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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 16 luglio 2018

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,

   premesso che:

    l'Istat ha lanciato l'allarme sulle condizioni socio-economiche della popolazione, affermando che sono cinque milioni gli italiani che vivono in condizioni di povertà assoluta, ossia quelli che non riescono a far fronte a spese essenziali per il mantenimento di livelli di vita minimamente accettabili;

    il fenomeno ha raggiunto una soglia limite e il numero non fa che aumentare: nel 2017 si conta un aumento di 261 mila persone che vivono in condizioni di povertà rispetto al 2016, e il confronto è ancora più implacabile guardando al periodo precedente la crisi economica;

    oggi l'8,3 per cento della popolazione italiana vive in difficoltà estrema, contro appena il 3,9 per cento del 2008, anno di inizio della recessione, e le famiglie in povertà assoluta sono 1,8 milioni, con un'incidenza del 6,9 per cento sul totale dei nuclei, in crescita di sei decimi rispetto al 6,3 per cento del 2016 – pari a 154 mila famiglie in più – e di quasi tre punti rispetto al 4 per cento del 2008;

    i drammatici dati relativi a povertà ed esclusione sociale colpiscono maggiormente le famiglie numerose e i bambini e si riflettono anche negli alti tassi di dispersione scolastica e di prematuro abbandono dei percorsi di formazione universitaria;

    il nostro Paese risulta essere in Europa quello con il maggior numero di famiglie e cittadini che non possono permettersi una vita dignitosa e l'avanzo della disoccupazione, soprattutto giovanile, fa prevedere un peggioramento di questo già tragico scenario;

    non è più procrastinabile l'adozione di incisive politiche di inclusione sociale per contrastare la povertà, potenziando gli strumenti a sostegno delle famiglie e degli individui che versano in condizioni di bisogno, ma, soprattutto, introducendo idonei provvedimenti di inserimento attivo nel mondo del lavoro, da associarsi ad una retribuzione minima garantita, nella convinzione che il lavoro, tutelato sotto ogni profilo, rappresenti la più grande opportunità di inclusione sociale che possa attribuire reale dignità agli individui;

    innanzitutto, un'efficace ed efficiente politica di contrasto all'impoverimento e alle disuguaglianze sociali, richiede dei provvedimenti specifici per rafforzare le politiche di sostegno delle famiglie che vivono in condizioni disagiate, con particolare attenzione ai figli minori e a carico. Ciò attraverso l'implementazione delle strutture sul territorio e l'introduzione di misure economiche di sostegno al reddito, che consentano l'acquisto di beni e di servizi e/o agevolazioni fiscali;

    al medesimo fine, bisogna intervenire sul cosiddetto reddito d'inclusione (Rei) introdotto con il decreto legislativo n. 147 del 15 settembre 2017. Tale strumento di contrasto alla povertà e all'esclusione sociale si è dimostrato una misura insufficiente a causa dei modesti importi previsti e della ristretta platea di aventi diritto a cui si rivolge, che non copre nemmeno quella che individua la povertà assoluta e tale inadeguatezza non è stata superata neanche con l'estensione dei requisiti in vigore dal 1° giugno 2018, che permetterà a circa 200 mila famiglie di accedere al beneficio rispetto alle 500 mila famiglie attualmente coinvolte;

    sicché, è necessario aumentare le risorse del fondo nazionale per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale di cui all'articolo 1, comma 386, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, affinché siano raggiunte tutte le famiglie che secondo le stime dell'Istat si trovano in condizioni di povertà nel nostro Paese, nonché avviare concretamente i percorsi di inclusione sociale e lavorativa individuati dalla legge delega, 15 marzo 2017, n. 33, e dal citato decreto legislativo, poiché una virtuosa politica di contrasto alla povertà deve sempre condizionare il sostegno economica all'adesione a un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa;

    il potenziamento del reddito di inclusione deve essere seguito dalla promozione di idonee politiche attive in materia di lavoro che necessitano, innanzitutto, di una seria riforma dei centri per l'impiego, notoriamente inidonei a rispondere all'esigenza occupazionale e la cui inefficienza, non agevolando l'incontro tra l'offerta e la domanda di lavoro, lascia scoperti migliaia di posti di lavoro;

    al riguardo, gli insufficienti risultati delle politiche attive sono dovuti proprio alla tradizionale inadeguatezza di questi enti pubblici a cui non si è riusciti a riparare neanche con la disciplina prevista dal decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, intervenuto sulla governance delle politiche attive del lavoro. Sono circa 500 sul territorio nazionale i servizi per l'impiego pubblici, per un totale di 9 mila addetti, tuttavia, solo il 3,1 per cento degli occupati dichiara di aver trovato un posto attraverso tali strutture. Una percentuale ben diversa rispetto alla media europea che è del 9,4 per cento e lontana da quanto succede in Francia e in Germania dove trovano lavoro con successo il 6,7 per cento e il 10,5 per cento di chi cerca lavoro;

    le criticità rilevate nelle procedure dei centri per l'impiego dipendono, in particolare, dall'assenza di idonei standard minimi di prestazione dei servizi, nonché dalla mancanza di una chiara definizione delle competenze che il personale deve possedere per erogare servizi orientati alla persona, che deve essere sostenuta nelle difficili e diverse fasi di transizione del proprio percorso professionale e lavorativo. In tale scenario, all'esigenza di garantire che i servizi dei centri per l'impiego siano erogati da personale competente, si aggiunge la necessità di definire procedure idonee al raccordo con gli altri operatori pubblici e privati del tessuto territoriale in cui opera il singolo centro;

    ed ancora, è necessario attuare un forte coordinamento tra le attività svolte dai centri per l'impiego nell'incontro domanda-offerta di lavoro sul territorio e le attività svolte dall'Inps nel sostegno al reddito dei disoccupati e delle persone in cerca di occupazione;

    le politiche attive del lavoro rappresentano uno strumento fondamentale per ridurre la disoccupazione strutturale e per condizionare gli interventi a sostegno del reddito ad una ricerca attiva del lavoro. In Italia, però, lo scarso investimento nelle politiche attive non consente lo sviluppo delle stesse e, di conseguenza, di tenere sotto controllo la disoccupazione di lunga durata e la spesa per le politiche passive;

    nel momento in cui una misura di politica attiva favorisce il reinserimento occupazionale di un disoccupato il risultato è duplice, in quanto si incrementa l'occupazione e si consente di risparmiare sul costo delle politiche passive;

    non è accettabile che in Italia la complessiva spesa per le politiche del lavoro è per il 74 per cento (17 miliardi di euro nel 2016, inclusi i contributi figurativi) destinata alle politiche passive;

    pertanto, le tendenze in atto nel mercato del lavoro italiano, periodicamente registrate dai dati di Istat e Inps, richiedono la messa in campo di strumenti maggiormente diffusi e stabili di supporto alla riqualificazione e ricollocazione dei lavoratori disoccupati o a rischio di disoccupazione;

    per garantire concretamente dignità e inclusione sociale, è indubbio che il diritto al lavoro va salvaguardato sotto ogni profilo; pertanto, è necessario assicurare a chi ha un'occupazione una giusta e proporzionata retribuzione. Al riguardo, infatti, si ricorda che l'articolo 36 della Costituzione stabilisce espressamente che «il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa (...)». Eppure, l'allarmante numero di lavoratori che in Italia viene sottopagato o, addirittura, svolge prestazioni gratuite, pone di fronte al dato di fatto che quello che dovrebbe essere un principio inviolabile, viene spesso del tutto disatteso. Pertanto, predisporre misure di contrasto alla piaga dei lavoro sottopagato dovrebbe rappresentare un'emergenza prioritaria per il Governo, anche considerando che il suo continuo diffondersi, oltre a negare un basilare diritto per il lavoratore, ostacola i consumi e impedisce all'Italia di crescere e di uscire dall'attuale stato di crisi;

    è evidente che l'istituzione di una «retribuzione minima garantita» rappresenterebbe un efficace strumento per attuare una maggiore equità e tutela della posizione di debolezza del lavoratore nel rapporto di lavoro, conferendogli maggiore potere contrattuale. Difatti, un corrispettivo minimo fissato per legge, su base oraria, è attualmente applicato in molti Paesi europei, mentre in Italia esso vige solo per alcune categorie di lavoratori, in virtù dei contratti collettivi negoziati a livello nazionale;

    il riconoscimento di una «retribuzione minima» escluderebbe fenomeni di sfruttamento che, ad oggi, non sono evitati dai minimi salariali stabiliti nei contratti nazionali, poiché, come è noto, lasciano scoperti il 30-40 per cento del mercato del lavoro italiano, dalle imprese di modeste dimensioni ai lavoratori atipici. Al riguardo, non si ritiene condivisibile la tesi espressa da alcuni sindacati, i quali affermano che l'istituzionalizzazione di una «retribuzione minima» a livello nazionale avrebbe degli effetti negativi, poiché porrebbe le basi per una diminuzione dei salari nel medio termine. Riconoscere un importo minimo del corrispettivo, invece, è un provvedimento necessario per conferire maggiore potere contrattuale ai lavoratori più marginali e riconoscere il lavoro come strumento di dignità, in coerenza con i fondamenti della Repubblica;

    l'importo fissato deve costituire una soglia minima, in qualità di garanzia stipendiale che ha lo scopo di evitare situazioni di sfruttamento. Del pari, mediante la contrattazione collettiva o un accordo individuale con il datore di lavoro, dovranno essere previste retribuzioni minime di un ammontare maggiore a quello previsto su base nazionale, qualora lo richiedano le specificità dei diversi comparti occupazionali. Sicché, la contrattazione collettiva avrebbe un ruolo fondamentale proprio per escludere una diminuzione dei salari nel medio termine in quei settori le cui caratteristiche richiedono l'individuazione di corrispettivi superiori, rispetto al minimo previsto su base nazionale,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative specifiche per il sostegno delle famiglie che si trovano in condizione di povertà e tutelare i minori che ne fanno parte, anche mediante l'implementazione delle strutture sul territorio e l'introduzione di misure economiche di sostegno al reddito o di agevolazioni fiscali, in favore delle famiglie con figli a carico;

2) a porre in essere iniziative per aumentare le risorse affinché il reddito d'inclusione comprenda, quanto meno, la platea di persone che risultano in base ai dati dell'Istat in povertà assoluta, anche implementando l'importo degli assegni ivi previsti;

3) ad avviare i percorsi di inclusione sociale e lavorativa collegati al reddito di inclusione, come individuati dalla legge delega, 15 marzo 2017, n. 33, e dal decreto legislativo n. 147 del 15 settembre 2017;

4) ad adottare, per quanto di competenza, iniziative di riforma che agiscano sulla qualità dei servizi offerti dai centri per l'impiego, nell'ambito dei quali il personale deve possedere le competenze adeguate per svolgere ricerca e la selezione del personale e favorire efficacemente l'incontro tra offerta e domanda di lavoro – anche attraverso la costituzione di una rete di contatti con le imprese, le società, i consorzi, le cooperative, gli studi associati, gli studi professionali, le fondazioni e le associazioni – garantendo standard minimi di prestazioni nonché il raggiungimento di obiettivi, anche attraverso misure incentivanti;

5) ad assumere iniziative per attuare un forte coordinamento tra le politiche attive svolte sul territorio attraverso i centri per l'impiego e le politiche passive, di sostegno del reddito dei disoccupati e delle persone in difficoltà economica, svolte, a livello nazionale, dall'Inps, al fine di rendere effettivo il cosiddetto principio di condizionalità, che deve governare gli interventi di welfare nel mondo del lavoro;

6) ad assumere iniziative per garantire un incremento delle risorse per il Fondo per le politiche attive del lavoro, con l'obiettivo di aumentare e rendere l'offerta di tali politiche coerente con la platea potenziale dei beneficiari e, conseguentemente, diminuire gli esorbitanti costi che vengono sostenuti in Italia in politiche passive del lavoro;

7) ad assumere iniziative volte a istituzionalizzare una «retribuzione minima oraria» su base nazionale per attuare una maggiore tutela della posizione di debolezza del lavoratore nel rapporto di lavoro, garantendogli un'equa retribuzione, in conformità all'articolo 36 della Costituzione, prevedendo adeguati sistemi di controllo per verificarne la concreta applicazione e, in caso di violazione, prevedere la responsabilità penale per i datori di lavoro, in modo da scoraggiare concretamente l'applicazione di retribuzioni che non consentono al lavoratore un'esistenza dignitosa;

8) ad assumere iniziative per prevedere una totale decontribuzione previdenziale e fiscale per un periodo di almeno 5 anni, al fine di dare maggiore possibilità di inserimento lavorativo ai soggetti destinatari del reddito di inclusione, rendendo vantaggiosa la loro assunzione da parte delle aziende.
(1-00016) «Rizzetto, Lollobrigida, Bucalo, Acquaroli, Bellucci, Butti, Caretta, Ciaburro, Cirielli, Crosetto, Luca De Carlo, Deidda, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferro, Fidanza, Foti, Frassinetti, Gemmato, Lucaselli, Maschio, Meloni, Mollicone, Montaruli, Osnato, Prisco, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Zucconi».


   La Camera,

   premesso che:

    il fenomeno della delocalizzazione delle imprese italiane è sempre più allarmante. Infatti, il numero delle partecipazioni all'estero delle aziende è aumentato dal 2009 al 2015 del 12,7 per cento. Quando un'azienda delocalizza porta oltre frontiera non solo gli impianti ed il proprio mercato, ma anche il «know-how», tutto il «sapere come» accumulato negli anni con il concorso determinante delle maestranze italiane che appartiene non solo all'imprenditore proprietario dell'azienda, ma anche a coloro che hanno dato il loro determinante contributo a realizzarlo: tutto questo «sapere come» viene offerto e imposto alle nuove maestranze del Paese ricevente, che pertanto crescono professionalmente senza doverne sostenere né i costi né la fatica;

    il Governo attuale è in prima linea per combattere fenomeni di delocalizzazione incontrollata tant'è vero che è intervenuto recentemente con il decreto-legge «Misure urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese», prevedendo una norma che contrasta la delocalizzazione delle aziende che abbiano ottenuto aiuti dallo Stato per impiantare, ampliare e sostenere le proprie attività economiche in Italia;

    il fenomeno delocalizzazioni è ancora a livelli allarmanti e va fermato attraverso misure che migliorano la qualità della vita delle imprese esistenti, sia in termini di riduzione della pressione fiscale sia in termini di semplificazione e riduzione degli oneri;

    da qualche anno ci sono aziende che riportano in Italia la produzione e si inizia a parlare di «fenomeno reshoring». Tra le principali motivazioni che sostengono il reshoring in Italia, prima fra tutti, è l’«effetto Made in Italy», insieme a «difesa dei brevetti», «leggi chiare e norme», «qualità del prodotto», «capitale umano competente», «flessibilità produttiva», «defiscalizzazioni e incentivi pubblici», «innovazione/automazione» e infine «riduzione del gap nel costo del lavoro»;

    il fenomeno è in parte figlio della crisi economico-finanziaria che è esplosa nel 2008 e che ha imposto alle imprese una revisione del modello di distribuzione e produzione globale, nel rispetto di un attento controllo sul fronte dei costi. È proprio in questo contesto che diversi Governi hanno iniziato a mettere a punto formule per incentivare le grandi industrie locali a riportare le produzioni in patria, nella speranza di accrescere l'indotto e, di riflesso, contribuire a mitigare l'annoso e diffuso problema di tassi di disoccupazione a doppia cifra;

    i Paesi da cui le imprese hanno assunto la decisione di ritornare sono in netta prevalenza quelli asiatici (Cina in primo luogo) seguiti da quelli dell'Est Europa, che tuttavia risultano privilegiati per l'approdo in caso di nearshoring. Per quanto riguarda i settori d'attività delle aziende che scelgono di rimpatriare le filiere di produzione, spiccano fashion, automotive e arredamento: da soli rappresentano i due terzi del totale delle operazioni;

    a incidere sulla decisione di rimpatriare i centri di produzione ha inciso soprattutto la voce dei costi di trasporto e stoccaggio logistico delle merci, che finiscono per gravare in maniera sensibile sul costo di produzione dei manufatti con riverberi negativi, anche in questo caso, sui margini. In particolare, il costo del petrolio è triplicato dal 2010;

    inoltre, i tempi di trasporto delle merci sono piuttosto lunghi e rischiano quindi di non riuscire a tenere sempre il passo di mode passeggere; restando al caso della Cina, per esempio, occorre mettere in conto cinque settimane di navigazione veloce se si sceglie un trasporto via mare. In alternativa, servono circa sedici giorni se i manufatti viaggiano su rotaia, mentre il trasporto aereo risulta decisamente più oneroso;

    i costi di trasporto sono stati determinanti per la decisione di rimpatriare i centri di produzione, voce che finisce per gravare in maniera sensibile sul costo di produzione dei manufatti con riverberi negativi, anche in questo caso, sui margini. Ad esempio, il costo del petrolio è fortemente aumentato negli ultimi periodi;

    l'Europa sta via via riscoprendo la propria vocazione manifatturiera e va prendendo coscienza del fatto che non di rado i benefici economici attesi dalla delocalizzazione delle filiere produttive si sono rivelati inferiori rispetto al premio che i consumatori sono disposti a riconoscere per produzioni «made in»;

    il settore della moda italiana è certamente quello che più di ogni altro ha accelerato negli ultimi anni la strada del ritorno in patria delle filiere di produzione, fenomeno che si è intensificato a partire dal 2009 e che ha conosciuto un picco nel 2013. Il motivo principale è legato alla costante crescita dei clienti internazionali che – anche durante gli anni in cui i morsi della crisi sono stati particolarmente pungenti – non hanno mai smesso di richiedere prodotti made in Italy e, in cambio di eccellenza della lavorazione artigianale e di un know-how difficile da reperire fuori dallo stivale, si sono mostrati disposti a riconoscere un premio anche consistente sul prezzo di vendita al dettaglio. Questo ha portato un numero crescente di imprenditori a ripensare alla strategia di delocalizzazione messa in atto dagli anni novanta, innescando così il fenomeno del reshoring;

    le varie formule in cui il reshoring prende piede sono da anni oggetto di studio da parte del consorzio interuniversitario Uni-Club MoRe Back-Reshoring, che raduna numerosi studiosi degli atenei di Modena-Reggio Emilia, L'Aquila, Udine, Catania e Bologna;

    il reshoring può portare diversi benefici al sistema economico nazionale. In primo luogo, la rilocalizzazione in Italia di produzioni (svolte direttamente dall'azienda rientrante o affidate a fornitori nazionali) contribuisce alla crescita del prodotto interno lordo, obiettivo fondamentale per il nostro Paese, data la profonda crisi degli ultimi sei anni e la precedente limitata crescita. Un aumento del prodotto interno lordo, come è noto, permetterebbe anche di avere maggiori risorse da investire;

    va inoltre tenuto presente che – a parità di pressione fiscale – un aumento del prodotto interno lordo genera maggiori entrate tributarie o, in alternativa, la possibilità di ridurre le aliquote fiscali. Con riferimento all'aumento del prodotto interno lordo, esiste anche un fenomeno similare a quello del reshoring, il cosiddetto near-shoring, ovvero il fatto che un'impresa (per esempio francese) che aveva delocalizzato delle produzioni in un altro Paese (ad esempio, l'India) decida di rilocalizzarle in un Paese geograficamente meno distante (esempio la Tunisia). In tal senso, l'Italia può rappresentare – in alcuni settori specifici (fashion e meccanica di precisione in primis) – un'interessante piattaforma produttiva per quei paesi europei che desiderano riavvicinare le produzioni in precedenza delocalizzate;

    questo a motivo delle competenze (spesso uniche) che il nostro Paese – e in particolare alcune aree geografiche in cui sono presenti aggregazioni imprenditoriali di tipo distrettuale – posseggono e possono mettere a disposizione di aziende straniere;

    al riguardo è intervenuta anche l'Unione europea attraverso il parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Riportare le industrie nell'UE nel quadro del processo di reindustrializzazione»;

    in questo parere sottolinea che non si può continuare a consentire alla nostra industria di lasciare l'Europa. L'industria europea può sviluppare crescita e creare lavoro e ci sono le condizioni per una reindustrializzazione sostenibile dell'Europa, per sviluppare investimenti necessari in nuove tecnologie e per ricostruire un clima di fiducia e di imprenditorialità. Lavorando insieme e recuperando fiducia, si può riportare l'industria indietro in Europa;

    in Italia si produce uno scenario differente dagli USA, il «reshoring» è partito senza particolari incentivi. Grazie ai forti cluster italiani non sono serviti l'appoggio fiscale e la riduzione dei prezzi per alimentarlo. Probabilmente oggi se le politiche economiche fossero concilianti come lo sono nel «nuovo continente», il «reshoring» avrebbe statistiche ancora più elevate e sarebbe un fenomeno ancora più radicato nel panorama industriale italiano;

    per quanto concerne gli incentivi al reshoring bisogna stare particolarmente attenti a non creare competizione tra le aziende che decidono di tornare e quelle che – nonostante la crisi di questi anni – hanno deciso di continuare a rimanere legate alla produzione locale. In altri termini, qualsiasi incentivo deve facilitare la possibilità di fare business sia per le imprese da sempre presenti nel nostro Paese sia per le aziende che intendono tornare. Ogni intervento, quindi, deve essere organico, strutturale e non settoriale. In questo senso l'aver tolto la componente costo del lavoro dall'Irap o aver effettuato interventi in tema di contratto di lavoro sono sicuramente degli sforzi importanti ma non incisivi. Molto si può – e si deve – ancora fare, specialmente in tema di: semplificazione amministrativa – la Francia in questo rappresenta un esempio da imitare, dato che per le aziende che intendono ritornare mette a disposizione un interlocutore unico della pubblica amministrazione –; certezza delle regole e riduzione della tassazione sulle imprese;

    i costi di trasporto sono stati determinanti per la decisione di rimpatriare i centri di produzione, voce che finisce per gravare in maniera sensibile sul costo di produzione dei manufatti con riverberi negativi, anche in questo caso, sui margini. Ad esempio, il costo del petrolio è fortemente aumentato negli ultimi periodi;

    in Italia il costo dell'energia per le piccole e medie imprese risulta troppo alto nonostante la crescente produzione di energia da fonti rinnovabili. Ciò rende meno appetibile il rientro delle aziende, oltre a essere un problema per le aziende già presenti sul territorio. Eppure il cambiamento del «mix produttivo e della sua distribuzione territoriale ha inciso sensibilmente non soltanto sui mercati all'ingrosso, ma anche sul finanziamento del servizio di dispacciamento nonché sullo sviluppo e sulla gestione delle reti» (Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, 2014). Ci sono dunque tutte le premesse per intervenire sui costi dell'energia per favorire il reshoring;

    l'Italia è uno dei principali Paesi manifatturieri d'Europa, dove si va prendendo coscienza del fatto che il premio che i consumatori sono disposti a riconoscere per produzioni «made in» supera i benefici economici attesi dalla delocalizzazione delle filiere produttive;

    se l'Italia risulta il primo Paese europeo per «reshoring», questo suo primato lo deve quasi esclusivamente ad il fenomeno «made in Italy». Si tratta quindi di un meccanismo che è generato dagli stessi consumi del mercato e rafforzato dalla percezione che un prodotto «made in Italy» produce sui potenziali consumatori;

    l'effetto «made in» è un connubio di fattori che rendono fondamentale l'origine geografica di un bene. Si tratta di un valore aggiunto che ne stimola l’«appeal». Sicuramente una Ferrari prodotta in Pakistan non produrrebbe la stessa attrazione ed il medesimo desiderio di acquisto;

   quelli targati «made in» sono beni che non hanno conosciuto flessioni nella domanda, nonostante la crisi finanziaria e nonostante l'indebolimento del potere di acquisto. Si tratta di prodotti che appartengono anche alla sfera del lusso, come macchine sportive e gioielleria; al fashion e anche alla produzione alimentare, basti pensare alle certificazioni «D.o.c» e «D.o.c.g.»;

    in questo caso è il territorio geografico di provenienza che costituisce il vero sinonimo di qualità, con la sua lunga tradizione ed il radicato know-how produttivo. Ovviamente, conta molto la percezione che il consumatore ha nei confronti del Paese da cui trae origine il bene. Non si può negare quindi che l'esodo di ritorno sia compiuto da aziende di qualità. Come sostengono molti economisti, la rilocalizzazione è vincente se il trasferimento della produzione bilancia i costi con il ritorno di immagine;

    bisogna lavorare anche sull'innovazione che si fa su sistemi aperti coinvolgendo fornitori, clienti, centri di ricerca e università. Innovare non significa, quindi, solo adottare un approccio digitale, ma necessita un cambiamento radicale della cultura d'impresa, per essere in grado di seguire la società e il mercato. Per attuarlo, e per reggere la velocità e l'intensità d'impatto moltiplicate dalla tecnologia, servono competenze elevate, da sviluppare e sostenere attraverso nuovi modelli educativi, percorsi formativi basati sullo scambio e interazione. Il nuovo scenario economico-sociale si regge sul capitale umano e sulle competenze. Nessun'azienda può sopravvivere se non lavora non solo sulla riqualificazione del personale ma anche sullo sviluppo di nuove competenze,

impegna il Governo:

1) ad individuare strumenti legislativi atti a salvaguardare l'etichettatura e la tracciabilità dei prodotti italiani al fine di promuovere le produzioni interamente realizzate in Italia, ossia il vero made in Italy, che rappresenta la qualità, la creatività e l'originalità caratteristica dell'Italia e dei suoi artigiani, ed è uno degli elementi fondanti dell'identità culturale italiana;

2) ad adottare ogni iniziativa utile al fine di:

   a) migliorare la semplificazione amministrativa e fiscale a beneficio delle imprese offrendo un quadro normativo stabile, ponendo in atto con decisione strumenti a sostegno dell'imprenditoria, dell'innovazione e delle competenze professionali, anche attraverso iniziative di sviluppo regionale;

   b) incentivare la detassazione e gli investimenti per ricerca e sviluppo e sostenere la formazione e la riqualificazione del personale per migliorare le competenze richieste dal mercato del lavoro in evoluzione;

   c) rivitalizzare, su livelli tecnologici aggiornati, distretti industriali ed aziende che hanno ridotto la loro attività, a causa dell’offshoring, favorire l'insediamento di nuove iniziative imprenditoriali in aree depresse, in particolare con interventi di riqualificazione industriale, o intervenire sui territori nei quali era presente un'impresa cessata, così da valorizzare i lavoratori che già hanno un'esperienza acquisita;

   d) creare una rete di informazioni a servizio di coloro che vogliono attivare processi di rilocalizzazione e rimpatrio, coinvolgendo le realtà pubbliche e private già presenti sul territorio e formando il personale già presente nella pubblica amministrazione;

   e) favorire, nelle modalità più opportune, l'accesso ai finanziamenti bancari, anche con strumenti innovativi, al fine di sostenere e accelerare gli investimenti richiesti;

   f) favorire la riduzione dei costi di approvvigionamento energetico per le imprese, sostenendo una politica basata sull'efficientamento e sull'utilizzo delle rinnovabili;

   g) adottare ogni politica utile al fine di sostenere il made in Italy in ogni possibile declinazione, essendo punto di forza attrattivo sul mercato mondiale.
(1-00017) «D'Uva, Molinari, Saltamartini, Masi, Andreuzza, Orrico, Bazzaro, Vallascas, Binelli, Alemanno, Colla, Berardini, Dara, Cappellani, Patassini, Carabetta, Pettazzi, Cassese, Piastra, De Toma, Giarrizzo, Papiro, Paxia, Rizzone, Scanu, Rachele Silvestri, Sut».


   La Camera,

   premesso che:

    con l'approvazione della legge 15 marzo 2017, n. 33 (legge delega recante norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali) e della sua disciplina attuativa (decreto legislativo 15 settembre 2017, n. 147, recante disposizioni per l'introduzione di una misura nazionale di contrasto alla povertà), il Governo Renzi ha istituito una misura unica nazionale di contrasto alla povertà, il reddito d'inclusione (Rei), individuato come livello essenziale delle prestazioni da garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale. Lo strumento, secondo un'impostazione selettiva, opera in modo da raggiungere sostanzialmente le famiglie (110.000 famiglie, ovvero 317.000 persone) che risultano in condizione di povertà assoluta, con un importo medio del beneficio mensile pari a poco meno di 300 euro per la generalità della platea, che sale a 430 euro per le famiglie con minori;

    con riferimento all'anno 2017, i dati dell'Istat hanno stimato in povertà assoluta 1 milione e 778 mila famiglie residenti in cui vivono 5 milioni e 58 mila individui; anche la povertà relativa è cresciuta, riguardando 3 milioni 171 mila famiglie residenti (12,3 per cento, contro 10,6 per cento nel 2016), e 9 milioni 368 mila individui (15,6 per cento contro 14,0 per cento dell'anno precedente);

    l'incidenza di povertà relativa si mantiene elevata per le famiglie di operai e assimilati (19,5 per cento) e per quelle con persona di riferimento in cerca di occupazione (37,0 per cento), queste ultime in peggioramento nel suddetto anno di riferimento;

    i dati sulla povertà sono peggiori del previsto: la popolazione esposta a rischio di povertà o esclusione sociale – precisamente pari a 18.136.663 individui – risulta infatti superiore di 5.255.000 unità rispetto al target previsto da Europa 2020;

    l'Italia, peraltro, presenta una disuguaglianza dei redditi maggiore rispetto alla media dei Paesi europei. Con un indice di Gini – tra i principali indicatori utilizzati per misurare questo fenomeno – pari a 0,331, l'Italia occupa la ventesima posizione tra i Paesi della Ue (esclusa l'Irlanda, per la quale il dato non è disponibile), che a sua volta presenta una media dello 0,307. Distribuzioni del reddito più diseguali rispetto all'Italia si rilevano in altri Paesi dell'area mediterranea quali Portogallo (0,339), Grecia (0,343) e Spagna (0,345);

    secondo l'Istituto di statistica, è cresciuta nell'anno in corso la percentuale di under 25 senza un posto di lavoro, con il tasso di disoccupazione giovanile che è salito al 32,8 per cento, in aumento di 0,3 punti percentuali;

    in ambito pensionistico si rileva che su 7,2 milioni di pensionati, il 17 per cento può contare su un reddito sotto i 500 euro, il 35 per cento ha una pensione tra 500 e 1.000 euro e solo il 2,9 per cento ha una pensione che va oltre i 3.000 euro;

    dal punto di vista teorico la scelta tra selettività e universalismo riflette una diversa concezione circa il ruolo dello Stato. Nel caso del cosiddetto Rei, il modello di riferimento è quello di uno stato sociale con compiti residuali, in cui la fornitura delle prestazioni non può che essere subordinata alla prova dei mezzi e il livello dei benefici deve essere appena sufficiente a garantire un livello minimo di risorse;

    i presentatori del presente atto di indirizzo ritengono invece, che uno stato sociale debba avere compiti redistributivi, erogando, in moneta o in natura, prestazioni sociali volte a garantire alla generalità dei propri cittadini un tenore di vita adeguato, comunque commisurato anche a uno standard di povertà relativa;

    una delle principali motivazioni addotte a favore del ricorso a criteri selettivi, ovvero del cosiddetto Rei, è da ricercarsi nella presunta minore onerosità per il bilancio statale unita ad una maggiore efficacia in termini di equità;

    la misura del Rei avvantaggia esclusivamente coloro che si collocano nelle posizioni reddituali inferiori della distribuzione. Viceversa, l'erogazione di un beneficio universale comporta benefici anche per le classi medie;

    il Rei attua misure tradizionali allo scopo di garantire un livello minimo di sussistenza nel caso i singoli individui non dispongano di fonti alternative di reddito. In particolare, tale misura agisce come una sorta di protezione contro il rischio di non lavorare e si configura sostanzialmente come misura redistributiva per combattere esclusivamente la povertà di reddito;

    da un punto di vista legislativo, il diritto soggettivo ad un reddito minimo è evidenziato anche nella Costituzione Italiana. Più precisamente all'articolo 36, primo comma, che recita: «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa». Il concetto di «esistenza dignitosa» è ripreso dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, all'articolo 34, terzo comma. Emerge quindi che la Costituzione Italiana, l'Onu e l'Unione europea concepiscono come fondamentali, gli strumenti in grado di garantire libertà e dignità a tutti coloro che non hanno i mezzi sufficienti per poter avere tali diritti;

    l'Italia, è dotata di un welfare caratterizzato da un ritardo strutturale in relazione ai mutamenti che stanno avvenendo nel mercato del lavoro; il welfare italiano non ha preso, fino ad ora, in considerazione le trasformazioni che riguardano il tradizionale lavoro basato su occupazione a tempo pieno, mansioni per lo più univoche e una carriera definita sul ciclo di vita;

    l'Agenda Europea del 2020, continua ad affermare come obiettivo non ancora realizzato, la piena occupazione nel mercato del lavoro per favorire la coesione economica, sociale e territoriale;

    il reddito di cittadinanza non ha – come ribadito dal Presidente del Consiglio Conte nelle sue comunicazioni in occasione del voto sulla fiducia al Governo – mera natura assistenziale, bensì di reinserimento dei cittadini italiani momentaneamente disoccupati;

    un reddito di cittadinanza avente un importo più elevato rispetto al sussidio economico che il Governo Renzi ha introdotto, potrà determinare persino, nel prossimo futuro, una riduzione degli ammortizzatori sociali presenti nel sistema, andando così a sgravare il bilancio dell'Inps da una serie di costi e, in aggiunta, verrebbe garantita una riduzione dei contributi sociali a vantaggio sia dei salari, sia dei redditi da lavoro;

    in un mercato del lavoro sempre più flessibile, dove diventa sempre più facile perdere e trovare un nuovo lavoro, il reddito di cittadinanza consentirebbe di avere una continuità economica per i periodi in cui non c'è occupazione, e ciò, è positivo innanzitutto per i lavoratori, ma anche per il mercato stesso in un'ottica di flexsecurity connotata dalla flessibilità per chi assume da una parte e da uno Stato in grado di formare, riqualificare e reinserire il lavoratore, incrociando la domanda con l'offerta di lavoro dall'altra;

    sempre per quanto concerne il livello sociale, attraverso una misura, qual è il reddito di cittadinanza, è sicuramente possibile prevenire l'esclusione sociale degli individui con un reddito non continuo ed esiguo;

    con degli strumenti di controllo all'accesso al beneficio economico sarà possibile erogare il reddito di cittadinanza soltanto a quelle persone con cittadinanza italiana che ne hanno davvero diritto in una piena logica di efficientamento delle risorse pubbliche e di giustizia sociale;

    con la presenza del reddito di cittadinanza sarà possibile combattere il lavoro nero, in quanto, dotandosi di un minimo vitale, nel momento in cui si compie il reato, vi sarebbe la sospensione della misura in parola;

    il reddito di cittadinanza permetterebbe di sviluppare riforme e politiche innovative e sostenibili, determinando un possibile cambiamento storico, o comunque divenendo un importante punto di partenza;

    sostenere il reddito di cittadinanza significa superare il concetto di reddito minimo garantito sottoposto ad un elevato livello di condizioni, compresa la prova di eventuali mezzi di sussistenza ed agire contro la povertà e l'esclusione sociale;

    peraltro, il Governo è già al lavoro sulla determinazione di un «salario minimo» finalizzato ad innalzare il livello complessivo di reddito minimo delle famiglie italiane;

    pertanto, vanno adottate alcune iniziative in conformità al contratto per il Governo del cambiamento,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per istituire il reddito di cittadinanza, quale misura per il contrasto alla povertà, alla diseguaglianza e all'esclusione sociale nonché a favorire la promozione delle condizioni che rendano effettivo il diritto al lavoro e alla formazione, attraverso politiche volte al sostegno economico e all'inserimento sociale di tutti i cittadini italiani in pericolo di marginalità, nella società e nel mondo del lavoro;

2) a tal fine, a valutare l'opportunità di assumere iniziative per fissare un ammontare, parametrato alla soglia di rischio di povertà, calcolata sia per il reddito che per il patrimonio, alla base della scala OCSE per nuclei familiari italiani più numerosi;

3) ad adoperarsi, per quanto di competenza, per consentire il reinserimento del fruitore del reddito di cittadinanza, nell'ambito del lavoro, attraverso l'adesione a offerte di lavoro, provenienti dai centri dell'impiego, pena la decadenza dal beneficio, in caso di rifiuto allo svolgimento dell'attività lavorativa richiesta;

4) a valutare, da un lato, la tipologia di professionalità del lavoratore in questione, dall'altro lato la sinergia con la strategia di sviluppo economico, mirato all'obiettivo della piena occupazione, innescata dalle politiche industriali, volte a riconvertire i settori produttivi, così da sviluppare la necessaria innovazione per raggiungere uno sviluppo di qualità;

5) ad assumere iniziative per prevedere delle condizioni di accesso al beneficio e dei sistemi di monitoraggio, per i fruitori della misura, tese a garantire l'erogazione del reddito di cittadinanza soltanto ai cittadini italiani che ne hanno davvero diritto;

6) al fine di poter realizzare tale percorso nonché di potenziare le politiche attive del lavoro, ad assumere le iniziative di competenza per investire in primis nella riorganizzazione e nel potenziamento dei centri per l'impiego, anche attraverso l'adeguamento dei livelli formativi del personale ivi operante al fine di garantire il possesso delle competenze e delle esperienze necessarie per l'efficacia dell'azione di ricollocamento nel mercato del lavoro;

7) nelle opportune sedi europee, ad adottare iniziative per potenziare, estendere e rendere più efficace ed efficiente la gestione dei fondi che incidono sulle politiche di welfare, finalizzati ad uno sviluppo equo e condiviso sostenibile e che supportino gli Stati membri nei settori ove sono più necessari, prevedendo appositi stanziamenti destinati alla lotta alla povertà e all'inclusione sociale;

8) a valutare l'opportunità di assumere iniziative per assegnare una pensione di cittadinanza ai cittadini italiani che vivono sotto la soglia minima di povertà, attraverso l'integrazione dell'assegno pensionistico, inferiore a 780 euro mensili, secondo i medesimi parametri previsti per il reddito di cittadinanza.
(1-00018) «D'Uva, Molinari, Tripiedi, Panizzut, Ciprini, Giaccone, Pallini, Murelli, Davide Aiello, Ziello, Amitrano, Locatelli, Licatini, Segnana, Costanzo, Boldi, Cubeddu, Caffaratto, De Lorenzo, Caparvi, Giannone, De Martini, Invidia, Foscolo, Perconti, Lazzarini, Segneri, Legnaioli, Siragusa, Gabriele Lorenzoni, Tucci, Moschioni, Vizzini, Lorefice, Tiramani, Massimo Enrico Baroni, Bologna, Chiazzese, D'Arrando, Lapia, Mammì, Nappi, Nesci, Provenza, Sapia, Sarli, Sportiello, Trizzino, Troiano, Leda Volpi».


   La Camera,

   premesso che:

    con l'approvazione del decreto-legge recante «Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese», cosiddetto «decreto dignità» il Governo ha inteso adottare nuove misure per il contrasto alla delocalizzazione delle imprese italiane all'estero, al fine di salvaguardare i livelli occupazionali nel Paese;

    diverse sono le motivazioni che possono portare un'impresa a scegliere la delocalizzazione della propria attività produttiva, come diversi possono essere i vantaggi (riduzione dei costi di produzione, manodopera a basso costo, agevolazioni fiscali e altro) e i rischi (aumento dei costi logistici, perdita di controllo della qualità, difficoltà nel trasferimento del know-how, danni di immagine e altro);

    la delocalizzazione delle imprese all'estero non è un fenomeno nuovo, fino a pochi anni fa sono state le imprese statunitensi a ricorrere maggiormente a questa pratica, ma negli ultimi due decenni la delocalizzazione della produzione ha preso piede anche in Europa. Industrie di Paesi come Francia, Italia e Germania si sono rivolte principalmente ai Paesi dell'Europa orientale e balcanica;

    la frettolosa azione di allargamento ad Est dell'Unione europea, coinvolgendo Stati con un sistema socio-economico e fiscale non paragonabile a quello degli Stati più sviluppati dell'Europa occidentale e poggiando sul sistema della moneta unica che impedisce le svalutazioni competitive, ha generato fenomeni di dumping sociale all'interno dell'Unione incompatibili con l'idea di uno spazio economico comune;

    a seguito di questi fenomeni, spesso alimentati dalla cospicua mole di fondi strutturali europei utilizzati dagli Stati membri dell'Est Europa per attirare investimenti esteri, si sono moltiplicate negli anni le delocalizzazioni in tali Stati di aziende (o di loro parti) italiane o operanti in Italia;

    i dati dell'Eurostat, relativi al 2015, dicono che oltre il 79 per cento dell’export italiano è realizzato dall'industria in senso stretto, 326 miliardi di euro su 412 miliardi complessivi. In Germania l'industria contribuisce all’export totale tedesco per il 70 per cento, in Francia per il 66 per cento, in Spagna per il 61 e nei Paesi Bassi addirittura solo per il 28 per cento;

    si può affermare che gran parte dell’export italiano sia ancora made in Italy ma comunque la quota di export derivante dalle sole attività commerciali, portuali e logistiche tocca il 21 per cento del totale, dimostrando come siano necessaria politiche attive per contrastare la delocalizzazione delle imprese e promuovere anzi la rilocalizzazione sul territorio nazionale;

    secondo uno studio di Confartigianato del giugno 2018, sulla base degli ultimi dati disponibili all'anno 2015, nel manifatturiero si rilevano 6.532 imprese a controllo nazionale localizzate all'estero che impiegano 846.665 addetti, con una dimensione media di 130 dipendenti;

    nei grandi gruppi manifatturieri italiani predomina il fatturato generato da filiali delocalizzate all'estero, secondo un'analisi di Mediobanca sui dati cumulativi di 2060 imprese italiane, i maggiori gruppi manifatturieri italiani con organizzazione multinazionale nel 2016 hanno realizzato ricavi domestici pari all'11 per cento del giro d'affari complessivo. La quota estera (89 per cento) è derivata per il 25 per cento da attività di export e per il 64 per cento dalle vendite di insediamenti ubicati oltre frontiera («estero su estero»). Nell'ultimo anno preso in esame il fenomeno è in calo (68 per cento nel 2015), ma rimane più accentuato rispetto al 61 per cento del 2011;

    secondo la Cgia di Mestre, il numero delle partecipazioni all'estero delle aziende italiane è aumentato del 12,7 per cento all'arco temporale 2009-2015, da 31.672, nel 2015 sono salite fino a raggiungere quota 35.684. Questi consentono di misurare la dimensione economica di un evento che rappresenta una forma di delocalizzazione;

    le regioni italiane più interessate agli investimenti all'estero sono la Lombardia (11.637 partecipazioni), il Veneto (5.070), l'Emilia Romagna (4.989) e il Piemonte (3.244). Quasi il 78 per cento del totale delle partecipazioni sono riconducibili a imprese italiane ubicate nelle regioni del Nord Italia;

    il made in Italy rappresenta il terzo marchio commerciale al mondo e quindi una politica di contrasto alla delocalizzazione delle imprese italiane e di promozione della rilocalizzazione non può che procedere di pari passo alle politiche di sostegno al made in Italy. Il rilancio del mondo del «marchio Italia», inteso come identificativo di ciò che viene effettivamente prodotto in Italia in tutte le fasi di lavorazione, può rappresentare un'opportunità per le imprese che producono sul nostro territorio, un elemento competitivo di marketing e di immagine capace di colmare il gap dovuto ai maggiori costi di produzione;

    all'interno del Def 2018 (Sezione III – programma nazionale di riforma) si può leggere che «le esportazioni italiane hanno continuato la loro dinamica positiva sia in termini di fatturato (448,1 miliardi nel 2017 dai 398,9 del 2014) sia di attivo della bilancia commerciale (+47,5 miliardi nel 2017 che fanno seguito ai +49,6 del 2016) ma anche che il sistema dell’export italiano rimane troppo concentrato rispetto al potenziale di imprese che avrebbero tutte le caratteristiche necessarie ad affermarsi sui mercati esteri»;

    al piano straordinario per il made in Italy nel triennio 2015-2017 sono stati complessivamente destinati 525 milioni, il piano è stato confermato anche per il 2018 con lo stanziamento di 193 milioni per nuove iniziative e strategie, che saranno sostanzialmente in linea con quelle attuate nel 2017;

    la Corte costituzionale, con sentenza n. 61 del 2018, ha sancito l'illegittimità del comma 202 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014 relativamente al piano straordinario per il made in Italy «nella parte in cui non prevede l'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano per determinare progetti e concreta ripartizione dei finanziamenti a carico del Fondo per le politiche per la valorizzazione, la promozione e la tutela, in Italia e all'estero, delle imprese e dei prodotti agricoli e agroalimentari»;

    sulla possibilità per le imprese italiane di aumentare le esportazioni pesano due macigni: il fenomeno dell’italian sounding e la mancata diffusione delle competenze per competere sui mercati internazionali per le piccole e medie imprese;

    il fenomeno dell’italian sounding costa all'industria agroalimentare italiana, secondo le stime di Coldiretti, sessanta miliardi di fatturato annuo: sarebbero infatti sei sui dieci i prodotti alimentari di tipo italiano in vendita all'estero frutto di agropirateria. Grazie alla lotta a questo fenomeno e al conseguente aumento delle esportazioni potrebbero essere recuperati, secondo le stime di Coldiretti, fino a trecentomila posti di lavoro;

    sono vari gli esperimenti messi in campo per tentare di sostenere le imprese italiane sul mercato estero, dai voucher per le piccole e medie imprese in sostegno all'apprendimento di competenze necessarie all'internazionalizzazione, passando per il ruolo di garante sui rischi non di mercato affidato a Invitalia s.p.a., fino ai finanziamenti erogati dal polo per l’export della Cassa depositi e prestiti tramite Sace e Simest. Misure che avrebbero bisogno di essere stabilizzate nel tempo per poter raggiungere gli obiettivi prefissati;

    per le ragioni suesposte sono necessari interventi rivolti in più direzioni: tutela e rilancio del made in Italy, contrasto all’italian sounding, politiche rivolte al contrasto alle delocalizzazioni e alla promozione delle rilocalizzazioni, sull'esempio di quanto fatto da molte regioni negli ultimi anni;

    il conflitto tra capitale e lavoro è un paradigma ideologico superato, tanto più in un sistema economico come quello italiano fondato prevalentemente su piccole e medie imprese in cui il destino dell'azienda si sposa con quello dei suoi addetti;

    in questo contesto, l'adozione di modelli partecipativi adeguatamente incentivati che consentano ai lavoratori di partecipare agli utili dell'impresa e alla condivisione dei suoi indirizzi, ha già dimostrato in altre economie europee di poter rappresentare un valido elemento di sostegno alla produttività aziendale, di legame con il territorio in cui l'azienda è insediata e di conseguenza di contrasto alla delocalizzazione,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per implementare le norme volte a contrastare la delocalizzazione dell'attività produttiva di aziende italiane in Paesi stranieri;

2) ad assumere tutte le iniziative in sede di Unione europea per porre fine al dumping sociale intra-Unione europea, segnatamente intervenendo presso quegli Stati membri che utilizzano fondi comunitari per attuare aggressive politiche di attrazione degli investimenti di aziende basate in altri Stati dell'Unione;

3) ad assumere iniziative per creare condizioni di sistema favorevoli alla cultura d'impresa, agendo in maniera strutturale su regime fiscale, snellimento della burocrazia, riduzione del costo dell'energia, certezza del diritto e tempi della giustizia civile, riduzione del gap infrastrutturale e del digital divide, sistema bancario, pagamento dei debiti della pubblica amministrazione e in generale su tutte quelle voci che minano la competitività delle imprese italiane incentivando così i processi di delocalizzazione;

4) a varare – in accordo con le regioni – un piano straordinario per la rilocalizzazione in Italia delle imprese che negli ultimi anni hanno abbandonato il nostro Paese;

5) a far sì che in fase di attuazione tale piano abbia una durata massima di tre anni, preveda una gradualità crescente degli incentivi nel corso dei tre anni in modo da verificare la bontà del progetto di reinsediamento industriale fino alla chiusura dei siti produttivi esteri, sia vincolato a quote prestabilite annuali di addetti da assumere in Italia pena il venire meno dell'incentivo;

6) a proporre una revisione delle norme istitutive del piano straordinario per il made in Italy in modo da rispondere ai rilievi della Corte costituzionale senza inficiarne il funzionamento e a farsi promotore di una stabilizzazione della legislazione in materia;

7) a contrastare il fenomeno dell’italian sounding tramite iniziative atte a rafforzare tracciabilità dei prodotti italiani e la promozione di norme più stringenti sull'etichettatura dei prodotti realizzati in Italia;

8) ad assumere iniziative per adottare misure fiscali che incentivino l'adozione da parte delle aziende di «statuti partecipativi» che favoriscano la partecipazione dei lavoratori agli utili e all'indirizzo dell'impresa;

9) ad assumere iniziative per prevedere il rifinanziamento, nell'ambito del disegno di legge di bilancio 2019, delle agevolazioni previste dal piano nazionale impresa 4.0, che devono considerarsi strumento fondamentale per ridurre il gap competitivo delle imprese italiane, nonché del credito d'imposta per le spese di formazione 4.0 del personale dipendente nel settore delle tecnologie previste dal medesimo piano.
(1-00019) «Lucaselli, Lollobrigida, Acquaroli, Bucalo, Bellucci, Butti, Caretta, Ciaburro, Cirielli, Crosetto, Luca De Carlo, Deidda, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferro, Fidanza, Foti, Frassinetti, Gemmato, Maschio, Meloni, Mollicone, Montaruli, Osnato, Prisco, Rampelli, Rizzetto, Rotelli, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Zucconi».

ATTI DI CONTROLLO

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:

   con riferimento alla sentenza relativa al procedimento Commissione/Italia (C297/08 EU:C:2010:115), la Corte di giustizia dell'Unione europea ha accolto un ricorso per inadempimento ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ed ha constatato che la Repubblica italiana non ha adottato, per la regione Campania, tutte le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza recare pregiudizio all'ambiente;

   il 3 giugno 2010 le autorità italiane hanno inviato una nota contenente la relazione concernente le attività svolte o in corso di adozione per la realizzazione di una rete integrata di impianti di smaltimento dei rifiuti in Campania;

   in data 22 luglio e 8 novembre 2010, alla luce delle informazioni fornite, i servizi della Commissione europea hanno espresso forti riserve quanto all'adeguatezza delle misure previste;

   il 19 gennaio 2011 le autorità italiane hanno inviato una copia della proposta di piano regionale per la gestione dei rifiuti solidi urbani della regione Campania;

   il 24 gennaio 2011 i servizi della Commissione hanno nuovamente espresso le loro preoccupazioni riguardo all'esecuzione della sentenza C297/08;

   dopo aver analizzato tutte le informazioni fornite dalle autorità italiane, la Commissione, ritenendo che la Repubblica italiana non avesse ancora adottato tutte le misure necessarie per dare esecuzione alla citata sentenza C297/08, ha invitato detto Stato membro, mediante lettera di costituzione in mora in data 30 settembre 2011, a presentare, entro un termine di due mesi, le proprie osservazioni al riguardo. Il 6 dicembre 2011, tale termine è stato prorogato fino al 15 gennaio 2012;

   la Repubblica italiana ha risposto alla suddetta lettera di messa in mora mediante varie comunicazioni ed ha inviato, mediante note in data 27 aprile e 22 giugno 2012, la documentazione elaborata dalla regione Campania relativa alla bozza di programma attuativo per la gestione del periodo transitorio 2012-2016;

   il 24 luglio 2012 la Commissione, ritenendo che il suddetto programma attuativo fosse incompleto, ha chiesto alla Repubblica italiana di integrarlo entro il 15 settembre 2012 e di inviare, a partire da quella data, relazioni trimestrali in merito all'esecuzione del programma stesso;

   in data 17 dicembre 2012, nonché 20 marzo e 26 giugno 2013, la Repubblica italiana ha inviato alla Commissione relazioni trimestrali successive riguardanti lo stato di attuazione del programma per il periodo transitorio 2012/2016;

   ritenendo che continuasse ad esistere un problema strutturale e che la Repubblica italiana non avesse adottato, entro il termine impartito, tutte le misure che l'esecuzione della sentenza C297/08 comporta, la Commissione europea ha proposto, il 10 dicembre 2013, il ricorso che ha determinato una sentenza per inadempimento;

   il 16 luglio 2015 la Corte di giustizia dell'Unione europea nella causa C653/13 ha condannato l'Italia per non aver adottato tutte le misure necessarie per l'esecuzione della sentenza C297/08; la Repubblica italiana ha quindi violato gli obblighi che le incombono in virtù dell'articolo 260, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;

   la Repubblica italiana è condannata a pagare alla Commissione europea, una penalità di 120.000 euro per ciascun giorno di ritardo nell'attuazione delle misure necessarie per conformarsi alla sentenza C297/08, a partire dalla data della pronuncia della citata sentenza e fino alla completa esecuzione della sentenza medesima;

   la Repubblica italiana è condannata a pagare alla Commissione europea, sul conto «Risorse proprie dell'Unione europea», una somma forfettaria di 20 milioni di euro;

   il 16 luglio 2018 ossia a tre anni dalla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea l'ammontare totale delle multe pagate dall'Italia alla Commissione europea è di circa 151 milioni di euro –:

   quali iniziative urgenti di competenza intenda mettere in campo affinché l'Italia si adegui a quanto stabilito dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, anche al fine di non dover corrispondere ulteriori sanzioni pecuniarie.
(2-00051) «Magi».

Interrogazione a risposta scritta:


   MURONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   secondo i dati ufficiali recentemente diffusi da ARPAV1, è emerso che nelle acque del vicentino vi è la presenza di un nuovo contaminante, appartenente al gruppo dei Pfas) (sostanze perfluoroalchiliche), noto come GenX: Hfpo-da. Si tratta di un tensioattivo fluorurato la cui presenza è stata individuata in acque sotterranee situate in un raggio di 500 metri dall'azienda chimica Miteni di Trissino;

   Miteni tratta presso il proprio sito produttivo i rifiuti pericolosi classificati come «soluzioni acquose di lavaggio ed acque madri». L’iter autorizzativo concesso a Miteni inizia con il decreto del dirigente della direzione tutela ambiente n. 129 del 18 giugno 2013 in cui, prendendo atto del parere espresso dalla commissione regionale Via dell'8 maggio 2013, si autorizza Miteni a convertire parte delle dotazioni impiantistiche in un sistema in grado di trattare e recuperare rifiuti pericolosi, escludendo tale procedura dalla valutazione di impatto ambientale. Le uniche prescrizioni incluse nel decreto n. 129 del 2013 riguardano il rispetto dei limiti indicati nell'autorizzazione integrata ambientale e dei limiti imposti dal gestore della rete fognaria (Avs) per gli scarichi liquidi convogliati nella fognatura consortile. In pratica, con i suddetti decreti regionali ad avviso dell'interrogante è riconosciuto a Miteni di poter trattare rifiuti chimici pericolosi;

   nel rinnovo dell'Aia concessa a Miteni (decreto n. 59 del 2014) la nuova sostanza recuperata dal rifiuto pericoloso CER070201 (GenX) viene definita materia prima secondaria destinata a ritornare nella sua totalità dal committente. Pertanto, Miteni non chiede e non le viene imposto alcun limite allo sversamento di questa sostanza nell'ambiente, confermando unicamente che i limiti per lo scarico dei reflui nel depuratore consortile per le sostanze già note sono determinati dal gestore del depuratore stesso;

   come già emerso a mezzo stampa i rifiuti arrivano dall'Olanda e, in base alla documentazione in possesso di Greenpeace, provengono dall'azienda DuPont (oggi Chemours De Namour con sede a Dordrecht). L'azienda chimica olandese, che fa capo a una delle più grandi multinazionali della chimica a livello mondiale, utilizza il GenX in sostituzione del Pfoa (acido perfluoroottanoico), nella produzione di fluoropolimeri (plastiche fluorurate). La sostituzione del Pfoa col GenX è iniziata a partire dal 2005 (negli stabilimenti americani) e si è completata nel 2012 nello stabilimento olandese;

   secondo i dati ufficiali diffusi dal National Institute of Public Health and the Environment olandese (Rivm) nel 2016 le sostanze implicate nel processo chimico del GenX sono: il precursore FRD-903 (l'acido 2,3,3,3-tetrafluoro-2-(eptafluoropropossi) propanoico), la sostanza chimica utilizzata nel processo stesso FRD-902 (il sale ammonico dell'acido 2,3,3,3-tetrafluoro-2-(eptafluoropropossi) propanoico) e il prodotto di trasformazione E1 (eptafluoropropil 1,2,2,2-tetrafluoroetil etere). A questo punto è più che legittimo chiedere perché uno dei più grandi stabilimenti chimici europei invia a Miteni rifiuti chimici pericolosi per recuperarne una parte;

   secondo i documenti in possesso di Greenpeace, dal 2014 al 2017 Miteni ha ricevuto ogni anno quantitativi accertati fino a 100 tonnellate annue di rifiuti chimici pericolosi contenenti il GenX (con un limite massimo di 5,4 tonnellate trattabili ogni giorno). Una volta recuperato il GenX dal rifiuto, la sostanza è stata poi inviata al cliente olandese –:

   se corrisponda al vero quanto descritto in premessa e se il Governo non ritenga urgentemente di promuovere a tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini, per quanto di competenza e anche di concerto con la regione interessata, un programma di monitoraggio relativo alla presenza di GenX nelle acque.
(4-00717)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta scritta:


   FASSINA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   in base a quanto emergeva già da organi di stampa (La Repubblica) il direttore- manager tedesco Eike Schmidt della Galleria degli Uffizi di Firenze stava lavorando per dedicare un percorso autonomo all'interno del museo, più rapido, alternativo a quello completo, dislocato su due piani. Si tratta di un progetto la cui realizzazione avrebbe implicato una serie di traslochi a effetto domino in alcuni degli ambienti più iconici del museo, determinando più che un semplice riallestimento, un cambio radicale di prospettiva;

   a differenza di quanto deciso in passato da parte del precedente direttore Antonio Natali il quale aveva scelto di affiancare al Tondo Doni di Michelangelo la monumentale scultura antica dell'Arianna addormentata, in un allestimento di particolare suggestione, ora il relativo allestimento risulta essere a giudizio dell'interrogante discutibile –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti e quali siano i suoi orientamenti in merito, considerato che la trasformazione è avvenuta per venire incontro al turismo di massa;

   se intenda assicurare, per quanto di competenza, iniziative volte a quantificare il costo di questa operazione.
(4-00708)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   DEIDDA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 54 del Testo unico n. 1092 del 1973 rubricato «Misura del trattamento normale», al comma 1, prevede quanto segue: «La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 percento della base pensionabile»;

   la legge n. 335 del 1995 cosiddetta «riforma Dini» ha introdotto per il calcolo dell'assegno pensionistico il sistema contributivo per i militari che alla data del 31 dicembre 1985 avessero maturato un'anzianità contributiva inferiore a 18 anni;

   l'Inps emette il decreto di pensione sulla base del modello PA04 redatto dalle relative amministrazioni militari, modello nel quale sono riportate tutte le spettanze del dipendente;

   l'articolo 54 del Testo unico n. 1092 del 1973 è entrato in vigore prima della legge n. 335 del 1995 (cosiddetta riforma Dini), in vigenza di calcolo pensionistico con sistema retributivo, senza che né il predetto intervento normativo, né le successive, modifiche ed integrazioni abbiano mai inciso sul contenuto del citato articolo 54 del Testo unico n. 1092 del 1973 che, quindi, risulta tuttora in vigore;

   allo stato, ai militari vengono attribuite le aliquote pensionabili previste dall'articolo 44 del Testo unico n. 1092 del 1973 per il personale civile, anziché quelle di cui all'articolo 54, comma 1, del Testo unico n. 1092 del 1973, previste per il personale militare;

   la scelta suindicata ha visto la proposizione di numerosi ricorsi dinanzi ai competenti organi giurisdizionali (Corte dei conti e Tar) i quali si sono pronunziati a favore dei militari ricorrenti, con l'ulteriore condanna alle spese di lite delle Amministrazioni soccombenti –:

   se il Ministro interrogato sia conoscenza della questione e quali iniziative intenda adottare nei confronti delle Amministrazioni militari affinché le stesse, nella redazione del modello PA04, si attengano ai dettami dell'articolo 54 del Testo unico n. 1092 del 1973, attribuendo ai militari aventi diritto la percentuale del 44 per cento per gli anni di servizio da contabilizzarsi fino al 31 dicembre 1995.
(4-00712)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:

   nelle settimane precedenti la formazione del Governo i mercati finanziari italiani hanno registrato forti variabilità dei corsi azionari e del mercato obbligazionario dei titoli di Stato, tali da determinare una distruzione di valore dei titoli per circa 400 miliardi di euro, per due terzi detenuti dai cittadini italiani;

   l'aggravio in termini di interessi sui titoli di Stato emessi a maggio 2018 è stato di circa 144 milioni di euro annui per la durata della vita dei titoli emessi, pari alla differenza tra il rendimento delle nuove emissioni e quello a cui erano stati collocati i titoli precedentemente all'instabilità finanziaria;

   il 29 maggio 2018 il rendimento dei titoli di Stato a dieci anni è salito al 3,16 per cento, dall'1,95 segnato prima dell'inizio delle turbolenze finanziarie; nello stesso giorno lo spread, il differenziale fra il rendimento dei titoli decennali tedeschi e italiani, è salito a oltre 300 punti base, dai 122 punti del 30 aprile;

   la volatilità dei mercati sarebbe attribuibile, a giudizio di commentatori del settore, all'incremento della percezione del rischio-Paese legato, oltre che alla lunga instabilità politica successiva alle elezioni, a talune azzardate affermazioni e al tenore della bozza del contratto per il Governo del cambiamento, pubblicata il 15 maggio dal sito HuffingtonPost;

   nella bozza di documento era prevista l'introduzione di «specifiche procedure tecniche di natura economica e giuridica» che consentissero ai singoli Stati di «recedere dall'Unione monetaria, e quindi di recuperare la sovranità monetaria» e si ipotizzava la richiesta alla Banca centrale europea (BCE) di operare una cancellazione di 250 miliardi di debito italiano;

   i contenuti della bozza avrebbero dunque destabilizzato la fiducia degli investitori, innescando una «tempesta finanziaria» tale da assicurare performance molto positive per quegli speculatori che hanno scommesso al ribasso sui titoli pubblici italiani;

   emblematico e particolarmente opaco è il caso del fondo AH di Alan Howard, che avrebbe registrato un incremento di valore del 36,7 per cento nel solo mese di maggio, a fronte di rendimenti nettamente inferiori (0,18 per cento) realizzati negli ultimi cinque anni;

   da dichiarazioni rese pubblicamente dal presidente Nava, la Consob potrebbe aprire un'indagine in merito a ipotesi di reati di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato di cui agli articoli 184 e 185 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58;

   l'idoneità dei comunicati diffusi al pubblico, indipendentemente dalle concrete reazioni del mercato, a provocare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari è stata, del resto, sanzionata in più di un'occasione dagli organi giudiziari;

   ulteriori turbolenze finanziarie si sono verificate con riferimento alla banca Monte dei Paschi (MPS): alcune asserzioni del presidente della V Commissione (Bilancio) della Camera, Claudio Borghi, che indicavano impropriamente la necessità di una nuova governance e «... di intento abbastanza condiviso...» – da Movimento 5 Stelle e Lega – di ripensare alla mission della Banca (ANSA 17 maggio), insieme alle indicazioni fornite nella versione definitiva del Contratto, hanno prodotto la caduta del corso del titolo in borsa superiore al 10 per cento e la ripetuta sospensione per eccesso di ribasso;

   la crisi di fiducia che ha oggetto Monte dei Paschi di Siena può potenzialmente danneggiare soprattutto i piccoli azionisti, nonché i contribuenti che in ultima analisi hanno fornito le risorse per la ricapitalizzazione dell'istituto;

   appare legittimo, ad avviso degli interpellanti, il dubbio che membri del Governo o personalità politiche ad esso collegate possano aver preventivamente e riservatamente rivelato le informazioni citate in premessa a soggetti che ne abbiano tratto profitto o qualsivoglia vantaggio –:

   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;

   come intenda in ogni caso intervenire, per quanto di competenza, per assicurare la necessaria prudenza nella diffusione di informazioni riguardanti eventuali interventi pubblici forieri di fenomeni speculativi, al fine di preservare gli equilibri di finanza pubblica, la stabilità del sistema finanziario nazionale e la tutela del risparmio.
(2-00052) «Vazio, Marattin, Martina, Padoan, Bazoli, Berlinghieri, Boccia, Bordo, Enrico Borghi, Campana, Cantini, De Filippo, Del Barba, Del Basso De Caro, Marco Di Maio, Ferri, Fiano, Fragomeli, Fregolent, Gadda, Giachetti, Giorgis, Gribaudo, La Marca, Lacarra, Lepri, Librandi, Gavino Manca, Melilli, Miceli, Morani, Nobili, Ubaldo Pagano, Paita, Pezzopane, Pizzetti, Pollastrini, Quartapelle Procopio, Raciti, Rizzo Nervo, Rotta, Schirò, Serracchiani, Siani, Viscomi».

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   FOTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   secondo il centro studi di studio di Unimpresa, l'iter di un fallimento di una impresa nel Sud d'Italia dura in media circa 4.900 giorni, con picchi che raggiungono anche i 5.700 giorni. Sempre nel Mezzogiorno, poi, servono 2.890 giorni per concludere una procedura esecutiva immobiliare. Tempi biblici che si riducono drasticamente nelle aree del Centro-Italia (3.300 giorni per un fallimento e 1.650 giorni per una esecuzione immobiliare) e in quelle del Nord-Italia, dove il fallimento di una impresa si conclude in 2.700 giorni e una esecuzione immobiliare in 1.200 giorni;

   è noto che la lentezza della giustizia civile ha un peso enorme nell'andamento del prodotto interno lordo italiano: c'è un costo diretto determinato dal tempo impiegato dall'imprenditore nei tribunali e c'è un costo indiretto dovuto ai mancati investimenti, sia quelli interni, sia soprattutto quelli esteri;

   quanto sopra riferito appare ancora più sconcertante se si pensa che, con riferimento alla giustizia civile, si registra un calo significativo dei fascicoli complessivi, senza che si sia avvertita un'accelerazione dei tempi di giustizia (nel 2010, il numero dei procedimenti iscritti presso gli uffici del giudice di pace, dei tribunali e delle corti d'appello era pari a 5.400.000, mentre – nel 2016 – risultava pari a 4.000.000);

   è evidente che stando così le cose risulta difficile, quando non impossibile, per il sistema delle imprese predisporre i bilanci pluriennali, definire i budget annuali, prevedere gli investimenti. Il tutto con evidente nocumento sia per la singola azienda sia per l'intera economia italiana –:

   se e quali iniziative di competenza – anche di carattere normativo – il Governo intenda assumere per impedire il protrarsi di una situazione che, come sopra rappresentata, appare chiaramente di denegata giustizia per i soggetti coinvolti e di danno per lo sviluppo dell'attività d'impresa sul territorio nazionale.
(4-00715)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   NOBILI, PIZZETTI, PAITA, BRUNO BOSSIO e GARIGLIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   in data 12 luglio 2018 si è verificato un ennesimo incendio che ha distrutto un bus del servizio di trasporto pubblico urbano, di proprietà dell'Atac, di Roma, fortunatamente senza conseguenze per autista e passeggeri;

   l'episodio, il 14mo dall'inizio dell'anno a Roma, si è verificato in una zona centrale all'incrocio tra viale Regina Elena e viale dell'Università;

   l'azienda del trasporto pubblico di Roma vive una fase drammatica con una procedura di concordato in essere e quotidiani disservizi che stanno arrecando gravissimi disagi all'utenza;

   si è appreso dagli organi di informazione che solo nella giornata del 9 luglio 2018 sono saltate circa 300 corse per una disposizione «verbale» che blocca i mezzi in deposito tra le ore 11 e le ore 17 per non funzionamento dell'aria condizionata;

   si registrano aggressioni al personale dell'Atac da parte di utenti esasperati dalle lunghe attese alle fermate con un disagio aggravato dalle elevate temperature;

   la questione del trasporto pubblico nella Capitale sta diventando una questione di ordine pubblico e di sicurezza per il personale e per gli utenti, considerati i rischi legati alle pessime condizioni del parco mezzi;

   in data 4 luglio 2018 il sindaco di Roma, Virginia Raggi, ha incontrato il Ministro interrogato, affermando al termine dell'incontro: «Abbiamo parlato dei dossier e dei progetti per realizzare opere pubbliche utili a migliorare la qualità della vita dei cittadini»;

   l'episodio dell'ennesimo incendio di un bus non consente ulteriori sottovalutazioni dell'emergenza –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative intenda assumere, per quanto di propria competenza, considerata la gravità della situazione, affinché sia garantita la sicurezza dei cittadini della Capitale messa a rischio da un servizio pubblico che ormai è avvertito dagli utenti come una minaccia per la loro incolumità.
(5-00160)


   FOTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   secondo una recente lettura da parte di Confedilizia delle statistiche catastali dell'Agenzia delle entrate, dal 2011 al 2017 gli immobili ridotti in ruderi sono quasi raddoppiati, passando da 278.121 a 520.591 (+87,2 per cento);

   la crescita esponenziale degli immobili ridotti in stato di incuria e inagibilità è ben più di un campanello d'allarme, rappresentando un dato drammatico cui di certo non si può rispondere con l'inerzia;

   al riguardo, il presidente nazionale di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, ha sostenuto che «Dopo i numeri di Istat ed Eurostat, che hanno certificato come il nostro mercato della casa sia l'unico in crisi in tutta Europa, con valori in caduta ormai da anni, è l'Agenzia delle entrate a comunicarci un altro dato drammatico: il raddoppio in poco tempo degli immobili ridotti in ruderi. La causa è presto detta. Si tratta di immobili, appartenenti per lo più a persone fisiche, per i quali i proprietari non sono in grado di far fronte alle spese di mantenimento e alla abnorme tassazione patrimoniale Imu-Tasi, e che raggiungono condizioni di fatiscenza per il semplice trascorrere del tempo o, addirittura, a causa di atti concreti dei proprietari, che mirano così a liberarsi almeno degli oneri che comportano» (Italia Oggi del 14 luglio 2018, pagina 28) –:

   quali concrete iniziative intendano assumere i Ministri interrogati per salvaguardare il patrimonio immobiliare italiano, restituendo a quest'ultimo una minima capacità reddituale.
(5-00161)

Interrogazione a risposta scritta:


   FOTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   alle imprese di autotrasporto è, nei fatti, negata la possibilità di pagare regolarmente le imposte, perché, nonostante sia già scaduto a giugno il termine per le dichiarazioni dei redditi 2018, l'Agenzia delle entrate continua a non rendere noti gli importi delle deduzioni;

   appare del tutto irragionevole, oltre che omissivo, il fatto che l'Agenzia delle entrate non comunichi gli importi per potere fruire delle deduzioni forfettarie delle spese non documentate per i trasporti effettuati personalmente dall'imprenditore;

   anche in ragione delle difficoltà in cui versano le imprese di autotrasporto, è indispensabile che siano mantenuti e confermati gli importi delle deduzioni (51 euro per i viaggi fuori comune e 17,85 all'interno del comune) in precedenza in vigore. Se così non sarà, si metteranno in ginocchio le imprese di autotrasporto che, per i redditi dello scorso anno, hanno fatto affidamento sui predetti importi delle deduzioni –:

   se e quali urgenti iniziative, a fronte di questa incredibile vicenda ed in considerazione della rilevanza del settore dell'autotrasporto per l'economia italiana, intendano assumere per risolvere la questione e consentire – quindi – agli autotrasportatori di potere usufruire delle deduzioni loro promesse, evitando così che la situazione precipiti, con il preannunciato (dalle associazioni sindacali di categoria) ed imminente blocco del trasporto delle merci.
(4-00716)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   dal 5 al 9 luglio 2018 militanti di Forza Nuova e Onr, movimento di estrema destra polacco, hanno pattugliato le spiagge di Rimini in un'operazione definita «per la sicurezza» e «conclusa con successo» secondo gli stessi esponenti di Forza Nuova che hanno rivendicato il merito di aver fatto sentire qualcuno «più sicuro e per un attimo padrone a casa propria»;

   il comune di Rimini, per mano del sindaco, ha già fatto sapere di aver segnalato il fatto alle autorità competenti chiedendo che vengano presi tutti i provvedimenti necessari al contrasto di azioni che lo stesso sindaco definisce miserevoli e offensive per una città come Rimini, medaglia d'oro al valor civile, che ogni volta respinge con forza questi rigurgiti di fascismo;

   a parere dell'interrogante, iniziative come la marcia organizzata da Forza Nuova per le spiagge di Rimini, andrebbero contrastate e combattute perché alimentano quel clima di intolleranza e razzismo che viene cavalcato da organizzazioni neofasciste che non possono essere mai sdoganate perché si pongono in contrasto con i valori della Costituzione italiana;

   la piena agibilità politica concessa a formazioni neofasciste per le loro iniziative piene di odio, razzismo e sessismo, permettendo alle spese di lanciare una «collaborazione» europea con un gruppo neo nazista polacco per «presidiare» la città di Rimini è giudicato dall'interrogante come un fatto grave ed estremamente pericoloso;

   dei gruppi neofascisti e neonazisti non possono in alcun modo avere la libertà di affermare di «sostituirsi» allo Stato nel presidiare i territori, organizzando delle vere e proprie «ronde nere» per dar sfogo a quelli che appaiono sentimenti xenofobi e antidemocratici –:

   quali siano gli orientamenti del Governo circa i fatti riportati in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere anche attraverso le prefetture, per monitorare e prevenire lo svolgimento di ogni manifestazione lesiva del carattere democratico della Repubblica italiana, promossa da soggetti che non garantiscano il rispetto dei valori della Costituzione, professando o praticando comportamenti discriminatori di ogni genere e che per l'interrogante hanno il solo effetto di creare un clima di paura e di scontro e cavalcare falsi allarmismi, aumentando il sentimento di insicurezza tra la popolazione;

   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere, anche attraverso precise indicazioni alle prefetture, per monitorare attentamente iniziative come quelle esposte in premessa, al fine di evitare eventi o manifestazioni in luoghi pubblici da parte di tutti quei movimenti che non si riconoscono nella Costituzione, per manifestazioni d'ispirazione neofascista e dai contenuti razzisti.
(4-00709)


   DEIDDA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   in attuazione del piano di riordino delle sedi della polizia di Stato, è stata prevista la soppressione di 267 sedi di polizia in tutto il territorio nazionale, in particolare, così ripartite: 74 presìdi di polizia ferroviaria, 73 presìdi di polizia postale, 55 presìdi di squadre nautiche e nuclei sommozzatori, 27 presìdi di polizia stradale, 15 presìdi di polizia di frontiera, 12 presìdi di reparti a cavallo e 11 presìdi di pubblica sicurezza;

   tra gli obiettivi del citato piano di riordino vi sarebbe la riduzione del personale da 107 mila a 92 mila unità, per un risparmio stimato in circa 600 milioni di euro;

   in Sardegna risultano dislocati, tra i vari reparti della polizia di Stato, anche un nucleo di sommozzatori con sede ad Olbia, oltre alle seguenti squadre nautiche: squadra nautica di Cagliari; squadra nautica di Oristano; squadra nautica di Porto Torres; squadra Nautica di Palau; squadra Nautica di Olbia;

   il decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, recante disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, ha previsto la chiusura dei suddetti reparti, con conseguente attribuzione di tutti i mezzi al Corpo della guardia di finanza;

   il citato decreto legislativo n. 177 del 2016 ha pure previsto, oltre alla soppressione delle squadre nautiche della polizia di Stato, anche quella di alcuni siti navali dell'Arma dei carabinieri, fatto salvo, per la polizia di Stato, il mantenimento delle moto d'acqua per la vigilanza dei litorali e delle unità navali impiegate nella laguna di Venezia, nelle acque interne e nelle isole minori, ove, per esigenze di ordine e sicurezza pubblica, risulta essere già dislocata una unità navale;

   l'articolo 4, comma 3, del medesimo decreto legislativo ha disposto che il Corpo della guardia di finanza debba assicurare, con i propri mezzi navali, il supporto alla polizia di Stato, all'Arma dei carabinieri e al Corpo della polizia penitenziaria per le attività connesse con l'assolvimento dei rispettivi compiti istituzionali;

   la chiusura dei citati presìdi, in particolare in Sardegna, comporterà l'insorgere di ulteriori, gravissime problematiche e ciò anche tenuto conto dell'estensione costiera della medesima regione, oltre che dell'enorme flusso turistico presente, specie nei mesi estivi, nelle spiagge dell'isola;

   le squadre nautiche svolgono pure importanti servizi di prevenzione e repressione nei settori della sicurezza, con conseguenti gravi ripercussioni anche sul presidio delle acque territoriali, nonostante sia stato ribadito, anche recentemente, dal Copasir il rischio di infiltrazioni di cellule terroristiche tra gli immigrati clandestini, in particolare provenienti dall'Algeria, i quali, frequentemente, attraccano nella costa Sud Occidentale dell'isola –:

   se il Ministro interrogato sia conoscenza della questione e quali iniziative intenda adottare al fine di scongiurare un ulteriore ridimensionamento della presenza delle forze polizia in Sardegna, sia in termini di unità che di mezzi.
(4-00718)


   SILLI e MAZZETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nella città di Prato sono sempre più frequenti episodi di criminalità e microcriminalità, tanto che, come riportato dal Sole 24 Ore nel rapporto annuale sui reati, la provincia di Prato è balzata dall'ottavo al quinto posto in Italia per numero di denunce penali nel 2016 in base ai residenti;

   il dato che ha fatto maggior scalpore è quello relativo al numero degli scippi: si tratta di una città che «produce» ufficialmente due scippi ogni tre giorni senza contare quelli che non vengono denunciati;

   la situazione è ormai insostenibile considerato che oltre agli scippi, lo scontro tra bande rivali con annesse sparatorie sono all'ordine del giorno. Da ultimo, come riportato dai maggiori organi di stampa, la procura di Prato ha avviato un'inchiesta sulla sparatoria e sul violento scontro tra bande di cinesi avvenuto il 4 luglio 2018, nel parcheggio delle Cascine di Tavola;

   alla luce di tali episodi, il Ministro interrogato si è impegnato a promuovere la questura di Prato dalla fascia C alla fascia B e questo vuol dire ottenere più poliziotti sul territorio e la possibilità di potenziare i controlli per contrastare sia la microcriminalità sia le illegalità del distretto parallelo;

   l'impegno dichiarato dal Ministro interrogato si ritiene necessario, nonostante gli sforzi e il costante impegno profuso dalle forze dell'ordine e dalla questura, per combattere gli innumerevoli episodi di illegalità che hanno fatto di Prato la città simbolo in Italia per i problemi legati soprattutto all'immigrazione cinese e che provocano molto spavento e timore tra i cittadini;

   il 4 luglio 2018 è stato firmato dal Ministro interrogato il decreto che dà il via alla sperimentazione del Taser, la pistola elettrica che sarà data in dotazione alle forze dell'ordine e che, secondo quanto riportato dai principali organi di stampa, sarà utilizzata inizialmente in 11 città, escludendo Prato;

   ad avviso degli interroganti l'utilizzo del Taser, arma di dissuasione non letale, può essere uno strumento efficace per fronteggiare gli innumerevoli episodi di criminalità e microcriminalità e, soprattutto, può ridurre i rischi per l'incolumità personale degli agenti delle forze dell'ordine che già svolgono il loro lavoro in modo eccellente –:

   con quali tempistiche il Ministro interrogato intenda promuovere la questura di Prato dalla fascia C alla fascia B al fine di frenare l’escalation di atti di violenza e garantire maggiore sicurezza a tutti i cittadini della città di Prato;

   se il Ministro interrogato, alla luce di quanto richiamato in premessa, non intenda prevedere la sperimentazione del Taser anche nella città di Prato nel tentativo di ridurre sia i rischi per l'incolumità personale degli agenti delle forze dell'ordine sia gli innumerevoli episodi di criminalità e microcriminalità.
(4-00719)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   RIZZO NERVO, BRUNO BOSSIO, CARLA CANTONE, D'ALESSANDRO, DI GIORGI, MARCO DI MAIO, MORETTO, SCALFAROTTO, SCHIRÒ, SIANI e VISCOMI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la famiglia e le disabilità. — Per sapere – premesso che:

   gli organi di informazione danno notizia, che ha avuto ampia eco non solo a livello locale ma anche nazionale, che il comune di Monfalcone ha sottoscritto con due istituti scolastici comprensivi una convenzione che fisserebbe un tetto massimo, pari al 45 per cento, per la presenza di stranieri in classe;

   in base a questo accordo «le parti convengono di accettare per l'anno scolastico 2018/2019 l'applicazione della percentuale di alunni stranieri fino al 45 per cento allo scopo di dare risposte ai bisogni dei bambini e delle famiglie e nel rispetto dei criteri di precedenza che gli istituti comprensivi stabiliranno»;

   nel documento, inoltre, si cita tra gli obiettivi quello di «incentivare le iscrizioni a Monfalcone, in particolare da parte delle famiglie italofone residenti»;

   tale «patto», secondo il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sarebbe stato firmato dall'ufficio scolastico regionale e provinciale, che a fronte delle liste d'attesa avrebbe inviato quattro insegnanti in più per formare due nuove sezioni;

   la conseguenza di questo «patto» è che il prossimo settembre circa 60 alunni rischiano di essere esclusi dai percorsi formativi; sarà quindi loro di fatto impedito di conoscere coetanei di altre origini e avranno problemi di lingua e di inserimento nella comunità cittadina, mentre per le scuole materne di Monfalcone si aprirebbe un problema di insegnanti in esubero;

   si tratta di un grave pregiudizio per i bambini e le loro famiglie che non può essere risolto con la mera previsione di «esportare» gli alunni in eccesso con uno scuolabus che li accompagni eventualmente presso altri comuni, né con la costituzione, a carico di Fincantieri, di classi specificamente dedicate, come pretenderebbe il sindaco di Monfalcone;

   l'incidenza degli stranieri sul totale della popolazione nel comune di Monfalcone (Go) è di poco superiore al 20 per cento e il comune è al 45° posto su 7978 comuni per percentuale di stranieri sul totale della popolazione;

   per regolamentare la presenza di stranieri in una classe, una circolare ministeriale del 2010 stabiliva un tetto del 30 per cento, cui i singoli uffici scolastici regionali, d'intesa con gli enti territoriali, possono però derogare, sia in aumento che in diminuzione;

   il problema della formazione di classi di soli stranieri o a larghissima presenza di stranieri è presente in varie località del nostro Paese, ed è soggetto a valutazioni diverse in relazione alla capacità di fornire agli scolari tutti gli strumenti utili all'integrazione socio-linguistica;

   tese ad evitare le cosiddette classi-ghetto, le quote possono avere un'utilità indicativa se hanno un carattere propositivo e se comunque, nell'ambito dell'autonomia della comunità scolastica, si presta alla dovuta attenzione ai percorsi di integrazione e non di esclusione;

   appare, pertanto, necessario affrontare in modo organico un fenomeno che tocca in modo particolare alcune località ad alta densità d'immigrazione, soprattutto regolare e stanziale, al fine di prevenire frizioni e incomprensioni e favorire l'integrazione di alunni e famiglie, senza pregiudizio per lo svolgimento del cursus formativo degli alunni a tutti gli effetti italiani e italofoni –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative intenda assumere, in conformità agli articoli 2 e 3 della Costituzione, affinché sia assicurato a tutti i bambini il diritto allo studio e alla formazione, sia evitato il trauma di una discriminazione precoce e, al contrario, sia offerta l'opportunità di un'armoniosa e progressiva integrazione.
(3-00081)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   i lavoratori stagionali sono più di trecentomila soltanto nel settore turistico e, generalmente, non hanno un'occupazione per più di sei mesi l'anno, poiché caratteristica di tale tipologia di attività è la peculiare esigenza di forza lavoro, in particolari periodi dell'anno, per far fronte ai picchi di attività del comparto;

   il lavoro stagionale è una risorsa fondamentale per le aziende del nostro Paese, le quali ricavano significativi introiti nella stagione interessata; inoltre, in tale ambito, trovano possibilità di inserimento molti giovani che accumulano importanti esperienze lavorative;

   è necessario promuovere specifici interventi a salvaguardia di questi lavoratori, soprattutto, considerando la mancanza di continuità dell'attività esercitata, ossia l'alternarsi – nel corso dell'anno – di periodi di attività lavorativa a periodi di non lavoro;

   in particolare, va modificato il sistema di computo dell'indennità di disoccupazione, cosiddetta «Naspi», poiché, tale istituto pregiudica considerevolmente gli stagionali;

   con l'introduzione del Jobs Act, dal 2015, infatti, sono state apportate rilevanti modifiche rispetto alla precedente normativa in materia, sulla durata e sui requisiti contributivi, in presenza dei quali si ha diritto all'erogazione dell'indennità;

   in pratica, l'indennità è stata dimezzata, poiché la nuova normativa prevede che coloro che si trovano in stato di disoccupazione involontaria possono usufruirne qualora abbiano versato nei quattro anni precedenti, rispetto all'inizio del periodo di disoccupazione, tredici settimane di contributi e possano far valere trenta giornate di lavoro effettivo o equivalenti, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi che precedono l'inizio del periodo di disoccupazione. La durata dell'indennità è pari alla metà dei mesi lavorati negli ultimi 4 anni, per un massimo di due anni; tuttavia, a differenza della previgente normativa, in tale calcolo non vengono considerati i periodi contributivi per i quali è già stata erogata una prestazione di disoccupazione;

   ciò pregiudica notevolmente i lavoratori stagionali, poiché, questi lavoratori percepiranno come assegno di disoccupazione, solo la metà dei mesi lavorati nell'ultimo anno, ossia soli tre mesi in luogo dei sei –:

   se e quali iniziative intenda adottare per la modifica della disciplina vigente della Naspi (nuova assicurazione sociale per l'impiego), in particolare in riferimento al calcolo della durata del sussidio, per garantire ai lavoratori stagionali maggiore tutela e un'adeguata indennità durante il periodo di disoccupazione involontaria.
(5-00159)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GAVINO MANCA, ROMINA MURA e GARIGLIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   si apprende dall'assessorato ai trasporti della regione Sardegna che la compagna Air Italy avrebbe intenzione di trasferire circa 50 impiegati dalla sede di Olbia a quella di Malpensa;

   la stessa compagnia, attraverso il proprio management, nel corso di incontro con la regione a Villa Devoto avutosi nell'aprile 2018, aveva negato l'intenzione di procedere al suddetto trasferimento;

   nel 2016 presso il Ministero dello sviluppo economico è stato siglato un accordo quadro tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero dello sviluppo economico, Meridiana e le organizzazioni sindacali Filt Cgil, Fit Cisl, Uil trasporti, Ugl trasporto aereo, Anpac ed Anpav nella quale sono stati definiti con la nuova partnership della compagnia di volo l'assetto societario, livelli occupazionali e le prospettive produttive, nonché il monitoraggio e le verifiche dello stesso accordo;

   l'allora Ministro, a seguito dell'incontro con il presidente della Sardegna Francesco Pigliaru, ha sempre manifestato grande attenzione istituzionale in merito alla vicenda Air Italy, prendendo atto della risoluzione, approvata in consiglio regionale, con cui si impegnava la giunta a chiedere con urgenza un tavolo al Ministero dello sviluppo economico e al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per verificare il mantenimento degli impegni assunti dall'azienda rispetto all'obiettivo di mantenere la governance in Sardegna;

   non è affatto chiaro l'evolversi della strategia aziendale in merito ad un eventuale spostamento della sede operativa di Air Italy dall'aeroporto Costa Smeralda a Malpensa, anche in considerazione del fatto che suddetta compagnia di volo a Milano è priva di infrastrutture di proprietà, a differenza di Olbia sulla quale vi erano precisi impegni in termini di investimenti e sviluppo –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, al fine di scongiurare ogni forma di disimpegno dal terminal di Olbia e il conseguente mantenimento in Sardegna degli attuali livelli occupazionali.
(4-00707)


   FRATOIANNI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il 29 giugno 2018, dopo un lungo periodo di amministrazione straordinaria, è stato sottoscritto a Bologna un accordo con le organizzazioni sindacali per il passaggio del Mercatone Uno alla Shernon Holding srl. La società ha acquistato i 55 punti vendita del Mercatone Uno in Italia, annunciando un piano di rilancio e il diritto di prelazione nelle assunzioni per i lavoratori dei 55 negozi acquisiti, impegnandosi a creare occupazione entro il 2022;

   l'intenzione della nuova proprietà sembra essere quella di potenziare, da una parte, e tagliare, dall'altra, le risorse interne dal momento che l'accordo siglato prevede, per il punto vendita di Scerne di Pineto, in Abruzzo, il passaggio, sulla base dei criteri di legge (esigenze tecnico produttive, anzianità di servizio e carichi di famiglia), alla holding acquirente di 43 lavoratori sui 62 totali, 42 dei quali vedranno ridotto l'orario di lavoro a 20, 24 o 28 ore settimanali, con un impoverimento generale delle condizioni lavorative per coloro che rimarranno. I contratti a tempo pieno rischiano di essere declassati a part-time e per quelli part-time si prospetta un'ulteriore riduzione oraria;

   il fatto che la nuova società acquirente, la Shernon Holding srl, abbia scongiurato la chiusura del punto vendita di Scerne di Pineto non diminuisce quindi la fortissima preoccupazione per i 19 esuberi che riguardano lo stesso punto vendita. Per loro, che non passeranno alla nuova società, dopo alcuni altri mesi di cassa integrazione a zero ore, si profila la «Naspi», cioè l'indennità di disoccupazione;

   alla luce dei numeri assegnati a Pineto dal piano risulta difficile comprendere quale nuova organizzazione possa essere prevista per questo punto vendita e quali investimenti potrebbero essere effettivamente previsti. I lavoratori, dopo aver ripetutamente manifestato la totale contrarietà alla soluzione prospettata, hanno chiesto, all'unanimità, «di porre in essere tutte le azioni di lotta possibili» per scongiurare i tagli occupazionali;

   il timore, per l'interrogante, è che la nuova società acquirente non voglia invertire abbastanza su Scerne, puntando di più sulla sola acquisizione del marchio «Mercatone» che sulla sua storia, fatta di tante professionalità e resa celebre anche e soprattutto grazie ai sacrifici dei lavoratori e delle lavoratrici;

   la holding Shernon è composta da tre grandi investitori. Il primo è polacco: Black Red White, uno dei più grandi produttori di mobili in Europa e in Polonia gestisce una rete di 76 negozi. Il secondo è turco: Dogtas Kekebek è uno dei più grandi produttori di mobili in Turchia, dove gestisce una rete di 316 punti vendita. Il terzo è «13 casa», una grande piattaforma di vendite on line i cui partner sono, fra gli altri, Amazon, Mondo Convenienza, Dalani e Coop. La paura è che, vista la presenza di quest'ultimo investitore e la drastica riduzione di personale a Scerne, nella superficie di Pineto si possa realizzare in sostanza un grande magazzino per la vendita on line, un punto di snodo delle merci –:

   se il Governo intenda intervenire, per quanto di competenza, al fine di scongiurare i licenziamenti presso la Mercatone Uno di Scerne di Pineto e la conseguente perdita del posto di lavoro per 19 dipendenti;

   con quali strumenti il Governo intenda intervenire di fronte ad una situazione così delicata per i lavoratori e le lavoratrici della Mercatone Uno di Scerne di Pineto, che non sembrano attualmente ricompresi nel piano industriale prospettato dagli acquirenti, affinché si possano individuare tutte le possibili modalità di ricollocazione di chi rimarrà fuori.
(4-00711)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI, FORESTALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LOSACCO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   è notizia di questi giorni una recrudescenza degli episodi in territorio pugliese ed, in particolare della provincia di Bari, in merito a furti e danneggiamenti di alberi di ulivo;

   pochi giorni fa nelle campagne di Santo spirito nel barese sono stati tagliati e danneggiati, una quarantina di ulivi centenari la cui proprietà aveva già subito nel 2016 un altro episodio analogo;

   si tratta solo dell'ultimo in ordine di tempo dei tanti casi, denunciati e non, che si sono registrati nell'area attorno all'aeroporto di Bari e nella zona tra Bitonto, Grumo e Palo;

   la Coldiretti ha denunciato questa nuova escalation di furti e ha segnalato come molti agricoltori si siano organizzati autonomamente in ronde a presidio dei propri poderi;

   secondo l'analisi dell'Osservatorio sulla criminalità dell'agricoltura e sul sistema agroalimentare promosso da Coldiretti sui risultati conseguiti dalle forze di polizia, l'intero comparto agroalimentare è caratterizzato da fenomeni criminali legati a furti, estorsioni e contraffazione di prodotti alimentari ed agricoli e dei relativi marchi garantiti;

   nella scorsa legislatura sono state introdotte misure fiscali per promuovere sistemi di videosorveglianza anche per contrastare questi fenomeni –:

   se il Governo sia a conoscenza di questi episodi e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, per promuovere un'azione di coordinamento tra le istituzioni finalizzata ad assicurare una maggiore vigilanza delle zone rurali a contrasto dell'ondata di furti che sta nuovamente attanagliando il comprensorio barese e la Puglia.
(5-00158)

Interrogazione a risposta scritta:


   FOTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   è forte l'allarme, tra i produttori agricoli dell'Emilia-Romagna, per l'assordante silenzio delle istituzioni sui risarcimenti dei gravissimi danni provocati in regione dall'ondata di gelo che ha causato, tra la fine di febbraio e l'inizio di marzo 2018, circa 100 milioni di danni nelle campagne da Piacenza a Rimini;

   gli avversi eventi atmosferici hanno pesantemente colpito i frutteti (albicocchi e peschi) e gli ortaggi (dai carciofi ai cavoli, dai pomodori ai broccoli);

   ai sopralluoghi effettuati dalla regione Emilia-Romagna è seguito l'invio al Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo della ricognizione puntuale dei danni, ma da quel momento nessuna iniziativa risulta più assunta;

   la legittima preoccupazione dei produttori nasce anche dalla mancanza di copertura, in quel periodo, delle assicurazioni contro le calamità naturali, in quanto la campagna assicurativa non era ancora aperta e non era pertanto possibile assicurare le coltivazioni;

   l'omessa risposta del Ministero, ad oltre quattro mesi dagli eventi, fa presumere un esito negativo delle richieste degli agricoltori, che si troverebbero in questo caso totalmente scoperti vista – come sopra evidenziato – l'impossibilità di assicurarsi. Al riguardo, per evitare di aggiungere disastro a disastro, vista la vastità delle aree colpite e le forti perdite economiche, appare del tutto condivisibile – ad avviso dell'interrogante – la proposta formulata da Coldiretti Emilia-Romagna di attivare la stessa procedura utilizzata nel 2017 per la siccità;

   occorre, dunque, l'approvazione di una specifica norma che, in deroga al decreto n. 102 del 2004 sulla calamità naturali, consenta di risarcire il danno per le colture assicurabili –:

   se – alla luce dei fatti suesposti – il Ministro interrogato condivida le richieste del mondo agricolo emiliano-romagnolo e se, quindi, intenda proporre le dovute iniziative di carattere normativo volte a consentire il rimborso dei danni.
(4-00714)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   DEIDDA. — Al Ministro per la pubblica amministrazione, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il combinato disposto del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, articolo 9, commi 1, e 21, e del decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122, ha determinato il blocco degli incrementi stipendiali previsti dagli automatismi di progressione e di carriera da maturarsi nell'arco temporale compreso tra il 1° gennaio 2011 e il 31 dicembre 2014;

   gli effetti di tale blocco per il personale del comparto sicurezza e difesa sono cessati a decorrere dal 1° gennaio 2015 ma esclusivamente per il personale in attività;

   sono rimasti esclusi dalla cessazione degli effetti del blocco tutti coloro che negli anni in cui il medesimo blocco era in vigore sono cessati dal servizio o sono stati riformati; in particolare, per gli agenti della polizia penitenziaria che, nel periodo interessato dal blocco, abbiano maturato il secondo assegno di funzione ma, essendo andati in pensione prima che la sospensione venisse revocata, tale assegno non sarebbe ancora stato riconosciuto;

   il Ministero della giustizia ha comunicato agli interessati che «nei confronti del personale cessato dal servizio nel corso del periodo intercorrente tra il 2011 e il 2014 la rideterminazione del trattamento di quiescenza, per effetto degli incrementi maturati in detto periodo, potrà essere disposta unicamente a seguito di specifico provvedimento legislativo» –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della questione e quali iniziative intendano adottare al fine di riconoscere al personale in questione gli scatti stipendiali maturati nel periodo interessato dal blocco, ponendo così fine ad un'ingiusta discriminazione.
(4-00713)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   MUGNAI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   si è appreso da un comunicato dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) diffuso il 5 luglio 2018, che sia l'Aifa sia le altre Agenzie europee hanno disposto l'immediato ritiro dalle farmacie e dalla catena distributiva di tutte le confezioni interessate di farmaci con principio attivo Valsartan (748 lotti);

   l'Agenzia europea del farmaco il 6 luglio 2018 ha diffuso una nota in cui si legge che «La revisione di EMA esaminerà i livelli di NDMA in questi medicinali a base di valsartan, il suo possibile impatto sui pazienti che li hanno assunti e quali misure possono essere adottate per ridurre o eliminare l'impurezza dai futuri lotti prodotti dall'azienda. Per precauzione, la revisione valuterà anche se altri medicinali a base di valsartan potrebbero essere interessati. La revisione sarà condotta dal Comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) dell'EMA»;

   la sostanza sotto accusa è la N-nitrosodimetilamina (Ndma), classificata come «probabilmente cancerogena» per l'uomo e sarebbe stata riscontrata la contaminazione nei lotti di materia prima utilizzati per produrre i medicinali contenenti valsartan oggetto del ritiro. Valsartan è un antagonista del recettore dell'angiotensina II ed è usato come detto per trattare l'ipertensione e l'insufficienza cardiaca o pazienti che hanno subito un infarto;

   da aggiornamenti di informazioni forniti dall'Aifa, risulterebbe che l'impurezza sia presente solo nei prodotti provenienti dall'officina della Zhejiang Huahai Pharmaceuticals, nel sito di Chuannan, Duqiao, Linai (China);

   il principio attivo cinese è stato poi utilizzato da diverse aziende farmaceutiche, quelle per le quali è scattato il provvedimento di sospensione. Si tratta di medicinali in commercio con diversi nomi, e prodotti da diverse case farmaceutiche: Valpression e Combisartan (Menarini), Valsodiur (Ibn Savio), Validroc e Pressloval (So.Se. Pharm), Valbacomp (Crinos), Valsartan Doc e Cantensio (Doc Generici), Valsartan Almus (Almus), Valsartan (Zentiva), Valsartan e Hct (Eurogenerici), Valsartan e Idroclortiazide (Pensa Pharma, Ranbaxy Italia, Teva, Doc Generici e Sandoz), Film (Sandoz), Valsartan Hctz (Tecnigen);

   la data di scadenza del farmaco, a causa della degradazione del principio attivo, dalla sua produzione, in ogni caso non può essere superiore ai cinque anni, ma nell'elenco fornito dall'Aifa sono presenti lotti con scadenza 2018, ovvero prodotti dai due a cinque anni precedenti (si veda Combisartan della Menarini o il Valsartan prodotto da Sandoz e altri): in tale lasso di tempo una quantità indefinibile di pazienti sono stati sottoposti a trattamento col principio attivo dichiarato oggi «potenzialmente cancerogeno»;

   la notizia diffusa dall'Aifa ha creato scompiglio e indignazione nei pazienti ma anche negli operatori sanitari, poiché, come detto, i farmaci ritirati sono usati da diverso tempo;

   da segnalazioni ricevute dall'interrogante, risulta che i medici sia di base che gli specialisti, nonché le farmacie, siano stati presi d'assalto per avere informazioni soprattutto sui lotti dei medicinali oggetto del ritiro;

   l'Aifa, sempre nella nota diffusa, ha comunicato la sostituibilità del farmaco presente nei lotti in ritiro ovvero che per i pazienti trattati con i medicinali riportati nell'elenco diffuso la terapia può essere sostituita con un altro valsartan o con altro antagonista del recettore dell'angiotensina II;

   alcuni medici hanno prescritto terapie con farmaci specifici, indicando nella ricetta «non sostituibile»;

   infine nel ritiro sono coinvolti anche i farmaci generici che l'Aifa stessa incentivava all'uso –:

   se il Ministro, in seguito alla disposizione dell'Aifa relativa al ritiro dei lotti incriminati in commercio, abbia assunto iniziative di carattere informativo a beneficio di pazienti, delle farmacie, dei medici di base e dei sanitari ospedalieri;

   quali altre indicazioni prescrittive intenda diffondere ai medici che hanno in cura pazienti con ipertensione, insufficienza cardiaca o che hanno subito un infarto;

   a quali controlli interni, da parte delle case produttrici, siano solitamente sottoposti i farmaci con principi attivi provenienti da Paesi extra europei e se siano ricostruibili i controlli effettuati e dichiarati per i lotti incriminati;

   se siano previsti controlli «esterni» da parte delle autorità italiane competenti per i farmaci i cui principi attivi provengono da Paesi extra europei ma che vengono assemblati e confezionati in stabilimenti europei;

   quali iniziative intenda intraprendere con riferimento alle case farmaceutiche presenti nell'elenco diffuso dall'Aifa.
(4-00710)

Apposizione di una firma
ad una mozione.

  La mozione Gelmini e altri n. 1-00010, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 luglio 2018, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Lupi.

Apposizione di una firma
ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta orale Marco Di Maio e altri n. 3-00077, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 luglio 2018, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Serracchiani.