'uccisione di Aldo Moro;

   a seguito di questa nuova disposizione, le associazioni, a partire da quella dei familiari delle vittime della strage di Ustica, hanno richiesto al coordinatore la convocazione del Comitato. A tale sollecitazione è stato risposto che è necessario attendere una convocazione dalla Presidenza del Consiglio. Le Associazioni si sono dunque rivolte al nuovo Segretario generale della Presidenza senza ad oggi alcun riscontro –:

   in considerazione dei tempi ristretti di attività del Comitato previsti dalla citata direttiva del maggio 2018, se il Governo intenda assumere iniziative affinché il coordinatore convochi al più presto una riunione, al fine di dare effettiva e completa esecuzione alle direttive del 22 aprile 2014 e del 2 dicembre 2014 sulla desecretazione/declassificazione degli atti e degli archivi;

   quali iniziative intenda avviare – e con quali tempi e modalità – affinché le amministrazioni coinvolte garantiscano la più ampia e puntuale collaborazione in ottemperanza alle predette direttive.
(5-00268)


   MIGLIORE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   nei primi giorni di luglio 2018, un centinaio di lavoratori dell'ex Montefibre di Acerra, si sono incatenati per alcune ore davanti ai cancelli del dismesso polo chimico, per chiedere la convocazione di un tavolo al Ministro dello sviluppo economico e del lavoro e delle politiche sociali al fine di valutare la praticabilità di una proroga degli ammortizzatori sociali, attualmente terminati per circa 200 delle oltre 300 ex maestranze del sito industriale;

   da notizie a mezzo stampa, si apprende infatti che, dei 327 lavoratori del sito industriale, solo 127 hanno ottenuto una proroga della mobilità fino al dicembre 2018;

   a seguito delle proteste dei lavoratori e dell'iniziativa della regione Campania, ed in particolare della sua commissione lavoro, il Ministro dello sviluppo economico e del lavoro e delle politiche sociali ha finalmente convocato un tavolo di lavoro presso il Ministero dello sviluppo economico previsto per il giorno 26 luglio 2018;

   tuttavia, risultano, ad oggi, convocati all'incontro solamente due consiglieri regionali appartenenti al Movimento 5 stelle, mentre sono stati del tutto ignorati i rappresentanti istituzionali della regione Campania;

   i tavoli istituzionali dovrebbero servire ad affrontare, e possibilmente a risolvere, vertenze e problemi del territorio, e pertanto dovrebbero coinvolgere tutte le forze politiche presenti sul territorio, e soprattutto tutti i rappresentanti istituzionali, e non solo quelli allineati alla maggioranza politica cui appartiene il Ministro di volta in volta competente –:

   quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, al fine di garantire che i Ministri interloquiscano con i rappresentanti istituzionali di tutte le forze politiche a livello locale, e non solo con quelli politicamente in linea con la maggioranza politica che sostiene il Governo nelle diverse questioni da essi affrontate, e, nel caso di specie, quali iniziative intenda adottare per garantire quanto prima, il pieno coinvolgimento di tutti i rappresentanti delle forze politiche che compongono il consiglio regionale della Campania al fine di risolvere proficuamente la vertenza sul caso dell'ex Montefibre di Acerra.
(5-00269)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZANOTELLI, BINELLI, VANESSA CATTOI e SEGNANA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   attualmente, in alcuni stati dell'Unione europea, il «periodo di riposo settimanale» per i conducenti di veicoli adibiti a trasporto, su strada, di passeggeri o merci, previsto e normato dall'articolo 4 del Regolamento n. 561/2006/CE, in cui il conducente professionale può disporre liberamente del suo tempo, si suddivide in due fattispecie: la prima è il «periodo di riposo settimanale regolare»: ogni tempo di riposo di almeno 45 ore; e la seconda è il «periodo di riposo settimanale ridotto»: ogni tempo di riposo inferiore a 45 ore, che può essere ridotto, nel rispetto di quanto stabilito all'articolo 8, paragrafo 6, a una durata minima di 24 ore continuative;

   il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con circolare del 29 aprile 2015 – Prot. n. 7136 – «Riposo settimanale: interpretazione applicativa», avente ad oggetto «Art. 8, paragrafo 6, del regolamento (CE) n. 561/2006», ha previsto che, nell'ambito di infrazioni accertate nelle ispezioni in materia di autotrasporto, l'analisi dell'impianto normativo e sanzionatorio rileva una discrasia nella versione ufficiale italiana dell'articolo 8, paragrafo 6, del regolamento (CE) n. 561/2006 rispetto alla traduzione della medesima norma nella quasi totalità delle altre lingue ufficiali dell'Unione;

   il testo della norma, nella sua versione letterale, non impedisce di considerare compensata la riduzione del riposo settimanale anche attraverso la fruizione del riposo equivalente in più frazioni, a condizione che le stesse siano prese entro la fine della terza settimana successiva e che siano attaccate ad un altro periodo di riposo di almeno nove ore. Tuttavia, nella maggior parte delle lingue ufficiali dell'Unione europea in cui è trattato il regolamento in questione, il medesimo passaggio normativo impone esplicitamente che la fruizione del periodo di riposo settimanale a compensazione di quello eventualmente non goduto dall'autotrasportatore (21 ore al massimo, per il combinato disposto fra l'articolo 4, lettera h) e l'articolo 8, paragrafo 6) avvenga «in blocco», cioè in una volta sola, alle stesse condizioni sopra richiamate (fruizione prima della fine della terza settimana successiva a quella in cui il previsto riposo di 45 ore non sia stato integralmente fruito, e consecutività con un altro periodo di riposo di almeno 9 ore);

   la Francia ha proposto una legge volta a rafforzare la responsabilità dei committenti e delle forze dell'ordine per combattere la concorrenza sleale, in cui si dispone il divieto in territorio francese per i conducenti di qualunque nazionalità di effettuare il riposo settimanale regolare a bordo del veicolo e si stabilisce una sanzione di un anno di reclusione e 30.000 euro di ammenda in capo alle aziende di autotrasporto presso cui operano i conducenti che infrangono le regole. La legge francese ha inteso, da un lato, recepire in pieno la normativa europea sui tempi di lavoro nell'autotrasporto che aveva stabilito che il riposo settimanale degli autisti non potrà, in nessun modo, essere trascorso nella cabina del camion e, dall'altro, ha posto l'importanza di ricondurre a livello nazionale gli introiti del lavoro effettuato dagli autotrasportatori sul territorio francese –:

   se il Governo non reputi opportuno mettere in atto ogni iniziativa, anche presso le sedi competenti a livello europeo, al fine di rendere univoca l'interpretazione, e conseguentemente l'applicazione, del regolamento (CE) n. 561 del 2006 che impone il rispetto delle ore di guida e riposo;

   al fine di contrastare i fenomeni di cabotaggio abusivo, se non ritenga importante assumere iniziative per promuovere e intensificare l'attività di controllo sui mezzi pesanti provenienti da Paesi esteri, accertando che il riposo settimanale degli autisti non sia trascorso nella cabina del camion, come già previsto in altri Paesi europei, al fine di evitare ulteriori squilibri della concorrenza di ditte straniere nei confronti degli operatori del settore italiani.
(4-00822)


   FOTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   la legge 11 dicembre 2016, n. 232, all'articolo 1, comma 140, prevedeva che venisse istituito un apposito fondo — da ripartire — per assicurare il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese, tra cui interventi riferiti all'edilizia scolastica;

   con ricorso notificato il 16 febbraio 2017, depositato il 23 febbraio 2017, la regione Veneto impugnava diverse disposizioni della predetta legge, tra le quali il citato articolo;

   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 luglio 2017, veniva ripartito il fondo relativo all'articolo 1, comma 140, della legge n. 232 del 2016;

   con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 28 novembre 2017, n. 929, venivano ripartite tra le regioni le risorse assegnate con il predetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per un importo complessivo di euro 1.058.255.963,00 (per il triennio 2017-2019) e, con nota del 29 novembre 2017, veniva richiesto a tutte le regioni di confermare gli elenchi degli interventi già in precedenza trasmessi. Al riguardo, tutte le regioni facevano pervenire gli elenchi di interventi da ammettere a finanziamento;

   con decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 21 dicembre 2017 venivano individuati gli enti beneficiari delle risorse, relative al fondo di cui all'articolo 1, comma 140, della legge n. 232 del 2016, per interventi di messa in sicurezza e di adeguamento sismico degli edifici scolastici;

   con sentenza n. 74, depositata in cancelleria il 13 aprile 2018, la Corte costituzionale dichiarava l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 140, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, nella parte in cui non prevedeva un'intesa con gli enti territoriali in relazione ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri riguardanti settori di spesa rientranti nelle materie di competenza regionale. La Corte — tuttavia — precisava: «Poiché anche il comma 140 interviene in diversi settori e su diversi tipi di investimenti che possono variamente incidere su diritti costituzionali delle persone (si pensi per esempio agli interventi antisismici nelle scuole o all'eliminazione delle barriere architettoniche), si precisa che la dichiarazione di illegittimità costituzionale, nei termini indicati, della previsione in esso contenuta non produce effetti sui procedimenti in corso, qualora questi riguardino detti diritti»;

   risulta — è il caso di alcuni comuni della provincia di Piacenza — che ai responsabili del procedimento è impedito, da alcuni giorni, di accedere alle procedure on line per l'erogazione dei detti fondi, essendo state le stesse improvvisamente disattivate –:

   se i fatti siano noti e, in particolare, le ragioni per cui siano stati sospesi i procedimenti di erogazione degli acconti dei finanziamenti di cui al citato decreto n. 1007 del 2017;

   quali urgenti iniziative il Governo intenda assumere al riguardo, al fine di consentire agli assegnatari dei finanziamenti in questione di procedere ai previsti interventi di messa in sicurezza e di adeguamento sismico degli edifici scolastici.
(4-00847)


   BIGNAMI e PETTARIN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   il 21 settembre 2001, il Presidente della Repubblica pro tempore conferiva motu proprio al gonfalone dell'ultima amministrazione italiana della città di Zara la medaglia d'oro al valor militare. Tra la concessione dell'onorificenza e la consegna solenne dell'onorificenza stessa, fissata per il 13 novembre 2001, la cerimonia annunciata venne disdetta per «impegni» del Presidente della Repubblica e mai più programmata;

   inoltre, nel 2001, il Governo croato si oppose alla consegna dell'onorificenza in questione e, da allora, il conferimento non è più avvenuto, malgrado le numerose richieste pervenute da esponenti politici e dalle associazioni giuliano-dalmate;

   la città di Zara, durante il secondo conflitto mondiale, fu oggetto di violenti bombardamenti aerei a tappeto, da parte degli anglo-americani, e venne distrutta più di ogni altro capoluogo di provincia del nostro Paese;

   i bombardamenti alleati, voluti da Tito, uccisero 4000 persone e distrussero l'85 per cento della città. Almeno 900 italiani furono annegati, «infoibati» o sommariamente giustiziati dalla polizia segreta titina, che entrò a Zara nell'ottobre 1944. In seguito all'esodo, rimasero solo 12 famiglie italiane, su oltre 21 mila abitanti;

   facendo seguito a quanto sopracitato, sarebbe opportuno e doveroso appuntare sul gonfalone dell'ultima amministrazione italiana di Zara la medaglia d'oro al valore militare, ricordando i caduti con le prime righe della motivazione scritta dal Presidente della Repubblica pro tempore Ciampi nel decreto ufficiale: «Zara, città italiana per lingua, cultura e storia, ha dato alla Patria nell'ultimo conflitto, tra morti e dispersi militari e civili, un decimo della sua popolazione»;

   il conferimento della medaglia d'oro al valore militare al gonfalone del Comune italiano di Zara, sarebbe per la città medesima un doveroso riconoscimento per le sofferenze della popolazione durante i bombardamenti anglo-americani e per la difesa della propria italianità –:

   se il Governo sia a conoscenza della suesposta situazione;

   se intenda assumere le iniziative di competenza, affinché sia solennemente consegnata la medaglia d'oro al valore militare al gonfalone dell'ultima amministrazione italiana della città di Zara.
(4-00858)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interpellanza:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, per sapere – premesso che:

   il Ceta (Comprehensive economic and trade agreement) è un accordo di libero scambio tra, l'Unione europea e il Canada, approvato dal Consiglio europeo e definitivamente dal Parlamento europeo nel febbraio 2017;

   gli accordi di libero scambio rientrano nella competenza esclusiva dell'Unione europea, in quanto espressione della politica commerciale comune, tranne laddove l'accordo sia di natura mista riguardante competenze sia comunitarie che nazionali; in tal caso, i trattati devono essere ratificati da tutte le assemblee parlamentari dei Paesi membri;

   per il Ceta, la Commissione europea ha deciso una soluzione di compromesso: essendo una parte consistente dell'accordo di esclusiva competenza dell'Unione europea l'accordo è entrato in vigore in via provvisoria, in attesa della ratifica delle Assemblee degli Stati membri per la completa e definitiva vigenza;

   l'Unione europea per il Canada, è considerata, dopo gli Stati Uniti, il secondo partner commerciale ed uno degli effetti principali dell'accordo sarà l'eliminazione della gran parte delle tariffe doganali tra l'Unione europea e il Canada. Tra le altre disposizioni rilevano: quelle che consentono alle imprese europee di partecipare alle gare per gli appalti pubblici in Canada e viceversa; quelle per il reciproco riconoscimento di titoli professionali e nuove regole a protezione del diritto d'autore e brevetti industriali; la tutela del marchio di alcuni prodotti agricoli e alimentari tipici, una clausola fortemente richiesta dagli agricoltori europei; i dazi doganali sono già stati eliminati e le agevolazioni previste per la partecipazione agli appalti pubblici sono già attive;

  inoltre, l'accordo prevede la tutela di 143 indicazioni geografiche europee, di cui ben 41 sono italiane, con una tutela rilevante per il «made in Italy»; prodotti della filiera agroalimentare italiana che rappresentano il 90 per cento dell’export del settore sul mercato canadese. Il trattato obbliga a dichiarare sempre sulle etichette la provenienza di un determinato prodotto, mirando a contrastare il fenomeno dell’«italian sounding»;

   l'Italia è tra i maggiori beneficiari dell'entrata in vigore anticipata: le esportazioni del «made in Italy», in Canada sono già aumentate di circa l'8 per cento rispetto allo stesso momento del 2017 e, secondo stime riportate dal Corriere della Sera, il 13 luglio 2018, in base a questa tendenza, in un anno, il fatturato delle imprese italiane salirebbe di circa 400 milioni di euro, con almeno ottomila posti di lavoro in più; il «made in Italy» vende ogni anno all'economia nord-americana prodotti per circa cinque miliardi di euro, registrando un surplus commerciale bilaterale di più di tre miliardi;

   ad oggi, hanno ratificato il Ceta, 11 Paesi: Danimarca, Lettonia, Estonia, Lituania, Malta, Spagna, Portogallo, Croazia, Repubblica Ceca, Austria e Finlandia;

   le recenti dichiarazioni di alcuni Ministri del Governo italiano di non procedere alla ratifica del Ceta sono preoccupanti; in particolare, il Ministro dello sviluppo economico ha definito il Ceta un «trattato scellerato» senza, tuttavia, produrre a giudizio dell'interpellante convincenti evidenze empiriche;

   il motivo di disaccordo sulla presunta insufficienza delle 41 indicazioni geografiche (IG) italiane riconosciute non è convincente, in quanto prima del Ceta le IG riconosciute erano zero mentre quelle riconosciute dall'accordo coprono più del 90 per cento dell’export italiano in Canada;

   una cattiva informazione ritiene che con il Ceta si cancellino gli standard di sicurezza dell'Unione europea mentre è esattamente il contrario: salute e sicurezza di cittadini e imprese europei continueranno ad essere tutelati esattamente come prima; non si indeboliranno le norme europee su sicurezza degli alimenti, continuando a valere il principio di precauzione (quindi niente Ogm o carne agli ormoni); liberalizzazione degli scambi regolamentata a difesa di lavoratori e ambiente, contro forme di globalizzazione selvaggia; nessun rischio per la democrazia e la risoluzione delle controversie tra Stati e aziende, con il diritto dei Governi a regolamentare in esclusiva su materie nazionali, come la gestione dei servizi pubblici; riduzione del 98 per cento dei dazi reciproci; partecipazione delle imprese europee agli appalti pubblici in Canada; mantenimento degli standard di sicurezza e salute europei a tutela di cittadini e imprese; misure a contrasto dell’Italian Sounding;

   l'eventuale rifiuto dell'Italia di ratificare il Ceta potrà invece avere effetti negativi su larga scala, segnando il destino degli accordi commerciali di nuova generazione che mirano anche a contenere il rischio di guerre commerciali in atto, dagli esiti imprevedibili;

   il Ceta va valutato in una logica più complessiva di interesse nazionale e non con rilievi di carattere solo categoriale, in quanto il nostro è un Paese ad alta vocazione all’export che contribuisce a creare ricchezza e crescita del Pil –:

   se non ritenga il Governo di riconsiderare l'annunciata posizione contro la ratifica del Ceta, in ragione dei molti elementi di vantaggio contenuti nell'accordo commerciale tra l'Unione europea e il Canada, in particolare in favore dell’export e degli interessi italiani, e di assumere iniziative normative per procedere alla ratifica del medesimo trattato.
(2-00061) «Elvira Savino».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RACITI, QUARTAPELLE PROCOPIO, FASSINO e GRIBAUDO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   la Corte suprema israeliana ha autorizzato la demolizione del villaggio beduino Khan el-Ahmar (Cisgiordania) e della sua «Scuola di gomme», perché sono stati costruiti senza i necessari permessi, respingendo gli appelli dei 200 abitanti che si oppongono al trasferimento che li costringerebbe ad abbandonare la loro vita di nomadi e le operazioni di demolizione potranno avere inizio in qualsiasi momento;

   «scuola di gomme» è un progetto realizzato dalla organizzazione non governativa italiana Vento di Terra con il supporto del Governo italiano, della Cooperazione belga, delle agenzie delle Nazioni Unite e della Conferenza episcopale italiana e garantisce il fondamentale diritto all'istruzione a circa centocinquanta bambini beduini prima esclusi dal diritto allo studio;

   la scuola è stata realizzata seguendo caratteristiche costruttive e materiali della cosiddetta architettura bioclimatica, realizzata nel deserto di Gerico con pneumatici usati e come aveva ribadito la Corte suprema israeliana, sollecitando un accordo tra le parti, essa riveste un importante valore sociale;

   le autorità israeliane avrebbero previsto il trasferimento della scuola in una zona conosciuta come Jahalin West, un ambiente urbano del tutto inadatto alla cultura desertica dei beduini;

   la situazione, nel villaggio di Khan el-Ahmar, è pressoché la stessa che si registra in tutti i territori palestinesi occupati, varie volte denunciata dalla comunità internazionale. Nello specifico, il suddetto villaggio è situato nell'Area C della Cisgiordania, nei pressi dell'insediamento israeliano di Kfar Adumim, ad est di Gerusalemme, nel cosiddetto «corridoio E1». Il piano E1, formalmente sospeso da Israele a seguito delle proteste della comunità internazionale, vedrebbe l'annessione degli insediamenti di Ma'ale Adumim, Kfar Adumim e Qedar all'interno di un muro di separazione allargato, scollegando e dividendo ulteriormente Gerusalemme dalla Cisgiordania, e separando comunità palestinesi le une dalle altre;

   oltre alla drammatica e inaccettabile condizione discriminatoria che sono costrette a subire le popolazioni del villaggio di Khan al Ahmar, permane il concreto rischio di un trasferimento forzato e l'espulsione, il che costituirebbe una grave violazione della Quarta Convenzione di Ginevra –:

   di quali elementi disponga in ordine ai fatti esposti in premessa; se e come il Governo intenda intervenire, anche nel quadro delle istituzioni europee, al fine di impedire la demolizione delle strutture abitative, scolastiche e più in generale civili, che insistono nei territori palestinesi occupati, premessa imprescindibile per la ripresa di un dialogo di pace tra le parti.
(5-00262)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCHIRÒ, UNGARO, LA MARCA e CARÈ. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   nell'agosto del 2014, nel quadro delle politiche di contenimento della spesa pubblica, il Consolato di San Gallo (Svizzera) veniva accorpato al Consolato generale d'Italia di Zurigo;

   in conseguenza di tale decisione, i 57.000 cittadini italiani iscritti all'Aire, residenti nel Consolato di San Gallo, ricadevano sotto la tutela di quello di Zurigo, che in tal modo superava complessivamente le 200.000 unità;

   per fronteggiare tali nuove esigenze, si provvedeva a trasferire il personale operante nella sede di San Gallo presso il Consolato generale di Zurigo, in vista di un ulteriore rafforzamento della pianta organica con altro personale inviato dalla sede centrale;

   di fatto, la dotazione di personale del Consolato generale di Zurigo si è progressivamente assottigliata, con appesantimento dei servizi alla comunità dei connazionali e con una riduzione delle permanenze settimanali nelle sedi di San Gallo Lucerna e Coira, già sedi di consolati;

   nella più immediata prospettiva, per il rientro del personale alla Farnesina non vi è notizia di assegnazione di nuovo personale o di nuove assunzioni in loco;

   l'insufficienza di personale tende quindi a tradursi in prolungamento dei tempi di rilascio dei passaporti e delle carte d'identità, nonché di compimento delle altre operazioni amministrative –:

   se l'attribuzione per la Svizzera di sole tre unità tra le 100 a contratto locale da assumere a sostegno dell'attività dei consolati, previste dalla legge di bilancio 2018, sia adeguata rispetto alle esigenze di funzionalità dei servizi offerti ai nostri connazionali, come nell'accennato caso del Consolato generale d'Italia a Zurigo;

   quali iniziative intende assumere il Governo per dare concrete prospettive di rafforzamento della dotazione del personale di ruolo, per fronteggiare in un'ottica meno immediata la situazione di emergenza venutasi a creare nel Consolato generale di Zurigo.
(4-00836)


   ELVIRA SAVINO e GELMINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:

   l'immigrazione è tema al centro del dibattito politico-sociale e prioritario nell'agenda di Governo; tuttavia, è fenomeno complesso che non si presta a risposte riduttive; i migranti sono persone che spesso cercano di fuggire da paesi con problemi drammatici come fame, conflitti, violenze e torture, su cui la comunità europea non può far finta di nulla;

   la Nigeria, dove vive la più grande comunità cristiana dell'Africa, è un Paese da anni colpito dal radicalismo islamico, responsabile ogni anno di centinaia di vittime per mano dell'organizzazione terroristica Boko Haram;

   negli anni passati gli scontri tra etnie musulmane e agricoltori cristiani riguardavano solo contese per i pascoli, ora i conflitti assumono la matrice dell'odio etnico e religioso. La comunità cristiana del Paese lancia l'allarme sul rischio di genocidio, a causa di attacchi violenti dell'etnia musulmana dei Fulani, armati di kalašnikov, dagli effetti devastanti per le vittime;

   come riporta Il Foglio, nell'articolo del 6 luglio 2018, dando voce alla richiesta di aiuto da parte dei vescovi nigeriani contro la pulizia etnica in corso, in Nigeria in tre anni sono stati assassinati 16 mila cristiani e nel solo Stato di Benue circa 500 nel 2018; le vittime sono per lo più bambini, donne e anziani;

   l'ultimo episodio del 23 giugno 2018; che ha spinto i vescovi nigeriani a chiedere aiuto all'Unione europea, è stato l'assassinio di più di cento contadini cristiani, nello stato di Plateau nella Nigeria centrale, sempre per mano dei Fulani;

   molti vescovi, tra cui William Amove Avenya, attraverso la «Fondazione di diritto pontificio Aiuto alla Chiesa che soffre» in Italia, avvertendo di non commettere gli stessi errori fatti con il genocidio in Ruanda dove nel 1994 furono uccisi 1 milione di ruandesi dell'etnia Tutsi dai membri Hutu al governo, e segnalano la pericolosa strategia per islamizzare la Middle Belt nigeriana attraverso i pastori Fulani; tale violenza programmata si presenta come un altro Boko Haram travestito;

   l'Associazione cristiana della Nigeria invoca da anni una richiesta di intervento da parte della comunità internazionale, purtroppo inascoltata da un Occidente spesso dimentico delle sue radici cristiane e distaccato verso la tragedia in atto;

   è necessario un intervento della comunità internazionale per fermare lo spargimento di sangue in atto e scongiurare il diffondersi delle persecuzioni contro i cristiani in altri Paesi africani;

   sono numerose le dichiarazioni da parte dei principali gruppi di monitoraggio e contrasto delle persecuzioni contro i cristiani, che denunciano il genocidio e avvertono come l'equilibrio tra islam e cristianesimo in Africa sarà deciso proprio in Nigeria;

   l'Unione europea è chiamata a intervenire, anche sulla base del cosiddetto Accordo di Cotonou (un partenariato vigente dal 2000 tra Unione europea e i membri del gruppo degli Stati di Africa, Caraibi e Pacifico); l'unione cui intrattiene un costante dialogo politico con la Nigeria sui diritti umani e i principi democratici, sulla discriminazione etnica, razziale e religiosa –:

   quali iniziative intendano assumere i Ministri interrogati, nell'ambito delle rispettive competenze, a livello bilaterale e multilaterale, per favorire dialogo, pace, sicurezza, rispetto dei diritti umani e protezione dei civili;

   se non ritengano di promuovere un'iniziativa internazionale, per scongiurare il pericolo di genocidio su base religiosa in Nigeria e fermare il terrorismo contro i cristiani, affinché non dilaghi in altri Paesi;

   se non ritengano di attivarsi nelle sedi europee affinché l'Unione predisponga azioni mirate, sulla base dell'accordo di Cotonou, atte a favorire coesione nazionale, risoluzione dei conflitti interetnici e religiosi, in difesa dei cristiani e dei diritti umani in Nigeria.
(4-00838)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VIANELLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   il procedimento amministrativo attivato dalla richiesta di autorizzazione integrata ambientale e accertamento di compatibilità paesaggistica, recante la modifica sostanziale della discarica III lotto linea ambiente, inquadrata in sottocategoria ex articolo 7, comma 1, lettera c), decreto ministeriale 27 settembre 2010, località Torre Caprarica Grottaglie (TA) si è concluso il 5 aprile 2018 con determina dirigenziale n. 45 recante il giudizio favorevole di compatibilità ambientale;

   si apprende, tuttavia, che il comune di Grottaglie, in sede di conferenza di servizi, avesse espresso parere negativo sul progetto, adducendo la sussistenza di difformità costruttive rispetto a quanto previsto dal decreto legislativo n. 36 del 2003, con riferimento allo strato impermeabile di fondo e delle sponde. Si assume che lo strato geologico naturale di materiale argilloso con permeabilità K=1x10-9 ed altezza maggiore o uguale di 1 metro, richiesto dalla normativa, sarebbe stato sostituito con un manto bentonitico avente spessore di 7 millimetri e K=5x10-11, per cui avente caratteristiche di permeabilità molto superiori a quanto prescritto dalla norma;

   il responsabile del procedimento, invero, ha replicato all'obiezione supra riferita dal comune, riportando quanto indicato negli elaborati progettuali relativamente all'impermeabilizzazione del fondo e delle sponde, e, a quanto consta all'interrogante senza effettuare alcuna valutazione tecnica ulteriore;

   risulta evidente come quella che appare all'interrogante come un'eventuale irregolarità sia tale da comportare un aumento del rischio per l'inquinamento ambientale, nonché un rischio specifico per le popolazioni interessate;

   nell'ambito della conferenza dei servizi sono stati espressi ulteriori dissensi da parte delle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini (parere sfavorevole della Asl Sisp con nota 71356 del 13 maggio 2016; parere sfavorevole dell'Arpa Puglia – Dipartimento ambientale provinciale di Taranto; parere favorevole con prescrizioni da parte della regione Puglia – servizio pianificazione paesaggistica; parere negativo del comune di San Marzano; parere contrario dell'Arpa Puglia; parere non favorevole della Asl Sisp; nulla osta condizionato espresso dall'Enac; parere negativo della società Aeroporti di Puglia; parere di compatibilità con condizione dall'autorità di bacino della Puglia; parere favorevole della Sovrintendenza ai beni paesaggistici della Puglia; parere contrario alla proposta delle associazioni e/o portatori di interessi diffusi –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di evitare che si possa creare un danno ambientale, se del caso valutando di disporre anche una verifica da parte del Comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente, al fine di verificare l'eventuale sussistenza delle difformità riferite in premessa e, al fine dell'assunzione di ogni iniziativa conseguente che garantisca la piena tutela dell'ambiente e del paesaggio nell'area sopra richiamata.
(5-00266)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MURONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   le spiagge siciliane sono soggette a gravi processi erosivi dipendenti da fattori antropici (urbanizzazione fascia costiera, imbrigliamento corsi d'acqua, opere portuali e difese rigide);

   per la mitigazione del rischio erosione e per la resilienza delle spiagge, nella sola provincia di Messina, sono stati messi a disposizione dei comuni circa 150 milioni di euro che, in assenza di pianificazione di area vasta, rischiano di essere dispersi in interventi locali inutili e dannosi;

   lo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha finanziato interventi per 2.900.000 euro sulla spiaggia di Isola Bella (Taormina), sito di interesse comunitario e riserva naturale, col rischio di pregiudicarne i valori naturalistici e la bellezza;

   l'unico atto di pianificazione riguarda la costa dei Nebrodi (provincia di Messina), dove è stato avviato un «contratto di costa» sottoscritto dal presidente della regione e da 14 comuni, con il quale si è ricondotta alla struttura del commissario regionale per la mitigazione del dissesto idrogeologico la titolarità della progettazione degli interventi a tutela delle spiagge;

   tuttavia, in evidente contraddizione con gli obiettivi del contratto di costa è stata finanziata, con 49 milioni di euro, la realizzazione di un porto turistico nel comune di Santo Stefano di Camastra, al limite orientale dell'unità fisiografica, che, se realizzato, determinerebbe un blocco del trasporto solido e la vanificazione degli obiettivi di riequilibrio delle spiagge;

   nel tratto di litorale tra Santo Stefano di Camastra e Furnari vi sono già tre porti, uno in costruzione (Sant'Agata di Militello), e due attici (Capo d'Orlando e Portorosa);

   lo studio di impatto ambientale del porto di Santo Stefano di Camastra è in fase di esame presso la Commissione nazionale Via –:

   se sia stato considerato – in relazione all'ipotesi di consentire la costruzione di un nuovo porto di sopraflutto in prossimità di spiagge in erosione, per il cui riequilibrio si stanno approntando apposite progettazioni basate su analisi che individuano i moli aggettanti – che questo porto potrebbe essere uno dei principali fattori di squilibrio ambientale;

   se non ritenga di assumere iniziative, per quanto di competenza, a tutela di spiagge, la cui integrità costituisce per quei territori un'importante risorsa ambientale ed economica.
(4-00828)


   RIPANI e MUGNAI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   sul territorio provinciale di Livorno, tra il comune capoluogo e il comune di Collesalvetti, insiste il Sito di bonifica d'interesse nazionale (Sin) istituito con legge n. 426 del 1998 e perimetrato con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 24 febbraio 2003;

   è parte di questa area Sin il sito della raffineria di petrolio Eni, con estensione di 182 ettari;

   a seguito della decretazione del Sin, Eni ha proceduto a presentare i|piano di caratterizzazione del sito (2004), da cui si è sviluppata la fase esecutiva e, in seguito si è avuta la presentazione dell'analisi di rischio (AdR) sia per i terreni che per le acque (2009-2012 e 2016), nonché del modello idrogeologico numerico del sito (2016) e del progetto di messa in sicurezza operativa della falda superficiale;

   agli esiti di quelle fasi, sia i suoli che la falda presentavano contaminazioni da, tra gli altri elementi: idrocarburi leggeri, pesanti e aromatici, metalli, piombo, metil-t-butil etere (MTBE), composti organo clorurati, fluoruri;

   a tutt'oggi, gli abitanti della zona continuano ad avvertire e segnalare forti maleodoranze;

   i rilevamenti che si sono succeduti da parte dell'Agenzia regionale di protezione ambientale della Toscana (Arpat) hanno individuato come fonte delle emissioni odorigene «un serbatoio, all'interno della raffineria Eni, a servizio – recita la nota (Prot. 0031280 del 2 maggio 2018) con cui Arpat risponde alle segnalazioni – dell'impianto di trattamento acque reflue (impianto TAE: Trattamento Acque Effluenti)» il quale «presentava idrocarburi in superficie ed esalava odori molesti» mentre «anche altri due serbatoi, sempre a servizio dell'impianto TAE, presentavano lo stesso fenomeno, ma in misura molto ridotta»;

   una forte preoccupazione è legata anche alla forte presenza di polveri sottili nell'aria;

   secondo la comunità locale la collocazione scelta per la centralina di rilevamento per le polveri sottili – a monte, e non a valle di Stagno – non acquisirebbe i dati di concentrazione massimi, ma quelli minimi;

   cresce presso la comunità locale la preoccupazione per le conseguenze legate all'esposizione di simili fenomeni;

   peraltro, non è mai stata realizzata, sull'area Sin di Livorno e zone limitrofe, alcuna indagine epidemiologica di coorte;

   dal 2008, anno della sua istituzione, il Registro tumori della Toscana (RTT) non è mai stato esteso a tutto il territorio regionale, e anche il territorio provinciale di Livorno risulta sprovvisto di registro accreditato –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, riguardanti la raffineria Eni e l'area Sin sulla quale insiste la medesima raffineria;

   quali iniziative immediate si intendano adottare, per quanto di competenza e di concerto con gli enti territoriali, al fine di garantire la tutela della salute pubblica e dell'ambiente;

   se non si ravvisi l'opportunità di avviare un'indagine epidemiologica di coorte relativa all'area Sin di Livorno;

   se non si ritenga necessario accertare quale sia, alla data odierna, lo stato di avanzamento esecutivo del progetto di messa in sicurezza operativa della falda superficiale presentato da Eni nel 2016, nonché lo stato di avanzamento esecutivo del piano dettagliato degli interventi di mitigazione odorigena con relativo cronoprogramma e, ove presente, il verbale di chiusura delle operazioni di bonifica del serbatoio nell'area sopra citata che è Sito di bonifica di interesse nazionale;

   se non intenda verificare, per quanto di competenza, se siano state individuate le cause per la presenza di idrocarburi maleodoranti nelle acque reflue;

   se non si ritenga di assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché la centralina di monitoraggio per la qualità dell'aria venga collocata a valle, e non a monte di Stagno.
(4-00831)


   PAOLO RUSSO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il 25 luglio 2018 un vasto incendio si è sviluppato nella zona industriale di Caivano, nel napoletano, all'interno dell'azienda «Di Gennaro» specializzata nella selezione dei rifiuti della raccolta differenziata;

   il 1° luglio 2018 analogo rogo si verificò a San Vitaliano, dentro il piazzale della piattaforma ecologica della società «Ambiente»;

   il 25 giugno 2018 a bruciare furono i materiali stoccati all'interno della Nappi Sud di Battipaglia;

   l'11 giugno tocca alla azienda Gav srl di Gricignano assistere all'incendio del materiale plastico detenuto;

   in due anni sono stati registrati oltre 261 roghi di rifiuti in ogni parte d'Italia;

   vanno considerati il crescente allarme tra la popolazione, preoccupata dagli effetti nocivi degli inquinanti che si propagano nell'aria e l'inquietante statistica che oggettivamente evidenzia un pericoloso vulnus nella filiera delle misure di prevenzione all'interno degli impianti di selezione e di trattamento dei rifiuti –:

   se non si ritenga di istituire una task force nazionale per il monitoraggio di questa inquietante escalation di incendi e roghi dai risvolti sospetti, anche coinvolgendo autorevoli esponenti del mondo scientifico e medico, al fine di dettare un protocollo standard per tutelare, per quanto di competenza, nelle immediate prossimità delle zone in cui si è verificato l'evento incendiario ed in attesa degli esiti degli esami in tali aree favorendo l'assunzione di adeguati comportamenti, la popolazione interessata dalle nubi cariche di veleni;

   se non ritenga di dover assumere iniziative, per quanto di competenza, per promuovere una revisione della procedura concernente le autorizzazioni per gli impianti di selezione e trattamento dei rifiuti, al fine di realizzare un sistema di controllo video permanente e di rilevamento incendi che, con l'ausilio delle nuove tecnologie, possa prevenire i disastri che creano nocumento all'ambiente ed ai cittadini e scoraggiare, laddove si trattasse di eventi di natura dolosa, azioni criminali.
(4-00845)


   MAZZETTI e CASCIELLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il 25 luglio 2018, un grosso incendio è divampato in una struttura di stoccaggio e smaltimento di materiale di imballaggio carta e plastica del gruppo De Gennaro. Si tratta di uno degli impianti di raccolta rifiuti più grandi del Mezzogiorno, situato nella zona industriale di Pascarola, a Caivano, nell'area nord di Napoli;

   l'incendio a Caivano, probabilmente di natura dolosa, e che segue di appena qualche settimana l'incendio sviluppatosi in un deposito di stoccaggio a San Vitaliano, ha reso l'aria irrespirabile a distanza di chilometri, e ripropone con forza anche il tema legato ai sistemi di sicurezza di questi impianti che lavorano i rifiuti;

   l'area interessata da questo incendio, è già da anni martoriata da anni di roghi di rifiuti e sversamenti illeciti. Una parte della Campania continua a bruciare. Bruciano gli impianti di trattamento dei rifiuti, Caivano, San Vitaliano, due roghi a Battipaglia — nell'azienda Nappi e nello Stir;

   dietro questi episodi potrebbe esserci anche la volontà di far saltare il già delicato e precario equilibrio sul quale si regge il traballante sistema della raccolta differenziata in Campania e l'emergenza rifiuti che la provincia di Salerno sta vivendo, con operazioni di trattamento dei rifiuti indifferenziati rallentate e ritardi su tutta la raccolta;

   è indispensabile escludere che via sia una sorta di regia, perché il fuoco possa sottrarre prove o liberare spazi in discarica, oppure, ancora peggio, attivare il business della rimozione dei rifiuti speciali;

   proprio in relazione a quest'ultimo incendio, all'interno dell'azienda Di Gennaro di Caivano, si è appreso che un anno fa i militari della Forestale (l'attuale Ministro interrogato ne era comandante regionale) avevano contestato alla ditta la violazione della normativa per la sicurezza sul lavoro perché sulla piattaforma che è andata a fuoco, c'erano balle di scarti che andavano rimossi. Questo avrebbe comportato una sanzione amministrativa e l'attuazione di una serie di prescrizioni. Ma l'incendio di Caivano ha bruciato proprio quelle balle. Tutto questo dopo che la stessa ditta, in una lettera di due settimane fa inviata alle prefetture, ai sindaci dei comuni della Campania, alle forze dell'ordine e ai vertici della regione aveva evidenziato la necessità che i consorzi addetti allo smaltimento, per i quali l'azienda lavora, intervenissero per la rimozione di quegli scarti di lavorazione;

   peraltro, tra il 2014 al 2017, sono andati a fuoco 218 impianti e 32 discariche con un'impennata proprio nell'ultimo anno. Mentre nello stesso periodo all'interno dei depositi e nelle discariche campane si sono registrati 22 roghi, spesso in zone sensibili, soprattutto aree adiacenti ai campi rom. Stando ad alcune informazioni nell'ultimo anno 70 mila tonnellate di rifiuti sono state stipate negli impianti di tritovagliatura, aggiunte a quelle accumulate negli anni precedenti, per un potenziale di 130 mila tonnellate di rifiuti. Completano questo quadro molto preoccupante poi i depositi gestiti dai privati dove si lavorano i rifiuti separati o derivati dalla raccolta differenziata –:

   quali iniziative immediate si preveda di avviare, per quanto di competenza, al fine di garantire la salute pubblica e l'ambiente dei territori indicati in premessa, oggetto di una vera e propria emergenza ambientale;

   quali iniziative intendano adottare, nell'ambito delle proprie competenze e anche sul piano normativo, al fine di implementare i sistemi di sicurezza degli impianti che lavorano i rifiuti, con riguardo ai territori a maggior criticità ambientale, e in particolare in quelle aree campane già interessate da anni di sversamenti illeciti e roghi di rifiuti;

   se non si intendano assumere le iniziative di competenza per procedere con sollecitudine al fine di ricomprendere anche gli impianti di cui in premessa tra i siti «sorvegliati speciali».
(4-00848)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   da organi di stampa si apprende che in via Villa Venere a Sarno vengono lasciati rifiuti di ogni tipo, sul ciglio della strada ed in prossimità delle abitazioni;

   ciò comporta la creazione di vere e proprie mini discariche a cielo aperto;

   i vari rifiuti vengono spesso anche incendiati e, con le alte temperature di questo periodo, l'aria della zona è diventata irrespirabile e molti sono i rischi per la salute delle persone;

   questa situazione di degrado denoterebbe un'estrema inciviltà che ha spinto gli abitanti a fare delle proteste e a presentare delle petizioni per cercare di migliorare la situazione;

   il problema non è di recente evidenza ma, nonostante le lamentele e le denunce della popolazione nel corso degli anni, non vi sarebbero state delle concrete risposte da parte delle istituzioni per porre rimedio al danno ambientale;

   il problema dei rifiuti, oltretutto, non sembra essere l'unico: dalle molte segnalazioni sembrerebbe che, ad oggi, i cittadini debbano convivere con disservizi come l'assenza di energia elettrica, l'assenza di linee telefoniche ed i problemi alla rete fognaria;

   si tratterebbe di una vera emergenza che il comune non sembra riuscire a risolvere: la propaganda che viene fatta sulla città pulita non può essere considerata efficace se a poca distanza dal centro vi è serio pericolo per la salute e l'ambiente –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative di competenza ritenga opportuno adottare per fronteggiare il pericolo igienico-sanitario nell'area sopracitata ed in generale per tutelare la salute dei cittadini e per riparare a quello che l'interrogante giudica come danno ambientale che interessa la città Sarno.
(4-00854)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   DEIDDA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 119 – Titolo IV del codice della strada di cui al decreto legislativo n. 285 del 1992 «Requisiti fisici e psichici per il conseguimento della patente di guida» stabilisce: «L'accertamento dei requisiti fisici e psichici, tranne per i casi stabiliti nel comma 4, è effettuato dall'ufficio della unità sanitaria locale territorialmente competente, cui sono attribuite funzioni in materia medico-legale L'accertamento suindicato può essere effettuato altresì da un medico responsabile dei servizi di base del distretto sanitario ovvero da un medico appartenente al ruolo dei medici del Ministero della salute, o da un ispettore medico delle Ferrovie dello Stato o da un medico militare in servizio permanente effettivo o in quiescenza o da un medico del ruolo professionale dei sanitari della Polizia di Stato o da un medico del ruolo sanitario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco o da un ispettore medico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. L'accertamento può essere effettuato dai medici di cui al periodo precedente, anche dopo aver cessato di appartenere alle amministrazioni e ai corpi ivi indicati, purché abbiano svolto l'attività di accertamento negli ultimi dieci anni o abbiano fatto parte delle commissioni di cui al comma 4 per almeno cinque anni. In tutti i casi tale accertamento deve essere effettuato nei gabinetti medici»;

   l'articolo 330 del decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, relativo alle commissioni mediche locali, modificato dal decreto del Presidente della Repubblica del 16 aprile 2013, n. 68, prevede che «La commissione è composta da un presidente, due membri effettivi e almeno due supplenti, individuati tra i medici delle amministrazioni e corpi di cui all'articolo 119, comma 2, del codice, tutti in attività di servizio, designati dalle amministrazioni competenti. I membri partecipanti alle sedute della commissione, effettivi o supplenti, devono appartenere ad amministrazioni diverse»;

   nelle commissioni mediche locali della Sardegna vi sono da tempo delle lunghe liste d'attesa a causa della grave carenza di medici di cui all'articolo 119, comma 2, citato, e, in particolare, dei medici militari e/o dei carabinieri e/o della Guardia di finanza e/o della polizia di Stato e/o del Corpo dei vigili del fuoco; tali liste di attesa in alcuni periodi sono arrivate addirittura ad un anno a Sassari e, attualmente, seppur ridotte, sono dell'ordine di vari mesi in tutte le commissioni mediche locali della Sardegna;

   l'attuale attività delle commissioni mediche locali non è in grado di assicurare criteri di efficienza del servizio e di adeguata presenza sul territorio, in ragione della domanda espressa;

   già in un recente passato i medici di cui al citato articolo 119, comma 2, sono stati autorizzati ad effettuare la suddetta attività certificativa, a livello monocratico, anche nello status ai quiescenza, naturalmente in presenza dei requisiti professionali di cui sopra;

   i medici militari non più in servizio attivo per limiti di età vengono collocati in ausiliaria per anni cinque e in tale status giuridico, nel quale rimangono alle dipendenze del Ministero della difesa (e non dell'Inps), possono essere impiegati, a richiesta, oltre che nella propria, anche in tutte le altre amministrazioni statali e territoriali, non essendo nello status di congedo assoluto (pensione) –:

   se si intendano assumere iniziative per modificare il regolamento di attuazione del codice della strada affinché possano essere impiegati nelle suddette commissioni mediche locali, gli ufficiali medici che si trovino nello status giuridico di ausiliaria e che abbiano i requisiti professionali previsti, cioè che abbiano svolto l'attività di accertamento negli ultimi dieci anni o abbiano fatto parte delle commissioni mediche locali, di cui al comma 4 dell'articolo 119 del codice della strada per almeno cinque anni.
(4-00826)


   PALAZZOTTO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   da un articolo pubblicato sulla cronaca romana del Corriere della Sera si apprende che, dal 15 giugno 2018, le caserme laziali e sarde dei carabinieri sono servite dalla Fabbro spa, società milanese specializzata nella ristorazione collettiva;

   dal 28 febbraio 2018 però, la stessa società, ha un problema con la giustizia, perché il rappresentante legale dell'azienda, Massimiliano Fabbro, nel 2014 è finito sotto processo con l'accusa aver fornito alle caserme dei militari Salvo D'Acquisto e Talamo carne polacca invece di quella italiana, come previsto nel capitolato d'appalto vinto all'epoca;

   il valore della nuova commessa che l'azienda milanese si è aggiudicata è di nove milioni e 715 mila euro;

   l'Arma dei carabinieri ha scelto di siglare l'accordo anche dopo essere stati avvisati, il 10 aprile, dell'esistenza del procedimento penale a carico dell'azienda, accusata di frode in pubbliche forniture in due sue caserme;

   la lettera di avviso è stata inviata al comando generale da una delle società estromesse. Nel processo che si svolge davanti alla settima sezione penale, l'Arma non si è costituita parte civile;

   l'inchiesta è nata dopo un controllo svolto da un organo dei carabinieri istituito nel 2014. Durante le ispezioni alla Salvo D'Acquisto e alla Talamo, le caserme romane rifornite dalla Fabbro, è emerso che la Fabbro serviva formaggio grattugiato denominato Gran Mix in sostituzione del previsto Parmigiano Reggiano, così come la carne sarebbe stata di origine polacca invece che italiana;

   sulle discrasie è stata redatta un'informativa inviata in procura, da dove è partita l'accusa di frode nelle pubbliche forniture all'allora rappresentante legale dell'azienda;

   intanto, nel mese di ottobre 2017, l'Arma dei carabinieri ha indetto una gara d'appalto per la fornitura dei pasti nelle caserme in tutta Italia. A dicembre, all'apertura delle buste la Fabbro ha ottenuto il miglior punteggio per il lotto del Lazio e della Sardegna;

   il presidente della commissione si è comunque riservato di approfondire l'offerta con riferimento al costo del lavoro e altri oneri finanziari «apparsi anormalmente bassi» e terminato l'approfondimento, la Fabbro ha ottenuto ugualmente l'appalto, siglando il contratto il 15 giugno 2018;

   a parere dell'interrogante è grave che un'azienda, il cui rappresentante legale sia sotto processo per frode nelle pubbliche forniture possa gestire l'appalto delle mense di tutte le caserme dei Carabinieri del Lazio e della Sardegna come altrettanto grave appare all'interrogante che l'Arma, pur a conoscenza dell'esistenza del procedimento penale a carico dell'azienda, abbia deciso, in primo luogo di non costituirsi parte civile nel processo e poi di siglare comunque l'accordo con la Fabbro –:

   se il Ministro interrogato intenda acquisire dal Comando generale dell'Arma dei carabinieri, nell'ambito delle proprie competenze, tutti gli elementi utili a chiarire i motivi per cui è stato deciso di siglare il contratto per la fornitura dei pasti nelle caserme di Lazio e Sardegna con l'azienda Fabbro, nonostante l'Arma fosse già a conoscenza del procedimento penale a carico della stessa per frode nelle pubbliche forniture con l'accusa di aver fornito, in passato, alle caserme dei militari D'Acquisto e Talamo alimenti diversi da quelli previsti nel capitolato d'appalto vinto all'epoca e perché l'Arma non si sia costituita parte civile al processo;

   se intenda intervenire presso il comando generale dell'Arma dei carabinieri, nell'ambito delle proprie competenze, affinché venga revocato il contratto siglato con la società Fabbro spa e sia indetta una nuova gara d'appalto per la fornitura dei pasti nelle caserme per il lotto del Lazio e della Sardegna.
(4-00849)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. —Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   il decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, emesso in attuazione della direttiva 2005/60/CE sulla prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, come modificato dal decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 90, cosiddetto «decreto antiriciclaggio» prevede all'articolo 49, comma 5, che «Gli assegni bancari e postali emessi per importi pari o superiori a 1.000 euro devono recare l'indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità»;

   in attuazione della norma in questione, il Ministero dell'economia e delle finanze sta infliggendo ingenti multe, per gli assegni senza clausola di non trasferibilità. Si tratta di sanzioni che vanno dai 3.000 a 50.000 euro, per importi trasferiti da un minimo di 1.000 a un massimo di 250.000 euro e che colpiscono molti cittadini che, in buona fede, hanno utilizzato assegni senza clausola di non trasferibilità;

   ciò è una diretta conseguenza del fatto che gli istituti di credito non hanno provveduto a ritirare i vecchi blocchetti di assegni bancari e postali, sprovvisti della clausola di non trasferibilità, perché la normativa non lo prevede; a tale mancanza si aggiunge l'assenza di comunicazioni destinate ai propri clienti sulla nuova normativa antiriciclaggio, pertanto, i cittadini che utilizzano tali assegni senza aggiungere manualmente la clausola di non trasferibilità vengono onerati di sproporzionate multe anche per piccoli importi disposti negli assegni. Si rischia, dunque, di dover pagare, per un importo di poco superiore ai 1.000 euro, un'oblazione di 6.000 euro o una sanzione minima di 3.000 euro;

   i cittadini non sono dunque stati tutelati secondo l'interrogante né dal legislatore che ha disposto un impianto sanzionatorio sproporzionato, né da banche e istituti bancari. Al riguardo, infatti, si dovevano prevedere idonee campagne informative dei piccoli risparmiatori quale parte contrattuale più debole;

   ad oggi, in mancanza dell'assunzione di idonee iniziative, i cittadini ancora in possesso dei vecchi libretti di assegni continuano ad essere esposti al rischio di pesanti multe, qualora, seppure in buona fede, vengano emessi assegni con importi superiori al limite di 1.000 euro senza la clausola di non trasferibilità;

   è evidente che le criticità con cui è stata recepita la normativa europea per contrastare la circolazione illecita del denaro per fini di finanziamento delle attività terroristiche o per riciclaggio delle attività criminali, stanno danneggiando i cittadini che si trovano ad essere ingiustamente accusati di riciclaggio;

   sul punto, si evidenzia che, nel mese di febbraio 2018, è stato emesso un parere della VI commissione finanze e tesoro della Camera dei deputati, in sede di esame dell'atto di Governo n. 504 recante schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva (UE) 2016/2258 che modifica la direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda l'accesso da parte delle autorità fiscali alle informazioni in materia di antiriciclaggio; lo stesso ha messo in luce la sproporzione del sistema sanzionatorio del decreto legislativo n. 90 del 2017, sollecitandone un adeguamento all'entità e alla tipologia della violazione commessa, soprattutto, per quanto concerne le operazioni di importo esiguo –:

   quali siano gli orientamenti del ministro sui fatti esposti in premessa e se e quali iniziative intenda adottare al fine di modificare il sistema sanzionatorio previsto dal decreto legislativo n. 90 del 2017, considerando l'evidente sproporzione delle sanzioni già irrogate ai cittadini;

   se e quali iniziative di competenza intenda adottare anche normative al fine di mettere a conoscenza adeguatamente i cittadini dell'obbligo della clausola di non trasferibilità per assegni bancari e postali emessi per importi pari o superiori al limite di 1.000 euro, come previsto dalla normativa antiriciclaggio, anche prevedendo tale obbligo informativo per le banche e gli istituti di credito nei confronti dei loro clienti.
(5-00254)


   MARCO DI MAIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   si apprende come riportato anche dagli organi di informazione che la commissione tributaria provinciale di Forlì ha accolto il ricorso dell'Eni avverso al pagamento dell'Imu per le piattaforme ubicate al largo delle coste di Cesenatico;

   la motivazione è che un impianto situato in acque costiere non risulta accatastabile e, conseguentemente, assoggettabile a tributi comunali, ciò nonostante una seconda sentenza della Corte di cassazione dell'ottobre 2017 che ribadiva i principi della precedente;

   la Corte di cassazione, infatti, con la sentenza n. 3618/2016 aveva definito chiaramente l'imponibilità di tutti i fabbricati siti nel territorio dello Stato comprese le costruzioni sospese o galleggianti stabilmente assicurate al suolo (articolo 4 del regio decreto-legge n. 652 del 1939);

   il mancato introito per le casse comunali è di tre milioni e 800 mila euro per gli anni 2014-2015 periodi su cui era stato formulato il ricorso;

   si fa presente che l'Eni ha regolarmente pagato l'Imu per gli anni 2012 e 2013 e in riferimento al biennio precedente aveva proceduto al pagamento dell'allora Ici ritirando il ricorso alla vigilia dell'udienza;

   sorprende la decisione della commissione tributaria anche in riferimento ad alcuni giudizi in sede giurisdizionale;

   la legge di bilancio 2018, la legge n. 205 del 2017, all'articolo 1, comma 728, ha invece sancito con norma interpretativa autentica che: «Le deposizioni di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992. n. 504. all'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nonché all'articolo 1, commi 639 e seguenti, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, si interpretano, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, nel senso che per i manufatti ubicati nel mare territoriale destinati all'esercizio dell'attività di rigassificazione del gas naturale liquefatto, di cui all'articolo 46 del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, aventi una propria autonomia funzionale e reddituale che non dipende dallo sfruttamento del sottofondo marino, rientra nella nozione di fabbricato assoggettabile ad imposizione la sola porzione del manufatto destinata ad uso abitativo e di servizi civili»;

   quindi si considerano assoggettabili ad imposte comunali (Imu ed Aci) anche manufatti situati in acque territoriali;

   risulta ad avviso dell'interrogante sorprendentemente anomalo anche il comportamento di Eni che in altre realtà come Termoli e Vasto paga regolarmente l'Imu in assenza di alcun contenzioso con le commissioni tributarie locali;

   si tratta di una evidente anomalia che però rischia di pesare in maniera rilevante sulle casse comunali e sui cittadini di Cesenatico –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e se non ritenga di assumere, per quanto di competenza, iniziative volte ad approfondire il merito della questione attinente al pagamento dell'Imu sulle piattaforme citate e dare attuazione al citato articolo 1, comma 728, della legge di bilancio 2018, n. 205 del 2017, ponendo termine ad un contenzioso tributario avviato da numerosi anni tra concessionari di impianti in acque territoriali e comuni costieri, evitando ingiustificate penalizzazioni a danno degli enti locali interessati.
(5-00259)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FOTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   in ragione anche di una serie di fallimenti di cooperative soprattutto edili, tra Reggio-Emilia, Parma e Piacenza, che ha coinvolto quasi 5.000 famiglie e compromesso decine di milioni di euro di risparmi, Banca Italia ha emanato l'8 novembre 2016, con entrata in vigore il 1° gennaio 2017, nuove disposizioni per la raccolta del risparmio dei soggetti diversi dalle banche, tra le quali quelle afferenti la raccolta di risparmio presso i soci da parte delle cooperative (il cosiddetto «prestito sociale»);

   il prestito sociale vale in Italia circa 12 miliardi di euro, dei quali oltre 9 affidati alle cooperative di consumo (quelle dei supermercati) e i restanti alle altre cooperative, ad esempio quelle edili o agricole;

   anche il Parlamento è intervenuto a disciplinare il prestito sociale, approvando un'apposta normativa (articolo 1, commi 238, 239, 240, 241 e 242, della legge 27 dicembre 2017, n. 205) entrata in vigore il 1° gennaio 2018;

   il predetto comma 240, tra l'altro, recita: «Con delibera da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR) definisce i limiti alla raccolta del prestito sociale nelle società cooperative e le relative forme di garanzia», e specifica di seguito i criteri cui il predetto comitato deve attenersi –:

   se corrisponda al vero che il citato comitato non abbia ad oggi adottato la delibera indicata nel predetto articolo 1, comma 240, della legge n. 205 del 2017 la qual cosa preclude al Ministro dello sviluppo economico, ai sensi del successivo comma 241, di adottare il decreto che definisce «forme e modalità del controllo e del monitoraggio in ordine all'adeguamento e al rispetto delle prescrizioni in materia di prestito sociale da parte delle società cooperative di cui al comma 240, lettera c).»;

   se e quali iniziative il Governo intenda assumere al riguardo, per quanto di competenza, tenuto conto che l'urgenza di provvedere è data dalla necessità di adeguatamente tutelare i soci che erogano i prestiti alle varie cooperative.
(4-00846)


   BIGNAMI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   la valutazione catastale delle piattaforme petrolifere è un tema complesso, come si evince anche da alcune sentenze della Corte di cassazione (sentenze nn. 13794/2005 e 3618/2016) che hanno riconosciuto la competenza territoriale del comune «frontista» sugli immobili realizzati e stabilmente infissi al suolo marino entro le 12 miglia marine;

   la sentenza n. 3618 del 24 febbraio 2016, nel confermare la competenza territoriale del comune come soggetto attivo d'imposta per le acque antistanti il proprio territorio, ha affermato che tutti i fabbricati siti nel territorio dello Stato sono imponibili ai fini Ici/Imu indipendentemente dalla loro iscrizione catastale;

   la stessa sentenza ha affermato che, ai sensi degli articoli 1 e 4 del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito con modificazioni dalla legge n. 1249 del 1939, i fabbricati da accatastare sono anche le costruzioni sospese o galleggianti stabilmente assicurate al suolo demaniale marino in quanto dotati di autonomia funzionale e reddituale;

   la Corte ha osservato, inoltre, che le piattaforme petrolifere costituiscono un cespite economico produttivo di reddito indipendente ed autonomo rispetto alle centrali a terra e, in quanto tale, se fosse accatastato andrebbe in categoria D/7 ma, in mancanza di accatastamento, la base imponibile è costituita dal valore di bilancio secondo i criteri stabiliti nel penultimo periodo del comma 3 dell'articolo 7 del decreto-legge n. 333 del 1992, recante «misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica»;

   i princìpi giuridici che derivano dalla suddetta sentenza creano un precedente al quale si sono richiamate molte amministrazioni italiane ove insistono le piattaforme per l'estrazione di idrocarburi e ciò ha generato un rilevante contenzioso tra le società proprietarie e i comuni che hanno richiesto alle stesse il pagamento dell'imposta sugli immobili;

   la Corte di cassazione ha confermato tale orientamento con due ulteriori pronunce – nn. 19509 e 19510 del 30 settembre 2016, nelle quali ha ribadito la soggezione ad Ici «di piattaforme petrolifere/estrattive oggetto di provvedimenti statuali di concessione di coltivazione mineraria in specchio acqueo frontistante la costa e ricompreso in un determinato territorio comunale»;

   nella risposta ad un'interrogazione parlamentare n. 5-08070, presentata alla Camera nel marzo 2016, il Ministro dell'economia e delle finanze ha evidenziato che «la questione dell'assoggettabilità all'Imu e all'Ici delle piattaforme petrolifere presenta diverse problematiche, come quella dell'individuazione del soggetto attivo del tributo e della determinazione della base imponibile, tenendo conto dei valori contabili, che non appaiono risolvibili in via interpretativa attraverso la semplice applicazione dei princìpi della sentenza n. 3618 del 2016, la cui soluzione, invece, andrebbe ricercata in via normativa»;

   la legge 27 dicembre 2017, n. 205, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020», all'articolo 1, comma 728, elenca le discipline fiscali per le quali opera un'interpretazione autentica, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, da applicarsi ai manufatti ubicati nel mare territoriale destinati all'esercizio dell'attività di rigassificazione del gas naturale liquefatto; sebbene la norma interpretativa abbia chiarito l'applicabilità dell'Imu rigassificatori ubicati nel mare territoriale, la stessa non affronta la problematica analoga che interessa le piattaforme petrolifere per le quali la Corte di cassazione è intervenuta con varie sentenze sostenendo la classificabilità nelle categorie D/7 di questi immobili e quindi l'assoggettabilità a Imu –:

   se, alla luce delle sentenze citate in premessa, il Ministro interrogato intenda assumere iniziative, anche normative, per chiarire se vi sia assoggettabilità o meno delle piattaforme petrolifere italiane all'imposta in questione.
(4-00852)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta orale:


   SILVESTRONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il 15 gennaio 2018 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 17 del 27 febbraio 2018 – 4a serie speciale) il concorso pubblico, per esame, a 1220 posti di allievo agente del corpo di polizia penitenziaria maschile e femminile;

   con decreto del 19 dicembre 2017, pubblicato sul sito istituzionale del Ministero della giustizia, è stata approvata la graduatoria del concorso pubblico per titoli ed esami a complessivi 300 posti (elevati a 424) di allievo agente del corpo di polizia penitenziaria maschile, riservato ai volontari in ferma prefissata di un anno (VFP1) o quadriennale (VFP4), ovvero in rafferma annuale delle forze armate, indetto con Pdg 19 giugno 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – 4a Serie Speciale – «Concorsi ed Esami» del 28 luglio 2015, n. 57;

   il 19 dicembre 2017 i candidati classificati in graduatoria dal posto n. 1 al posto n. 424 sono stati dichiarati vincitori del concorso in argomento ed avviati, in relazione alle autorizzazioni intervenute, al 173° corso di formazione, con inizio il 28 dicembre 2017;

   l'11 luglio 2018 alle audizioni delle Commissioni giustizia di Senato e Camera il Ministro interrogato ha esposto le linee programmatiche che impronteranno l'attività del Dicastero della giustizia annunciando che lo scorrimento delle graduatorie avverrà a settembre 2018;

   dalla data di tale annuncio, nulla di ufficiale è avvenuto, mentre permettere l'entrata in servizio dei circa 300 idonei da concorso sarebbe un segnale importante per prevenire ulteriori episodi di violenza a scapito dei pochi agenti in servizio negli istituti penitenziari, soprattutto quelli in forza al carcere di Velletri;

   al momento tale esclusione rischia di configurare una disparità di trattamento tra gli allievi agenti di polizia penitenziaria vincitori dei concorsi sopra ricordati e gli allievi agenti (dotati del medesimo status di «VFP4 interforze») vincitori dei concorsi banditi negli ultimi anni nella polizia di Stato, nell'Arma dei carabinieri, nella Guardia di finanza e nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco;

   per quiescenza numerica annuale e per criticità nelle piante organiche, la polizia penitenziaria concentra la più alta percentuale di carenza di personale, stimabile in circa 8.000 unità, e genera gravissime ricadute sulla sicurezza negli ambienti penitenziari –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, se essi trovino conferma e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative, anche normative, intenda assumere per superare la fase critica degli istituti penitenziari;

   se il Ministro interrogato ritenga o meno, indispensabile adottare, con urgenza, iniziative che autorizzino l'assunzione degli allievi agenti di polizia penitenziaria vincitori della procedure concorsuale n. 57 del 28 luglio 2015 per scorrimento delle graduatorie.
(3-00112)


   ZANETTIN. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   nei giorni scorsi è stato presentato uno studio di Confartigianato Veneto sullo stato della giustizia nel distretto di corte d'appello di Venezia, caratterizzato, come noto a tutti, da un tessuto industriale assai vivace;

   i dati sono allarmanti;

   nonostante l'aumento tabellare degli organici avvenuto negli ultimi anni, il distretto di corte di appello di Venezia mantiene un gap significativo per carenza di magistrati, rispetto alla media nazionale;

   il numero di abitanti per ogni giudice ordinario, o onorario, che si occupa di civile, effettivamente in servizio, è di 20.707;

   tale dato è superiore del 31,6 per cento rispetto alla media nazionale, con la punta del tribunale di Treviso che ha un rapporto di 24.610 abitanti per ogni giudice (+ 56,4 per cento rispetto al dato nazionale);

   per quanto riguarda invece la corte di appello di Venezia, il numero di consiglieri assegnati, pari a 51, è assolutamente inadeguato, rispetto alle dotazioni medie di magistrati assegnati alle altre corti di appello del Paese,

   se si considerano le cause pendenti nel 2017, pari a 26.971 affari, l'organico dei consiglieri, rispetto alla media nazionale, dovrebbe essere addirittura aumentato di 20 unità;

   per fare un confronto, ogni consigliere della corte di appello di Venezia ha in carico, mediamente, 528 fascicoli pendenti, contro i 165 di un consigliere della corte di appello di Milano ed i 319 di un consigliere della corte di appello di Torino;

   è una disparità assolutamente ingiustificata ed inaccettabile;

   peraltro, i dati statistici del Ministero della giustizia dicono che la produttività individuale dei magistrati veneti è tra le più alte in Italia;

   note dolentissime giungono anche riguardo il personale amministrativo;

   nel distretto di corte di appello di Venezia si registra, al 20 luglio 2018, una scopertura complessiva di 244 unità corrispondente al 23 per cento del totale;

   le inefficienze in campo giudiziario creano un danno enorme, che si stima pari a circa il 2-3 per cento del Pil;

   vi è quindi la necessità di operare una nuova revisione degli organici, ma anche un reclutamento straordinario di nuovi magistrati, perché altrimenti i bandi andranno deserti –:

   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per consentire al distretto della corte di appello di Venezia di ottenere dotazioni di personale amministrativo, quantomeno in linea con gli altri distretti del Paese e per garantire la sua piena funzionalità.
(3-00116)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PASTORINO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

  i «precari della giustizia» sono i lavoratori che da maggio 2010 svolgono tirocini formativi negli uffici giudiziari. Il loro percorso inizia con la stipula di convenzioni, finanziate con fondi sociali europei, tra le amministrazioni giudiziarie e gli enti locali finalizzata, da un lato, a tamponare la gravissima carenza di organico e garantire la prosecuzione delle attività giudiziarie e, dall'altra, a dar vita ad una serie di politiche attive del lavoro per promuovere l'occupazione, l'inserimento e il reperimento lavorativo;

   i presidenti delle corti di appello, i procuratori, i presidenti dei tribunali e, su tutti, il presidente della Corte di Cassazione e il procuratore generale mostrano apprezzamento e stima richiedendo continuità al Ministero, viste le competenze acquisite dai tirocinanti nei ventiquattro mesi di formazione e vista la situazione sempre più critica degli uffici giudiziari;

   nel 2012 si apre una nuova stagione in cui il Ministero prende coscienza del bacino di lavoratori formati e capaci di dare il giusto supporto al personale di ruolo oberato da eccessivi carichi di lavoro. Nel 2013 viene inserito nella legge n. 228 del 2012 un finanziamento di 7,5 milioni di euro per una platea di poco più di 3000 lavoratori, per proseguire la formazione, cosiddetto «tirocinio di completamento», direttamente alle dipendenze del Ministero della giustizia, con pagamento delle indennità in maniera diretta dalle corti d'appello;

   nella legge di stabilità per il 2014 è previsto uno stanziamento di 15 milioni di euro che dà vita al cosiddetto «tirocinio di perfezionamento». Nel decreto-legge milleproroghe convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2015 n. 11, si stabilisce che: «All'articolo 37, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, le parole: “31 dicembre 2014” sono sostituite dalle seguenti: “30 aprile 2015”. Al relativo onere si provvede mediante l'utilizzo delle risorse del fondo unico giustizia di cui all'articolo 2, comma 7, lettera b), del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181»;

   il decreto-legge n. 83 del 2015 prevede la possibilità di inserire nel costituendo istituto dell’«ufficio del processo» i lavoratori in tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari che hanno svolto il periodo di perfezionamento di cui al suddetto articolo 37, con possibilità di avere titolo preferenziale, a parità di merito, nei concorsi pubblici;

   inoltre, la legge 11 dicembre 2016, n. 232, prevede il proseguimento per il 2017 dei tirocini presso l'ufficio per il processo per coloro che hanno completato nel 2016 il tirocinio formativo presso tale ufficio. Ugualmente, la legge 27 dicembre 2017, n. 205, sancisce il proseguimento per il 2018 dei tirocini presso l'ufficio per il processo per coloro che abbiano completato il tirocinio nel 2017;

   ad oggi si parla di circa 900 lavoratori che da più di 6 anni stanno lavorando per il Ministero della giustizia e attualmente ricevono unicamente un rimborso spese mensile di 400 euro –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per detti lavoratori e se si intendano rinnovare i suddetti tirocini per l'anno 2019;

   se ritenga sia praticabile un percorso di contrattualizzazione di tutti i lavoratori tirocinanti della giustizia in qualità di operatori giudiziari, ampliando le assunzioni già previste con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 aprile 2018 e valorizzando in tal modo le competenze acquisite con l'esperienza di questi anni.
(4-00840)


   PASTORINO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   con sentenza del 16 novembre 2016 il Comitato europeo dei diritti e delle uguaglianze sociali, su ricorso dell'Associazione nazionale giudici di pace, ha accolto il reclamo n. 103 del 2013, accertando la discriminazione nei confronti dei giudici di pace e la violazione da parte dell'Italia del combinato disposto dell'articolo 12, paragrafo 1, con l'allegato E della Carta sociale europea e ha sancito il diritto al riconoscimento della sicurezza sociale a questa magistratura, rilevando che le funzioni di giudice di pace sono funzionalmente equivalenti a quelle dei magistrati di ruolo, con ogni conseguenza;

   nel giugno 2015 la Commissione europea ha chiuso negativamente per l'Italia l'Eu Pilot n. 7779/15/EMPL, con cui ha sollecitato l'Italia a uniformarsi ai principi europei: riconoscendo un periodo ferie annuali retribuite e il congedo di maternità; adottando misure atte a prevenire eventuali abusi di successioni nei contratti di lavoro a tempo determinato; superando la disparità di trattamento con i magistrati professionali in tema di retribuzione, di indennità di fine rapporto e di regimi di sicurezza sociale;

   31 maggio 2018 il Parlamento europeo, nella risoluzione adottata in sede plenaria, ha deliberato che gli Stati membri devono porre fine a pratiche di lavoro precario e garantire parità di retribuzione e di lavoro;

   la Corte di giustizia dell'Unione europea, con sentenza del 12 dicembre 2013 (causa C-361/12), ha espressamente dichiarato «l'illegittimità della legislazione italiana in materia di precariato pubblico». Inoltre, lo status giuridico del giudice di pace in Italia contrasta con la sentenza della Corte di giustizia (causa C-212/04), con l'articolo 5 del decreto legislativo n. 368 del 2001, con le direttive 97/81/CE e 1999/70/CE nonché con i principi di diritto enunciati dalla Corte di giustizia (C-393/10);

   attualmente è pendente dinanzi alla Corte di giustizia europea il procedimento (causa C-472/17) relativo all'accoglimento di pregiudiziali presentato dalla magistratura di pace e finalizzato all'applicazione del diritto comunitario;

   alla legge delega n. 57 del 2016, riforma della magistratura onoraria, è stata data parziale attuazione con il decreto legislativo n. 92 del 31 maggio 2016. Quanto ai magistrati onorari in servizio e nella disciplina transitoria, il predetto decreto ha inopinatamente e ulteriormente abbassato il limite di età da 70 anni, peraltro coincidente con l'età pensionabile, a 68 anni con l'immediata e repentina cessazione dal servizio di moltissimi magistrati di pace e di molti altri ancora, con conseguente dispersione delle professionalità ed esperienze acquisite, se non si porrà immediatamente rimedio;

   nonostante nel «contratto di governo» (punto 12) si ribadisca la volontà di modificare profondamente la suddetta riforma, gli effetti di questa continuano a dispiegarsi negli uffici giudiziari generando confusione di ruoli e funzioni, stante anche il diverso trattamento economico, tra giudici onorari di tribunale e giudici di pace –:

   se intenda assumere iniziative per risolvere la procedura di infrazione che ha portato alle condanne delle istituzioni e degli organi giurisdizionali europei e alla chiusura negativa dell'istruttoria da parte della Commissione europea citate in premessa;

   quali iniziative intenda adottare a tutela dei giudici di pace che da tempo operano senza garanzie né guarentigie, evitando che per il prossimo futuro debbano vedersi costretti a richiedere la tutela giurisdizionale per far valere i propri diritti, anche all'esito delle risoluzioni europee, con conseguente notevole dispendio di risorse statali;

   se ritenga di assumere iniziative per uniformarsi alle pronunce della Corte di giustizia e del Comitato europeo dei diritti sociali trasformando il rapporto di lavoro dei giudici di pace a tempo indeterminato e modificando il limite di età della cessazione delle funzioni dei magistrati onorari elevandolo a 70 anni.
(4-00844)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MICELI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   l'Anas gestisce direttamente dieci tratte autostradali – comprensive di diramazioni e raccordi –, tra cui la A19 Palermo-Catania e la A29 Palermo-Mazara del Vallo, per un totale di circa 425 chilometri e il Consorzio per le autostrade siciliane gestisce tre tratte autostradali: la A18 nella tratta Catania-Messina e in quella Siracusa-Gela (completa solo per il 30 per cento fino a Rosolini) e la A20 Palermo-Messina, per un totale di circa 390 chilometri;

   secondo i dati disponibili, i lavori di manutenzione straordinaria sui tratti di gestione diretta sono in totale 22 ed interessano, a vario titolo, 318 dei 425 chilometri della rete a gestione Anas e la sola A19 nella tratta Palermo-Catania ha, secondo il piano dell'Anas per l'esodo estivo 2018, 13 cantieri inamovibili in 80 chilometri che rendono pericoloso, oltre che ritardano, il percorso che collega le due principali aree metropolitane siciliane;

   sulla A19 Palermo-Catania, in prossimità della galleria Tremonzelli, nei giorni scorsi sono tornati a ripetersi anomalie, incidenti e malfunzionamenti che, da anni, interessano auto, moto e mezzi pesanti, tra cui il recente improvviso incendio di un mezzo; si rileva inoltre che né Anas, né Arpa Sicilia riescono a trovare spiegazioni a questi eventi singolari e pericolosi;

   milioni di pendolari, lavoratori, autotrasportatori e turisti percorrono ogni giorno le autostrade siciliane malgrado le condizioni di obsolescenza e vetustà delle stesse, specie se rapportate alle condizioni della rete autostradale della penisola;

   il cosiddetto «Contratto per il governo del cambiamento» non menziona affatto alcuna misura volta ad implementare la qualità delle reti autostradali su tutto il territorio nazionale, né su quello di specifiche aree regionali – come quella siciliana – che versano in una condizione di sottosviluppo infrastrutturale;

   non sembra rientrare nell'agenda di Governo la possibilità di dar vita al cosiddetto «Corridoio Palermo-Napoli» che prevedrebbe il prolungamento della A2 Salerno-Reggio Calabria attraverso l'adeguamento delle infrastrutture esistenti sul territorio siciliano e l'implementazione dei collegamenti (anche mediante il cosiddetto Ponte sullo Stretto) tra Sicilia e Calabria –:

   se e quali iniziative urgenti, alla luce dei crescenti disagi sopra richiamati, saranno adottate al fine di assicurare l'esecuzione dei lavori già in atto presso le arterie autostradali gestite da Anas e quali eventuali investimenti le interesseranno;

   quando sarà reso noto il calendario di completamento delle opere di manutenzione – ordinaria e straordinaria – che interessano le tratte gestite dal Cas;

   se e quali iniziative intenda porre in essere il Governo, per quanto di competenza, al fine di accertare le ragioni delle anomalie e degli incidenti che si verificano in prossimità della galleria Tremonzelli;

   se e quali interventi di progettazione saranno attuati per implementare l'intera rete autostradale siciliana con ulteriori nuove tratte, con particolare riferimento alla possibilità di creare il cosiddetto corridoio Palermo-Napoli.
(5-00257)


   FERRI e ROTTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il comune di Capalbio è attraversato dalla strada statale Aurelia, il cui tracciato, per la maggior parte a due corsie e con decine di incroci «a raso», in presenza di un solo cavalcavia e di attraversamenti ad altissima densità totalmente privi dei minimi requisiti di sicurezza, è caratterizzato da tassi di incidentalità e di mortalità elevatissimi;

   il tratto in questione costituisce il lotto 5 di quella che avrebbe dovuto essere l'autostrada Tirrenica (A 12);

   nel maggio 2017 l'Italia era stata deferita alla Corte di giustizia dell'Unione europea per la violazione della Direttiva comunitaria 2004/18/CE, proprio con riferimento alla proroga della concessione per il completamento e la gestione dell'A 12 rilasciata a SAT nel 2009;

   il Parlamento ha ratificato nell'aprile del 2017, il Documento di economia e finanza, approvato dal Consiglio dei ministri dell'11 aprile 2017, il quale prevedeva espressamente che l'intero progetto dell'autostrada Tirrenica venisse inserito tra gli «interventi soggetti ad una project review con valutazione delle possibili alternative, inclusa la riqualifica dell'attuale infrastruttura extraurbana principale»: era stato, dunque, considerato più conveniente in termine di impegno di risorse finanziarie, nonché più sicuro ed ecologicamente compatibile, optare per un progetto di adeguamento della strada statale Aurelia in ordine all'utilità, ai costi ed all'accessibilità del territorio;

   attualmente però, anche in ragione dell'insediamento del nuovo Governo, la situazione relativa al progetto di adeguamento pare in fase di stallo, nonostante i fondi siano già stati stanziati ed erogati ad Anas –:

   quale sia lo stato di avanzamento e di attuazione del progetto relativo all'adeguamento della strada statale Aurelia in qualità di strada di tipo B (extraurbana principale, da estendere anche al Lotto 5 A) e se siano state rese disponibili le risorse finanziarie stanziate per tale adeguamento;

   se il Ministro interrogato non ritenga, di dover individuare tempestivamente soluzioni di immediata realizzazione che, contemporaneamente, mettano in sicurezza le persone che percorrono quel tratto stradale e tutelino il territorio.
(5-00264)


   VIANELLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la strada statale 100, in base al rapporto sull'incidentalità redatto dall'Agenzia regionale per la mobilità nella regione Puglia, nel 2016 figura tra le strade più incidentate, con 59 sinistri, 2 decessi e 108 feriti. Il tratto che attraversa l'agro di Gioia del Colle e Mottola è addirittura uno dei più incidentati della regione: dal 2014 al 2015 si sono verificati 28 incidenti, di cui 12 in territorio di Gioia del Colle e 16 a Mottola, con 54 feriti e 2 decessi. L'indice di mortalità è pari al 12,5 per cento;

   anche per il nuovo piano regionale dei trasporti (Prt 2015-2019) la strada statale 100 vanta il drammatico dato del più alto numero di incidenti stradali mortali, circa il 5 per cento del totale regionale;

   il 28 febbraio 2018, il Cipe ha approvato l’addendum al Piano operativo «Infrastrutture» del Ministero delle infrastrutture, con assegnazione di ulteriori risorse pari a 935 milioni di euro (FSC 2014-2020). L'importo di 24,5 milioni di euro sarebbe destinato al completamento funzionale e alla messa in sicurezza della strada statale 100;

   sono previsti interventi per garantire la sicurezza stradale nel tratto tarantino. In particolare, si prevede il completamento funzionale e la messa in sicurezza della strada statale 100 tra i chilometri 44,700 e 52,600, con sezione di tipo B e ripristino delle rampe di collegamento diretto tra il tratto terminale della viabilità autostradale non pedaggiato e la strada statale 106 dir;

   si tratta del completamento, in territorio di Palagiano, dell'opera infrastrutturale delle due rampe di innesto sulla strada statale 106 dir-A14, per la quale già sono stati fatti gli espropri e già esistono i consolidamenti per realizzare le rampe medesime;

   detto intervento, in tempi brevi e con scarse risorse, faciliterebbe la percorribilità verso la strada statale 106 per chi proviene da nord della A14 e agevolerebbe chi arriva dalla strada statale 106 per immettersi nella A14 in direzione nord, riducendo chilometri di percorrenza e innesti, evitando, in tal modo, di intasare la strada statale 100, nell'attesa che vengano realizzati i lavori di ammodernamento della stessa, contribuendo alla sicurezza sulla medesima e consentendo di realizzare un collegamento, interamente su viabilità extraurbana principale, sino al porto di Taranto inserito nella rete transeuropea di trasporto globale TEN-T –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare al fine di garantire il completamento funzionale e la messa in sicurezza della strada statale 100 tra i chilometri 44,700 e 52,600, con sezione di tipo B e il completamento dell'opera infrastrutturale delle due rampe di innesto sulla strada statale 106 dir-A14, precisandone i tempi e i finanziamenti disposti.
(5-00265)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   l'intervento di costruzione della direttrice Civitavecchia-Orte-Terni-Rieti rientra negli itinerari della legge obiettivo n. 443 del 2001 ed è stato inserito nel piano straordinario Anas 2003;

   il relativo progetto definitivo per appalto integrato n. 1585 del 19 marzo 2003 è stato approvato con delibera del consiglio di amministrazione n. 42 del 17 aprile 2003 per l'importo complessivo di euro 234.740.561,80 e trasmesso al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per l'ulteriore inoltro al Cipe che, con delibera n. 131 del 19 dicembre 2003 pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 105 del 6 maggio 2004, ha approvato il progetto anche ai fini della dichiarazione di pubblica utilità;

   all'esito delle procedure di gara, con dispositivo del presidente dell'Anas, prot. n. 10692 del 25 maggio 2005, è stato approvato e finanziato il progetto, secondo il quadro economico complessivo dell'appalto aggiornato sulla base dell'offerta formulata dall'impresa;

   come si apprende dalla stampa online (http://corrieredellumbria.corr.it), «Proseguono le verifiche da parte dei tecnici specializzati dell'Anas all'interno della galleria “Valnerina”, lungo la strada statale 79 bis “Ternana”, dopo che lo scorso 9 febbraio era stata rilevata un'anomalia nella funzionalità di una porzione della soletta che delimita la sezione superiore del tunnel, dedicata al passaggio delle condotte di aereazione, nonché al transito pedonale in caso di manutenzione o evacuazione. Dai risultati degli esami finora condotti è emersa la necessità di intervenire su ulteriori sezioni della soletta al fine di assicurarne la completa funzionalità e prevenire possibili anomalie anche sulle porzioni al momento non interessate. Le cause delle anomalie rilevate sono in corso di accertamento. Al momento non si esclude la possibilità che possano essere collegate a fenomeni originati dal sisma. I controlli, che proseguono tuttora, sono condotti da tecnici con l'ausilio di laboratori specializzati nella diagnostica e sono funzionali anche alla definizione delle migliori soluzioni tecniche al fine di completare la progettazione degli interventi di ripristino per poi affidare l'esecuzione dei lavori a un'impresa specializzata. È allo studio una soluzione che possa consentire l'esecuzione dei lavori in più fasi, in modo da contenere i tempi di chiusura al traffico della galleria, tempi che potranno essere in ogni caso definiti una volta completata la progettazione. Al momento è possibile prevedere la riapertura in estate» –:

   se l'intera tratta sia stata completata;

   a quanto ammonti l'importo base per i lavori inclusi nell'appalto di cui in premessa e quale sia l'importo complessivo della spesa fino al completamento dei lavori e nel caso di un aumento dei costi dell'opera, quali siano i motivi che hanno determinato tale incremento.
(4-00820)


   ROSATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 83 del codice della navigazione attribuisce al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti la facoltà di decretare una limitazione o il divieto di transito e sosta di navi mercantili nel mare territoriale, per motivi di ordine pubblico e di sicurezza della navigazione;

   nel corso del mese di giugno 2018, il Ministro dell'interno, in più occasioni, ha pubblicamente annunciato l'intenzione del Governo di vietare l'attracco nei porti italiani delle navi delle organizzazioni non governative o mercantili che hanno salvato migranti in mare, in ragione delle norme del diritto internazionale;

   il 29 giugno 2018, quindi, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha diramato una nota alle agenzie di stampa con la quale si annunciava l'adozione di tale decreto di divieto di sosta e ingresso nelle acque territoriali delle imbarcazioni Open Arms e Astral di proprietà dell'organizzazione non governativa Proactiva;

   il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti viene motivato da ragioni di «ordine pubblico», e viene citata la nota del capo di gabinetto del Ministero dell'interno che segnalava l'impossibilità di «escludere riflessi sull'ordine pubblico derivanti dall'accoglimento dell'istanza» di accesso al porto presentata da tale organizzazione non governativa;

   da un'inchiesta apparsa sul settimanale L'Espresso, sembrerebbe che tale decreto di divieto di transito e sosta non sia stato mai realmente adottato, nonostante la nota faccia inequivocabilmente riferimento alla procedura di cui all'articolo 83 del codice della navigazione;

   si legge nell'inchiesta de L'Espresso: «La conferma arriva il 23 luglio scorso dal Comando generale delle Capitanerie di porto, in risposta a una richiesta di accesso agli atti di Open Arms: “Non risulta che sia stato adottato, nel caso indicato, alcun provvedimento ministeriale ai sensi dell'articolo 83 del Codice della navigazione” precisa il capo del terzo reparto, contrammiraglio Sergio Liardo. Nessun problema di ordine pubblico. Nessun decreto del Ministro. La Guardia costiera italiana esclude anche che sia stato firmato qualsiasi altro provvedimento di interdizione “del mare o degli ambiti portuali” nei confronti di navi della Ong Proactiva» –:

   se corrisponde al vero che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti non abbia mai adottato un provvedimento formale ai sensi dell'articolo 83 del codice della navigazione, e, in caso contrario, per quali ragioni questo non risulti dall'accesso agli atti chiesto dall'organizzazione non governativa, come sopra evidenziato;

   per quali ragioni il Ministro interrogato abbia diramato una nota nella quale si annunciava come già adottato un provvedimento formale che non risulta esser mai esistito;

   se la nota in questione, pur in quella che l'interrogante giudica la sua inefficacia amministrativa sia stata utilizzata da qualche Amministrazione dello Stato per condizionare il comportamento di soggetti privati, e in caso affermativo, quali soggetti hanno subito tale condizionamento e che cosa ha comportato.
(4-00829)


   MURONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   nel 2017 il numero dei pendolari che usano il servizio ferroviario è aumentato con una crescita di 11 mila passeggeri al giorno, +0,4 per cento rispetto al 2016;

   in particolare, sono 2 milioni e 841 mila pendolari che usufruiscono del servizio ferroviario, e oltre 2 milioni e 672 mila quelli che ogni giorno prendono le metropolitane;

   a fronte di questo aumento si evidenzia che sette anni fa, prima dei tagli, circolava il 6,5 per cento di treni regionali in più e il 2 per cento di treni Intercity a fronte di un aumento dei collegamenti veloci, come per esempio le 50 corse al giorno di Frecciarossa e le 25 corse di Italo da Roma a Milano, per un aumento dell'offerta del 78,5 per cento dei treni in circolazione in 7 anni, con un treno ogni 10 minuti negli orari di punta. Eppure i viaggiatori che beneficiano dei servizi ad alta velocità sono 170.000 contro i circa tre milioni di pendolari che si spostano ogni giorno sulle linee ordinarie dove la situazione non vede miglioramenti;

   si evidenzia, inoltre, che le risorse messe a disposizione per il servizio ferroviario regionale è diminuito del 29,5 per cento rispetto al 2009;

   il problema del trasporto ferroviario non è solo la mancanza di una strategia di potenziamento complessivo, al di fuori dell'alta velocità, ma soprattutto la presenza di situazioni gravi e insopportabili, come quella che vivono, solo come esempio esplicativo, ogni giorno centinaia di migliaia di pendolari delle tratte: Roma-Lido, la Circumvesuviana, la Reggio Calabria-Taranto, la Verona-Rovigo, la Brescia-Casalmaggiore-Parma, l'Agrigento-Palermo, la Settimo Torinese-Pont Canavese, la Campobasso-Roma, la Genova-Savona-Ventimiglia, la Bari-Corato-Barletta. Queste sono le dieci linee ferroviarie peggiori d'Italia nel 2017 per i pendolari;

   leggendo questi dati emerge chiaramente che il servizio ferroviario invece di tagli avrebbe bisogno di maggiori risorse per migliorare la qualità del servizio, la vita dei pendolari e la qualità dell'aria, contribuendo concretamente alla riduzione delle emissioni di CO2 come previsto dall'accordo di Parigi –:

   se sia a conoscenza della situazione illustrata in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, anche a livello di pianificazione e programmazione, intenda assumere in merito.
(4-00830)


   CIRIELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   l'autostrada Napoli-Salerno (A3) è gestita dalla società Autostrade Meridionali, ente esercente concessionario di Autostrade per l'Italia, attraverso la convenzione con l'Anas;

   le convenzioni dell'Anas prevedono il potenziamento delle infrastrutture e quindi l'offerta di ottimi servizi per i viaggiatori;

   da segnalazioni di cittadini sembrerebbe che, all'uscita del casello autostradale di Cava de Tirreni, e quindi lungo la tratta Napoli-Salerno, sia attivo di sera un solo varco per il pedaggio telepass e pagamento automatico, mentre rimarrebbe disabilitato l'altro varco;

   a parere dell'interrogante questa scelta che determina un «risparmio» sul personale, andrebbe a creare ingorghi e inquinamento atmosferico;

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e considerata la gravità degli stessi, quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, per verificare se tale comportamento, che penalizza gli automobilisti, da parte del concessionario, sia autorizzato oppure configuri una violazione della concessione e se sia una pratica utilizzata ordinariamente anche in altri caselli della tratta.
(4-00832)


   DONZELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   nel 2012, nell'ottica del contenimento della spesa pubblica voluta dalla spending review del Governo Monti, l'ufficio di Prato della motorizzazione civile venne chiuso ed accorpato con quello di Firenze;

   a seguito di tale chiusura la motorizzazione si è trovata a vivere una situazione di carenza strutturale e di personale tecnico a fronte di una città, quella di Prato, terza per numero di abitanti nel centro Italia e fra i primissimi posti nella particolare statistica delle città più «motorizzate», intendendo con tale termine il rapporto fra abitanti e autoveicoli;

   di converso, anche le autoscuole pratesi vivono quindi da anni una situazione di grossa difficoltà, soprattutto per far fronte agli esami di guida. Gli esaminatori che arrivano da Firenze sono insufficienti e, proprio per sopperire a questo deficit, i titolari delle autoscuole cittadine avevano stipulato, un paio d'anni orsono, un accordo affinché gli esaminatori potessero arrivare anche da altre province, accollandosene in parte il costo, pur di garantire un servizio adeguato;

   da marzo 2018, a quanto risulta all'interrogante, è cambiato il dirigente Dgt (direzione generale territoriale), il quale ha rimesso in discussione il suddetto accordo per problemi legati al pagamento dell'indennità di trasferta all'esaminatore esterno, di cui in parte si facevano carico, come detto, proprio le autoscuole pratesi;

   il prefetto di Prato Rosalba Scialla aveva già sottoposto al Ministro pro tempore la necessità di riportare una sede della motorizzazione a Prato o quantomeno di uno sportello cittadino, ottenendo tuttavia una risposta negativa. In particolare, oltre che con l'invito alle autoscuole a implementare i servizi telematici per garantire un servizio più veloce al cittadino, il diniego veniva motivato con la supposta «idoneità della Motorizzazione di Firenze a servire l'attuale bacino di utenza», posto che, sempre secondo il Ministero, «al momento tale configurazione risulta la più rispondente alle esigenze complessive e in grado di garantire un servizio efficace, attesa anche la grave carenza di personale di cui soffre l'amministrazione»;

   il cambio di orientamento di marzo 2018 ha prodotto, dati alla mano, un netto peggioramento della situazione. La disponibilità alle trasferte da parte di esaminatori esterni si è drasticamente ridotta e di conseguenza si sono ridotte le sessioni di esami che sono passate dalle 55 di febbraio alle 18 di marzo 2018;

   confrontando i dati del periodo marzo luglio 2018 con quelle dello stesso periodo dell'anno scorso si rileva come il numero degli esami di guida effettuati rispetto alle richieste sia passato dal 97 per cento del 2017 al 56 per cento di quest'anno, (dati Copa);

   il ritardo nell'effettuazione degli esami si traduce in un aggravio dei costi per la cittadinanza. Tanti sono i giovani che rischiano di vedersi scadere il foglio rosa, che dura 6 mesi dopo l'esame di teoria, senza aver avuto la possibilità di effettuare l'esame pratico di guida. Le autoscuole hanno ottenuto una deroga per poter rilasciare un secondo foglio rosa della durata pari ad ulteriori 6 mesi in caso di impossibilità a svolgere l'esame nei tempi. Tuttavia, in questo caso c'è da ripetere la visita medica e sostenere le spese di istruttoria che in soldoni significa sborsare altri 150 euro –:

   se il Ministro interrogato abbia intenzione di rivedere le decisioni assunte dal precedente Governo, riattivando un ufficio o un distaccamento pratese della motorizzazione civile.
(4-00843)


   PASTORINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   i dati riportati dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, che monitora costantemente la situazione dei migranti nel Mediterraneo, è agghiacciante: dall'inizio di quest'anno i morti e dispersi in mare raggiungono la cifra di 1.477 persone;

   sono i numeri di una strage che, stante la situazione, non si fermerà. L'ultima tragedia che si sta consumando è quella della nave Sarost 5: dal 16 luglio 2018 l'imbarcazione ospita, oltre ai 14 membri dell'equipaggio, 40 migranti che erano stati intercettati in mare (a 90 miglia da Lampedusa, nella zona Sar maltese, dopo un guasto al motore dell'imbarcazione con cui erano partiti dalla Libia cinque giorni prima) e portati su una piattaforma petrolifera da cui la Sarost 5 li ha caricati a bordo. La motonave, di supporto logistico per le piattaforme offshore di gas, da oramai più di due settimane è in mezzo al mare;

   ai naufraghi, provenienti da diversi Paesi africani, dall'Egitto al Mali, dalla Nigeria alla Sierra Leone, né l'Italia né Malta, né la Francia hanno concesso l'autorizzazione allo sbarco. A quel punto, la Sarost 5 ha fatto di nuovo rotta verso il Nord Africa e si trova ferma al largo della Tunisia, che, ad oggi, non viene considerato dalla comunità internazionale un Place of safety, quello che, nella terminologia della legislazione navale, è inteso come posto sicuro dove trovare le necessarie attenzioni per chi viene recuperato in mare;

   migranti ed equipaggio, in tutto 54 persone, stanno condividendo le razioni di cibo rimaste nell'estenuante attesa di raggiungere la terra ferma. Lo stesso capitano ha dichiarato: «Non è possibile rimanere ancora alla deriva. Io devo sapere dove sbarcare questa gente». E ancora, il comandante in seconda, Aymen Ourari, a Euronews afferma: «Chiediamo una risposta su dove sbarcarli»;

   gli spazi sono ridotti, la nave non è attrezzata per i soccorsi e non c'è personale medico. Tra i migranti ci sono anche un uomo ferito e due donne incinte, una di sei mesi che ha bisogno di assistenza e una di poche settimane. Mongi Slim, medico del comitato tunisino della Mezzaluna rossa che mercoledì 25 luglio 2018 è salito a bordo, ha dichiarato: «Abbiamo chiesto almeno per loro una evacuazione immediata, ma senza ricevere risposta»;

   inoltre, il 25 luglio 2018 è stato pubblicato su L'Espresso un articolo dal titolo «Così il Ministro Toninelli ha mentito sulla chiusura dei porti», secondo il quale non è mai stato firmato il decreto necessario per la chiusura dei porti. Infatti, il 23 luglio 2018 il Comando generale delle Capitanerie di porto, in risposta a una richiesta di accesso agli atti di Open Arms, avrebbe affermato per voce del capo del terzo reparto, contrammiraglio Sergio Liardo, che: «Non risulta che sia stato adottato, nel caso indicato, alcun provvedimento ministeriale ai sensi dell'articolo 83 del Codice della navigazione» –:

   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti intenda fornire chiarimenti esaustivi in merito alla chiusura dei porti italiani, confermando se siano stati effettivamente chiusi attraverso la firma di un apposito decreto;

   nel caso in cui tale decreto non sia mai stato firmato, se trovi conferma la notizia circa la comunicazione di un divieto di attracco in porti italiani rivolto alla nave Sarost 5 e quali siano le motivazioni di tale impedimento;

   se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative a favore dell'equipaggio e dei migranti a bordo della Sarost 5, rispondendo agli appelli ad oggi inascoltati;

   quale sia la politica che il Governo intenda adottare, in merito all'emergenza migranti e quali siano i suoi orientamenti per evitare che altre persone muoiano in mare nel disperato tentativo di fuggire da guerre, povertà e devastazioni.
(4-00850)


   DEIDDA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   l'autorità di sistema portuale del Mare della Sardegna è un ente con personalità giuridica di diritto pubblico dotato di autonoma finanziaria e di bilancio, istituita ai sensi del decreto legislativo n. 169 del 2016, nella quale sono confluite le ex autorità portuali di Cagliari e di Olbia-Golfo Aranci;

   attualmente, la medesima autorità è presieduta dal Presidente professore avvocato Massimo Deiana, il quale è succeduto al precedente commissario straordinario, Roberto Isidori, a sua volta nominato con decreto ministeriale 30 ottobre 2015, n. 358;

   la dotazione organica complessiva dell'autorità è attualmente ben oltre superiore alle 35 unità, comprensive di figure e profili professionali diversi, tra i quali personale a tempo determinato, nonché stagisti;

   la legge 12 marzo 1999, n. 68, così come anche modificata dal decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151, attuativo della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (cosiddetto Jobs Act), ha previsto: a) l'istituzione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali del fondo per il diritto al lavoro dei disabili; b) l'istituzione ad opera delle regioni del fondo regionale per l'occupazione dei disabili; c) che gli uffici competenti, al fine di favorire l'inserimento lavorativo dei disabili, possano stipulare con il datore di lavoro convenzioni di integrazione lavorativa; d) che gli uffici competenti possano stipulare con i datori di lavoro privati – tenuti all'obbligo di assunzione di cui all'articolo 3 comma 1, lettera a), della citata legge n. 68 del 1999 – apposite convenzioni, finalizzate all'assunzione di soggetti disabili che presentino particolari caratteristiche e difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario, a fronte del conferimento di commesse di lavoro e contestuale assunzione del soggetto disabile da parte del soggetto conferente;

   la normativa italiana fa obbligo di assumere un numero determinato di persone portatrici di handicap a seconda del numero complessivo di dipendenti ed in particolare: da un minimo di 1 lavoratore (imprese con dipendenti in numero tra 15 e 35) ad un massimo del 7 per cento sul totale dei lavoratori occupati (imprese con dipendenti superiori a 50), con la previsione anche di agevolazioni fiscali per l'assunzione;

   la suindicata normativa risulta all'interrogante essere di frequente violata sia ad opera di soggetti privati che di amministrazioni pubbliche le quali preferiscono incorrere in sanzioni (pari a 63 euro giornalieri per ogni posto in organico lasciato libero e non ricoperto da un portatore di handicap), piuttosto che procedere all'assunzione di un disabile;

   secondo quanto risulta all'interrogante, nessun lavoratore portatore di handicap sarebbe stato assunto nell'ambito dell'autorità portuale in questione dal 2014 ad oggi;

   nel caso specifico dell'autorità portuale, trattandosi di un ente con personalità giuridica di diritto pubblico le condanne eventualmente comminate dalla Corte dei Conti, potrebbe riconoscere un «danno erariale», riconducibile alle recenti gestioni, dal momento che l'applicazione delle disposizioni in materia di assunzioni di soggetti portatori di handicap rientra negli atti di ordinaria amministrazione degli stessi –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione esposta in premessa e quali iniziative intendano adottare, per quanto di competenza, al fine di garantire, oltre che il rispetto della normativa da parte delle pubbliche amministrazioni, anche il pieno rispetto del diritto al lavoro delle persone con disabilità.
(4-00853)


   TOCCAFONDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   con decreto del Presidente della Repubblica n. 201 del 2015, è stato approvato il Piano degli aeroporti di interesse nazionale;

   in linea con l'obiettivo di razionalizzazione del settore, il provvedimento definisce dieci bacini di traffico omogeneo, secondo criteri di carattere trasportistico e territoriale. All'interno di questi, sono stati identificati 38 aeroporti di interesse nazionale, scelti sulla base di criteri riconducibili al ruolo strategico, all'ubicazione territoriale, alle dimensioni e tipologia di traffico e all'inserimento delle previsioni dei progetti europei della rete transeuropea dei trasporti TEN-T;

   tra questi figura naturalmente l'aeroporto di Firenze-Peretola, gestito dalla società Toscana-Aeroporti Spa, con 40 banchi check-in, 10 gate d'imbarco, e dotato di una pista lunga 1.750 metri e larga 30;

   il bilancio di fine anno per Toscana Aeroporti racconta di un 2017 record per quanto riguarda movimenti e passeggeri transitati, per Firenze l'aumento è del 5,7 per cento, con 2.658.049 passeggeri: una tendenza positiva che si registra nell'ultimo quinquennio e che continua anche nel 2018 – gennaio/maggio – più 9,7 per cento;

   i dati sono stati resi noti in occasione dell'approvazione del bilancio d'esercizio 2017 da parte dell'assemblea degli azionisti, con ricavi totali di 136 milioni di euro, più 6,6 per cento rispetto all'anno precedente. L'assemblea ha anche approvato di dividere l'utile netto di esercizio 2017, oltre 10 milioni e 400 mila euro, come segue: 527 mila euro come riserva legale, 9 milioni e 882 mila euro da distribuire come dividendo agli azionisti con positivi riscontri e riflessi sul territorio toscano;

   a ciò occorre aggiungere che da un articolo di Repubblica del 27 luglio 2018, l'Investment Corporation of Dubai ha appena acquistato il 25 per cento di Corporacion America Italia (Cai), la società argentina che controlla il 62 per cento di Toscana Aeroporti: una conferma in merito all'appetibilità del settore aeroportuale toscano, italiano e non solo;

   allo scopo di perseguire il pubblico interesse per la realizzazione di un'opera strategica fondamentale per il territorio, nello scrupoloso rispetto di tutte le norme, delle esigenze di tutela dell'ambiente, del territorio e della sostenibilità, per il 7 settembre 2018, è stata convocata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti la conferenza di servizi per il progetto di potenziamento dell'aeroporto di Firenze;

   38 soggetti invitati a partecipare sono chiamati a esprimere un parere, nel caso di amministrazioni ed enti; nel caso di soggetti privati, questi sono chiamati a far pervenire osservazioni. I comuni di Firenze e Sesto Fiorentino, interessati territorialmente, sono invitati a produrre apposita deliberazione;

   il giorno successivo a tale convocazione della conferenza dei servizi, in modo assolutamente imprevedibile, oltre che per l'interrogante illogico, è stata diramata una nota del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che così recita: «La convocazione ... è un atto procedurale che non incide in alcun modo sulla “project review” in corso, relativa alla sostenibilità dell'opera»; di fronte a tale nota ci si è trovati del tutto spiazzati e impreparati; una vera e propria doccia gelata che arriva sull'entusiasmo dei sostenitori dell'ampliamento;

   quest'ultima posizione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, se non smentita, risulta incomprensibile sia per gli aspetti normativi e trasportistici, che soprattutto per quelli economici. Non è assolutamente possibile, con una nota stampa, riportata in un'intervista al quotidiano Tirreno, declassare l'aeroporto di Firenze, già inserito nel Piano degli aeroporti di interesse nazionale; ogni progetto dovrebbe essere riferito ad una norma giuridica ad hoc. L'aeroporto, negli ultimi cinque anni, ha sempre avuto un incremento notevole di passeggeri, distribuendo annualmente dividendo ai soci. Trovare un'azienda con tali trend positivi risulta essere alquanto difficile. Tantomeno è pensabile che le scelte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti non siano dettate da chiare motivazioni legate alle linee progettuali, ma possano esser dettate esclusivamente da contrapposizioni politiche –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda adottare al fine di ottemperare agli indirizzi contenuti nel decreto del Presidente della Repubblica n. 201 del 2015, relativo al Piano degli aeroporti di interesse nazionale trattandosi, tra l'altro, di una struttura che genera benessere al territorio.
(4-00857)


   FOTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:

   come opportunamente denunciato dalla Confedilizia e dalla Proprietà fondiaria di Piacenza, la determinazione del costo di costruzione ancorata ai valori dell'Osservatorio del mercato immobiliare, che vuole mettere in atto la regione Emilia-Romagna, si pone, a giudizio dell'interrogante, in aperto contrasto con la normativa nazionale, la quale prescrive l'adozione di tutt'altro criterio, con evidenti conseguenze in termini di legittimità;

   l'articolo 16, comma 9, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 6 giugno 2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), prevede, infatti, per quanto di interesse, che il costo in questione sia «determinato periodicamente dalle Regioni con riferimento ai costi massimi ammissibili per l'edilizia agevolata», come definiti dalle stesse regioni;

   tale previsione, per la quale non si rinviene alcuna norma che, ai fini che interessano, ne prevede l'aggiornamento, non può non essere considerata, all'evidenza, un principio posto dal legislatore statale a garanzia dell'uniforme adozione, su tutto il territorio nazionale, di un unico criterio di calcolo; un principio, quindi, fondamentale per la disciplina edilizia. A sostegno di questa tesi depone l'orientamento della Corte costituzionale (sentenza n. 125 del 26 maggio 2017) sul tema, la quale ha annoverato, tra i principi fondamentali in materia edilizia, le disposizioni caratterizzate dalla finalità di offrire, ad un interesse comune, «una protezione unitaria sull'intero territorio nazionale»;

   è qui il caso di rammentare che – in applicazione del dettato costituzionale di cui all'articolo 117, terzo comma – l'articolo 2 («Competenze delle Regioni e degli enti locali») del predetto decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 dispone espressamente, al comma 1, che «le Regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico»;

   appare quindi di tutta evidenza che prevedere la determinazione del costo di costruzione legata ai valori dell'Osservatorio del mercato immobiliare, piuttosto che ai costi massimi ammissibili per l'edilizia agevolata significa per l'interrogante disattendere palesemente questa impostazione per condurre ad un aggravio dei costi di costruzione (in un momento in cui lo stato del settore proprio non ne avrebbe bisogno) a beneficio degli enti pubblici interessati e a carico dei risparmiatori nell'edilizia –:

   quale sia l'orientamento del Governo al riguardo e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, per garantire il rispetto della normativa statale vigente in materia di edilizia, al fine di garantire un'adozione uniforme su tutto il territorio nazionale e superare le criticità di cui in premessa.
(4-00859)

INTERNO

Interrogazioni a risposta orale:


   BALDELLI, POLVERINI e CALABRIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto riportato da diversi organi di stampa, sin dallo scorso anno, sulla via Pontina, all'altezza del campo nomadi di Castel Romano, avvengono pericolosi lanci di massi e di altri oggetti contundenti contro le automobili di passaggio, seguiti da aggressioni e furti ai danni degli automobilisti e dei passeggeri che, una volta colpita la vettura, si fermano per controllare eventuali danni al veicolo e per rendersi conto dell'accaduto, secondo uno schema criminale già noto alle forze dell'ordine;

   già a settembre 2017 queste pratiche criminali in quel territorio sono state oggetto di un atto di sindacato ispettivo del primo firmatario della presente interrogazione, a cui il Governo in carica, nei mesi successivi, non ha mai risposto;

   di recente, nella notte tra il 24 e il 25 luglio 2018, come riportato da molti organi di stampa locali, si sono nuovamente verificati lanci di massi che hanno ferito due persone e danneggiato sei auto;

   anche in questi ultimi casi, questi fatti criminosi non si sono trasformati in vere e proprie tragedie –:

   se non intenda adottare al più presto tutte le iniziative di competenza al fine di prevenire il verificarsi di simili aggressioni, attraverso un pattugliamento sistematico del territorio e la messa in campo di azioni di controllo anche sul campo nomadi di Castel Romano.
(3-00115)


   ZANETTIN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   in tutto il territorio nazionale vengono segnalate grandi difficoltà per il rilascio dei certificati medici per il rilascio e il rinnovo del porto d'arma;

   fino a pochi mesi fa al rilascio di tali certificati erano abilitati i medici militari in servizio presso i poligoni di tiro, e tale soluzione non ha mai creato problemi;

   recentemente, in ottemperanza ad una circolare della Direzione centrale per gli affari generali della polizia di Stato in materia le questure hanno comunicato invece che il rilascio di tali certificati possa avvenire esclusivamente presso le Asl o negli ospedali militari;

   questa modifica ha comportato tempi molto lunghi e ritardi nel rilascio dei certificati e sta causando grossi problemi soprattutto agli istituti di vigilanza –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per ovviare ai problemi segnalati in premessa e per quali motivi non venga ripristinata la competenza dei medici militari presso le strutture convenzionate (poligoni di Tiro del tiro a segno – Unione italiana Tiro a segno) per il rilascio o il rinnovo dei suddetti certificati.
(3-00117)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FREGOLENT. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il 20 dicembre 2016 è stata approvata la legge 5 gennaio 2017, n. 1, recante «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica francese per l'avvio dei lavori definitivi della sezione transfrontaliera della nuova linea ferroviaria Torino-Lione, fatto a Parigi il 24 febbraio 2015, e del Protocollo addizionale, con Allegato, fatto a Venezia l'8 marzo 2016, con annesso Regolamento dei contratti adottato a Torino il 7 giugno 2016»;

   nelle ultime settimane si stanno moltiplicando in Piemonte allarmanti episodi di violenza da parte dei manifestanti «no Tav» nei confronti dei rappresentanti delle istituzioni, dei lavoratori e delle forze dell'ordine presenti a presidio dei cantieri;

   il 16 luglio 2018 alcuni teppisti, contrari alla infrastruttura ferroviaria dell'Alta velocità Torino Lione, hanno aggredito alcuni consiglieri regionali del Piemonte con insulti, sputi e danneggiamenti alle autovetture in cui viaggiavano;

   il 20 luglio 2018, a Chiomonte, durante «l'apericena» del campeggio No Tav (tradizionale iniziativa estiva del movimento che si oppone alla Torino-Lione) un gruppo di 150 persone si è avvicinato al varco 1 del cantiere della nuova linea ferroviaria. I manifestanti hanno lanciato razzi e petardi contro le forze dell'ordine, che hanno risposto con lacrimogeni. Soltanto un forte temporale ha poi costretto i manifestanti a lasciare la zona prima che lo scontro potesse degenerare;

   rispetto a quando avvenuto in passato all'interrogante risulta che nessun esponente del Governo ha preso le distanze da tali episodi di violenza che hanno visto come vittime esponenti delle istituzioni e delle forze dell'ordine;

   il Ministro delle infrastrutture e trasporti Danilo Toninelli ha dichiarato il 23 luglio 2018 di condannare «fermamente le proteste incivili soprattutto perché limitano l'espressione delle proteste civili», omettendo quindi di stigmatizzare le gravissime aggressioni a danni di agenti di pubblica sicurezza nell'esercizio delle proprie funzioni;

   il Ministro dell'interno Matteo Salvini ha reso noto il 14 luglio 2018 di essere «favorevole alla Tav, al suo sviluppo e al completamento di questa infrastruttura» –:

   quali iniziative urgenti intenda assumere il Governo per garantire la legalità e l'ordine pubblico nei cantieri per la realizzazione della Tav Torino-Lione, salvaguardando la sicurezza delle forze dell'ordine preposte, dei lavoratori e dei cittadini, anche al fine di completare l'opera nei termini e nei costi previsti dalla legge.
(5-00249)


   ROSATO e NOBILI. – Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il commissariato della Polizia di Stato «Sant'Ippolito» – di via di Villa Ricotti in Roma, fin dal 2002 risulta avere un contenzioso con fa proprietà dell'immobile per oneri di locazione;

   la rivalutazione dell'affitto è stata ritenuta eccessiva dai competenti organi del Ministero dell'interno e persiste una morosità elevata;

   a seguito del contenzioso aperto e non concluso per via giudiziaria, a quanto risulta all'interrogante, la proprietà dell'immobile ha periodicamente inviato per mezzo dell'ufficio unico esecuzioni presso la Corte di appello di Roma i relativi verbali di rilascio dall'immobile di cui l'ultimo in ordine temporale porta la data del 26 luglio 2018;

   l'abbandono dello stabile, previsto per la fine del 2018, con procedura di mobilità interna del personale in servizio verso altre sedi, rischia di avere come conseguenza un impatto altamente, negativo in termini di sicurezza per un territorio vasto e complesso che dalla stazione Tiburtina si estende fino ai confini dei comuni limitrofi come Tivoli e Guidonia con circa 200 mila abitanti;

   le problematiche dei quartieri insistenti nel IV municipio della capitale evidenziano una presenza di insediamenti malavitosi e di azioni criminali che necessitano una adeguata presenza sul territorio delle forze dell'ordine, come testimoniano le importanti azioni di contrasto effettuate proprio dal suddetto commissariato;

   per superare le criticità della proprietà dell'immobile l'area individuata da vari anni per dare una sede al commissariato S. Ippolito – di cui sopra – è quella di Via Tedeschi 51 dove è in disuso un edificio pubblico scolastico di proprietà del comune di Roma;

   in data 1° marzo 2016, con accordo istituzionale sottoscritto presso la prefettura di Roma e con delibera del Commissario straordinario del 27 maggio 2016, sono stati compiuti gli atti ufficiali per adibire lo stabile di via Tedeschi 51 a presidio di Pubblica sicurezza;

   a seguito di sopralluoghi effettuati, sono stati riscontrati alcuni ostacoli che impediscono ancora la realizzazione del trasferimento e risulta che il comune non abbia ancora provveduto a dare soluzione a tali problemi;

   ciò ha comportato il blocco del previsto trasferimento del commissariato in questione;

   tra pochi mesi, quindi, il territorio interessato rischia di rimanere sprovvisto della importantissima presenza del commissariato –:

   quali iniziative il Governo intenda assumere, per quanto di competenza, al fine di scongiurare lo smantellamento del Commissariato «S. Ippolito» assicurandone la presenza nell'attuale sede fino a quando non saranno risolti i problemi concernenti la nuova sede individuata, facendo sì che il comune adempia agli accordi sottoscritti con la prefettura di Roma, tutelando in tal modo la presenza dell'importante presidio di sicurezza di un'area delicata della Capitale.
(5-00255)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   all'inizio dell'anno 2016, l'interrogante presentava un'interrogazione al Ministro dell'interno per chiedere quali iniziative intendesse adottare, in merito alle intercettazioni del 26 marzo 2013 tra l'ex prefetto di Salerno, Gerarda Maria Pantalone, e l'attuale presidente della regione Campania, Vincenzo De Luca, sulle sorti del consiglio provinciale di Salerno, in seguito alla firma da parte dell'allora Presidente della Repubblica Napolitano del decreto di scioglimento della provincia di Napoli;

   l'episodio, riportato all'interno dell'interrogazione, appare, ancora oggi, molto grave, in quanto la Pantalone, in qualità di prefetto, avrebbe dovuto mantenere una posizione di assoluta imparzialità e terzietà nella vicenda, mentre, al contrario, ha espresso giudizi non positivi in merito alla possibile nomina a commissario della provincia di Salerno dell'allora vice presidente, Antonio Iannone;

   l'interrogante chiedeva al Ministro pro tempore di fare chiarezza sulla vicenda e quindi sulle parole proferite dal prefetto, parole che sicuramente non appaiono in linea con la deontologia professionale di un alto dirigente dello Stato e che potrebbero configurare eventuali violazioni disciplinari;

   con riferimento a tale interrogazione non è pervenuta all'interrogante alcuna risposta in merito da parte del Ministro pro tempore;

   a parere dell'interrogante la mancata risposta, da un lato, in generale, rischia di incrinare l'efficacia degli istituti giuridici espressivi della potestà conoscitiva del Parlamento e dall'altro, con riferimento alla delicatissima vicenda riportata dall'interrogante, si rischia di ignorare e di non indagare fatti gravi che mettono in pericolo l'interesse generale –:

   se sia a conoscenza dei fatti esposti e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative ritenga opportuno adottare per verificare se nelle parole proferite dal prefetto Pantalone si possano ravvisare eventuali violazioni disciplinari ed altresì per assicurare, per quanto di competenza, una tempestiva risposta agli atti di sindacato ispettivo indirizzati al Ministro interrogato.
(4-00816)


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   da alcuni articoli di stampa del 24 luglio 2018 si apprende che due ragazzini di 11 e 16 anni, di cittadinanza croata, sono stati denunciati per tentato furto a Ravenna dopo la segnalazione di alcuni cittadini;

   la pagina della questura di Ravenna, nella sezione «Fatti del giorno», ripropone, per titoli, le principali operazioni di polizia delle ultime settimane e, tra i tanti articoli, vi è anche quello che riguarda la denuncia dei due ragazzini di cittadinanza croata;

   nell'articolo si legge che il 28 giugno 2018 la polizia di Ravenna «ha denunciato a piede libero N.N. 16enne e N.B. 11enne, entrambi croati, nomadi, per il reato di tentato furto aggravato e possesso ingiustificato di chiavi e grimaldelli». Gli agenti sono intervenuti perché «alcuni cittadini avevano segnalato al 112 la presenza di due giovani nomadi». I due «venivano trovati in possesso di cacciaviti e chiavi a rullino per l'apertura fraudolenta di porte, oltre a dei calzini utilizzati per coprire le mani onde evitare di lasciare impronte digitali»;

   a far indignare l'opinione pubblica, oltre che lo stesso interrogante, è la scelta del titolo della notizia: «denunciati zingarelli», un termine, come spiega anche l'associazione Carta di Roma, che «indica in modo generico diversi gruppi etnici (rom e sinti sono i principali) che in passato avevano uno stile di vita nomade. Purtroppo, negli anni, a questo termine è stato attribuito un forte carico dispregiativo, tanto da essere considerato, a seconda delle circostanze, un insulto più volte bocciato dai tribunali come discriminatorio»;

   a parere dell'interrogante si è di fronte ad una scelta lessicale ben lontana dalla correttezza, di forma e di sostanza, che ci si aspetterebbe dagli uomini dello Stato. In più, occorre sottolineare come i minori, in quanto tali, non possono subire discriminazioni su base etnica e non è tollerabile che proprio dalle istituzioni giunga un segnale così sbagliato –:

   se il Ministro interrogato intenda intervenire presso la competente Questura al fine di far rimuovere dalla pagina internet sopra richiamata l'articolo esposto in premessa, alla luce del fatto che simili espressioni sono cariche di un forte sentimento dispregiativo e rappresentano, ad avviso dell'interrogante, un'offesa discriminatoria, tanto più se riferita a dei minori e se gli autori sono uomini e donne delle istituzioni, che sono i primi chiamati a vigilare affinché episodi di questo genere non accadano.
(4-00821)


   MIGLIORE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   all'alba del 26 luglio 2018, su disposizione del sindaco di Roma Virginia Raggi, con l'ausilio delle forze di polizia, è stato disposto lo sgombero di un insediamento di Rom sulla via Tiberina a Roma, denominato «Camping River»;

   da notizie a mezzo stampa si è appreso che, pochi minuti prima delle ore 7.00 di giovedì 26 luglio 2018, infatti, i vigili urbani si sono presentati in gran numero al River, insieme alle forze della polizia di Stato, per mettere i sigilli alla struttura;

   lo sgombero è avvenuto nonostante la Corte europea dei diritti dell'uomo avesse prorogato la permanenza dell'insediamento fino al 27 luglio 2018, in attesa che le istituzioni italiane indicassero soluzioni d'alloggio alternative per i circa 300 residenti;

   in particolare, i residenti dell'insediamento avrebbero protestato contro le soluzioni alloggiative proposte dal Campidoglio, che contemplerebbero la separazione dei nuclei familiari con donne e bambini in alcune strutture e uomini ricoverati altrove;

   sempre da notizie a mezzo stampa, risulterebbe che ai giornalisti sia stato impedito l'accesso al campo durante le prime ore dello sgombero, e secondo quanto dichiarato da alcuni presenti sarebbe stato utilizzato dello spray al peperoncino;

   secondo quanto emerso dalle notizie a mezzo stampa, dunque, sulle modalità di questo sgombero, sembrerebbero sussistere dubbi riguardo alla sua legittimità, in particolare considerato che ai giornalisti presenti è stato impedito di esercitare la libertà di stampa, e considerata la presunta utilizzazione di strumenti di coazione quali lo spray al peperoncino –:

   se i fatti riportati in premessa corrispondano al vero, e quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda adottare per assicurare che nessuna misura adottata nel corso degli sgomberi possa tradursi in un'inaccettabile violazione dei più fondamentali diritti dell'uomo;

   se il Governo intenda assumere iniziative per l'adozione di un piano per il reinsediamento abitativo, in accordo con le amministrazioni locali, che preveda l'accompagnamento delle persone oggetto dello sgombero in alloggi per le famiglie secondo quanto stabilito dalle linee d'indirizzo della Corte europea dei diritti dell'uomo.
(4-00834)


   TOCCALINI e CECCHETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto riportato dalla stampa, all'interno di un capannone nella zona industriale del comune di Melegnano, precisamente in via Morandi, sarebbe tuttora attiva una moschea evidentemente abusiva, stante i pareri contrari dell'asl e della regione Lombardia resi nel 2014 e un'ordinanza sindacale nel 2015, confermata successivamente anche da una sentenza del Tar nel 2016, che di fatto ne imponeva la chiusura ormai già anni fa;

   in particolare, successivamente alla richiesta nel 2013 dell'associazione Al Baraka, conduttrice del capannone, al comune per il rilascio di un permesso di costruire per cambio di destinazione d'uso/dell'immobile (da industriale a centro culturale e luogo di culto), in occasione della conferenza di servizi l'asl Milano 2, dopo gli opportuni accertamenti, aveva dato parere negativo, poiché il sito, compreso nel perimetro della ex azienda chimica Saronio, peraltro uno dei sette «siti contaminati di interesse nazionale», era del tutto ed evidentemente inidoneo ad ospitare attività culturali e religiose dati i gravi rischi per la salute pubblica;

   a seguito del parere negativo dell'asl e della regione Lombardia per i sopra indicati motivi l'allora cambio di destinazione e con ordinanza n. 7 del 12 maggio 2015 il responsabile dell'area «governo» aveva intimato al legale rappresentante dell'associazione Al Baraka la «sospensione immediata dell'uso dell'immobile per attività culturali e di culto difformi dal permesso di costruire n. 21/2011 che prevedeva un uso per attività produttive»;

   successivamente, con ordinanza contingibile e urgente del sindaco n. 91 del 24 giugno 2015 era stato disposto il divieto di uso dell'immobile «per lo svolgimento di attività culturali e/o di culto» e, quindi, la chiusura della moschea;

   nonostante la pronuncia del tribunale amministrativo regionale per la Lombardia - sezione seconda (sentenza n. 201601078) che ha rigettato il ricorso dell'associazione Al Baraka avverso tale ordinanza stanti la notevole entità dell'afflusso di associati e, conseguentemente, le legittime esigenze di tutela sanitaria sottese al provvedimento del sindaco, tuttavia ancora oggi tale sentenza risulta non essere stata mai rispettata e le assemblee religiose continuano all'interno del capannone con la partecipazione di centinaia di persone ogni venerdì;

   sempre da notizie di stampa si apprende che attualmente il sindaco avrebbe incaricato la polizia locale di relazionare sulla vicenda; tuttavia, stanti anche le legittime preoccupazioni della cittadinanza espresse ormai da anni, è di tutta evidenza che occorre intervenire con urgenza per impedire l'effettivo utilizzo del capannone quale luogo di culto, considerato che lo stesso per legge non è compatibile con uso a fini confessionali, anche in ottemperanza a quanto disposto dalle competenti autorità amministrative e giudiziarie intervenute nella vicenda –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere o abbia già adottato, per quanto di competenza, e anche alla luce dell'esigenza di tutelare la sicurezza e l'incolumità pubblica, in relazione alla moschea non autorizzata all'interno del capannone in via Morandi a Melegnano.
(4-00856)


   MURONI e CONTE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il 10 giugno 2018 si sono svolte le elezioni per il rinnovo del consiglio comunale del comune di Palagianello (TA);

   nei giorni precedenti le elezioni per il rinnovo del consiglio comunale, si sarebbe notata la presenza nel paese di un pluripregiudicato;

   risultano notizie circa il fatto che tale pluripregiudicato, corrispondesse al signor Labalestra; va ricordato che lo stesso è stato condannato con sentenza della corte di assise di appello di Taranto del 31 marzo 2003 n. 203/2003, alle pena detentiva di anni 16 e mesi 8 di reclusione e interdizione perpetua dai pubblici uffici, interdizione legale per anni 16 e mesi 8, libertà vigilata per anni 3, per i reati di associazione di tipo mafioso e altre condanne per altri gravi reati;

   se la presenza di tale persona presso il suddetto comune, in concomitanza con le elezioni comunali fosse confermata, sarebbe un fatto molto grave, a giudizio degli interroganti, per la democrazia –:

   se trovi conferma la notizia circa la presenza nel comune di Palangianello del personaggio di cui in premessa, nei giorni antecedenti le elezioni del 10 giugno 2018.
(4-00860)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   da un articolo pubblicato sulla Gazzetta di Modena del 18 luglio 2018 si apprende che all'università di Modena, con il nuovo anno accademico, sono cresciuti notevolmente i corsi a numero chiuso;

   sarebbero stati disposti, infatti, sbarramenti per ingegneria informatica (240 posti), ingegneria del veicolo e ingegneria informatica tradizionale (299 posti ciascuna), oltre a due nuovi corsi di laurea con 50 posti ciascuno a disposizione;

   diventeranno più selettive anche le qualifiche per accedere a tre corsi triennali originariamente a numero aperto. I corsi a numero programmato balzerebbero così dai 28 dell'anno accademico 2017/2018 (su 81 totali) ai 36 del prossimo anno (su 83 totali), passando dal 34,6 per cento al 43,3 per cento;

   il rettore dell'università di Modena e Reggio Emilia (Unimore), ha commentato che, ipotizzando una rinuncia di meno il 10 per cento degli studenti potenziali e mantenendo le aliquote, sarebbero stati necessari almeno due docenti di ruolo per ogni corso di laurea e quindi sei docenti in più;

   coloro che si immatricoleranno in corsi di laurea triennali e magistrali a ciclo unico ad accesso libero dovranno affrontare un test obbligatorio iniziale, i cui risultati determineranno gli Ofa (obblighi formativi aggiuntivi), da superare entro il primo anno;

   il Tolc o test on line Cisia, abbreviazione di Consorzio interuniversitario sistemi integrati per l'accesso, — un'altra sigla che è indice di rinnovamento —, è lo strumento usato da Unimore per i corsi di laurea in ingegneria, economia, biotecnologie, farmacia, chimica e tecnologie farmaceutiche. Il test è individualizzato e si può ripetere più volte. Massimo una al mese, prima della scadenza delle iscrizioni;

   da un articolo pubblicato sul Corriere di Verona del 18 luglio 2018 si apprende inoltre come all'università di Verona siano rimasti ad accesso libero solo tre facoltà: lettere, filosofia e beni culturali;

   l'ateneo di Verona, per una precisa politica interna, orientata alla selezione, si sta guadagnando la fama di università a «numero chiuso», tra le più blindate d'Italia;

   a parere dell'interrogante il numero chiuso negli atenei è strumento che non garantisce effettivamente l'universalità del diritto allo studio –:

   quali siano gli orientamenti del Governo, per quanto di competenza, circa i corsi universitari a numero chiuso nelle università pubbliche che, a parere dell'interrogante, sono in costante e preoccupante aumento e spesso vengono solo introdotti per esigenze di bilancio, creando di fatto un ostacolo alla piena garanzia del diritto allo studio per tutte e tutti quegli studenti che intendono frequentare le università pubbliche.
(4-00817)


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il 18 luglio 2018 a Bologna, davanti alla sede dell'ufficio scolastico regionale, gli insegnanti precari della scuola hanno protestato per denunciare i troppi ritardi per il sussidio di disoccupazione. Si tratta di diverse decine di insegnanti supplenti che, pur avendo diritto alla disoccupazione per i mesi in cui non hanno fatto lezione, vedono ritardata l'erogazione del sussidio a causa di un malfunzionamento dei sistemi informatici del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dell'Inps che, a quanto risulta anche da un articolo pubblicato sull'edizione di Bologna del quotidiano la Repubblica del 18 luglio 2018, non dialogano tra di loro, producendo come unico effetto la mancata erogazione del sussidio di disoccupazione;

   a parere dell'interrogante lungaggini burocratiche o problemi tecnici nelle comunicazioni tra gli uffici pubblici non possono privare gli insegnanti già precari, di un diritto come il sussidio di disoccupazione, necessario per integrare il loro reddito discontinuo;

   è fondamentale quindi che il Ministero dell'economia e delle finanze sblocchi subito la situazione e che l'Inps versi il sussidio in tempi brevissimi, a chi ne ha diritto –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e con quali strumenti intenda intervenire affinché gli insegnanti precari che, pur avendone titolo, non percepiscono ancora il sussidio di disoccupazione vedano soddisfatto in tempi brevi tale loro diritto.
(4-00819)


   D'INCÀ. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   la direttiva 2005/36/CE considera il dottorato di ricerca quale titolo abilitante all'insegnamento, ma mentre questo accade da anni in molti Stati europei, in Italia il titolo vale solo in ambito accademico e quindi non utile per accedere ai concorsi che prevedono l'abilitazione all'insegnamento;

   si ricorda che il 29 novembre del 2016 il Sindacato autonomo europeo scuola ed ecologia ha ottenuto dal Parlamento europeo un provvedimento che equipara il dottorato di ricerca all'abilitazione per l'insegnamento. Tale decisione, anche se favorevole, non è vincolante per il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che può non concedere la spendibilità del titolo di studio per insegnare in Italia;

   analoghe indicazioni sono poi contenute nel documento inviato al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il 13 dicembre 2016 dal Consiglio nazionale degli studenti universitari (organo consultivo del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca) nel quale sono contenute le raccomandazioni a prestare la massima attenzione, riguardo ai prossimi processi relativi alla formazione iniziale dei docenti e all'accesso nei ruoli di docenti della scuola secondaria, consigliando al riguardo di considerare l'attuale condizione dei dottori di ricerca, al fine di garantire un sistema inclusivo e di qualità;

   il Consiglio di Stato, con l'emanazione dell'ordinanza del 3 novembre 2016 n. 06956/2016, ha accolto il ricorso di centinaia di ricercatori «cosiddetti Ph.D», esclusi dal concorso scuola 2016, intimando al Ministero di disporre «l'ammissione con riserva degli appellanti a prove suppletive, da svolgere nel più breve tempo possibile»;

   il Consiglio di Stato poi è intervenuto nuovamente sul tema, con l'ordinanza n. 05549/2017 del 18 dicembre 2017 ribadendo che i dottori di ricerca devono essere inseriti nella seconda fascia delle graduatorie di istituto, motivando con riferimento ai propri precedenti «concernenti equiparazione tra dottorato di ricerca e abilitazione, che hanno disposto l'ammissione richiesta dagli interessati»;

   si apprende altresì che con una nota datata 12 dicembre 2017 e recapita ai proponenti, il presidente della commissione per le petizioni, Cecilia Wilkstrom, ha comunicato che la petizione sul valore del titolo del dottorato è stata dichiarata ricevibile e che, proprio per aver superato quest'esame, è stata ora passata all'esame della Commissione parlamentare competente che è quella per il mercato interno e la protezione dei consumatori –:

   se non si ritenga opportuno, alla luce degli orientamenti giurisprudenziali e della direttiva europea di cui in premessa, assumere iniziative normative che consentano in via definitiva ai ricercatori l'accesso ai canali di reclutamento per l'insegnamento nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, mediante il riconoscimento del valore abilitante del dottorato di ricerca.
(4-00827)


   IANARO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   la legge 30 dicembre 2010, n. 240, reca «Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario»;

   il comma 1 dell'articolo 29 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, ha posto ad esaurimento il ruolo dei ricercatori universitari e ne ha sostituito la figura con quella dei ricercatori a tempo determinato introdotta dall'articolo 24 della medesima legge;

   i ricercatori a tempo determinato assunti ai sensi della lettera b) del comma 3 del citato articolo 24, che abbiano conseguito l'abilitazione scientifica nazionale, possono, al termine del contratto, essere inquadrati direttamente come professori associati, previa valutazione positiva della loro attività da parte dell'ateneo di appartenenza (meccanismo di tenure-track);

   per i ricercatori a tempo determinato in possesso dell'abilitazione scientifica nazionale è quindi riservato un diverso trattamento procedurale per l'accesso in ruolo a professore associato;

   ai sensi dell'articolo 16 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, i ricercatori a tempo indeterminato sono sottoposti a una ulteriore procedura concorsuale per la chiamata di professori associati di cui al comma 2 dell'articolo 18 della menzionata legge, così come modificato dalla lettera h), del comma 1 dell'articolo 49 del decreto-legge n. 5 del 2012 convertito dalla legge 4 aprile 2012, n. 35 (cosiddetta procedura concorsuale comparativa);

   con la procedura concorsuale comparativa, le università possono ricorrere ad una ulteriore procedura di cui al comma 6 dell'articolo 24 della medesima legge (cosiddetta procedura concorsuale valutativa);

   le procedure concorsuali valutative non sono mai ad personam;

   allo stato attuale le singole università sono soggette a un doppio limite per le procedure valutative per i ricercatori a tempo indeterminato, temporale (fino al 31 dicembre 2019) e quantitativo non oltre il 50 per cento rispetto alla procedura comparativa per l'inserimento in ruolo a professore associato (comma 3-bis dell'articolo 4, aggiunto in sede di conversione al decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244, che ha modificato il comma 6 dell'articolo 24, della legge 30 dicembre 2010, n. 240);

   la legge 27 dicembre 2017, n. 205 (legge di bilancio 2018), in particolare al comma 633 dell'articolo 1, ha disposto quale fondo straordinario per l'assunzione di ricercatori a tempo determinato di cui alla lettera b) del comma 3 dell'articolo 24 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, per il conseguente eventuale consolidamento nella posizione di professore di seconda fascia, una somma di 12 milioni di euro per l'anno 2018 e di 76,5 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2019 –:

   quali iniziative, anche urgenti, intenda assumere il Ministro interrogato al fine di risolvere una situazione di oggettiva iniquità al fine di consentire ai ricercatori a tempo indeterminato in possesso di abilitazione scientifica nazionale di accedere al ruolo di professore associato mediante la sola procedura valutativa, come avviene per i ricercatori a tempo determinato in possesso della medesima abilitazione.
(4-00835)


   MUGNAI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   il decreto legislativo n. 65 del 2017 ha istituito il sistema integrato di educazione e istruzione dalla nascita ai 6 anni, alla cui realizzazione contribuiscono lo Stato, le regioni, le province autonome di Trento e Bolzano e gli enti locali;

   il sistema integrato 0-6 anni comprende i servizi educativi per l'infanzia – nidi, micronidi, sezioni primavera e sezioni integrativi – e le scuole dell'infanzia statali e paritarie, tra le quali si collocano anche quelle degli enti locali;

   il Sistema si propone, tra l'altro, di ampliare e rendere più accessibile l'accesso ai servizi educativi per l'infanzia e la loro graduale diffusione anche mediante una maggiore e più equilibrata distribuzione a livello territoriale;

   lo strumento mediante il quale lo Stato promuove e sostiene la realizzazione e la qualificazione dell'offerta formativa del sistema integrato 0-6 è il Piano di azione nazionale che «definisce la destinazione delle risorse finanziarie disponibili per il consolidamento, l'ampliamento e la qualificazione del Sistema integrato di educazione e istruzione sulla base di indicatori di evoluzione demografica e di riequilibrio territoriale» sulla base di obiettivi strategici e degli atti in programmazione e in esecuzione degli enti locali;

   per l'attuazione del piano il decreto legislativo n. 65 del 2017 ha istituito, presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Fondo nazionale per il sistema integrato di educazione e di istruzione, da ripartire sulla base di un'intesa promossa dallo stesso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997;

   sulla base della programmazione regionale dei servizi educativi, definite in relazione alle richieste degli enti locali, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca opera la ripartizione tra le regioni, ma eroga le risorse direttamente ai comuni, con priorità per quelli privi o carenti di strutture e di servizi;

   la deliberazione della Presidenza del Consiglio dei ministri 11 dicembre 2017 stabilisce un timing preciso per le procedure di definizione della ripartizione dei finanziamenti, sulla base del quale, entro il 31 luglio di ciascun anno di vigenza del piano, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca provvede ad erogare le risorse direttamente ai comuni;

   risulta all'interrogante che, ad oggi, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non abbia ancora trasmesso alla Conferenza unificata gli atti necessari a promuovere l'intesa di cui al decreto legislativo n. 65 del 2017, senza la quale non è possibile procedere alla distribuzione delle risorse –:

   quali siano le ragioni della mancata trasmissione da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca alla Conferenza unificata degli atti relativi all'adozione del piano di azione nazionale, in considerazione dell'imminente scadenza dei tempi indicati nella deliberazione del Consiglio dei ministri dell'11 dicembre 2017 che indica nel 31 luglio 2018 l'ultima data utile per l'erogazione dei fondi ai comuni;

   quali urgenti iniziative intenda assumere il Ministro interrogato al fine di velocizzare le procedure necessarie a erogare ai comuni le risorse destinate alla realizzazione concreta del sistema integrato di istruzione.
(4-00837)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CENNI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la legge 29 ottobre 2016, n. 199, recante «Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo» ha introdotto norme per garantire una maggiore efficacia all'azione di prevenzione e contrasto, con significative modifiche al quadro vigente, prevedendo la repressione penale del caporalato, la tutela delle vittime e dei lavoratori agricoli;

   secondo i dati emersi dal Quarto rapporto sulle agromafie e il caporalato, è ancora comunque rilevante la frequenza di tale crimine nel nostro Paese: un'azienda agricola su quattro in Italia ricorre all'intermediazione del caporale per reclutare la forza lavoro (30 mila su tutto il territorio nazionale), mentre sono tra i 400 e i 430 mila i lavoratori agricoli esposti al rischio di un ingaggio irregolare. Di questi più di 132 mila vivono in condizione di vulnerabilità sociale. Lo sfruttamento e il caporalato in agricoltura producono inoltre un giro d'affari pari a 4,8 miliardi di euro. Altri 1,8 miliardi di euro all'anno, invece, riguardano l'evasione contributiva;

   sono continui gli episodi di caporalato denunciati dai media: ultimo in ordine di tempo quello relativo ad alcuni territori della provincia di Caserta (ed in particolare Mondragone) dove verrebbero sfruttati complessivamente circa 2000 persone tra uomini, donne ed addirittura bambini;

   i nuclei familiari sarebbero alloggiati in edifici fatiscenti, con paghe orarie nettamente inferiori alle 7,5 euro previste dal contratto nazionale (nello specifico dai 2 ai 4 euro per gli uomini, tra 1 e 1,5 euro per le donne ed 1 euro per i bambini). I turni giornalieri sarebbero inoltre massacranti: 12 ore (quasi il doppio delle 6,5 previste dalla legge);

   a gestire il caporalato, sempre secondo la stampa, vi sarebbero associazioni criminali come confermerebbero alcuni gravi episodi registrati nel territorio ed in particolare incendi di furgoni ed aggressioni. Per le associazioni sindacali locali, nel periodo tra aprile e settembre 2018, i controlli delle autorità preposte sarebbero pochissimi;

   tale episodio assume caratteristiche maggiormente allarmanti perché, oltre ad infrangere l'intero impianto normativo disposto dalla legge 29 ottobre 2016, n. 199, coinvolgerebbe minori a cui sarebbe impedita anche la regolare frequenza delle scuole dell'obbligo;

   il lavoro minorile trova infatti una speciale tutela nella Costituzione della Repubblica italiana attraverso alcuni articoli che stabiliscono una normativa particolare che riguarda il lavoro salariato di fanciulli e adolescenti. Inoltre, la direttiva 94/33 della Comunità europea e la legge n. 977 del 1967 vieta ogni attività lavorativa ai soggetti di età inferiore a 15 anni e che, comunque, non abbiano ancora concluso il periodo di istruzione obbligatoria –:

   se i ministri interrogati siano a conoscenza dell'episodio citato in premessa; se ciò che viene riportato sulla stampa corrisponda al vero, conseguentemente, quali iniziative urgenti intendano assumere al fine di attuare pienamente le disposizioni presenti nella legge 29 ottobre 2016, n. 199 e nella legge n. 977 del 1967.
(5-00251)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI, FORESTALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CRITELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   con la riforma di medio termine della politica agricola comune (PAC), entrata in vigore nel gennaio 2018, le norme introdotte sono numerose e determinano semplificazioni, innovazioni ed un sostanziale ampliamento delle opportunità di intervento. Si tratta, oltre a greening, gestione dei rischi e riequilibrio dei poteri negoziali lungo le filiere, anche di novità sui giovani, pagamenti accoppiati e organizzazione comune dei mercati (OCM);

   l'introduzione, con la riforma Pac del 2013, di specifiche misure per la gestione dei rischi sono state ben accolte da tutti gli stakeholder del settore, ma agli effetti pratici non ha raggiunto gli obiettivi sperati. Non solo non si è avuto un incremento apprezzabile del ricorso alle assicurazioni agevolate, ma anche i fondi di mutualizzazione e lo strumento più innovativo, i fondi per la stabilizzazione dei redditi (IST), hanno mostrato scarso appeal per gli agricoltori europei;

   gli strumenti di gestione dei rischi, pur essendo utili a proteggere il reddito degli agricoltori, risultano di difficile accesso e troppo costosi per molte tipologie imprenditoriali;

   dal 1° gennaio 2018 è possibile utilizzare uno strumento settoriale di stabilizzazione del reddito che potrà indennizzare le perdite superiori al 20 per cento del reddito medio dell'agricoltore beneficiario, prima si poteva intervenire solo in caso di perdite annuali individuali superiori al 30 per cento del reddito medio aziendale;

   sia nell'ipotesi di IST settoriale, che in quella di IST non settoriale, il riferimento per il calcolo delle perdite può essere rappresentato da indici economici, risolvendo in parte il problema della ricostruzione contabile dei redditi;

   è possibile un aiuto pubblico maggiore per incentivare l'adesione degli agricoltori europei all'IST che, dal 1° gennaio 2018, porta la contribuzione pubblica dal 65 per cento al 70 per cento delle spese (perdite) ammissibili alla compensazione;

   per i fondi mutualistici contro le avversità atmosferiche, sanitarie ed ambientali vi è la possibilità, come per l'IST, di utilizzare la contribuzione pubblica per la formazione del capitale iniziale del fondo per integrare i pagamenti annuali del fondo e anche per questo strumento la contribuzione pubblica è stata elevata dal 1° gennaio 2018 al 70 per cento;

   da un monitoraggio effettuato dalla Coldiretti sugli effetti dell'ultima ondata di maltempo, causata da nubifragi con vento forte, bombe d'acqua, trombe d'aria e grandinate che si sono abbattuti a macchia di leopardo con campi di mais distrutti, vigneti danneggiati, piante da frutto divelte, serre inondate, campi allagati e tetti scoperchiati, con pesanti danni nelle campagne dalla Lombardia al Piemonte fino all'Emilia Romagna, vanificando un intero anno di lavoro nelle aziende e facendo salire ad oltre il mezzo miliardo le perdite subite dalle campagne dall'inizio dell'anno per effetto delle anomalie climatiche;

   in Emilia Romagna, nella bassa imolese (Sesto Imolese e Spazzate Sassatelli) e nei comuni di Molinella e Medicina (frazione Sant'Antonio), si contano ingenti danni alle colture agricole per una bomba d'acqua che ha colpito vigneti, colture da seme non ancora raccolte (barbabietola in particolare), il mais in fase di maturazione ed anche le colture specializzate di questa zona come le patate (qui di coltiva la patata Dop di Bologna) e le cipolle;

   si è di fronte a cambiamenti climatici che si manifestano con una tendenza alla tropicalizzazione con la più elevata frequenza di eventi estremi, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi ed intense ed il rapido passaggio dal sole al maltempo –:

   se il Ministro interrogato, considerato che tale situazione sta causando pesanti ripercussioni sull'agricoltura, non ritenga necessario assumere iniziative urgenti per far fronte all'emergenza a favore delle numerose aziende agricole colpite dall'eccezionale ondata di maltempo.
(5-00252)


   MARCO DI MAIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   un violentissimo nubifragio si è abbattuto nel territorio ad ovest di Forlì compreso tra i comprensori di Villanova e Villagrappa, e nel territorio Faentino, con raffiche fortissime di vento e grandine di notevole dimensione e si è poi spostato verso il cesenate via Bertinoro;

   l'evento calamitoso ha inferto un nuovo duro colpo al settore agricolo già pesantemente colpito dagli eventi atmosferici registrati nella tarda primavera e in questo avvio di estate;

   dal primo monitoraggio effettuato da Coldiretti, anche risulta ancora parziale per avere una stima definitiva, si registrano danni ingenti con l'80-90 per cento dei raccolti compromessi;

   si tratta di frutteti in piena maturazione, dalle pesche alle albicocche fino ai vigneti, ma danni significativi si registrano anche sul mais e su tutte le colture da seme e sui vegetali;

   i mutamenti climatici ormai espongono gli agricoltori a rischi sempre più frequenti e i sistemi assicurativi necessitano di una revisione, perché così come strutturati presentano criticità che non consentono adeguata copertura rispetto ai rischi d'impresa;

   una volta completato da parte delle istituzioni competenti a partire dalla regione Emilia-Romagna l'accertamento dei danni sarà necessario dare adeguato ristoro al settore del territorio in questione –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative intenda assumere, una volta completata la stima dei danni, al fine di velocizzare l’iter per il riconoscimento dello stato di calamità con l'obiettivo di procedere in tempi rapidi al ristoro dei danni per il comparto agricolo colpito;

   se non si intendano assumere iniziative per rivedere, d'intesa con le organizzazioni del mondo agricolo e le regioni, l'intero sistema assicurativo per rafforzare le tutele per le imprese, considerato il ripetersi di eventi calamitosi che rischiano di mettere in ginocchio un settore strategico per l'economia del Paese ma, in particolar modo, per quello romagnolo.
(5-00260)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FORNARO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto denunciato dall'associazione «Terra!», Eurospin avrebbe acquisito 20 milioni di bottiglie di passata di pomodoro a 31,5 centesimi di euro l'una, prezzo ritenuto insostenibile da molti produttori e trasformatori, tramite un'asta on line al doppio ribasso che consiste nell'assegnare il contratto di fornitura all'azienda che offre il prezzo inferire dopo due gare, in cui la base d'asta della seconda è il prezzo minore raggiunto durante la prima;

   secondo l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, in Italia la grande distribuzione organizzata (Gdo) catalizza il 72 per cento degli acquisti alimentari, occupando una posizione di potere nei confronti degli altri comparti, come l'industria e l'agricoltura;

   con la campagna «#ASTEnetevi, Terra!», Flai, Cgil e l'associazione «daSud» avevano ottenuto un Protocollo contro le aste al doppio ribasso e la trasparenza di filiera, sottoscritto da Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, Federdistribuzione e Conad, che impegnava i soggetti che operano la grande distribuzione organizzata a bandire tale modalità di acquisto. Tuttavia, alcuni gruppi non hanno voluto abbandonare tale pratica sleale e dal forte impatto economico sull'intera catena produttiva –:

   se il Ministro interrogato intenda attivarsi al fine di chiedere il rispetto del protocollo di cui in premessa firmato nel 2017 e di assumere iniziative per vietare definitivamente questo metodo di acquisto dei prodotti alimentari per garantire condizioni più eque a chi produce e raccoglie il cibo per una sostenibilità economica e sociale dell'agricoltura.
(4-00818)


   BIGNAMI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   la Co.Pro.B. di Minerbio (Bologna) è, di fatto, l'ultimo produttore di zucchero interamente italiano. Di recente l'azienda ha lanciato l'allarme in relazione alla caduta delle quote di produzione e al crollo dei prezzi che ha aperto il mercato italiano allo zucchero francese e tedesco;

   la cooperativa impiega, oggi, oltre 500 dipendenti, suddivisi in egual misura tra lo stabilimento di Minerbio e quello di Pontelongo in provincia di Padova. Sono gli ultimi due zuccherifici che producono zucchero al 100 per cento Made in Italy;

   la cooperativa dispone, inoltre, sul territorio nazionale, di cinque piattaforme logistiche per lo zucchero: a Ferrara, Alessandria, Finale Emilia (Modena), Porto Viro (Rovigo), Ostellato;

   l'azienda opera prevalentemente su due regioni e su sette province per un totale di oltre 800 clienti tra industrie e grande distribuzione organizzata rappresentando, con i suoi 280 milioni di euro di fatturato, il 23 per cento di quota del mercato nazionale;

   il futuro della Coprob riguarda direttamente 7.000 produttori di barbabietola, di cui 5.500 soci per un totale di oltre 30 mila ettari seminati. Solo in Emilia-Romagna i produttori sono 4.000, di cui quasi un terzo nella città metropolitana di Bologna. Il trend negativo è visibile, del resto, nei livelli di produzione lorda vendibile di barbabietola che, solo nella regione Emilia-Romagna, è scesa sotto i 50 milioni di euro, uno dei valori più bassi dell'ultimo decennio;

   la Co.Pro.B. ha chiesto di recente, lo stato di crisi del settore al fine di sottoscrivere un «Patto per lo Zucchero Italiano», tra l'altro già sottoscritto nell'aprile 2018 dalla regione Emilia-Romagna: un manifesto-appello volto a coinvolgere le istituzioni a qualunque livello, l'industria agroalimentare, la grande distribuzione organizzata e ogni altro soggetto interessato, al fine di tutelare e salvaguardia l'unica filiera al 100 per cento Made in Italy –:

   Se il Governo sia a conoscenza della situazione;

   in che modo e con quali tempistiche il Governo intenda attivarsi, presso gli organismi europei, al fine di tutelare il settore di cui in premessa, aiutandolo a fronteggiare le distorsioni inevitabilmente createsi a seguito della fine del regime delle quote zucchero;

   se si intenda dare vita a un tavolo tecnico che coinvolga tutti gli attori della filiera, al fine di mettere in capo misure e azioni concrete per il rilancio dello zucchero Made in Italy;

   se si intenda dare vita a campagne informative e di promozione mirate alla valorizzazione dello zucchero da barbabietola Made in Italy, e in caso affermativo, con quali modalità e tempistiche.
(4-00841)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   MANZO. — Al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   la regione Campania ha stanziato euro 109.778.557,00 per la misura n. 19 del piano di sviluppo rurale della Campania per le annualità 2014-2020, che si basa su una progettazione e gestione degli interventi per lo sviluppo da parte di attori locali, che si associano in una partnership di natura mista (pubblico privata) affidando un ruolo operativo (gestionale e amministrativo) al gruppo di azione locale (Gal) sulla base della strategia di sviluppo locale (Ssl) al fine di tradurre gli obiettivi in azioni concrete nelle macro aree rurali C e D;

   i Gal sono generalmente society consortili composte da soggetti pubblici e privati allo scopo di favorire lo sviluppo locale di un'area rurale secondo la nota prot. 2018/0198604 del 26 marzo 2018 avente ad oggetto «PSR 2014/2020»;

   il dipartimento della salute, direzione generale 07 politiche agricole, alimentari e forestali della regione Campania chiede di far compilare a tutti i componenti del Consiglio di amministrazione del Gal, agli eventuali revisori dei Conti, sindaci e coordinatore una dichiarazione annuale di inconferibilità e incompatibilità di cariche fra sindaci e presidente di Gal;

   la dichiarazione di cui all'articolo 20 del decreto legislativo n. 39 del 2013 «Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubblicate amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190» deve essere resa dal soggetto che riceve l'incarico dalle pubbliche amministrazioni o dagli enti di diritto privato in controllo pubblico;

   l'Anac con propria interpretazione, poi recepita nella legge n. 190 del 2012 e nel decreto legislativo n. 33 del 2013 in relazione alle connesse normative in materia di anticorruzione e trasparenza, fa riferimento, ad un concetto di ente privato in controllo pubblico, nel quale rientrerebbero in sintesi, gli enti sottoposti a controllo pubblico ai sensi dell'articolo 2359 codice civile e gli enti in cui la totalità degli amministratori a nominata da enti pubblici;

   i Gal non sono quindi classificabili tra gli enti privati in controllo pubblico, con conseguente inapplicabilità dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 39 del 2013 di cui sopra;

   non firmando la dichiarazione richiesta dal direttore generale 07 politiche agricole, alimentari e forestali della regione Campania, i Gal non possono candidare progetti alla misura 19 del Psr 2014-2020, cosa che determina una mancata occasione di sviluppo per le aree rurali regionali;

   in regione Campania i presidenti dei Gal sono maggiormente sindaci che non possono autodichiararsi di non trovarsi nelle condizioni di cui all'articolo 20 del decreto legislativo n. 39 del 2013;

   a giudizio del interrogante, come si evince anche da fonti di stampa, è necessario apportare alcune modifiche migliorative rispetto alla normativa introdotta che, pur avendo finalità apprezzabili e condivisibili, presenta ancora diverse lacune, così come le linee guida fornite dall'Anac, che dovrebbero essere ancora più chiare e specifiche soprattutto sull'applicazione delle eccezioni –:

   se intenda assumere iniziative normative affinché possa terminare la prassi, a giudizio dell'interrogante irregolare, segnalata ed evidenziata dalle notizie apparse sugli organi di stampa, così frequentemente praticata nella regione Campania, che sta determinando un rischio per lo sviluppo economico in tutto il territorio;

   quali iniziative, anche di carattere normativo, la Ministra interrogata intenda assumere al fine di rendere più efficace la disciplina introdotta, garantendo la massima trasparenza circa l'operato delle pubbliche amministrazioni e dando la possibilità ai cittadini di conoscerne direttamente le attività, nell'ottica del contrasto ad ogni forma di corruzione e in nome della democrazia.
(4-00839)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GADDA, ENRICO BORGHI, BRAGA, CARDINALE, D'ALESSANDRO, MARCO DI MAIO, FIANO, LA MARCA, MORETTO, PAITA, RIZZO NERVO, ROSSI, ROTTA, SCALFAROTTO, SCHIRÒ, SERRACCHIANI, VAZIO, CENNI e PEZZOPANE. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   secondo l'ultimo rapporto Unicef reso noto nel mese di luglio 2018 nel corso dell'ultimo anno, nel mondo, ogni ora circa 30 adolescenti fra 15 e 19 anni sono stati contagiati dall'Hiv, uno ogni due minuti e i 2/3 sono ragazze;

   l'Unicef torna a lanciare l'allarme a livello planetario, perché dal 2010 le morti per virus Hiv sono diminuite in ogni fascia di età tranne che per gli adolescenti fra 15 e 19 anni;

   il rapporto «Women: at the heart of the Hiv response for children (donne: al centro della risposta all'Hiv per i bambini)» offre quindi statistiche ponderate sulla epidemia globale di Aids ancora in corso e sui suoi impatti sui più vulnerabili;

   dal rapporto emerge che la diffusione dell'epidemia tra le ragazze adolescenti è alimentata da rapporti sessuali precoci, anche con uomini più grandi, da rapporti sessuali forzati, dalla povertà e dalla mancanza di accesso a servizi di consulenza e di test riservati;

   in Italia il piano nazionale Aids, approvato nell'ottobre 2017 dalla Conferenza Stato-regioni, è caratterizzato da iniziative volte a raggiungere segmenti di popolazione a rischio, con il fondamentale supporto degli enti di terzo settore;

   l'applicazione del piano, che prevede il ripristino, ove siano state abolite, delle commissioni regionali Aids, punta ad offrire le risposte necessarie oggi ad un ulteriore contenimento dell'epidemia anche nel nostro Paese;

   i dati sul piano mondiale richiamano la necessità di monitorare con attenzione il mondo adolescenziale –:

   in considerazione di quanto richiamato in premessa, quali iniziative intenda assumere il Governo per rafforzare ulteriormente, anche coinvolgendo il mondo della scuola, l'azione di contrasto alla diffusione del virus Hiv, con particolare riferimento alla fascia di età adolescenziale e femminile, raccogliendo l'allarme lanciato, a livello mondiale, dall'Unicef.
(5-00261)


   ANZALDI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   secondo i dati diffusi dall'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) e dall'Associazione italiana registro tumori (Airtum), il tumore del polmone, sebbene storicamente considerato una patologia a retaggio maschile, oggi registra una crescita esponenziale nelle donne, sia in termini di incidenza, che di mortalità;

   nella precedente legislatura si è promossa una significativa attività di prevenzione nei confronti delle patologie polmonari derivanti da scorretti stili di vita, tra cui il tabagismo;

   nonostante il tabacco rappresenti il principale fattore di rischio del tumore al polmone, tale patologia registra purtroppo un incremento della diffusione anche tra soggetti non fumatori;

   tra le alterazioni geniche individuate, ad oggi, nel carcinoma polmonare, una in particolare, il riarrangiamento di ALK, è presente nel 3-7 per cento di tutti i pazienti con carcinomi non a piccole cellule, interessando prevalentemente persone più giovani, di età tra i 40 e i 50 anni, in genere non fumatori e con condizioni generali di salute buone;

   la determinazione della positività al test per ALK, nel tumore del polmone, consente di identificare pazienti che potranno avere un significativo e clinicamente rilevante aumento della sopravvivenza libera da malattia con terapie target di nuova generazione;

   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 65 del 18 marzo 2017 prevede l'analisi mutazionale del carcinoma polmonare tra le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale incluse nei livelli essenziali di assistenza (Lea);

   le terapie personalizzate di cui oggi si dispone sarebbero in grado di prolungare la sopravvivenza libera da malattia e migliorare la sintomatologia, presupponendo però necessariamente una diagnostica mirata, alla quale tutti i pazienti dovrebbero quindi avere accesso;

   sia l'Aiom, che la Società italiana di anatomia patologica (Siapec), da circa 10 anni, sono impegnate nella formazione, nella produzione di raccomandazioni cliniche e metodologiche e controlli periodici di qualità dei laboratori a livello nazionale, al fine di ottenere test validati ed effettuati con tempistiche e metodologie adeguate per garantire l'accesso dei pazienti alla diagnostica biomolecolare che possa ottimizzare l'utilizzo di farmaci a bersaglio molecolare nella pratica clinica;

   in alcune aree del nostro Paese permangono purtroppo criticità di tipo organizzativo e di tipo tecnico, dovute principalmente all'assenza di reti oncologiche regionali funzionanti e di Pdta (percorsi diagnostico-terapeutici) strutturati, che assicurino, tempi certi e con adeguata qualità, le risultanze richieste, da cui deriva una difficoltà di accesso a farmaci target;

   quali iniziative il Governo intenda assumere, per quanto di competenza, anche di concerto con le regioni, per garantire su tutto il territorio nazionale la possibilità di essere sottoposto al test ALK per tutti i pazienti con diagnosi iniziale di carcinoma polmonare, nonché a promuovere il perseguimento di best practices esistenti circa l'applicazione delle linee guida nazionali Aiom Siapec, che hanno codificato il percorso diagnostico terapeutico dei pazienti con carcinoma polmonare, con l'obiettivo di assicurare una più efficace azione di prevenzione e contrasto di tale patologia.
(5-00267)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   da notizie di stampa si apprende che nei prossimi cinque anni in Italia mancheranno quasi 12.000 medici, per effetto dei pensionamenti o di passaggi al privato: i primi a rischio di estinzione, a breve, sono gli anestesisti, seguiti dai chirurghi, igienisti, ginecologi e psichiatri;

   l'allerta è stata lanciata dalla Federazione delle aziende sanitarie pubbliche (Fiaso), che descrive un quadro allarmante arricchito però, come denunciano gli Ordini dei medici, anche da un paradosso: se da un lato mancano i medici, dall'altro sono oltre 15 mila i laureati in medicina ad oggi inoccupati;

   attualmente, spiega la Fiaso, in Italia ci sono ancora più medici degli altri Paesi dell'Unione europea con sistemi sanitari simili, ma da qui al 2022 tra uscite dal lavoro e numero contingentato di nuovi specialisti mancheranno 11.800 dottori, anche se si andasse ad un totale sblocco del turn over. Questo anche a causa del fatto che il 35 per cento lascia il lavoro prima dei limiti di età, perché si prepensiona o perché accede al settore privato. Un problema è anche rappresentato dal fatto che, in entrata, uno specializzando su quattro non opta per il servizio pubblico;

   nei prossimi otto anni, i medici dei servizi sanitari di base «scompariranno», mentre gli igienisti si ridurranno del 93 per cento e i patologi clinici dell'81 per cento. Internisti, chirurghi, psichiatri, nefrologi e riabilitatori si ridurranno a loro volta di oltre la metà, anche se il maggior numero di cessazioni dal lavoro si avrà tra gli anestesisti, che lasceranno in 4.715 da qui al 2025. Altro dato di rilievo, sottolinea la Fiaso, è poi il primato italiano di anzianità dei medici, che nel 51,5 per cento dei casi hanno superato i 55 anni di età, contro il 10 per cento del Regno Unito e il 20 per cento di Olanda e Spagna. Da qui al 2025, complessivamente 40.253 medici compiranno i 65 anni, mediamente buoni per il pensionamento, ma le cessazioni saranno molte di più, ovvero oltre 54.000;

   eppure, secondo la Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo) al 2017, si contano oltre 15 mila laureati in medicina che, a seguito del numero chiuso, non sono riusciti ad ottenere né l'accesso ad una borsa per la specializzazione né al corso di medicina di famiglia. Non possono dunque entrare a pieno titolo nel servizio sanitario e lavorare, ma solo attendere. Vi sono poi da considerare le migliaia di laureati che hanno fatto ricorso al Tar per il mancato accesso alle borse: a seguito di ciò è del tutto verosimile che un gran numero di loro chiederà di accedere alle specializzazioni;

   l'articolo 22, comma 4, lettera c), del patto per la salute 2014-2016, prevede espressamente la disciplina della formazione di base e specialistica per il personale dipendente e convenzionato della formazione di base specialistica, da attuare con un apposito disegno di legge delega; ad oggi ciò non è ancora avvenuto –:

   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non ritengano opportuno assumere iniziative per trovare la soluzione più idonea al problema esposto in premessa.
(4-00823)


   VANESSA CATTOI, BINELLI, SEGNANA e ZANOTELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   da notizie di stampa si apprende che la lista dei nati ad Arco, a dispetto delle disposizioni che hanno portato alla chiusura del punto nascite e che prevedono di trasferire tutte le nascite negli ospedali di Rovereto e Trento, si è decisamente allungata;

   uno degli ultimi casi, occorso nella prima metà del mese di luglio 2018, riguarda una bimba nata all'interno del pronto soccorso arcense dove la madre, ormai nell'ultima fase della gravidanza, si era recata più per scrupolo che per una vera emergenza. In breve tempo la situazione è cambiata e alla fine non c'è stato più tempo per un trasferimento in elicottero;

   non è il primo episodio da quando il punto nascite è stato chiuso. La donna è arrivata al pronto soccorso in fase non molto avanzata del parto, tanto che si è cercato di contattare, come da protocollo, l'elisoccorso per poter trasportare la partoriente in sicurezza all'ospedale di riferimento e completare il parto. L'elicottero è rimasto indisponibile per molto tempo tanto che la donna è entrata nella fase espletiva e non si è potuto far altro che procedere sul posto;

   la delicata fase del parto è stata quindi svolta dagli operatori del pronto soccorso arcense assieme all'ostetrica, portandola a termine senza complicazioni. A questo punto, vista la continua indisponibilità dell'elicottero e considerato il buon esito del parto, madre e neonata sono stati portati in autoambulanza all'ospedale di Trento per i dovuti controlli e accertamenti, dove si è appurato il buono stato di entrambe;

   ad Arco il punto nascite è stato chiuso a seguito dell'applicazione della normativa nazionale, con l'avallo della provincia, pur essendo la specificità del territorio assolutamente non compatibile con la normativa che limita i punti nascita;

   la valutazione della persistenza dei punti nascita dovrebbe essere effettuata considerando essenzialmente i criteri di disagio orografico e con l'obiettivo di un costante bilanciamento tra rischio legato alla distanza tra il comune di residenza della donna, il comune sede del punto nascita oggetto di valutazione e di quello alternativo e il rischio collegato alla ridotta capacità di affrontare condizioni complesse e situazioni di emergenza derivanti dai volumi di casistica molto bassi;

   il Comitato percorso nascita nazionale (CPNn) è stato costituito con decreto ministeriale 12 aprile 2011, come previsto dall'accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010, recante linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo. Il Comitato è stato rinnovato con decreto ministeriale 19 dicembre 2014 e successivamente integrato con decreto ministeriale l'11 novembre 2015;

   il CPNn supporta tutte le regioni e province autonome nell'attuare le migliori strategie di riorganizzazione dei punti nascita, verifica che esse siano coerenti con quanto definito nell'accordo ed assicura, nel contempo, un efficace coordinamento permanente tra le istituzioni centrali e periferiche in funzione della qualità e sicurezza del percorso nascita;

   la particolare attenzione verso la tematica del percorso nascita è attestata anche dall'inserimento nella verifica dei livelli essenziali di assistenza di uno specifico punto dedicato al percorso nascita, attraverso cui è possibile svolgere un'azione di monitoraggio sullo stato di attuazione delle 10 linee di azione sottoscritte da regioni e province autonome nell'accordo del 16 dicembre 2010 –:

   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno che il Comitato percorso nascite riveda i criteri che determinano la chiusura dei punti nascita, in considerazione del fatto che le norme in questione devono essere contestualizzate a seconda delle peculiarità orografiche territoriali specifiche di ogni regione.
(4-00824)


   LOLLOBRIGIDA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il presidio ospedaliero de La Maddalena presenta le caratteristiche proprie degli ospedali di piccole dimensioni;

   accorpato funzionalmente al presidio di Olbia, il presidio è organizzato in un unico dipartimento con posti letto multidisciplinari, peraltro integrato e collegato a tutte le altre strutture ospedaliere aziendali;

   la particolare localizzazione a forte valenza turistica e l'insularità del territorio imporrebbero nell'isola la garanzia del mantenimento di funzioni di emergenza-urgenza, di ricovero ordinario e day-hospital al fine di tutelare l'assistenza sanitaria di base e garantire i livelli essenziali di assistenza che sono diritto di ogni cittadino ovunque si trovi;

   secondo quanto riportato nell'atto aziendale della Asl n. 2 il presidio ospedaliero de La Maddalena costituisce «sede staccata» del presidio di Olbia, ma è strettamente collegato ai due principali presidi di Olbia e Tempio, all'interno di una reale rete ospedaliera alla quale si aggiungono i servizi territoriali come quello della ospedalizzazione domiciliare oncologica;

   l'atto aziendale ridefiniva una riorganizzazione logistico-strutturale dei presidi ospedalieri in senso dipartimentale, con l'integrazione dei servizi di diagnostica per immagini, sostenendo l'integrazione funzionale tra le strutture ospedaliere e quelle territoriali attraverso dipartimenti funzionali e percorsi operativi;

   attualmente, il suddetto assetto ha subito notevoli e drastiche revisioni di tipo organizzativo che pur derivando in parte da alcune carenze di personale sanitario, quali, ad esempio, gli anestesisti rianimatori, per altra parte lasciano trasparire una scarsa considerazione nei confronti dell'ospedale de La Maddalena;

   in questo ultimo senso vale la pena citare il caso dell'unita operativa di ginecologia ed ostetricia, nella quale è stata soppressa l'attività di ricovero, assicurando un presidio di emergenza-urgenza, ostetrico neonatale con guardia attiva e pronta disponibilità nelle 24 ore per ginecologi, ostetrici, pediatri e anestesisti, in grado di garantire la copertura degli interventi urgenti e non differibili;

   ancora a titolo esemplificativo della difficile situazione nella quale versa la struttura, vale la pena ricordare che il centro iperbarico, che peraltro esegue solo ossigenoterapia e non urgenze legate ad embolie e malattia da decompressione chiude dal 14 luglio al 3 settembre 2018 per mancanza di medici anestesisti, in un periodo in cui risulta di particolare importanza, causa del forte afflusso di turisti –:

   se il Ministro interrogato sia informato dei fatti di cui in premessa, e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere al riguardo, per monitorare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza per la popolazione dell'isola che già vive le difficoltà legate all'insularità e le condizioni meteorologiche spesso avverse nei mesi invernali.
(4-00833)


   D'INCÀ. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   nel 2016 il Ministero della salute lanciava la campagna di comunicazione «Allattare al seno – un investimento per la vita», in cui si informavano i genitori sui vantaggi di questo gesto «antico» e importante e di come l'allattamento al seno, oltre ad essere benefico per il bambino, fosse anche importante per la madre: aiuta, ad esempio, l'utero a ritornare più velocemente alle dimensioni normali, riduce il rischio di emorragie post parto, di osteoporosi dopo la menopausa e, se protratto per almeno tre mesi, contribuisce a ridurre il rischio di sviluppare il cancro del seno e dell'ovaio;

   la promozione dell'allattamento al seno ha dunque notevoli ricadute anche di salute pubblica e per questo il Ministero della salute raccomanda alle madri di allattare almeno fino al sesto mese, salvo indicazioni specifiche del pediatra;

   con il decreto del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali n. 82 del 9 aprile 2009, di recepimento della direttiva 2006/141/CE, prescrivere latte artificiale alla dimissione del neonato e della madre è divenuto ufficialmente un reato. Con la circolare 16 del 24 ottobre 2000 del Ministero della salute si conferma che al momento della dimissione non debbano essere forniti in omaggio prodotti o materiale in grado di interferire in qualunque modo con esso. «Le stesse lettere di dimissioni per i neonati non devono prevedere uno spazio predefinito per la prescrizione del sostituto del latte materno equiparandolo a una prescrizione obbligatoria»; la normativa vigente vieta, altresì, per i produttori e i distributori di alimenti per lattanti ogni forma di offerta di campioni gratuiti o a basso prezzo e di altri omaggi di alimenti per lattanti al pubblico, alle donne incinte, alle madri e ai membri delle famiglie, né direttamente, né indirettamente attraverso il sistema sanitario nazionale o attraverso gli informatori sanitari. Le sanzioni descritte nell'articolo 6 del decreto legislativo n. 84 del 19 maggio 2011, infatti, riguardano chiunque commercializzi alimenti di proseguimento con ingredienti alimentari, la cui idoneità alla particolare alimentazione dei lattanti dopo il compimento del sesto mese non è confermata da pareri scientifici di organismi riconosciuti a livello nazionale ed internazionale, e sono pari al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da dodicimila euro a settantaduemila euro;

   tuttavia, alcune iniziative di personaggi pubblici come quella della influencer Chiara Ferragni, compagna del cantante Fedez, che in un post su Instagram reclamizzava una nota marca di latte artificiale, con in braccio il suo figlio neonato (post rimosso in seguito alle critiche avute sul web) non aiutano a fugare ogni incertezza sulla migliore scelta da fare per il neonato e per la stessa neo-madre;

   infatti, l’International baby food action network riceve segnalazioni di violazioni tutte le settimane; anzi, a suggerire il latte artificiale sono spesso gli stessi ospedali al momento delle dimissioni delle neo-madri. Secondo Riccardo Davanzo, presidente del tavolo tecnico del Ministero della salute per la promozione dell'allattamento al seno, si tratta di un comportamento dettato anche dalla mancanza di strumenti sanzionatori;

   la legge può infatti essere facilmente aggirata, ricorrendo a una prescrizione orale o scritta su fogli staccati dalla lettera di dimissione ufficiale –:

   quale iniziative di competenza intenda mettere in campo per rendere effettivamente riscontrabili e pertanto sanzionabili i comportamenti contra legem dei medici che disattengono al divieto di suggerire latte artificiale, invece di prescrivere allattamento al seno.
(4-00842)


   IANARO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   la città di Benevento, con circa 60 mila abitanti, ha come presidio di prossimità locale, per la diagnosi, la cura e l'assistenza, la struttura dell'azienda ospedaliera «Gaetano Rummo», che ottenne il riconoscimento di ospedale di rilievo nazionale, acquisendo il requisito di azienda ospedaliera sede di Dipartimento di emergenza, urgenza e accettazione di II livello. Ad oggi, l'azienda è composta da 6 padiglioni su circa sessantamila metri quadrati;

   con decreto del Commissario ad acta n. 54 del 7 novembre 2017, il presidio ospedaliero «Sant'Alfonso Maria de’ Liguori» di Sant'Agata dei Goti (già appartenente all'Asl di Benevento) è stato annesso all'azienda ospedaliera «G. Rummo» di Benevento;

   presso l'ospedale «Rummo» sembrerebbero attualmente operative solo 11 unità di personale, per i turni di guardia con carico di lavoro di 7/8 notti al mese (altre 4 unità sono dispensate e garantiscono solo guardie diurne e festive);

   si profilano difficoltà nel garantire turni di guardia per un adeguato servizio;

   l'attuale organico è formato da sole 15 unità, insufficienti rispetto all'ordinario carico di prestazioni richieste;

   la regione Campania ha bandito per il potenziamento dell'unità operativa complessa, un concorso per 5 unità, che, a giudizio dell'interrogante, sono insufficienti per garantire servizi essenziali;

   a maggio 2018, il direttore del reparto di cardiologia ha sospeso le visite e gli esami cardiologici di pazienti esterni per carenza di medici oltre che di attrezzature idonee;

   all'esito della proposta di riorganizzazione aziendale dell'ospedale «Rummo», il direttore della struttura complessa della chirurgia generale ed oncologica, il direttore della neurochirurgia, il direttore della rianimazione e il direttore della chirurgia vascolare sono stati trasferiti ad altra sede;

   i sindaci dell'ambito territoriale di riferimento hanno espresso unanime valutazione negativa sulla bozza di atto aziendale proposta;

   il consiglio dei sanitari, riunitosi in prima convocazione presso l'ospedale «Rummo» con 15 voti su 17, ha bocciato il citato atto aziendale;

   nel Dea di II livello del Rummo, che perderebbe le importanti discipline dislocate presso il presidio ospedaliero di S. Agata, la disciplina di cardiochirurgia non sarebbe programmata;

   i quotidiani Cronache di Napoli e Cronache di Caserta sottolineano che è «un paradosso immaginare che due ospedali come il Rummo e il Sant'Agata possano integrare l'offerta sanitaria con una distanza di 55 chilometri l'uno dall'altro»;

   attualmente, l'azienda ospedaliera Gaetano Rummo risulta ancora priva del direttore sanitario, visto che Mario Iervolino è stato scelto come nuovo commissario straordinario dell'Asl di Salerno;

   il 21 maggio 2018, nel reparto di ostetricia e ginecologia del «Rummo», una bimba è venuta al mondo priva di vita;

   la denuncia ha fatto scattare le indagini che hanno coinvolto sette medici;

   dal bilancio consultivo del 2017, approvato con delibera n. 425 del 29 giugno 2018 si evince come il patrimonio dell'azienda ospedaliera «G. Rummo», è stato depauperato di risorse per euro 14.859.858,00;

   dette riserve, sono state girocontate alla regione Campania per la copertura delle perdite di altre aziende sanitarie del territorio –:

   quale sia l'orientamento del Governo in relazione all'accorpamento delle due strutture ospedaliere di cui in premessa e quali iniziative di competenza, anche per il tramite del Commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari della regione Campania, intenda assumere per evitare la frammentazione dell'azienda ospedaliera Rummo;

   se non ritenga opportuno, valutare se sussistono i presupposti per l'invio di ispettori presso le strutture ospedaliere sopracitate, allo scopo di verificare le condizioni di lavoro del personale medico-sanitario, nonché lo stato e il funzionamento dei reparti in modo tale da accertare se in tali sedi siano pienamente garantiti i livelli essenziali di assistenza, tenendo anche conto del percorso impervio e della distanza fisica tra i due ospedali.
(4-00851)


   FORCINITI e SAPIA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   nel dicembre 2007, il Ministro della salute pro tempore Livia Turco e il Governatore della Calabria Agazio Loiero annunciarono la stipula di un acccordo di programma da 196 milioni di euro, firmato il 13 dicembre 2007, per la costruzione di quattro nuovi ospedali in Calabria: nella Sibaritide, a Catanzaro, a Vibo Valentia e nella Piana di Gioia Tauro;

   al riguardo, il Ministro pro tempore Turco affermò che «per garantire che le risorse destinate all'ammodernamento della rete ospedaliera calabrese siano utilizzate bene e in tempi certi, stiamo definendo procedure straordinarie per il completamento dei lavori»;

   trascorsi quasi 11 anni, in cui si sono succeduti i governi regionali a guida Loiero, Giuseppe Scopelliti e Mario Oliverio, i suddetti ospedali non sono stati costruiti;

   l'ospedale della Sibaritide, previsto in contrada Insiti, nel comune di Corigliano-Rossano, avrebbe dovuto assumere un ruolo nevralgico per il territorio servito dallo spoke locale, che ha pesanti carenze strutturali;

   nello specifico, il travagliato iter amministrativo culminava con l'aggiudicazione dei lavori all'Ati Tecnis S.p.a.-Cogiatech S.p.a;

   il 24 novembre 2016, a ridosso del referendum del 4 dicembre 2016, sulla riforma costituzionale cosiddetta riforma «Boschi-Renzi», in una conferenza stampa a Corigliano, il Governatore Oliverio e il suo consulente alla sanità Franco Pacenza presentavano il «Progetto Definitivo del Nuovo Ospedale della Sibaritide», annunciando che, al massimo entro marzo 2017, si sarebbe dato avvio ai lavori;

   il predetto termine fu manifestamente disatteso;

   il 29 gennaio 2018, durante la campagna elettorale per le ultime politiche, Oliverio, accompagnato da Pacenza, in una cerimonia di consegna dei lavori tenuta sul luogo del futuro cantiere, affermò che «oggi si passa finalmente dalle parole ai fatti e si apre la fase concreta della realizzazione del primo dei tre grandi ospedali nuovi»;

   anche stavolta gli annunci rimasero privi di riscontro;

   il consigliere regionale calabrese Carlo Guccione, della maggioranza di Oliverio, ha di recente dichiarato che «la giunta regionale pur di dimostrare, dopo quattro anni di legislatura, di aver fatto qualcosa per la realizzazione dei nuovi ospedali, si è inventata la posa della prima pietra» per il nosocomio della Sibaritide, aggiungendo la durata dei lavori – di 120 giorni, già superati –, non completati e addirittura non partiti «quelli di recinzione, né i lavori di movimento terra»;

   Guccione ha altresì descritto un cantiere di fango e totale abbandono, rilevando che «emergono con chiarezza tutti gli errori commessi da questa giunta regionale», col rischio «di continuare con la politica delle incompiute» e che vengano perduti «anche i 438 milioni di euro messi a disposizione per la realizzazione dei tre nuovi ospedali» (Sibaritide, Vibo Valentia e Piana di Gioia Tauro);

   il 12 marzo 2015 il Consiglio dei ministri nominò l'ingegnere Massimo Scura e il dottor Andrea Urbani, dimessosi nell'agosto 2017, Commissario e Sub-Commissario per l'attuazione del Piano di rientro dal disavanzo sanitario regionale, pure con il compito di monitorare le «procedure della realizzazione dei nuovi ospedali»;

   nel 2013 cessò lo stato dell'emergenza socio-sanitaria regionale, con il passaggio delle competenze circa la realizzazione dei nuovi ospedali, all'assessorato ai lavori pubblici della regione, di concerto con il dipartimento tutela della salute –:

   quali iniziative il Governo, per quanto di competenza, intenda assumere per verificare lo stato dell'attuazione del riferito accordo di programma integrativo e l'effettivo impiego delle risorse stanziate dallo Stato, nonché per garantire il rispetto degli obblighi posti nel suddetto accordo;

   se, date le riferite lungaggini in merito alla realizzazione del predetto accordo di programma, il Governo non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché si possano finalmente realizzare le strutture ospedaliere in questione;

   di quali notizie disponga il Governo, per quanto di competenza, circa il monitoraggio per l'attuazione dell'accordo di cui in premessa.
(4-00855)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:

   da una nota dell'agenzia stampa Ansa del 24 luglio 2018 si appende che il Ministro interpellato abbia deciso di avviare l’iter di annullamento della gara di cessione del complesso industriale Ilva di Taranto alla cordata ArcelorMittal;

   la nota specifica che ci sarebbero tutti i presupposti per procedere all'annullamento della gara, malgrado la ArcelorMittal abbia presentato una proposta migliorativa sia per quanto riguarda le bonifiche che per garantire l'occupazione. La cordata sembra abbia affermato di aver accettato «tutte le richieste sostanziali di ulteriori impegni» fatte dai Commissari Straordinari. Il testo definitivo sembrerebbe sia arrivato dopo giorni di colloqui con i commissari Enrico Laghi, Piero Gnudi e Corrado Carrubba a loro volta in stretto contatto con il gabinetto del Ministro interpellato;

   inoltre, dalla nota inviata a seguito della presentazione del nuovo piano, si evincerebbe che: «ArcelorMittal confida che questi impegni aggiuntivi evidenzino al Governo e agli altri stakeholder nazionali e locali interessati il suo pieno impegno per una gestione responsabile dell'ILVA». Tuttavia non sembra siano stati presentati ufficialmente dati relativi sia sulla parte ambientale sia su quella occupazionale;

   l'ArcelorMittal si direbbe però, «fiduciosa che, con il supporto del Governo, sarà ora possibile finalizzare nei prossimi giorni l'accordo con i sindacati in modo da poter completare rapidamente l'operazione». Tuttavia, da quanto si apprende sembrerebbe che la proposta sia incentrata su proposte migliorative per in piano ambientale e che si limiti soltanto a palesare una «soluzione idonea» per tutti i dipendenti ILVA entro la scadenza del piano ambientale ossia nel 2024;

   i sindacati, dal canto loro, sono seriamente preoccupati perchè convinti, come affermerebbe in una dichiarazione il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, di trovarsi «ancora una volta come con il vecchio Governo» di fronte ad accordi bilaterali Commissari-Azienda, specificando anche «Vogliamo soprattutto avere una soluzione occupazionale per tutti i 14 mila lavoratori... Nessun esubero abbiamo detto al ministro Calenda, nessun esubero confermiamo al ministro Di Maio»;

   a quanto emerso si aggiunga che l'intero territorio della provincia di Taranto continua a vivere una crisi economica senza precedenti aggravata dalle condizioni ambientali e sanitarie ormai note derivanti dalla complessa vicenda che coinvolge il colosso siderurgico dell'acciaio;

   nonostante i vari sforzi e i sacrifici sostenuti in questi anni, è indubbio che la situazione di criticità dell'indotto dell'Ilva versa ancora in una grave situazione di difficoltà economica e finanziaria; infatti, per le imprese dell'indotto dell'Ilva permangono notevoli difficoltà determinate dal crescente ritardo con cui si è proceduto al pagamento delle passività correnti, che hanno determinato rilevanti problemi di liquidità alle imprese già penalizzate dal mancato pagamento dei crediti ante 21 gennaio 2015, mettendo a rischio il pagamento degli stipendi;

   giova anche ricordare come la situazione sanitaria in provincia di Taranto stia vivendo una situazione di piena crisi, infatti, con l'ultima pubblicazione dell'aggiornamento del Registro dei tumori di Taranto riguardante il periodo 2006-2011, si sono confermati i dati relativi alla criticità dello stato di salute della provincia di Taranto rispetto al «Pool Sud» dei Registri tumori;

   a ciò si aggiungano i risultati dello studio condotto dall'Istituto superiore di sanità denominato «Sentieri Kids» che hanno dimostrato come a Taranto la mortalità infantile è più alta del 21 per cento nella fascia di età 0-1 e del 24 per cento nella fascia 0-14, rispetto agli altri siti di interesse nazionale italiani;

   inoltre, da notizie recenti, si è appreso che gli ospedali di Taranto si trovano spesso in situazioni estremamente difficili e pericolose per la salute dei cittadini a causa del sovraffollamento; in tali ospedali ci si troverebbe a dover respingere i pazienti oppure indirizzarli o trasportarli da Taranto a Martina Franca, costringendo il servizio 118 a trasportare i pazienti in codice verde al pronto soccorso dell'ospedale di Martina Franca, anziché di Taranto; in tali ospedali si è creata una ulteriore situazione di congestione, con lunghe file di attesa per essere visitati e questa situazione è in corso da mesi e tende ad aggravarsi ogni giorno di più –:

   se trovi conferma la notizia dell'intenzione del Ministro dello sviluppo economico di procedere all'annullamento della gara di cessione del complesso industriale ILVA; in caso affermativo, se ritenga di fornire ogni elemento utile circa il piano industriale, il piano ambientale e le relative proposte migliorative apportate da AlcelorMittal;

   quali siano gli orientamenti del Governo circa il prosieguo della cessione Ilva, in merito al recupero ambientale ed occupazionale; come si intenda procedere, con quali risorse e quali siano i tempi di esecuzione;

   quali iniziative, anche normative urgenti, intenda adottare al fine di tutelare le piccole e medie imprese dell'indotto che, come emerge, stanno vivendo una seria crisi economica;

   in che modo intenda il Governo garantire, per quanto di competenza, i livelli essenziali di assistenza, ai cittadini della provincia di Taranto, tutelando la loro salute oltre che la dignità.
(2-00062) «Labriola».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PAITA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   domenica 22 luglio 2018 intorno alle ore 22, è divampato un incendio all'interno del cantiere navale Fincantieri del Muggiano a La Spezia, che ha interessato una nave militare in costruzione, la «Vulcano»;

   la nave varata a metà giugno, non era stata ancora consegnata alla Marina militare, perché risultavano essere ancora in corso gli interventi di allestimento;

   i vigili del Fuoco della Spezia, hanno lavorato per oltre 10 ore per completare lo spegnimento dell'incendio;

   tra le conseguenze immediate dell'evento vi è l'attivazione della cassa integrazione per 4 giorni per i 50 dipendenti di Fincantieri;

   tuttavia, rischiano di rimanere esclusi da ogni forma di tutela i lavoratori dell'indotto che sono in numero superiore, diverse centinaia; si verifica così una sproporzione tra lavoratori di Fincantieri e lavoratori dell'indotto;

   sulle maestranze dirette e dell'indotto non devono gravare in alcun modo le conseguenze dell'incidente –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative intenda assumere al fine di aprire un tavolo istituzionale, coinvolgendo Fincantieri, aziende dell'indotto e sindacati per tutelare tutti i lavoratori coinvolti e assicurare adeguate tutele in termini di ammortizzatori sociali anche a chi, ad oggi, ne risulterebbe escluso con l'obiettivo di garantire certezze alle maestranze in attesa che siano rimodulati tempi e carichi di lavoro finalizzati alla ripresa delle opere sulla nave Vulcano.
(5-00250)


   RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   come è noto, il 12 ottobre 2015, Enel ha disdetto unilateralmente il fringe benefit concernente il consumo di energia elettrica per gli ex dipendenti e i loro superstiti a partire dal gennaio 2016, sicché, non è più esigibile lo sconto sulla tariffa dell'energia elettrica in bolletta, che è stato sostituito con un importo forfettario erogato una tantum;

   la predetta agevolazione tariffaria era prevista nel contratto di lavoro dei dipendenti della società dell'energia elettrica e gli interessati sono stati informati via lettera da Enel che veniva revocata, richiedendo a tal fine la sottoscrizione di un apposito verbale di conciliazione entro il 31 dicembre 2016;

   gli ex-dipendenti Enel hanno contestato tale scelta poiché lo sconto in bolletta non rappresentava un'agevolazione, ma una quota parte della retribuzione quando Enel era ancora un ente pubblico e solo dopo la privatizzazione, la società si è impegnata a corrisponderlo sotto forma di agevolazione tariffaria. Inoltre, per molti dipendenti la riduzione di tariffa ha rappresentato uno dei benefit per l'accettazione di risoluzione anticipata del rapporto di lavoro rispetto al raggiungimento del limite di età;

   pertanto, a parere dell'interrogante, l'Enel approfittando nella propria posizione contrattuale più forte, ha privato queste persone di un diritto, che si era consolidato con precisi accordi vigenti e che non poteva essere annullato con atto unilaterale;

   si ricorda che lo Stato italiano è il principale azionista della società di energia elettrica, detenendo dal 1o aprile 2016, il 23,50 per cento del capitale sociale tramite il Ministero dell'economia e delle finanze –:

   se e quali iniziative abbia preso il Governo in merito alla revoca unilaterale della riduzione tariffaria agli ex dipendenti e superstiti disposta da Enel che, come esposto in premessa appare all'interrogante di dubbia legittimità.
(5-00253)


   BENAMATI, CARLA CANTONE, CRITELLI, DE MARIA e RIZZO NERVO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   durante la passata stagione invernale (ultimo episodio nel mese di febbraio 2018), e dopo che analoghi episodi erano occorsi a partire dal 2015, avverse condizioni di maltempo hanno provocato, nel territorio dell'Emilia-Romagna e principalmente nella provincia di Bologna — in particolare nell'area appenninica —, disservizi diffusi e forti disagi a causa dell'assenza di energia elettrica, di acqua corrente, di gas e dei servizi di telefonia, principalmente mobile; i cittadini di alcuni comuni dell'Emilia-Romagna si sono dunque trovati di nuovo a vivere disagi e disservizi connessi alla mancanza di energia elettrica, risultando migliaia le utenze coinvolte fra Bologna e Reggio Emilia, con l'aggravante che in questo caso le precipitazioni nevose sono state molto modeste;

   nella scorsa legislatura il tema è già stato affrontato più volte con vari atti di sindacato ispettivo a cui il precedente Governo, nell'ultima risposta fornita agli interroganti (interrogazione n. 5-12887) aveva dichiarato, tra l'altro, come fossero state individuate un «primo insieme di azioni da mettere in campo, impartendo indirizzi operativi ai concessionari del servizio affinché ne tenessero conto già a partire dalla programmazione 2018», e raccomandando «azioni di coordinamento, con gli enti locali, finalizzate sia al rafforzamento delle comunicazioni nella fase di emergenza, sia anche ad azioni concrete come la manutenzione degli alberi ad alto fusto» e affermando il necessario coinvolgimento dell'Autorità di regolazione per energia reti e ambiente «che sta lavorando sullo stesso tema della resilienza — previsto come obiettivo nella Strategia Energetica Nazionale approvata lo scorso novembre — per gli aspetti relativi alla qualità del servizio definendo standard e relativa regolazione sia con le amministrazioni territoriali e con il circuito istituzionale di gestione dell'emergenza con cui saranno definiti nuovi strumenti, quali i protocolli citati dagli Interroganti»;

   secondo alcune recenti notizie di stampa, la società Enel, all'interno di un piano di riorganizzazione relativo al territorio dell'Emilia-Romagna starebbe invece per adottare un programma che prevede, nella provincia di Bologna, l'accorpamento di alcune unità operative, e, nello specifico, la soppressione della sede di Castel di Casio che verrebbe accorpata a quella di Sasso Marconi, con diminuzione degli organici operativi nella zona appenninica e con l'indebolimento di un rilevante servizio di pubblica utilità;

   tale notizia, se fondata, costituisce sicuramente una marcia indietro rispetto alla citata e necessaria resilienza della rete e rispetto agli accordi operativi tra la stessa Enel e la regione Emilia-Romagna, stipulati, attraverso un protocollo d'intesa approvato nel novembre 2016, nell'ambito della pianificazione delle attività periferiche di protezione civile, apparendo inoltre come scelta problematica non solo per la gestione dell'emergenza ma per l'attuazione rapida degli interventi strutturali necessari ad evitare che si ripetano simili disagi –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda intraprendere per assicurare ai citati territori montani, spesso gravati da emergenze meteorologiche, la resilienza della rete elettrica, in modo specifico contro gli eventi meteorologici avversi del periodo invernale che hanno visto intensificare la frequenza negli ultimi anni;

   se non ritenga di intervenire, se la notizia dell'accorpamento fosse fondata, promuovendo la convocazione di un tavolo istituzionale anche con la presenza dei vertici di Enel e dei sindaci dei territori coinvolti.
(5-00263)

Interrogazione a risposta scritta:


   FRASSINETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   venerdì 20 luglio 2018 Marco Lepri, titolare di un distributore di benzina a Busto Arsizio è stato colpito da tre proiettili mentre tornava a casa con l'incasso della giornata, nel quartiere di Beata Giuliana, dopo il lavoro;

   quello di Busto Arsizio è solo uno degli innumerevoli episodi di violenza e rapina ai danni dei gestori delle stazioni di rifornimento sul luogo di lavoro;

   a sparare sono stati due malviventi professionisti che lo avrebbero pedinato perché certi della presenza di una significativa quantità di contate (nel caso specifico pari a 5.000 euro);

   l'uso del pagamento con contante è incentivato dai gestori delle stazioni di rifornimento per evitare le onerose transazioni elettroniche che, ad oggi, azzerano di fatto il guadagno dell'esercente pari solamente a circa il 2 per cento dell'incassato;

   da tempo le associazioni di categoria, sia quelle dei titolari delle stazioni di rifornimento, sia quelle dei titolari e delle cooperative di taxi, chiedono al Governo di promuovere l'obbligatoria messa in sicurezza dei punti vendita e di promuovere l'utilizzo della moneta elettronica, costringendo le banche ad assumersi l'onere di ridurre o azzerare le commissioni a queste categorie per ridurre ai minimi termini l'uso dei contante e quindi eliminare gli episodi di violenza e rapina ai danni degli esercenti –:

   se il Governo intenda farsi promotore, per quanto di competenza, delle iniziative necessarie a garantire l'azzeramento delle commissioni per l'utilizzo di Pos, Bancomat e carte di reddito presso le stazioni di rifornimento e per il servizio di taxi, al fine di incentivare l'uso della moneta elettronica in modo tale da evitare l'utilizzo dei contanti sia sulle strade, sia presso le stazioni di rifornimento, evitando così in futuro i numerosi reati ai danni di benzinai e tassisti.
(4-00825)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Benamati n. 5-00034, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 giugno 2018, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Moretto.

  L'interrogazione a risposta scritta Trano n. 4-00465, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 giugno 2018, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Ilaria Fontana.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Fragomeli e altri n. 5-00248, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 luglio 2018, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Fiano, Rotta.

  L'interrogazione a risposta scritta Lazzarini e altri n. 4-00801, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 luglio 2018, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Pretto, Stefani, Bisa.

  L'interrogazione a risposta scritta Ilaria Fontana e Segneri n. 4-00807, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 luglio 2018, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Trano.

Ritiro di documenti
del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:

   interrogazione a risposta scritta Ianaro n. 4-00203 dell'8 maggio 2018;

   interrogazione a risposta scritta Cirielli n. 4-00784 del 24 luglio 2018.