Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 26 giugno 2018

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,

   premesso che:

    secondo i dati rilevati dall’Open Data INAIL, in Italia, nel 2017, le morti sul lavoro stano state 1.029, con un incremento di 11 casi rispetto ai 1.018 dell'analogo periodo del 2016 (+1,1 per cento). In particolare, tra i motivi dell'incremento registrato tra il 2016 e il 2017, l'Inail segnala i cosiddetti incidenti plurimi, ovverosia eventi che hanno provocato la morte di almeno due lavoratori contemporaneamente. Lo scorso anno, infatti, si sono verificati ben 13 incidenti plurimi rispetto ai sei incidenti avvenuti nel 2016. I dati rilevati al 31 dicembre del 2016 e del 2017 evidenziano un aumento di 16 casi mortali (da 841 a 857) nella gestione industria e servizi (+1,9 per cento) e di 8 casi (da 133 a 141) in agricoltura (+6,0 per cento) mentre nel Conto Stato ne sono stati denunciati 13 in meno (da 44 a 31), pari a una riduzione percentuale del 29,5 per cento;

    dall'analisi territoriale emerge, inoltre, un aumento delle denunce mortali nel Nord-Ovest e nel Mezzogiorno e un calo nel Nord-est e nel Centro. L'incremento maggiore (+44 decessi) è avvenuto nel Nord-ovest (Lombardia +19, Liguria +16, Piemonte +7, Valle d'Aosta +2), seguito dal Mezzogiorno con 15 casi in più (Abruzzo +28, Molise +2, Campania -9, Puglia -3, Basilicata -3, Calabria nessuna variazione) e dalle Isole, con un caso in più (Sicilia +5, Sardegna -4);

    inoltre, i dati ufficiali delle denunce di infortunio mortale recentemente presentate dall'Inail registrano per i primi tre mesi del 2018, 212 morti sul lavoro: 22 in più rispetto alle 190 del primo trimestre 2017 (+11,6 per cento). In particolare, i suddetti dati mostrano che le morti sul luogo di lavoro sono aumentate nel Nord-Ovest (19), nel Nord-Est (10) e al Centro (7), mentre si registra invece una diminuzione al Sud (-9 decessi) e nelle Isole (-5). A livello regionale, spiccano le 15 denunce in meno (da 19 a 4) dell'Abruzzo e i sei casi mortali in meno in Sicilia (da 18 a 12) e Toscana (da 15 a 9). Cresce invece la Lombardia (da 25 a 39), Piemonte (da 12 a 21) e Lazio (da 11 a 21). Una morte su due ha coinvolto lavoratori di età compresa tra i 50 e i 64 anni, per i quali si registra un incremento di 29 casi (+35 per cento) rispetto ai primi tre mesi del 2017. In diminuzione, invece, sono le denunce per i lavoratori fino a 34 anni (da 32 a 25 casi) e per quelli tra i 45 e i 49 anni (da 26 a 17). Aumentano, altresì, anche le denunce di malattia professionale: 16.124, pari a 877 casi in più (+5,8 per cento) rispetto allo stesso periodo del 2017;

    una mattanza agghiacciante che, alla luce dei recentissimi incidenti che hanno sconvolto l'Italia come l'ennesimo grave incidente sul lavoro accaduto nelle Acciaierie Venete a Padova che ha provocato l'ustione di 4 operai di cui uno in gravissime condizioni, o dell'operaio morto proprio in questi giorni in un cantiere navale a La Spezia che secondo le ricostruzioni dei carabinieri intervenuti sul posto sarebbe rimasto schiacciato insieme a un suo collega che versa in gravi condizioni da una pesante lastra metallica, per non parlare della recentissima tragedia che hanno riguardato la morte di un giovane lavoratore all'Ilva di Taranto e, nella stessa giornata, un altro lavoratore a Torino, impongono al mondo politico un profondo ripensamento delle politiche pubbliche sino ad oggi adottate in materia di tutela e sicurezza sui luoghi di lavoro, affinché la salvaguardia della vita umana trovi finalmente collocazione centrale in seno a ogni politica di sviluppo economico;

    tra le principali problematiche denunciate dalle associazioni e dai sindacati maggiormente rappresentativi a livello nazionale spiccano, in particolare: la precarietà del lavoro cui si lega l'assenza sostanziale di formazione (la formazione rappresenta l'unica arma per far arretrare gli incidenti in fabbrica ma il mercato del lavoro è diventato talmente instabile che i lavoratori, soprattutto i giovani, non vengono più formati adeguatamente), l'invecchiamento delle macchine l'Ucimu l'associazione dei costruttori di macchinari, aveva presentato alla Camera dei Deputati nel 2016 con un report sull'età degli impianti installati nelle aziende italiane ove si leggeva che «Il parco macchine è molto più vecchio di quello di dieci anni fa e l'età media è la più alta mai registrata da 40 anni a questa parte»), la carenza di investimenti da parte dello Stato in controlli e prevenzione dovuto al blocco delle assunzioni (a controllare 4,4 milioni di imprese italiane provvedono solo 3.500 persone, di cui 2.800 ispettori delle asl che nel 2008 contavano ben 5000 unità, più 300 funzionari del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che intervengono per lo più nel settore edile ed altri 400 carabinieri. Il 97 cento delle aziende di fatto, dunque, potrebbe non essere mai visitata e i datori di lavoro potrebbero essere meno inclini a verificare la presenza di sistemi di protezione);

    a ciò si aggiunga che in data 9 aprile 2018 ricorrono dieci anni dall'approvazione del Testo unico di salute e sicurezza sul lavoro (decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, coordinato con il decreto legislativo 3 agosto 2009 n.106 e con i successivi ulteriori decreti integrativi e correttivi) che continua ad essere nel nostro Paese il punto di riferimento normativo in materia. Tuttavia, pur contenendo la massima parte delle disposizioni prevenzionistiche applicabili, il Testo unico non può definirsi esaustivo dell'intera materia né un corpo normativo consolidato, sia perché oggetto di continue modifiche, sia perché prevede numerosi provvedimenti di attuazione, tanto è vero che a dieci anni dalla emanazione, il suo processo di attuazione non risulta ancora completato. Dalla relazione sullo stato di applicazione della normativa di salute e sicurezza e sul possibile sviluppo, che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha trasmesso il 10 gennaio 2017, emerge, infatti, che sono ancora una ventina i provvedimenti da attuare e questo complesso di norme inattuate produce inesorabilmente effetti negativi sia per l'assenza di tutela per i lavoratori, sia profonde incertezze nella gestione della prevenzione da parte dei datori di lavoro,

impegna il Governo:

1) ad adottare ogni iniziativa di competenza finalizzata alla realizzazione di una strategia di formazione e prevenzione sui luoghi di lavoro che ponga innanzitutto al centro la salvaguardia della vita delle persone, assumendo iniziative per stanziare già con il prossimo provvedimento finanziario utile, ingenti risorse per sostenere progetti di miglioramento di salute e sicurezza negli ambienti di lavoro, e per incrementare altresì gli stanziamenti oggi previsti dal Piano Industria 4.0 per incentivare la sostituzione dei macchinari obsoleti;

2) ad adottare ogni iniziativa, anche normativa, finalizzata all'ampliamento dell'organico delle istituzioni competenti in materia di controlli e sicurezza sui luoghi di lavoro, promuovendo apposite azioni a livello territoriale volte a conseguire ed attuare accordi a livello locale fra datori di lavoro, organizzazioni sindacali e istituzioni stesse, in particolare nelle situazioni più a rischio come porti e cantieri, anche al fine di meglio riqualificare il personale preposto alla vigilanza nei luoghi di lavoro e addivenire ad una maggiore integrazione tra gli enti adibiti al controllo per effettuare sempre maggiori controlli nei diversi luoghi di lavoro;

3) ad adottare specifiche iniziative volte a completare l'attuale quadro normativo in materia di tutela e sicurezza sui luoghi di lavoro garantendone l'indispensabile processo di semplificazione e assicurando il conseguente innalzamento del livello di efficacia e di effettività delle tutele dei lavoratori;

4) a promuovere in sede europea ogni iniziativa di competenza volta a rendere più efficace il quadro normativo di riferimento in materia di diritti e sicurezza dei lavoratori in tutti gli Stati membri dell'Unione.
(1-00008) «Novelli, Polverini, Zangrillo, Cannatelli, Fatuzzo, Musella, Rotondi, Scoma, Aprea, Battilocchio, Biancofiore, Bignami, Cassinelli, D'Attis, Fasano, Fascina, Gagliardi, Labriola, Marrocco, Mazzetti, Mugnai, Milanato, Minardo, Mulè, Napoli, Pentangelo, Pella, Pettarin, Pittalis, Polidori, Ripani, Rosso, Ruffino, Sandra Savino, Elvira Savino, Sozzani, Spena, Valentini, Versace, Vietina».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VIII e X,

   premesso che:

    l'area di Taranto vive da anni di una crisi ambientale gravissima, conseguenza di una notevole concentrazione di insediamenti industriali ad alto impatto ambientale, ma soprattutto della presenza sul territorio dell'Ilva s.p.a., il più grande stabilimento siderurgico d'Europa;

    nel sito dell'Ilva, nella città di Taranto e in tutto il territorio limitrofo allo stabilimento, le diverse matrici ambientali, quali terreni, aria, acque di falda e non, mostrano mediamente elevati e intollerabili livelli di compromissione e inquinamento;

    lo studio epidemiologico nazionale dei territori e insediamenti esposti a rischio da inquinamento, relativo all'area di Taranto (Sentieri) ha da molto tempo accertato il gravissimo danno arrecato alla salute pubblica, con un aumento dell'incidenza tumorale media del 30 per cento;

    la Commissione europea ha più volte invitato l'Italia a risolvere la grave situazione di inquinamento dell'aria, del suolo, delle acque di superficie e delle falde acquifere, che interessa il sito dell'Ilva, la città di Taranto e tutto il territorio limitrofo allo stabilimento, anche oltre lo stretto perimetro circostante, a causa della trasmissione degli inquinanti nell'aria, nell'acqua e nel terreno;

    relativamente al risanamento dell'area di Taranto, si ricorda che essa è stata dichiarata «ad elevato rischio di crisi ambientale» con la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata il 30 novembre 1990. Successivamente è stata inserita tra i siti di bonifica di interesse nazionale (Sin) dalla legge n. 426 del 1998, e con il successivo decreto del Ministero dell'ambiente del 10 gennaio 2000 ne è stata disposta la perimetrazione. Una perimetrazione che copre una superficie complessiva di circa 115 mila ettari, di cui 83 mila ettari di superficie marina che interessa l'intera area portuale;

    il Sin di Taranto viene anche descritto nell'allegato B al decreto ministeriale n. 468 del 2001 (Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale) che ricorda, tra l'altro, che «nell'area sono presenti industrie manifatturiere di dimensioni medio-piccole. Il porto di Taranto (...) ed i cantieri militari e civili presenti nell'area, costituisce un'attività industriale primaria a rilevante impatto ambientale. La superficie interessata dagli interventi di bonifica e ripristino ambientale è pari a circa 22,0 km2 (aree private), 10,0 km2 (aree pubbliche), 22,0 km2 (Mar Piccolo), 51,1 km2 (Mar Grande), 9,8 km2 (Salina Grande). Lo sviluppo costiero è di circa 17 km»;

    per la programmazione degli interventi di riqualificazione, valorizzazione, sviluppo economico e risanamento ambientale legati alle forti criticità dell'area di Taranto, è in atto uno specifico contratto istituzionale di sviluppo denominato «CIS Taranto», istituito dall'articolo 6 del decreto-legge n. 1 del 2015, il cui soggetto attuatore è Invitalia. A ciò si aggiungano gli specifici compiti affidati dal medesimo decreto-legge n. 1 del 2015 al commissario straordinario per la bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto (previsto dal decreto-legge n. 129 del 2012);

    nell'ambito dei suddetti interventi di riqualificazione, sviluppo produttivo e risanamento ambientale, un'attenzione particolare deve essere posta, proprio in virtù delle sue peculiarità, all'area del Mar Piccolo;

    il mar Piccolo di Taranto è una laguna alimentata anche da sorgenti sottomarine di acqua dolce, i citri. Tale unicità conferisce alle sue acque caratteristiche chimico-fisiche che hanno da sempre favorito lo sviluppo di un habitat privilegiato da flora e fauna, marina e terrestre, quale zona di riproduzione, accrescimento e rifugio. A titolo meramente esemplificativo, si ricorda la presenza di mitili e ostriche, oltre a specie protette quali tartarughe marine, cavallucci marini, pinne nobili, fenicotteri, aironi e numerose specie migratorie, salicornieti ed orchidee selvatiche;

    vale peraltro la pena ricordare che storicamente le attività presenti a Taranto nel periodo antecedente alla nascita del polo siderurgico dell'Ilva sono state legate al mare: pesca, mitilicoltura e base navale della Marina militare;

    la risorsa «mare» può e deve dunque essere un solido caposaldo dal quale ripartire per trovare una visione economica per il futuro e tale strategia, a parere dei firmatari del presente atto, deve seguire tre direttrici principali: ambiente, produzioni marine, nautica e turismo;

    le citate caratteristiche delle acque del mar Piccolo hanno da secoli permesso una fiorente attività di allevamento di mitili, famosi in tutto il territorio nazionale per le loro particolari caratteristiche organolettiche, e di una sottospecie locale di ostriche, l’Ostrea edulis tarantina;

    l'impatto dell'inquinamento ha purtroppo causato una sensibile riduzione di tali produzioni, con conseguente impatto economico e sociale sulla popolazione;

    è necessario quindi individuare i più efficaci strumenti per incentivare e regolare il recupero e il rilancio delle produzioni ittiche sia negli impianti a mare sia negli impianti terrestri già esistenti, capaci di generale economia ed occupazione;

    attualmente purtroppo, gli equilibri naturali e la salute della popolazione sono minacciati dall'accumulo di inquinanti avvenuto nel corso dei decenni a causa dell'attività dello stabilimento siderurgico e della base della Marina militare, come confermato anche dagli studi dell'Arpa Puglia;

    per il recupero di questi territori sono chiaramente prioritarie le attività di bonifica dei sedimenti marini, da effettuarsi senza compromettere i delicati equilibri biocenotici, nonché la restituzione alla città delle aree ormai inutilizzate dalla Marina e dall'aeronautica, sulle coste dei due seni del mar Piccolo e sulle isole Cheradi;

    inoltre, le acque protette, le bellezze ambientali e paesaggistiche e le aree costiere ormai dismesse o in fase di dismissione, rappresentano la base sulla quale ricostruire l'attrattiva turistica legata alla fruizione dell'ambiente, al turismo enogastronomico ed alle attività nautiche da diporto;

    le isole Cheradi sono state quasi completamente dismesse dalla Marina, fatta eccezione per una piccola base radio: se restituite alla città rappresenterebbero ambita meta turistica per le spiagge, la pineta ed il fortino di origine napoleonica sul quale insistono già idee progettuali per la costruzione di un acquario pubblico di livello internazionale;

    la fascia costiera un tempo utilizzata dalla cantieristica della Marina può essere utilizzata per creare approdi per la nautica da diporto ed aree fieristiche sul mare;

    la riqualificazione e la tutela del patrimonio ambientale e naturalistico rappresentano una grande opportunità per l'economia del Mar Piccolo e non solo. Peraltro da molti anni nel secondo seno del Mar Piccolo di Taranto è presente un'oasi del WWF a tutela del patrimonio naturalistico della città di Taranto;

    è prioritario che lo sviluppo di questo territorio non sia improvvisato, ma sia invece perfettamente programmato ed integrato con le attività produttive, contribuendo positivamente allo sviluppo economico locale, pianificando lo sviluppo turistico, rendendolo così compatibile con politiche di protezione dell’habitat naturale e in stretta connessione con gli altri settori d'attività;

    è quindi necessario prevedere la costituzione di un soggetto istituzionale autonomo rispetto all'attuale «CIS Taranto», istituito dall'articolo 5 del decreto-legge n. 1 del 2015, al fine di accelerare la programmazione e garantire l'attuazione degli interventi di risanamento ambientale, riqualificazione, valorizzazione e sviluppo economico dell'area del Mar Piccolo,

impegnano il Governo:

   ad adottare tutte le iniziative utili volte ad implementare gli interventi per il recupero ambientale e il rilancio economico dell'area di Taranto;

   al fine di accelerare la programmazione e garantire una maggiore efficacia e speditezza nell'attuazione degli interventi di risanamento ambientale, riqualificazione, valorizzazione e sviluppo economico dell'area del Mar Piccolo, e proprio alla luce delle criticità e delle peculiarità ambientali, naturistiche, e produttive proprie di questa area, ad assumere iniziative per prevedere l'istituzione di uno specifico ente per lo sviluppo marittimo dell'area di Taranto, diverso dal «CIS Taranto», il cui ambito di intervento ricomprenda l'intero Mar Piccolo, le sue coste, e la rada di Mar Grande, comprese le isole Cheradi;

   ad adottare le opportune iniziative di carattere normativo al fine di prevedere che al citato ente vengano assegnati i ruoli, le competenze e quota parte delle risorse finanziarie già attualmente assegnate al «CIS Taranto» per gli interventi specificatamente destinati al territorio del Mar Piccolo come sopra individuato;

   ad assumere le iniziative di competenza per prevedere che il citato ente, sia presieduto da un commissario straordinario del Governo, e composto comunque da rappresentanti della regione, degli enti locali, dell'autorità portuale;

   ad assumere iniziative per garantire che a detto ente vengano assegnati, per le aree di competenza, i compiti di ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto attualmente in capo all'attuale commissario straordinario per le bonifiche, prevedendo invece, laddove necessario e per i soli interventi urgenti di bonifica, uno stretto coordinamento con il medesimo commissario;

   ad assumere iniziative per prevedere che, per il territorio del Mar Piccolo come precedentemente definito, detto ente operi, laddove possibile, in sinergia con il «CIS Taranto» e il tavolo istituzionale permanente per l'area di Taranto, di cui all'articolo 5, del decreto-legge n. 1 del 2015;

   ad assumere iniziative per prevedere, previo pieno coinvolgimento delle associazioni che operano sul territorio e degli stakeholder, la predisposizione di un puntuale programma di risanamento, di riqualificazione e di tutela ambientale, e di un documento di indirizzo strategico specifico per la valorizzazione e lo sviluppo economico e occupazionale dell'area del Mar Piccolo;

   ad assumere iniziative per prevedere l'approvazione del programma adottato dal commissario straordinario, ottenuta l'approvazione in conferenza di servizi, possa comportare, tra l'altro, dichiarazione di pubblica utilità delle opere necessarie, anche infrastrutturali, e di urgenza dei lavori;

   a considerare l'adozione delle iniziative di competenza per l'istituzione di un'area naturale protetta, al fine di coniugare al meglio la tutela ambientale con lo sviluppo turistico e le produzioni marine.
(7-00001) «Labriola, Polidori, Giacometto, Porchietto, Mazzetti, D'Attis».


   La II Commissione,

   premesso che:

    i decreti legislativi n. 155 e n. 156 del 2012 hanno dato il via a un, quantomeno opinabile, piano di riordino degli uffici giudiziari sul territorio nazionale, con la soppressione di 30 tribunali, 38 procure, 220 sedi distaccate e 674 uffici del giudice di pace;

    una simile riscrittura completa della geografia giudiziaria, lungi dal rappresentare una razionalizzazione del sistema giudiziario utile a una, pur condivisibile, riduzione dei costi, comporterà, paradossalmente, elevati oneri di spesa pubblica, posto che i costi per gli stipendi del personale resteranno invariati e quanto risparmiato con l'accorpamento degli immobili si spenderà per l'adeguamento delle nuove sedi e, si auspica, delle infrastrutture;

    in tale mutato quadro normativo si inserisce la più recente legge 19 ottobre 2017, n. 155, recante «Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza» e finalizzata alla riscrittura integrale della legge fallimentare, dalle procedure concorsuali alla disciplina della composizione delle crisi da sovraindebitamento, al sistema dei privilegi e delle garanzie;

    il 22 dicembre 2017 la Commissione di studio, coordinata da Renato Rordorf e deputata all'elaborazione di una bozza degli schemi di decreto legislativo in attuazione della legge delega, ha predisposto e trasmesso al Ministero due dei tre schemi progettati ed in particolare quello inerente la delicatissima individuazione dei cosiddetti tribunali concorsuali tra quelli ordinari esistenti;

    il dettato normativo dispone, all'articolo 2, comma 1, lettera n), che nell'esercizio della delega il Governo provveda ad «assicurare la specializzazione dei giudici addetti alla materia concorsuale, con adeguamento degli organici degli uffici giudiziari la cui competenza risulti ampliata»;

    tale delega prevede che la specializzazione dei giudici possa avvenire secondo tre modalità diversificate, tra le quali, in particolare, la possibilità per il nuovo Governo di individuare tra i tribunali esistenti quelli «competenti alla trattazione delle procedure concorsuali relative alle imprese diverse da quelle di cui ai numeri 1) e 2), sulla base di criteri oggettivi e omogenei» basati su una serie di indicatori;

    tra gli indicatori specificamente indicati per l'individuazione di tali tribunali, si legge «numero dei giudici professionali previsti nella pianta organica di ciascun tribunale, da valutare in relazione ai limiti dimensionali previsti ai fini della costituzione di una sezione che si occupi in via esclusiva della materia»;

    il testo predisposto dalla Commissione Rordorf porterebbe così a una serie di accorpamenti delle competenze fallimentari in capo ad un ristretto numero di tribunali a danno di numerose, ma non meno centrali, sedi: Biella, Vercelli, Verbania, Varese, Lodi, Sondrio, Lecco, Cremona, Imperia, Massa Carrara, Rovigo, Belluno, Gorizia, Rovereto, Ferrara, Piacenza, Ravenna, Forlì, Arezzo, Siena, Pistoia, Prato, Grosseto, Pesaro, Urbino, Ascoli Piceno, Fermo, Terni, Spoleto, Civitavecchia, Viterbo, Rieti, Cassino, Avezzano, Sulmona, Teramo, Lanciano, Vasto, Isernia, Larino, Vallo della Lucania, Lagonegro, Matera, Crotone, Lametia Terme, Vibo Valentia, Paola, Palmi, Locri, Patti, Barcellona Pozzo di Gotto, Caltagirone, Enna, Gela, Termini Imerese, Sciacca, Marsala, Oristano, Lanusei, Nuoro, Tempio Pausania;

    solo a titolo di esempio, la istituenda sezione specializzata di Perugia, che dovrebbe assorbire il carico di lavoro di competenza delle importanti sedi di Terni e Spoleto (rispettivamente di 111.317 e 38.035 abitanti), rischierebbe la paralisi totale con conseguenti gravi disagi logistici, economici e professionali a danno di tutti, cittadini, operatori del settore e aziende;

    se la delega venisse esercitata secondo i citati criteri sarebbero «inibite» 63 sedi, mentre 77 sarebbero i tribunali accorpanti o a competenza invariata;

    l'individuazione, a maglie strette, dei cosiddetti tribunali concorsuali appare, inoltre, inopportuna perché non risulta giustificabile in relazione ad esigenze di specializzazione degli uffici, posto che i tribunali circondariali da sempre gestiscono queste procedure con risorse del tutto appropriate, avendo maturando quindi una significativa esperienza, e perché la concentrazione presso pochi uffici di un elevato numero di procedure, in un contesto in cui la giurisdizione non dispone di risorse adeguate, si rivela palesemente contraria ad ogni principio di efficienza, mettendo a rischio la funzionalità degli uffici destinatari della concentrazione;

    a ciò si aggiunga che la individuazione, tra i tribunali esistenti, di quelli cosiddetti concorsuali, essendo ancorata a dati meramente numerici (numero delle procedure concorsuali degli ultimi 5 anni, numero delle imprese iscritte nel registro delle imprese, popolazione residente, e altro), comporterebbe lo svuotamento in siffatta materia della competenza dei tribunali di medio piccole dimensioni che, al contrario, sono più efficienti di quelli aventi dimensioni medio grandi, dove l'arretrato è sicuramente maggiore e destinato a crescere proprio in virtù dell'acquisizione dei procedimenti sottratti ai tribunali circondariali;

    peraltro, l'individuazione dei tribunali competenti alla trattazione delle procedure concorsuali a scapito di tutti quelli oggi esistenti rischierebbe di far perdere tutte le competenze, anche di carattere specialistico, dei professionisti che si sono formate nella materia fallimentare in quei tribunali, con evidente vanificazione di quell'esigenza di specializzazione di cui alla legge delega e di opportunità di lavoro nei confronti di quei professionisti che negli anni e in quei territori si sono specializzati in materia;

    proseguendo in tale direzione, si svuoterebbero ulteriormente i tribunali minori, depauperati di molte delle loro attuali competenze, del personale e, ovviamente, si ingolferebbero le sedi dei tribunali più grandi;

    questi accorpamenti e una tale concentrazione delle attività del tribunale dei fallimenti presso alcune sedi, a discapito di altre, rischiano di creare un distacco incolmabile tra professionisti e cittadini rispetto alla magistratura e tale distacco riveste una gravità ulteriore quando si tratta di una materia delicata e complessa, come le procedure concorsuali;

    chiedere la specializzazione in una disciplina come il diritto fallimentare e, soprattutto, secondo criteri che consentirebbero solo a poche città di disporre di una sezione specializzata nel diritto fallimentare, significa ancora una volta allontanare ulteriormente la giustizia non solo dal cittadino, ma dal mondo delle imprese, svincolandolo dal suo radicamento nel territorio;

    non bisogna inoltre dimenticare che tale previsione normativa si inserisce nell'alveo di quella riforma della geografia giudiziaria che è iniziata con la chiusura di un numero elevato di tribunali e che ha colpito tutti i nostri territori;

    della necessità di una giustizia di prossimità sembra concordare l'attuale Governo quando, nel «contratto per il Governo del cambiamento», si legge che «occorre una rivisitazione della geografia giudiziaria – modificando la riforma del 2012 che ha accentrato sedi e funzioni – con l'obiettivo di riportare tribunali, procure ed uffici del giudice di pace vicino ai cittadini e alle imprese»;

    ci si augura che questo punto del «contratto» di Governo non richiami semplicemente gli slogan della campagna elettorale, ma corrisponda ad un'analisi concreta ed effettiva dei problemi della giustizia italiana;

    le istituzioni non possono e non devono riservare un atteggiamento di indifferenza alla situazione di grave emergenza che i tribunali stanno vivendo da tempo e che condurrà all'implosione del sistema giustizia,

impegna il Governo

a non esercitare la delega nella parte in cui dispone l'individuazione dei tribunali concorsuali con il rischio di segnare un ulteriore passo verso la chiusura e lo svuotamento di competenze dei tribunali minori, a danno della cosiddetta giustizia di prossimità, già minata profondamente dalla riforma della geografia giudiziaria attuata dai precedenti Governi.
(7-00011) «Varchi, Delmastro Delle Vedove, Prisco».


   La VII Commissione,

   premesso che:

    il concetto di alternanza scuola-lavoro e la sua disciplina, sono sanciti dal decreto-legislativo 15 aprile 2005, n. 77, e dalla legge 13 luglio 2015, n. 107, denominata «Buona scuola»;

    l'articolo 1 del decreto legislativo n. 77 del 2005, intitolato «Definizione delle norme generali relative all'alternanza scuola-lavoro a norma dell'articolo 4 della legge 28 marzo 2003, n. 53», al comma 1, esprime il concetto di «alternanza», definendola «come una modalità di realizzazione dei corsi del secondo ciclo, sia nel sistema dei licei, sia nel sistema dell'istruzione e della formazione professionale, al fine di assicurare ai giovani, oltre alle conoscenze di base, l'acquisizione di competenze spendibili nel mercato del lavoro»;

    tra le finalità dell'alternanza scuola-lavoro di cui all'articolo 2 del suddetto decreto legislativo emergono «la volontà di arricchire la formazione acquisita nei percorsi scolastici e formativi con l'acquisizione di competenze spendibili anche nel mercato del lavoro», alla lettera b) e «la realizzazione di un organico collegamento delle istituzioni scolastiche e formative con il mondo del lavoro e la società civile, che consenta la partecipazione attiva dei soggetti di cui all'articolo 1, comma 2, nei processi formativi», alla lettera d);

    sulla stessa materia, la recente legge 13 luglio 2015, n. 107, all'articolo 1, commi 33 e seguenti, dispone l'obbligatorietà di tale alternanza, inserendola nei piani triennali dell'offerta formativa e prevedendo, ai fini dell'attuazione di tale sistema, la concertazione tra il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, nonché la collaborazione con il Ministero per la pubblica amministrazione nel caso di coinvolgimento di enti pubblici;

    ampliando in modo spropositato le ore obbligatorie di alternanza scuola-lavoro, senza contestualmente aumentare percentualmente le risorse che già erano stanziate per la realizzazione del progetto prima della legge n. 107 del 2015, si è trasformato in un eccessivo carico ed un onere burocratico ed organizzativo per le scuole e, necessariamente, per tutto il personale scolastico coinvolto;

    l'alternanza scuola-lavoro, così come prevista dalla legge n. 107 del 2015, rischia di svuotare le funzioni principali degli istituti scolastici anche per la bassa qualità dell'offerta formativa proposta, e per la presenza di un finanziamento non adeguato al numero di ore obbligatorie;

    sebbene il legame tra gli istituti scolastici e le realtà imprenditoriali è garantito con l'istituzione, presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, di apposito registro nazionale delle imprese, nonché degli enti pubblici e privati disponibili ad inserire gli studenti in percorsi di alternanza, stipulando con le scuole apposite convenzioni, non sempre aziende ed enti sono in grado di garantire spazi attrezzati, risorse umane formate e parametri di sicurezza capaci di garantire un percorso formativo di qualità e in sicurezza;

    di fatto, tali normative se pur rispondenti ad indicazioni europee di orientamento e formazione, hanno comportato, nel contesto reale, una vera e propria legittimazione di forme di manodopera a basso costo e di sfruttamento giovanile;

    è evidente il caso di studenti degli istituti professionali ad indirizzo turistico ed alberghiero che, al termine dell'orario curriculare, nel fine settimana e nel periodo estivo, potevano svolgere un lavoro stagionale retribuito e che, oggi, si trovano a dover svolgere le stesse mansioni gratuitamente, per un numero altissimo di ore e in forma obbligatoria attraverso i progetti di alternanza scuola-lavoro; in questo specifico caso che si può estendere anche ad altri settori, il mercato del lavoro viene così saturato da un esercito di studenti che rappresenta una manodopera a costo zero per queste realtà imprenditoriali, incidendo al ribasso sulle retribuzioni dei lavoratori del settore;

    l'arricchimento formativo professionale degli studenti proiettati nel mondo del lavoro, è vanificato dal costante ripetersi di esperienze di precariato o lavoro non retribuito, nonché demansionato che relega i giovani ad una frustrazione precoce, invece che proiettarli verso un'opportunità di crescita personale e lavorativa;

    le storture di tali disposizioni legislative, sono confermate da numerose inchieste e sondaggi ove emerge un quadro desolante di abusi da parte delle imprese che impiegano la forza lavoro giovanile prestata in regime di alternanza scuola-lavoro non al fine di coadiuvare tali giovani nei loro percorsi formativi, ma per converso demoralizzandoli con compiti superflui e lontani dalle loro competenze professionali in assenza di un tutor e al di fuori dell'orario curriculare;

    ancor più gravi sono i casi di violazioni delle norme di sicurezza e dei diritti degli studenti;

    quella proposta con la recente riforma rappresenta una visione distorta e soltanto parziale dei percorsi dell'istruzione professionale, in considerazione della totale assenza di discipline che consentano agli studenti di ottenere una formazione che promuova e sviluppi le loro abilità legate alle attività di impresa; agli studenti è invece, offerta una preparazione che appare totalmente orientata e pensata per affrontare attività lavorative di tipo subordinato e senza che gli studenti partecipino alla progettazione del percorso di alternanza;

    i percorsi esterni alla scuola dovrebbero assicurare un bagaglio esperienziale trasversale che gli studenti possono utilizzare non solo in campo lavorativo, ma anche per sviluppare quelle competenze in materia di cittadinanza, attraverso laboratori «nel reale», necessari per agire nel pieno dei propri diritti e doveri di cittadino;

    se, da un lato, l'esperienza dovrebbe essere realmente connessa al percorso di studi scelto dagli studenti, dall'altro, è il concetto stesso di alternanza tra scuola e lavoro che in questo momento presenta una forte debolezza, in quanto è un momento storico in cui è strategico investire in una formazione di qualità, che invece può essere ridotta quando le ore spese nel progetto sono strettamente prestate ad un lavoro; è così che l'alternanza scuola-lavoro andrebbe ampliata in un'ottica più ampia di apprendimento di ricerca-azione sul territorio;

    la scuola deve spostare la sua azione educativa nel territorio, promuovendo periodiche esperienze nella realtà e in spazi esterni finalizzati al miglioramento della qualità della vita del territorio in cui vivono, intrecciando la programmazione disciplinare con progetti annuali e pluriannuali di servizio alla comunità in cui si vive, come previsto dall'approccio pedagogico Service Learning;

    il Service Learning è un approccio pedagogico, rilanciato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con un decreto ministeriale del 17 marzo 2017, il quale definisce la creazione del comitato tecnico scientifico del Service Learning;

    il Service Learning coniuga sistematicamente e intenzionalmente apprendimento e servizio; discipline e impegno solidale si integrano in un circolo virtuoso che tende alla soddisfazione di un bisogno reale della comunità e degli studenti attraverso l'applicazione di saperi e di competenze, consentendo allo stesso tempo l'acquisizione di nuove conoscenze e la maturazione di nuove competenze sul campo;

    il ruolo degli enti locali, delle università, della ricerca e degli enti pubblici del territorio deve essere potenziato nella prospettiva di individuare nuovi spazi educativi e un supporto logistico ed economico per promuovere gli spostamenti dei ragazzi nel territorio; tale operazione permetterà alla scuola di realizzare l'attività educativa nelle biblioteche, nei parchi, nei luoghi culturali, nelle università, all'interno di mostre, officine, botteghe di artigiani del territorio; si tratta di una possibilità garantita solo in parte dagli attuali progetti di alternanza scuola-lavoro;

    l'esperienza diretta della realtà resta una delle chiavi più importanti per realizzare un apprendimento significativo, che non sia obsoleto e che motivi gli studenti facendoli diventare i veri protagonisti di questo processo, puntando sui loro talenti e sulla loro autonomia e libertà;

    una necessità chiave per promuovere la cittadinanza, l'educazione civica, la cultura, la sensibilità ambientale, e per rispondere meglio ai cambiamenti economici e del mercato del lavoro, considerando che il World Economic Social Forum afferma che il 65 per cento dei bambini che oggi si iscrivono a scuola faranno al termine del loro percorso di studi un lavoro che oggi non esiste;

    a causa del continuo mutamento del mondo del lavoro e della riduzione del numero di lavoratori nel settore impiegatizio e subordinato e in conseguenza dell'aumento del lavoro intellettuale e creativo, è necessario promuovere un contatto più frequente tra la comunità scolastica e i lavoratori che, a vario titolo, anche nel campo della formazione, compresa quella sportiva, operano sul territorio;

    si ravvede, quindi, la necessità di revisionare in primis il concetto di alternanza scuola-lavoro, sostituendolo con le parole «apprendimento in azione» al fine di tracciare un percorso continuativo, lineare, trasparente di formazione;

    tale mutamento terminologico risponde all'esigenza di non dividere la formazione in tappe o in «alternanze», ma al contrario di garantire un percorso integrato disciplinare, di cittadinanza e di competenze spendibili professionalmente,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per ridefinire il percorso «alternanza scuola-lavoro» in un percorso di «apprendimento in azione», il quale preveda un'azione integrata in cui l'obiettivo sia quello di accompagnare l'acquisizione di competenze spendibili nel mercato del lavoro con l'acquisizione di competenze in materia di cittadinanza;

   ad assumere iniziative volte ad eliminare l'obbligatorietà, così come prevista dalla legge 13 luglio 2015, n. 107, dell’«alternanza scuola-lavoro», ridefinendola con il più adeguato «apprendimento in azione»;

   ad assumere iniziative per aumentare le risorse spendibili per ogni ora di intervento nei progetti di «apprendimento in azione» rispetto a quelle finora spendibili per ogni ora di «alternanza scuola-lavoro»;

   ad adottare iniziative per ampliare le occasioni di formazione previste per il personale scolastico per la costruzione di percorsi di «apprendimento in azione» (service learning, learning by doing, ricerca-azione, didattica esperienziale e altro);

   a promuovere la creazione di una short list in ogni istituto scolastico di professionisti e formatori professionali a vario titolo, compresi quelli operanti nel settore sportivo, che siano disponibili a supportare gratuitamente o in forma retribuita i progetti di «apprendimento in azione»;

   a promuovere, per quanto di competenza, anche stanziando specifiche risorse finanziarie, l'uso di spazi pubblici e privati, all'aperto o al chiuso, in cui svolgere attività educative sul territorio;

   ad assumere iniziative per istituire un fondo triennale per premiare l'innovazione didattica e il coinvolgimento di pedagogisti nei progetti di «apprendimento in azione»;

   ad assumere iniziative per garantire incentivi alle imprese, agli enti pubblici o agli studi professionali che investono in spazi di formazione o in personale specializzato nella formazione per studenti iscritti alla scuola di II grado, e coinvolti nei progetti di «apprendimento in azione».
(7-00006) «Gallo, Acunzo, Azzolina, Bella, Carbonaro, Casa, Frate, Giordano, Lattanzio, Mariani, Marzana, Melicchio, Nitti, Testamento, Tuzi, Villani».


   La VII Commissione,

   premesso che:

    nel 1997 il Comitato Unesco decide l'iscrizione di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata nella lista del patrimonio mondiale dell'umanità grazie al riconoscimento delle caratteristiche intrinseche di integrità, autenticità e unicità da mantenersi mediante un piano di gestione secondo quanto stabilito dalle linee guida operative dell'Unesco per l'applicazione della convenzione sul patrimonio mondiale;

    la caratteristica principale è data dalla creazione di una zona tampone, «buffer zone», ovvero di «un'area che deve garantire un livello di protezione aggiuntiva ai beni riconosciuti patrimonio mondiale dell'umanità»;

    con la sottoscrizione dei protocolli d'intesa del 25 novembre 2013 e del 23 dicembre 2013, il tavolo di concertazione del piano di gestione del sito Unesco, costituito da organi del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, dalla regione Campania, dalla provincia di Napoli e dai comuni territorialmente interessati, è pervenuto alla condivisione e approvazione del nuovo piano di gestione e alla perimetrazione di una nuova buffer zone, che comprende quasi integralmente i territori comunali di Portici, Ercolano, Torre del Greco, Trecase, Boscotrecase, Boscoreale, Torre Annunziata, Pompei e Castellammare di Stabia;

    il nuovo piano di gestione mira ad individuare ed indirizzare un organico ed unitario sistema di turismo sostenibile per l'area vesuviana compresa appunto nella suddetta area, attraverso l'individuazione di percorsi tematici intorno ai quali organizzare un sistema turistico territoriale;

    come si evince dal documento di orientamento – prime indicazioni operative, «tale tipo di fruizione prevede l'organizzazione di percorsi tematici, da prenotare attraverso i siti internet della Soprintendenza e del Centro di comunicazione del sito Unesco, nelle aree archeologiche e nel territorio, offerti secondo una logica di programmazione e turnazione, ad esempio annuale, da affiancare alla visita libera delle aree stesse e del territorio»;

    tale «metodo turistico», che prevede una rotazione programmata dei percorsi tematici, associata ad una turnazione annuale delle aree di visita, dunque, si sostanzierebbe in «sottosistemi», che raccordano i beni che si concentrano intorno ad Ercolano, Pompei e Castellammare di Stabia attraverso «itinerari tematici» capaci di collegarli tra loro, e presenterebbe significativi risvolti positivi in termini di: efficacia didattica, che risulta accresciuta per effetto della minore congestione dei siti e della visita indirizzata verso i siti e le attrazioni «minori»; crescita del numero di visitatori, per effetto non solo della crescita delle visite nei siti minori e della «spalmatura» delle visite lungo tutta la giornata e in tutti i 12 periodi dell'anno, ma anche delle politiche di marketing che la gestione dei percorsi consentirà di attivare; crescita della tutela, come conseguenza diretta della possibilità di potere effettuare, per tutti i percorsi, una «manutenzione programmata»;

    come si evince dal registro ufficiale (n. U0150383 del 7 settembre 2017) della città metropolitana di Napoli, i comuni interessati (ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della legge 112 del 2013), pongono in essere un tavolo tecnico di condivisione con tutti i rappresentanti regionali e ministeriali, ove emerge l'esigenza del rilancio economico, sociale e la riqualificazione urbanistica della buffer zone, operando una sintesi dei progetti presentati dai singoli comuni che manifestano la necessità di una riconversione urbana e recupero del paesaggio;

    il decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, e successivamente modificato dalla legge 29 luglio 2014, n. 106, individua il «piano strategico» per il rilancio socio-economico dell'area comprendente l'insieme dei comuni interessati dal piano di gestione del sito Unesco, ovvero della cosiddetta buffer zone, quale strumento per la definizione di una strategia unitaria finalizzata:

     al miglioramento delle vie di accesso e interconnessioni ai siti archeologici;

     al recupero ambientale dei paesaggi degradati e compromessi, prioritariamente mediante il recupero e il riuso di aree industriali dismesse;

     alla riqualificazione e rigenerazione urbana, nel rispetto del principio del minor consumo di territorio e della priorità del recupero;

     alla promozione di forme di partenariato pubblico-privato, nonché di coinvolgimento di organizzazioni no profit impegnate nella valorizzazione del patrimonio culturale;

    al fine di consentire il rilancio economico-sociale e la riqualificazione ambientale e urbanistica dei comuni interessati dal piano di gestione del sito Unesco «Aree archeologiche di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata», nonché di potenziare l'attrattività turistica dell'intera area, la normativa di cui sopra istituisce, inoltre, la governance del Grande Progetto Pompei, GPP, di cui all'articolo 2 del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, e alla decisione comunitaria 29 marzo 2012, esplicitando le funzioni:

     del direttore generale di progetto (DGP, coadiuvato da una struttura di supporto formata da venti unità nonché da un gruppo di cinque esperti in materia giuridica, economica, architettonica, urbanistica e infrastrutturale);

     dell'unità grande Pompei (UGP, legalmente rappresentato dal DGP) con il compito di curare progettazione, realizzazione e gestione degli interventi;

     del comitato di gestione (composto dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, dal Ministro per la coesione territoriale, dal presidente della regione Campania, dal sindaco della città metropolitana di Napoli, dai sindaci dei comuni interessati e dai legali rappresentanti degli enti pubblici e privati coinvolti) insediatosi il 7 gennaio 2015 che ha, inter alia, il compito di approvare il piano strategico per lo sviluppo delle aree comprese nel piano di gestione del sito Unesco di cui sopra predisposto dall'UGP (come da regolamento approvato in data 10 febbraio 2015);

    nella circostanza dell'insediamento del comitato di gestione, in data 7 gennaio 2015, il direttore generale di progetto ha presentato l'atto organizzativo del comitato stesso, proponendone l'approvazione nella successiva seduta, e il documento di orientamento – parte I per la definizione del piano strategico;

    nella seduta del 10 febbraio 2015 è stato presentato il succitato documento di orientamento – prime indicazioni operative, prodotto dall'UGP al fine di orientare il successivo lavoro da svolgere; il comitato di gestione ha approvato l'atto organizzativo e l'avvio dei tavoli tecnici volti a definire i contenuti del piano strategico; come dimostrato dalla sintesi delle riunioni dei tavoli tecnici di cui sopra presente nell'allegato A al verbale del comitato di gestione del 22 settembre 2015, si è manifestata una oggettiva difficoltà degli enti locali a produrre adeguate proposte progettuali, anche a causa di mancanze a livello finanziario e di competenze (non previste dalla normativa), i quali si sono focalizzati, tout court, sulle esigenze meramente locali, comportando una scarsa aderenza ai contenuti specifici del documento di orientamento che invece postula una visione di insieme del territorio interessato, conformemente al contenuto della legge 7 ottobre 2013, n. 112; si è inoltre manifestato un «limitato livello di approfondimento progettuale delle proposte, pervenute nella forma di elenchi, relazioni, a volte studi di fattibilità, e prive di indicazioni sul rispetto dei vigenti strumenti urbanistici e vincoli ambientali-paesistici»;

    a seguito della pubblicazione di un apposito avviso, con nota del DGP n. 194 del 25 febbraio 2015, sarebbero pervenuti contributi da parte di soggetti privati, in forma di iniziativa singola o di associazione, anche in questo caso evidenziando un «limitato contributo propositivo»;

    contestualmente, l'UGP ha avviato una serie di incontri con enti, istituzioni, associazioni, società, a vario titolo interessati allo sviluppo dell'area della buffer zone (autorità di bacino, Agenzia del demanio, Trenitalia Rfi, EAV ex Circumvesuviana, capitaneria di porto di Torre del Greco, associazioni industriali – Acen;

    in data 12 maggio 2015 si è tenuto presso la regione Campania un incontro preliminare, con esito sospeso, volto ad avviare un rapporto collaborativo con le competenti direzioni, a seguito di quanto emerso dai tavoli tecnici con i comuni;

    in data 3 settembre 2015 si è tenuto un incontro con rappresentanti della città metropolitana di Napoli, al fine di chiarire aspetti connessi alla definizione del piano strategico, anche alla luce del protocollo d'intesa recentemente sottoscritto tra i comuni di Napoli, Pompei, Ercolano e Torre Annunziata;

    con il contributo di «Tirocinanti selezionati a seguito del D.M. 9 luglio 2014, fornito nello svolgimento della loro attività formativa, e con l'ausilio di professionista appartenente alla Segreteria Tecnica di progettazione della SSPES, in ambito UGP è stato prodotto un Rapporto preliminare ambientale, quale analisi propedeutica al Piano Strategico»;

    in data 22 settembre 2015, infine, il Comitato di gestione per il piano strategico per lo sviluppo delle aree comprese nel piano di gestione del sito Unesco ha preso atto del conseguito accordo sulla proposta, avanzata da Ferrovie dello Stato italiane (FS) e dall'Ente autonomo Volturno (EAV, ex Circumvesuviana) per mezzo dell'amministratore delegato del gruppo Ferrovie dello Stato Italiane Ing. Michele Mario Elia, relativa ad un «collegamento Porto di Napoli-Pompei Scavi, nonché alla realizzazione di un nodo integrato FS-EAV tramite un hub nella stazione dismessa di Pompei Scavi della rete FS»;

    nel verbale della seduta del 22 settembre 2015 di cui sopra si evidenzia come tale hub ferroviario «localizzato in agro di Pompei, all'altezza dell'intersezione ivi esistente tra la linea FS Napoli-Salerno e la linea della circumvesuviana Napoli-Sorrento», «costituisca l'elemento invariante del più ampio progetto esposto e presentato al Ministro» e avrebbe la funzione di: «snodo di smistamento e indirizzamento a piedi del flusso turistico verso il sito archeologico; interscambio con la linea Circumvesuviana Napoli-Sorrento dell'EAV e con le altre modalità di trasporto via terra; accesso diretto da tutta la rete nazionale con possibilità di collegamenti dalle principali città italiane anche con treni AV sino al nuovo hub»;

    il nuovo hub di Pompei Scavi (al chilometro 23+070 circa della linea tradizionale Napoli-Salerno), la cui struttura è concepita su due livelli per una superficie complessiva di circa 1500 metri quadrati e il cui collaudo finale è previsto 18 mesi dopo la data di inizio dei lavori, è realizzato in corrispondenza dell'intersezione della linee Ferrovia dello Stato italiane Napoli-Salerno con linea circumvesuviana Napoli-Sorrento e prevede un parcheggio di interscambio modale di circa 200 posti del costo stimato di 10.000.000 di euro e una «piastra» collegata direttamente agli scavi di Pompei tramite un percorso pedonale attrezzato («passerella di collegamento con ingresso diretto nel sito»), svolgendo, quindi, la funzione di nodo di smistamento e indirizzamento del flusso turistico verso il sito archeologico;

    il costo stimato del solo hub è di 17.000.000 di euro, mentre il costo complessivo dell'intero progetto, che prevede anche l'attrezzaggio del servizio navetta tra molo Beverello e fermata Varco Carmine, oneri vari e spese tecniche e generali, si aggira tra 35.800.000 e 46.000.000 di euro;

    tutte le aspettative di cui al nuovo piano di gestione della buffer zone circa una strategia volta ad un turismo sostenibile diviso in percorsi tematici omogenei risultano tradite da un piano strategico, approvato dal comitato di gestione e dal Governo, che è teso ad accentrare e far confluire in un hub ferroviario i flussi turistici esclusivamente verso il sito archeologico di Pompei, bypassando così la stessa città di Pompei, oltreché tutti gli altri siti dei comuni della buffer zone, e alimentando un turismo del tipo «mordi e fuggi»;

    si ritiene che la soluzione del nuovo hub di Pompei Scavi approvata dal comitato di gestione, ancorché estremamente onerosa, non rispetti le finalità preposte dal piano strategico per l'intera buffer zone Unesco né i principi ispiratori stessi della legge 7 ottobre 2013, n. 112, tra cui: rilancio economico-sociale e potenziamento dell'attrattività del territorio dell'area archeologica vesuviana della buffer zone Unesco;

    ricongiungimento delle «aree interesse» insistenti sul territorio, principalmente costituite dal patrimonio culturale, dalle risorse ambientali, naturali e paesaggistiche; miglioramento delle vie di accesso e interconnessioni ai siti archeologici; recupero ambientale dei paesaggi degradati e compromessi, prioritariamente mediante il recupero e il riuso di aree industriali dismesse, riqualificazione e rigenerazione urbana, nel rispetto del principio del minor consumo di territorio e della priorità del recupero;

    tali intenti sono stati relazionati dal direttore generale del grande progetto Pompei, generale Curatoli, all'audizione del 26 ottobre 2017 in VII Commissione permanente (Cultura, scienza e istruzione) ove in riferimento alle istanze pervenute della realtà locali, delinea alcune ipotesi di intervento come un «percorso integrato» Scavi di Pompei/Santuario della Beata Vergine del Rosario tramite linea EAV Napoli-Poggiomarino e stazione di Pompei che permette di combinare un'unica escursione, oppure rendere il «treno archeologico», già in servizio, un collegamento da Napoli fino agli scavi di Castellammare,

    sarebbe opportuno aumentare il numero delle corse dei treni delle Ferrovie dello Stato Italiane e supportare economicamente il rilancio del trasporto pubblico locale per prevedere corse dedicate ai percorsi tematici dei turisti con un apposito fondo statale da assegnare alla regione Campania, mettendo fine all'opera di ridimensionamento tecnico degli ultimi anni che ha portato all'attuale saturazione dei convogli nelle ore di punta e garantendo la sicurezza necessaria sui convogli medesimi;

    sarebbe auspicabile la realizzazione di un «percorso naturalistico» nel parco nazionale del Vesuvio mediante l'adozione dei decreti attuativi necessari per la corretta fruibilità del parco, nonché un corretto sviluppo di micro o piccole imprese ecosostenibili anche con finalità turistiche,

impegna il Governo:

   a proporre un piano strategico per lo sviluppo delle aree comprese nel piano di gestione del sito Unesco mediante il quale realizzare un piano di sviluppo chiamato distretto Grande Bellezza Pompei che punti alla creazione di percorsi tematici «spalmati» nell'intera buffer zone all'interno dei quali organizzare un sistema turistico territoriale con lo scopo di trattenere il turista nell'area e di permettergli di conoscere tutte le bellezze culturali, artistiche, archeologiche, paesaggistiche, naturali e della tradizione eno-gastronomica, utilizzando quota parte dei fondi del programma operativo nazionale (PON) «cultura e sviluppo» 2014-2020 destinato a 5 regioni del Sud Italia, Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia;

   ad adoperarsi per il ritiro della proposta di realizzazione di un hub che, così come progettato allo stato, ovvero con centro commerciale a due piani, piastra di collegamento e con ponte pedonale, accentrerebbe e indirizzerebbe il flusso turistico esclusivamente nel sito degli scavi di Pompei deprimendone così il transito, la ricaduta economica e culturale sulla buffer zone e le visite negli altri comuni della buffer zone, oltreché nella stessa città di Pompei, promuovendo in alternativa un interscambio tra le due attuali stazione di Ferrovie dello Stato italiane e della ex Circumvesuviana;

   ad assumere iniziative per destinare risorse adeguate alla costituzione di una flotta di navette elettriche per il trasporto di turisti che serva tutte le stazioni delle Ferrovie dello Stato italiane nella buffer zone;

   a promuovere un accordo tra Stato, regione, EAV ex-Circumvesuviana, Rete ferroviaria italiana, Soprintendenza di Napoli e Pompei per la creazione di un biglietto unico che integri trasporto e ingresso ai beni culturali della buffer zone, anche di tipo digitale, a prezzi agevolati per turisti, mediante collaborazioni con partner pubblici (Reggia di Caserta e altri) o privati (aziende di carpooling, carsharing e bikesharing e altro);

   ad approntare un piano di digitalizzazione di tutti i beni culturali, artistici, archeologici e paesaggistici presenti nella buffer zone atto a promuovere gli stessi nel mondo, anche con la realizzazione di un apposito open data utile per la nascita e lo sviluppo di imprese culturali;

   a realizzare un «portale trasparenza» unico per i beni culturali della buffer zone che renda conoscibile ogni iniziativa intrapresa nell'ambito del Grande Progetto Pompei e del piano di gestione Unesco;

   a promuovere un intervento di riqualificazione con l'obiettivo di tutelare e poi rendere fruibile al sistema integrato di percorsi tematici «spalmati» nell'intera buffer zone, da parte della Soprintendenza di Napoli e Pompei, almeno un bene per ogni comune, la cui valorizzazione e promozione sia affidata mediante un concorso di idee con progetti presentati al comitato di gestione del Grande Progetto Pompei;

   a incentivare in maniera efficace l'individuazione di percorsi tematici di mobilità «dolce» di percorsi costieri e con vettori del mare «spalmati» nell'intera buffer zone all'interno dei quali valorizzare l'attrattività dei beni culturali;

   a intervenire per recuperare, ristrutturare e valorizzare il sistema delle ville di epoca romana e borbonica nella buffer zone con un piano pluriennale e realizzare una piattaforma di ormeggio per i collegamenti marittimi con Napoli che possano approdare direttamente alle ville del mare sotto la tutela della sopraintendenza.
(7-00007) «Gallo».


   La VII Commissione,

   premesso che:

    la legge n. 991 del 1952 recante «Provvedimenti in favore dei territori montani» definisce comuni montani quelli che hanno l'80 per cento della superficie al di sopra dei 600 metri di altitudine o un dislivello maggiore di 600 metri;

    la classificazione dei comuni per grado di montanità prevede la suddivisione degli stessi in «totalmente montani», «parzialmente montani» e «non montani», così come trasmessa dall'Uncem (Unione nazionale comuni comunità enti montani) all'Istat, ai sensi dell'articolo 1 della citata legge;

    secondo tale classificazione 57 comuni sui 73 della provincia di Rieti risultano essere totalmente montani;

    in molti dei suddetti comuni gli edifici scolastici sono collocati a valle rispetto ai centri abitati e vi sono disagevoli condizioni di viabilità; in tale area si registra inoltre una dispersione degli insediamenti abitativi;

    sarebbe opportuno il riconoscimento della condizione di scuola di montagna con riguardo a tutti gli istituti scolastici che si trovano in tale area, in modo tale da garantire l'autonomia degli istituti scolastici ed evitare il sovraffollamento delle classi dovuto all'accorpamento delle stesse anche in forma di pluriclassi;

    l'accentramento dei servizi pubblici in un territorio caratterizzato da scarsa densità abitativa, come quello della provincia di Rieti, peggiora la qualità della vita,

impegna il Governo

ad assumere iniziative normative al fine di definire i criteri per riconoscere come scuole di montagna tutte quelle collocate nei comuni totalmente montani.
(7-00008) «Frassinetti, Trancassini».


   La VIII Commissione,

   premesso che:

    l'idea di uno sbarramento delle acque dell'Enza, all'altezza di Vetto, in provincia di Reggio Emilia, non è certo una novità. I primi progetti per la realizzazione di una diga risalgono ormai a quasi 160 anni fa, quando si iniziò a ragionare sullo sfruttamento delle poderose correnti del fiume nella zona;

    associazioni di categoria ed amministratori, ancora di recente, hanno evidenziato la necessità di realizzare un invaso in alta Val d'Enza, ritenendo quest'ultimo indispensabile per lo sviluppo della montagna e dell'agricoltura della valle in questione;

    quella che comunemente viene indicata come la «diga di Vetto», oltre alla produzione di energia elettrica per un bacino di circa 35.000 persone, servirebbe anche per la risoluzione dell'annoso problema del deficit idrico della bassa Val d'Enza che – da sempre – rende difficoltose le irrigazioni per circa 5/6 mesi all'anno di quelle coltivazioni che, storicamente, rappresentano l'eccellenza agroalimentare delle provincie di Reggio Emilia e Parma;

    il piano di tutela delle acque (PTA), approvato dall'Assemblea legislativa dell'Emilia-Romagna con deliberazione n. 40 del 21 dicembre 2005, non contempla – per contro – la realizzazione del detto invaso, ma resta il fatto che il deficit idrico delle province di Reggio Emilia e Parma, nell'asse della conoide dell'Enza, può essere quantificato in oltre 40 milioni di metri cubi all'anno solo per il settore irriguo;

    giova ricordare che la «diga di Vetto» venne qualificata opera urgente e indifferibile per l'irrigazione delle terre di produzione del Parmigiano-Reggiano già nel 1987. Il progetto allora presentato, lo studio di impatto ambientale approvato e le dichiarazioni Ismes richieste dal ministero dell'Ambiente, ebbero infatti a certificare la fattibilità dell'intervento e la sicurezza dell'opera. Al riguardo, si evidenzia che i lavori per la costruzione dell'invaso vennero sospesi nel 1989 e che il Governo pro tempore – nel 1992 – ribadì l'importanza dell'opera. Tuttavia, i lavori non sono più stati ripresi, anche per la forte opposizione della regione Emilia-Romagna, in contrasto con la posizione della gran parte delle amministrazioni locali,

impegna il Governo

a verificare, anche attraverso una conferenza di servizi tra i Ministeri delle infrastrutture e dei trasporti, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e delle politiche agricole alimentari e forestali se permangano, così come i fatti paiono attestare, le urgenti necessità di realizzare la «diga di Vetto» e, in caso affermativo, individuare le risorse finanziarie per la realizzazione della stessa, previa richiesta alla regione Emilia-Romagna della modifica della pianificazione in essere al riguardo.
(7-00004) «Foti».


   La IX Commissione,

   premesso che:

    la legge 18 luglio 1957, n. 614, ha affidato alla gestione governativa navigazione laghi l'esercizio delle linee di navigazione in servizio pubblico sui laghi di Como, Garda e Maggiore, prevedendo che l'eventuale disavanzo di bilancio sia coperto con i fondi stanziati annualmente dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, a cui spetta la vigilanza sull'amministrazione, affidata ad un gestore;

    la gestione della navigazione sui tre grandi laghi del Nord Italia è stata interessata dal processo di regionalizzazione avviato dalla legge 15 marzo 1997, n. 59, recante delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa;

    il sistema di gestione corrisponde, invero, alla logica e ai principi del decentramento enunciati dalla legge n. 59 del 1997, secondo cui i conferimenti alle regioni e agli enti locali coinvolgono «tutte le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità, nonché tutte le funzioni e i compiti amministrativi localizzabili nei rispettivi territori» (articolo 1, comma 2);

    le deleghe per le anzidette gestioni sono state attuate con il decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, che, all'articolo 11, ha disposto il trasferimento della gestione governativa per la navigazione sui laghi Maggiore, di Como e di Garda alle regioni territorialmente competenti e alla provincia autonoma di Trento, previo risanamento tecnico economico, da finanziare con i fondi e le modalità di cui all'articolo 2 della legge n. 194 del 1998;

    le regioni interessate sono la Lombardia per ciascuno dei tre laghi, il Piemonte per il lago Maggiore e il Veneto, nonché la provincia autonoma di Trento, per il lago di Garda;

    sempre dal citato articolo 11 decreto legislativo n. 422 del 1997 è stata prevista l'intesa delle regioni medesime con i Ministeri delle infrastrutture e dei trasporti e dell'economia e finanze competenti, di concerto, per l'approvazione del piano di risanamento predisposto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;

    la procedura per l'approvazione del piano è attualmente in una situazione di stallo;

    è, peraltro, opportuno considerare che, in correlazione con l'approvazione del piano di risanamento, occorre procedere alla ricognizione dei beni della gestione per il successivo trasferimento agli enti locali, in applicazione della recente normativa secondo cui molti beni delle regioni passano alle province e ai comuni;

    a tal fine, è stata istituita un'apposita commissione con la partecipazione anche di rappresentanti delle amministrazioni del tesoro e delle finanze nonché degli enti interessati, i cui lavori, però, sono ugualmente fermi a causa di difficoltà operative derivanti – secondo quanto riferito dalla competente direzione generale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – dalla mancata collaborazione di tutti gli enti locali coinvolti;

    i profili di interesse generale relativi alla gestione della navigazione lacuale sono individuabili nei riflessi di ordine economico connessi allo sviluppo dell'afflusso turistico e negli effetti positivi – sia in termini economici e sia, ancor più, in termini di favorevole impatto ambientale – derivanti dallo sviluppo del traffico mercantile per via d'acqua in alternativa a quello su strada, fortemente inquinante;

    durante la XVI legislatura, l'8a Commissione lavori pubblici e comunicazioni del Senato ha svolto nel 2011 un'indagine conoscitiva sulle problematiche e sviluppo della navigazione lacuale;

    il percorso prospettato dall'indagine conoscitiva per giungere alla regionalizzazione del servizio consta di tre fasi: in primo luogo, si dovrebbe procedere all'aggiornamento del piano di risanamento tecnico-economico per l'individuazione e il reperimento dei fondi necessari, facendo riferimento ai dati contenuti negli studi commissionati dalle regione; successivamente si dovrebbe raggiungere un accordo tra le regioni interessate per la gestione delle funzioni e delle competenze trasferite, e, infine, si dovrebbe stipulare un accordo di programma tra lo Stato e le regioni per definire le risorse finanziarie necessarie;

    l'indagine ha altresì evidenziato la possibilità di prevedere una separazione giuridica tra il proprietario di beni e infrastrutture e il gestore del servizio vincitore della gara, conservando la proprietà dei beni e delle infrastrutture in capo a una società pubblica, e non escludendo la possibilità di affidare tutta la gestione con finanza di progetto;

    negli anni, a causa della riduzione degli stanziamenti, la gestione governativa dei laghi ha dovuto operare scelte di riduzione del servizio di trasporto passeggeri, in particolare delle corse veloci, e di traghettamento degli autoveicoli, nonché l'aumento delle tariffe applicate, che hanno colpito in particolare gli utenti pendolari, generando conseguenze negative sia in termini occupazionali (anche rispetto alla possibilità di assunzione di lavoratori stagionali), sia in termini di attrattività turistica delle aree lacuali, e inibendo le potenzialità del trasporto su acqua;

    la mancata regionalizzazione della gestione governativa per la navigazione sui laghi Maggiore, di Garda e di Como sta rendendo progressivamente più incerta la programmazione del servizio di trasporto lacuale, secondo le esigenze sociali, economiche, territoriali e di mobilità dei territori interessati,

impegna il Governo:

   ad adottare le iniziative di competenza utili a dare rapida attuazione al processo di regionalizzazione previsto dall'articolo 11 del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, in particolare per quanto riguarda la predisposizione di un piano aggiornato di risanamento tecnico-economico necessario a definire il trasferimento delle competenze in materia di gestione del trasporto pubblico lacuale e l'assegnazione delle conseguenti risorse in conio capitale e d'esercizio;

   ad avviare un tavolo tecnico con le regioni coinvolte al fine di stabilire tutte le rispettive competenze ed attività da attuare per portare a conclusione in tempi rapidi il menzionato processo di regionalizzazione.
(7-00002) «Fidanza, Butti, Ciaburro, Luca De Carlo, Frassinetti, Maschio».


   La X Commissione,

   premesso che:

    il piano nazionale industria 4.0 (ridenominato Impresa 4.0) intende promuovere le imprese italiane attraverso la previsione di un insieme di misure organiche e complementari in grado di favorire gli investimenti e lo sviluppo tecnologico del tessuto imprenditoriale italiano, caratterizzato in prevalenza da realtà produttive piccole e medie;

    la modernizzazione dei processi produttivi è, infatti, uno strumento essenziale attraverso cui le piccole e medie imprese possono guadagnare competitività sui mercati internazionali;

    in particolare, le misure adottate con la legge di bilancio 2018 e il cosiddetto «decreto fiscale» (decreto-legge n. 148 del 2017) fanno leva prevalentemente su incentivi automatici a vantaggio delle piccole e medie imprese che investono e che ogni azienda può attivare senza ricorrere a bandi o sportelli e, soprattutto, senza vincoli dimensionali, settoriali o territoriali;

    secondo i dati forniti dal Ministero dello sviluppo economico, nel 2017 le imprese che hanno investito in ricerca e sviluppo sono più che raddoppiate (+104 per cento rispetto al 2016); gli ordinativi interni dei beni 4.0 sono incentivati da super e iperammortamento; il fondo di garanzia per le piccole e medie imprese ha garantito 17,5 miliardi di euro di crediti aggiuntivi; i contratti di sviluppo hanno attivato 4 miliardi di euro di investimenti creando o salvaguardando 58 mila posti di lavoro e l’export è cresciuto dell'8 per cento, più di Francia e Germania;

    alla fine del 2018 tali incentivi scadranno, o resteranno comunque senza risorse;

    l'attuale Governo non è andato oltre dichiarazioni generali a sostegno del programma Industria 4.0 e una generale incertezza al momento caratterizza il futuro delle politiche industriali, così come emerge dallo stesso contratto di Governo: si parla di favorire nuove competenze e si prevedono generiche «misure di sostegno alle micro e piccole imprese nel rinnovamento dei loro processi produttivi» anche per favorire la diffusione delle tecnologie avanzate;

    già in vista della manovra in autunno, però, bisognerà passare dai principi ai fatti: se si volesse lasciare intatto l'attuale quadro di policy per l'industria, alla fine dell'anno andrebbero rifinanziate misure per circa 3 miliardi di euro;

    l'iperammortamento e il superammortamento fiscale, cuore del piano Industria 4.0, valgono da soli 1,1 miliardi di euro l'anno di impegno per le casse pubbliche e in entrambi i casi gli investimenti in beni e macchinari dovranno essere effettuati entro il 31 dicembre 2018;

    è vero che l'ultima legge di bilancio ha previsto una proroga fino al 2019, al 30 giugno per il superammortamento e al 31 dicembre per l’«iper», ma tale previsione vale solo per le consegne effettuate se, comunque, si è versato un acconto pari ad almeno il 20 per cento entro il 2018;

    l'impatto sulla crescita è stato stimato nell'ultimo documento di economia e finanza (Def): considerando la parte centrale del capitolo Impresa 4.0, quindi le misure per gli investimenti innovativi e le competenze, il Ministero dell'economia e delle finanze ha calcolato un potenziale scostamento del prodotto interno lordo dello 0,7 per cento in cinque anni;

    l'Istat stima invece che «super» e «iperammortamento», uniti al credito di imposta per la ricerca (coperto finanziariamente fino al 2020) producano una crescita complessiva degli investimenti dello 0,1 per cento annuo;

    i risultati raggiunti fin qui sono positivi, anche a livello microeconomico, ma si è soltanto all'inizio di un percorso che deve portare a dove l'Italia era prima della crisi e a migliorare: oggi la produzione industriale è in ritardo rispetto al fatturato, segnale del fatto che finora si sono abbattute le scorte, e questo vuol dire che gli spazi di miglioramento ancora ci sono,

impegna il Governo

ad adottare iniziative per confermare e rifinanziare il piano nazionale impresa 4.0 al fine di stabilizzare i segnali di crescita dell'economia e scongiurare una frenata degli investimenti già all'inizio del prossimo anno.
(7-00003) «Silvestroni, Meloni, Delmastro Delle Vedove, Prisco».


   La XI Commissione,

   premesso che:

    Poste Italiane s.p.a. circa otto anni fa ha lanciato un progetto, denominato «Mix», volto ad avviare un turnover dei dipendenti, che consisteva nel proporre ai dipendenti (ma prevedendo anche l'adesione su base volontaria del lavoratore) non ancora in età pensionabile di lasciare in anticipo il posto di lavoro, rinunciando a buona parte dell'incentivo riservato a chi opta per il prepensionamento standard, in cambio dell'assunzione di un parente con contratto a tempo indeterminato part time;

    i primi aderenti al progetto «Mix», oltre sette anni fa, hanno ottenuto la conversione del loro contratto da «part time» in tempo indeterminato dopo pochi mesi;

    da sette anni a questa parte le conversioni si sono totalmente fermate, e negli ultimi mesi l'azienda, con il nuovo corso dirigenziale, aveva lasciato intuire di voler avviare un massiccio piano di conversione dei contratti su scala nazionale, anche in considerazione dell'elevato numero di pensionamenti annunciato per il prossimo triennio;

    attraverso un accordo con i sindacati nazionali di categoria, l'azienda ha convenuto di procedere sia ad un piano di conversione di contratti che ad un piano di stabilizzazione dei lavoratori precari, a tempo determinato, che si occupano del comparto servizi postali, su scala nazionale;

    l'esame dei numeri, tuttavia, lascia emergere che la Sicilia risulta fortemente penalizzata rispetto ad altre regioni: nell'isola, infatti, risultano essere solamente diciotto le conversioni nel settore del mercato privati, solo venti in quello dei servizi postali, e non risulta nessuna stabilizzazione dei lavoratori a tempo determinato, al contrario di quanto sta accadendo in altre regioni, soprattutto del Nord, dove i numeri sono nettamente superiori;

    in Sicilia ci sono oltre ottocento lavoratori part time, quasi duecentocinquanta nella sola provincia di Palermo, e alcune migliaia di lavoratori a tempo determinato;

    inoltre, anche se l'azienda sostiene il contrario, in Sicilia si riscontra una carenza di personale, testimoniata dalle continue difficoltà che si trovano a dover gestire i direttori degli uffici e gli stessi lavoratori;

    si tratta di una battaglia molto sentita, per la quale è già nato un comitato spontaneo denominato #FullTimeSubito per i lavoratori postali siciliani, che conta già circa cinquecento adesioni,

impegna il Governo

a convocare un tavolo tecnico tra i rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di Poste italiane e della regione siciliana per avviare un confronto sulle prospettive dei lavoratori dell'azienda in Sicilia, al fine di fornire all'azienda ed all'utenza siciliana servizi di qualità ed operare quel necessario riequilibrio nella distribuzione delle conversioni a tempo indeterminato operata dall'azienda a livello nazionale, nonché nella trasformazione dei contratti part rime a tempo pieno, ed evitare che la Sicilia sia ancora una volta penalizzata da scelte aziendali che, come spesso accade, non prestano la dovuta attenzione alla situazione del Sud.
(7-00005) «Bucalo, Varchi».


   La XI Commissione,

   premesso che:

    l'Italia, nel suo processo di industrializzazione, ha purtroppo conosciuto la diffusione dell'amianto quale materiale largamente utilizzato nell'ambito di molteplici manufatti;

    resistente e a basso costo, il suo maggiore utilizzo è avvenuto nel periodo compreso nel trentennio tra la fine degli anni ’50 fino alla soglia degli anni ’90;

    la sua pericolosità inizialmente è stata ignorata, nonostante alcuni studi ne dimostrassero la nocività per la salute, sin dai primi del ’900;

    con la direttiva 83/477/CEE, già nel 1983 si vietava anche in Italia l'applicazione dell'amianto spruzzato in edilizia;

    studi epidemiologici hanno dimostrato ampiamente la tossicità dell'amianto per l'apparato respiratorio. Le manifestazioni tipiche sono state determinate nell'insorgenza di neoplasie a carattere tumorale, riconducibili all'esposizione ad asbesto; la medicina ha evidenziato che lo sviluppo di patologie ha un periodo di latenza nell'ordine dei venti-venticinque anni;

    tuttavia, solo con la legge n. 257 del 1992 e successive modificazioni è stata definitivamente vietata anche l'attività di estrazione, importazione ed esportazione, produzione e commercializzazione dell'amianto e dei prodotti contenenti amianto;

     attraverso la richiamata legge sono stati individuati i criteri per l'accesso anticipato, in favore dei lavoratori esposti all'amianto, al trattamento pensionistico per un periodo pari al 50 per cento di dimostrata qualificata esposizione, purché fosse stata decennale (articolo 13, comma 8), oppure senza alcuna limitazione per coloro che avessero contratto patologie asbesto correlate (articolo 13, comma 7);

    si sono poi avuti ulteriori interventi legislativi, poiché sono emerse numerose criticità sanitarie legate a patologie asbesto correlate in moltissime aree industriali del Paese (da Monfalcone alla Valbasento);

    l'articolo 47, del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003, ha ridotto la misura previdenziale al 25 per cento, utile soltanto per l'entità della prestazione e con un termine di decadenza fissato al 15 giugno 2005;

    l'articolo 1, commi 20, 21 e 22, della legge n. 247 del 2007, con i quali per i siti oggetto di atto di indirizzo ministeriale il beneficio con il coefficiente di 1,5 utile per maturare anticipatamente il diritto a pensione era riconosciuto fino all'inizio delle bonifiche o al 2 ottobre 2003;

    vi è inoltre il riferimento alla direttiva 2009/148/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con l'esposizione all'amianto, di ridurre il rischio per l'incolumità e per la salute pubbliche conseguente alla presenza di amianto nei luoghi di vita e di lavoro;

    a venticinque anni dalla legge n. 257 del 1992 l'amianto è ancora molto diffuso, sotto diverse forme, su tutto il territorio nazionale;

    secondo Legambiente, gli edifici pubblici e privati contenenti amianto sarebbero più di 188.000, mentre i siti industriali dislocati su tutto il territorio nazionale e altre strutture contenenti la pericolosa fibra sarebbero 6.913 con una particolare incidenza anche per quel che riguarda edifici scolastici;

    nella scorsa legislatura sono stati conseguiti importanti successi per quanto riguarda la bonifica amianto;

    con la legge di stabilità 2015 sono stati stanziati 135 milioni di euro in tre anni per i siti di interesse nazionale di amianto;

    sono state portate a soluzione alcune importanti storiche vertenze come ad esempio quella dei lavoratori Isochimica e degli esposti del settore della produzione di materiale rotabile ferroviario che hanno prestato la loro attività nel sito produttivo, senza essere dotati degli equipaggiamenti di protezione adeguati all'esposizione alle polveri di amianto;

    è tempo di una definitiva soluzione normativa che ponga fine a trattamenti diseguali tra lavoratori esposti,

impegna il Governo

ad incrementare, con iniziative normative ad hoc e comunque a partire dal prossimo disegno di legge di bilancio, le risorse necessarie per la riapertura dei termini per la presentazione delle domande volte al riconoscimento dei benefici previdenziali in favore dei lavoratori esposti a amianto, ai sensi della legge n. 257 del 1992 non più esigibili dal 15 giugno 2005.
(7-00010) «Serracchiani, Carla Cantone, Gribaudo, Lacarra, Lepri, Romina Mura, Viscomi, Zan, Soverini».


   La XII Commissione,

   premesso che:

    come affermato nella relazione al Parlamento 2017 sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, relativa all'anno 2016, negli ultimi anni le principali caratteristiche dello scenario nazionale in materia di stupefacenti hanno subito mutamenti radicali;

    sempre secondo la citata relazione, si stima che in Italia circa una persona su tre – il 33,5 per cento di età compresa tra i 15 e i 64 anni, ha utilizzato almeno una sostanza psicoattiva illegale nella vita e la percentuale aumenta, raggiungendo il 43 per cento, se si concentra l'analisi sulla popolazione giovane adulta, ovvero quella di età compresa tra i 15 e i 34 anni;

    sulla base di quanto sottolineato dall'Osservatorio europeo sulle droghe e tossicodipendenze, nella relazione europea sulla droga 2018, viene posto in evidenza che l'Italia è il secondo paese nell'Unione europea per consumo di cannabis e il quarto per uso di cocaina;

    la comparazione dei dati circa il fenomeno tossicodipendenza in Italia, tra l'annualità solare 2007 e 2017, stando ai dati del Ministero dell'interno, evidenzia che le persone denunciate sono cresciute del 6,1 per cento, il numero di operazioni da parte delle forze dell'ordine è aumentato del 21,9 per cento, e rispetto ai quantitativi sequestrati si è registrato un generalizzato aumento, quantificato per la cocaina nel 55,1 per cento, per l’hashish nel 64,9 per cento, per le droghe sintetiche nel 237,2 per cento, mentre il quantitativo di marijuana sequestrata è aumentato addirittura del 963,6 per cento;

    la comparazione dei dati riferita alle annualità 2015 e 2016, vede un incremento delle persone deferite all'autorità giudiziaria del 17,3 per cento, così distribuite per tipologia di sostanze: marijuana +34,9 per cento, cocaina +17,8 per cento, hashish +16,1 per cento, eroina +11,3 per cento (fonte relazione annuale al Parlamento del dipartimento politiche antidroga);

    la comparazione dei dati riferita alle annualità 2015 e 2016, rileva, altresì, un clamoroso aumento di sostanze sequestrate dalle forze dell'ordine relativamente a: marijuana +347,1 per cento, piante di cannabis +233,6 per cento, cocaina +16,1 per cento (fonte relazione annuale al Parlamento del dipartimento politiche antidroga);

    l'articolo 1, comma 7, del Testo unico delle leggi in materia di stupefacenti, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, prevede che «Presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento nazionale per le politiche antidroga è istituito un Osservatorio permanente che verifica l'andamento del fenomeno della tossicodipendenza, secondo le previsioni del comma 8. Il Ministro per la solidarietà sociale disciplina, con proprio decreto, l'organizzazione e il funzionamento dell'Osservatorio, in modo da assicurare lo svolgimento delle funzioni previste dall'articolo 127, comma 2. Il Comitato si avvale dell'Osservatorio permanente»;

    l'Osservatorio nazionale permanente sulle tossicodipendenze, istituito in data 27 dicembre 2017, ad oggi, non è in alcun modo operativo e non è stata convocata alcuna riunione;

    l'articolo 1, comma 15, del citato decreto del Presidente della Repubblica prevede, inoltre, che «Ogni tre anni, il Presidente del Consiglio dei Ministri, nella sua qualità di Presidente del Comitato nazionale di coordinamento per l'azione antidroga, convoca una conferenza nazionale sui problemi connessi con la diffusione delle sostanze stupefacenti e psicotrope alla quale invita soggetti pubblici e privati che esplicano la loro attività nel campo della prevenzione e della cura della tossicodipendenza. Le conclusioni di tali conferenze sono comunicate al Parlamento anche al fine di individuare eventuali correzioni alla legislazione antidroga dettate dall'esperienza applicativa»;

    l'ultima Conferenza nazionale sui problemi connessi con la diffusione delle sostanze stupefacenti e psicotrope, alla quale partecipano soggetti pubblici e privati che esplicano la loro attività nel campo della prevenzione e della cura della tossicodipendenza, prevista dal Testo unico a cadenza triennale, si è tenuta a Trieste dal 12 al 14 marzo 2009;

    pertanto, da oltre nove anni manca un momento di condivisione dei dati e di riflessione sugli effetti della legislazione sulle droghe rispetto alla salute e i diritti umani e civili dei consumatori di droghe, alla sicurezza sociale e alla giustizia;

    anche la Consulta degli esperti e degli operatori sociali, prevista dall'articolo 132 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 ha cessato la sua attività nell'anno 2011;

    la delega per le politiche antidroga, il cui omonimo dipartimento è incardinato nella Presidenza del Consiglio dei ministri, dopo il 2011 non è più stata attribuita ad alcun esponente di Governo, fatto che ha determinato, secondo i firmatari del presente atto, un depotenziamento e un sostanziale immobilismo rispetto a questi temi negli ultimi sette anni;

    sono oltre sette anni che non è rifinanziato il fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga, rispetto al quale il comma 1 dell'articolo 127 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 prevede che «Il decreto del Ministro per la solidarietà sociale (...) in sede di ripartizione del Fondo per le politiche sociali, individua, nell'ambito della quota destinata al Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga, le risorse destinate al finanziamento dei progetti triennali finalizzati alla prevenzione e al recupero dalle tossicodipendenze e dall'alcoldipendenza correlata, secondo le modalità stabilite dal presente articolo. Le dotazioni del Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga individuate ai sensi del presente comma non possono essere inferiori a quelle dell'anno precedente, salvo in presenza di dati statistici inequivocabili che documentino la diminuzione dell'incidenza della tossicodipendenza»;

    è assolutamente necessario garantire la giusta attenzione alla questione delle dipendenze in Italia, al fine di poter offrire adeguate misure alla prevenzione, cura, trattamento e reinserimento socio-lavorativo nell'ambito delle dipendenze correlate alle droghe legali e illegali, unitamente a quelle comportamentali,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per ampliare i compiti del dipartimento delle politiche antidroga, cui attualmente sono assegnati la promozione, l'indirizzo e il coordinamento delle azioni di Governo atte a contrastare il diffondersi dell'uso di sostanze stupefacenti, delle tossicodipendenze e delle alcoldipendenze correlate, di cui al testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, affidandogli, altresì, la funzione di supporto per la promozione e il coordinamento dell'azione di Governo in materia di dipendenze comportamentali;

   in tale quadro, ad assumere iniziative per potenziare il medesimo dipartimento, istituito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 giugno 2008, in termini di personale, mantenendolo, incardinato nelle strutture generali permanenti della Presidenza del Consiglio dei ministri;

   ad adottare le iniziative di competenza per assegnare una specifica delega alle politiche antidroga, estendendola a tutte le forme di dipendenze patologiche, sia da sostanze che comportamentali;

   a convocare la Conferenza nazionale sulle politiche antidroga, ottemperando al dettato del comma 15 dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, costruita in forma di consensus conference, al fine di analizzare i problemi connessi con la diffusione delle sostanze stupefacenti e psicotrope, al fine di individuare eventuali correzioni alla legislazione antidroga dettate dall'esperienza applicativa;

   ad assumere iniziative per rifinanziare con urgenza il fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga, destinando allo stesso risorse pari ad almeno cinquanta milioni di euro;

   ad adottare le iniziative di competenza per istituire la Consulta degli esperti e degli operatori sociali prevista dall'articolo 132 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, al fine di esaminare temi e problemi connessi alla prevenzione e al recupero dalle tossicodipendenze, e alla prevenzione e alla cura dalle dipendenze comportamentali, e contribuire alle decisioni del Comitato nazionale di coordinamento per l'azione antidroga;

   a programmare e realizzare politiche di prevenzione nell'ambito delle dipendenze patologiche, organiche e strutturali, con finanziamenti stabili, che consentano percorsi educativi, continuativi, coinvolgendo, in particolare, le istituzioni scolastiche dei diversi ordini e gradi;

   a promuovere campagne informative nazionali di contrasto delle droghe, e delle dipendenze comportamentali più in generale, attraverso i mezzi di comunicazione radiotelevisivi pubblici e privati, attraverso la stampa quotidiana e periodica, attraverso la comunicazione on line, nonché attraverso pubbliche affissioni e servizi telefonici e telematici di informazione e di consulenza, dando piena attuazione a quanto previsto dal comma 13 dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, ed assumendo iniziative per finanziare tali campagne nella misura minima 5 milioni di euro annui;

   a promuovere e potenziare il sistema di monitoraggio nel «qui e ora», di rilevazione statistica e studio in materia di dipendenza da droghe, legali e illegali, nonché dipendenze comportamentali, finalizzato a realizzare un processo di informatizzazione volto a creare una banca dati nazionale, oltre che a dare piena attuazione a quanto previsto dal decreto legislativo n. 150 del 2009.
(7-00009) «Bellucci, Rampelli, Gemmato, Maschio, Deidda, Ciaburro, Ferro, Mollicone».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:

   il nostro servizio sanitario nazionale, istituito con la legge n. 833 del 1978, deve garantire ai cittadini l'universalità delle prestazioni in attuazione dell'articolo 32 della Costituzione, laddove si afferma che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti»;

   in realtà, soprattutto in questi ultimi anni, si assiste ad una sempre maggiore difficoltà nell'accesso alle prestazioni sanitarie e nell'erogazione degli stessi livelli essenziali di assistenza, con un progressivo aumento delle prestazioni a carico dei pazienti;

   vi sono purtroppo regioni, e tra queste la Calabria, dove il servizio sanitario pubblico è ormai incapace di rispondere in modo adeguato ed efficace al bisogno e al diritto di salute dei cittadini;

   il servizio sanitario nella regione Calabria non ha mai mostrato particolare efficienza, e lo hanno dimostrato ampiamente sia la migrazione in altre regioni dei pazienti calabresi per accedere a prestazioni sanitarie migliori, sia la situazione di bilancio della spesa sanitaria di questa regione;

   in Calabria, così come in altre regioni italiane con deficit di bilancio sanitario, si è provveduto alla nomina di un commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario, incarico ricoperto dall'ingegner Massimo Scura;

   mentre in altre regioni, con diligenza e professionalità, i commissari si sono comunque rapportati inevitabilmente con il governo regionale determinando spesso proficue attività congiunte, in Calabria si è instaurata una situazione di conflitto e scontro, producendo effetti dannosi per il servizio sanitario;

   la negligenza della politica di governo regionale nell'offrire valide soluzioni e progettualità a lungo termine condivise con il commissario ad acta per il piano di rientro del debito sanitario, ha impedito che si ricreasse quella sinergia che aveva contraddistinto i positivi risultati conseguiti fino al 2014;

   la mancanza di condivisione e dialogo fra il commissario, Massimo Scura, e gli uffici regionali per le politiche sanitarie, e gli scontri, anche di carattere giuridico, che si sono protratti fino ad oggi, hanno impedito quella necessaria sinergia ad affrontare le criticità di un sistema sanitario ormai in evidente difficoltà;

   i provvedimenti presi di recente dal commissario Scura sulla quantificazione della spesa sanitaria privata e pubblica hanno causato molteplici problemi al servizio regionale e soprattutto ai servizi resi ai cittadini: da 11 mesi non vengono pagate le strutture di specialistica ambulatoriale per le prestazioni effettuate, il budget assegnato alle strutture di specialistica ambulatoriale per il 2018 è stato già esaurito dalle medesime; ne consegue che le strutture di specialistica ambulatoriale sono state messe nelle condizioni di non poter più erogare prestazioni per il servizio sanitario nazionale e, quindi, possono effettuare solamente prestazioni a pagamento; a seguito dei mancati pagamenti degli arretrati quantificabili in 11 mesi, queste strutture presto dovranno ridurre il personale dipendente, con evidenti ripercussioni sull'occupazione;

   in realtà, l'aumento di patologie croniche necessiterebbe di un profondo riordino organizzativo e normativo che potenzi l'offerta sanitaria pubblica sul territorio attraverso le strutture poliambulatoriali che offrono l'assistenza domiciliare alle persone affette da malattie inguaribili e bisognose di cure specialistiche continuative, in continuità ed in sinergia con le cure ospedaliere e di reparto;

   l'aumento delle persone che non sono più in grado di pagarsi i farmaci, le carenze organizzative e gestionali che condizionano il buon funzionamento di servizi e strutture, l'esiguità delle risorse umane e finanziarie a causa del cattivo funzionamento del piano di rientro dal debito sanitario, il limitato uso del privato accreditato e il malfunzionamento del pubblico rappresentano il baratro del sistema sanitario pubblico calabrese, con la conseguente diminuzione dell'attività di prevenzione minima e l'incremento dell'emigrazione sanitaria verso altre regioni;

   le diseguaglianze nell'erogazione delle prestazioni sanitarie tra il nord e il sud del Paese offrono dati drammatici, vedendo i pazienti del Meridione quelli più svantaggiati;

   le strutture pubbliche restano deficitarie di servizi sanitari all'utenza calabrese, pur essendo state autorizzate assunzioni per primari, medici, sanitari, infermieri, tecnici e operatori sociosanitari per alcune migliaia di unità da parte del commissario ad acta e pur avendo acquistato tecnologie di avanguardia;

   la regione Calabria ha manifestato più volte, anche con il precedente Ministro della salute ma senza ottenere esito alcuno, il proprio dissenso e malessere contro questa situazione conseguente al mancato collegamento fra il commissario Scura e gli uffici regionali del dipartimento tutela della salute, politiche sanitarie –:

   se non si ritenga necessario provvedere, alla luce delle evidenti e forti criticità esposte in premessa, alla sostituzione del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della regione Calabria, e conseguentemente alla nomina di un commissario e due sub-commissari con specifiche e adeguate caratteristiche professionali;

   se non si intenda prevedere una verifica al termine del primo anno dell'attività svolta dai nuovi commissari, ai fini della prosecuzione o meno dell'attività commissariale.
(2-00034) «Cannizzaro, Occhiuto».

Interrogazione a risposta orale:


   ANZALDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   il Ministro dell'interno svolge una delicatissima funzione istituzionale;

   come tutti i Ministri ha giurato nelle mani del Capo dello Stato e sulla Costituzione che, all'articolo 54, impegna tutti i cittadini alla fedeltà alla Repubblica;

   in queste prime settimane di responsabilità ministeriale il Ministro Matteo Salvini si è distinto per una serie di affermazioni e atti che non possono essere derubricati a semplici slogan da perenne campagna elettorale;

   semplicemente ipotizzare, come ha fatto il Ministro Salvini, una schedatura di appartenenti ad una etnia come i Rom, corredata da una dichiarazione «purtroppo quelli di cittadinanza italiana dobbiamo tenerceli», espone una minoranza a rischi di discriminazione e di odio razziale che, a giudizio dell'interrogante, violano apertamente il dettato costituzionale;

   questo clima purtroppo ha già innescato azioni di grave intolleranza, come ad esempio nel caso della aggressione a due richiedenti asilo a Caserta, territorio che ha già conosciuto nel 2008 e nel 2014 gravissimi episodi di violenza a sfondo razziale;

   la Costituzione, all'articolo 2, garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità;

   all'articolo 16 della Costituzione si riconosce il diritto di ogni cittadino a circolare e soggiornare liberamente in tutto il territorio nazionale e si vieta qualsiasi forma di discriminazione, fondata sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica e sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione;

   da Ministro dell'interno ha anche trovato il tempo di minacciare di revocare la scorta a Roberto Saviano –:

   quali iniziative di competenza intenda adottare a fronte di tali comportamenti, alla luce dei principi costituzionali.
(3-00032)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FOTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   la centrale nucleare di Caorso, la più grande d'Italia, con una potenza di 860 megawatt, progettata e realizzata nei primi anni Settanta, dall'ottobre del 1986 non è stata più riavviata, anche per effetto dell'esito del referendum sul nucleare del 1987;

   Sogin, ai sensi del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, risulta incaricata del decommissioning degli impianti nucleari non più in esercizio, della gestione in sicurezza dei rifiuti radioattivi prodotti e della chiusura del ciclo del combustibile. I costi della stessa ad oggi si equivalgono a quelli preventivati dal piano industriale del 2006 per l'intero decommissioning, i cui lavori – per altro – si sarebbero dovuti concludere nel 2018;

   nel 1999, Sogin è divenuta proprietaria della centrale di Caorso con l'obiettivo di realizzare il decommissioning. Dopo una serie di attività sviluppatesi nel corso degli anni, nel febbraio del 2014, il Ministero dello sviluppo economico emanava – dopo estenuanti attese – il decreto per la disattivazione della centrale nucleare di Caorso, indispensabile per permettere, attraverso la predisposizione e l'autorizzazione dei singoli progetti, di concludere le attività di smantellamento dell'impianto;

   nei fatti, non solo risultano del tutto disattese le previsioni contenute nel primo piano redatto tra il 2005 ed il 2008, ma anche quelle contenute nel cronoprogramma del 2011, che prevedeva per il 2024 lo smantellamento definitivo dell'impianto che qui interessa (raggiungimento della condizione di «brown field»), mentre le previsioni (del 2014) collocano la conclusione della detta attività in un arco temporale tra il 2028 e il 2032;

   nella seduta del 31 marzo 2016, la Commissione III territorio, ambiente, mobilità della Assemblea legislativa della regione Emilia-Romagna approvava una risoluzione, presentata dall'interrogante, nella quale si invitava – tra l'altro – la giunta «a proseguire – con determinazione - nell'azione intrapresa nei confronti del Governo mirante ad ottenere la dovuta pubblicazione della carta nazionale delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il sito nazionale dei rifiuti radioattivi (CNAPI)» e «ad attivarsi affinché, nei tempi più rapidi possibili, sia dato celere corso alle attività di dismissione della centrale di Caorso riguardo gli interventi di adeguamento degli esistenti depositi di rifiuti radioattivi nonché il trattamento/condizionamento dei rifiuti radioattivi»;

   il 14 settembre 2016 il Ministro dello sviluppo economico pro tempore, Carlo Calenda, audito dalla Commissione bicamerale di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, comunicava che la carta contenente le aree idonee ad ospitare il deposito unico nazionale per le scorie radioattive sarebbe stata pubblicata entro settembre 2017, mentre l'autorizzazione per l'area stessa sarebbe stata essere rilasciata dopo circa quattro anni e mezzo, sempre salvo ritardi. Infine, almeno altri quattro anni sarebbero serviti per la costruzione del deposito nazionale, la cui entrata in funzione era stimata nel 2027 –:

   quali siano gli orientamenti del Governo in ordine alla costruzione del citato deposito nazionale dei rifiuti radioattivi;

   atteso che la società Sogin (interamente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze), ha il duplice compito di smantellare tutti i siti nucleari e, nel frattempo, di mantenerli in sicurezza e tenuto conto che i costi relativi alle citate due attività sono finanziati dai consumatori (il mero mantenimento in sicurezza dei siti comporta un onere di circa 70 milioni di euro l'anno nella bolletta elettrica), quali iniziative il Governo intenda assumere in ordine allo sviluppo dell'attività di decommissioning e quando si preveda che la centrale di Caorso sarà effettivamente smantellata.
(5-00052)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PEZZOPANE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   da articoli giornalistici si apprende che due cittadini italiani armati di un coltello e di una pistola, la notte del 12 giugno 2018, intorno alle ore 23,00 avrebbero fatto irruzione in un centro che ospita migranti a Sulmona, in provincia dell'Aquila;

   in seguito all'irruzione un uomo nigeriano ha riportato una ferita da arma da taglio medicata, con alcuni punti, al pronto soccorso del nosocomio cittadino. Gli ospiti della struttura hanno chiesto aiuto, richiamando l'attenzione dei residenti della zona che raccontano di urla di terrore provenienti dal centro migranti. Sull'episodio indaga la squadra anticrimine del commissariato di polizia che sarebbe già sulle tracce degli aggressori che avrebbero ferito il migrante;

   tale stato di cose richiede estrema attenzione in ragione della gravità dell'episodio violento rivolto a persone che hanno trovato riparo nel nostro Paese –:

   quali orientamenti il Governo intenda esprimere in riferimento a quanto esposto e, conseguentemente, quali iniziative intenda intraprendere, nell'ambito delle sue proprie competenze.
(4-00519)


   UNGARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la violenza di genere sulle donne e disparità di genere sono fenomeni tragicamente presenti nella società. Ogni anno in Italia si registrano casi drammaticamente numerosi di maltrattamenti, violenza fisica o psicologica o sessuale nei confronti delle donne che si verificano spesso in ambito familiare. Si tratta di atti brutali che spesso culminano in omicidi;

   come hanno riportato tutti i mezzi di informazione nazionali il recente omicidio a Prato di Elisa Amato, il 26 maggio 2018, per mano dal calciatore del «Tuttocuoio» Federico Zini è soltanto l'ultimo degli oltre 25 femminicidi registrati in Italia in questo 2018. Dall'inizio dell'anno a oggi, infatti, circa il 38 per cento delle persone uccise sono donne. Tra queste donne, circa il 40 per cento dei casi è classificabile come femminicidio. Inoltre, secondo quanto segnalato dal Servizio centrale anticrimine della polizia, nel 90 per cento dei casi di femminicidio l'autore era una persona legata alla vittima da un rapporto di convivenza o ex convivenza, mentre nel 40 per cento circa degli episodi l'autore materiale dell'omicidio si è poi suicidato o ha tentato di togliersi la vita;

   i dati del 2018 sono ancora parziali, ma purtroppo non sembrano modificare la tendenza già evidente nel 2017. Secondo il rapporto Eures, nei primi 10 mesi dello scorso anno le donne uccise nel nostro Paese sono state 114, pari ad una vittima ogni due giorni e mezzo. In particolare, si tratta del 36,3 per cento degli omicidi registrati nel periodo preso in considerazione. Eures, che ha stilato il «Quarto rapporto sul femminicidio in Italia», ha fornito anche i dati su un anno completo, cioè quelli sul 2016: sono state uccise 150 donne, il 37,1 per cento del totale degli omicidi, la percentuale più alta in Italia dal 2000. Sempre secondo Eures, dal 2000 al 2016 sono diminuiti gli omicidi: erano 754 nel primo anno del nuovo millennio a fronte dei 404 del 2016. Si tratta del 46,4 per cento in meno. Al contrario, è allarmante il rapporto tra la percentuale di femminicidi e il totale degli assassini: si passa infatti dal 26,4 per cento (199) del 2000 al 37,1 del 2016 (150);

   sebbene i numeri del femminicidio e della violenza contro le donne siano impressionanti e inaccettabili, paradossalmente l'Italia, ha fatto registrare i «più significativi miglioramenti nella direzione dell'uguaglianza di genere, con un incremento dell'indice di 13 punti (da 49,2 a 62,2) nel decennio, secondo il “Gender Equality Index 2017”, elaborato dallo European Institute for Gender Equality (Eige)»;

   si è ancora però molto lontani dall'essere una società che ha realizzato la parità di genere e ci sono ampi margini di miglioramento. E le donne migranti, infine, hanno un carico di lavoro di cura dei familiari particolarmente alto rispetto alle donne nate nell'Unione europea (rispettivamente, il 46 per cento e il 38 per cento) –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza, in collaborazione con le regioni, volta a tutelare le donne dalla violenza e da episodi di disparità di genere in ogni ambito della vita quotidiana.
(4-00520)


   BIGNAMI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   da fonti stampa e web si apprende dell'avvenuta soppressione, a partire dal 9 giugno 2018, di un treno Frecciabianca strategico per i pendolari che si recano al lavoro nella tratta Parma-Milano. Si tratta, in particolare, del treno 8802 da Ancona, in partenza alle 5 e con arrivo a Milano alle 9,20;

   al riguardo, le sigle sindacali hanno espresso forti preoccupazioni per tale vicenda e hanno fatto presente che le tracce orarie ufficiali di Trenitalia prevedevano che tale tratta restasse in programmazione almeno fino a dicembre 2018. I sindacati hanno, in particolare, manifestato preoccupazione per le ricadute occupazionali derivanti dalla soppressione di questo treno, sia per quanto riguarda il personale viaggiante sia per quanto concerne il personale che ha in carico l'appalto di pulizia;

   evidente è inoltre il disagio per gli utenti che si ritroveranno, senza nessuna apparente motivazione, a non poter più usufruire di tale servizio: da segnalazioni ricevute risulta che diversi cittadini hanno già pagato l'abbonamento annuale per tale tratta proprio sul presupposto dell'esistenza di questi treni –:

   se il treno in questione sia stato effettivamente soppresso e con quale motivazione;

   se risulti che siano stati soppressi, di recente, altri treni lungo la medesima tratta;

   quali iniziative si intendano assumere, per quanto di competenza, per il ripristino del treno soppresso, ritenuto fondamentale e di strategica importanza per i pendolari che si recano al lavoro lungo la tratta interessata;

   se siano previste forme di risarcimento per gli utenti che avevano sottoscritto un abbonamento specifico per il treno in questione;

   quali iniziative di competenza si intendano assumere, o siano eventualmente già state assunte, per salvaguardare i posti di lavoro collegati all'esistenza di tale treno.
(4-00525)


   LACARRA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   a seguito dell'inoltro al comune di Bari, ad opera del presidente del tribunale del procuratore della Repubblica di Bari, della perizia tecnica di verifica sulle condizioni di sicurezza strutturale relativa all'edificio di via Nazariantz, sede del tribunale penale di Bari, lo stesso comune, operate le valutazioni di rito, procedeva ad avviare un procedimento di revoca dell'agibilità dello stesso immobile;

   con nota prot. 142265 del 25 maggio 2018, il comune di Bari, nella persona del sindaco pro-tempore, ingegner Antonio Decaro, rappresentava al prefetto di Bari la necessità di coinvolgere il dipartimento della protezione civile sia per la definizione del possibile grado di rischio e delle modalità per fronteggiarlo, sia per le attività di sgombero dell'immobile in questione;

   a seguito di diversi incontri con il procuratore della Repubblica di Bari, il presidente del tribunale e altri rappresentanti degli uffici giudiziari emergeva la necessità di prevedere una serie di adempimenti, nel rispetto delle competenze dei vari enti coinvolti, al fine di consentire il regolare funzionamento degli uffici giudiziari e lo sgombero del palazzo;

   ai sensi dell'articolo 23 del decreto legislativo n. 1 del 2018 veniva richiesto lo stato di mobilitazione del servizio nazionale della protezione civile a supporto della regione Puglia per fronteggiare le esigenze rappresentate e disporre la relativa copertura finanziaria a carico del bilancio regionale, ai sensi del comma 4 del citato articolo;

   la situazione che si è determinata per l'inagibilità della sede del tribunale penale di via Nazariantz ed il conseguente approntamento di tende per lo svolgimento delle udienze è un fatto molto grave che merita una presa di coscienza responsabile da parte delle istituzioni, a tutti i livelli;

   tale emergenza non può essere risolta con soluzioni estemporanee, ma richiede un intervento urgente del Governo per varare nell'immediato misure eccezionali che possano porre rimedio alla grave situazione di fatto esistente che è stata dal Ministro interrogato valutata personalmente durante la sua visita sui luoghi;

   ai sensi dell'articolo 107 del decreto legislativo n. 112 del 1998, permangono allo Stato italiano, ai sensi dell'articolo 1, comma 4, lettera c), della legge n. 59 del 1997, anche i compiti relativi alla deliberazione e alla revoca dello stato di emergenza, al verificarsi degli eventi di cui all'articolo 7, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 1 del 2018;

   tra gli eventi in questione ben potrebbe essere inserita la situazione relativa allo stato di emergenza del tribunale penale di Bari attraverso un apposito provvedimento d'urgenza di «qualificazione» di tale stato di calamità;

   a giudizio dell'interrogante, a seguito di tale qualificazione ben potrebbero trovare poi applicazione le disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 1 del 2018 ed, in particolare, la possibilità di adottare ordinanze del Presidente del Consiglio dei ministri con effetto derogatorio per le norme dell'ordinamento vigente –:

   quali siano gli orientamenti del Governo su quanto esposto in premessa e se e quali urgenti iniziative intenda assumere per porre rimedio all'insostenibile situazione di disagio che magistrati, avvocati e personale tutto stanno vivendo in queste ore;

   se il Governo intenda sollecitamente procedere, per quanto di competenza, all'adozione dei su richiamati provvedimenti di urgenza al fine di ricercare una soluzione in tempi brevi a tale incresciosa situazione che costituisce una profonda ferita all'esercizio ordinato e dignitoso delle attività giudiziarie.
(4-00536)


   BIGNAMI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   tra febbraio e marzo 2018 si sono verificati due eventi atmosferici, denominati «Burian 1» e «Burian 2» caratterizzati da freddo e gelo e con temperature ben al di sotto dello zero. Tale ondata di freddo ha colpito diverse regioni d'Italia, tra cui l'Emilia-Romagna (e in particolare la Vallata del Santerno nel bolognese), le cui produzioni di frutta, in diverse aree, hanno subito danni ingentissimi;

   dai sopralluoghi effettuati di recente dai tecnici della regione Emilia-Romagna nei territori colpiti da Burian, risulta che il danno oscilli dall'80 fino addirittura al 100 per cento;

   da segnalazioni ricevute, parrebbero esistere criticità in relazione alla possibilità, per gli agricoltori, di assicurare in maniera efficace le produzioni. Nell'anno 2017 era stato possibile assicurare la produzione nella sua interezza e con tempistiche congrue. Nel mese di febbraio 2018, sempre stando alle segnalazioni ricevute, diversi agricoltori avrebbero avuto difficoltà a sottoscrivere polizze agevolate, con la conseguenza che le produzioni non sono state coperte da assicurazione prima del passaggio di «Burian 1»;

   a ciò si aggiunga il fatto che la maggior parte delle compagnie assicurative prevede una franchigia del 30 per cento che quindi andrebbe ancor più a limitare il risarcimento per i produttori agricoli;

   altro aspetto problematico per gli agricoltori, a fronte di una produzione andata persa quasi del tutto, riguarda il pagamento dei mutui. Una soluzione a tale criticità potrebbe essere rappresentata dalla sospensione di un anno delle rate dei mutui per consentire alle aziende di ripartire e di recuperare il danno subito quest'anno;

   diversi agricoltori fanno riferimento a Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare), ente pubblico economico con funzioni istituzionali, volto a realizzare servizi informativi, assicurativi, finanziari per le imprese agricole e a facilitare i rapporti con il sistema bancario e assicurativo –:

   se sia a conoscenza dei fatti esposti;

   quali iniziative di competenza abbia assunto il Governo per far fronte alla situazione di grandissima difficoltà vissuta dagli agricoltori a seguito del passaggio di «Burian 1» e «Burian 2» e, in particolare, se sia stato decretato lo stato di calamità con le relative misure di sostegno;

   quali iniziative si intendano assumere per consentire agli agricoltori di assicurare le produzioni con tempi certi e congrui e per garantire loro la certezza del risarcimento;

   se si intendano assumere iniziative, quali l'apertura di un tavolo di confronto con le compagnie assicurative, al fine di eliminare l'applicazione della franchigia;

   se si intenda valutare di assumere iniziative, concertandole con gli istituti di credito, per la sospensione almeno di un anno delle rate di mutuo per le imprese colpite da «Burian»;

   se, tra le iniziative a sostegno delle suddette imprese, si intenda valutare lo stanziamento di finanziamenti a fondo perduto e in conto capitale e, in caso affermativo, per quale importo e con quali modalità.
(4-00537)


   ALESSANDRO PAGANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   Banca Ifis s.p.a. è quotata in borsa negli indici Ftse Italia Mid Cap e Ftse Italia Star, si occupa di credito commerciale, credito finanziario di difficile esigibilità e credito fiscale, oltre che di raccolta presso il mercato retail;

   nata a Genova nel 1983 come IFIS – Istituto di finanziamento e sconto spa, ad opera di Sebastien Egon Fürstenberg, attuale presidente e azionista di riferimento, nel 1997 viene iscritta all'elenco speciale degli intermediari finanziari e dal 1° gennaio 2002 diventa a tutti gli effetti Banca IFIS spa, con ammissione al mercato telematico azionario. Aderisce inoltre a Factor Chain International;

   nel 2004 è ammessa al segmento Star di BorsaItaliana; l'anno seguente un aumento di capitale porta l’equity a 100 milioni di euro; nel 2006 acquisisce IFIS Finance; nel 2008 avvia il programma di diversificazione delle fonti di raccolta e nel 2010 un ulteriore aumento attesta il capitale della Banca ad oltre 200 milioni di euro;

   nel 2011 riceve dalla Banca d'Italia l'autorizzazione all'offerta pubblica d'acquisto su ToscanaFinanza, con successiva fusione per incorporazione; nello stesso anno avvia una joint venture in India; nel 2013 nasce Contomax e CrediImpresaFuturo, nel 2015 Banca IFIS supera il miliardo di capitalizzazione, si consolida sempre più l'area non performing loans di Banca IFIS e viene lanciata la divisione Banca IFIS Pharma;

   con comunicato stampa del 15 maggio 2018, è stata diffusa la notizia di acquisizione della FBS s.p.a., il quarto (per importanza) servicer di gestione di NPLs (Non Perfoming Loans) in Italia;

   l'attuale mercato dei servicer italiani (ex articolo 106 e 115 testo unico delle leggi di pubbliche sicurezza) di gestione delle sofferenze bancarie sta subendo una forte concentrazione nelle mani di pochi soggetti facendo temere gravi pregiudizi in materia di libera, concorrenza di mercato e possibili accordi di «cartello» tra i pochi player attualmente sul mercato;

   l'acquisizione da parte di Banca Ifis s.p.a. di FBS s.p.a. desta ancora più preoccupazione in considerazione del fatto che la Banca Ifis s.p.a. risulta e risultava già dotata di una propria unità di gestione dei crediti in sofferenza oltre che di una propria piattaforma digitale di gestione che – tra l'altro – ad avviso dell'interrogante farebbe ritenere sproporzionata l'offerta di acquisto a meno di non qualificarla/giustificarla dal punto di vista di ulteriore contrazione dei possibili concorrenti;

   il prezzo di cessione del 90 per cento di FBS spa a Banca Ifis appare all'interrogante sproporzionato anche in considerazione del potenziale rischio di «volatilità» dei contratti di gestione di FBS spa proprio per la modificazione della compagine sociale;

   nulla si evince dalle notizie stampa circa il rispetto della normativa di settore e l'ottenimento delle prescritte autorizzazioni da parte della Banca d'Italia sulle operazioni di acquisizione dei servicer italiani (ex articoli 106 e 115 testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) di gestione delle sofferenze bancarie da ultimo quella perfezionatasi tra Banca Ifis S.p.a. e FBS S.p.a. –:

   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se si intenda porre attenzione, per quanto di competenza, al mercato del credito bancario in sofferenza e prossimo alla sofferenza «UTP», in particolare alle operazioni di cessione dei predetti crediti da parte delle banche a soggetti terzi assumendo iniziative normative per la costituzione di un organismo di vigilanza, anche al fine di evitare la formazione di «cartelli» di controllo atti ad eliminare la concorrenza sul mercato.
(4-00545)


   RIBOLLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   da quanto si apprende dalle notizie riportate dagli organi di stampa, i|presidente del municipio Ponente di Genova aveva autorizzato una manifestazione pubblica «Foibe la grande menzogna». Un evento organizzato dall’«Osservatorio Antifascista». L'evento avrebbe affrontato il tema in veste negazionista;

   è assurdo come nel nostro Paese si possa ancora negare il «male» delle Foibe soltanto in nome di assurde convinzioni ideologiche;

   è inaccettabile, ad avviso dell'interrogante, che amministratori pubblici eletti dai cittadini possano in qualche modo avallare posizioni ideologiche così assurde e antistoriche continuando a lacerare una delle ferite più terribili che appartengono alle pagine più orrende della nostra storia;

   a seguito delle polemiche che tale iniziativa ha suscitato, il presidente del municipio, dopo che aveva pubblicamente definito l'iniziativa meritoria e condivisibile è stato costretto a revocare l'autorizzazione già concessa, dichiarando di aver parlato con gli organizzatori che hanno compreso la sua decisione. Stando al virgolettato riportato dalle notizie pubblicate sugli organi di stampa, sembra aver detto : «abbiamo voluto evitare di cadere in una trappola»;

   è necessario, secondo l'interrogante, stigmatizzare l'atteggiamento tenuto dal presidente in merito alla vicenda, che lo ha visto prima autorizzare una tale manifestazione pubblica e poi revocarla adducendo una giustificazione che nei fatti sposa la posizione negazionista –:

   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda adottare per promuovere e divulgare una corretta e imparziale ricostruzione di vicende, come quella delle Foibe, che hanno segnato drammaticamente la storia italiana, così contribuendo a evitare che abbiano a ripetersi episodi di tale gravità.
(4-00546)


   ASCANI, DE FILIPPO, SCHIRÒ, MARCO DI MAIO, SCALFAROTTO, GIACHETTI e VERINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   è notizia di questi giorni che l'amministrazione comunale del comune di Todi (Pg) ha deciso, utilizzando i criteri fissati dall'Autorità nazionale anticorruzione, di far ruotare 22 impiegati su 100. Le motivazioni sono diverse: alcuni sembrano aver commesso delle irregolarità, altri avrebbero utilizzato i permessi ex legge 5 febbraio 1992, n. 104, per godere delle ferie, altri ancora avrebbero chiesto di essere trasferiti ad altre mansioni. È da segnalare come tra questi impiegati sottoposti a rotazione, ci fosse anche la direttrice della biblioteca comunale di Todi, la dottoressa Fabiola Bernardini, la quale, tuttavia, non aveva manifestato alcuna volontà di trasferirsi d'ufficio, né tanto meno risultano a suo carico abusi o malversazioni;

   viceversa, la dottoressa, sembrerebbe non aver dato attuazione alla direttiva comunale proposta dagli assessori Marta e Ranchicchio, che chiedeva la sistematica censura di qualunque libro per bambini riguardante tematiche sensibili, come quelle legate all'omosessualità (al riguardo è stata presentata dall'interrogante l'interrogazione n. 4-18718 a dicembre 2017), dichiarandosi incapace di indicare anche un solo libro, in quanto «la biblioteca è organizzata secondo criteri internazionali e nazionali largamente condivisi dalla comunità scientifica»;

   lo spostamento della dottoressa Bernardini al settore urbanistica del comune, ad avviso degli interroganti, non può che apparire pertanto di natura punitiva ed, in tal senso, irragionevole e ingiustificato, anche in ragione del suo curriculum (laurea in Lettere con due specializzazioni: in archivistica e in biblioteconomia) e della sua pregressa esperienza;

   quella che per gli interroganti è una palese vessatorietà del provvedimento in questione sembra confermata anche in diritto, essendo stata la direttrice spostata ad altro incarico in palese violazione dei principi di autonomia nella gestione del lavoro e dei principi di imparzialità e buon andamento del pubblico impiego;

   non vi è dubbio che l'imparzialità sia il valore fondante della pubblica amministrazione. Lo stabilisce esplicitamente il primo comma dell'articolo 97 della Costituzione; esso è ribadito dal comma 1, lettera d), dell'articolo 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ed è, infine, presupposto da tutta la legislazione in materia di pubblica amministrazione. L'articolo venne introdotto dall'Assemblea costituente per avere «un'amministrazione obiettiva della cosa pubblica e non un'amministrazione dei partiti». Del resto, il divieto di porre in essere atti di natura discriminatoria (articolo 3 della Costituzione) presuppone necessariamente l'imparzialità dell'attività amministrativa. In particolare, il secondo comma del medesimo articolo introduce un vero e proprio obbligo dello Stato, secondo cui si devono realizzare politiche tese a rimuovere ogni situazione che possa essere fonte di discriminazioni;

   sono stati inoltre violati i valori della democrazia partecipativa. Partecipazione connessa alle dinamiche del pluralismo, inteso come sostanza giuridica dello Stato costituzionale in cui la tutela della libera circolazione delle idee, la promozione della cultura e il diritto all'istruzione senza discriminazioni sono un corollario fondamentale;

   inoltre, la legge cosiddetta «la buona scuola», ha riconosciuto definitivamente il concetto di «identità di genere», all'articolo 1, comma 16, prevedendo che il piano dell'offerta formativa assicuri l'attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l'educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori su tali tematiche;

   ancora una volta, dunque, non si può far altro che ribadire il fatto che le motivazioni, poste alla base della scelta dell'amministrazione comunale di Todi, agli interroganti sembrano essere di carattere meramente vessatorio, un pericoloso precedente che autorizzerebbe alla censura e ad intervenire nei confronti del personale per ragioni assai lontane da quelle di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intendano assumere in proposito.
(4-00550)


   MANZO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il 10 giugno 2018 si è tenuto il primo turno delle elezioni amministrative in numerosi comuni campani, tra cui Castellammare di Stabia e Avellino. Procedendo con ordine, sul voto Stabiese è necessario un breve excursus relativo alle ultime elezioni dal 2010 ad oggi. Nel predetto intervallo, a Castellammare di Stabia, si è già votato ben quattro volte e ciò perché gli ultimi tre sindaci sono stati sfiduciati dalle rispettive maggioranze consiliari che, passando da destra a sinistra o viceversa, hanno sempre goduto di pacchetti elettorali confermati ad ogni singola elezione indipendentemente dallo schieramento;

   in occasione delle operazioni di voto del 10 giugno 2018, presto si è avuta notizia delle prime denunce per voto di scambio ai danni di due elettori che sono stati scoperti a fotografare la propria scheda votata. Ciò accadeva nel seggio n. 44 al quartiere Cicerone. Fatti che l'11 giugno 2018 venivano riportati anche dagli organi di stampa, dai quali si apprendeva che vi è stato un vero e proprio mercato dei voti; si veda al proposito l'articolo su Metropolis dell'11 giugno 2018, «Voti comprati per 50,00 euro» – La Procura apre una inchiesta di Tiziano Valle. Inoltre, l'articolo di Dario Sautto del 16 giugno 2018 pubblicato sul «IlMattino», «Castellammare, il clan nei seggi – pacchi alimentari e spesa farcita» che parla della vicenda legata alla distribuzione, da parte di un candidato al consiglio comunale, di pacchi alimentari «farciti di volantini elettorali», nonché della presenza di esponenti del clan Cesarano nel quartiere Ponte Persica;

   da quanto appreso dal citato articolo, questi hanno presidiato i seggi del predetto quartiere;

   anche ad Avellino, da quanto si apprende dalla stampa, in occasione del voto del 10 giugno, al Rione Valle, è stato individuato un uomo che ha fotografato il proprio voto, ottenendo in seguito una denuncia a piede libero. Tutto ciò nonostante il nostro questore di Avellino in sinergia con i carabinieri e i vigili urbani abbia organizzato un piano di sicurezza per garantire la correttezza delle operazioni di voto –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto denunziato in premessa e quali siano i suoi orientamenti in merito;

   se il Governo intenda farsi promotore di una iniziativa normativa per modificare la legislazione vigente al fine di perseguire in maniera più efficace il reato di voto di scambio politico-mafioso.
(4-00551)


   MAGI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 1, comma 15, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 9 ottobre 1990 (Testo unico sulle tossicodipendenze) così recita: «Ogni tre anni, il Presidente del Consiglio dei Ministri, nella sua qualità di Presidente del Comitato nazionale di coordinamento per l'azione antidroga, convoca una conferenza nazionale sui problemi connessi con la diffusione delle sostanze stupefacenti e psicotrope alla quale invita soggetti pubblici e privati che esplicano la loro attività nel campo della prevenzione e della cura della tossicodipendenza. Le conclusioni di tali conferenze sono comunicate al Parlamento anche al fine di individuare eventuali correzioni alla legislazione antidroga dettate dall'esperienza applicativa»;

   l'ultima Conferenza nazionale sulle politiche sulle tossicodipendenze si è tenuta a Trieste nel marzo 2009 (Governo Berlusconi);

   l'articolo 131 del succitato decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 così recita: «Il Ministro per la solidarietà sociale, anche sulla base dei dati allo scopo acquisiti dalle regioni, presenta entro il 30 giugno di ciascun anno una relazione al Parlamento sui dati relativi allo stato delle tossicodipendenze in Italia, sulle strategie e sugli obiettivi raggiunti, sugli indirizzi che saranno seguiti nonché sull'attività relativa alla erogazione dei contributi finalizzati al sostegno delle attività di prevenzione, riabilitazione, reinserimento e recupero dei tossicodipendenti»;

   i precedenti Governi a guida Monti, Letta, Renzi e Gentiloni hanno provveduto con grave ritardo al suddetto adempimento e lo hanno fatto a giudizio dell'interrogante in modo burocratico, anche perché non c'è stato dibattito parlamentare né politico;

   come affermato nel Nono libro bianco sulle droghe, tali relazioni mostrano peraltro la fotografia di un sistema «statico», che ancora si regge sulle due gambe «SerD/comunità», secondo il modello degli anni novanta, e la povertà dei dati in esse contenuti non permette di rilevare gli interventi innovativi che già esistono. Inoltre, la riduzione del danno, che in Europa è un «pilastro» delle politiche in materia di droghe, è la grande assente nei dati ufficiali;

   la ricerca farmacologica e biologica è sempre stata favorita a scapito della ricerca psicosociale, ed è stata finanziata dal 2009 al 2013 dal dipartimento antidroga della Presidenza del Consiglio con un milione e mezzo di euro. Lo squilibrio a scapito della ricerca psicosociale si è accentuato di recente con la fortuna della ricerca neurobiologica e della brain research;

   secondo quanto emerge dal Libro bianco già citato, a 28 anni dalla sua approvazione l'impianto repressivo e sanzionatorio che ispira il Testo unico sulle sostanze stupefacenti continua ad essere il principale veicolo di ingresso nel sistema della giustizia italiana e nelle carceri. Nel 2017 il 29,37 per cento degli ingressi in carcere sono stati causati da imputazioni o condanne sulla base dell'articolo 73 del Testo unico (detenzione a fini di spaccio), in aumento rispetto all'anno precedente, e il 34,05 per cento dei soggetti entrati in carcere nel corso del 2017 era tossicodipendente;

   a parere dell'interrogante, solo il confronto fra tutti i soggetti interessati (Governo, regioni, amministrazioni locali, privato sociale, servizi pubblici per le dipendenze) può consentire l'avvio e l'implementazione di nuove politiche in materia, che siano all'altezza dei problemi delle persone e non si limitino a sterili proclami –:

   se il Governo intenda rispettare la scadenza del 30 giugno per la presentazione della relazione al Parlamento di cui in premessa;

   se non si ritenga di assumere le iniziative di competenza per assegnare la delega alle tossicodipendenze;

   se il Governo intenda assumere iniziative per rispettare l'adempimento previsto dall'articolo 1, comma 15, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 convocando entro l'anno 2018 la Sesta conferenza nazionale sulle politiche sulle tossicodipendenze.
(4-00563)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta orale:


   BILLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   una dichiarazione sull'istituzione di un partenariato europeo per la blockchain è stata firmata il 10 aprile 2018 dai seguenti Paesi: Austria, Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Svezia;

   tale partenariato potrebbe avere come conseguenza la definizione di una legge europea sull'utilizzo della tecnologia blockchain, che potrà essere utilizzata in futuro dai servizi pubblici e privati;

   la blockchain è una tecnologia che permette la creazione di un registro aperto e distribuito per memorizzare transazioni tra due parti in modo sicuro, verificabile e permanente tramite crittografia, e può essere utilizzata per gestire scambi commerciali elettronici, come per esempio l'acquisto di prodotti online, la creazione e l'utilizzo di criptovalute oppure crowdfunding per la promozione e lo sviluppo di start-up innovative;

   la Commissione europea prevede di investire 300 milioni di euro per lo sviluppo di tale tecnologia nei prossimi anni;

   l'Italia è una delle maggiori economie europee; pertanto, conoscere la posizione del Governo in merito a una eventuale legislazione sull'argomento potrebbe essere importante per comprendere gli scenari che in ogni caso si determinerebbero per l'economia italiana. La preoccupazione, a giudizio dell'interrogante, è che la legislazione possa essere definita senza che il punto di vista e l'interesse italiano vengano presi in considerazione –:

   quale sia la posizione del Governo in merito all'eventuale adesione dell'Italia alla dichiarazione sull'istituzione del partenariato europeo sulla blockchain.
(3-00030)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   dal marzo 2015 in Yemen è in corso una guerra civile, a cui prendono parte anche forze militari di una coalizione guidata dall'Arabia Saudita e composta anche da Bahrain, Kuwait, Qatar ed Egitto contro le forze ribelli Houthi;

   proprio nei giorni scorsi, le forze militari sostenute dall'Arabia Saudita e dal governo yemenita del presidente Abdrabbuh Mansour Hadi hanno iniziato un attacco militare contro il porto di Hudaydah, in Yemen, controllato dai ribelli houthi, loro nemici, sulla costa est dello Yemen, roccaforte dei ribelli sciiti Huthi, vicini all'Iran. Le forze della coalizione hanno bombardato le postazioni dei guerriglieri sciiti, da terra e dal mare, dopo che i ribelli Houthi si sono rifiutati di ritirarsi dalla zona del porto;

   il porto di Hudaydah è il principale punto di accesso dello Yemen e i combattimenti rischiano di bloccare l'ingresso di aiuti nel Paese;

   la popolazione yemenita si trova da anni — proprio a causa della guerra — per lo più in condizioni di assoluta emergenza; è unanimemente considerata la più grave emergenza umanitaria al mondo. A oltre tre anni dall'inizio della guerra, infatti, 3 yemeniti su 4 (circa 22 milioni di persone) hanno immediato bisogno di assistenza umanitaria e 8,4 milioni di persone non sanno da dove arriverà il loro prossimo pasto e, negli ultimi giorni, a causa dell'intensificarsi del conflitto, secondo Save The Children, circa 170.000 bambini rischierebbero di morire nel caso in cui la coalizione saudita e le forze anti-huthi provassero a prendere il porto della città. Difatti, il 90 per cento del cibo in Yemen viene importato, così come il carburante necessario per gli ospedali e tutte le strutture vitali per soccorrere la popolazione che per il 50 per cento passa dai porti di Hudaydah e di Al-Salif. Oltre 16 milioni di persone nel Paese devono sopravvivere con acqua sporca e, con metà delle struttura sanitarie distrutte, buona parte della popolazione non ha accesso ai servizi sanitari di base. Si tratta di un dato che ha contribuito all'esplosione della più grave epidemia di colera della storia recente che, dopo aver contagiato oltre 1,1 milioni di persone e causato 2.200 vittime, continua a diffondersi tra la popolazione;

   a seguito dell'inasprimento del conflitto e della situazione della popolazione yemenita, in Germania, la cancelliera Merkel ha concordato con i socialdemocratici di sospendere le esportazioni di armi verso tutti i Paesi direttamente coinvolti nel conflitto in Yemen –:

   se il Governo, oltre ad impegnarsi nelle sedi internazionali competenti, per la cessazione delle ostilità e una soluzione diplomatica, non ritenga opportuno, assumere iniziative per rivedere, anche alla luce della citata evoluzione del conflitto, i termini delle forniture di materiali di armamento ai Paesi dell'area.
(5-00054)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MAGI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il cineasta e cittadino ucraino Oleg Sentsov è stato arrestato nel maggio 2014 in Crimea a causa della sua opposizione all'annessione di questa parte dell'Ucraina da parte della Federazione russa;

   il 25 agosto 2015, in seguito a un processo in aperta violazione del diritto internazionale e delle elementari norme di giustizia, Oleg Sentsov è stato condannato a 20 anni di detenzione da un tribunale russo, del quale l'Unione europea non riconosce la competenza, sulla base di deposizioni strappategli illegalmente a mezzo di violenze e torture;

   sono sempre più frequenti le pratiche di intimidazione e minaccia di cui sono vittime oppositori al regime del Presidente Putin – come giornalisti, associazioni di difesa dei diritti fondamentali e intellettuali, politici – così come la denuncia di pratiche di tortura all'interno delle prigioni della Federazione russa nei confronti di detenuti politici, d'opinione e oppositori democratici, il cui numero è sempre più crescente;

   Oleg Sentsov, detenuto a Labytnangi, nella regione più settentrionale della Federazione russa (Yamalo-Nenets), il 14 maggio 2018 ha intrapreso uno sciopero della fame a oltranza;

   la risoluzione del Parlamento europeo su «Russia, in particolare il caso del prigioniero politico ucraino Oleg Sentsov» (2018/2754(RSP)) approvata il 14 giugno 2018 esorta, tra l'altro, gli Stati membri dell'Unione europea a seguire da vicino i processi dei difensori dei diritti umani –:

   se il Ministro sia a conoscenza della vicenda riportata in premessa e se intenda intraprendere iniziative, per quanto di competenza, per assicurarsi dello stato di salute del cittadino ucraino Oleg Sentsov e per pervenire all'annullamento immediato della sua illegittima condanna da parte del tribunale russo e alla sua liberazione in ottemperanza delle convenzioni internazionali sui diritti fondamentali e contro la tortura;

   quali iniziative urgenti intenda intraprendere in seno alle organizzazioni internazionali di cui è membra la Federazione russa perché siano avviate immediate procedure di revisione o annullamento di tutti i processi di cui sono stati vittime cittadini ucraini in Russia e in Crimea dopo l'annessione illegale e per l'immediata liberazione degli oltre 700 prigionieri politici ucraini attualmente detenuti in Russia o Crimea;

   quali iniziative intenda promuovere affinché la Federazione russa si conformi al più presto e pienamente agli obblighi giuridici internazionali in qualità di membro del Consiglio d'Europa, dell'Osce e in quanto parte delle convenzioni internazionali ed europee sui diritti umani e del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici.
(4-00529)


   BILLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il rinnovo e il rilascio del passaporto sono una delle maggiori criticità sollevate attualmente dalla comunità italiana all'estero;

   un kit per la raccolta dei dati biometrici, comprendente un software per la memorizzazione dei dati anagrafici ed un dispositivo per l'acquisizione delle impronte digitali, è stato realizzato dall'istituto poligrafico e zecca dello Stato ed è attivato da tempo con esito positivo a detta sia dei consolati che degli utenti;

   in particolare, i cittadini trovano utile il fatto che il consolato offra, anche grazie a questo kit, un servizio «quasi a domicilio» particolarmente vantaggioso quando la circoscrizione consolare è estesa;

   la circolare del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale n. 3 del 21 giugno 2017 prevede anche per i consoli onorari la possibilità di procedere alla captazione dei dati biometrici di connazionali che richiedono un documento elettronico, per il successivo inoltro all'ufficio consolare di prima categoria;

   all'interrogante risulta che il funzionario addetto debba recarsi di persona periodicamente al consolato per connettere fisicamente il kit al computer del consolato e scaricarne i dati;

   il garante per la protezione dei dati personali, in data 26 gennaio 2017, ha espresso parere favorevole sul testo delle integrazioni da apportare al provvedimento del direttore generale della direzione generale per gli italiani all'estero e le politiche migratorie, concernente «specifiche tecniche di sicurezza del processo di emissione del passaporto elettronico», adottato ai sensi dell'articolo 9 del decreto del Ministro degli affari esteri n. 303/014 del 23 giugno 2009, recante «Disposizioni relative al modello e alle caratteristiche di sicurezza del passaporto ordinario elettronico»;

   all'interrogante risulta inoltre che sia in fase di sviluppo un software di comunicazione che permetterebbe di scaricare da remoto i dati immagazzinati in questo kit, nel rispetto della privacy dei dati trasmessi, senza la necessità che il funzionario addetto debba recarsi all'ufficio consolare di prima categoria;

   il kit rappresenta quindi un validissimo strumento per migliorare i servizi consolari ottimizzando risorse e costi nell'ottica del «consolato digitale» e della digitalizzazione della pubblica Amministrazione –:

   se il Governo sia a conoscenza dello sviluppo del software citato in premessa, che semplificherebbe le operazioni di rilascio e rinnovo dei passaporti per i cittadini italiani residenti all'estero e, in caso affermativo, quali siano i tempi per la sua adozione.
(4-00553)


   LONGO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   con l'articolo 5-bis del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, è stata introdotta una norma che modifica il regime delle entrate riscosse dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale quale corrispettivo del riconoscimento della cittadinanza italiana;

   nello specifico, il comma 1 inserisce l'articolo 7-bis nella sezione I della tabella dei diritti consolari, allegata al decreto legislativo 3 febbraio 2011, n. 71, da riscuotere presso le ambasciate ed i consolati all'estero a fronte dei numerosi servizi da questi prestati;

   l'articolo 7-bis in questione introduce, nella tariffa consolare la fattispecie dei diritti da riscuotere per il trattamento della domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana a persona maggiorenne, fissando l'importo nella misura di 300 euro;

   la relazione tecnica governativa al provvedimento in questione riportava che gli atti di riconoscimento della cittadinanza italiana hanno visto negli ultimi anni una crescita esponenziale, che renderebbe irragionevole mantenere la gratuità della relativa pratica amministrativa. Infatti, le operazioni di ricostruzione iure sanguinis della cittadinanza risultano di grande complessità, in particolare nelle Americhe, dove l’iter può estendersi anche oltre le sei generazioni;

   il suddetto tributo aggiuntivo dovrebbe comportare un miglioramento, in termini di accelerazione del procedimento amministrativo per il riconoscimento della cittadinanza o, in generale, della qualità dei servizi consolari resi agli utenti;

   una parte dei fondi risulta arrivata ai consolati, anche se non esiste rendicontazione di tali risorse;

   la legge di stabilità 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208) ha disposto all'articolo 1, comma 622, uno stanziamento di 2 milioni di euro per il 2016 a favore delle rappresentanze diplomatiche e degli uffici consolari, finalizzati, tra l'altro, all'assistenza alle comunità di italiani residenti nella circoscrizione consolare di riferimento;

   questo perché da tempo si sentiva l'esigenza di modificare i criteri di gestione finanziaria degli uffici italiani all'estero, prevedendo la possibilità che la riscossione dei diritti consolari potesse confluire direttamente in fondi di gestione presso le singole sedi diplomatico-consolari in modo da poter essere reinvestite nelle stesse e finanziare direttamente molte delle attività degli istituti diplomatico-consolari, dal personale, gravato dalla mole di lavoro arretrato, agli immobili che necessitano di manutenzione, alle attività di assistenza alle comunità di italiani ivi residenti;

   infatti, le risorse del comma 622 sono in particolare finalizzate alle seguenti tipologie d'intervento: manutenzione degli immobili, attività di istituto, su iniziativa della rappresentanza diplomatica o dell'ufficio consolare interessati e assistenza alle comunità di italiani residenti nella circoscrizione consolare di riferimento;

   il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale pro tempore Gentiloni, in un intervento in Aula in sede di question time nell'ottobre del 2016 dichiarò: «Siamo riusciti, negli ultimi due anni, a far rimanere una parte dei ricavi delle nuove emissioni di documenti nelle reti consolari e siamo riusciti (...) a rafforzare la nostra attività. È possibile che le risorse acquisite da ciascun consolato rimangano, tra virgolette, in casa, cioè che ogni consolato possa trattenerle? È una discussione che abbiamo in corso con il Ministero dell'economia e delle finanze e credo sia una discussione sensata» –:

   in che modo vengano distribuite ed adoperate le somme prelevate per la trattazione delle pratiche di riconoscimento della cittadinanza italiana;

   se il Ministro interrogato intenda fornire dettagli sull'attuazione del comma 622 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2016, chiarendo quali siano stati i criteri di ripartizione e, di conseguenza, i destinatari dei fondi stanziati per il 2016 tra le varie rappresentanze diplomatiche, e se non ritenga utile continuare sulla strada intrapresa nel 2016 assumendo iniziative per stanziare ulteriori fondi per migliorare l'attività delle rappresentanze diplomatiche e gli uffici consolari.
(4-00561)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazione a risposta scritta:


   CARETTA. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 9 della direttiva 2009/147/CE concernente la conservazione degli uccelli selvatici prevede esplicitamente la possibilità per tutti gli Stati membri dell'Unione europea di applicare il regime di deroga;

   in merito, l'articolo 19-bis della legge n. 157 del 1992 prevede che «Le regioni disciplinano l'esercizio delle deroghe previste dalla direttiva 2009/147/CE (...) conformandosi alle prescrizioni dell'articolo 9, ai principi e alle finalità degli articoli 1 e 2 della stessa direttiva ed alle disposizioni della presente legge»;

   le deroghe possono essere disposte dalle regioni e province autonome con atto amministrativo, in via eccezionale e per periodi limitati, solo in assenza di altre soluzioni soddisfacenti, e devono essere giustificate da un'analisi puntuale dei presupposti e delle condizioni, devono menzionare la valutazione sull'assenza di altre soluzioni soddisfacenti, le specie che ne formano oggetto, i mezzi, gli impianti e i metodi di prelievo autorizzati, le condizioni di rischio, le circostanze di tempo e di luogo del prelievo, il numero dei capi giornalmente e complessivamente prelevabili nel periodo, i controlli e le particolari forme di vigilanza cui il prelievo è soggetto e gli organi incaricati della stessa;

   i soggetti abilitati al prelievo in deroga vengono individuati dalle regioni e agli stessi è fornito un tesserino sul quale devono essere annotati i capi oggetto di deroga subito dopo il loro recupero;

   le regioni prevedono sistemi periodici di verifica allo scopo di sospendere tempestivamente il provvedimento di deroga qualora sia accertato il raggiungimento del numero di capi autorizzato al prelievo o dello scopo, in data antecedente a quella originariamente prevista;

   le deroghe sono adottate sentito l'Ispra e non possono avere comunque ad oggetto specie la cui consistenza numerica sia in grave diminuzione;

   l'intenzione di adottare un provvedimento di deroga che abbia ad oggetto specie migratrici deve essere comunicata all'Ispra entro il mese di aprile di ogni anno, e l'istituto deve esprimersi entro e non oltre quaranta giorni dalla ricezione della comunicazione;

   per tali specie, infatti, la designazione della piccola quantità per le deroghe adottate ai sensi della direttiva 2009/147/CE è determinata, annualmente, a livello nazionale, dall'Ispra, ed entro tali limiti la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano provvede a ripartire tra le regioni interessate il numero di capi prelevabili per ciascuna specie;

   per l'anno in corso le regioni italiane che intendono usufruire del regime di deroga lo hanno regolarmente comunicato all'Ispra entro il 30 aprile 2018;

   con tale comunicazione le regioni italiane hanno già individuato le specie che ne dovrebbero formare oggetto, i mezzi, gli impianti e i metodi di prelievo autorizzati, le condizioni di rischio, le circostanze di tempo e di luogo del prelievo, i controlli e le particolari forme di vigilanza cui il prelievo è soggetto e gli organi incaricati della stessa, i soggetti abilitati al prelievo in deroga;

   ad oggi le regioni italiane sono in attesa di ricevere dalla Conferenza Stato-regioni la ripartizione tra le regioni interessate del numero di capi prelevabili per ciascuna specie, previo parere obbligatori ma non vincolante dell'Ispra, come previsto dall'articolo 19-bis della legge n. 157 del 1992 –:

   se non intenda convocare la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano affinché provveda celermente alla ripartizione tra le regioni interessate al prelievo in deroga del numero di capi prelevabili per ciascuna specie, ripartizione che doveva essere fatta per legge entro il 10 giugno 2018.
(4-00522)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   DONZELLI, BUTTI, FOTI e ZUCCONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   secondo il regolamento (CE) 66/2010 l'ecoetichetta europea (EU ecolabel nella dicitura inglese) è un marchio europeo usato per certificare il ridotto impatto ambientale dei prodotti o dei servizi offerti dalle aziende che ne hanno ottenuto l'utilizzo;

   per i materiali cartacei la certificazione ecolabel può essere data sia per prodotti in pura cellulosa sia per carta di recupero/riciclo;

   nel piano d'azione nazionale sul green public procurement (PANGPP) «Criteri ambientali minimi per l'affidamento del servizio di pulizia e per la fornitura di prodotti per l'igiene» pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 20 giugno 2012, al punto 5.3.4 «Prodotti ausiliari: caratteristiche dei prodotti in carta tessuto», si specifica che «I prodotti di carta tessuto forniti (carta igienica, rotoli per asciugamani, salviette monouso, etc.) devono rispettare i criteri di qualità ecologica stabiliti nella Decisione 2009/568/CE del 9 luglio 2009, che stabilisce i criteri ecologici per l'assegnazione del marchio comunitario di qualità ecologica “Ecolabel Europeo al tessuto carta”»;

   a quanto consta agli interroganti, in alcune selezioni per assegnazione di forniture di materiale igienico a enti pubblici, come ad esempio l'Ente circoli Marina militare, Circolo sottoufficiali piazza d'Armi, 15 – 19123 La Spezia (Allegato A al foglio 1878 del 14 giugno 2016) o il Palazzo di giustizia sede piazza Cavour (Rdo 1942604) si specifica che i prodotti offerti devono essere in pura ovatta di cellulosa, marchio di qualità ecologica ecolabel –:

   se il Governo abbia intenzione di assumere iniziative per modificare i criteri ambientali minimi per l'affidamento prevedendo l'obbligo di prodotti cartacei di recupero/riciclo;

   se il Governo abbia intenzione di assumere iniziative per evitare almeno che l'amministrazione pubblica escluda dalla partecipazione alle proprie selezioni per i materiali igienici i prodotti cartacei di recupero/riciclo, prevedendo come adesso solo quelli in pura cellulosa pur se ecolabel.
(4-00559)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   SIRACUSANO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   il Teatro di Messina ha avviato numerose collaborazioni anche fuori regione, al fine di intraprendere azioni specifiche di formazione di giovani attori e professionisti delle arti e dello spettacolo dal vivo e di partecipare a nuove produzioni;

   l'Ente autonomo regionale – Teatro di Messina ha firmato, nel febbraio del 2018, un protocollo di intesa con la città metropolitana di Messina finalizzato a concordare la convocazione di teatri pubblici e privati e di Fondazioni culturali del territorio della stessa città metropolitana, al fine di coordinare la programmazione dei teatri aderenti all'intesa e di rafforzare la competitività del comparto della cultura e dello spettacolo, interagendo con le filiere parallele, quali turismo, fruizione dei beni culturali, attività culturali ad ampio raggio e anche formazione, per lo sviluppo integrato del territorio;

   la costituzione di una rete contribuisce a promuovere un modello di governance del territorio che non trascura l'aspetto economico dell'attività, ma contemporaneamente sostiene lo sviluppo e la diffusione culturale dell'attività anche dei piccoli teatri del territorio, considerati minori in qualità della loro dislocazione in località più piccole ma non per questo meno rilevanti da un punto di vista culturale;

   il sostegno e lo sviluppo delle attività teatrali ricoprono un ruolo fondamentale nell'ambito dell'educazione alla cittadinanza attiva e alla convivenza civile;

   il sistema teatrale è finanziato con contributi erogati a valere sul fondo unico per lo spettacolo: la normativa in materia prevede che al contributo possono accedere i teatri nazionali, teatri di rilevante interesse culturale, imprese di produzione anche giovanili, imprese di produzione di teatro di innovazione sperimentazione e infanzia e gioventù, imprese di produzione di teatro di figura e di immagine, soggetti che svolgono teatro di strada, centri di produzione teatrale, circuiti regionali, organismi di programmazione, festival, soggetti pubblici e privati che realizzino progetti di promozione finalizzati: a) al ricambio generazionale; b) alla coesione e inclusione sociale; c) al perfezionamento professionale; d) alla formazione del pubblico;

   i finanziamenti erogati all'Ente autonomo regionale – Teatro di Messina risultano non adeguati a far fronte ai numerosi impegni che il Teatro di Messina dovrà affrontare per manutenzione ordinaria e straordinaria della struttura, e anche nei confronti di alcune categorie di lavoratori;

   Teatro Vittorio Emanuele di Messina ha recentemente concluso dei lavori di ristrutturazione e messa a norma degli impianti per un totale di 998 posti a sedere, in merito ai quali è stato espresso un parere favorevole dalla competente commissione comunale di vigilanza locali pubblico spettacolo –:

   quali urgenti iniziative di competenza intenda adottare, anche alla luce dei recenti contributi erogati a livello nazionale a valere sul Fondo unico per lo spettacolo, a favore di teatri di rilevante interesse culturale, così da permettere al Teatro di Messina, struttura di eccellenza a livello nazionale, all'interno della quale lavorano diverse categorie di lavoratori, di completare l'opera di ristrutturazione e di programmazione iniziata e allo stato attuale incompleta a causa della carenza di fondi.
(4-00543)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   FICARA, RIZZO, MARZANA e SCERRA. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   la Commissione sanità della regione siciliana, nella precedente legislatura aveva inserito, fra le opere da realizzare, il nuovo ospedale di Siracusa, stimato in una spesa pari a circa 140 milioni di euro, individuando come area quella prevista nel 1993 dall'amministrazione locale in zona FS2, contrada Pizzuta;

   presso l'area prospiciente Capo di Santa Panagia in Siracusa è dislocata la stazione radiotelegrafica della Marina militare, complesso di antenne militari installate sul territorio con decreto del comando militare marittimo del Basso Tirreno del 20 novembre 1985;

   in data 29 novembre 2017 il deputato all'Assemblea regionale siciliana, Stefano Zito, inviava al direttore generale dell'Asp 8 di Siracusa, al sindaco del comune di Siracusa e alla Marina militare una nota con la quale auspicava una collaborazione tra amministrazione comunale, Asp, Marina militare, Soprintendenza, Genio civile, Protezione civile e con tutti gli enti istituzionalmente competenti al fine di verificare se fosse possibile la cessione della suddetta area di proprietà della Marina militare al comune, per la realizzazione del nuovo ospedale di Siracusa, anche al fine di un risparmio sull'acquisizione dell'area;

   in data 12 gennaio 2018, come riportato organi di stampa locale, a seguito di un sopralluogo nella suddetta area effettuato dai deputati all'Assemblea regionale siciliana Stefano Zito e Giorgio Pasqua, unitamente ai primi due firmatari del presente atto, si veniva a conoscenza del fatto che, sul sito individuato sarebbe prevista l'installazione di nuovi apparati radiotrasmittenti, le cui antenne verrebbero a trovarsi all'interno del quartiere di Santa Panagia e, quindi, circondate da abitazioni;

   in data 8 febbraio 2018 il deputato Zito depositava mozione ordinaria per impegnare il governo regionale ad attivarsi, a prescindere dalla possibilità della realizzazione della suddetta proposta, affinché si evitasse l'installazione delle nuove antenne, di cui, tra l'altro non è conosciuta la natura e l'eventuale pericolosità per la salute dei residenti;

   con risoluzione in commissione IV n. 7-01421, anche il primo firmatario del presente atto, nella precedente legislatura, ha portato la questione all'attenzione del Governo pro tempore, chiedendo di valutare l'opportunità di assumere iniziative per istituire un protocollo di intesa tra Ministero della difesa e regione siciliana volto a destinare l'area o una sua porzione, in cui insiste la stazione radiotelegrafica della Marina militare alla realizzazione del nuovo ospedale di Siracusa –:

   se trovino conferma le notizie riguardanti l'installazione di nuove antenne presso il sito della Marina militare in Siracusa, zona Santa Panagia, e se siano stati preventivamente verificati gli effetti reali e le conseguenze rispetto alla salute dei cittadini e dell'ambiente;

   se, rispetto alla possibilità della realizzazione della proposta inerente alla costruzione del nuovo ospedale, siano arrivati input al Governo da parte della regione siciliana e/o da parte del comune di Siracusa e come si intenda eventualmente procedere.
(4-00527)


   PALAZZOTTO e FRATOIANNI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   Riccardo Casamassima, l'appuntato dei carabinieri che con la sua testimonianza ha fatto riaprire l'inchiesta sul decesso di Stefano Cucchi, in un video postato su Facebook ha chiesto di essere ascoltato dal Governo perché dice testualmente: «per aver fatto il mio dovere, come uomo e come carabiniere, per aver testimoniato nel processo relativo a Stefano Cucchi, morto perché pestato dai miei colleghi mi ritrovo a subire un sacco di conseguenze (...)»;

   a seguito della sua testimonianza, infatti, sarebbero cominciate a suo carico diverse vessazioni, procedimenti disciplinari e minacce da parte di colleghi e superiori, tra cui la negazione del ricongiungimento familiare, insulti via social network, punizioni per aver rilasciato dichiarazioni stampa, e altro;

   l'ultima notizia, in ordine di tempo, è che al carabiniere sarebbe stato notificato un trasferimento presso la scuola allievi ufficiali, il che comporta un allontanamento, un demansionamento e una consistente decurtazione dello stipendio, dopo 20 anni di servizio in strada. A detta di Casamassima, i suoi superiori lo avrebbero giudicato «poco esemplare» e «inadeguato al senso della disciplina», da qui la giustificazione al trasferimento;

   anche la carabiniera Maria Rosati, oggi compagna di Riccardo Casamassima, ha testimoniato, essendo di fatto coloro che hanno permesso di riaprire l'inchiesta e dare il via al processo per l'uccisione di Stefano Cucchi. Sono stati ascoltati dopo che alcuni loro colleghi dissero di aver visto Stefano Cucchi estremamente sofferente dopo il pestaggio subito alla caserma della Casilina durante il foto segnalamento e sono stati sentiti dopo che alcuni loro colleghi avevano ammesso, davanti ai giudici, di essere stati convocati dai superiori, sempre dopo la morte di Cucchi, per modificare le loro annotazioni;

   a parere degli interroganti qualsiasi azione fatta nei confronti di un testimone chiave come Riccardo Casamassima potrebbe direttamente o indirettamente compromettere un processo ancora aperto, delicato e complesso come quello Cucchi. Il trasferimento, piuttosto, doveva essere disposto già da tempo ma nei confronti dei suoi superiori e dei colleghi coinvolti nel processo, e non di chi ritiene di aver fatto solo il proprio dovere raccontando i fatti così come si sono verificati;

   sempre a parere degli interroganti, l'Arma dei carabinieri, per la sua storia e il rispetto che gode nell'opinione pubblica, non può permettersi che rimanga anche la più piccola ombra rispetto alla correttezza del proprio operato, anche nel rispetto della stragrande maggioranza di quegli uomini e quelle donne appartenenti all'Arma, che servono lo Stato con abnegazione e spirito di servizio –:

   se la Ministra interrogata intenda approfondire, per quanto di competenza, i fatti esposti in premessa e in particolare quanto contenuto nel video realizzato dal carabiniere Riccardo Casamassima, al fine di accertare i fatti e fare piena luce su quanto accaduto e denunciato, anche a tutela del buon nome dell'Arma dei carabinieri;

   se la Ministra interrogata intenda attivarsi, per quanto di competenza, per accertare se risponde al vero che il carabiniere Riccardo Casamassima sia stato vittima di vessazioni, procedimenti disciplinari e minacce e se le stesse possano essere messe o meno in correlazione con la sua testimonianza al processo Cucchi;

   quali iniziative di competenza la Ministra interrogata intenda adottare per garantire che un testimone chiave in un processo ancora in corso venga tutelato da eventuali ritorsioni a causa del contenuto della sua testimonianza.
(4-00532)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   FOTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   la legge 27 dicembre 2017, n. 205 (bilancio di previsione dello Stato per l'esercizio finanziario 2018), ha introdotto l'obbligo diffuso della fatturazione elettronica sia nelle relazioni commerciali tra soggetti passivi iva privati (aziende e professionisti con partita iva) sia verso i consumatori finali;

   giusta la predetta norma, a fare data dal 1o luglio 2018, per la vendita e l'acquisto di carburanti, è abolita la carta carburanti: il benzinaio dovrà dotarsi di mezzi elettronici, identificare il cliente, inviare poi sempre sulla piattaforma i dati della singola fornitura e, infine, il cliente dovrà andare a riprenderseli in modo elettronico;

   dal 1o gennaio 2019 per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate tra soggetti residenti, stabiliti o identificati nel territorio dello Stato, e per le relative variazioni, verranno emesse esclusivamente fatture elettroniche utilizzando il sistema di interscambio e secondo il formato Xml;

   quanto agli scambi con operatori non stabiliti nel territorio dello Stato, i soggetti passivi iva (italiani che esportano), trasmetteranno telematicamente all'Agenzia delle entrate i dati relativi alle operazioni di cessione di beni e di prestazioni di servizi effettuate e ricevute, verso e da soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato;

   i presunti vantaggi della fatturazione elettronica e della conservazione sostitutiva, interessatamente pubblicizzati, sarebbero dati dalla: a) eliminazione dei costi diretti (toner, carta, luoghi di conservazione); b) eliminazione del rischio di distruzione, corruzione o perdita; c) riduzione notevole dei tempi di ricerca e consultazione;

   quanto all'eliminazione dell'onere di conservazione cartacea, va da se’ che le piccole imprese assolveranno l'obbligo della fatturazione elettronica, ma in più conserveranno per comodità e/o prudenza anche la versione cartacea, con conseguente raddoppio dei costi. Inoltre, per tante piccole e medie aziende la fatturazione elettronica costituirà un notevole costo aggiuntivo, dovendo obbligatoriamente le stesse: a) attrezzarsi con strumenti adeguati (ad esempio: computer); b) dotarsi di un software apposito e costoso per redigere le fatture secondo uno schema rigido definito dalla pubblica amministrazione e firmarle digitalmente mediante una procedura speciale; c) accreditarsi presso la mega-piattaforma Sdl gestita sempre dalla pubblica amministrazione a cui dovranno obbligatoriamente inviare le proprie fatture di vendita indicando la pec o l'identificativo del relativo cliente. Al riguardo, dai primi calcoli, sembra che in un solo anno detta piattaforma dovrà gestire oltre un miliardo di documenti, il tutto senza alcun periodo di prova;

   il cliente dovrà, a sua volta, premunirsi di un sistema elettronico per accedere alla piattaforma o al suo cassetto fiscale, insomma andarsi a trovare le sue fatture di acquisto sempre in formato Xml e sempre grazie ad un software;

   giova ricordare che, in Europa, l'Italia è il primo Stato a rendere obbligatorio detto problematico sistema i cui costi cadranno interamente sui contribuenti: ad avviso dell'interrogante la sinistra, quando si tratta di scaricare costi e oneri sui contribuenti è – all'evidenza – sempre in primissima fila. Si può obiettare al riguardo che il contribuente potrà decidere di rivolgersi ad un «intermediario» abilitato che potrebbe fare tutto. Ma è facile immaginare, anche in questo caso, quanto tempo e quante formalità il contribuente dovrà accollarsi per spedire una semplice fattura, inviandola all'intermediario che, compiute tutte le operazioni, dovrà nuovamente inviare al contribuente il tutto: secondo l'interrogante una situazione del tutto irrazionale;

   l'attuale maggioranza di Governo ha, in più occasioni, promesso una tregua fiscale ai contribuenti –:

   se il Ministro interrogato intenda, con iniziative di tipo normativo, posticipare di almeno due anni l'entrata in vigore degli obblighi riguardanti la fatturazione elettronica di cui alla predetta legge n. 205 del 2017
(4-00521)


   LUCA DE CARLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   rappresenta un problema sempre più grave quello dei tassi di interesse sulle aperture di credito presso Veneto Banca e Popolare di Vicenza, accese a suo tempo dai risparmiatori a condizioni particolarmente vantaggiose e a cui, oggi, Banca Intesa applica valori che arrivano fino al 24,5 per cento;

   sono crediti garantiti dalle azioni stesse, ma adesso quelle garanzie non esistono più e Intesa chiede i rientri immediati, oppure modifica unilateralmente le condizioni, decidendo di applicare interessi come se si trattasse di crediti al consumo;

   si tratta di un problema che aggrava ulteriormente la situazione in cui versano migliaia di famiglie e imprese che hanno già visto i propri risparmi dilapidati nella crisi delle due ex popolari e su cui oggi, pur nel rispetto formale della legge, si sta facendo, ad avviso dell'interrogante, «macelleria sociale»;

   da quello che si evince dagli organi di stampa, nella sola provincia di Treviso ci sono oltre un migliaio di casi di clienti delle ex popolari che alla richiesta di vendere le azioni in fase di flessione si sono sentiti proporre aperture di credito attraverso affidamenti sul conto corrente o linee di finanziamento a tassi variabili tra l'1 e il 2 per cento;

   la vicenda dei fidi e dei prestiti concessi a Veneto Banca e Popolare di Vicenza, finalizzati all'acquisto di azioni secondo lo schema delle cosiddette «baciate» oppure dati al posto della richiesta di vendita dei titoli, è alimentata anche dal potere di convincimento nei confronti di clienti spaventati dal crollo dei rispettivi valori;

   quello che sta accadendo in provincia di Treviso è una «carneficina» legittimata da un sistema di relazioni con Intesa San Paolo, secondo l'interrogante, viziato dagli accordi presi dal passato Governo, sotto il cui mandato peraltro si è voluto escludere l'istituto di credito torinese da ogni responsabilità rispetto alle legittime attese di compensazione da parte degli azionisti che hanno perduto tutto –:

   quali urgenti iniziative intenda porre in essere, per quanto di competenza, anche attraverso l'apertura di un tavolo di confronto con Intesa Sanpaolo che consenta di pervenire alla ridefinizione delle condizioni finanziarie applicate, al fine di tutelare adeguatamente i cittadini risparmiatori di Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza, evitando che paghino interessi oggi elevatissimi.
(4-00523)


   LOVECCHIO, GIULIANO, FARO, MENGA e TROIANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   Apulia Prontoprestito s.p.a., con sede legale in San Severo (FG), è una società nata nel 2004 come «costola» di Banca Apulia e specializzata nella gestione e recupero dei crediti deteriorati. Le sue quote erano detenute per il 13,08 per cento da Veneto Banca s.p.a. e per l'86,92 per cento da Banca Apulia spa;

   nel maggio 2010 è avvenuto l'ingresso di Banca Apulia e delle sue controllate nel gruppo Veneto Banca;

   il 12 maggio 2016, sulla base del piano industriale 2015-2020 di Veneto Banca, che prevedeva la fusione per incorporazione di Apulia Prontoprestito in Banca Apulia, Apulia Prontoprestito è stata cancellata d'ufficio dall'albo degli intermediari finanziari tenuto dalla Banca d'Italia, rimanendo di fatto priva della licenza di erogare credito;

   il 25 giugno 2017 è entrato in vigore il decreto-legge n. 99 del 2017 cosiddetto «salva banche venete» che ha previsto la messa in liquidazione coatta amministrativa di Veneto Banca e di Banca Popolare di Vicenza ed il transito in Intesa Sanpaolo della parte attiva di queste banche e delle rispettive controllate Banca Apulia e Banca Nuova, unitamente ai loro circa 10.000 dipendenti. Come conseguenza, si è di fatto interrotto il processo di incorporazione di Apulia Prontoprestito in Banca Apulia, impedendone il salvataggio;

   con atto del 10 luglio 2017, Banca Apulia (rientrata nel perimetro del salvataggio) ha interamente ceduto la sua partecipazione in Apulia Prontoprestito a Veneto Banca in liquidazione coatta amministrativa: da quella data Apulia Prontoprestito è detenuta al 100 per cento da Veneto Banca in liquidazione coatta amministrata;

   Apulia Prontoprestito verrà pertanto sottoposta alla procedura di vendita prevista dall'articolo 3 decreto-legge 99 del 2017, risultando tuttavia poco appetibile al mercato, in quanto priva di licenza per il recupero crediti, con conseguente rischio occupazionale per i suoi 36 dipendenti;

   il 26 aprile 2018, il Mattino di Padova ha pubblicato un'intervista ad Alessandro Rivera, presidente di S.G.A. spa (società controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze cui sono stati affidati la gestione e il recupero dei crediti deteriorati di Veneto Banca e di Banca Popolare di Vicenza), il quale sembrerebbe aver dichiarato la necessità di aumentare l'organico di 240 persone, di cui 70 già assunte in distacco dalle ex banche venete in accordo con Intesa Sanpaolo –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto descritto in premessa e se non ritengano di dover con urgenza assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di garantire la tutela occupazionale dei dipendenti di Apulia Prontoprestito.
(4-00548)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   BIGNAMI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   di recente il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria – direzione generale del personale e delle risorse ha inviato alle sigle sindacali lo schema di decreto recante la disciplina delle modalità per l'accesso alla qualifica iniziale del ruolo ad esaurimento del Corpo di polizia penitenziaria a norma dell'articolo 44, comma 14, del decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95;

   lo schema di decreto è stato trasmesso per informativa e per eventuali osservazioni che dovranno essere trasmesse entro il 28 giugno 2018;

   da tale atto parrebbero emergere alcune criticità come la non valorizzazione di chi ha svolto incarichi di comando, di chi ha conseguito specializzazioni all'interno del Corpo, di chi ha svolto missioni operative, di chi ha effettuato docenze, di coloro che hanno pubblicazioni all'attivo e di coloro che hanno partecipato a commissioni di studio, ispettive o di qualsiasi altra natura;

   gli incarichi di comando parrebbero altresì potenzialmente equiparati, peraltro attraverso l'attribuzione di punteggi minimi, ad incarichi di responsabilità anche di chi non ha effettuato un solo giorno in prima linea e magari ha svolto mansioni prevalentemente all'interno degli uffici dell'amministrazione penitenziaria;

   tale situazione potrebbe dunque non valorizzare e soddisfare appieno i criteri di equità e di merito –:

   se sia a conoscenza dei fatti esposti;

   se siano arrivate osservazioni al riguardo da parte delle sigle sindacali e, in caso affermativo, in che modo e con quali tempistiche si intenda dare riscontro alle osservazioni stesse;

   quali iniziative si intendano assumere per soddisfare appieno i criteri di merito e di equità nel testo del decreto recante la disciplina delle modalità per l'accesso alla qualifica iniziale del ruolo ad esaurimento del Corpo di polizia penitenziaria a norma dell'articolo 44, comma 14, del decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95.
(4-00534)


   GEMMATO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   in data 5 giugno 2018 è stata pubblicata un'interrogazione parlamentare del sottoscritto relativa al tema della geografia e dell'edilizia giudiziaria;

   nelle more della risposta il Ministro della giustizia si è recato personalmente a Bari, al fine di verificare lo stato in cui versa il palazzo di giustizia e ha potuto constatare la situazione indecorosa dovuta alle tensostrutture;

   in occasione di detto sopralluogo il Ministro ha incontrato i lavoratori, i rappresentanti della magistratura e dell'avvocatura barese, rassicurandoli circa una pronta risoluzione, rigettando qualsiasi forma di commissariamento, avocando a sé ogni decisione e stimolando un'indagine di mercato, finalizzata all'individuazione di una struttura alternativa;

   l'epilogo è stata l'adozione del decreto-legge 22 giugno 2018, n. 73, con il quale sono stati sospesi fino al 30 settembre 2018 i termini processuali e di prescrizione;

   gli operatori del diritto, tra cui Anm, procura della Repubblica Coa e Camera penale di Bari, Organismo di conciliazione forense, hanno espresso immediatamente il loro convinto disappunto, ipotizzando una questione di incostituzionalità, e anche per questo gli avvocati italiani manifesteranno a Bari il 26 giugno 2018;

   l'effetto immediato del decreto-legge è stato che dal 25 giugno 2018 non è più stato necessario fare udienze di rinvio e la «tendopoli» potrà essere smantellata, ma la nuova sede non è stata ancora individuata, mentre pare sia stato firmato il contratto di affitto per un trasferimento nell'immobile di via Brigata Regina ed è in corso di definizione la convenzione per l'utilizzo dell'ex sede giudiziaria distaccata di Modugno (BA);

   si propone, pertanto, un doppio trasferimento, a giudizio dell'interrogante assolutamente illogico, con il fondato rischio che la soluzione transitoria possa divenire definitiva;

   inoltre, non sembra sia stato considerato l'effetto sui processi delle norme adottate, volendo salvare le apparenze indegne delle tensostrutture, come principale fine, senza valutare gli effetti nefasti sul sistema giudiziario, considerato che: per recuperare i tre mesi di sospensione ci vorranno anni con un notevole dispendio economico, posto che le cancellerie saranno costrette ad eseguire migliaia notifiche per convocare le nuove udienze, con inevitabili conseguenze anche sulla validità dei processi stessi; verrà di fatto negata la giustizia a tutte le parti del processo, imputati, parti offese, parti civili; infine, magistrati ed avvocati avranno gravi conseguenze e ripercussioni per l'espletamento della loro professione;

   il Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Bari ha dovuto richiedere alla Cassa forense di adottare provvedimenti finalizzati alla sospensione dei pagamenti dei contributi previdenziali, ed al Consiglio nazionale forense di esonerare i praticanti avvocati dalla frequenza obbligatoria semestrale delle udienze, nonché gli avvocati dal conseguimento dei crediti formativi annuali, una richiesta, a parere dell'interrogante, del tutto condivisibile –:

   se non ritenga di fornire chiarimenti in ordine alle questioni esposte in premessa e se intenda promuovere soluzioni definitive e in che termini.
(4-00557)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:

   il III lotto della variante alla strada statale 1 Aurelia nell'abitato dell'area di La Spezia, opera inclusa nella delibera del Cipe n. 121/2001 sotto la voce hub portuali si configura con i due già realizzati lotti, come un asse tangenziale alla città che si sviluppa per circa 10 chilometri dalla zona di san Benedetto, a nord-ovest della città, fino alla zona Stagnoni, a est, ove si collega al raccordo autostradale, aggirando l'agglomerato urbano;

   l'Anas, soggetto aggiudicatore, approvò il progetto del III lotto con un costo di 254,9 milioni di euro e trasmise il progetto definitivo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per la sua approvazione, nonché al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, alle Soprintendenze competenti, alla regione Liguria e a tutti gli enti interessati;

   il terzo lotto, incluso nella delibera del Cipe n. 10/2009 fu assegnato a seguito di gara d'appalto all'ATI Coestra, Consorzio Etruria Tecol (appalto integrato) il 29 agosto 2011 (con scadenza 29 novembre 2015) ma ad oggi non è ancora stato completato. Tale lotto avrebbe completato la variante, conferendole compiutezza funzionale attraverso il collegamento della stessa con il raccordo autostradale, permettendo inoltre il collegamento tra la Val di Vara e la Val di Magra;

   più precisamente, il tracciato dell'asse principale del III lotto della variante Aurelia ha origine all'imbocco della galleria «Castelletti», in località Felettino, e termina in corrispondenza del raccordo autostradale La Spezia-S. Stefano Magra per mezzo delle rampe dello svincolo di Melara, per uno sviluppo complessivo del collegamento di circa 4,50 chilometri. La maggior parte del tracciato, circa 2,7 chilometri, è in galleria a causa della conformazione orografica del territorio, di cui sei tunnel naturali e tre artificiali. Dal Felettino a Melara dovrebbero essere realizzati quattro svincoli nonché quattro viadotti principali e undici viadotti secondari;

   nel dicembre 2013 la Coestra presentava istanza di concordato preventivo per fallimento. E nel luglio 2014 il tribunale di Firenze omologava il concordato e decideva, altresì, di vendere un ramo d'azienda della società Coestra (precisamente il III lotto della variante Aurelia della SP) che veniva aggiudicata, dopo aver indetto una nuova gara d'appalto per la realizzazione dell'opera, alla Toto s.p.a. (ottobre 2014);

   nel 2015 il Ministro pro tempore Delrio e il presidente di Anas Gianni Vittorio Armani hanno visitato il terzo lotto per inaugurare nuovamente la ripresa dei lavori promettendo che la variante sarebbe stata fruibile nel 2017;

   nei giorni scorsi sembrerebbe essere stata avanzata richiesta di risoluzione in danno dall'azienda appaltatrice del cantiere della variante Aurelia di Spezia, azione assolutamente lesiva delle esigenze di un territorio che su quell'opera pubblica fa affidamento per risolvere antichi problemi di viabilità;

   la mancata realizzazione di questa opera, oltre ad avere pesanti ricadute occupazionali, produrrebbe un danno enorme al territorio, in quanto rappresenta un percorso alternativo di attraversamento dell'area e di accesso alla zona portuale, volta a decongestionare la viabilità costiera dai flussi d'attraversamento e restituire gran parte della rete viaria cittadina al traffico locale; è quindi evidente il grave disagio derivante dal blocco dell'opera anche per le migliaia di cittadini della Val di Vara e parte della Val di Magra, oltre che per tutti gli spezzini –:

   se sia a conoscenza della situazione esposta in premessa e se non ritenga di affrontare la questione la cui immobilità non sta creando solo problemi al territorio ma anche ai lavoratori e individuare tutte le possibili soluzioni per un rapido prosieguo dei lavori e per il completamento dell'opera nel più breve tempo possibile;

   se non ritenga, al tempo stesso, di assumere iniziative per l'applicazione dell'accordo sindacale intercorso tra Anas e le sigle sindacali di categorie sottoscritto il 21 febbraio 2018 con riferimento all'inserimento tra i prerequisiti, in una eventuale nuova gara d'appalto, della clausola sociale, al fine di promuovere la stabilità occupazionale del personale impegnato nella realizzazione dell'opera, riassorbendo il personale dipendente dell'appaltatore uscente secondo la vigente normativa.
(2-00033) «Gagliardi».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BUTTI e FRASSINETTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   sembrano iniziare i lavori per la realizzazione della metroferrotramvia Milano-Seregno dopo circa quattro anni dall'aggiudicazione all'impresa Cmc di Ravenna ed una serie di quelli che appaiono agli interroganti ingarbugliati «rimpalli» tra gli enti coinvolti;

   il provveditorato alle opere pubbliche della Lombardia, l'amministrazione provinciale di Milano, metropolitana Milanese e Cmc di Ravenna pare abbiano finalmente trovato un accordo –:

   se risponda al vero che il tracciato dell'opera intersechi quello della costruenda Pedemontana lombarda, comportando così una ulteriore variazione progettuale o dell'una o dell'altra;

   se risponda al vero che successivamente all'aggiudicazione dell'appalto sia affiorata l'inesistenza del progetto, con conseguente inesistenza di un adeguato finanziamento, dello spostamento dei sotto servizi;

   se risponda al vero che, nel frattempo, l'impresa stia redigendo il progetto esecutivo, al netto dei problemi citati e delle difficoltà create dagli enti pubblici interessati dal tracciato.
(5-00055)


   BUTTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il progetto Pedemontana risulta fermo ormai da cinque anni al 30 per cento dell'opera, e a seguito della rescissione del contratto con l'impresa appaltatrice Strabag inizierà un contenzioso;

   la revisione progettuale, annunciata da Apl dopo la rescissione del contratto Strabag, comporterebbe una spesa di circa dieci milioni di euro e un iter di circa tre anni a cui aggiungere almeno due per rinegoziare un nuovo project;

   il rischio relativamente al contenzioso con Strabag è duplice: con la rescissione del contratto è probabile il ristoro del 20 per cento, pari a trecento milioni di euro; le «riserve» sono arrivate ad oltre quattro miliardi di euro;

   anche a causa del mancato completamento dell'opera il traffico resta inferiore del 50 per cento rispetto alle previsioni e non paga i costi operativi e finanziari;

   la richiesta di fallimento avanzata dalla procura di Milano è stata parzialmente arginata da regione Lombardia che ha rinegoziato la durata del prestito fino al 2034 al 7,5 per cento annuo di tasso a vantaggio esclusivo delle banche socie, e impegnandosi anche a garantire la solvibilità di Pedemontana a quella data;

   per i due «secondi lotti» delle tangenziali, in questa condizione, non c'è futuro, così come per il ventilato annullamento del pedaggio;

   il quasi fallimento di Pedemontana non ha però impedito, a quanto consta all'interrogante, un incremento delle assunzioni –:

   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato in merito alla necessità di concludere un'opera strategica per i collegamenti lombardi;

   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato in ordine a quella che l'interrogante reputa l'omessa vigilanza della concedente Cal, che avrebbe dovuto imporre i versamenti in equity e vigilare sul rispetto della convenzione;

   posta l'eventuale responsabilità di Cal, quale sia l'orientamento del Ministro in relazione alla chiusura stragiudiziale del contratto Strabag e alla destinazione del minor costo di struttura (almeno cinque milioni di euro all'anno) alla riduzione della tariffa;

   quali iniziative di competenza intenda assumere per salvare e rilanciare l'intera opera Pedemontana;

   se non ritenga, per quanto di competenza, di assumere iniziative per costituire un pool commissariale, composto da un tecnico, un legale e un esperto di finanza, con mandato di analizzare la complessa situazione e definire una soluzione;

   quale sia l'orientamento del Ministro, per quanto di competenza, relativamente all'opzione, a lungo promessa ai lombardi, di esenzione dal pedaggio, almeno in alcuni tratti.
(5-00058)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRAGA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   da alcuni articoli apparsi di recente sulla stampa locale comasca, unitamente alla risposta dell'assessore regionale alle infrastrutture Claudia Terzi ad una interrogazione presentata in regione Lombardia dal consigliere Orsenigo si evince che, in merito alla «A59 – Tangenziale di Como», non sussiste nessuna certezza sul futuro del secondo lotto dell'opera e sulla gratuità del primo lotto, aperto al traffico il 23 maggio 2015;

   risulta inoltre che la nuova giunta di regione Lombardia non intenda più costituire la società mista «Lombardia mobilità» (controllo paritetico Anas-regione Lombardia) destinata a gestire unitariamente la rete stradale prioritaria ricadente nel territorio della Lombardia. «Lombardia mobilità» fu annunciata come la soluzione per il completamento dei lotti mancanti delle tangenziali di Como e Varese e garantire la gratuità dei transiti;

   la precedente intenzione di azzeramento del pedaggio attraverso l'accordo con l'Anas si è sempre basata sulla necessità di definire accordi specifici con le società concessionarie autostradali lombarde, l'Autostrada Pedemontana Lombarda e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, modificando altresì il testo della convenzione «Concessionarie autostradali lombarde – l'Autostrada Pedemontana Lombarda» di competenza ministeriale e del Cipe;

   mancando questa condizione risulta oggi difficile procedere all'immediato azzeramento del pedaggio del primo lotto dell’«A59 – Tangenziale di Como» attraverso un accordo con l'Anas, e per l'esistenza della società concessionaria Cal-Pedemontana e perché non è ancora stato modificato l'accordo regione Lombardia-Anas sulla rete stradale lombarda;

   si apprende poi che con ritardo sia tuttora in corso di redazione il documento di fattibilità delle alternative progettuali del «lotto 2 della tangenziale di Como – itinerario Va-Co-Lc», mentre non sono ancora intercorse alcune comunicazioni sul lotto della tangenziale di Varese;

   l'eliminazione del pedaggio è decisiva per l'utilità dell'opera in questione. Da quando è stato introdotto il pagamento per i fruitori del tratto comasco della detta tangenziale gli utenti sono calati e il traffico è cresciuto lungo la viabilità ordinaria con gravi ripercussioni in termini di equilibrio della viabilità ordinaria e di salute ambientale; l'opera è così sottoutilizzata e inefficace –:

   se e come il Ministro interrogato, per quanto di competenza, intenda dar corso al completamento del sistema viario di Autostrada pedemontana lombarda, in particolare al secondo lotto delle tangenziali di Como e Varese, così come alle opere di compensazione ambientale ancora inattuate;

   quali iniziative di competenza il Ministro intenda assumere per dar corso alla modifica del testo della convenzioni «Concessionarie autostradali lombarde – l'Autostrada pedemontana lombarda» e consentire l'azzeramento dei pedaggi nelle tratte in questione.
(4-00528)


   BENDINELLI, BOND, BARATTO e CORTELAZZO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   nei comuni di Lazise e Torri del Benaco si sono verificate nei giorni scorsi delle lagheggiate a causa dell'alto livello delle acque del lago di Garda;

   questo è accaduto nonostante l'accordo su gestione livelli acque del Garda stipulato in data 3 settembre 2013, preveda un livello idrometrico di 125 centimetri nel periodo febbraio-maggio. L'accordo è stato stipulato tra i rappresentanti delle regioni Lombardia e Veneto, le provincie di Verona, Trento, Brescia, Mantova, il comune di Peschiera del Garda e i consorzi pubblici di Garda Uno Bs, Depurazioni Benacensi, Azienda Gardesana Servizi VR, Consorzio del Mincio Mn e la Comunità del Garda unitamente all'autorità di bacino e all'Agenzia interregionale per il fiume Po (Aipo) lombarda;

   purtroppo, ancora in questi giorni il livello è superiore ai 131 centimetri. Sono noti i gravi rischi che determina un livello elevato, in primo luogo, nei confronti del collettore che, per la pressione delle acque su talune condutture obsolete, genera l'infiltrazione di acque parassite e la conseguente fuoriuscita di acque scure che inquinano il lago;

   a questo pregiudizio rilevante si aggiungono la scomparsa per molti comuni, delle spiagge e il rischio di danni rilevanti ai pontili e l'allagamento di parte dei comuni che si è determinato a causa delle lagheggiate;

   se si considera il danno ambientale e l'importanza dell'economia turistica di un territorio che registra la presenza di oltre 25 milioni di turisti italiani ed internazionali, non si comprende l'atteggiamento burocratico dell'Aipo nel non attuare, anche a livello sperimentale, il citato accordo, votato tra l'altro all'unanimità –:

   quali iniziative, per quanto di competenza, i Ministri interrogati intendano assumere in proposito al fine di impedire che si ripeta la situazione esposta in premessa e favorire, anche per il tramite dell'autorità di bacino, l'applicazione di quanto stabilito con l'accordo sulla gestione dei livelli delle acque del Garda.
(4-00540)

INTERNO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:

   il Ministro dell'interno ha sollevato con grande forza il tema di censire cittadini e famiglie di etnia Rom presenti in Italia;

   tale «censimento» sarebbe finalizzato a prevenire fenomeni di insicurezza dell'ordine pubblico derivanti dalle attività e dalla presenza stessa dei Rom nel territorio nazionale;

   tale iniziativa non appare, al momento, sorretta da alcun concreto provvedimento, ma si limita ad un generico annuncio che rischia di omologare la complessa realtà delle popolazioni Rom ad una lettura negativa foriera di sentimenti xenofobi da parte di larghe fasce di popolazione residente;

   nessuna concreta azione sembra, altresì, ravvedersi, tra gli annunci del Ministro, in relazione al reale perseguimento di reati e alla concreta repressione di fenomeni criminali e illegali che si determinano soprattutto nelle grandi aree urbane anche in rapporto con insediamenti Rom o da parte di clan che – come nel caso di Roma – pur legati a specifiche famiglie Rom non riguardano il complesso delle popolazioni, dei cittadini e delle famiglie nomadi;

   il problema della regolamentazione di molti insediamenti Rom, dal punto di vista urbanistico e sociale, rappresenta nelle periferie di molte città un problema urgente e concreto per la sicurezza e la salute dei cittadini ma anche per quella di molte famiglie e minori Rom;

   recenti indagini condotte da organi parlamentari hanno messo in luce il tema dei «roghi tossici» che si verificano dentro o ai margini dei campi di Roma in molte città, soprattutto Roma, Napoli e Torino;

   tali fenomeni appaiono collegati a reti criminali di traffico illegale di rifiuti e materiale ferroso;

   all'interno del quartiere della Romanina (periferia sud di Roma) si sono recentemente verificati incresciosi fatti di cronaca come l'aggressione violenta da parte di elementi legati a clan criminali da tempo insediati nel quartiere e appartenenti alle famiglie Casamonica e Di Silvio (di origine Rom) verso inermi cittadini e avventori dei Roxy Bar di Via Barzilai;

   tale episodio, lungi dal rappresentare un caso isolato, si inserisce in un clima consuetudinario e stabile presente nel quartiere dove larghe parti di territorio sono sottratte al controllo pubblico e delle forze dell'ordine e sottoposte a leggi informali e regole comportamentali, imposte dai clan a tutti i cittadini;

   tutto questo appare ancor più grave e sfidante verso le istituzioni a causa della presenza a poche centinaia di metri della sede della direzione nazionale antimafia;

   presso la stessa via Barzilai, intorno al 2010, a protezione della proprietà di una delle suddette famiglie (presumibilmente i Casamonica) è stato eretto un muro abusivo che occupa illegalmente ampie porzioni di suolo pubblico;

   tale residenza sarebbe priva anche di numero civico la qual cosa rende incerta, a quanto appare, la stessa notifica di atti giudiziari che, come è noto, rappresenta elemento decisivo per un corretto svolgimento delle procedure giudiziarie –:

   quali concrete iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda mettere in atto, d'intesa con enti locali e prefetture competenti sulla base delle normative in vigore, per contrastare i veri fenomeni di criminalità e illegalità collegati ad insediamenti Rom, colpendo nello specifico i responsabili di tali fenomeni e non annunciando generiche misure che mettono in cattiva luce l'intera comunità Rom a prescindere dalla reale condizione delle persone e delle famiglie oneste o non oneste, sfruttate e sottomesse o viceversa perseguibili ai fini di legge.
(2-00032) «Morassut».

Interrogazioni a risposta immediata:


   MOLINARI, CECCHETTI, ANDREUZZA, BADOLE, BASINI, BAZZARO, BELLACHIOMA, BELOTTI, BENVENUTO, BIANCHI, BILLI, BINELLI, BISA, BOLDI, BONIARDI, BORDONALI, CLAUDIO BORGHI, CAFFARATTO, CANTALAMESSA, CAPARVI, CAPITANIO, VANESSA CATTOI, CAVANDOLI, CENTEMERO, CESTARI, COIN, COLLA, COLMELLERE, COMAROLI, COMENCINI, COVOLO, ANDREA CRIPPA, DARA, DE ANGELIS, DE MARTINI, D'ERAMO, DI MURO, DI SAN MARTINO LORENZATO DI IVREA, DONINA, FANTUZ, FERRARI, FOGLIANI, FORMENTINI, FOSCOLO, FRASSINI, FURGIUELE, GASTALDI, GERARDI, GIACCONE, GIACOMETTI, GIGLIO VIGNA, GOBBATO, GOLINELLI, GRIMOLDI, GUSMEROLI, IEZZI, INVERNIZZI, LATINI, LAZZARINI, LEGNAIOLI, LIUNI, LO MONTE, LOCATELLI, LOLINI, EVA LORENZONI, LUCCHINI, MACCANTI, MAGGIONI, MARCHETTI, MATURI, MORELLI, MOSCHIONI, MURELLI, ALESSANDRO PAGANO, PANIZZUT, PAOLINI, PAROLO, PATASSINI, PATELLI, PATERNOSTER, PETTAZZI, PIASTRA, POTENTI, PRETTO, RACCHELLA, RAFFAELLI, RIBOLLA, SALTAMARTINI, SASSO, SEGNANA, STEFANI, TARANTINO, TATEO, TERZI, TIRAMANI, TOMASI, TOMBOLATO, TONELLI, TURRI, VALBUSA, VALLOTTO, VINCI, VIVIANI, ZANOTELLI, ZICCHIERI, ZIELLO, ZOFFILI e ZORDAN. — Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:

   il Ministro interrogato nei giorni scorsi si è recato in visita alla villa confiscata alla famiglia Casamonica alla Romanina a Roma, un simbolo della lotta alle mafie, accompagnato dal Presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti e dal prefetto di Roma Paola Basilone;

   inoltre, è dei giorni scorsi anche la notizia del sequestro per 8 milioni di euro effettuato dall'Arma dei Carabinieri nei confronti di una delle famiglie di riferimento della ’ndrangheta emiliana effettuato dal reparto operativo dei carabinieri di Modena in collaborazione con i carabinieri di Crotone, nell'ambito dei filoni di indagine dell'operazione Aemilia;

   come si legge nella relazione dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata del 2017, al 28 febbraio 2017 risultavano censiti, in gestione, 16.696 immobili (fabbricati e terreni), 7.800 beni finanziari, 2.078 beni mobili, 7.588 beni mobili registrati e 2.492 beni aziendali;

   i beni immobili, nel 2016, risultano interamente mantenuti dallo Stato nel proprio patrimonio (13 per cento) o affidati agli enti territoriali (per fini istituzionali il 23 per cento, per scopi sociali il 64 per cento);

   i beni aziendali finiscono in liquidazione ben nel 95 per cento dei casi, contro un esiguo 4 per cento di vendite e 1 per cento di cessioni gratuite;

   il motivo principale sembra risiedere nella natura stessa delle imprese mafiose che, prima del sequestro, godono del «vantaggio competitivo criminale»: i fornitori, intimiditi o collusi, concedono condizioni favorevoli; i potenziali concorrenti sono scoraggiati dalle ritorsioni; la sistematica evasione fiscale consente spesso una notevole liquidità; le regole sul lavoro e quelle ambientali sono del tutto neglette e l'attività ispettiva è inibita con intimidazioni o tangenti. Dopo il sequestro le condizioni di vantaggio scompaiono perché l'impresa si adegua alle regole;

   oltre a questo, pesano il boicottaggio alle aziende confiscate che viene imposto dalla mafia alla popolazione e ai fornitori e un atteggiamento spesso non collaborativo da parte delle banche che hanno magari un'ipoteca sul bene o comunque un credito da estinguere che ne impedisce la sopravvivenza sul mercato;

   la normativa esistente in concreto presenta dei problemi evidenti. I beni immobili confiscati non vengono venduti e, soprattutto, solo una parte minima delle aziende confiscate alla criminalità organizzata viene messa a reddito –:

   in che modo il Ministro interrogato intenda adoperarsi affinché i beni sequestrati alla criminalità organizzata possano tornare alla collettività al fine di renderli per essa utili e produttivi.
(3-00033)


   MAGI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il 25 giugno 2018 il Ministro interrogato, di ritorno da una missione a Tripoli, ha dichiarato, nel corso di una conferenza stampa, di aver visitato il centro di accoglienza e protezione in costruzione dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, che è l'unico in Libia autorizzato dopo oltre un anno di lavoro diplomatico delle Nazioni Unite. In base a quanto osservato dal Ministro interrogato, chi parla di torture in Libia e di violazioni di diritti umani dice cose non vere, precisando successivamente che non si esclude che ci siano altri centri non istituzionali, gestiti in collusione con i trafficanti;

   nessuna delle condizioni richieste dal diritto internazionale e marittimo in materia di asilo può essere soddisfatta in Libia, tanto che persino i rifugiati individuati e seguiti dalle organizzazioni internazionali, come attestato anche dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, che non è un'associazione non governativa, sono reclusi in centri di detenzione in condizioni disumane –:

   quali e quanti siano i centri «ufficiali», di cui il Ministro interrogato ha parlato in conferenza stampa, gestiti dalle autorità libiche e in particolare dal Dipartimento per il contrasto all'immigrazione irregolare, quante persone vi siano recluse (donne, uomini e minori) e di quale nazionalità, in quanti di questi centri siano autorizzati a entrare gli operatori delle organizzazioni internazionali.
(3-00034)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BIGNAMI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   a mezzo stampa si apprende dell'operazione «Bonifica», messa a segno dai carabinieri nel ferrarese e che ha visto dieci persone indagate, di cui otto in custodia cautelare in carcere e due a piede libero, per un totale di 37 capi di imputazione tra cui furti in abitazione, ricettazione, attività di riciclaggio, utilizzi indebiti di carte bancomat. Inoltre, a sei delle otto persone gravate da provvedimento di custodia cautelare è stata contesta l'associazione a delinquere;

   il centro dell'intera vicenda è il campo nomadi di via delle Bonifiche a Ferrara. Stando alle indagini, qui veniva presuntamente organizzata l'attività illecita di un gruppo verosimilmente ben strutturato;

   l'operazione si è rivelata poderosa: l'indagine, avviata nel settembre 2017, si era focalizzata su un gruppo di rom italiani, di origine sinti, ed è infine culminata in un intervento «tattico-militare» che ha coinvolto oltre 70 carabinieri del reparto operativo provinciale e delle compagnie di Portomaggiore, Copparo e Cento, con il supporto dei comandi di Reggio Emilia e Valdagno (VI) nonché con l'intervento di personale del 5° reggimento «Emilia Romagna», del nucleo cinofili di Bologna e del nucleo elicotteri di Forlì;

   la banda sembrava prediligere le abitazioni isolate sia del ferrarese che del modenese abitate principalmente da persone anziane. Stando a quanto riporta la stampa, i reati predatori erano tutti accomunati dal fatto di avere come base logistica, punto di partenza e ritorno, il campo nomadi di via delle Bonifiche;

   quanto accaduto deve assolutamente indurre una profonda riflessione in relazione all'evidente fallimento di ogni politica di integrazione legata alla permanenza, sul territorio, di questo campo nomadi per il quale, verosimilmente, negli anni, sono state spese anche considerevoli risorse pubbliche –:

   se, alla luce di quanto accaduto nel caso specifico, si intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a valutare la chiusura del campo nomadi in questione;

   quale sia la posizione del Ministro interrogato rispetto alla vicenda esposta e, più in generale, rispetto alla permanenza, sul territorio nazionale, di campi nomadi anche di grandi dimensioni che non risultano temporanei e nei quali, sempre più spesso, proliferano degrado e attività illecite;

   se si disponga di dati statistici in relazione al numero dei campi nomadi sul territorio nazionale, alla popolazione ivi presente e, in generale, al livello di integrazione raggiunto.
(4-00524)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nella notte tra il 17 e il 18 giugno 2018 intorno alle ore 4.00, in via Francesco Crispi a Cava de’ Tirreni, è scoppiato un incendio che ha coinvolto i locali di un bar, denominato «Non Solo Latte»;

   l'accaduto ha suscitato sgomento e preoccupazione in tutti gli abitanti che si sono svegliati in preda al panico;

   l'incendio, le cui fiamme hanno provocato ingenti danni, sembra essersi originato proprio dall'interno del bar, ma le cause, per le quali il commissariato locale di polizia sta indagando, non sono state ancora accertate;

   l'attività commerciale era già stata oggetto di altri atti vandalici: non molto tempo fa era stata incendiata anche la saracinesca dell'ingresso;

   da organi di stampa si apprende, infatti, che tale accaduto è solamente l'ultimo di una serie di episodi gravissimi e preoccupanti, situazione che, come dimostra quest'ultimo accaduto e nonostante le numerose denunce da parte degli abitanti, non sembra affatto essere migliorata;

   a parere dell'interrogante sembrerebbe oramai chiaro che la città di Cava de’ Tirreni sia sotto attacco di criminalità organizzata e che il problema sicurezza rappresenti una vera e propria emergenza –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti e, considerata la gravità degli stessi, quali iniziative urgenti intenda assumere, per quanto di competenza, in collaborazione con le forze dell'ordine, per ristabilire un clima di sicurezza tra la popolazione locale.
(4-00530)


   PASTORINO, PALAZZOTTO e MURONI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   nella giornata del 10 giugno 2018 l'Italia ha negato l'attracco sulle coste italiane alla nave di soccorso Aquarius della organizzazione non governativa francese SOS Méditerranée, battente bandiera di Gibilterra, con a bordo: 32 persone appartenenti al personale nautico e tecnico e al personale addetto al salvataggio e medico e 629 migranti tra cui 123 minori non accompagnati, 11 bambini e 7 donne incinte;

   nella notte fra il 9 e il 10 giugno 2018 la Guardia costiera italiana in due distinte operazioni di soccorso ha recuperato in mare 229 persone e le ha trasferite su Aquarius per poi domandare all'imbarcazione di accettare il trasferimento di altri migranti che erano stati soccorsi da navi della Marina e della Guardia costiera italiana il 9 giugno, portando a termine altre quattro operazioni di trasferimento per un totale di 400 persone;

   il Maritime rescue coordination centre (Mrcc) italiano ha, dunque, coordinato le azioni di salvataggio e trasferimento dei migranti, ma successivamente il Ministro dell'interno e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti hanno congiuntamente deciso di chiudere i porti italiani impedendo l'approdo della nave sulle coste italiane. Le autorità italiane hanno chiesto a Malta di far attraccare la nave gibilterriana, ma il Governo di La Valletta ha rifiutato la richiesta affermando di non essere direttamente coinvolto nelle operazioni di salvataggio;

   l'11 giugno 2018 il Governo spagnolo ha annunciato la volontà di accogliere la nave Aquarius al fine di evitare crisi. L'imbarcazione affiancata da navi della Marina militare italiana ha raggiunto Valencia solo 7 giorni dopo il recupero di naufraghi in mare; l'Italia ha permesso che persone che scappano da guerra e fame siano state trattenute una settimana in mare in attesa di un porto sicuro;

   si è consumata, ad avviso degli interroganti, un'evidente violazione della convenzione sulla salvaguardia della vita umana in mare (Solas), della convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare (Sar) e della convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos). Il diritto internazionale impone agli Stati di obbligare i comandanti che battono la propria bandiera di prestare soccorso a chiunque sia trovato in pericolo di vita, di informare le autorità competenti e di fornire ai soggetti recuperati le prime cure e trasferirli in un luogo sicuro;

   chiaramente la nave soccorritrice non è un luogo sicuro, definizione con cui, infatti, si intende una località dove le operazioni di soccorso si considerano concluse e dove la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non siano più minacciate;

   il diritto del mare e la Costituzione italiana, che ne fa esplicito riferimento all'articolo 2, si fondano sul principio della solidarietà quale dovere inderogabile. Ci sono stati oltre 750 morti nel Mediterraneo solo a partire dall'inizio del 2018: il salvataggio di vite in mare deve essere una priorità di ogni Governo democratico e quanto accaduto in Italia il 10 giugno si configura, secondo gli interroganti, come un respingimento collettivo inumano e contrario al diritto, un atto di forza che incide sul godimento effettivo di diritti elementari da parte dei migranti che si trovavano sulla nave Aquarius –;

   se sia nelle intenzioni dei Ministri interrogati perpetuare una politica che, ad avviso degli interroganti comporta di fatto la violazione di diritti umani, del principio di solidarietà e delle convezioni del diritto internazionale;

   se intendano rendere pubbliche, in nome del principio della trasparenza e del diritto all'informazione dei cittadini, le comunicazioni intercorse tra il Mrcc di Roma e la nave Aquarius nonché le comunicazioni, avvenute presumibilmente in data 10 giugno 2018, tra il Ministero dell'interno e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti italiani e le autorità maltesi concernenti il divieto di approdo in Italia della nave Aquarius e la risposta del Governo maltese.
(4-00533)


   DEIDDA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   continuano gli sbarchi di immigrati irregolari, perlopiù provenienti dalle coste dell'Algeria, nel Sud della Sardegna;

   solo nelle ultime settimane, sono arrivati a quasi 400, mentre rischia di aumentare il numero di sbarchi diretti complessivo sulle coste sarde rispetto all'anno precedente;

   gli immigrati sbarcano, senza alcuno ostacolo, a Porto Pino, Sant'Antioco e altre zone comprendenti le aree tra Domus de Maria e la stessa Sant'Antioco, spiagge ad elevata affluenza turistica nei mesi estivi;

   gli sbarchi di algerini si susseguono ormai da mesi e la situazione in Sardegna sta diventando insostenibile, anche sotto il profilo della sicurezza dei residenti –:

   quali urgenti iniziative il Governo intenda assumere con riferimento alla problematica descritta in premessa e, in particolare, se non ritenga di dover assumere iniziative per un blocco navale al largo della Sardegna.
(4-00535)


   NAPOLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

  a seguito dell'emanazione delle disposizioni in materia di revisione dei ruoli delle forze di polizia di cui al decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95, entrate in vigore il 7 luglio 2017, è stato previsto che il ruolo degli ispettori della polizia di Stato, con carriera a sviluppo direttivo, si articola non più in quattro ma in cinque qualifiche, che assumono le seguenti denominazioni: «vice ispettore; ispettore; ispettore capo; ispettore superiore, sostituto commissario»;

   il personale appartenente al ruolo degli ispettori della polizia di Stato, che al 1o gennaio 2017 non ha maturato un'anzianità nella qualifica di ispettore superiore pari o superiore a otto anni, si ritiene ingiustamente discriminato rispetto al personale che ha invece maturato detta anzianità, a cui è riservata la promozione alla nuova qualifica apicale di sostituto commissario con decorrenza 1o gennaio 2017 come previsto dall'articolo 2, comma 1, lettera l), del decreto legislativo n. 95 del 2017;

   la conseguenza è che gli attuali ispettori superiori, con meno di otto anni di anzianità nella qualifica, non avranno alcun beneficio dal riordino, trovandosi, da una parte, a ricoprire una qualifica non più apicale, e dall'altra, a non essere più sovraordinati rispetto al personale che ha acquisito la medesima qualifica con decorrenza 1° gennaio 2017, come previsto dall'articolo 2, comma 1, lettera i), del decreto legislativo n. 95 del 2017;

   inoltre, il personale in questione rischia di non riuscire a partecipare al concorso di 300 posti di vice commissario del ruolo direttivo ad esaurimento, istituito dall'articolo 2, comma 1, lettera t), del decreto legislativo n. 95 del 2017 e riservato ai sostituti commissari – anziché agli ispettori superiori, come prevedeva la disciplina previgente – «che potevano partecipare al concorso di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 334»;

   la medesima questione ha interessato altresì il personale appartenente all'Arma dei carabinieri omologo per grado, dal momento che coloro i quali erano qualificati nella disciplina previgente come marescialli aiutanti - sostituti ufficiali di pubblica sicurezza e non avessero maturato almeno otto anni di anzianità nel grado, sono stati mantenuti con il grado di provenienza (modificato, a seguito del riordino, in «maresciallo maggiore») senza avere la possibilità di conseguire il nuovo grado apicale di luogotenente, riservato a chi avesse maturato un'anzianità nel grado pari o superiore a otto anni;

   ciò ha comportato l'instaurazione di un contenzioso giurisdizionale dinanzi al T.a.r. della Valle D'Aosta (proc. R.G. n. 48/2017), che con ordinanza 5 marzo 2018, n. 17, ha disposto la sospensione del giudizio e la contestuale rimessione degli atti alla Corte costituzionale, ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente e relativa alla compatibilità del meccanismo fin qui descritto, concernente la distinzione tra soggetti in possesso del medesimo grado (o qualifica) sulla base della sola anzianità, con i prìncipi e criteri direttivi del merito e della professionalità, come indicati dalla legge 7 agosto 2015, n. 124, articolo 8, comma 1, lettera a);

   in data 24 febbraio 2018, a quanto consta all'interrogante, è stato presentato al Tar del Lazio analogo ricorso (T.A.R. della Valle D'Aosta proc. RG n. 48/2017), con le stesse motivazioni da 230 ispettori superiori Sups –:

   se il Ministro interrogato non ritenga di dovere assumere le iniziative di competenza affinché la posizione del suddetto personale sia disciplinata correttamente, in conformità all'ordinamento statale e comunitario, al fine di prevenire probabili censure di incostituzionalità della legislazione vigente tenendo conto della possibilità per il Governo di adottare disposizioni integrative e correttive e che nell'ultimo scrutinio per sostituto commissario i potenziali partecipanti risultano essere 270 su 2550 posti disponibili.
(4-00541)


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nella notte tra il 21 e il 22 giugno 2018 i militanti del movimento di estrema destra Forza Nuova Lario hanno affisso uno striscione con la scritta «Berizzi: infamitalia» sulla facciata del cinema Gloria, dove la sera del 22 giugno Paolo Berizzi, giornalista di Repubblica e scrittore, terrà la presentazione del suo ultimo libro intitolato «Nazitalia – Viaggio in un Paese che si è riscoperto fascista», su invito dell'Arci;

   nella rivendicazione, Forza Nuova spiega che «lo striscione è stato fatto volontariamente con manifesti del 2006 di un traditore ex forzanovista che, anche con le sue infamità e frottole, ha aiutato il giornalista rosso a scrivere questo libercolo». «Berizzi e chi per esso se ne facciano una ragione – prosegue la rivendicazione – Forza Nuova gode di ottima salute ed anche oggi apre in Lombardia altre due sedi a Cantù e Brescia. Ricordiamo al signor Berizzi che tutte le sedi sono autofinanziate e che Forza Nuova non ha bisogno di scrivere falsi scoop (vedi Repubblica e Gruppo Espresso) o libri pieni di dicerie e falsità per fare soldi vendendo fumo. Invitiamo il signor Berizzi in una delle nostre sedi se vuole sapere la Verità di Forza Nuova»;

   quello di Como non è un caso isolato, anzi si tratta dell'ennesimo episodio di intimidazione nei confronti del giornalista Berizzi da parte delle organizzazioni neofasciste, che accompagna quasi tutte le tappe delle sue presentazioni del libro e che recita il solito messaggio farneticante contro il giornalista di Repubblica reo di aver pubblicato un'inchiesta, che evidenzia le caratteristiche dei movimenti neofascisti, e contro chi promuove la cultura della libertà e della democrazia;

   nonostante, in questo caso specifico, la pronta azione dei carabinieri e della polizia abbia tempestivamente rimosso lo striscione posto all'esterno dello Spazio Gloria, a parere dell'interrogante le istituzioni non possono restare indifferenti davanti a quelli che paiono dei chiari atti intimidatori nei confronti di un cronista che da tempo è impegnato a denunciare l'attività di formazioni neonaziste e neofasciste in Italia e da alcune delle quali è stato più volte minacciato. È arrivato il momento, per il Governo, di intervenire ed impedire iniziative di tale genere;

   a questo proposito si ritiene opportuno stigmatizzare quanto dichiarato il 19 giugno 2018 dalla responsabile provinciale di Forza Nuova Ravenna che, appresa la notizia della presentazione dello stesso libro da parte di Paolo Berizzi nella sua città, ha offeso l'autore definendolo pennivendolo, fautore di teorie schizofreniche borderline, razzista, italofobo ed eterofobo, paladino dell'antitradizione, antiitalianità, inetto e ignorante a tal punto che ha sperperato l'uso delle dita (e non di certo quello dell'intelletto) per scrivere righe e righe di menzogne e puntuali diffamazioni, contribuendo, a parere dell'interrogante, a creare un clima di esagerato astio nei confronti del giornalista Paolo Berizzi –:

   quali iniziative di competenza intenda assumere per garantire maggior tutela e «agibilità» professionale e culturale al giornalista di Repubblica Paolo Berizzi e, più in generale, a tutti quei cronisti italiani che coraggiosamente da anni, denunciano il pesante clima di intimidazione e di provocazione da parte di movimenti neofascisti per consentire loro di lavorare senza dover subire alcuna forma di pressione, minaccia, intimidazione o insulto;

   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere, anche attraverso precise indicazioni alle prefetture, per monitorare attentamente iniziative come quelle esposte in premessa;

   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere il Governo, a seguito dell'iniziativa e della conseguente rivendicazione richiamata in premessa, considerato che all'interrogante la stessa, appare di fatto tale da determinare un effetto intimidatorio da parte di un movimento neofascista, essendo solo l'ultimo di una lunga serie di episodi.
(4-00547)


   FASANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   in data 18 giugno 2018, alle ore 8,15, a Montecorvino Rovella, comune di 12.677 abitanti in provincia di Salerno si è consumato un attentato violento e brutale mediante l'esplosione di un pacco-bomba che ha causato gravi ferite a Giampiero Delli Bovi, avvocato civilista 29enne e collaboratore di studio del neo-eletto sindaco di Montecorvino Rovella, Martino D'Onofrio;

   secondo una prima ricostruzione, ignoti hanno abbandonato un pacco bomba, indirizzato a lui, sul cancelletto della sua abitazione di via Fratelli Rosselli 155, in località Macchia a Montecorvino Rovella. L'avvocato civilista, dopo aver recuperato il pacco, l'ha aperto mentre rientrava nel portone di casa. L'esplosione è stata violentissima, al punto da spappolargli le mani a causa della deflagrazione;

   da organi di stampa si apprende che gli investigatori ritengono che chi ha confezionato l'ordigno volesse fare del male all'avvocato, forse addirittura ucciderlo;

   vanno considerate la gravità dell'attentato verificatosi e la grande preoccupazione che ha suscitato nell'intera popolazione –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti e, considerata la gravità degli stessi, quali iniziative urgenti intenda assumere, per quanto di competenza, per fronteggiare questi episodi ed evitare il ripetersi di simili e dolorosi eventi.
(4-00552)


   SERRACCHIANI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il centro balneare della polizia di Stato di Muggia (Ts), considerato uno degli stabilimenti balneari più attrezzati e completi della riviera triestina, da oltre 25 anni versa in uno stato di totale abbandono e grave degrado, privo di qualsiasi tipo di manutenzione;

   sorto negli 70, ha un'estensione di oltre 16 mila metri quadrati ed è rinomato per la sua collocazione naturale e per le sue strutture, tra le quali una piscina, campi da tennis, bar, self-service, e spiaggia attrezzata;

   lo stabilimento è di proprietà del Fondo di assistenza per il personale della pubblica sicurezza;

   nel 2003 è stata percorsa, inutilmente, la strada di concedere la struttura in locazione;

   nel 2004 fu pertanto costituita, presso il Ministero dell'interno, una apposita commissione ministeriale per la messa in vendita dell'immobile, attraverso un'asta pubblica, con base d'asta di un milione e 910 mila euro;

   alla scadenza del bando non è stata presentata nessuna offerta;

   l'amministrazione comunale ha, in più circostanze, sollecitato le autorità competenti a trovare una soluzione, individuando nel «bagno della polizia» un luogo idoneo per «realizzare un centro benessere con strutture marine estive e con piscina»;

   appare squalificante per l'immagine della pubblica amministrazione e del Ministero dell'interno in particolare, che un bene, per la realizzazione del quale sono state investite cospicue risorse pubbliche, non possa essere in alcun modo, messo a frutto nell'interesse dei cittadini e del territorio –:

   se non si ritenga opportuno definire, quanto prima, presso l'apposita commissione ministeriale incaricata dell'alienazione dell'immobile e con il concorso del comune di Muggia, un percorso utile al recupero dell'area e alla sua fruizione, eventualmente prevedendone anche la cessione al comune stesso;

   se non si ritenga vi sia, anche alla luce delle iniziative già poste in essere, la possibilità di una vendita ai privati o della concessione dell'area agli enti locali;

   se gli organi del fondo di assistenza della polizia di Stato del Ministero dell'interno non intendano studiare direttamente soluzioni alternative alla riqualificazione per consentire alla collettività il riutilizzo del bene e dell'intera area.
(4-00554)


   OSNATO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   nell'anno 2009 in Milano, via Ulisse Salis, cuore della zona Affori, avevano inizio, all'interno di un'area di circa tremila metri quadrati, i lavori di edificazione di una palazzina destinata a diventare, tra le altre, la nuova sede del comando regionale del Corpo forestale dello Stato;

   oltre agli uffici del Corpo forestale, detto progetto prevedeva anche un auditorium ed un orto botanico che, nelle intenzioni, sarebbero stati destinati all'uso e alla fruizione da parte dei cittadini;

   i lavori per la realizzazione della palazzina si sono interrotti nel corso del 2012 per mancanza di fondi, e nell'area è rimasta solo la struttura muraria, nulla più dello «scheletro» del progetto;

   oggi l'edificio, composto di 4 piani, è in completo stato di abbandono, circondato da sporcizia e degrado e, fatto questo ancor più grave, occupato, se non abitato, da soggetti senza fissa dimora, per lo più extracomunitari;

   gli abitanti della zona hanno denunciato negli anni l'aumento dei fatti di criminalità nella zona, quali furti e atti vandalici, chiedendo a gran voce un intervento pubblico per riqualificare l'area nonché adeguate misure per garantire maggiore sicurezza e tutela nella zona –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, al fine di mettere in sicurezza l'edificio e promuovere la predisposizione di un piano d'intervento volto a completare la struttura al fine di rendere funzionante gli uffici, come era stato previsto nel progetto originario.
(4-00555)


   DONZELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il comune di Pescia è fra i comuni che sono stati chiamati alle urne per le elezioni amministrative;

   tra i candidati in corsa figurava anche Oreste Giurlani, ex sindaco di Pescia, arrestato il 1° giugno 2017 con l'accusa di peculato e su cui pende una richiesta di rinvio a giudizio;

   Giurlani, già presidente dell'Uncem Toscana, e che è stato rieletto sindaco il 24 giugno 2018, si sarebbe indebitamente appropriato di denaro appartenente all'Uncem, trasferendo 570 mila euro dal conto dell'associazione a quello personale, creando «ad arte giustificazioni fittizie contabili ideologicamente false e soprattutto non pertinenti alla funzione pubblica svolta» come l'acquisto di cellulari e i-Pad o di carburante;

   il comune, pur essendo parte lesa, non si sarebbe costituito parte civile, e così anche l'Uncem Toscana;

   negli anni l'interrogante ha più volte denunciato le gravi irregolarità e anomalie, racchiuse in un esposto presentato alla procura della Repubblica;

   l'interrogante ha altresì presentato al consiglio regionale della Toscana l'interrogazione n. 313 avente ad oggetto «Pagamenti aziende coinvolte nella realizzazione del progetto Regione Toscana – Uncem "Cartografia 1:2.000 in aree urbane di Comuni Montani – realizzazione"» per denunciare il mancato pagamento della somma dovuta alla ditta aggiudicataria dell'appalto, Studio A srl – Benedetti Italo srl (RTI);

   tale circostanza è stata confermata dallo stesso assessore che, in risposta alla citata interrogazione, ha precisato che la regione Toscana ha regolarmente provveduto al pagamento del finanziamento a Uncem, ma, «ad oggi, non ci sono pervenute reportistiche periodiche di rendicontazione e non risultano pagamenti effettuati da UNCEM allo Studio A srl Benedetti Italo srl (RTI).» la stessa regione afferma che ai due solleciti effettuati, Uncem non ha mai risposto;

   se quanto denunciato dalla ditta aggiudicataria fosse confermato, Uncem avrebbe preso dalla regione Toscana 347.500 euro per la realizzazione di carte topografiche, ma non avrebbe mai pagato le ditte che hanno lavorato al progetto;

   altro caso che, ad avviso dell'interrogante, suscita forti perplessità riguarda il progetto «Errecubo», promosso da Uncem Toscana per la costituzione di una rete digitale tra istituti superiori di eccellenza presenti in aree montane (i licei classici di Aulla, Barga e Massa Marittima) e finanziato con il fondo regionale per le aree montane dall'Unione dei comuni montani Colline metallifere, Media Valle del Serchio, Lunigiana;

   a fronte dei dubbi sollevati sul progetto dai rappresentanti territoriali del partito Fratelli d'Italia, l'interrogante ha chiesto una rendicontazione puntuale delle spese effettuate da Uncem per la messa in atto del suddetto progetto, ma, secondo la risposta pervenuta, non sarebbe disponibile una rendicontazione del progetto e il materiale scolastico che Uncem avrebbe dovuto fornire ai licei in questione non sarebbe mai stato consegnato;

   tutto quanto esposto in premessa, se fosse vero, a giudizio dell'interrogante dimostra come Uncem Toscana avrebbe gestito fondi pubblici non ispirandosi ai principi di trasparenza e buona amministrazione, mentre la regione Toscana, che avrebbe dovuto vigilare, non avrebbe agito nel rispetto del principio di buona amministrazione, secondo criteri d'imparzialità, trasparenza ed equità;

   il buco di bilancio dell'Uncem sarebbe stato ripianato con i fondi pubblici: a quanto risulta all'interrogante l'assemblea dell'ottobre 2017 avrebbe richiesto ai comuni un contributo straordinario, per un totale di 252 mila euro annuali, nel contesto di un piano quadriennale che prevedeva un rientro di 1,2 milioni di euro;

   ed ancora, negli anni fra il 2011 e il 2014, Uncem Toscana non avrebbe corrisposto i contributi Inps ad un suo dipendente;

   il sindaco Oreste Giurlani ha anche impiegato presso il suo staff al comune di Pescia due dipendenti di Uncem Toscana;

   il 15 giugno 2017 è stata istituita dal consiglio regionale della Toscana una commissione d'inchiesta sulla vicenda –:

   se il Governo non ritenga di assumere iniziative normative per inasprire il sistema sanzionatorio per fattispecie come quelle descritte in premessa ed evitare il ripetersi di casi di gestione delle attività istituzionali in contrasto con i principi di legalità, trasparenza e buona amministrazione;

   se il Governo non ritenga di valutare se sussistano i presupposti per promuovere una verifica da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica della ragioneria generale dello Stato, in sinergia con l'ispettorato della funzione pubblica in relazione alle criticità descritte in premessa e alla gestione amministrativa e finanziaria degli enti locali interessati.
(4-00556)


   GEMMATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   in data 25 giugno 2018 gli organi di informazione nazionali hanno dato la notizia dell'arresto di un cittadino del Gambia che progettava attentati terroristici in Italia;

   sembrerebbe che la cattura del suddetto sia avvenuta a seguito delle rivelazioni di un altro fermato, nei mesi scorsi, per medesimi motivi;

   sebbene l'arresto sia avvenuto in Campania, emerge con chiarezza il transito del suddetto in territorio pugliese, tra Bari e Lecce;

   il quotidiano Il foglio nella sua versione online del 26 giugno 2018, commentando e approfondendo i fatti, ha riportato che «un altro punto in comune [con altri fermati per terrorismo] è il transito per la Puglia: a Gravina aveva vissuto Chokri Chafroud, il cittadino tunisino fermato in Francia dopo l'attentato. Fino ad allora erano undici i terroristi passati dal solo porto di Bari, tra cui anche Salah Abdeslam, il kamikaze mancato della strage di Parigi del 13 novembre scorso, passato tre mesi prima dal porto con un traghetto arrivato da Patrasso. Le fonti della nostra intelligence parlano infatti del “rischio della rotta adriatica”»;

   nel marzo 2018, a Foggia, è stato arrestato con l'accusa di terrorismo internazionale, propaganda all'Isis e di violenza psicologica sui bambini, un naturalizzato italiano di origine egiziana;

   la Puglia quindi, sebbene da sempre sia stata regione di confine, sembra negli ultimi tempi essere particolarmente esposta a rischi connessi al terrorismo internazionale con grave pregiudizio per la serenità e la sicurezza della popolazione locale –:

   di quali informazioni disponga il Governo in merito all'entità dell'infiltrazione terroristica nella regione Puglia e quali siano i suoi intendimenti in proposito;

   se la Puglia presenti, dal punto di vista della sicurezza legata ad eventi terroristici, un profilo di rischio maggiore di altre regioni e, in caso affermativo, quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere in proposito.
(4-00558)


   DEIDDA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   recentemente, alcune famiglie di etnia Rom hanno occupato un immobile pubblico ex sede della Rai presente nel territorio del comune di Sestu (Cagliari); a seguito di tale occupazione si è proceduto alla sola identificazione degli autori, senza procedere allo sgombero dei medesimi locali;

   da diverso tempo, una scuola nel centro storico di Cagliari è stata occupata da sedicenti gruppi antagonisti anarchici e antifascisti, dove gli stessi hanno stabilito la loro sede e dalla quale lanciano messaggi violenti ed intimidatori diretti agli avversari politici, nei confronti dei quali hanno pure rivendicato un'aggressione fisica;

   il recente episodio, dunque, rappresenta l'ennesimo atto di occupazione di immobili pubblici in città, tra l'altro, seguendo altro analogo, intervenuto a breve distanza nel tempo, nel mese di maggio 2018, che aveva interessato spazi di proprietà dell'università degli studi di Cagliari, di modo che appare assolutamente evidente lo stato di abbandono in cui versa il patrimonio immobiliare pubblico;

   l'occupazione crea un danno all'intera collettività, la quale, oltre a non poter usufruire dei medesimi locali, deve sobbarcarsi i costi relativi alle utenze connesse e alla manutenzione, senza che, nonostante le segnalazioni intervenute nei giorni scorsi, i locali siano stati immediatamente sgomberati;

   appare del tutto inaccettabile che, a fronte delle numerose occupazioni intervenute negli ultimi anni, ci si sia limitati ad identificare i soggetti occupanti, senza avviare le conseguenti, necessarie indagini volte all'accertamento, da un lato, delle responsabilità penali conseguenti ai fatti illeciti in questione, dall'altro lato, di quelle contabili conseguenti, per un verso, al mancato utilizzo per finalità pubbliche degli immobili occupati, per l'altro, al pagamento ad opera delle amministrazioni pubbliche dei costi delle utenze necessarie per l'utilizzo illecito da parte di terzi;

   l'articolo 633 del codice penale è del seguente tenore: chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni o con la multa da centotré euro a milletrentadue euro. Le pene si applicano congiuntamente, e si procede d'ufficio, se il fatto è commesso da più di cinque persone, di cui una almeno palesemente armata, ovvero da più di dieci persone, anche senza armi;

   l'articolo 639-bis del codice penale stabilisce altresì che nei casi previsti negli articoli 631, 632, 633 e 636 si procede d'ufficio se si tratta di acque, terreni, fondi, o edifici pubblici o destinati ad uso pubblico;

   sia l'azione penale che quella contabile sono obbligatorie e, allo stato, le stesse non risultano all'interrogante essere state avviate, pur non potendo le azioni suindicate ricondursi certo ad uno stato di necessità, in quanto dichiaratamente poste in essere con finalità ideologiche e politiche –:

   se i ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti suindicati e quali iniziative intendano assumere, per quanto di competenza, affinché gli immobili ancora occupati vengano restituiti alla collettività;

   se intendano assumere iniziative anche normative, volte a contrastare il fenomeno delle occupazioni abusive e a garantire il più rapido sgombero degli immobili occupati.
(4-00562)


   CECCANTI, CIAMPI e CENNI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nel corso della visita del Ministro interrogato a Pisa nella giornata di venerdì 22 giugno 2018 si sarebbe svolta una rissa in un'area vicina alla zona che ha visto i suoi movimenti, in una città che ha visto per la sua presenza un eccezionale e fortissimo presidio delle forze dell'ordine, ma misteriosamente di tale rissa si viene a sapere solo nel pomeriggio di sabato con quella che all'interrogante appare una immediata e sospetta copertura mediatica e politica –:

   se, in quanto garante del regolare svolgimento delle elezioni, non ritenga ciò una elisione del silenzio elettorale tale da alterare il genuino risultato del voto e se intenda attivarsi prontamente per accertarne, per quanto di competenza, le responsabilità.
(4-00564)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   da quanto appreso dall'interrogante, pare che al liceo scientifico Enrico Fermi di Cosenza, la situazione fra il corpo docente e la dirigente sia molto tesa, per via di alcuni comportamenti della dirigente che non sarebbero rispondenti alla normale dialettica interna;

   nell'ultima riunione del collegio docenti, infatti, un insegnante membro della rappresentanza sindacale unitaria ha espresso critiche sull'operato della dirigente. Nello specifico, ha lamentato «condotta antisindacale» e «atteggiamento irriguardoso» nei confronti dei docenti. Per tutta risposta, la dirigente scolastica ha espresso l'intenzione di avviare un procedimento disciplinare nei confronti dell'insegnante, per offese e ingiurie;

   gli articoli 21 e 33 della Costituzione tutelano il diritto a esprimersi del docente, va tuttavia sottolineato che il confronto pur aspro con la dirigente ha avuto luogo all'interno del collegio, e quindi, nel pieno esercizio delle rispettive funzioni, e non già fuori dal contesto scolastico, per cui all'interrogante sembrano non sussistere le accuse della dirigente –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;

   se non si ritenga utile promuovere una ispezione presso il liceo Fermi di Cosenza, per accertare i fatti e ripristinare un sereno clima di confronto e di lavoro, nell'interesse innanzitutto delle famiglie degli alunni.
(4-00526)


   DONZELLI, FRASSINETTI e MOLLICONE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   la prova preselettiva per il concorso per dirigenti scolastici, attesa a fine maggio 2018, è stata spostata al 23 luglio;

   la preparazione per la prova potrà essere concentrata solo da qui al 23 luglio poiché la prova è prevista su una batteria di quattromila domande che è ancora in via di pubblicazione;

   la data della prova e questa tempistica di preparazione mettono in serie difficoltà molti docenti della scuola secondaria superiore, che in questo periodo sono impegnati in attività di alternanza scuola lavoro, esami di riparazione che in alcune scuole si svolgono a fine luglio, formazione all'estero degli studenti, esami di maturità talvolta anche lontano da casa;

   i docenti tecnici e docenti impegnati nella sorveglianza hanno sollevato il diritto al godimento delle ferie sancito nell'articolo 13 del contratto collettivo nazionale di lavoro del 29 novembre 2007;

   un eventuale rinvio della prova a fine agosto non sarebbe di ostacolo alle assunzioni dei futuri dirigenti, in quanto ormai non potranno in ogni caso avvenire nell'immediatezza –:

   se il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere iniziative per lo slittamento della data della prova preselettiva del concorso per dirigente scolastico di cui al decreto ministeriale 15 novembre 2017, n. 908, a fine agosto 2018.
(4-00560)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata:


   TRIPIEDI, DAVIDE AIELLO, AMITRANO, CIPRINI, LICATINI, COSTANZO, CUBEDDU, DE LORENZO, GIANNONE, INVIDIA, PALLINI, PERCONTI, SEGNERI, SIRAGUSA, TUCCI e VIZZINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:

   il nostro Paese si trova attualmente in una condizione di particolare difficoltà economica, finanziaria e sociale;

   il sistema pensionistico italiano assorbe almeno il 30 per cento della spesa pubblica;

   la persistenza di trattamenti previdenziali di proporzioni eclatanti, grazie ai quali alcuni cittadini, indipendentemente dai contributi versati, arrivano a percepire importi mensili superiori a 10 volte l'importo annuale della pensione media, suscita indignazione;

   le suddette pensioni d'oro costituiscono la manifestazione estrema di un'iniquità di fondo che pesa in misura decisiva sul citato equilibrio delle finanze pubbliche e, dunque, sul bilanciamento della struttura socio-economica del Paese;

   le modalità attuative del passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo hanno determinato una situazione di fatto caratterizzata da inaccettabili disparità di trattamento;

   pur nel rispetto dell'indipendenza della Corte costituzionale, appare paradossale che, a seguito degli interventi legislativi nella forma di imposizione di un contributo di solidarietà, la Corte costituzionale abbia precisato, in particolare, in relazione alla proporzionalità e adeguatezza dei trattamenti pensionistici che «i mezzi adeguati alle esigenze di vita non sono solo quelli che soddisfano i bisogni elementari e vitali, ma anche quelli che siano idonei a realizzare le esigenze relative al tenore di vita conseguito dallo stesso lavoratore in rapporto al reddito ed alla posizione sociale raggiunta»;

   gli interroganti ritengono, tuttavia, che anche ai percettori di pensioni minime e di invalidità spetti un tenore di vita altrettanto dignitoso, attraverso un sistema in cui i contributi vadano a vantaggio non del singolo ma di tutti i lavoratori, come, a più riprese, sostenuto dalla Corte costituzionale –:

   se il Ministro interrogato non intenda adottare iniziative volte ad ottenere, attraverso un ricalcolo dell'importo delle quote retributive delle pensioni di vecchiaia e di anzianità di importo elevato, un risparmio destinato a incrementare sia l'integrazione al trattamento minimo Inps, sia l'assegno sociale.
(3-00035)


   MULÈ, GELMINI, OCCHIUTO, POLVERINI, ZANGRILLO, CANNATELLI, FATUZZO, MUSELLA, ROTONDI, SCOMA e GIACOMONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   proprio in questi giorni, dall'Unione europea è arrivata la «frenata» sull'uso dei fondi comunitari per finanziare la misura relativa al reddito di cittadinanza su cui il MoVimento 5 Stelle ha costruito la propria campagna elettorale, ad avviso degli interroganti illudendo migliaia di cittadini che versano in situazioni di criticità, soprattutto del Sud Italia, di poter ottenere subito una forma di sostegno al reddito;

   dal recente vertice di Lussemburgo è emerso infatti che il Fondo sociale europeo, richiamato dal contratto di Governo Lega-MoVimento 5 Stelle come principale fonte di finanziamento del reddito di cittadinanza, può essere utilizzato come fonte complementare per sostenere misure volte a rafforzare i servizi pubblici per l'impiego, la formazione, per combattere la disoccupazione giovanile, ma non per sostituire la spesa nazionale, né per misure ordinarie o solo per politiche passive del lavoro, come ribadito dalla Commissaria europea al welfare, Marianne Thyssen;

   allo stesso tempo anche il Ministro dell'economia e delle finanze, Giovanni Tria, ha espresso varie riserve sulla possibilità di varare il reddito di cittadinanza nel 2018, stanti le condizioni critiche in cui versa il bilancio dello Stato, anche alla luce della correzione dei conti pubblici richiesta a livello europeo pari a 5 miliardi di euro nel 2018 e 5 miliardi di euro nel 2019 (10 miliardi di euro complessivi) rispetto alla quale, come emerge dalla stampa nazionale, si stanno già trattando margini di flessibilità;

   alla luce di quanto precede, resta da capire come potrà essere finanziata la misura «bandiera» del MoVimento 5 Stelle che, secondo le diverse proiezioni, avrà un costo di 17 miliardi di euro (fonte dello stesso MoVimento 5 Stelle) o 38 miliardi di euro (fonte Inps), di cui 2 miliardi di euro per la riforma dei centri per l'impiego –:

   quali siano le risorse che si intendono impiegare per garantire l'operatività del reddito di cittadinanza già dal 2018, nella considerazione che il Fondo sociale europeo non potrà essere utilizzato per sostenere misure di carattere permanente.
(3-00036)


   RAMPELLI, MELONI, ACQUAROLI, BELLUCCI, BUCALO, BUTTI, CARETTA, CIABURRO, CIRIELLI, CROSETTO, DEIDDA, LUCA DE CARLO, DELMASTRO DELLE VEDOVE, DONZELLI, FERRO, FIDANZA, FOTI, FRASSINETTI, GEMMATO, LOLLOBRIGIDA, LUCASELLI, MASCHIO, MOLLICONE, MONTARULI, OSNATO, PRISCO, RIZZETTO, ROTELLI, SILVESTRONI, TRANCASSINI, VARCHI e ZUCCONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:

   i recenti dati Istat rilevano un aumento della povertà assoluta, con un'incidenza del 6,9 per cento per le famiglie (era 6,3 per cento nel 2016) e dell'8,4 per cento per gli individui (da 7,9 per cento). Entrambi i valori sono i più alti della serie storica;

   si tratta di oltre 5 milioni di persone che vivono in situazione di indigenza in Italia ed è il valore più alto registrato dall'Istat dall'inizio delle serie storiche, nel 2005;

   è in aumento anche la povertà relativa, categoria in cui rientra chi vive nelle famiglie (3 milioni 171 mila) che hanno una spesa al di sotto della soglia di 1.085 euro e 22 centesimi al mese per due persone: una condizione che riguarda 1 italiano su 6;

   drammatica, in particolare, è la situazione al Sud, dove 1 abitante su 10 vive in indigenza, e tra i minori: sono 1,2 milioni i bambini e ragazzi in povertà;

   tra i punti qualificanti del «contratto di Governo» è previsto lo stanziamento di 17 miliardi di euro annui per il reddito di cittadinanza, che prevede la corresponsione di una cifra variabile fino a 780 euro al mese affinché ogni cittadino possa godere di almeno tale somma come reddito mensile;

   il Ministro interrogato, anche recentemente, a margine dell'assemblea di Confartigianato, ha dichiarato che il reddito di cittadinanza e la lotta alla povertà saranno le priorità del nuovo Governo;

   è stata anche annunciata un'accelerazione per attuare la citata misura entro il 2018 utilizzando i fondi dell'Unione europea;

   non si comprende come sarà attuata la riforma senza che la stessa si trasformi in una proposta assistenzialista senza controlli –:

   a che punto sia la prevista introduzione del reddito di cittadinanza e se non intenda renderlo operativo a breve.
(3-00037)


   EPIFANI e FORNARO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   secondo gli ultimi dati rilevati dall'Istat, l'aumento degli occupati non va letto con eccessivo ottimismo: dopo i dati del 2017, caratterizzati da una netta prevalenza dei contratti a tempo determinato rispetto a quelli a tempo permanente (+ 373 mila contratti contro + 73 mila), il 2018 conferma la costante precarizzazione del lavoro. Nei primi mesi del 2018 sono, infatti, cresciuti i dipendenti a termine, a fronte di una diminuzione di quelli a tempo indeterminato, il cui aumento è quasi esclusivamente concentrato sugli ultracinquantenni, crescita che interessa solamente la componente maschile. Tale espansione occupazionale non ha interessato, invece, le donne con figli in età prescolare, a conferma della loro vulnerabilità, stante le loro difficoltà nel conciliare i tempi di lavoro e di cura;

   il suddetto quadro dimostra che gli incentivi introdotti dal Jobs Act per i cosiddetti «contratti a tutele crescenti», che, tra l'altro, hanno assorbito circa 20 miliardi di euro, hanno avuto un impatto assai effimero sulla crescita dell'occupazione stabile, non essendo stati confermati al termine del triennio previsto;

   l'occupazione giovanile, la più colpita dalla crisi, non sembra, tra l'altro, aver giovato delle politiche attive sul lavoro degli ultimi anni, essendosi caratterizzata per un'elevata incidenza dei lavoratori a termine (con un aumento di 9 punti rispetto al 2008), la metà dei quali, circa il 48 per cento, ha un lavoro di durata inferiore a 6 mesi;

   a ciò si aggiunga la consistente riduzione del numero annuo di ore lavorate rispetto ai livelli pre-crisi. Infatti, il totale dei lavoratori part-time, inclusi quelli impiegati a tempo determinato, raggiunge 2,6 milioni, il 60 per cento dei quali part-time involontari;

   sul versante delle tutele del lavoro, il Ministro interrogato ha in più occasioni esternato l'intenzione di rendere più severi i termini del licenziamento attraverso la reintroduzione, per le imprese che occupano più di quindici dipendenti, dell'articolo 18 del cosiddetto Statuto dei lavoratori, una «misura ponte» – che secondo lo stesso Ministro interrogato – «consentirà, a regime, di superare le rigidità dei contratti di lavoro» –:

   se non ritenga urgente l'adozione di misure di contrasto alla precarizzazione, con particolare riferimento all'introduzione dell'articolo 18 per i neoassunti, ponendo nuovi limiti ai contratti a tempo determinato, come, ad esempio, la reintroduzione della causalità, oltre ad un intervento organico di riordino degli ammortizzatori sociali, per evitare che migliaia di lavoratori di aziende in crisi rimangano senza reddito e privi di tutele.
(3-00038)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CENNI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   con l'espressione «caporalato» s'intende l'intermediazione illegale e lo sfruttamento lavorativo, prevalentemente in agricoltura. Tale fenomeno coinvolge circa 400.000 lavoratori in Italia, sia italiani che stranieri, ed è diffuso in tutte le aree del Paese e in settori dell'agricoltura molto diversi dal punto di vista della redditività;

   secondo l'Istat il lavoro irregolare in agricoltura, cui è associato comunemente il caporalato, ha registrato una crescita costante negli ultimi 10 anni, attestandosi su un valore di circa il 23 per cento, quasi il doppio rispetto al totale degli altri settori economici nazionali;

   nel corso della XVII legislatura, i governi succedutisi e il Parlamento hanno varato alcune misure per contrastare tale fenomeno;

   l'approvazione della legge 29 ottobre 2016, n. 199, con la finalità di garantire una maggiore efficacia all'azione di prevenzione e contrasto, introducendo significative modifiche al quadro normativo vigente e prevedendo la repressione penale del caporalato, la tutela delle vittime e dei lavoratori agricoli (anche attraverso la Rete del lavoro agricolo di qualità, alla quale possono essere iscritte le imprese agricole le più virtuose, che non hanno riportato condanne per violazioni della normativa in materia);

   la sottoscrizione, il 27 maggio del 2016, del protocollo contro il caporalato e lo sfruttamento lavorativo in agricoltura. L'intesa, firmata dai Ministeri dell'interno, del lavoro e delle politiche sociali, delle politiche agricole alimentari e forestali, dall'ispettorato nazionale del lavoro, dalle regioni Basilicata, Calabria, Campania, Piemonte, Puglia e Sicilia, dalle organizzazioni sindacali e dalle associazioni di categoria, aveva come finalità principale quella di sostenere e rafforzare gli interventi di contrasto al caporalato e allo sfruttamento su tutto il territorio nazionale. Tra le azioni principali del protocollo si segnalano: stipula di convenzioni per l'introduzione del servizio di trasporto gratuito; istituzione di presidi medico-sanitari mobili; utilizzo di beni immobili disponibili o confiscati alla criminalità per creare centri di servizio e di assistenza socio-sanitari; bandi per promuovere l'ospitalità dei lavoratori stagionali in condizioni dignitose e salubri; sperimentazione di sportelli di informazione per l'incontro domanda e offerta di servizi abitativi; organizzazione di servizi di distribuzione gratuita di acqua e viveri di prima necessità; potenziamento delle attività di tutela ed informazione ai lavoratori; attivazione di servizi di orientamento al lavoro in prossimità del luogo di stazionamento dei migranti; attivazione di sportelli informativi mobili provviste di mediatori linguistico-culturali, psicologi e personale competente; istituzione di corsi di lingua italiana e di formazione professionale;

   secondo quanto emerge dall'ultimo rapporto annuale dell'attività di vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale dell'ispettorato nazionale del lavoro nelle ispezioni effettuate nel 2017 sono stati individuati 5.222 lavoratori irregolari, di cui 3.549 in nero, con un tasso d'irregolarità del 50 per cento. L'attività di polizia giudiziaria, inoltre, ha permesso di individuare 387 lavoratori vittime di sfruttamento in agricoltura. Sono stati emessi 360 provvedimenti di sospensione di attività imprenditoriali, 312 dei quali sono stati revocati a seguito di regolarizzazione;

   il protocollo contro il caporalato è scaduto, con le sue relative risorse, il 31 dicembre 2017. Nonostante l'attivazione di alcuni progetti, soprattutto a livello provinciale, il documento non è stato ad oggi prorogato;

   il Ministro per le politiche agricole alimentari e forestali Gian Marco Centinaio ha recentemente dichiarato che «la legge sul caporalato va decisamente cambiata». Una posizione espressa anche dal Ministro dell'interno Matteo Salvini che, rispetto alla normativa vigente ha detto: «invece di semplificare complica»;

   in questo clima di incertezza circa le politiche dell'attuale Governo contro il caporalato emergono sulla stampa notizie allarmanti sul proliferare di tale fenomeno soprattutto in relazione alla nuova stagione di raccolta del pomodoro. Le stesse associazioni sindacali hanno rimarcato come l'attuale legislazione sia carente rispetto agli strumenti di prevenzione, che potrebbero essere attivati anche attraverso la proroga del citato protocollo –:

   se la lotta al caporalato rappresenti una priorità dell'attuale Governo e se i ministri interrogati intendano assumere iniziative urgenti al fine di rafforzare le normative vigenti, a partire dalla riattivazione del protocollo citato in premessa.
(5-00056)


   EPIFANI, FORNARO, MURONI, ROSTAN e PASTORINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   l'azienda Teuco di Montelupone, leader nel settore di produzione di vasche da bagno, docce e vasche idromassaggio, aveva subito una crisi e alla fine la produzione si era fermata nel luglio del 2017;

   in seguito a una lunga battaglia sindacale era stata presentata l'istanza di fallimento a dicembre nominati curatori fallimentari Luca Mira e l'avvocato Paola Milici;

   da quanto si apprende da organi di stampa locali (cronache maceratesi) con una pec il Ministero del lavoro ha comunicato non solo che la cassa integrazione non sarà prorogata al 30 giugno per i 116 lavoratori della Teuco, dichiarata fallita il 20 aprile 2018 da parte del tribunale di Macerata, ma che è stata persino revocata con data retroattiva a partire dal 20 aprile;

   i sindacati avevano già chiesto da tempo un incontro al Ministero e speravano nel perfezionamento della pratica di licenziamento collettivo che avrebbe fatto scattare la Naspi (Nuova assicurazione sociale per l'impiego) –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti e se non intenda convocare un immediato tavolo di confronto in sede ministeriale al fine di tutelare i lavoratori dell'azienda Teuco.
(5-00057)

Interrogazione a risposta scritta:


   FRATOIANNI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   a quanto appreso dall'interrogante, il call center Cellulopoli di Terlizzi (Bari) ha avviato un pesante processo di revisione aziendale, con il licenziamento di 190 persone, su 220 assunti, e la modifica delle condizioni contrattuali cui sono sottoposti i lavoratori, usufruendo del contratto nazionale firmato da Ugl Assocall e disattendendo il contratto sottoscritto appena un anno fa, con Cgil, Cisl, Uil e parti datoriali, che prevedeva condizioni migliori per i lavoratori;

   a ciò si aggiunga che i lavoratori lamentano alcune criticità rispetto al pagamento dei contributi e al pagamento degli stipendi. In molti hanno evidenziato, per altro, come i pagamenti avverrebbero ormai attraverso un'altra società, non più Cellulopoli. I lavoratori sono comprensibilmente allarmati per questo cambio, temendo possa preludere alla chiusura dell'azienda per cui lavorano e con la quale, hanno sottoscritto un contratto;

   ai lavoratori è stato persino impedito di partecipare ad assemblee sindacali convocate e sono sottoposti al controllo continuo del numero di contratti eventualmente sottoscritti, che intervengono a determinare la quantità del pagamento. Si tratterebbe, ad avviso dell'interrogante, di una forma moderna di cottimo, in sostanza;

   Cellulopoli, per altro, godrebbe di commesse in corso con due colossi come Fastweb e Tim, pertanto non dovrebbe avere problemi economici che giustifichino un tale comportamento contro i lavoratori, secondo l'interrogante lesivo dei loro diritti e della loro dignità. È a queste grosse aziende, in particolare a quelle che hanno una qualche forma di connessione diretta o indiretta con lo Stato, spetterebbe sincerarsi delle condizioni dei lavoratori delle aziende cui appaltano servizi e funzioni, cessando di utilizzare quelle che all'interrogante appaiono tecniche di dumping sociale ed economico, sulla pelle dei lavoratori –:

   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;

   se e quali iniziative di competenza intenda assumere per fare chiarezza sui fatti e per impedire che continuino ad accadere gravi violazioni della dignità dei lavoratori, in un settore produttivo che è ormai ridotto, ad avviso dell'interrogante ad una giungla di contratti senza alcuna legittimità.
(4-00531)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   SILLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   la tutela del diritto alla salute è un diritto costituzionale, che per essere pienamente garantito necessita di personale competente e di strutture adeguate, unitamente ad un'azione di vigilanza costante da parte degli organi preposti, affinché siano sempre assicurate prestazioni sanitarie efficaci;

   a giudizio dell'interrogante, desta serie preoccupazioni quanto avvenuto alla signora G.C., deceduta a seguito della somministrazione del farmaco Brivirac 125 in Toscana;

   il Brivirac è un farmaco che moltiplica gli effetti tossici del chemioterapico e la stessa Menarini, casa farmaceutica produttrice, specifica che la somministrazione del farmaco è controindicata in pazienti sottoposti a chemioterapia e indica che, in caso di somministrazione accidentale, devono essere interrotte le somministrazioni e devono essere attuate drastiche misure per ridurre la tossicità; inoltre, raccomanda il ricovero immediato in ospedale, al fine di attuare tutte le misure indicate per la prevenzione di infezioni sistemiche e disidratazione. I segnali di tossicità includono nausea, vomito, diarrea e in casi gravi stomatiti, mucositi, necrolisi epidermica tossica, neutropenia e depressione midollare;

   in data 3 settembre 2010 il medico di base dottor L.B. avrebbe prescritto una cura a base di Brivirac 125 alla signora G.C., pur sapendo che lei era sottoposta ad un trattamento chemioterapico con Xeloda 500;

   il 9 settembre 2010 la signora G.C., a seguito di gravi disturbi, viene immediatamente condotta al Cord (centro oncologico di riferimento dipartimentale) dalla dottoressa P. a cui ha spiegato l'accaduto. La signora è stata dimessa dalla struttura sanitaria e le sono stati prescritti esclusivamente dei farmaci palliativi;

   il 13 settembre 2010 la signora G.C. viene condotta nuovamente dalla dottoressa P., in quanto le condizioni di salute sono peggiorate, a causa di una mucosite che non le consente di deglutire. Date le circostanze e le insistenze del congiunto, la stessa dottoressa ricovera per 5 giorni la signora G.C., prescrivendole cure che si riveleranno inadeguate;

   in tali circostanze si sarebbero probabilmente dovute prestare cure più adeguate; in particolare, dato lo stato di intossicazione in cui si trovava la signora a seguito dell'assunzione di Brivirac 125, si sarebbe potuto coinvolgere il vicino centro antiveleni di Careggi;

   il 17 settembre 2010 le analisi effettuate evidenziano una situazione molto grave; la signora G.C. viene condotta d'urgenza all'ospedale di Prato, dove viene ricoverata nel reparto di rianimazione, ma a causa degli effetti devastanti dell'antitumorale, muore il 3 ottobre 2010, dopo una lunga agonia;

   dal maggio 2009 era disponibile negli Stati Uniti l'uridina triacetato, un potente antidoto che avrebbe potuto salvare la signora G.C., ma, come sostenuto dal marito della stessa, non fu fatto nulla per procurarselo;

   al riguardo il medico di famiglia L.B. ha patteggiato una condanna a un anno di reclusione, mentre la dottoressa P. è stata assolta dall'accusa di omicidio colposo;

   risulta all'interrogante che, nel mese di febbraio 2014, si sia verificato un caso analogo, in quanto ad una paziente di 73 anni, con un tumore in stadio più avanzato di quello della signora G.C.., vengono somministrati per 5 giorni Brivirac e Xeloda 500. Il medico ospedaliero avrebbe ricoverato subito la paziente in camera sterile; da Londra in poche ore fa giungere l'antidoto uridina triacetato e la paziente a distanza di un anno risulta essere ancora in vita;

   nella precedente legislatura è stata presentata al Senato un'interrogazione con contenuto analogo che non ha avuto risposta –:

   quali iniziative intenda intraprendere, per quanto di competenza, la Ministra interrogata per verificare le dinamiche che hanno condotto alla morte della signora G.C., individuare eventuali carenze o insufficienze organizzative, procedurali e gestionali dal sistema sanitario e scongiurare conseguenze estreme in casi analoghi.
(4-00538)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:

   inchieste giornalistiche e denunce di associazioni di consumatori dimostrano che centinaia di migliaia di persone (nel 2014 sono state circa 500 mila per un giro di affari che secondo alcuni sarebbe di decine di milioni di euro) continuano ad essere vittime di quelle che, ormai abitualmente, vengono definite «truffe telefoniche» attraverso abbonamenti non richiesti a servizi a pagamento;

   molti utenti, infatti, sottoscrivono attraverso lo smartphone, i cosiddetti «mobile vas» («valued added services», servizi a valore aggiunto), per abbonarsi ai quali basta un solo click, fatto spesso in maniera involontaria o inconsapevole dall'utente;

   sembra che le sanzioni comminate a diversi gestori, nel 2015, dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato non abbiano comportato limitazioni significative di tali pratiche a carico degli utenti;

   il sistema del doppio click per l'attivazione dei servizi a pagamento, promesso dai gestori, non risulta essere attivo per la maggior parte degli abbonamenti in questione;

   disabilitare i servizi a pagamento attraverso il gestore risulta di fatto molto complicato, anche a causa dell'eccessivo traffico telefonico verso i call center –:

   se il Governo non intenda assumere le iniziative di competenza nei confronti dei gestori per tutelare i diritti di utenti e consumatori, specie quelli tecnologicamente più «deboli», attraverso strumenti che garantiscano loro la piena consapevolezza dell'attivazione di questi servizi a pagamento, e prevedendo meccanismi semplici, immediati e gratuiti di recesso da questo tipo di servizi in abbonamenti.
(2-00031) «Baldelli, Bergamini, Mulè, Fiorini, Rosso, Sozzani, Porchietto, Zanella, Cappellacci, Battilocchio, Mugnai, Ruffino, Novelli, Biancofiore, Giacomoni, Pella, Marin, Zangrillo, Mazzetti, Cassinelli, Giacometto, Pittalis, Rotondi, Palmieri, Fascina, Spena, Maria Tripodi, Orsini, Bignami, Polidori, Della Frera, D'Ettore, Ripani, Fatuzzo, D'Attis, Silli, Saccani Jotti, Napoli, Gagliardi, Sarro, Carrara».

Interrogazione a risposta immediata:


   MORETTO, BENAMATI, BONOMO, GAVINO MANCA, MOR, NARDI, NOJA, ZARDINI, BOCCIA, BORDO, LACARRA, UBALDO PAGANO, GRIBAUDO, FIANO e ENRICO BORGHI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   l'Ilva è attualmente sottoposta ad amministrazione straordinaria, dopo una fase di commissariamento determinata dall'inchiesta giudiziaria avviata nel 2012 e dal successivo sequestro dell'impianto di Taranto, il più grande stabilimento siderurgico d'Europa;

   grazie all'azione dei Governi a guida Partito Democratico, il 5 giugno 2017 si è chiusa la gara di aggiudicazione dei complessi aziendali in favore di una cordata guidata da ArcelorMittal;

   nel corso della campagna elettorale, il Ministro interrogato ha più volte espresso la volontà di procedere alla riconversione produttiva dell'area e anche nel «contratto per il Governo del cambiamento» si afferma l'intenzione di «concretizzare i criteri di salvaguardia ambientale (...) attraverso un programma di riconversione economica basato sulla progressiva chiusura delle fonti inquinanti per le quali è necessario provvedere alla bonifica, sullo sviluppo della green economy e delle energie rinnovabili e sull'economia circolare»;

   sebbene le dichiarazioni successive siano state improntate a maggiore cautela rispetto alle prospettive di chiusura dell'impianto, a quasi un mese dalla nomina del Ministro interrogato, non è ancora emerso alcun orientamento in merito al futuro dell'Ilva e dei 14.000 lavoratori coinvolti;

   non è più rinviabile un'assunzione di responsabilità da parte del Governo, dal momento che il 30 giugno 2018 scadranno i termini per la definizione dell'accordo sindacale utile a perfezionare il trasferimento dei complessi aziendali e che la gestione commissariale esaurirà a breve le risorse necessarie al pagamento degli stipendi –:

   quale sia l'orientamento definitivo del Governo in merito al futuro produttivo e occupazionale dell'Ilva e, in particolare, se siano scongiurate le paventate ipotesi di chiusura dell'impianto di Taranto, alla luce dell'imminenza delle scadenze citate in premessa.
(3-00039)

Interrogazione a risposta orale:


   BOND, BARATTO, BENDINELLI, CORTELAZZO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il rifugio Sonino al Coldai è situato presso comune di Zoldo Alto, nelle Dolomiti Bellunesi, a 2.130 metri d'altezza. Si tratta di un vero rifugio di alta montagna, punto di riferimento anche per il Soccorso alpino, ma soprattutto riferimento telefonico per gli alpinisti, in un'area dove è scarsa la copertura telefonica dei cellulari;

   da anni il rifugio è vittima di gravi disservizi imputabili alla compagnia telefonica Telecom Italia, dovuti al malfunzionamento o addirittura all'isolamento completo (per settimane, in un caso anche per 45 giorni) della linea telefonica fissa con grave disagio per gestori ed utenza. Di recente si è verificata una nuova interruzione di 10 giorni, nonostante la rassicurazione di intervento a breve del call center;

   in considerazione delle necessità del soccorso alpino è stata interessata anche la stazione dei carabinieri della Val di Zoldo che ha contattato, a quanto consta agli interroganti, senza esito, il call center della Telecom;

   la società Telecom è incaricata, ai sensi dell'articolo 58, comma 3, del decreto legislativo n. 259 del 2003, recante «codice delle comunicazioni elettroniche», di fornire il servizio universale telefonico su tutto il territorio nazionale. Il contenuto del servizio universale è esaminato periodicamente dalla Commissione europea nell'ambito del Comitato delle comunicazioni (CoCom);

   ai sensi dell'articolo 61, comma 4, del codice, nell'ambito della direttiva per la qualità e le carte dei servizi di telefonia vocale fissa e per il servizio universale (delibera n. 479/17/CONS del 5 dicembre 2017), l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha fissato i valori obiettivo, ossia gli standard generali degli indicatori di qualità del servizio universale per la telefonia vocale fissa, che Telecom Italia si deve impegnare a raggiungere. Tali tempi mediamente non devono superare le 48 ore;

   la società Telecom Italia, ai sensi dell'articolo 14-bis della legge n. 223 del 2006, ha presentato all'Autorità degli impegni in cui indica, fra gli obiettivi, quello di soddisfare i clienti finali attraverso concreti interventi per lo sviluppo e il miglioramento della qualità della rete e dei servizi;

   la società Telecom Italia spa non è nuova a disattendere i propri obblighi di servizio universale: con la delibera n. 163/17/CONS – l'Autorità ha emanato una ordinanza ingiunzione nei confronti della società Telecom per il mancato raggiungimento degli obiettivi di qualità del servizio universale per l'anno 2015 fissati ai sensi dell'articolo 61, comma 4, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (contestazione n. 26/16/DTC);

   il problema della mancanza di collegamento telefonico interessa anche la struttura turistica: i clienti chiamano, nessuno risponde perché la linea è guasta (pur suonando il telefono) e si convincono che il rifugio sia ancora chiuso e quindi non vengono o non prenotano, con il danno economico notevole –:

   quali iniziative il Ministro interrogato, per quanto di competenza, intenda intraprendere al fine di assicurare ai rifugi di alta montagna ed in particolare al rifugio Sonino al Coldai, un servizio telefonico certo e costante, ai sensi dell'articolo 58, comma 3, del decreto legislativo n. 259 del 2003, in considerazione del servizio di sicurezza pubblica che tali rifugi svolgono.
(3-00031)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FOTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   Poste Italiane S.p.a., controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze, giuste le notizie di stampa, è sempre più orientata a rivolgere la propria attività ai servizi assicurativi e finanziari, offerti sul mercato con modalità di azienda privata e potenzialmente in grado di destabilizzare le aziende, per lo più piccole e medie, che operano nel settore della distribuzione assicurativa e di prodotti finanziari in Italia;

   per sopperire ai preoccupanti dati di bilancio, oltre che all'inefficienza del servizio allora reso, con il decreto-legge n. 487 del 1° dicembre 1993, convertito dalla legge 29 gennaio 1994, n. 71, Poste italiane venne trasformata da azienda autonoma a ente pubblico economico, prevedendo un ulteriore passaggio a società per azioni entro il 1996 (attuato poi il 28 febbraio 1998);

   la direttiva adottata il 30 gennaio 1997 dal Presidente del Consiglio dei ministri (la cosiddetta «direttiva Prodi») sui servizi postali assegnava a Poste Italiane il compito di migliorare la qualità del servizio raggiungendo, tramite una nuova offerta di servizi, il pareggio dei costi di gestione della rete postale;

   da marzo 2017 Bianca Maria Farina è il presidente, mentre Matteo Del Fante è l'amministratore delegato di Poste italiane s.p.a. Nel 2017 il gruppo Poste Italiane fattura ricavi per euro 20,2 miliardi da «premi assicurativi» (+2,2 per cento sul 2016), per euro 8,1 miliardi da «corrispondenza, pacchi e distribuzione», per euro 5,9 miliardi da «finanziario». Stando ai dati di bilancio, il comparto «corrispondenza, pacchi e distribuzione» chiude l'anno 2017 con una perdita netta di oltre cinquecento milioni di euro e solo grazie al contributo dei comparti assicurativo e finanziario il bilancio, complessivamente, chiude positivamente;

   il progetto di ulteriore specializzazione, nel settore assicurativo, che Poste italiane intende perseguire risulta chiaro se si considera la gara, indetta al fine di identificare un'impresa assicurativa con la quale stipulare un accordo distributivo di polizze per la responsabilità civile auto. L'accordo distributivo permetterebbe, quindi, a Poste Italiane di offrire polizze per la responsabilità civile auto (settore nel quale le 12.000 agenzie assicurative indipendenti italiane detengono una quota di mercato di oltre l'80 per cento ricorrendo ai 13.000 sportelli postali distribuiti sul territorio nazionale;

   detto nuovo approccio al mercato assicurativo nazionale del gruppo Poste Italiane rischia di compromettere irrimediabilmente la tenuta dell'assetto distributivo delle maggiori compagnie assicurative che operano in Italia attraverso reti agenziali, nonché di ridimensionare pericolosamente la quota di mercato degli agenti assicurativi professionisti in gestione libera, minando il loro già tenue equilibrio economico. A tacere del fatto che lo sfruttamento degli sportelli distributivi postali, la loro capillarità e presenza, destabilizzano e sfruttano il fine pubblico di Poste, per uno sviluppo imprenditoriale privato che può rivelarsi contrario agli interessi dei consumatori finali –:

   al di là dell'irrituale posizione (in ordine alla quale andrebbe verificato il configurarsi di un eventuale un conflitto di interessi) della attuale presidente di Poste Italiane s.p.a., che riveste anche la carica di presidente dell'Associazione nazionale imprese assicuratrici (Ania), se il Governo intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché Poste Italiane s.p.a., non solo si attenga agli scopi originari per i quali venne costituita, ma anche e soprattutto valuti l'opportunità di sospendere la gara indetta per l'identificazione dell'impresa assicuratrice partner con la quale sottoscrivere il citato accordo distributivo di polizze rami danni (compresa la responsabilità civile auto).
(5-00053)


   BENAMATI, SERRACCHIANI, FREGOLENT, VAZIO, BONOMO, ZARDINI, CENNI e FERRI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   nei mesi scorsi è emersa la problematica relativa all'insoluto delle bollette elettriche non pagate dai clienti morosi la cui stima totale si aggirerebbe intorno al miliardo di euro;

   dopo vari ricorsi e sentenze del Tar e del Consiglio di Stato, l'Autorità di regolazione per energie, reti e ambiente (Arera), attraverso la deliberazione n. 50 del 2018, ha permesso ai distributori elettrici di accedere al rimborso degli oneri di sistema non riscossi e altrimenti non recuperabili, indicando quindi come soluzione la socializzazione a carico degli utenti finali;

   una prima quota di «oneri generali» elettrici in questione è pari a circa 280 milioni di euro di cui 200 milioni sono riconducibili al caso Gala (che è l'operatore la cui crisi finanziaria ha maggiormente causato il mancato versamento degli oneri di sistema e verso cui anche Acea era esposta);

   secondo l'Arera, il meccanismo individuato è parziale, circoscritto e finalizzato a garantire il gettito degli oneri di sistema da assicurare per legge;

   naturalmente rimane urgente le necessità della definizione di risposte strutturali al problema per evitare che clienti in regola vengano penalizzati da inadempienze altrui, anche dei distributori;

   come riportato da alcuni articoli di stampa, relativi all'inchiesta che vede coinvolto il dimissionario presidente di Acea Luca Lanzalone, questi sembrerebbe aver posto in essere, anche in riferimento alla situazione di Gala, una intensa attività relazionale verso l'Arera finalizzata a orientare le decisioni dell'Autorità in favore dei distributori;

   considerata la grande rilevanza della questione per la collettività e nelle more dell'assunzione di idonei provvedimenti legislativi, appare quindi più che mai opportuno ricostruire in maniera organica il percorso che ha portato all'assunzione delle decisioni in questione –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza, in specie normative, intenda mettere in atto.
(5-00059)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIPANI e MUGNAI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il gruppo Editoriale GEDI (ex Finegil), è titolare, tra gli altri quotidiani, anche de il Tirreno e La Repubblica;

   il 12 giugno 2018 il gruppo ha reso nota ai sindacati la decisione di procedere a chiusura — nell'ambito di una ristrutturazione nazionale e a partire dal 1o novembre 2018 — del centro stampa di proprietà Gedi Printing spa nella città di Livorno;

   il centro occupa 29 lavoratori poligrafici;

   la città di Livorno, già area di crisi complessa, vive un momento di grande fragilità occupazionale;

   data la decisione dell'azienda, è necessario entrare nel merito della riorganizzazione del servizio e, più specificatamente, della ricollocazione dei 29 lavoratori poligrafici attualmente impiegati su Livorno, a tutela dell'occupazione e dei diritti dei lavoratori;

   al momento, è previsto il riassorbimento nella nuova sede di stampa dei quotidiani, a Firenze, solamente di 2/3 unità, mentre ai rimanenti poligrafici sarebbero state proposte nuove sedi di lavoro tra Torino e Mantova –:

   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere, di concerto anche con la regione Toscana e i sindacati, al fine di individuare percorsi di salvaguardia dei livelli occupazionali che assicurino la piena ricollocazione dei 29 lavoratori, addivenendo al tempo stesso a soluzioni che impattino nel minor modo possibile sulla loro condizione esistenziale, familiare e professionale.
(4-00539)


   MUGNAI e D'ETTORE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   in data 22 giugno 2018 la dirigenza della Bekaert Group (ex Pirelli) di Figline Valdarno ha comunicato la chiusura della fabbrica entro 75 giorni: si tratta di una realtà produttiva specializzata nella produzione di steel cord, che occupa 318 lavoratori;

   dopo la fissione da parte di Pirelli erano state date delle garanzie che oggi purtroppo sembrano svanite e ci si trova davanti a questa decisione secca e annunciata come «irrevocabile»;

   l'età media dei lavoratori coinvolti è sui 50 anni, troppo giovani per andare in pensione e troppo anziani per trovare nuove occupazioni. Per il territorio si rischia un impatto devastante; con l'indotto si arriva a più di 400 persone coinvolte, senza tener conto altresì degli ulteriori condizionamenti negativi del tessuto imprenditoriale locale;

   quanto sta accadendo non sarebbe neanche in linea con quanto aveva inizialmente stabilito il Ministero dello sviluppo economico il 29 marzo 2018, quando, cioè, aveva promesso l'apertura di un tavolo di contrattazione con i sindacati per evitare la chiusura dell'impianto e il licenziamento dei dipendenti, che significa abbandonare al proprio destino 318 famiglie;

   mentre la città metropolitana di Firenze si era già occupata della vicenda attraverso un suo organismo interno, l'unità di crisi, al fine di scongiurare la chiusura dello stabilimento, acquistato nel 2014 da Pirelli; gli interroganti rilevano l'inattività della regione Toscana che solo ora, a licenziamenti ormai avvenuti, sembra accorgersi della drammaticità della situazione anche se da diverso tempo si parla delle intenzioni della proprietà;

   si rimarca che da parte di lavoratori e sindacati c'è stata sempre, fin dalle trattative per il passaggio da Pirelli a Bekaert, nel 2015, la piena disponibilità a sostenere processi di crescita della produttività del sito; inoltre, si segnala che il Valdarno è negli ultimi anni già stato attraversato da varie crisi aziendali, con esiti diversificati, ma che ne hanno minato gravemente la tenuta occupazionale e produttiva e si deve evitare a tutti i costi che quello della Bekaert diventi l'ennesimo tavolo aperto sul territorio toscano –:

   se non ritenga di attivare, in tempi rapidissimi, iniziative e strumenti ad ogni livello per scongiurare la perdita dei 318 posti di lavoro e di uno stabilimento importante che rappresenta un patrimonio di tutto il Valdarno e della Toscana.
(4-00542)


   SPERANZA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   Bekaert in Italia si occupa della produzione di rinforzi in acciaio per pneumatici, nonché di vendita e distribuzione degli stessi, di prodotti per l'edilizia e di altro tipo con fili d'acciaio per l'industria italiana. Attualmente, impiega 600 dipendenti nelle tre distinte società site in Figline e Incisa Valdarno, Assemini (Cagliari) e Milano. Il sito di Figline Valdarno, in particolare, è attivo nella produzione e nello sviluppo di prodotti con rinforzi in acciaio, tra cui corde, trafilati per il rinforzo di tubi ad alta pressione e cerchietti, nonché semilavorati da fornire ad altri stabilimenti di rinforzi in acciaio di Bekaert nell'Emea;

   da organi di stampa si apprende che la direzione di Bekaert Group ha annunciato in una nota la decisione di chiudere il sito italiano di Figline e Incisa Valdarno e di cessare tutte le attività ivi svolte. La direzione ha informato la rappresentanza sindacale unitaria del sito di Figline, le organizzazioni sindacali e le autorità competenti in merito a tale decisione. Inoltre, nella nota si legge che, a causa dei suoi costi strutturali notevolmente superiori rispetto a quelli degli altri stabilimenti di rinforzi in acciaio per pneumatici di Bekaert nella regione Emea, il sito non è stato in grado di generare performance sostenibili dal punto di vista finanziario;

   dopo l'annuncio della chiusura vi è stato uno sciopero e un'assemblea permanente nello stabilimento Bekaert di Figline Valdarno;

   sempre da quanto si apprende da organi di stampa questa decisione sarebbe in aperto contrasto con le affermazioni che gli stessi vertici della Bekaert avevano fatto tre mesi fa nell'ultimo incontro al Ministero dello sviluppo economico sulla situazione del sito produttivo di Figline. In quella sede si confermavano il buon andamento dei volumi produttivi, la prosecuzione dei rapporti di committenza con la Pirelli e i progressi di tre progetti innovativi del piano aziendale;

   a maggio 2018 è stata approvata una mozione in consiglio regionale per chiedere alla giunta di attivarsi presso l'azienda per capire le reali intenzioni della proprietà, a seguito della notizia del mancato rinnovo contrattuale per i lavoratori interinali –:

   quali siano gli orientamenti del Governo in merito e quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, in relazione alla situazione in cui versano i lavoratori coinvolti nel licenziamento con conseguenze anche nella perdita di tecnologie e professionalità italiane, al fine di evitare ancora una volta un caso di delocalizzazione;

   se il Governo intenda adottare, per quanto di competenza, iniziative volte a chiarire le scelte compiute da parte dell'azienda.
(4-00544)


   FRATOIANNI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il 19 giugno 2018 il tribunale di Ivrea, preso atto dell'assenza totale di offerte di acquisto, ha dichiarato il fallimento della Comital di Volpiano, azienda leader nel settore del laminato in alluminio, e ha rigettato anche l'ipotesi fatta dalle organizzazioni sindacali della continuità produttiva che avrebbe evitato sia di mettere a rischio la cassa integrazione per gli addetti della Comital, sia di evitare che gli impianti, alcuni dei quali devono funzionare a ciclo continuo, con lo «stop» totale possano subire danni irreparabili;

   tale soluzione, seppur in modo parziale, avrebbe mantenuto in attività l'azienda. I 110 dipendenti che avevano sperato di poter lavorare almeno fino a novembre 2018, si ritrovano da subito senza più un posto fisso e senza sapere se il curatore fallimentare deciderà di licenziarli o meno;

   a parere dell'interrogante si è di fronte ad una decisione inaccettabile che non tiene conto né delle pur residue prospettive industriali né della drammatica situazione in cui si trovano le lavoratrici e i lavoratori;

   la vicenda Comital ha inizio nell'agosto del 2017, quando la proprietà francese aveva dichiarato il licenziamento collettivo e la chiusura della fabbrica per cessazione attività. Dopo tre mesi di presidio dei cancelli da parte dei lavoratori e un duro braccio di ferro con l'azienda i dipendenti erano riusciti a vincere ottenendo il ritiro dei licenziamenti, l'accesso agli ammortizzatori sociali e la cassa integrazione straordinaria per crisi aziendale per 12 mesi che avrebbe dovuto concludersi a novembre del 2018 per consentire a possibili acquirenti di farsi avanti;

   il termine per la presentazione delle offerte è scaduto il 6 giugno 2018 senza nessuna proposta ufficiale anche se potrebbero esserci 4 o 5 possibili acquirenti che, stando a fonti sindacali, potrebbero ancora essere interessati a rilevare l'azienda dal fallimento a condizioni anche più vantaggiose che dal concordato –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intenda intervenire, per quanto di competenza, al fine di salvare un patrimonio fatto di personale, competenze, esperienza e commesse di cui è portatore la Comital, anche convocando un tavolo di confronto nazionale che verifichi, insieme a tutti gli attori coinvolti, la reale possibilità di trovare un nuovo acquirente, evitando che 110 persone perdano il posto di lavoro;

   se il Governo intenda intervenire per preservare la cassa integrazione guadagni straordinaria, che dovrebbe restare operativa fino a novembre 2018, e allontanare così lo spettro dall'assenza di reddito per i 110 lavoratori della Comital di Volpiano.
(4-00549)

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Pastorino n. 4-00510, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 giugno 2018, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Muroni, Enrico Borghi, Gadda, Noja, Quartapelle Procopio, Soverini, Braga.

Pubblicazione di un testo riformulato

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Trancassini n. 4-00323, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 11 del 5 giugno 2018.

   TRANCASSINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   la legge 991 del 1952 recante «Provvedimenti in favore dei territori montani» definisce comuni montani quelli che hanno l'80 per cento della superficie al di sopra dei 600 metri di altitudine o un dislivello maggiore di 600 metri;

   la classificazione dei comuni per grado di montanità prevede la suddivisione degli stessi in «totalmente montani», «parzialmente montani» e «non montani», così come trasmessa dall'Uncem (Unione nazionale comuni comunità enti montani) all'Istat ai sensi dell'articolo 1 della citata legge;

   secondo tale classificazione 57 comuni sui 73 della provincia di Rieti risultano essere totalmente montani;

   in molti dei suddetti comuni gli edifici scolastici sono collocati a valle rispetto ai centri abitati e vi sono disagevoli condizioni di viabilità; in tale aerea si registra inoltre una dispersione degli insediamenti abitativi;

   sarebbe opportuno il riconoscimento della condizione di scuola di montagna con riguardo a tutti gli istituti scolastici che si trovano in tale aerea, in modo tale da garantire l'autonomia degli istituti scolastici ed evitare il sovraffollamento delle classi dovuto all'accorpamento delle stesse anche in forma di pluriclassi;

   con il riconoscimento della scuola di montagna si abbassano tutte le soglie minime per garantire l'autonomia degli istituti scolastici e si evita il sovraffollamento delle classi dovuto all'accorpamento delle stesse anche in forma di pluriclassi;

   l'accentramento dei servizi pubblici in un territorio caratterizzato da scarsa densità abitativa, come quello della provincia di Rieti, peggiora la qualità della vita –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga opportuno valutare la necessità di assumere iniziative normative al fine definire i criteri per riconoscere come scuole di montagna tutte quelle collocate nei comuni totalmente montani.
(4-00323)