Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 27 giugno 2018

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,

   premesso che:

    negli ultimi anni, i Governi a guida del Partito Democratico hanno perseguito politiche di sviluppo improntate, congiuntamente, alla crescita e all'inclusione sociale, secondo un approccio sistemico e non meramente emergenziale, che ha segnato un cambiamento di paradigma nelle politiche sociali di contrasto alla povertà;

    in particolare, con l'approvazione della legge 15 marzo 2017, n. 33 (legge delega recante norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali) e della sua disciplina attuativa (decreto legislativo 15 settembre 2017, n. 147, recante disposizioni per l'introduzione di una misura nazionale di contrasto alla povertà), l'Italia si è dotata strutturalmente – per la prima volta nella sua storia – di una misura unica nazionale di contrasto alla povertà, intesa come impossibilità di disporre dell'insieme dei beni e dei servizi necessari a condurre un livello di vita dignitoso;

    la nuova misura unica di contrasto alla povertà è il reddito di inclusione (ReI), individuato dalla nuova disciplina come livello essenziale delle prestazioni da garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale: una misura che non è solo uno strumento di sostegno al reddito, ma un progetto per l'autonomia, dato che il nucleo familiare, affiancato dai servizi territoriali, è tenuto a condividere un percorso finalizzato all'inclusione sociale e lavorativa, che prevede non solo l'attivazione di specifici sostegni, sulla base dei bisogni manifestati complessivamente dalla famiglia, ma anche l'impegno a svolgere specifiche attività, alle quali è condizionata l'erogazione del beneficio;

    il reddito di inclusione si articola in due componenti: un beneficio economico erogato mensilmente e una componente di servizi alla persona, attivata sulla base di un progetto personalizzato di inclusione sociale e lavorativa volto al superamento della condizione di povertà;

    pienamente operativo dal 1° gennaio 2018, dopo appena tre mesi, il reddito di inclusione aveva già raggiunto oltre 110 mila famiglie (317 mila persone), cui si devono aggiungere le 119 mila famiglie ancora coperte dal Sia (la misura vigente fino al 2017, destinata ad essere progressivamente sostituita dal ReI): in totale – secondo i dati dell'Osservatorio statistico sul ReI (Inps e Ministero del lavoro e delle politiche sociali) pubblicati il 29 marzo 2018 – nel primo trimestre 2018 sono risultati coperti dalla misura unica nazionale contro la povertà oltre 230 mila nuclei familiari e circa 870 mila persone;

    dal 1° luglio 2018, grazie alle risorse stanziate nella scorsa legislatura, il ReI diventerà una misura pienamente universale, raggiungendo la sua vocazione originaria e superando ogni limitazione categoriale del beneficio: in virtù di questo allargamento già previsto della platea, entro la fine del 2018, i nuclei familiari beneficiari del ReI arriveranno fino a 700 mila, corrispondenti a quasi 2,5 milioni di persone;

    sul tema del contrasto alla povertà, il contratto (rectius programma) di governo dedica molto spazio al cosiddetto Reddito di cittadinanza, ovvero un sostegno al reddito per i cittadini italiani che versano in condizione di bisogno, per un ammontare fissato in 780 euro mensili per persona, incrementato sulla base della scala di equivalenza familiare, la cui erogazione è condizionata all'obbligo di aderire alle offerte di lavoro provenienti dai centri dell'impiego, pena la decadenza dal beneficio;

    in una prima bozza del documento programmatico se ne stimavano gli oneri in 17 miliardi di euro, importo poi scomparso nel testo definitivo. Tuttavia, secondo diversi osservatori ed esperti i costi ammonterebbero a circa 30 miliardi di euro, in particolare in ragione dell'esclusione nel livello di reddito complessivo delle famiglie beneficiarie del potenziale valore d'affitto dell'abitazione di proprietà;

    per di più, l'ipotesi che tale istituto possa essere riservato esclusivamente ai «cittadini italiani», si scontrerebbe con l'obbligo di rispettare la normativa europea che obbliga alla parità di trattamento nella fruizione delle prestazioni sociali anche per i cittadini comunitari e quelli extracomunitari in possesso del permesso di soggiorno di lunga durata;

    il reddito di cittadinanza proposto prevede il solo obbligo di iscrizione ai centri per l'impiego – strutture che necessitano di una profonda implementazione, prevedendo esclusivamente un investimento di 2 miliardi di euro per la loro riorganizzazione – facendo così derivare la condizione di povertà esclusivamente dalla situazione lavorativa, a differenza di quanto invece prevede il reddito di inclusione, il quale appropriatamente considera come fattori determinanti anche la condizione di disagio sociale e la povertà educativa;

    la forte aspettativa che si è diffusa, soprattutto in alcune aree del Paese, vista l'entità della misura economica proposta, potrebbe tradursi in una altrettanto forte frustrazione, stante i tanti profili problematici, soprattutto per quanto concerne la sua praticabilità finanziaria;

    sembrerebbe molto più proficuo indirizzare le risorse per aumentare la platea e il beneficio economico previsto dal reddito di inclusione (ReI), un istituto appena partito, introdotto dal Governo pro tempore a guida PD e costruito con progettazione partecipata insieme alla Alleanza contro la povertà, di cui fanno parte realtà associative, rappresentanze dei comuni e delle regioni, enti di rappresentanza del terzo settore, sindacati;

    in coerenza con tale impostazione è stata depositata un'apposita proposta di legge finalizzata a:

     a) incrementare l'ammontare del beneficio economico, prevedendo una serie di interventi il cui combinato disposto porterà l'importo massimo del beneficio per una famiglia di 5 componenti a un ammontare pari a 750 euro;

     b) allargare la platea dei beneficiari al fine di portare il numero di famiglie beneficiarie a circa 1 milione e 400 mila, per poi arrivare a raggiungere tutte le famiglie che secondo le stime Istat si trovano in condizioni di povertà nel nostro Paese e rendendo il ReI compiutamente universale non solo nel disegno, ma anche nei suoi effetti generali;

     c) favorire l'occupabilità dei beneficiari del ReI prevedendo che i suoi beneficiari possano accedere all'assegno di ricollocazione previsto dal «Jobs Act», anche in deroga alle condizionalità previste in via ordinaria per l'accesso a quell'istituto (permanenza in Naspi e stato di disoccupazione di durata non inferiore a quattro mesi): inoltre, a titolo di riconoscimento della peculiare condizione di svantaggio dei beneficiari del ReI, si prevede che in caso di successo occupazionale, l'importo dell'assegno di ricollocazione per questi soggetti sia riconosciuto in misura raddoppiata, a parità di altre condizioni;

     d) innalzare la quota del Fondo povertà destinata al rafforzamento degli interventi e dei servizi sociali in ossequio al carattere peculiare del ReI, che si distingue da altre forme di contrasto alla povertà per l'attenzione dedicata alle politiche attive per il (re)inserimento nel mondo del lavoro, evitando qualunque rischio di «trappola della povertà»,

impegna il Governo:

1) a dare continuità all'applicazione del reddito di inclusione, potenziandone anziché minandone l'architettura, nella consapevolezza che l'obiettivo di creare «una misura attiva rivolta ai cittadini italiani al fine di reinserirli nella vita sociale e lavorativa del Paese» – come affermato dal programma dell'attuale Governo – è un obiettivo comune a tutte le forze politiche che si propongono di contrastare la povertà e l'esclusione sociale;

2) a non disperdere e a non vanificare i risultati richiamati in premessa, sopprimendo una misura che funziona e introducendone un'altra che non è definita nei tempi, nei modi, nei costi, né tantomeno nelle coperture finanziarie;

3) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per potenziare, anche a tali fini, i centri per l'impiego e la rete nazionale delle politiche attive del lavoro, incrementandone la presenza, l'efficienza e la qualità dei servizi su tutto il territorio nazionale.
(1-00009) «Carnevali, Gribaudo, Lepri, Viscomi, De Filippo, Serracchiani, Carla Cantone, Lacarra, Romina Mura, Zan, Campana, Ubaldo Pagano, Pini, Rizzo Nervo, Schirò, Siani».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni XI e XII,

   premesso che:

    secondo alcuni dati europei nel mondo del lavoro la violenza e le molestie da parte di terzi riguardano dal 5 per cento al 20 per cento dei lavoratori e se il 40 per cento dei dirigenti europei è preoccupato per la violenza e le molestie sul luogo di lavoro, solo circa il 25 per cento (e non più del 10 per cento in molti Paesi dell'Unione europea) ha attuato procedure per affrontare questo fenomeno;

    proprio per arginare tale problematica il 26 aprile 2007 è stato firmato dalle partì sociali europee a livello intersettoriale un accordo quadro sulle molestie e sulla violenza sul luogo di lavoro. Tale accordo mira a impedire e gestire i problemi di prepotenza, molestie sessuali e violenza fisica sul luogo di lavoro, condanna tutte le forme di molestia e di violenza e conferma il dovere del datore di lavoro di tutelare i lavoratori contro tali rischi. In questo senso, le imprese in Europa sarebbero tenute ad adottare una politica di «tolleranza zero» nei confronti di tali comportamenti e a fissare procedure per gestire i casi di molestie e violenza laddove essi si verifichino;

    nonostante i primi passi compiuti a livello europeo, nel nostro Paese non sembra esserci ancora una adeguata consapevolezza del problema, acuito in questi anni dalle conflittualità correlate alla crisi economica: generalmente nelle aziende non vengono attuate idonee strategie per prevenire, ridurre le varie forme di violenze e molestie nel mondo del lavoro; si tratta di violenze che possono essere fisiche, psicologiche, verbali, sessuali o che possono verificarsi anche nel cyberspazio, attraverso la connessione in rete;

    per contrastare tale fenomeno e contenerne gli effetti, negli ultimi anni sono state emanate diverse linee guida, buone prassi e raccomandazioni da parte di associazioni di categoria e del Ministero della salute: solo per citarne alcuni esempi il 25 gennaio 2016 Cgil, Cisl, Uil e Confindustria hanno siglato congiuntamente l'accordo quadro sulle molestie e la violenza nei luoghi di lavoro, che recepisce quello firmato nel 2007 a livello europeo; mentre nel novembre 2007 il Ministero della salute ha emanato la raccomandazione n. 8 per «prevenire gli atti di violenza a danno degli operatori sanitari» al fine di incoraggiare l'analisi dei luoghi di lavoro e dei rischi correlati e l'adozione di iniziative e programmi, volti a prevenire gli atti di violenza e/o attenuarne le conseguenze negative;

    il documento del Ministero riconosce che episodi di violenza contro operatori sanitari possono essere considerati «eventi sentinella», in quanto segnali della presenza nell'ambiente di lavoro di situazioni di rischio o di vulnerabilità che richiedono l'adozione da parte dei datori di lavoro di opportune misure di prevenzione e protezione dei lavoratori, incoraggiando l'analisi dei fattori di rischio sui luoghi di lavoro;

    tali strumenti però non consentono di operare un approccio sistemico e quantitativo alla valutazione del rischio e di individuare in modo organico le misure di prevenzione e protezione per la specifica realtà aziendale di riferimento;

    gli effetti delle aggressioni sul luogo di lavoro hanno un impatto negativo, molto spesso sottovalutato, sia a livello dell'individuo che le subisce, in termini di infortuni e/o conseguenze psicofisiche (disturbi del sonno, stanchezza, depressione), sia a livello aziendale, a causa della riduzione della capacità produttiva (aumento delle assenze per malattia, del turn over del personale, delle disabilità). Mancano politiche nazionali di segnalazione e di programmazione della prevenzione della violenza sui luoghi di lavoro, così come un omogeneo riconoscimento dei fattori di rischio strutturali, ambientali e organizzativi, che possono favorire la violenza;

    lo stesso testo unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro di cui a decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, disciplina la sicurezza dei luoghi di lavoro, ma non la sicurezza dei lavoratori;

    inoltre, ulteriore aspetto della stessa problematica: il lavoratore vittima di violenza, fisica o psicologica, è lasciato solo davanti al suo dramma; non riceve alcun supporto per le spese legali, né un sostegno psicologico;

    l'unica tutela riconosciuta al lavoratore vittima di violenza è quella disciplinata dai codice penale, ma la violenza rientra tra le fattispecie procedibili a querela di parte (salvo i casi di minacce di morte e con armi);

    l'obiettivo è di offrire un supporto alle azioni dei datori di lavoro, dei lavoratori e dei loro rappresentanti/organizzazioni sindacali volte non solo a ridurre la violenza e le molestie da parte di terzi, ma a mitigarne le conseguenze,

impegnano il Governo:

   ad assumere iniziative per garantire una maggiore sensibilizzazione dei datori di lavoro, dei lavoratori e degli utenti dei servizi e, nel contempo, un'adeguata formazione dei dirigenti e dei lavoratori, perché siano in grado di affrontare questo fenomeno;

   a favorire la stipula di accordi di cooperazione con le varie istituzioni che partecipano, anche se indirettamente, nel processo del fenomeno: forze dell'ordine, servizi di vigilanza e addetti alla sicurezza, ispettorato del lavoro, servizi sociali, associazioni di studio, prevenzione e gestione degli episodi di violenza;

   a favorire la definizione ed implementazione all'interno dei luoghi di lavoro di misure di prevenzione, di tipo logistico-organizzativo e/o tecnologico, e controllo delle situazioni di rischio identificate;

   a perseguire una politica coerente a sostegno del personale esposto alle molestie e/o alla violenza sui luoghi di lavoro e nelle circostanze di lavoro, la quale potrebbe includere un ulteriore supporto, oltre a quello previsto dalla normativa vigente, di natura professionale (medica, psicologica, psichiatrica e medicolegale), giuridica, pratica e/o finanziaria (per esempio, una copertura assicurativa aggiuntiva a carico del datore di lavoro o un fondo appositamente predisposto);

   ad assumere iniziative per disciplinare adeguatamente e organicamente la sicurezza sui luoghi di lavoro nell'ambito del testo unico della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.
(7-00017) «Bellucci, Bucalo».


   La XI Commissione,

   premesso che:

    l'articolo 36 della Costituzione stabilisce espressamente che «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa (...)». Dunque, è evidente che senza un'equa retribuzione non vi è dignità per chi lavora e questo un fondamentale principio della Carta Costituzionale;

    eppure, l'allarmante numero di lavoratori che in Italia viene sottopagato o, addirittura, svolge prestazioni gratuite, pone di fronte al dato di fatto che quello che dovrebbe essere un principio inviolabile, viene spesso del tutto disatteso; predisporre misure di contrasto alla piaga del lavoro sottopagato dovrebbe rappresentare un'emergenza per il Governo, tuttavia, ad oggi, lo stesso non ha adottato nessuna iniziativa in merito. Di contro, tale problematica deve essere affrontata prioritariamente considerando che il suo continuo diffondersi, oltre a negare dignità al lavoratore, ostacola i consumi e impedisce all'Italia di crescere e di uscire dall'attuale stato di crisi;

    è evidente che l'istituzione di una «retribuzione minima garantita» rappresenterebbe un efficace strumento per attuare una maggiore equità e tutela della posizione di debolezza del lavoratore nel rapporto di lavoro, conferendogli maggiore potere contrattuale. Difatti, un corrispettivo minimo fissato per legge, su base oraria, è attualmente applicato in molti Paesi europei, mentre in Italia esso vige solo per alcune categorie di lavoratori, in virtù dei contratti collettivi negoziati a livello nazionale; il riconoscimento di una «retribuzione minima» escluderebbe fenomeni di sfruttamento che, ad oggi, non sono evitati dai minimi salariali stabiliti nei contratti nazionali, poiché, come è noto, lasciano scoperti il 30-40 per cento del mercato del lavoro italiano, dalle imprese di modeste dimensioni ai lavoratori atipici. Al riguardo, non si ritiene condivisibile la tesi espressa da alcuni sindacati, i quali affermano che l'istituzionalizzazione di una «retribuzione minima» a livello nazionale avrebbe degli effetti negativi, poiché porrebbe le basi per una diminuzione dei salari nel medio termine. Riconoscere un importo minimo del corrispettivo, invece, è un provvedimento necessario per conferire maggiore potere contrattuale ai lavoratori più marginali e riconoscere il lavoro come strumento di dignità, in coerenza con i fondamenti della Repubblica;

    per riparare alla carenza del sistema attuale, pertanto, si ritiene urgente adoperarsi per attuare una dualità dello stesso, prevedendo una retribuzione minima su base nazionale che comprenderebbe quelle categorie di lavoratori che non sono tutelate dai contratti collettivi. Una volta che la «retribuzione minima» sarà in vigore, qualunque lavoratore avrà il diritto di ricevere almeno quel determinato corrispettivo all'ora, che includerebbe qualsiasi attività in agricoltura, nell'industria o nei servizi, senza distinzione di sesso o di età ed indipendentemente dal fatto che si tratti di lavoratori fissi, occasionali o temporanei;

    la retribuzione minima oraria deve configurarsi come il corrispettivo fissato annualmente dal Governo previa consultazione con le organizzazioni sindacali e le associazioni imprenditoriali maggiormente rappresentative, prevedendo una revisione e un aggiornamento dello stesso ogni sei mesi, se l'indice dei prezzi al consumo superi le previsioni. È chiaro che l'importo fissato deve costituire una soglia minima, in qualità di garanzia stipendiale che ha lo scopo di evitare situazioni di sfruttamento. Del pari, mediante la contrattazione collettiva o un accordo individuale con il datore di lavoro, dovranno essere previste retribuzioni minime di un ammontare maggiore a quello previsto su base nazionale, qualora lo richiedano le specificità dei diversi comparti occupazionali. Sicché, la contrattazione collettiva avrebbe un ruolo fondamentale proprio per escludere una diminuzione dei salari nel medio termine in quei settori le cui caratteristiche richiedono l'individuazione di corrispettivi superiori, rispetto al minimo previsto su base nazionale;

    contestualmente all'istituzione del corrispettivo minimo, si ritiene necessario adottare adeguati sistemi di controllo per verificarne la concreta applicazione e, in caso di violazione, prevedere la responsabilità penale per i datori di lavoro, in modo da scoraggiare concretamente l'applicazione di retribuzioni che non consentono al lavoratore un'esistenza dignitosa come intende garantire la Carta costituzionale,

impegna il Governo

ad assumere iniziative volte a istituzionalizzare una «retribuzione minima oraria» su base nazionale per attuare una maggiore tutela della posizione di debolezza del lavoratore nel rapporto di lavoro, garantendogli un'equa retribuzione, in conformità all'articolo 36 della Costituzione.
(7-00012) «Rizzetto, Bucalo».


   La XI Commissione,

   premesso che:

    in attuazione di quanto disposto dall'articolo 12, comma 12-bis, del decreto-legge 30 luglio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, il 16 dicembre 2014, è stato pubblicato il decreto direttoriale del Ministero dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che reca norme in materia di adeguamento dei requisiti di accesso al pensionamento agli incrementi della speranza di vita;

    nello specifico, il predetto decreto ha stabilito che: «A decorrere dal 1° gennaio 2016, i requisiti di accesso ai trattamenti pensionistici sono ulteriormente incrementati di 4 mesi e i valori di somma di età anagrafica e di anzianità contributiva di cui alla Tabella B allegata alla legge 23 agosto 2004, n. 243, e successive modificazioni, sono ulteriormente incrementati di 0,3 unità»;

    pertanto, fermo restando l'adeguamento alla speranza di vita già applicato dal 1° gennaio 2013, in virtù del decreto ministeriale del 6 dicembre 2011 (incremento di 3 mesi e di 0,3 unità dei valori di somma di età anagrafica e di anzianità contributiva), ai sensi del decreto ministeriale del 16 dicembre 2014, i requisiti di accesso ai trattamenti pensionistici sono ulteriormente incrementati di 4 mesi e i valori di somma di età anagrafica e di anzianità contributiva di cui alla tabella B allegata alla legge 23 agosto 2004, n. 243, e successive modificazioni – per coloro che perfezionano il diritto alla pensione di anzianità con il sistema delle cosiddette «quote» – sono ulteriormente incrementati di 0,3 unità;

    dunque, sia l'età per raggiungere la pensione di vecchiaia, che i contributi per ottenere la pensione anticipata sono stati notevolmente innalzati in conseguenza degli aumenti legati alla speranza di vita;

    tuttavia, tale sistema che determina gli incrementi per effetto dell'aumento dell'aspettativa di vita come previsto dalla «legge Fornero» ed attuato periodicamente con decreti ministeriali, non è ragionevole, poiché ha ben poco a che vedere con la speranza di vita reale. Al riguardo, si ritiene che l'adeguamento dei requisiti per l'accesso al pensionamento, facendo ricorso automatico ad un indicatore statistico che misura la probabilità media di quanti anni un uomo e una donna possano vivere, rappresenta un meccanismo pregiudizievole che comporta un aumento periodico del tempo in cui si potrà accedere all'assegno previdenziale, su un dato meramente previsionale; tra l'altro, non è ammissibile un sistema incongruo, che prevede che con l'aumento della speranza di vita aumentino anche i requisiti per il pensionamento, di contro, con una diminuzione della stessa, l'età di pensionamento resterebbe stabile; sul punto, si evidenzia che il rapporto Osservasalute, presentato ad aprile 2016 metteva in luce un calo della speranza di vita a causa della riduzione della prevenzione sanitaria; sicché, un dato di tal genere dimostra, ulteriormente, l'incongruità del meccanismo di adeguamento, posto che, si ribadisce, i parametri previsti dalla normativa sono, unicamente, sotto forma di incrementi. Il sistema vigente, difatti, stabilisce che i requisiti per raggiungere la pensione siano destinati a salire periodicamente e mai ad abbassarsi;

    si è, dunque, generata una grave iniquità nei confronti dei cittadini con il rischio per i pensionati di godere, in concreto, solo di pochi anni del trattamento pensionistico rispetto al reale ammontare dei contributi versati negli anni sotto forma di pensione,

impegna il Governo

ad assumere iniziative urgenti per eliminare gli effetti pregiudizievoli che stanno subendo i cittadini dall'attuale sistema di accesso al trattamento pensionistico, modificando la normativa che prevede, in merito ai requisiti pensionistici, un innalzamento dell'età pensionabile in base a parametri di aumento della speranza di vita.
(7-00013) «Rizzetto, Bucalo».


   La XI Commissione,

   premesso che:

    con il decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 145, lo Stato italiano ha attuato la direttiva 2002/73/CE in materia di parità di trattamento tra uomini e donne, per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione ed alla promozione professionale e alle condizioni di lavoro. In particolare, è stato disposto che costituisce discriminazione diretta «qualsiasi atto, patto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e comunque il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un'altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga»;

    inoltre, con la sentenza della Corte di giustizia europea Sez./ II, n. C-356/09 del 18 novembre 2010 si afferma chiaramente il principio di parità uomo-donna sull'età pensionabile; la Corte dichiara che «l'articolo 3, n. 1, lettera c), della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 settembre 2002, 2002/73/CE, deve essere interpretato nel senso che una normativa nazionale la quale, per promuovere l'inserimento professionale di persone più giovani, consente ad un datore di lavoro di licenziare gli impiegati che abbiano maturato il diritto alla pensione di vecchiaia, laddove tale diritto è maturato dalle donne ad un'età inferiore di cinque anni rispetto a quella in cui tale diritto è maturato per gli uomini, costituisce una discriminazione diretta fondata sul sesso vietata da tale direttiva»; considerato che la legge n. 243 del 2004, articolo 1, comma 9, e sue successive modifiche, ha previsto per le lavoratrici un regime sperimentale, cosiddetto, «opzione donna», riconoscendo la possibilità di accedere al trattamento pensionistico, in presenza di un'anzianità contributiva pari o superiore a trentacinque anni e di un'età pari o superiore a 57 anni per le lavoratrici dipendenti e a 58 anni per le lavoratrici autonome, nei confronti delle lavoratrici che optano per una liquidazione del trattamento medesimo secondo le regole di calcolo del sistema contributivo previste dal decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 180;

    pertanto, con l’«opzione donna» si riconosce il diritto alle lavoratrici di andare in pensione con requisiti più favorevoli, accettando che la pensione sia calcolata con il sistema contributivo, anziché retributivo;

    si ritiene, dunque, necessario promuovere idonei provvedimenti affinché il regime sperimentale in questione venga esteso ed applicato anche agli uomini. Ciò al fine di eliminare la discriminazione che caratterizza l'istituto in questione non prevedendo la medesima possibilità per gli uomini di optare per una pensione calcolata in base al regime contributivo, accedendo al trattamento in anticipo rispetto ai criteri ordinari previsti in materia,

impegna il Governo

ad adottare iniziative normative affinché sia esteso anche agli uomini il regime sperimentale previsto all'articolo 1, comma 9, della legge n. 243 del 2004, e successive modifiche, cosiddetto opzione donna.
(7-00014) «Rizzetto, Bucalo».


   La XI Commissione,

   premesso che:

    è necessario garantire maggiore flessibilità per accedere al trattamento pensionistico al fine di porre rimedio definitivo agli squilibri determinati dalla riforma del sistema previdenziale, cosiddetta Fornero, che, come noto, ha drasticamente innalzato le soglie di accesso alla pensione di vecchiaia, in danno a centinaia di migliaia di lavoratori che si sono trovati in vero e proprio limbo di disperazione avendo fatto affidamento sui preesistenti criteri di uscita;

    al riguardo, nell'ottica di riformare il sistema pensionistico italiano nel rispetto di princìpi di sostenibilità ed equità, si ritiene che debbano essere assunti provvedimenti per introdurre maggiore flessibilità in uscita dal mondo del lavoro attraverso delle manovre strutturali, che, a determinate condizioni, consentano ai lavoratori di poter scegliere di andare in pensione;

    a tal fine, si ritiene virtuosa l'introduzione di un istituto denominato «quota 41» che riconosca al lavoratore la possibilità di andare in pensione dopo aver versato ed accumulato quarantuno anni di contributi, a prescindere da ulteriori criteri anche di età anagrafica;

    detto istituto consentirà dunque l'accesso all'assegno pensionistico, non a titolo di pensione anticipata ma quale modalità strutturale per andare in pensione,

impegna il Governo

ad adottare urgenti iniziative affinché sia introdotto nel sistema pensionistico l'istituto denominato «quota 41» che riconosca la possibilità di andare in pensione a chiunque abbia maturato almeno 41 anni di contributi, a prescindere da ulteriori criteri anche di età anagrafica.
(7-00015) «Rizzetto, Bucalo».


   La XI Commissione,

   premesso che:

    la società Comdata Spa è un'azienda italiana attiva nel settore dei call-center e dei servizi alle imprese, specializzata nell'assistenza ai clienti, nei processi di back office e di gestione del credito e nell'esternalizzazione dei processi gestionali;

    dal 2011 il gruppo Comdata ha avviato un processo di espansione al di fuori dei confini italiani e, ad oggi, è presente in 16 Paesi, con un portafoglio di oltre 550 clienti che serve in 23 lingue, impiegando circa 42.000 dipendenti in 78 centri operativi. Sul territorio piemontese sono attive le sedi di Ivrea, Torino ed Asti;

    lo sviluppo esponenziale registrato dal gruppo negli ultimi anni ha portato Comdata ad un fatturato globale di circa 1 miliardo di euro;

    Comdata impiega in Italia circa 7000 lavoratori, di cui l'80 per cento a tempo indeterminato, il 10 per cento con contratto di somministrazione ed il 10 per cento con contratti a progetto. Ai propri collaboratori Comdata applica prevalentemente il contratto collettivo nazionale delle telecomunicazioni;

    attualmente, sono impiegati 940 lavoratori nella sede di Ivrea, 621 nella sede di Asti e 486 nella sede di Torino;

    in data 27 novembre 2017 le sigle sindacali presenti sul territorio piemontese hanno illustrato, durante un'audizione presso il comune di Torino, le condizioni dei lavoratori presso l'azienda. Nello specifico hanno posto l'attenzione sul crescente utilizzo di lavoratori somministrati, con impatti negativi sugli orari di lavoro del restante personale, sulla formazione «a gettone» fuori dall'orario lavorativo per i lavoratori assunti a tempo indeterminato, sul ricorso unilaterale da parte dell'azienda allo smaltimento di ferie e permessi in caso di mancanza di lavoro, sui licenziamenti incentivati e sull'introduzione di software nei computer aziendali atti a misurare la lunghezza delle pause lavorative;

    come evidenziato dalle sigle sindacali, la formazione cosiddetta «a gettone» e il ricorso unilaterale da parte dell'azienda allo smaltimento di ferie e permessi in caso di mancanza di lavoro non risultano previsti né dal contratto collettivo nazionale di riferimento, né da nessuna contrattazione di secondo livello;

    le criticità segnalate all'amministrazione comunale di Torino hanno fatto sì che i vertici aziendali fossero convocati in consiglio comunale in data 22 gennaio 2018 dalla giunta torinese;

    nel corso di tale incontro Comdata Spa ha dichiarato buone condizioni di salute dei siti del territorio e la volontà di mantenere in Piemonte il perimetro delle sedi, presenti oltre che a Ivrea, anche a Torino e Asti;

    il 1° marzo 2018 è apparso su «Il Sole 24 ore» un articolo in cui si prospettava una eventuale cessione di Comdata da parte del maggiore azionista di Comdata Group, il fondo americano Carlyle, nella seconda parte dell'anno;

    il processo di riorganizzazione e razionalizzazione della sede di Ivrea ha avuto inizio a febbraio 2018, con l'improvvisa interruzione di 170 contratti di somministrazione interinali ai quali hanno fatto seguito altri 60 contratti sospesi nelle settimane successive, per un totale di 230 contratti interrotti;

    nel mese di marzo 2018 è stato imposto ai dipendenti di esaurire tutte le ferie e i permessi retribuiti precedentemente al gennaio 2018 per far fronte al dimezzamento di attività della commessa Tim, la principale per il sito di Ivrea;

    il 23 marzo 2018, nonostante l'accettazione da parte dei lavoratori delle condizioni citate, la società Comdata Spa ha annunciato per iscritto la volontà di ricorrere con urgenza all'intervento del fondo d'integrazione salariale (Fis) ammortizzatore sociale destinato a chi non fruisce della cassa integrazione, per 363 lavoratori e per 13 settimane a zero ore, a causa di una contrazione temporanea dei volumi di lavoro su un'importante commessa del comparto Telecomunicazioni nella propria sede di Ivrea;

    con decreto ministeriale pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 74 del 30 marzo 2016 è stata data forma al Fondo di integrazione salariale, previsto dal decreto legislativo n. 148 del 2015 e destinato ad ereditare i compiti del disciolto fondo di solidarietà residuale a partire dal 1° gennaio 2016;

    come previsto dal comma 3 dell'articolo 29 del decreto legislativo n. 148 del 2015, a seconda delle diverse causali d'intervento e requisiti dimensionali caratterizzanti l'azienda, le prestazioni erogate dal Fondo di integrazione salariale (Fis) sono l'assegno di solidarietà e l'assegno ordinario. In particolare, nel caso di datori di lavoro che occupino mediamente più di quindici dipendenti, il fondo garantisce per una durata massima di 26 settimane in un biennio mobile l'ulteriore prestazione consistente nel versamento di assegno ordinario di importo almeno pari all'integrazione salariale, in relazione alle causali di riduzione o sospensione dell'attività lavorativa previste dalla normativa in materia di integrazioni salariali ordinarie, limitatamente alle causali per riorganizzazione e crisi aziendale;

    il 27 marzo 2018 è stato siglato un accordo tra azienda e sindacati. Il Fondo di integrazione salariale è stato richiesto a zero ore fino al 2 luglio 2018, con un accordo verbale al 50 per cento per il solo mese di aprile 2018;

    alla scadenza del termine del 2 luglio 2018, il Fondo di integrazione salariale (Fis) potrebbe essere rinnovato per altre 13 settimane e, successivamente, i lavoratori interessati dal provvedimento potrebbero rischiare l'apertura di una procedura di esubero e la conseguente perdita del posto di lavoro;

    in data 4 maggio 2018 l'azienda Comdata spa ha annunciato un piano di riorganizzazione e di razionalizzazione; la riorganizzazione aziendale si sostanzia nella necessità di porre in essere interventi volti a fronteggiare inefficienze della struttura gestionale, commerciale o produttiva del datore di lavoro nell'ambito di un programma finalizzato in ogni caso ad un consistente recupero occupazionale;

    in un comunicato della rappresentanza sindacale unitaria Comdata Ivrea datato 5 maggio 2018 si legge: «Abbiamo iniziato con un'ora di sciopero per sollecitare l'azienda a portare nuovo lavori, procedendo alla formazione per la riqualificazione del personale attualmente in FIS. L'annuncio del rientro della commessa Fastweb in Italia e lo spostamento di alcune attività, mette il nostro sito in una situazione sicuramente meno preoccupante. Tutto questo però lo apprendiamo da una testata giornalistica on-line che ha ripreso un comunicato stampa aziendale che, ad oggi, non è stato fornito ai rappresentanti dei lavoratori; ad oggi, infatti, la Rsu di Ivrea non ha informazioni ufficiali nel dettaglio»;

    Comdata ha recentemente presentato ai sindacati un piano di consolidamento che, alla fine dell'estate, porterà il gruppo a una crescita di 220 dipendenti, con la creazione di posti di lavoro nelle sedi di Cagliari e Lecce come conseguenza di un accordo con Fastweb sulla re-internalizzazione di parte del lavoro attualmente svolto in una sede estera;

    il medesimo piano di consolidamento ha tuttavia previsto la chiusura dei siti produttivi di Padova e Pozzuoli, dove lavorano complessivamente 258 persone;

    una delegazione di lavoratori della sede di Ivrea è stata ricevuta nella mattinata di martedì 15 maggio 2018 in regione Piemonte per un confronto con le istituzioni locali volto a illustrare le preoccupazioni per il futuro occupazionale dell'azienda. Durante l'audizione, una lavoratrice ha spiegato come Comdata abbia motivato il fondo integrativo salariale per 13 settimane a causa del dimezzamento della commessa di Telecom;

    il 15 maggio 2018 il consiglio regionale del Piemonte ha approvato all'unanimità un ordine del giorno a prima firma Francesca Frediani (gruppo M5S) che impegnava la giunta ad adottare tutti gli strumenti in capo alla regione e a sollecitare il Ministero competente ad attivarsi per scongiurare l'imminente crisi occupazionale di Comdata;

    in data venerdì 18 maggio 2018, le sigle sindacali hanno indetto una giornata intera di sciopero per le sedi di Pozzuoli e Padova, e due ore di sciopero a fine turno per tutte le altre sedi italiane per chiedere a gran voce il mantenimento di tutti i siti produttivi e la difesa del perimetro occupazionale messo concretamente in discussione dal management;

    lo sciopero indetto per la giornata del 18 maggio 2018 ha avuto un'adesione pari al 90 per cento su scala nazionale secondo le fonti sindacali;

    in data 16 maggio 2018 è stato convocato un tavolo urgente dell'Azienda con le sigle sindacali territoriali del sito di Olbia. A causa della contrazione dei volumi, sempre sulla commessa TIM, è stato previsto il ricorso al FIS (già sopracitato) per 163 lavoratori per tutto il mese di giugno 2018,

impegna il Governo:

   ad assumere tutte le iniziative di competenza affinché Comdata spa garantisca i livelli occupazionali attualmente presenti nei siti italiani rivedendo la decisione di chiudere le sedi di Padova e Pozzuoli e a predisporre iniziative, anche di carattere normativo, affinché le aziende che ricevono finanziamenti pubblici siano tenute a perseguire l'obiettivo di mantenere la loro attività sul suolo italiano, evitando di delocalizzare gli stabilimenti all'estero; a promuovere il più celermente possibile incontri istituzionali volti a ricevere informazioni più precise rispetto agli obiettivi del gruppo Comdata e a definire strategie volte a offrire garanzie occupazionali ai lavoratori interessati dalle misure di razionalizzazione e di riorganizzazione poste in essere dalla società;

   a verificare l'uso dei finanziamenti pubblici ricevuti dall'azienda Comdata spa e la tipologia di formazione effettuata con fondi pubblici;

   ad assumere le opportune iniziative di competenza affinché, anche in considerazione dell'ottimo stato di salute dell'azienda, siano riviste le decisioni in merito all'attivazione da parte dei gruppo Comdata spa degli ammortizzatori sociali per un terzo della sua forza lavoro sul sito di Ivrea, anche agevolando, per quanto di competenza, lo sviluppo da parte dell'azienda Comdata spa di una strategia che contempli l'innovazione e la salvaguardia degli attuali livelli occupazionali;

   ad attivare un'organica politica di sostegno ai settori lavorativi interessati dai processi di delocalizzazione produttiva, attraverso l'adozione di misure premiali, di agevolazione e di riduzione degli oneri burocratici, fiscali e sociali che siano vincolate a specifiche condizioni, tra cui la permanenza nei luoghi d'origine.
(7-00016) «Costanzo».


   La XI Commissione,

   premesso che:

    l'Unione europea, già con atti di indirizzo, nel 2001 ha censurato il comportamento dell'amministrazione italiana, in quanto l'unica in Europa a non aver previsto nell'ordinamento pubblico l'area dei quadri, così come ampiamente disciplinato nell'impiego privato. Al riguardo, si ritiene necessaria l'introduzione nella pubblica amministrazione di una figura analoga a quella ben nota dei quadri nel lavoro privato, a cui siano riconosciute elevate responsabilità funzionali ed elevata preparazione professionale;

    la mancanza di tale figura ha determinato la proliferazione dell'affidamento fiduciario di incarichi e funzioni dirigenziali, generando un duplice ordine di storture:

     a) la corresponsione di indennità di dirigenziali costituenti aggravio per le casse dell'erario;

     b) l'attribuzione fiduciaria di incarichi ad personam in favore di soggetti non titolati, come ha dimostrato la sentenza, n. 37 del 2015, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimi circa 1200 dirigenti delle agenzie fiscali; tale riprovevole prassi, che è proseguita illegittimamente anche successivamente alla predetta sentenza della Corte Costituzionale, può essere contrastata proprio attraverso l'istituzione di un'area contrattuale del tutto omologa a quella dei cosiddetti quadri che, come è noto, costituiscono il cuscinetto tra la classe impiegatizia e quella dirigenziale nell'ambito del lavoro privato;

    l'assenza di tale figura, come predetto, era stata già censurata dal Parlamento europeo, a seguito dell'audizione, a Bruxelles, dei vertici della Dirstat, e ciò aveva condotto l'Italia ad adottare una norma, rimasta poi inattuata (articolo 17-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165), per l'introduzione dei vicedirigenti figura rientrante nell'area quadri. Sul punto, nel 2012, il Tar impose al Governo pro tempore di istituire la vicedirigenza, nominando persino un commissario ad acta per ottemperare a questo obbligo. Tuttavia, nel medesimo anno, con decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, la vicedirigenza fu abrogata;

    in relazione alle disposizioni del citato decreto-legge il Consiglio di Stato ha sollevato questioni di legittimità costituzionale che sono state dichiarate non fondate dalla Corte Costituzionale,

impegna il Governo

ad adottare le iniziative di competenza per introdurre l'area quadri nell'ordinamento del pubblico impiego e la conseguente figura giuridica, anche al fine di contrastare la prassi che vede il conferimento di incarichi fiduciario di incarichi e funzioni dirigenziali in contrasto con la normativa in materia e con quanto ha disposto la sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 2015.
(7-00018) «Rizzetto, Bucalo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta orale:


   VAZIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   in base a quanto riportato in questi giorni dai media in merito alla inchiesta che ha portato all'arresto del costruttore Luca Parnasi e dell'avvocato Luca Lanzalone, presidente dimissionario di Acea, emerge un particolare attivismo di quest'ultimo dopo le elezioni del 4 marzo 2018, incontrandosi, anche in segreto e a casa del citato costruttore, con esponenti politici di primo piano di M5S e Lega per «fare il governo»;

   vi è una inquietante corrispondenza tra i nomi riportati dai personaggi sotto inchiesta e le poi avvenute successive nomine ministeriali;

   dai resoconti delle cronache emergerebbe che il nome del Ministro della giustizia on. Alfonso Bonafede e di quello per i rapporti con il Parlamento e la democrazia diretta, on. Riccardo Fraccaro, siano stati comunque favoriti dai soggetti coinvolti nell'inchiesta;

   il Ministro della giustizia Alfonso Bonafede, nel corso della trasmissione «Otto e Mezzo» andata in onda su La 7 in data 18 giugno 2018 ha affermato che: «Questa vicenda non ha nulla, ma nulla a che fare con me (...)» e a proposito del ruolo ricoperto da Luca Lanzalone per il comune di Roma ha aggiunto: «Lo ha scelto la sindaca Raggi, glielo abbiamo presentato sia io, sia Riccardo Fraccaro»;

   il Vice Premier nonché Ministro dello sviluppo economico e del lavoro e delle politiche sociali, On. Luigi Di Maio, con il quale il Lanzalone, come riportato dai giornali, sosteneva di «sentirsi tre volte al giorno», nel corso di una recente trasmissione radiofonica andata in onda su RTL 102,5, ha affermato che la presidenza di ACEA attribuita proprio al Lanzalone era stato un «premio» per l'aiuto prestato al M5S sia a Livorno che a Roma proprio sulla vicenda Stadio;

   il Secolo XIX e La Stampa in data 19 giugno 2018 riportano sia le parole della sindaca Raggi, sentita per la seconda volta come testimone dai PM titolari della suddetta inchiesta – che avrebbe dichiarato: «Lanzalone era stato da me incaricato, su suggerimento di Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro (...)» – sia le parole del Vice Presidente Di Maio che prima sostiene «Io so solo che era presidente di ACEA» e poi aggiunge «... Lanzalone aveva lavorato bene con noi ..»;

   si tratta di dichiarazioni dalle quali emergerebbe in modo evidente che siano in molti, nell'attuale compagine di Governo, e ai massimi vertici del M5S, compreso Davide Casaleggio, a conoscere Luca Lanzalone, a dare giudizi lusinghieri, ad invitarlo a cene esclusive e a proporlo per incarichi delicatissimi;

   è oltremodo grave, a giudizio dell'interrogante, che gli stessi Ministri coinvolti nei dialoghi, nei pronostici e nelle reciproche dichiarazioni, oltre a scaricare su altri responsabilità di varia natura, tacciano sulle ragioni di tali conoscenze e sulle conseguenze di tali scelte;

   tali affermazioni rendono ancora più evidente ciò che politicamente il PD aveva denunciato sin dal «caso Savona» e cioè come il nome dei Ministri di fatto non fosse indicazione del Presidente del Consiglio ma il risultato di una selezione di nomi imposta dai partiti che formano la coalizione in dispregio delle prerogative costituzionali;

   pur nel pieno rispetto dell'autonomia dell'azione della magistratura vi sono elementi di natura politica, per la inconfutabile delicatezza, che riguardano il Governo e che esigono massima chiarezza –:

   se il Presidente del Consiglio sia a conoscenza della dinamica dei fatti che coinvolgono esponenti rilevanti del suo Governo in relazione a soggetti centrali nell'ambito della citata inchiesta;

   se lo stesso abbia subito interferenze dirette e o indirette da parte dei medesimi o di altri in relazione alle proposte per i dicasteri che li riguardano;

   quali iniziative intenda assumere per assicurare l'estraneità del Governo a qualsiasi forma di condizionamento.
(3-00040)


   ANZALDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   si apprende da articoli di stampa (La Repubblica pag. 12 edizione 21 giugno 2018) che il sottosegretario alla Salute, dottor Armando Bartolazzi, avrebbe in corso un contenzioso con l'azienda ospedaliera presso la quale lavora, il Sant'Andrea di Roma, in quanto dovrebbe versare alla stessa azienda circa 101 mila euro per il periodo 2007-2017 per esercizio dell'attività in libera professione;

   la legge sull'intramoenia prevede che i medici, quando incassano direttamente dai pazienti la parcella, versino il quantum all'azienda che, effettuate le dovute trattenute, riversa poi il dovuto della prestazione al professionista;

   il Sottosegretario come riporta lo stesso articolo afferma di non dovere nulla all'azienda ospedaliera e, anzi, di essere lui in credito con la stessa;

   solo pochi giorni fa il Ministro della salute con apposita circolare inviata alle regioni ha chiesto una verifica sull'attività libero professionale dei medici in riferimento alla questione concernente le liste di attesa;

   è paradossale che un Sottosegretario risulti in palese conflitto di interessi proprio in avvio della propria esperienza di Governo;

   si fa presente che il Sottosegretario Bartolazzi era stato indicato, nel corso della campagna elettorale, dal M5S come proprio Ministro della salute in caso di vittoria –:

   se il Presidente del Consiglio fosse a conoscenza di questo contenzioso nel momento in cui il sottosegretario ha giurato e se non sia quanto mai urgente, anche da parte del Ministro della Salute, un chiarimento sulla posizione del dottor Bartolazzi, in riferimento a quanto riportato in premessa, poiché a giudizio dell'interrogante è evidente che viene ad essere pregiudicata la credibilità stessa dell'azione di Governo.
(3-00041)


   ANZALDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   si apprende dagli organi di informazione che il Ministro della giustizia, On. Alfonso Bonafede, sarebbe stato convocato dai pm titolari dell'inchiesta sullo stadio di Roma;

   è evidente che la questione assume una particolare delicatezza non solo per il ruolo di neo Ministro della giustizia ma soprattutto per il contenuto di alcune intercettazioni riportate dai media;

   stando ai brogliacci delle intercettazioni riportate dalla stampa il Ministro avrebbe manifestato l'intenzione di portare al Ministero, l'avvocato Luciano Costantini, uno dei partner professionali dell'avvocato Lanzalone, presidente di Acea dimissionario arrestato nell'ambito della citata inchiesta;

   secondo il brogliaccio riportato dalla stampa: «Luciano Costantini afferma che Alfonso (il Ministro della giustizia, Bonafede) gli ha detto che vorrebbe portarlo ovunque e aspetterà che gli indichi la posizione che vuole assumere. Luciano gli ha chiesto che cosa serve. Alfonso gli ha risposto che non ha ancora capito come funziona il ministero»;

   il Ministro della giustizia Alfonso Bonafede, nel corso della trasmissione «Otto e Mezzo» andata in onda su La 7 in data 18 giugno 2018 ha affermato, oltre ad avere usato frasi a giudizio dell'interrogante irrispettose nei confronti del Parlamento, che: «Questa inchiesta ha nulla, ma nulla a che vedere con me ...»;

   se non fossero sopraggiunti gli arresti, probabilmente questi soggetti oggi avrebbero rivestito ruoli rilevanti all'interno di uno dei Ministeri più delicati del Governo –:

   se non si intenda fare chiarezza sul rapporto che intercorre tra il Ministro della giustizia e alcuni dei soggetti centrali dell'inchiesta sullo stadio di Roma presumibilmente oggetto della convocazione dello stesso Ministro presso la procura di Roma e se il Presidente del Consiglio non ritenga inopportuno questo comportamento da parte di uno dei Ministri più importanti del suo gabinetto.
(3-00042)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FIANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il 4 marzo 2018 Dario Galli, attuale sindaco di Tradate, comune di 18.768 abitanti della provincia di Varese, è stato eletto deputato presso questo ramo del Parlamento;

   successivamente, nel mese di giugno 2018, lo stesso sindaco di Tradate è stato nominato sottosegretario per lo sviluppo economico, presso il Ministero guidato dall'attuale vicepresidente del Consiglio Di Maio, ricoprendo allo stato attuale ben tre cariche diverse, quella di sindaco del comune di Tradate, di deputato della Repubblica e di sottosegretario per lo sviluppo economico;

   ai sensi dell'articolo 13, comma 3, del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, come modificato dall'articolo 1, comma 139 della legge n. 56 del 2014, «le cariche di deputato e di senatore, nonché le cariche di governo di cui all'articolo 1, comma 2, della citata legge n. 215 del 2004 – e dunque anche la carica di sottosegretario – sono incompatibili con qualsiasi altra carica pubblica elettiva di natura monocratica relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali aventi, alla data di indizione delle elezioni o della nomina, popolazione superiore a 15.000 abitanti», norma questa che risulterebbe applicabile anche alla carica monocratica di sindaco del comune di Tradate, che ha 18.768 abitanti;

   sul punto si attende la pronuncia della Giunta delle elezioni presso questo ramo del Parlamento sulla incompatibilità tra la carica di sindaco di Tradate e il mandato parlamentare, nonché una pronuncia dell'Autorità Antitrust sulla incompatibilità tra la carica di sottosegretario e quella di sindaco del comune di Tradate –:

   per quanto di sua competenza, nelle more delle pronunce degli organi competenti, quali iniziative intenda adottare per favorire il superamento delle presunte incompatibilità denunciate e per chiarire se il sottosegretario per lo sviluppo economico abbia nel frattempo percepito e cumulato le tre indennità riferibili alla carica di sindaco, di deputato e di sottosegretario.
(5-00066)

Interrogazione a risposta scritta:


   FRATOIANNI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   da un articolo pubblicato il 26 giugno 2018 sul quotidiano online Repubblica.it a firma Paolo Berizzi, si apprende che al supermercato Top Market di Lido Jesolo (VE), vengono esposte e vendute bottiglie di vino con effigi naziste e fasciste e fotografie di Hitler e Benito Mussolini;

   sulle etichette delle stesse bottiglie compaiono le scritte «Sieg heil», «Mein Kampf», «Führer», «Ein Volk, ein Reich, ein Führer» («un popolo, un Reich, un Führer»), «Deutschland erwache!» («Germania svegliati!»), «Blut und Ehre» («Sangue e onore»), slogan della gioventù hitleriana;

   nello stesso supermercato si trovano in vendita anche delle tazze e anche queste con l'immagine del Führer e il simbolo della Croce di Ferro nazista;

   il vino di Hitler sembra essere la specialità del posto, tanto da riempire interi scaffali, insieme a quello di Benito Mussolini, le cui bottiglie riportano delle etichette con scritto: «Il camerata» e «Credere, obbedire, combattere»;

   a detta dello stesso titolare del negozio, ormai si tratta di merce che vendono tutti, sia in Veneto che in Romagna e solo la sua attività vende 1.500 bottiglie a stagione, divise per i mesi di giugno, luglio e agosto; sta a significare che ogni mese 500 bottiglie con l'effigie di Hitler e Mussolini finiscono nelle buste della spesa;

   in più, sempre secondo il titolare del supermarket di Jesolo Lido, le aziende che imbottigliano questo vino vendono 150 mila bottiglie l'anno. Un commercio Illegale all'estero, quello dei vini di Hitler Mussolini (detti anche «vini della storia») che in Italia muove quasi 400 mila euro l'anno (esportazioni comprese);

   le aziende che si spartiscono questo volume di affari sono tre. In origine fu la Lunardelli di Colloredo di Pasian di Prato (Udine). Due ex rappresentanti dell'azienda si sono messi in proprio e oggi sono competitor della «casa madre»;

   a parere dell'interrogante non ci si trova di fronte ad un episodio derubricabile a semplice pessimo gusto o commercio senza freni e senza neanche un'etica, piuttosto si è di fronte ad un episodio di esaltazione del fascismo e del nazismo che non può essere giustificata e tollerata in nessun modo in Italia, la cui Costituzione ne fa un Paese dichiaratamente antifascista e le cui leggi vietano e puniscono l'apologia del fascismo –:

   se il Governo intenda assumere specifiche iniziative normative per prevedere il divieto di apologia e propaganda dei regimi totalitari tramite i simboli del fascismo e del nazismo, sanzionando penalmente sia chi produce che chi vende materiale che richiama quei regimi totalitari attraverso simboli o effigi propri di quelle dittature.
(4-00571)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRATOIANNI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   Ippazio Luceri, noto attivista salentino impegnato nell'opposizione al gasdotto Tap, si trova dalla mattina del 26 giugno 2018, in stato di fermo in Grecia, in attesa che il giudice di turno prenda in esame il suo caso;

   Ippazio Luceri, noto a tutti come «Pati» è un docente scolastico di 63 anni, attivista «No Tap», che nei giorni scorsi ha raggiunto Kavala, nei pressi del confine con la Turchia, per associarsi alla mobilitazione di un folto gruppo di contadini della zona che si oppongono all'avvio delle opere per il passaggio del gasdotto Tap. Luceri, insieme al presidente del comitato locale, sta sostenendo anche lo sciopero della fame;

   come nel Salento, anche nella piana di Filippi, una parte della popolazione contesta quotidianamente la realizzazione dell'infrastruttura energetica che dall'Azerbaijan punta alla Puglia, passando da Turchia, Grecia e Albania. E proprio la mattina del 26 giugno, nel tentativo di sbarrare la strada a mezzi e operai, una decina di manifestanti sono stati fermati dalla locale polizia –:

   se e con quali strumenti il Ministro interrogato intenda intervenire presso il Governo Greco, per garantire il rispetto e la tutela dei diritti del cittadino italiano Ippazio Luceri, attualmente in stato di fermo in Grecia.
(4-00572)


   PALAZZOTTO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il 21 giugno 2018 una delegazione di sei persone del Coordinamento italiano a sostegno delle donne afghane (Cisda) è partita alla volta della Turchia, nel sud est del Paese, per svolgere il ruolo di Osservatrice internazionale per le elezioni presidenziali e parlamentari;

   il Cisda, da tre anni impegnata a sostegno della causa curda, ha risposto ai numerosi appelli di organizzazioni della società civile e dello stesso partito dell'Hdp, che chiedevano la presenza di osservatori internazionali per monitorare un processo elettorale fondamentale per il futuro del Paese;

   il 24 giugno 2018, a Batman, dove si trovava il seggio cui era stata destinata, Cristina Cattafesta, presidente del Cisda, è stata fermata per un controllo da parte della polizia turca;

   si sottolinea come già nei giorni precedenti, anche altri osservatori, siano stati fermati ed espulsi, ma non trattenuti;

   il 25 giugno il procedimento contro Cristina Cattafesta si è concluso con una sentenza di espulsione dalla provincia di Batmam, con conseguente trasferimento nel dipartimento immigrazione, dove avrebbe dovuto essere trattenuta non oltre le 24 ore;

   il 26 giugno è giunta invece la notizia che la procura di Batman avrebbe trasferito la decisione direttamente ad Ankara. Cristina Cattafesta sarà trasferita in un centro di espulsione a Gaziantep;

   a questo punto i tempi per la sua liberazione sono ad ora imprevedibili e soggetti alla volontà dei giudici;

   si sottolinea al tempo stesso che, come confermati dal legale turco che ha assistito la donna dopo il fermo a Batman, le indagini penali nei confronti di Cattafesta per le accuse di propaganda terroristica a favore del Pkk risultano archiviate. Si tratta di accuse che, all'interrogante, appaiono infondate e strumentali;

   ci si augura che il caso sia chiuso nel più breve tempo possibile e che Cristina Cattafesta, un'attivista che ha scelto di dare il suo sostegno e supporto come osservatrice per un processo elettorale complesso, come quello che si è svolto in Turchia, possa tornare al più presto libera in Italia –:

   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire presso le autorità turche per chiedere il rilascio immediato della volontaria italiana Cristina Cattafesta, garantendo il suo rientro nel nostro Paese.
(4-00576)


   COMAROLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   Taiwan è un paese libero ed il suo legittimo Governo, democraticamente eletto, esercita pienamente tutte le qualità e capacità giuridiche della sovranità territoriale, marittima ed aerea;

   la Repubblica popolare cinese rappresenta un player di primo piano nella comunità internazionale, con un mercato vasto e in costante crescita;

   l'interscambio commerciale tra Roma e Pechino è stato pari a quarantadue miliardi di euro nel solo 2017;

   la Repubblica italiana intrattiene intensi rapporti di carattere commerciale ed economico con Taiwan, rapporti implementati all'interno del Foro italo-taiwanese di cooperazione economica, industriale e finanziaria;

   le statistiche dell'organizzazione mondiale del commercio (OMC) collocano Taiwan al diciottesimo posto come Paese esportatore e come ventiduesima economia mondiale per prodotto interno lordo;

   le relazioni con Taiwan hanno registrato una forte crescita negli ultimi anni anche in ambiti quali gli scambi universitari, l'industria 4.0 e il turismo, soprattutto grazie agli accordi di esenzione dal visto per i cittadini taiwanesi che si recano in Europa e viceversa;

   la stessa Unità per il contenzioso diplomatico del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, in un documento del 22 ottobre 2009, ebbe a rilevare che «La personalità giuridica internazionale di Taiwan non può essere messa in dubbio in quanto questa viene attribuita alle entità che siano organizzazioni sovrane di una comunità territoriale. In tale categoria appare evidentemente rientrare Taiwan la cui soggettività internazionale viene contestata per motivazioni politiche e non in base a riscontri fattuali»;

   nonostante questa realtà storica, istituzionale e politica, passata e presente, il Governo di Pechino, negli ultimi mesi e settimane, sta cercando di imporre, con interventi pressanti caratterizzati da sorprendenti toni ammonitori, a società di vari Paesi – tra le quali alcune italiane – la propria censura e le proprie direttive politico-amministrative volte a identificare, nei loro siti web, Taiwan come parte del suo territorio;

   la Portavoce della Casa Bianca, commentando recentemente le menzionate azioni cinesi, le ha descritte come «assurdità orwelliane», aggiungendo che «gli sforzi della Cina per esportare la sua censura e la sua impostazione politica agli americani e al resto del mondo saranno contrastati»; le Leggi, gli Accordi e le decisioni giudiziarie, emesse nel corso degli anni, di tanti Paesi – tra i quali Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Svizzera e Canada – ritengono correttamente che Cina e Taiwan sono due entità giurisdizionali diverse, distinte e separate;

   anche il Parlamento italiano, sulla stessa linea, il 15 aprile 2015 ha approvato la legge n. 62 del 2015 sulla esenzione della doppia imposizione fiscale tra Italia e Taiwan, legge pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 112 il 16 maggio 2015;

   all'interrogante risulta che ad alcune aziende italiane, operanti a Taiwan, sia stato chiesto da parte di Pechino di identificare, all'interno dei propri siti web aziendali, Taiwan come parte integrante della Repubblica Popolare Cinese –:

   se il Governo sia a conoscenza delle richieste menzionate in premessa e quali iniziative intenda assumere al riguardo.
(4-00580)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   CONTE e MURONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   nella serata di domenica 24 giugno 2018, un vasto incendio è scoppiato nei depositi della Nappi Sud, un'azienda che si occupa di trattamento dei rifiuti nella zona industriale di Battipaglia;

   per cause ancora da chiarire, sono andate a fuoco, a stabilimento chiuso, senza particolari condizioni climatiche, due interi capannoni: in uno pare fossero stoccati rifiuti in legno, in un altro pare ci fossero solo uffici;

   sull'accertamento della natura dell'incendio, nonché su cause, responsabilità, moventi e dinamiche, sono al lavoro gli inquirenti;

   per i cittadini di Battipaglia sono state ore di grande disagio e forte preoccupazione, a causa della nube che si è sollevata dal rogo e che ha costretto in tanti a barricarsi in casa;

   l'episodio arriva a un anno esatto da un altro incendio che, nel giugno 2017, interessò l'azienda Sele Ambiente, anch'essa impegnata nel trattamento dei rifiuti e andata misteriosamente a fuoco;

   pochi giorni fa, un'altra ditta del ramo è stata interessata da un blitz dei carabinieri del nucleo operativo ecologico di Salerno, che hanno sequestrato un impianto di trattamento di rifiuti speciali per gravi violazioni di legge;

   in un tratto di meno di 7 chilometri tra Eboli e Battipaglia, si è consolidato un insediamento industriale di riciclaggio dei rifiuti composto da ben 20 impianti privati, capaci di trattare 2,5 milioni di tonnellate l'anno, una cifra equivalente a quasi tutto il fabbisogno regionale (che ammonta a 2,6 milioni di tonnellate);

   a questi si aggiungono due impianti pubblici: lo Stir di Battipaglia e quello di Eboli, che insieme trattano 114 mila tonnellate l'anno di frazione organica, pari al fabbisogno di Salerno e provincia;

   sull'area, incidono da anni, anche impianti dismessi di trattamento dei rifiuti mai bonificati;

   la zona si è trasformata, così, nel più mastodontico polo dei rifiuti d'Italia, con uno stravolgimento del territorio e rischi enormi per l'ambiente, la salute, l'assetto economico, vista anche la ricaduta su turismo e agricoltura, e non poche preoccupazioni per le possibili infiltrazioni malavitose nel tessuto industriale, dal momento che la cronaca spesso ha consegnato casi di interessi criminali nel ciclo dei rifiuti;

   gli incendi e gli eventi degli ultimi tempi riattivano le preoccupazioni per le ricadute sulla salute pubblica e sulla qualità dell'aria e del territorio, dentro una situazione ambientale di allarme sociale;

   la presenza oggettivamente sovradimensionata di impianti per il trattamento dei rifiuti in un'area così ristretta e l'assenza di confronto tra le istituzioni e le popolazioni, le quali da tempo si vedono calare dall'alto decisioni non concertate e non discusse, hanno generato un grosso allarme sociale;

   si rende ormai necessario avviare un piano complessivo di monitoraggio ambientale, epidemiologico e di impatto territoriale degli impianti di trattamento dei rifiuti, pubblici e privati, su tutta la zona;

   va al tempo stesso interessata l'Autorità nazionale anticorruzione, per verificare possibili infiltrazioni malavitose nel settore;

   va condotta un'analisi complessiva sull'attività dei privati, nel ramo rifiuti, e va avviata una fase nuova di bonifiche e di recupero ambientale –:

   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto in premessa e se intenda promuovere, nell'ambito delle proprie competenze, una iniziativa per approfondire i fatti citati e coordinare un'azione di monitoraggio, valutazione e intervento sull'area industriale tra Eboli e Battipaglia, ai fini della tutela dell'ambiente e del territorio.
(4-00567)


   SILLI e MAZZETTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il distretto tessile di Prato è il primo distretto tessile europeo, con 7 mila aziende di altissimo livello, e 35 mila addetti nel settore Tessile-Abbigliamento;

   attualmente, ancora in modo indiscusso, è di fatto la capitale mondiale per la produzione di tessuti «cardati ecosostenibili» realizzati con fibre riciclate, dando sotto questo aspetto un contributo in materia di sostenibilità ambientale di altissimo livello;

   non ci sono malattie professionali associate all'attività di selezione e cernita di questi materiali, sia per il pre-consumo che per il post-consumo. Da ciò si evince che si tratta di materiali e lavori totalmente sicuri;

   i risultati ottenuti dai controlli effettuati sia dagli organi di controllo istituzionali (Arpat), sia da controlli effettuati privatamente, sul materiale proveniente dal post consumo, confermano la totale sicurezza delle suddette lavorazioni e materiali;

   detti controlli e test sono svolti con la tecnica dei tamponi, e i risultati di tali test sono sostanzialmente negativi. Ciò rileva la mancanza di sostanze patogene nei suddetti materiali e sostanzialmente una totale sicurezza per quanto riguarda il rischio biologico, tanto che da controlli trimestrali si è passati a controlli semestrali;

   la direttiva 2008/98/CE in materia di rifiuti (recepita con decreto legislativo n. 205 del 2010), all'articolo 6 recante: «cessazione della qualifica di rifiuto», si stabilisce che «taluni rifiuti specifici cessano di essere tali quando siano sottoposti a un operazione di recupero, incluso il riciclaggio, e soddisfano criteri specifici da elaborare conformemente alle seguenti condizioni: a) la sostanza o l'oggetto è destinata/o a essere utilizzata/o per scopi specifici; b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; c) la sostanza o l'oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; d) l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana»;

   si segnala che i suddetti materiali tessili che nascano dalla dismissione e abbandono di indumenti usati, e che vengono lavorati e trasformati in materiale fibroso per essere utilizzati per la produzione di filati prima o tessuti cardati poi, soddisfano in pieno i quattro criteri richiesti dal citato articolo 6 della direttiva per essere non più considerati «rifiuti»;

   anche per quanto riguarda l'articolo 5 della medesima direttiva 2008/98/CE circa la definizione di sottoprodotto, le quattro condizioni che devono essere soddisfatte affinché un «oggetto» possa essere considerato sottoprodotto, sono pienamente soddisfatte dai suddetti materiali tessili –:

   se non ritenga necessario attivarsi, in tempi rapidi e certi, con iniziative normative volte a specificare che lo scarto tessile o sottoprodotto tessile comunemente utilizzato e trasformato dal settore del riciclo tessile, non deve essere considerato un rifiuto, ma deve essere considerato una materia prima tessile seconda.
(4-00568)


   PRESTIPINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   nel mese di giugno 2018 è iniziato l'abbattimento selettivo nella regione Umbria, permesso dall'assessore, tra l'altro, all'agricoltura, alla caccia ed alla pesca;

   il ricorso a questo tipo di intervento non viene giustificato, ma è ritenuto l'unico praticabile, nonostante sussista la certezza che porterà all'uccisione di migliaia di capi in tutta la regione, tra i quali anche esemplari femminili in fase di gestazione e giovani madri, il cui abbattimento determinerà di conseguenza la morte dei loro piccoli;

   viene così in rilievo l'importante questione relativa al controllo della caccia nel nostro Paese e, più in particolare, all'utilizzo dello strumento dell'abbattimento selettivo in luogo dei metodi selettivi ecologici;

   la disciplina di settore è contenuta nella legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), che all'articolo 19, comma 2, recita: «Le regioni, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico, per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche, provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia. Tale controllo, esercitato selettivamente, viene praticato di norma mediante l'utilizzo di metodi ecologici su parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. Qualora l'Istituto verifichi l'inefficacia dei predetti metodi, le regioni possono autorizzare piani di abbattimento. Tali piani devono essere attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali. Queste ultime potranno altresì avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani medesimi, purché muniti di licenza per l'esercizio venatorio, nonché delle guardie forestali e delle guardie comunali munite di licenza per l'esercizio venatorio»;

   a detto piano di abbattimento risultano prendere parte anche cacciatori, che non rientrano tra le categorie ammesse dalla normativa al controllo faunistico, ossia le «guardie venatorie», che possono avvalersi esclusivamente dell'ausilio dei «proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani medesimi, purché muniti di licenza per l'esercizio venatorio, nonché delle guardie forestali e delle guardie comunali munite di licenza per l'esercizio venatorio»;

   tale abbattimento selettivo avviene anche in violazione delle molteplici pronunce rese in questa materia dalla Corte costituzionale e dal Consiglio di Stato –:

   se non ritenga opportuno promuovere, per quanto di competenza e in collaborazione con le regioni, un'attività di monitoraggio per accertare:

    a) quali siano le procedure generalmente poste in essere dalle regioni e dalle province per conoscere, controllare e gestire il patrimonio faunistico nazionale;

    b) se l'abbattimento selettivo attuato ogni anno dalle regioni e previsto per le prossime settimane in Umbria sia compatibile con le prescrizioni della legge n. 157 del 1992;

    c) se vengano messi in atto prima di tutto «metodi ecologici», previsti dalla norma come condizione per procedere successivamente ai piani di abbattimento;

    d) se le motivazioni poste alla base dei piani di abbattimento, forniscano ad essi il carattere «straordinario» voluto dalla legislazione vigente e giustifichino il mancato ricorso ai rimedi «ordinari», come i prelievi selettivi;

    e) quali siano le ragioni dell'inefficacia dei metodi ecologici attuati;

   se il Governo non ritenga più opportuno, per il caso della regione Umbria, fare ricorso al prelievo selettivo dei caprioli, con successivo trasferimento dalla regione interessata ad altra area ritenuta idonea, sentito anche l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.
(4-00575)


   CASCIELLO e FASANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nella notte tra il 24 e il 25 giugno 2018, nel comune di Battipaglia, lo stabilimento dell'azienda Nappi Sud, impegnata nel trattamento di rifiuti, per cause ancora da chiarire, è stato avvolto da fiamme altissime, lo scenario è stato infernale, l'azienda che opera nel settore della raccolta e trattamento dei rifiuti ha iniziato a bruciare poco dopo la mezzanotte per un rogo che ha interessato i cieli di Eboli e Battipaglia;

   le lingue di fuoco alte fino a 50 metri hanno determinato anche esplosioni avvertite in tutta la zona; si sono immediatamente diffusi la paura e il panico tra i residenti che hanno repentinamente serrato le finestre per evitare che la dispersione di fumi tossici nell'aria invadesse le abitazioni;

   l'incendio segue, a distanza di circa un anno, un altro analogo ai danni di un impianto dello stesso tipo;

   gli episodi ripetuti, in presenza di un'emergenza rifiuti che attanaglia il territorio e il malfunzionamento degli impianti destano preoccupazione negli amministratori locali e nella popolazione;

   sul territorio di Battipaglia operano almeno 24 impianti di trattamento, stoccaggio e smaltimento rifiuti, a quanto risulta dalle risposte che la regione Campania e il comune di Battipaglia hanno fornito ai comitati di protesta; all'elenco del Comune, poi, si aggiunge quello della direzione generale ciclo integrato delle acque e dei rifiuti; nell'elenco, sono riportate le autorizzazioni ambientali rilasciate dalla regione Campania a 7 aziende dislocate nella zona;

   in aggiunta, gli uffici regionali elencano anche le cinque autorizzazioni vigenti, inclusa quella del comune, per il territorio di Eboli;

   in pratica, sui circa 200 chilometri quadrati di territorio suddiviso fra i comuni di Battipaglia ed Eboli, insistono oltre 30 impianti di trattamento rifiuti, oltre a quelli privati; infatti, occorre tener presente anche lo Stir e i siti di stoccaggio provvisori, all'incirca, un impianto di rifiuti ogni 6 chilometri e mezzo;

   il primo passo da compiere è, naturalmente, che le autorità locali sanitarie monitorino attentamente la situazione con rilievi e campionamenti per la salvaguardia della salute della popolazione;

   si attendono, inoltre, i risultati dei rilievi Arpac e l'esito delle indagini delle forze dell'ordine e della magistratura per capire le cause dell'incendio; non si esclude infatti la natura dolosa dello stesso;

   desta, infatti, preoccupazione il ripetersi di roghi in aziende di tale tipologia;

   quest'ultimo incendio alla Nappi Sud di Battipaglia impone improcrastinabilmente una riflessione sulle responsabilità e sui ritardi accumulati dalla regione Campania in merito all'applicazione del piano regionale dei rifiuti e sulle discutibili scelte di far governare il sistema dei rifiuti ai privati, considerando le comunità locali solo come luoghi dove far sversare rifiuti, facendone sopportare ai cittadini l'enorme carico ambientale –:

   se, nell'ambito delle proprie competenze, non si intendano assumere iniziative per la verifica dei danni causati all'ambiente e alla salute dalla situazione esposta in premessa, e per l'attuazione di tutti gli interventi di messa in sicurezza del sito e di sanificazione igienico-sanitaria del territorio;

   se non si intenda provvedere all'istituzione di un tavolo permanente fra comuni, assessorato regionale e Ministeri competenti, al fine di individuare le opportune iniziative volte a dare soluzione alle criticità sanitarie e ambientali legate alla gestione dei rifiuti, e garantire la salute pubblica dei cittadini del territorio di cui in premessa.
(4-00578)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   CASCIELLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   con il decreto del 7 febbraio 2018, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha assegnato il sito archeologico di Elea – Velia alla gestione del polo museale regionale di Napoli;

   il parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, con deliberazione del consiglio nazionale n. 23 del 22 dicembre 2016 e il comune di Ascea, con deliberazione consiliare n. 3 del 31 gennaio 2017, avevano fatto richiesta al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo di adottare ogni provvedimento di propria competenza affinché il sito archeologico di Elea – Velia ed il sito della certosa di Padula venissero equiparati, da un punto di vista gestionale ed organizzativo, al parco archeologico di Paestum, prevedendo una gestione integrata ed unitaria dei tre siti;

   numerose erano state le iniziative dalle forze politiche locali e regionali e le interrogazioni parlamentari nel corso della XVII legislatura finalizzate a sollecitare provvedimenti in tal senso;

   le risposte date dal Ministero pro tempore alle interrogazioni erano state tutte confortanti e possibiliste rispetto all'ipotesi di una gestione organica da parte di un unico soggetto in considerazione del fatto che tale ipotesi avrebbe potuto semplificare la governance del sito stesso, riducendo il numero di soggetti da coinvolgere nel coordinamento interistituzionale e rendendo quindi più immediata una parte dell'azione gestionale;

   il sito archeologico di Elea-Velia ha uno straordinario valore archeologico, paesaggistico e culturale, ed è noto anche per essere stato culla della scuola eleatica di Parmenide;

   l'area archeologica di Velia, il parco archeologico di Paestum e la certosa di Padula sono parte di un più esteso sito denominato «Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano» con le aree archeologiche di Paestum e Velia e la Certosa di Padula, iscritto nella lista del patrimonio mondiale dal 1998;

   il passaggio di competenza a Napoli ha, dunque, rappresentato una brutta e inattesa notizia per quanti speravano in un rilancio dell'area garantendone l'autonomia come avvenuto con Paestum, dove è stata svolta una lodevole azione di valorizzazione e promozione, con importanti e oggettivi risultati;

   si chiedeva di aprire una nuova fase nelle politiche dei beni culturali con un'organizzazione omogenea dei siti di Elea-Velia, di Paestum e della certosa di Padula affinché una struttura amministrativa unitaria ed una gestione integrata potessero ottimizzare le risorse e al contempo estendere le attività di promozione e valorizzazione ad un contesto paesaggistico e culturale più ampio;

   per la sottrazione di Velia dalla gestione del polo museale di Napoli che non ha alcun legame con il territorio sono già partite iniziative di protesta e petizioni per chiedere al Governo più attenzione per il sito archeologico dell'antica città al fine di garantire una gestione autonoma e coordinata con Paestum;

   di tale accorpamento Velia e la Certosa di Padula avrebbero tratto sicuro beneficio, laddove invece le soluzioni adottate esporranno ad ulteriore isolamento entrambe, anche in considerazione della posizione geografica e delle carenze infrastrutturali relative ai non agevoli collegamenti viari –:

   per quali ragioni si sia giunti alla determinazione di assegnare il sito archeologico di Elea – Velia alla gestione del polo museale regionale di Napoli e se si intendano rivedere le decisioni prese e assumere iniziative per accorpare l'area archeologica di Velia e la certosa di Padula all'autonomia amministrativa e gestionale del parco archeologico di Paestum, anche al fine di uniformarla, coerentemente all'iscrizione nella lista dell'Unesco del patrimonio dell'umanità, assicurando così una gestione unica e sinergica dei tre siti;

   a che punto sia il progetto «Velia, città delle acque», finanziato nell'ambito del Pon «cultura e sviluppo» 2014/2020, i cui lavori erano stati annunciati nei primi mesi del 2018.
(4-00566)

DIFESA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:

   di recente è stata formalizzata l'intesa volta ad avviare il progetto European Intervention Initiative (EII) da parte di 9 Paesi (Francia, Germania, Belgio, Danimarca, Olanda, Estonia, Spagna, Portogallo e Gran Bretagna), con un'inspiegabile assenza del nostro Paese;

   tale progetto prevede la creazione di una forza militare comune d'intervento rapido che assicurerebbe il dispiegamento di soldati europei in zone di crisi all'estero o in caso di disastri naturali all'interno dell'Unione, mediante la cooperazione tra Stati in aree critiche che possono minacciare la sicurezza europea;

   è grave che l'Italia, Paese fondatore dell'Unione europea e da sempre impegnato nelle missioni internazionali, sia spettatore e non protagonista di un'iniziativa che potrebbe diventare il pilastro di una vera forza militare comune di difesa europea; tra l'altro, si tratterebbe dell'unica forma di sinergia militare europea con l'inclusione anche del Regno Unito nonostante la «Brexit»;

   l'assenza dell'Italia al progetto EII è un preoccupante campanello di allarme che segnala il rischio di isolamento del nostro Paese, il cui ruolo è passato da protagonista dello scacchiere internazionale, con lo spirito di Pratica di Mare (dove Silvio Berlusconi fu il promotore dell'accordo tra Bush e Putin che consentì un allargamento del Consiglio della Nato alla Federazione russa), fino a diventare l'anello debole, con il pericolo di subire ed accettare decisioni altrui, condizione troppo spesso verificatesi negli ultimi anni –:

   quali siano le ragioni della mancata partecipazione del nostro Paese al progetto «European Intervention Initiative» e se non ritenga di doversi attivare per scongiurare un danno enorme in termini di credibilità, affidabilità e prestigio dell'Italia in ambito europeo e nello scacchiere internazionale.
(2-00035) «Maria Tripodi, Fascina, Gregorio Fontana, Perego Di Cremnago, Ripani, Vito, Occhiuto».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PAGANI, ENRICO BORGHI, BORDO, CARÈ, DE MENECH, LOTTI e ROSATO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto riportato dagli organi di informazione, nove Paesi dell'Unione europea (Francia, Germania, Belgio, Gran Bretagna, Danimarca, Olanda, Estonia, Spagna, Portogallo) hanno firmato in Lussemburgo una nuova intesa denominata «European Intervention Initiative» e sostenuta in prima istanza dal presidente francese Emmanuel Macron, che prevederà un lavoro di «pianificazione congiunta su scenari di crisi che potrebbero minacciare la sicurezza europea»;

   si tratterebbe dell'unica forma di sinergia militare europea che vedrebbe ancora la partecipazione della Gran Bretagna, dopo il referendum «Brexit»;

   il nostro Paese è da sempre impegnato nelle missioni internazionali sia nei formati di partecipazione europea che Nato e ha sempre sostenuto e creduto al progetto di una difesa europea integrata;

   l'Italia, nella persona della ministra interrogata, che inizialmente aveva mostrato un certo interesse alla proposta e stava considerando la possibilità di aderirvi, ha fatto sapere che per ora non firmerà alcuna lettera di intenti –:

   quali siano i motivi della mancata partecipazione del nostro paese all’European Intervention Initiative.
(5-00061)

Interrogazione a risposta scritta:


   PALAZZOTTO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   un'inchiesta condotta da Repubblica, in collaborazione con la testata investigativa The Intercept ha rivelato che dal 2011 i droni Usa hanno lanciato almeno 550 attacchi sul suolo libico, un numero altissimo;

   gli Usa non hanno mai presentato dati puntuali sulle incursioni dei droni in territorio libico, ma gli attacchi lanciati in Libia sono superiori al totale dei raid scagliati nello stesso periodo in Pakistan, Yemen e Somalia;

   secondo le fonti interpellate dal quotidiano la Repubblica, la quasi totalità dei 550 attacchi in Libia è stata utilizzata usando la base siciliana di Sigonella. I droni da combattimento diventano i protagonisti sempre più discussi della guerra contemporanea;

   proprio a Sigonella, il 25 marzo 2011 è stato attivato il 324th Expeditionary Reconnaissance Squadron, un reparto dell'aviazione statunitense dotato di Predatore, i primi velivoli da combattimento senza pilota;

   da quel momento e fino alla caduta di Gheddafi, nella missione libica, furono lanciati un quinto di tutti i missili Hellfire usati nei quattordici anni di impiego di quest'arma, un primato bellico;

   dopo la caduta di Gheddafi le missioni armate dei droni sulla Libia sono state interrotte per circa un anno per poi riprendere il 15 settembre 2012, dopo l'assassinio dell'ambasciatore Christopher Stevens a Bengasi, quando sono ripresi i decolli da Sigonella;

   nell'estate 2016, dopo una richiesta formale del Governo di Tripoli, l'allora amministrazione Obama ha deciso di scacciare l'Isis dalla città di Sirte, scatenando l'operazione «Odyssey Lighting»;

   complessivamente gli Usa hanno lanciato 495 attacchi tra agosto e dicembre 2016; di questi il 60 per cento con l'utilizzo dei droni, durante i quali ciascun drone ha scagliato fino a sei ordigni;

   la città di Sirte è stata definita «zona attiva di ostilità», abolendo le lunghe procedure per autorizzare i raid, diventando di fatto il laboratorio dei guerrieri robotizzati destinati a dominare i campi di battaglia del futuro;

   le autorità degli Usa non hanno mai indicato da quale aeroporto provenissero i droni. A quanto risulta a Repubblica, la quasi totalità dei droni Reaper è decollata da Sigonella, ma gli accordi bilaterali tra Roma e Washington, che regolano le azioni dei droni dal nostro Paese, sono segreti;

   un dossier diffuso il 20 giugno 2018 dal centro di monitoraggio inglese Airwars e dal think thank New America sostiene che i bombardamenti in Libia dal 2012 abbiano provocato tra 244 e 398 vittime civili, ma questo studio prende in considerazione 2.180 attacchi aerei, condotti dagli stormi Usa, francesi, egiziani, emiratini e dei due Governi libici. In merito alle incursioni americane, senza distinguere tra droni e velivoli con pilota, lo studio ritiene che possano avere ucciso da un minimo di dieci a un massimo di venti civili. Anche se una serie di elementi raccolti durante la battaglia di Sirte porterebbe a sospettare che altri 54 «non combattenti» abbiano perso la vita sotto le bombe;

   come è accaduto in Yemen, in Pakistan o in Somalia, a parere dell'interrogante, le missioni dei droni non contribuiscono a stabilizzare la situazione, né a sconfiggere il terrorismo: anche in Libia, nonostante 550 attacchi di Predator e Reaper, il caos continua a crescere e nuove cellule fondamentaliste prendono le armi –:

   se la Ministra interrogata intenda chiarire se tutti i raid siano stati autorizzati dal Governo italiano e contro chi siano stati effettuati i raid fuori dai conflitti ufficiali, tenendo presente che per l'Italia è vietato l'utilizzo dei droni in assetto «combat»;

   se la Ministra intenda negare l'utilizzo delle basi italiane per missioni a comando remoto, a partire dalla base siciliana di Sigonella che, a parere dell'interrogante, viene utilizzata come piattaforma militare per sperimentare le nuove guerre robotizzate su cui lavora il Governo statunitense.
(4-00565)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARATTIN, SCALFAROTTO, PADOAN, PINI, PAITA, DI MAIO, GARIGLIO, MORANI, PEZZOPANE, ROSSI, ASCANI, FIANO, SERRACCHIANI, ANDREA ROMANO, DI GIORGI, DE LUCA, NAVARRA e FRAGOMELI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   sul sito del Ministero dell'economia e delle finanze si riporta la notizia dell'avvenuto incontro tra il sottosegretario Laura Castelli e il presidente dell'Istat Giorgio Alleva;

   nel comunicato stampa n. 105 del 25 giugno 2018 si legge che il sottosegretario ha incontrato il presidente dell'Istat «per fare il punto sul processo di innovazione portato avanti dall'istituto e sulla sinergia necessaria da mettere in atto con la politica per il raggiungimento degli obiettivi del contratto di Governo»;

   l'istituto nazionale di statistica, ente di ricerca pubblico, è il principale produttore in Italia di statistica ufficiale. Fin dalla sua istituzione attraverso la legge 9 luglio 1926, n. 1162, esso è stato qualificato come «istituto autonomo»;

   la missione dell'Istat è quella di servire la collettività attraverso la produzione e la comunicazione di informazioni statistiche, analisi e previsioni di elevata qualità che devono essere realizzate in piena autonomia, sulla base di rigorosi principi etico-professionali e dei più avanzati standard scientifici;

   per questo motivo l'istituto, ad avviso degli interroganti non può avere nessun ruolo in ordine alla determinazione dell'indirizzo politico del Governo –:

   se intendano esplicitare in maniera puntuale i contenuti dell'incontro, con particolare riferimento alla «sinergia necessaria da mettere in atto con la politica per il raggiungimento degli obiettivi del contratto di Governo», al fine di evitare qualunque tipo di strumentalizzazione politica dell'Istat.
(5-00065)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAOLO RUSSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il 18 dicembre 2017 in via Foria a Napoli un diciassettenne incensurato, Arturo, viene avvicinato da una gang di quattro ragazzi molto giovani, presumibilmente minorenni, che dopo avergli chiesto l'ora ed averlo invitato a seguirli, a fronte del suo rifiuto, lo avevano aggredito;

   Arturo arriva in ospedale in gravi condizioni, appena in grado di parlare e immediatamente sottoposto ad un delicato intervento chirurgico, poiché il branco dopo averlo intimidito lo ha ferito con oltre venti coltellate alla gola e al torace, verosimilmente per rubargli il cellulare;

   la vittima nelle ore successive alla drammatica vicenda riferisce agli investigatori l'accaduto accertato, in un secondo momento, dalle indagini che hanno portato all'esecuzione, da parte della squadra mobile della questura di Napoli, di un'ordinanza di custodia cautelare in istituto di pena minorile, emessa dal gip del tribunale per i Minorenni su richiesta della procura dei Minorenni di Napoli, nei confronti di due 15enni, un 17enne e di un minore di 12 anni e quindi non imputabile a cui è stato notificato un provvedimento di elezione di domicilio;

   il 24 aprile 2018 il gip del tribunale dei minori di Napoli, Piero Avallone, ha disposto una «misura meno afflittiva» per il minore F.P.C., responsabile del grave ferimento inferto allo studente Arturo, specificando che lo stesso «ha tenuto in istituto un buon comportamento e che è auspicabile il prosieguo del processo di responsabilizzazione in struttura comunitaria»;

   come riportato dalle maggiori agenzie di stampa, ha iniziato a circolare in rete e sui social network video in cui il giovane indagato F.P.C., in attesa del processo che si svolgerà il prossimo 4 luglio per rispondere del tentato omicidio di Arturo, si è fatto riprendere da un suo compagno di stanza con un telefono cellulare mentre insieme ad altri coetanei parlava in modo divertito e beffardo della sua condanna;

   ad avviso dell'interrogante, quanto accaduto mostra non solo un episodio di grave violenza ma anche di provocazione che, con la presenza in rete di immagini beffa, alimenta quel clima di inquietudine sul futuro delle nuove generazioni –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali iniziative di competenza, anche sul piano normativo, intenda porre in essere quanto prima onde evitare il perpetrarsi di fatti simili a quello riportato in premessa;

   se il Ministro interrogato non intenda approfondire, per quanto di competenza, anche con una specifica attività ispettiva, le criticità connesse all'utilizzo di cellulari e linee telefoniche nelle comunità di detenuti, nonché di connessioni internet che potenzialmente mettono in contatto i soggetti in attesa di processo con l'ambiente esterno.
(4-00579)


   D'ATTIS. — Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il minore A.G.B., nato a Taraz (Kazakistan) il 15 settembre 2013, con passaporto rilasciato dalla Repubblica italiana il 23 aprile 2015, nell'ottobre 2015 è stato sottratto dalla madre, A.B.A. nata a Taraz il 10 luglio 1982, dall'abituale residenza in Brindisi;

   il piccolo è stato trasferito senza alcuna autorizzazione del padre. Per i detti fatti, il tribunale di Brindisi, con la sentenza n. 368 del 2017, ha condannato la signora A.B.A. innanzi generalizzata, alla pena della reclusione di 2 anni (senza condizionale) e alla sospensione della responsabilità genitoriale per il delitto di cui all'articolo 574-bis del codice penale con condotta perdurante dal 29 ottobre 2015. Tale sentenza è irrevocabile dal 2 marzo 2017, quindi essa ha efficacia di cosa giudicata;

   in relazione a tale pronuncia lo Stato italiano ha chiesto l'esecuzione penale della stessa alla Repubblica del Kazakistan; ad oggi non si conoscono gli esiti di detta istanza;

   il padre prova ad avere contatti col figlio. Da qualche videochiamata avrebbe riscontrato che il piccolo non goda della dovuta assistenza e del dovuto sostegno;

   il 13 dicembre 2017, presso il dipartimento di tutela dei minori di Taraz, si è tenuta la seduta dedicata al caso del piccolo A., incentrata sul diritto di visita ai sensi della Convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori; si chiedeva dunque al dipartimento di riconoscere la possibilità del padre di stare con il figlio e di portarlo con sé in Italia per limitati periodi tempo;

   il Kazakistan ha aderito alla suddetta Convenzione il 3 giugno 2013;

   il dipartimento di Taraz ha completamente disatteso l'istanza sul diritto di visita ai sensi della Convenzione;

   l'organo amministrativo ha deciso che il padre G.B. potrà esercitare il suo diritto di visita soltanto in Kazakistan, alla presenza della madre, ipotesi in nulla possibile, visto che l’ex coniuge non consente al padre di vedere il bambino;

   il padre ha presentato azione innanzi alla Corte minorile per il riconoscimento del diritto di visita. La Corte minorile si è pronunciata con sentenza del 5 giugno 2018, stabilendo che fino al compimento di 7 anni d'età, il padre potrà vedere il bambino a Taraz in orario diurno dalle 11 alle 18 nel luogo di sua residenza, previo accordo con la madre; durante i periodi di malattia del bambino, il padre potrà vederlo presso la residenza di A.A. sempre previo accordo con la madre; due volte a settimana il padre potrà vedere il bambino via skype senza limiti di tempo; in futuro (dopo i 7 anni di A.) il luogo degli incontri potrà venire cambiato in accordo tra le parti –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti in premessa;

   se e quali iniziative di competenza intendano assumere affinché si attivino nell'immediato tutte le procedure per l'esecuzione della sentenza penale n. 368/2017 resa dal tribunale penale di Brindisi, irrevocabile dal 2 marzo 2017;

   in che modo intendano garantire che, in ottemperanza alla succitata sentenza, vi sia il rientro immediato del minore in Italia, per la tutela suprema dello stesso;

   se l'autorità centrale convenzionale istituita presso il Ministero della giustizia abbia adottato atti, misure o provvedimenti per richiedere al Kazakistan l'applicazione della Convenzione dell'Aja del 1980;

   se il Governo abbia adottato iniziative per richiedere che il Kazakistan applichi la citata Convenzione in relazione al diritto di visita.
(4-00583)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ANZALDI, CARDINALE e MICELI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   si apprende dagli organi di stampa che circa un centinaio di passeggeri che da Malpensa dovevano rientrare a Palermo e hanno visto il volo delle 19,15 del 24 giugno 2018 soppresso, senza preavviso, per un guasto;

   la prima data disponibile per la riprotezione su un altro volo della compagnia irlandese sarebbe risultata il 29 giugno;

   Ryanair ha comunicato di poter pagare loro solo una notte in albergo;

   a fronte di tale situazione il viaggio per i passeggeri, compresi numerosi bambini, si è trasformato in un vero e proprio incubo per una mancanza di assistenza effettiva e per essere di fatto stati abbandonati;

   secondo il regolamento (UE)261 (diritti del passeggero), riportato pure sul sito Ryanair, in caso di cancellazione del volo la compagnia deve garantire «pasti e bevande, sistemazione in albergo dove si renda necessario un soggiorno di una o più notti e il trasporto tra l'aeroporto e il luogo di sistemazione»;

   stessi disagi si sono dovuti poi affrontare anche a Palermo conseguentemente al mancato arrivo del vettore;

   non è la prima volta che si registrano simili disagi occorsi ad utenti della compagnia Ryanair;

   la suddetta compagnia non può più definirsi low cost e ha ormai un tale numero di slot che la pongono tra le principali compagnie al mondo anche in Italia coprendo tratte importanti in particolare per la Sicilia –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, per verificare l'accaduto e, attraverso l'Enac, tutelare i diritti dei passeggeri dei suddetti voli nonché attenzionare l'attività della compagnia in riferimento alla frequenza con cui si verificano tali episodi.
(5-00063)


   CARNEVALI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   nella scorsa legislatura con l'interrogazione n. 5-11781 presentata in data 10 luglio 2017, l'interrogante, chiedeva conto al Governo pro tempore della carenza di personale presso l'ufficio della motorizzazione civile della città di Bergamo, a seguito di lamentele e disagi raccolti dagli utenti nell'evasione delle pratiche (due mesi e mezzo di ritardo per effettuare una revisione o per ottenere il rilascio della patente, 5 mesi di attesa invece dei tradizionali 2 e mezzo per ottenere il foglio rosa, tempi e liste d'attesa infinite per poter ottenere la revisione dei veicoli privati mettendo a serio rischio l'attività dei lavoratori e delle aziende, persone costrette a trasferirsi nella vicina città di Lecco per poter svolgere le prove di esame teorico della patente, gestione del servizio centralino inesistente, una riduzione del numero di esami del 22 per cento a febbraio rispetto al fabbisogno, del 49 per cento a marzo e del 57 per cento ad aprile);

   la situazione, rispetto allo scorso anno non è mutata affatto: a fronte di una pianta organica di 80 persone, solo 37 dipendenti di questi sono effettivamente operativi;

   le cause sono imputabili all'assenza di nuove assunzioni, con i concorsi fermi da oltre vent'anni e nessun ricambio per i pensionamenti, salvo sporadiche mobilità;

   data la preoccupante situazione citata, nel corso dell'esame della legge di bilancio per il 2018 (legge 27 dicembre 2017, n. 205, articolo 1 commi 565 e 567) è stato approvato, in data 19 dicembre, l'emendamento n. 52.10 a firma dell'interrogante che prevede l'assunzione di nuove 200 unità di personale presso il dipartimento per i trasporti, la navigazione, gli affari generali ed il personale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, 80 unità nel 2018, 60 nel 2019 e 60 unità nel 2020, nonché l'avvio di appositi concorsi per sopperire alle esigenze di servizio;

   il direttore generale della motorizzazione, Sergio Dondolini, incontrando una delegazione di parlamentari bergamaschi ha garantito un rafforzamento dell'organico già nel mese corrente con un paio di ingegneri, e da settembre un potenziamento attingendo da alcuni dei 148 ingegneri da assumere con bando di concorso nazionale in uscita nel mese di giugno 2018 –:

   se il bando nazionale di concorso citato in premessa sia stato emanato e per quante figure professionali, quante siano le risorse previste per la Lombardia e, più specificatamente per la città di Bergamo, e quanto tempo trascorrerà dall'assunzione all'effettiva immissione in servizio.
(5-00064)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSSO, ZANGRILLO e PELLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   a seguito degli incidenti verificatisi a Torino nel 2017 in occasione della proiezione in piazza San Carlo della finale di Champions League, il capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza con la circolare n. 555/OP/0001991 /2017/1 del 7 giugno 2017, comunemente nota come «circolare Gabrielli» ed il capo del dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile con la circolare n. 11464 del 19 giugno 2017, hanno impartito indicazioni alle articolazioni periferiche di riferimento dei due dipartimenti interessati, volte ad assicurare la massima cornice di sicurezza allo svolgimento di pubbliche manifestazioni, anche in relazione al pericolo derivante dalla minaccia terroristica;

   in particolare, il nuovo modello organizzativo delineato dalla circolare Gabrielli, che vede coinvolti, a vario titolo, non solo le forze di polizia, ma anche gli organizzatori e le amministrazioni pubbliche, per l'organizzazione di tali manifestazioni, presuppone lo scrupoloso riscontro delle garanzie di «safety», intese quali misure a tutela della pubblica incolumità, e di «security» a salvaguardia, invece, dell'ordine e della sicurezza;

   come evidenziato dai molti sindaci della regione Piemonte, in una serie di lettere inviate all'attenzione del Ministro interrogato, le nuove e senza dubbio importanti misure di sicurezza per lo svolgimento di pubbliche manifestazioni hanno tuttavia comportato: un allungamento dei tempi per le verifiche e le concessioni necessarie, sacrifici anche economici e un più gravoso impegno da parte delle amministrazioni locali o dei privati organizzatori degli eventi e di fatto, in molti comuni, la conseguente cancellazione degli stessi;

   per fronteggiare la situazione i sindaci sopra menzionati hanno fatto richiesta di una serie di interventi istituzionali quali: l'esclusione dal pareggio di bilancio dei costi relativi all'attuazione dei piani per la protezione civile e di norme e circolari relativi alla sicurezza delle manifestazioni, ma anche per l'acquisto di mezzi e macchinari per i gruppi di protezione civile, antincendi boschivi e di altre associazioni a questi collegate;

   nei piccoli centri delle aree montane ed interne, non solo del Piemonte, le iniziative pubbliche organizzate sia dal comune, sia dalla pro loco che da altre associazioni presenti sui territori, soprattutto nei mesi estivi, costituiscono un importante strumento di coesione sociale e garantiscono la vitalità, l'inclusione, la trasmissione di storia, cultura e tradizioni, favorendo anche il mantenimento di flussi turistici –:

   se il Ministro interrogato, alla luce dei fatti sopra descritti, ritenga opportuno assumere iniziative per soddisfare le richieste formulate da alcuni sindaci della regione Piemonte e, allo stesso tempo, attuare una semplificazione della normativa vigente in merito all'organizzazione e alla gestione delle manifestazioni pubbliche che, nel fornire le dovute garanzie in termini di pubblica incolumità, ordine e sicurezza, tenga anche conto della dimensione degli spazi e della previsione del numero dei partecipanti, nella convinzione che il sistema di sicurezza che presiede allo svolgimento delle pubbliche manifestazioni richiede la massima sinergia interistituzionale e la più stretta collaborazione di tutte le sue componenti, da quelle statali a quelle espressione di rappresentanze locali e territoriali.
(5-00060)

Interrogazione a risposta scritta:


   FRASSINETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   lungo la tratta ferroviaria della linea Novara-Seregno, in particolare nella stazione di Cesano Maderno presso il parco delle Groane, sono presenti vaste aree verdi, tristemente note come «Bosco della droga»;

   tali aree sono facilmente raggiungibili dalla stazione ferroviaria di Cesano Maderno, importante snodo per il traffico locale;

   negli ultimi tre anni le attività di spaccio e consumo di sostanze stupefacenti a cielo aperto si sono aggravate e l'impunità percepita dagli spacciatori è tale da aver indotto gli stessi ad installare dei cartelli pubblicitari segnalanti gli orari e i luoghi dello spaccio;

   sono centinaia ogni giorno i consumatori di droga che frequentano queste aree, la maggior parte dei quali ventenni;

   le droghe più vendute sono la marijuana e l'eroina ed una dose può costare anche 2,50 euro;

   gran parte degli spacciatori di sostanze stupefacenti sono cittadini nordafricani che deturpano il paesaggio con bivacchi dotati di tavolini, tende, capanni dove ripararsi, tagliando gli alberi per fame dei ceppi che vengono accatastati e dati alle fiamme;

   le vaste aree verdi del Parco delle Groane sono in attesa di riqualificazione;

   ad oggi è evidente e più volte richiesto dalle autorità competenti un più massiccio intervento contro lo spaccio di sostanze stupefacenti nelle aree intorno alla stazione –:

   quali interventi di ordine pubblico intenda promuovere per riportare la legalità e il decoro nelle aree degradate del «Bosco della droga» di Cesano Maderno, presso il parco delle Groane, contrastando lo spaccio di droga e l'immigrazione clandestina che lo alimenta;

   se intenda farsi promotore, per tramite della prefettura di Monza, di una task force operativa con il comune di Cesano Maderno e Trenord al fine di mettere in sicurezza l'area, rendendola inaccessibile agli spacciatori e consentendo gli interventi di riqualificazione necessari per restituire sicurezza e decoro in questa importante area verde.
(4-00573)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   TOCCAFONDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il 22 giugno 2018, senza alcun preavviso e motivazione, la multinazionale belga Bekaert Group che ha rilevato da Pirelli il gruppo di cui fa parte lo stabilimento di Figline Valdarno (Firenze), dove lavorano 318 dipendenti a cui si sommano più di 150 lavoratori dell'indotto, ha comunicato la chiusura immediata dello stabilimento fiorentino per cessazione attività;

   adesso lo stabilimento di Figline Valdarno è stato occupato dai lavoratori, dopo che la dirigenza ha comunicato la chiusura della fabbrica entro 75 giorni, facendo partire le lettere di licenziamento per tutti i 318 dipendenti;

   quando fu ceduto nel 2014 il sito produttivo, la società belga Bekaert Group che rilevò da Pirelli il gruppo steel cord dedicato alla produzione di rinforzi in acciaio per pneumatici di cui fa parte lo stabilimento di Figline Valdarno, furono date garanzie in merito alla produzione ed in merito ai livelli occupazionali;

   l'annuncio della chiusura arriva dopo che alcuni giorni prima era stato raggiunto e firmato l'accordo sul premio di risultato per i lavoratori del sito e senza che mai ci fosse stato un avviso di crisi da parte della direzione aziendale;

   una decisione la cui motivazione è tutta da verificare se confermato quanto sta emergendo, ovvero che la chiusura sarebbe da addebitare ai costi strutturali notevolmente superiori rispetto a quelli degli altri stabilimenti di rinforzi in acciaio per pneumatici;

   l'età media dei lavoratori risulta essere di 50 anni: troppo giovani per andare in pensione e troppo anziani per trovare nuove occupazioni e acquisire nuove competenze;

   il Vicepresidente del Consiglio dei ministri, nonché Ministro dello sviluppo economico e del lavoro e delle politiche sociali, Luigi Di Maio sabato 23 giugno 2018, trovandosi a pochi chilometri dallo stabilimento occupato, a quanto consta all'interrogante non ha avuto modo di fermarsi ed informarsi direttamente dai lavoratori sulle reali problematiche dello stabilimento fiorentino –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e quali iniziative urgenti intenda prendere per affrontare la vicenda in questione e per chiarire gli esiti delle interlocuzioni con la proprietà della società Bekaert Group.
(4-00569)


   COSTANZO, PALLINI e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   la società Comdata spa è un'azienda italiana attiva nel settore dei call-center e dei servizi alle imprese, specializzata nell'assistenza ai clienti, nei processi di back office e di gestione del credito e nell'esternalizzazione dei processi gestionali;

   Comdata è presente in 16 Paesi, con oltre 550 clienti, che serve impiegando circa 42.000 dipendenti in 78 centri operativi, e ha registrato un fatturato globale di circa 1 miliardo di euro;

   Comdata impiega in Italia 10.369 lavoratori, di cui il 70 per cento a tempo indeterminato, il 15 per cento con contratto di somministrazione ed il 15 per cento con contratti a progetto. Ai propri collaboratori Comdata applica prevalentemente il contratto collettivo nazionale di lavoro delle telecomunicazioni;

   a Torino sono impiegati tra i 400 e i 500 dipendenti, che lavorano come outsourcer, e nella sede di Ivrea circa 1.500 dipendenti, di cui 480 con contratto di somministrazione;

   il processo di riorganizzazione della sede di Ivrea ha avuto inizio a febbraio 2018 con l'interruzione di 170 contratti di somministrazione interinali seguiti da altri 60 contratti sospesi nelle settimane successive;

   è stato poi richiesto ai dipendenti di esaurire tutte le ferie e i permessi retribuiti per far fronte al dimezzamento di attività della commessa Tim;

   il 23 marzo 2018, Comdata spa ha annunciato la volontà di richiedere l'intervento del fondo d'integrazione salariale (Fis), per 363 lavoratori e per 13 settimane a zero ore, per una contrazione dei volumi di lavoro su un'importante commessa del comparto telecomunicazioni nella propria sede di Ivrea;

   il 27 marzo 2018 il fondo di integrazione salariale (Fis) è stato richiesto a zero ore fino al 2 luglio 2018, con un accordo verbale sul 50 per cento per il solo mese di aprile;

   il 4 maggio Comdata ha comunicato la chiusura delle sedi di Padova e Pozzuoli, con il conseguente licenziamento dei 264 lavoratori;

   il 29 maggio 2018 le organizzazioni sindacali e le rappresentanze sindacali unitarie del sito di Sestu (Cagliari) hanno convenuto con Comdata Spa il ricorso al Fis, con durata massima di dodici settimane dal 4 giugno 2018 per 170 operatori su 230 lavoratori coinvolti;

   l'8 giugno 2018 Comdata spa ha richiesto una proroga di sei settimane del Fis per un massimo di 294 lavoratori della sede di Ivrea a causa del procrastinarsi delle contrazioni dei volumi di lavoro;

   il 6 giugno 2018, il management di Comdata spa Lecce ha comunicato lo spostamento ad Ivrea dell'intera lavorazione Wind Mobile;

   ai lavoratori di Lecce somministrati sulla commessa Wind non verrà offerto un rinnovo allo scadere dell'ultima proroga, mentre i lavoratori a tempo indeterminato saranno ricollocati su altre commesse –:

   quali urgenti iniziative intenda porre in essere affinché Comdata spa garantisca i livelli occupazionali attualmente presenti nei siti italiani e se intenda predisporre iniziative normative affinché le aziende che ricevono finanziamenti pubblici siano tenute a mantenere la loro attività sul suolo italiano, evitando di delocalizzare gli stabilimenti all'estero;

   se non ritenga opportuno promuovere un confronto in sede istituzionale volto ad acquisire informazioni rispetto agli obiettivi di Comdata e a definire strategie volte a offrire garanzie occupazionali ai lavoratori interessati dalle misure di razionalizzazione e di riorganizzazione poste in essere dalla società;

   quali iniziative intenda assumere affinché, anche in considerazione dell'ottimo stato di salute dell'azienda, siano riviste le decisioni in merito all'attivazione degli ammortizzatori sociali per un terzo della sua forza lavoro sul sito di Ivrea;

   se non ritenga opportuno attivare un'organica politica di sostegno ai settori lavorativi interessati dai processi di delocalizzazione produttiva, attraverso l'adozione di misure premiali, di agevolazione e di riduzione degli oneri burocratici, fiscali e sociali vincolate a specifiche condizioni, tra cui la permanenza nei luoghi d'origine.
(4-00574)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GADDA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   come si apprende dagli organi di informazione, in queste settimane, in Sicilia i casi di intossicazione alimentare da tonno rosso sono aumentati in maniera rilevante. Solo nell'ultimo mese sono stati circa 60 i ricoveri tra cui alcuni casi gravi a causa di istamina avente origine da pesce avariato. Così come sono aumentate le denunce al Nucleo anti-sofisticazioni dei carabinieri (NAS) e i relativi sequestri di prodotti ittici conservati male;

   le stesse istituzioni preposte ai controlli, Nas, Capitanerie di porto, ispettori e veterinari delle asl, hanno sequestrato nelle ultime settimane circa 12 tonnellate di tonno rosso illegale per un valore di 200 mila euro;

   si tratta di tonnellate di pesce non tracciato, che viene catturato sforando le quote pesca consentite nei mari italiani. Pesce che viene congelato in ritardo, che non rispetta le norme di conservazione e che viaggia su mezzi non idonei al trasporto di alimenti. Una vera e propria filiera illegale che, in assenza di tracciabilità, pone a rischio la salute dei cittadini, oltre a danneggiare la filiera commerciale legale del tonno rosso;

   si fa presente che, dopo diversi anni, nella scorsa legislatura l'Italia è riuscita a vedersi riconosciuto un aumento delle quote di tonno con i decreti ministeriali del 20 aprile (ripartizione dei contingenti nazionali di cattura del tonno rosso per il triennio 2018/202) e del 4 maggio (disposizioni urgenti in materia di cattura bersaglio del tonno rosso con il sistema della circuizione);

   per l'anno 2018 si è a 3.894,13 tonnellate, per l'anno 2019 si passerà 4.308,59 tonnellate e, per l'anno 2020 si arriverà a 4.756,75 tonnellate;

   sono cambiate anche la ripartizione per modalità di pesca:

    a) per l'anno 2018 si prevedono i seguenti dati: circuizione 2.886,33 tonnellate; palangaro 527,46 tonnellate; tonnara fissa 328,35 tonnellate; pesca sportiva e ricreativa 18,61 tonnellate; quota non divisa 133,37 tonnellate;

    b) per l'anno 2019 si prevedono: circuizione 3.205,03 tonnellate; palangaro 585,28 tonnellate; tonnara fissa 364,42 tonnellate; pesca sportiva e ricreativa 20,34 tonnellate; quota non divisa 133,52 tonnellate;

    c) per l'anno 2020 si prevedono: circuizione 3.541,45 tonnellate; palangaro 646,68 tonnellate; tonnara fissa 402,66 tonnellate; pesca sportiva e ricreativa 21,60 tonnellate; quota non divisa 144,37 tonnellate;

   l'aumento delle quote è stato di oltre il 50 per cento;

   in questo quadro continua la pesca di frodo del tonno rosso, con tutti i rischi che ne conseguono a partire da quelli per la salute dei consumatori –:

   quali iniziative i Ministri interrogati, per quanto di competenza, intendano adottare al fine di contrastare la pesca illegale di tonno rosso e attivarsi per un sistema di controlli più efficace a tutela della salute dei cittadini.
(5-00062)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   FIORINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, recante la definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera a cui le regioni e le strutture sanitarie devono adeguarsi entro il 2016;

   in particolare, il punto 4.2 dell'Allegato I al decreto citato, introduce una novità in materia di dimensionamento dei punti nascita, introducendo le soglie minime di volume di attività di cui all'Accordo Stato-regioni 16 dicembre 2010;

   in base a tale accordo il Governo e le regioni si sono impegnate a sviluppare un programma di interventi articolato in 10 linee di azione da avviare congiuntamente a livello nazionale, per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascite e per la riduzione del taglio cesareo, raccomandando, tra l'altro, di adottare criteri per la riduzione progressiva dei punti nascita con numero di parti inferiore a 1.000 all'anno;

   il decreto ministeriale 11 novembre 2015 prevede la possibilità che le regioni o province autonome possano presentare, una volta sentito il parere del relativo Comitato percorso nascita regionale (Cpnr), al tavolo di monitoraggio di cui al decreto ministeriale 29 luglio 2015 eventuali richieste di mantenere in attività punti nascita con volumi di attività inferiori ai 500 parti annui in deroga a quanto previsto dal citato accordo Stato-regioni;

   le deroghe alla chiusura sono previste in casi eccezionali: la distanza e la difficoltà dei collegamenti per alcune isole e alcuni comuni montani, la fusione con punti nascita di altri comuni o l’«attrattività» verso le donne dei paesi limitrofi a fronte di precise compensazioni (ad esempio, un servizio di elisoccorso operativo h.24). Negli altri casi, a fare la differenza tra la sopravvivenza o meno di un punto nascita sono tre fattori: almeno 500 parti/anno, disponibilità h.24 di ginecologi, pediatri neonatologi e ostetriche, presenza a corto raggio di un servizio di terapia intensiva neonatale e subintensiva per le madri;

   in Emilia-Romagna sono stati chiusi i punti nascita di Castelnovo ne’ Monti (Reggio Emilia), Pavullo nel Frignano (Modena) e Borgo Val di Taro (Parma), anche se proseguono i servizi pre e post parto. Per il Ministero non ci sarebbero le condizioni di sicurezza per tutelare madri e neonati in una delle fasi più delicate della vita;

   la regione Emilia-Romagna ha già avanzato una domanda di deroga al Comitato nascita nazionale fornendo le informazioni richieste, inclusa l'indicazione delle distanze e dei tempi di percorrenza verso i punti nascita alternativi. Nella decisione assunta dal Comitato di non concedere la deroga per quelli suindicati di Castelnovo né Monti, Borgo Val di Taro e Pavullo nel Frignano, sono stati considerati essenzialmente il trend delle nascite e i criteri di disagio orografico, definiti in funzione della necessità di garantire la sicurezza;

   la chiusura dei punti nascita ha determinato un grave disservizio, in particolare alle partorienti del territorio, che devono affrontare spostamenti di decine di chilometri percorrendo anche zone non servite da una rete stradale sicura, prima di poter giungere a un punto che garantisca loro adeguata assistenza e pertanto l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza;

   tale situazione di difficoltà per le partorienti è comune a molti regioni che hanno dovuto subire per i medesimi motivi una riduzione dei punti nascita –:

   se non ritenga di assumere iniziative affinché si pervenga alla riapertura sperimentale dei punti nascita situati in zone oro-geografiche difficili, come quelle montane citate dell'Emilia-Romagna, rivedendo nel contempo anche l'intera normativa di cui all'Accordo Stato-regioni risalente al 2010, sempre nel rispetto della sicurezza della madre, del figlio e del personale sanitario.
(4-00570)


   VERSACE. — Al Ministro della salute, al Ministro per la famiglia e le disabilità. — Per sapere – premesso che:

   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017, si è provveduto all'aggiornamento e alla definizione dei nuovi livelli essenziali di assistenza;

   la legge di bilancio 2018 ha fissato, per il 28 febbraio 2018, la data entro la quale il Governo doveva adottare decreti ministeriali di fissazione delle tariffe massime delle prestazioni di assistenza protesica relativa ai dispositivi su misura;

   il termine per l'adozione dei decreti è dunque scaduto;

   il 14 dicembre 2016, la Commissione affari sociali, ha approvato un parere favorevole sul decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di aggiornamento dei Lea, subordinandolo ad una serie di condizioni;

   in particolare (punto 5), si poneva al Governo pro tempore la condizione di mantenere il sistema tariffario, anziché prevedere gara di appalto per l'acquisto di dispositivi audioprotesici e di alcuni ausili di serie di cui all'allegato 5 dello schema di decreto, elenchi 2A e 2B;

   la Commissione osservava che se si fosse adottata una procedura di gara per questi ausili era difficilmente raggiungibile l'obiettivo di garantire la massima personalizzazione e aderenza alle effettive esigenze degli utenti;

   ai sensi dell'articolo 17 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017 il nomenclatore, contenuto nell'allegato 5 del decreto, contiene, nell'elenco 1, le protesi e le ortesi costruite o allestite su misura e, nell'elenco 2A e 2B, gli ausili tecnologici di fabbricazione continua o di serie;

   ai sensi del comma 4 dell'articolo 17 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017, nel caso in cui risulti necessaria la personalizzazione di un ausilio di serie contenuto nell'elenco 2A e 2B, la prestazione è eseguita, a cura dei soggetti aggiudicatari delle procedure pubbliche di acquisto degli ausili, da professionisti abilitati all'esercizio della professione sanitaria o arte sanitaria ausiliaria;

   le necessarie modifiche al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri non sono state ancora apportate e dunque la fornitura di questi indispensabili ausili ad oggi dovrebbe passare attraverso l'insopportabile iter delle gare d'appalto;

   molte persone con disabilità (bambini, ragazzi ed adulti), per il tramite delle associazioni che li rappresentano, ribadiscono a gran voce che è inaccettabile l'utilizzo, per molti ausili, della gara d'appalto che esclude dalla scelta la persona cui l'ausilio è destinato;

   le persone che vivono la condizione di una disabilità fisico-motoria ritengono indispensabile che tutti gli ausili attualmente riportati negli elenchi 2A e 2B – che si caratterizzano per la necessità di una doverosa personalizzazione – vengano spostati nell'elenco 1 e che, anche per essi, si mantenga un sistema a tariffa e non per pubblica procedura;

   il mantenimento del regime tariffario, peraltro, non comporterebbe alcun aumento di spesa;

   la disabilità è una condizione che, troppo spesso, costringe a vivere in un ambiente sfavorevole. In ottemperanza dell'articolo 3 della Costituzione lo Stato deve garantire l'effettiva pari dignità sociale dei cittadini rimuovendo gli ostacoli che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza, impediscono il pieno sviluppo della persona –:

   se non ritengano opportuno porre in essere tutte le iniziative necessarie affinché vengano emanati i decreti ministeriali il cui termine era fissato per il 28 febbraio 2018;

   se non ritengano indispensabile, alla luce delle ragioni sopraesposte, assumere iniziative per mantenere il sistema tariffario – anziché le pubbliche procedure di gara – per i dispositivi individuati dall'allegato 1-bis di cui all'articolo 30-bis, comma 1, del decreto-legge n. 50 del 2017, dal punto 5 del parere formulato dalla XII Commissione della Camera il 14 dicembre 2016, nonché per tutti i dispositivi che necessitano personalizzazione indicati negli elenchi 2A e 2B dell'allegato 5 al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017.
(4-00577)


   LOREFICE, PAXIA, SURIANO, SAITTA, TRIZZINO, CHIAZZESE, RIZZO, NESCI, SAPIA, D'ARRANDO, SPORTIELLO, MAMMÌ e SARLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il 6 giugno 2018 il presidente dell'Ordine dei medici di Catania, Massimo Buscema, sarebbe stato denunciato per lesioni gravi, perché, dopo aver quasi investito con la sua auto, distratto dal cellulare, un giovane commercialista che attraversava la strada, avrebbe iniziato una colluttazione con il pedone che sarebbe terminata con il ricovero di quest'ultimo in ospedale per rottura del setto nasale, forte trauma e 30 giorni di prognosi;

   da notizie di stampa si apprende che la procura della Repubblica avrebbe formalmente informato il consiglio direttivo dell'Ordine dei medici di Catania che il presidente Massimo Buscema sarebbe sottoposto ad indagine penale;

   dopo aver provato (ma senza raggiungere il numero legale) il vice presidente Biondi a convocare una riunione del consiglio direttivo per assumere le decisioni conseguenti, e dopo aver aspettato, invano, le dimissioni del presidente Buscema al fine di sollevare l'Ordine dall'imbarazzo, cinque consiglieri medici, Emanuele Cosentino, Lucio Di Mauro, Rosalia Lo Certo, Alfio Pennisi e Antonio Rizzo, avrebbero attivato quanto previsto dall'articolo 19 del regolamento interno che prevede la possibilità di autoconvocare il consiglio direttivo quando viene richiesto da un quinto dei componenti. Il consiglio è convocato per il 28 giugno e l'ordine del giorno prevederebbe: la «verifica degli adempimenti» a seguito del procedimento penale a carico di Buscema, la «verifica della legittimità degli atti amministrativi», nonché una «verifica ispettiva da parte del Ministero della Sanità»;

   già negli anni scorsi la stampa aveva posto in luce una vicenda legata al dottor Buscema e ad una villa con parco al centro di Catania, accatastata come alloggio popolare, nella quale pare avrebbe tentato di costruire una piscina abusiva. Tale villa sarebbe in comproprietà con la moglie Ersilia Severino, attrice-dipendente statale, che sino a qualche giorno fa è stata consigliera comunale a Catania e designata assessore dal sindaco perdente Enzo Bianco;

   precedentemente altra vicenda aveva coinvolto il dottor Buscema, quella della «fondazione» che alcuni presidenti dei vari ordini provinciali avrebbero tentato di costituire con la contestatissima previsione di «incarichi a vita» per i presidenti in carica al momento della costituzione;

   altra storia complicata che riguarderebbe il dottore è quella legata all'acquisto milionario delle mega ville di via Galermo a Catania da adibire a sede dell'Ordine dei medici di Catania (per la quale i professionisti stanno già pagando da 18 mesi) che doveva essere già pronta da tempo e di cui non si ha alcuna notizia; su questo affare pare siano aperti almeno un paio di fascicoli presso la procura della Repubblica di Catania. Inoltre, dal sito dell'Ordine di Catania dedicato all'amministrazione trasparente, risultano pubblicate le «determine presidenziali» relative agli anni 2017 e 2018, mentre sono omesse quelle relative all'anno 2016, anno dei fatti in questione;

   da ultimo in relazione al grave caso della dottoressa aggredita e violentata in guardia medica a Trecastagni, durante la trasmissione de La7 «Non è l'Arena», in diretta nazionale, il presidente Buscema è stato accusato di assoluta inerzia nei confronti delle istituzioni, soprattutto in relazione all'incresciosa decisione di non costituire l'Ordine dei medici parte civile nel processo al violentatore della dottoressa Serafina Strano –:

   se sia a conoscenza dei gravi fatti esposti in premessa e se non ritenga di dover intervenire presso l'Ordine dei medici di Catania, nell'ambito delle funzioni di vigilanza che l'articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233, attribuisce al Ministero della salute;

   se, nell'ambito della suddetta vigilanza, non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza affinché da parte della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri sia tutelato il decoro della professione medica che, dai fatti esposti, risulterebbe fortemente compromesso.
(4-00581)


   NOVELLI e VERSACE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il 12 giugno 2018, il Consiglio dei ministri ha nominato 6 viceministri e 39 sottosegretari;

   quale sottosegretario al Ministero della salute, è stato nominato il dottor Armando Bartolazzi, il dirigente medico che era stato il candidato del M5S per il Ministero della salute nella lista presentata il marzo 2018 dal Ministro Di Maio al Quirinale;

   come riportato da diversi organi di stampa, il sottosegretario Bartolazzi è stato chiamato a rimborsare l'azienda sanitaria Sant'Andrea di Roma, per la quale ha lavorato finora, per 101.784 euro. Ossia quanto incassato da lui con l'attività da libera professione tra il 2007 e il 2017 che per legge deve trasferire in azienda. Se si rifiuta di saldare il dovuto, il Sant'Andrea lo metterà in mora;

   come ricorda il quotidiano La Repubblica, la normativa attuale prevede che, quando incassano direttamente dai pazienti la parcella dell’intramoenia, i medici consegnino quanto incassato alla propria azienda sanitaria che trattiene una parte e versa circa l'80 per cento di quanto pagato dal cittadino, al medico;

   dai controlli effettuati dall'ospedale Sant'Andrea sulle attività intramoenia svolta dai diversi medici, l'attuale sottosegretario risulterebbe tra i primi 10 medici che devono di più tra un elenco di 130 dottori;

   peraltro vale la pena sottolineare come il dottor Bartolazzi, sia sottosegretario per la salute, e che proprio la Ministra interrogata, appena insediata, risulta abbia emanato una circolare in cui chiede alla regione quale sia lo stato delle liste di attesa e intramoenia, per conoscere i tempi di risposta del sistema sanitario, e per stanare le irregolarità nell'applicazione delle norme sulla libera professione;

   peraltro la Ministra interrogata, già da deputata di opposizione nella scorsa legislatura, aveva in diverse occasioni chiesto con forza un maggior rigore e posto l'esigenza di efficaci e più stringenti controlli sull'attività intramoenia –:

   quali elementi intenda fornire la Ministra interrogata alla luce di quanto esposto in premessa, valutando anche la compatibilità tra il ruolo di sottosegretario per la salute e le accuse che sono state mosse al medesimo sottosegretario;

   quali iniziative di competenza intenda adottare qualora risultino vere le accuse sollevate dall'azienda sanitaria Sant'Andrea di Roma al dottor Bartolazzi.
(4-00582)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:

   il 23 giugno 2018 la direzione della multinazionale belga Bekaert ha annunciato la decisione di chiudere il sito italiano di Figline – Incisa Valdarno, dedicato alla produzione di rinforzi in acciaio per pneumatici (steel cord) e di sospendere le attività nella fabbrica per i 318 dipendenti;

   nel 2014 la società Pirelli aveva ceduto l'attività alla multinazionale belga Bekaert, che conta anche un centinaio di lavoratori occupati nell'indotto. L'operazione di acquisizione della produzione del cavo di acciaio di Pirelli, da parte di Bekaert, era stata approvata dalla Commissione europea che l'aveva dichiarata «compatibile col mercato e utile a creare sinergie positive per entrambi i soggetti»;

   il 23 giugno, a soli 3 giorni dall'annuncio della chiusura dello stabilimento, l'azienda ha firmato il premio di risultato con i sindacati e nel 2017 la direzione della multinazionale aveva sottoscritto un accordo dove si prevedevano nuove assunzioni interinali, oltre a 910 mila euro di investimenti per il 2017 e 950 mila euro per il 2018. Inoltre, la comunicazione della chiusura della produzione di Figline è avvenuta il giorno dopo l'annuncio da parte della società di un investimento pari a 25 milioni di euro finalizzato all'apertura di un nuovo stabilimento in Brasile, precisamente, ad Itàuna;

   già lo scorso anno il mancato rinnovo di 23 contratti a termine aveva destato apprensione da parte dei lavoratori e delle rappresentanze sindacali alle quali l'azienda aveva risposto confermando il buon andamento dei volumi produttivi, i rapporti di committenza con la Pirelli e i progressi dei 3 progetti innovativi precedentemente annunciati;

   all'inaspettata comunicazione della chiusura dello stabilimento, i lavoratori e le organizzazioni sindacali hanno reagito con la mobilitazione, l'assemblea permanente del sito produttivo e la richiesta dell'apertura di un tavolo di trattative;

   il 26 giugno è stato convocato un tavolo presso il Ministero dello sviluppo economico, al quale hanno partecipato il presidente della regione Toscana, Enrico Rossi, la sindaca del comune di Incisa-Figline Valdarno, Giulia Mugnai, le organizzazioni sindacali oltre ad alcuni parlamentari del territorio. Assenti i rappresentanti dell'azienda e del Governo, presente solo con funzionari del Ministero medesimo;

   il Ministro dello sviluppo economico, Onorevole Luigi Di Maio, pur trovandosi sabato 24 giugno nel vicino comune di Montevarchi, non ha ritenuto di incontrare una rappresentanza dei lavoratori, né di visitare lo stabilimento in questione –:

   quali iniziative il Governo intenda adottare affinché sia immediatamente sospesa la procedura di dismissione del sito produttivo della multinazionale Bekaert, a tutela dei 318 lavoratori dello stabilimento e degli oltre 100 lavoratori dell'indotto ad esso collegati;

   se non ritenga di dover immediatamente convocare un tavolo di trattative presso il Ministero dello sviluppo economico, alla presenza del Ministro o di un suo delegato, a tal fine facendo sì che l'azienda si impegni a partecipare al tavolo medesimo, anche in considerazione del fatto che l'assenza dei rappresentanti della direzione della società multinazionale Bekaert, convocati il 26 giugno 2018 presso il Ministero dello sviluppo economico, rappresenta, secondo gli interpellanti un oltraggio alle istituzioni dello Stato ed ai lavoratori coinvolti dall'inaspettata ed immotivata procedura di licenziamento.
(2-00036) «Ermini, Lotti, Rotta, Cantini, Serracchiani, Moretto, Giachetti, Sensi».

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Varchi e altri n. 7-00011, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 giugno 2018, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Foti.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza Baldelli e altri n. 2-00031, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 giugno 2018, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Minardo.