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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 8 maggio 2018

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, per sapere – premesso che:

   notizie di stampa e dossier di centri studi specializzati in analisi della spesa d'investimento evidenziano una congiuntura particolarmente negativa in ordine alla capacità d'impegno e di rendicontazione facente capo ai programmi operativi nazionali e ai programmi operativi regionali discendenti dall'accordo di partenariato stipulato tra Italia e Commissione europea in merito all'utilizzo dei fondi strutturali nelle aree in ritardo di sviluppo;

   nel corso di una nota trasmissione televisiva del mese di aprile 2018, è stato rappresentato con dovizia di dettagli e di analisi, un quadro comparativo europeo estremamente favorevole ai Paesi dell'Est europeo e Visegrad, con una capacità di impiego di risorse della «Programmazione europea 2014-2020» e un tasso di ritorno estremamente vantaggioso rispetto al livello di contribuzione nazionale, al contrario dell'Italia, in forte passivo e in drammatico arretrato riguardo al cronoprogramma delle attività e dei livelli di spesa. Da tale comparazione emergono preoccupanti dati e valutazioni di tendenza marcatamente fallimentare delle politiche di coesione nazionale e del ruolo accentrato e inefficace dell'Agenzia per le politiche di coesione, che ha dato corpo ad un quadro strategico inadeguato alla reale situazione e ai bisogni prioritari del Paese, nonché tanto pletorico quanto inefficiente di autorità di gestione, nazionale e regionale;

   in particolare, si segnala il significativo scostamento tra gli obiettivi di rendicontazione indicati nei piani finanziari e l'effettiva capacità di spesa realizzata da ciascuna delle autorità di gestione responsabili dell'attuazione dei programmi, elemento che potrebbe determinare il parziale definanziamento dei programmi stessi;

   contestualmente, si è preso atto di un'accelerazione soltanto sul fronte degli impegni programmatici a valere sul fondo sviluppo e coesione, un montante di circa 54 miliardi di euro quasi completamente destinati dal Comitato interministeriale per la politica economica a piani operativi e patti per lo sviluppo, e di fatto esauriti con le decisioni assunte dal Comitato interministeriale medesimo nella seduta del 22 marzo 2018, ben oltre la data di svolgimento delle elezioni politiche e in un contesto nel quale il Governo avrebbe dovuto assicurare la sola ordinaria amministrazione;

   i profili di cassa del fondo sviluppo e coesione appaiono del tutto incongrui con la tempistica di allocazione programmatica, palesando, ad avviso degli interroganti, una operazione demagogica di chiaro stampo elettoralistico;

   un'ingente massa di risorse – circa 3 miliardi di euro – è stata di fatto attribuita alla società Invitalia per il finanziamento di misure agevolative e contratti di sviluppo senza che vi sia riscontro della avvenuta verifica di conformità alla normativa in materia di appalti pubblici e senza procedere ad una preventiva disamina dei risultati conseguiti dalla predetta società;

   non sono del tutto chiari i contorni dell'azione amministrativa e i modelli operativi del dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione e l'Agenzia per la coesione territoriale, né le dinamiche della loro interazione, in una prospettiva che avrebbe dovuto assicurare una gestione unitaria ed efficiente dei circa 100 miliardi di euro complessivamente destinati allo sviluppo;

   gli operatori del settore denunciano un disarmante scostamento dei tassi di esecuzione fisica e finanziaria degli interventi e dei piani fatti oggetto di una estenuante e demagogica programmazione, evidenziando misure spacciate per «potenziamento e efficientamento» della governance, incentrate soltanto su progetti per incarichi e stipendi a consulenti, senza la necessaria semplificazione e lo snellimento effettivo delle procedure, metodologie e pratiche;

   lo spropositato e ingestibile aggravamento vincolistico del regime dei contratti pubblici, demandato al nuovo codice, avulso dai reali fabbisogni e distante dal comune senso pratico, e ad una serie innumerevole di norme, regolamenti attuativi, atti di indirizzo, direttive, e altro, nonché la nuova normativa sulle «partecipate» che ha di fatto ingessato anche l'azione delle società sottoposte al controllo analogo delle amministrazioni pubbliche, secondo gli interpellanti sostanzia di fatto l'esistenza di una strategia implicita di congelamento della spesa pubblica, al contrario denotando la ponderosità e l'inadeguatezza delle stazioni appaltanti, il fermo totale di interventi e lavori nonché di avvio dei cantieri –:

   quali siano in ogni caso gli intendimenti del Governo in merito alle iniziative e ai provvedimenti urgenti da adottare con specifico riguardo alle questioni e agli aspetti della sua politica sul tema di cui in premessa;

   quali siano al 31 dicembre 2017, le risultanze di impegno e rendicontazione di ciascuno dei programmi operativi, nazionali e regionali, cofinanziati dai fondi strutturali a valle della sottoscrizione dell'accordo di partenariato Italia-Commissione europea per il periodo di programmazione 2014-2020, evidenziando, su base annuale, gli scostamenti tra previsioni di spesa e somme effettivamente rendicontate;

   quali misure siano state adottate per promuovere un'accelerazione della spesa e una semplificazione delle procedure da parte dell'Agenzia per la coesione territoriale, dal dipartimento per le politiche di coesione, dalle singole autorità di gestione;

   quale sia lo stato di attuazione dei grandi progetti comunitari, ivi compresi quelli di competenza regionale o interregionale e traslati dalla programmazione 2007-2013 alla programmazione 2014-2020, con particolare riferimento ai grandi progetti di ripristino e risanamento ambientale allocati nelle regioni del Mezzogiorno;

   quale sia il quadro riepilogativo degli impegni del fondo sviluppo e coesione e lo stato di avanzamento dei piani operativi settoriali e dei patti per lo sviluppo stipulati con le regioni e le città metropolitane, con particolare approfondimento sulla realizzazione del progetto straordinario per la rimozione dei rifiuti stoccati in balle in regione Campania, per il quale è previsto uno stanziamento di oltre 400 milioni di euro;

   quale sia l'ammontare delle somme attribuite alla società Invitalia per il sostegno a misure agevolative e contratti di sviluppo, e se si intenda rendere disponibile la relazione del soggetto esercente il controllo relativa al rispetto degli articoli 5 e 192 del decreto legislativo n. 50 del 2016;

   quali siano le risultanze delle attività dell'Agenzia per la coesione territoriale e del dipartimento per le politiche di coesione in ordine alla gestione e al coordinamento dei piani e dei programmi finanziati con risorse nazionali e comunitarie;

   se il Governo non ritenga, data la paralisi nazionale degli investimenti, di costituire una commissione finalizzata alla revisione della composita disciplina in materia di contratti ed appalti, regime delle partecipate e delle società in house, e di altra regolamentazione in materia, per definire un complesso normativo organico, semplificato ed efficace che sia volano per l'iniziativa economica pubblica e privata;

   se i suddetti piani operativi e patti con le regioni del Sud e le città metropolitane siano stati definiti, in particolare rispetto alle priorità degli interventi infrastrutturali e dei servizi ambientali, con un preventivo e opportuno dibattito pubblico con i soggetti esponenziali rappresentativi degli interessi dei territori, delle università, degli ordini professionali, in specie di ingegneri ed architetti, delle parti economiche e sociali, delle primarie associazioni di sviluppo territoriale ed ambientalistiche;

   se sia vero che ancora latiti il Patto con la città metropolitana di Roma Capitale, che avrebbe dovuto essere tra i primi in ordine di priorità, stante la drammatica situazione infrastrutturale e logistica di Roma e del suo territorio, e che il quadro finanziario della programmazione 2014-2020 sia stato di fatto esaurito senza affrontare e riservare un proporzionato ed adeguato accantonamento di dovute disponibilità per la Capitale.
(2-00019) «D'Ettore, Gelmini, D'Attis, Carrara, Bignami, Mugnai, Fiorini, Cannizzaro».

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta scritta:


   MATURI, BINELLI, SEGNANA, ZANOTELLI, FUGATTI e VANESSA CATTOI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il 22 aprile 2018 sono scomparsi da Bolzano due bambini, Yassine e Yasmine, di 4 e 2 anni, assieme al loro padre Jamel Methenni, di nazionalità tunisina;

   la madre, Rosa Mezzina, di nazionalità italiana e affidataria dei bambini dopo la separazione, ha denunciato l'accaduto e ha saputo solo sei giorni dopo che i figli erano in Tunisia con il padre, che ha dichiarato di non avere intenzione di tornare in Italia;

   dopo vari accertamenti si è saputo che l'uomo si è allontanato da Bolzano su di un furgone di sua proprietà e che di lui si sono perse le tracce a Verona, dove il cellulare ha smesso di trasmettere la posizione e che il consolato di Tunisia a Milano ha emesso i passaporti per i bambini, senza l'assenso della madre, come invece prevede la legge italiana in caso di minori;

   i passaporti italiani sono nelle mani della famiglia di Rosa Mezzina, che, dopo la separazione, temeva tale eventualità;

   la Farnesina è stata allertata e l'ambasciata di Italia a Tunisi ha rilasciato la seguente nota: «La nostra Ambasciata è pronta, nell'ambito delle proprie competenze, a prestare ogni possibile assistenza alla signora Mezzina, madre dei piccoli, qualora la stessa, in mancanza di un accordo con il padre dei minori, decida di adire le vie legali per ottenere la restituzione dei figli. Opportune verifiche saranno esperite riguardo all'emissione da parte del Consolato tunisino dei passaporti in favore dei due bambini senza l'assenso della madre»;

   non si tratta del primo caso di sottrazione di minori da parte di genitori extracomunitari, ma il Governo non ha ritenuto di procedere a concludere gli opportuni accordi bilaterali su questi temi specifici: in particolare negli ultimi anni, tali casi si sono intensificati a seguito di matrimoni tra cittadini di Paesi comunitari ed extracomunitari;

   il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Angelino Alfano, solo un anno fa, in occasione della firma della dichiarazione congiunta con il suo omologo tunisino agli Esteri, Khemaies Jhinaoui, per consentire di approfondire ulteriormente la cooperazione tra i due Paesi al fine di promuovere la pace, la stabilità e il benessere nell'aerea mediterranea, ha definito la Tunisia «Paese prioritario e partner di assoluto interesse strategico», siglando contemporaneamente «intese in diversi settori tra cui il partenariato per lo sviluppo, le interconnessioni elettriche, gli scambi giovanili, il rafforzamento della cooperazione in tema di sicurezza»;

   entrambi i Ministri hanno sottolineato che esiste un interesse comune a stabilire una gestione concertata del fenomeno migratorio attraverso procedure di cooperazione efficaci, al fine di rafforzare le capacità della Tunisia nel controllo delle frontiere (in particolare di quelle marittime) e nella lotta alle reti di trafficanti di essere umani;

   la legge organica n. 2015-46 del 23 novembre 2015 pubblicata sul Journal Officiel de la République Tunisienne il 27 novembre 2015 enuncia che «Il viaggio del minore è soggetto all'autorizzazione di uno dei due genitori, il tutore o qualsiasi persona a cui ne è stata affidata la custodia», diventando un esempio per tutti quei Paesi che concedono solo al padre l'autorità decisoria;

   il consolato tunisino di Milano non ha evidentemente verificato se vi fossero i presupposti per l'emissione dei passaporti dei bambini sottratti –:

   quali siano gli strumenti, anche in termini di iniziative diplomatiche, che il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale intenda attivare affinché i bambini possano tornare dal genitore affidatario, secondo la legge italiana;

   se siano in corso iniziative governative atte a risolvere la piaga della sottrazione di minori in famiglie con genitori di diversa cittadinanza, comunitaria ed extracomunitaria;

   se il Governo intenda assumere le iniziative di competenza per chiarire come sia stato possibile varcare i confini nazionali senza lasciare traccia.
(4-00191)


   FITZGERALD NISSOLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   le istituzioni preposte effettuano, periodicamente, l'allineamento dei dati anagrafici contenuti nell'anagrafe nazionale della popolazione residente (Anpr) con i dati dell'Anagrafe degli italiani residenti all'estero dei consolati;

   nonostante tale lavoro, si verificano continue discordanze tra i due registri;

   al di là degli annunci, ad oggi la nuova Anagrafe della popolazione residente, che dovrebbe sostituire le anagrafi locali dei singoli comuni garantendo la costante e stabile certezza del dato anagrafico, risulta ben lungi dall'aver raggiunto un livello di ampia operatività. Dalle notizie di stampa risultano interessati solo 136 comuni e tra questi solo 3 capoluoghi di provincia;

   non risulta neppure che per i comuni subentrati nell'Anpr sia disponibile l'inclusione dell'Aire nell'anagrafe nazionale unica e questa pare che continui ad essere gestita in modo obsoleto;

   in occasione delle scorse elezioni politiche, l'interrogante ha potuto personalmente constatare l'esistenza di tali discordanze che provocano disagi agli elettori e spreco di danaro con l'invio di plichi elettorali presso indirizzi non reali;

   l'obiettivo dell'allineamento dei dati, in un contesto ad alto contenuto tecnologico quale è quello odierno, dovrebbe essere di facile realizzazione, tanto da apparire incomprensibile agli occhi dei connazionali all'estero l'esistenza di tali discrepanze –:

   quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati, per quanto di competenza, per fare in modo che l'allineamento dei dati in questione sia effettivo e venga garantita la massima coerenza degli elenchi elettorali.
(4-00196)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   BENIGNI, GELMINI, APREA, BARATTO, ANNALISA BARONI, BATTILOCCHIO, BIANCOFIORE, BIGNAMI, BOND, CALABRIA, CAPPELLACCI, CASSINELLI, CATTANEO, D'ATTIS, GAGLIARDI, GERMANÀ, GIACOMETTO, LABRIOLA, MARIN, MARROCCO, NAPOLI, NEVI, NOVELLI, ORSINI, PALMIERI, PELLA, PEREGO DI CREMNAGO, PETTARIN, PITTALIS, POLIDORI, PORCHIETTO, ROSSO, RUFFINO, PAOLO RUSSO, RUGGIERI, SACCANI JOTTI, ELVIRA SAVINO, SILLI, SISTO, SORTE, SPENA, SOZZANI, TARTAGLIONE, MARIA TRIPODI, VIETINA, ZANGRILLO e ZANELLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   con decreto interministeriale del 13 aprile 2018, sono stati determinati gli enti beneficiari del contributo di cui all'articolo 1, commi 853 e seguenti, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (legge di bilancio 2018), per interventi riferiti a opere pubbliche di messe in sicurezza degli edifici e del territorio;

   i contributi per l'anno 2018 sono quantificati nel limite complessivo di 150 milioni di euro, a fronte dei 300 milioni di euro previsti per l'anno 2019, e dei 400 milioni di euro per il 2020;

   la medesima legge (articolo 1, comma 855) prevede, altresì, che il contributo venga assegnato prioritariamente agli enti con minore disponibilità di avanzi di amministrazione e quindi meno in grado di usufruire di maggiori spazi finanziari concessi con i patti nazionali e regionali. Inoltre, si dispone che ciascun comune possa richiedere il contributo anche per più opere, nel limite massimo di 5.225.000 euro;

   la ristrettezza dei fondi di questa prima tranche del 2018 ha permesso di finanziare soltanto 54 comuni (alcuni dei quali hanno ottenuto risorse complessive per il valore massimo consentito di oltre 5 milioni di euro), per 146 progetti, a fronte di una richiesta di gran lunga superiore: erano infatti risultati ammessi all'esame circa 5.900 progetti per quasi 4 miliardi di euro;

   a parere degli interroganti, da una lettura delle risorse assegnate e dei comuni assegnatari, risulta però evidente che, nell'applicazione del criterio della «minore incidenza dell'avanzo di amministrazione», siano stati eccessivamente «premiati», con contributi assai cospicui, comuni per nulla virtuosi, e, in ogni caso, concentrati solo in alcune zone del Paese. Il risultato è quello di una forte discriminazione a danno dei comuni che non sono in disavanzo (la maggior parte dei quali sono collocati nell'Italia settentrionale), molti dei quali, pur nella condizione di poter usufruire di spazi finanziari, non riuscirebbero mai a impiegare simili cifre nella realizzazione di opere pubbliche;

   tra l'altro, è opportuno rilevare che i comuni virtuosi in grado di godere di spazi finanziari utilizzerebbero in ogni caso risorse proprie per effettuare investimenti; nel caso di specie, invece, si tratta di un vero e proprio contributo che va oltre le risorse di cui dispongono gli enti;

   vale poi la pena rilevare come, da una lettura letterale della norma, sarebbe stato preferibile assegnare le risorse ai comuni con una effettiva «minore incidenza dell'avanzo di amministrazione», e non, come poi di fatto è avvenuto, agli enti che si sono presentati con il «maggior disavanzo»;

   inoltre, la ratio di una simile norma, che dispone contributi per i comuni poco virtuosi, proprio per permettere loro di realizzare opere urgenti che non potrebbero permettersi in alcun modo, data l'impossibilità di effettuare investimenti, vorrebbe che le risorse assegnate fossero utilizzate per interventi effettivamente indispensabili per i cittadini. Risulta però che molti dei progetti finanziati non siano in alcun modo necessari ed urgenti;

   con questa logica, l'assegnazione del contributo rischia di diventare l'occasione per l'erogazione di finanziamenti a pioggia per interventi non strettamente necessari a comuni che non hanno tenuto i conti in regola, scoraggiando così le tante amministrazioni virtuose, che hanno compiuto grandi sacrifici per gestire al meglio la limitate risorse di cui dispongono –:

   quali siano stati in dettaglio i criteri seguiti per l'assegnazione delle risorse, con particolare riferimento alla selezione dei progetti che hanno ricevuto il contributo di cui all'articolo 1, commi 853 e seguenti, della legge n. 205 del 2017;

   quali siano stati in dettaglio i criteri seguiti per l'assegnazione delle risorse, con particolare riferimento alla selezione dei progetti che hanno ricevuto il contributo di cui all'articolo 1, commi 853 e seguenti, della legge n. 205 del 2017;

   se non ritengano opportuno adottare iniziative, anche di tipo normativo, per rivedere il criterio di cui all'articolo 1, comma 855, della medesima legge, che stabilisce una priorità per gli enti con minore disponibilità di avanzi di amministrazione, ai fini delle assegnazioni previste per il 2019-2020, cercando di premiare significativamente anche i comuni virtuosi e in regola con i conti;

   se non ritengano opportuno, per garantire una più equa distribuzione delle risorse a disposizione, assumere iniziative per rivedere il criterio di cui all'articolo 1, comma 854, della medesima legge, che stabilisce che la richiesta di contributo possa riferirsi a più opere, prevedendo invece che ogni ente possa ricevere contributi limitati ad un solo progetto, nonché prevedere un criterio di assegnazione su base regionale, per evitare eccessive sperequazioni tra i diversi territori;

   a fronte della grande richiesta pervenuta dai comuni, di gran lunga superiore alle risorse disponibili, se non ritengano opportuno assumere iniziative per assicurare alle assegnazioni previste per il 2019-2020 uno stanziamento significativamente maggiore.
(4-00190)


   FEDERICO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   con delibera del Consiglio dei ministri in data 21 marzo 2013, il presidente pro-tempore della regione Molise, dottor Paolo di Laura Frattura, è stato nominato commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario;

   con l'articolo 34-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, recante disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo è stato approvato il «Programma Operativo Straordinario della Regione Molise 2015-2018»;

   il piano degli investimenti sanitari, redatto dalla direzione generale per la salute della regione Molise e dall'ufficio progetti e patrimonio, prevede una spesa complessiva di euro 105.583.388,59, di cui euro 100.304.219,19 (95 per cento) a carico dello Stato ed euro 5.279.169,43 (5 per cento) a carico della regione Molise;

   con decreto del commissario ad acta n. 46 del 26 aprile 2018, rubricato «Programma investimenti sanitari ex articolo 20 legge n. 67 del 1988» si avvia l’iter procedurale finalizzato alla sottoscrizione di un accordo di programma con i Ministeri competenti per l'attuazione degli interventi di edilizia sanitaria, rivolti al completamento, al miglioramento funzionale ed all'ammodernamento tecnologico dell'esistente, così come previsto dal piano degli investimenti sanitari;

   il succitato accordo di programma prevede la realizzazione di una «progressiva integrazione, intesa in termini di non concorrenzialità reciproca, ma di complementarietà tra l'ospedale “A. Cardarelli” (presidio ospedaliero pubblico) e la Fondazione di Ricerca e Cura “Giovanni Paolo II” (struttura privata accreditata)» con «l'intento di sperimentare un modello di gestione innovativo tra pubblico e privato» e «il trasferimento di tutte le attività del Presidio “Cardarelli” all'interno della struttura Giovanni Paolo II», creando una integrazione caratterizzata dalla «compresenza nella stessa struttura, con spazi autonomi e separati, di due soggetti giuridici diversi con distinte titolarità e soggettività giuridiche e autonomie gestionali» –:

   se le strutture ministeriali coinvolte siano a conoscenza dei contenuti dell'accordo di programma, con speciale riguardo alla integrazione tra ospedale Cardarelli e Fondazione Giovanni Paolo II, se tale sperimentazione di gestione pubblico-privato abbia come presupposto un qualche accordo tra le parti di cui sia a conoscenza il tavolo tecnico interministeriale e che genere di iniziative, per quanto di competenza, si intendano assumere in merito.
(4-00198)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DEIDDA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   negli ultimi mesi si sono moltiplicati gli episodi che mettono in luce la condizione precaria in cui versano gli istituti penitenziari e i centri di reclusione nella regione Sardegna: da ultimo, una rapina a mano armata presso il centro di reclusione di Isili e una forte protesta dei detenuti nella casa di reclusione «Is Arenas», in comune di Arbus;

   da anni le forze sindacali e politiche denunciano le carenze negli organici e nelle strumentazioni affidate agli agenti di polizia penitenziaria: si tratta di denunce alle quali non sono seguiti interventi strutturali ma, unicamente, misure tampone, come la mobilità di alcuni agenti da altre strutture e la parziale immissione in ruolo di altri;

   nonostante i posti banditi con gli ultimi concorsi, il 30 per cento delle figure previste dalla pianta organica risulta tuttora vacante, con gravi ripercussioni sullo svolgimento dell'attività di controllo e sulla sicurezza degli agenti e di tutto il personale degli istituti penitenziari; numeri ai quali dovrà sottrarsi un ulteriore 30 per cento, pari al numero di agenti prossimi al pensionamento;

   attualmente, l'organico del personale degli istituti penitenziari in Sardegna è così composto:

    quanto ai commissari ne sono previsti 32 e presenti 14 pari al 43,75 per cento dell'organico previsto; quanto agli ispettori ne sono previsti 157 e presenti 43 pari al 27,39 per cento dell'organico previsto; quanto ai sovrintendenti ne sono previsti 164 e presenti 44 pari al 26,83 per cento dell'organico previsto; quanto agli agenti/assistenti ne sono previsti 1481 e presenti 1189 pari all'80,28 per cento dell'organico previsto; il totale delle unità previste è 1834, mentre ne sono presenti 1290, ossia il 70,34 per cento dell'organico previsto;

   a tale grave carenza d'organico, deve aggiungersi la copertura ad interim della maggior parte delle posizioni apicali: infatti, su 14 direzioni, solo 5 sono regolarmente assegnate, con conseguente aggravamento del carico di responsabilità a danno dei direttori di alcune strutture, i quali si vedono costretti a dover gestire un numero di detenuti e di locali di detenzione ben superiore a quello oggetto di primo affidamento;

   come anche denunciato dal Sappe, la carenza nel ruolo dei sottoufficiali è pari al 70 per cento, mentre quella del ruolo degli agenti/assistenti è pari al 22 per cento, e lo stesso sindacato, alla luce della situazione in cui versano gli istituti di reclusione in Sardegna, ritiene necessario un ulteriore ampliamento d'organico pari a circa 150 unità;

   all'inizio dell'anno, è stato accertato un incremento del numero di detenuti reclusi in Sardegna, pari a 2380 unità contro i 2137 dell'anno precedente, con sensibile aumento anche dei cittadini stranieri;

   dei 2380 detenuti, 1150 sono cittadini residenti in Sardegna, mentre i restanti provengono da altre regioni italiane o da altri Stati; negli istituti di reclusione della Sardegna sono presenti in numero significativo condannati in regime di 41-bis, oltre ad altri sospettati di avere legami con il terrorismo islamico;

   la sospensione da ultimo disposta del servizio navetta dal centro di Arbus alla casa circondariale «Is Arenas», conseguente alla riduzione delle risorse sul capitolo relativo alle spese per l'esercizio e la manutenzione dei mezzi di trasporto (circolare n. 3677/6127, prot. n. 398788 del 13 dicembre 2017), appare significativa della scarsa attenzione dell'istituzione nei confronti dei lavoratori e degli operatori del settore penitenziario –:

   se sia a conoscenza di quanto esposto e quali iniziative intenda adottare al fine di superare, nel più breve tempo possibile, lo stato di emergenza in cui versa il sistema penitenziario sardo, in particolare a causa della carenza d'organico, avuto riguardo sia alle figure apicali che agli agenti di polizia penitenziaria.
(5-00015)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GAGNARLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la manutenzione ciclica delle carrozze di Trenitalia destinate al servizio ferroviario sulla media distanza viene attualmente effettuata nel polo tecnologico di Osmannoro, frazione del comune di Sesto Fiorentino. L'officina occupa 220 ferrovieri e circa 50 addetti di ditte esterne;

   per garantire un regolare ciclo di manutenzione sono sottoposte a manutenzione presso l'officina circa 400/500 carrozze all'anno. L'impianto è utilizzato anche per la manutenzione dei treni regionali Trenitalia della Toscana, con un impiego di circa 230 ferrovieri;

   le carrozze in manutenzione ciclica presso l'officina sono meno di 2.000, ed hanno un'età media tra 40 e 50 anni e non sono dotate di sistema antincendio. In base al decreto ministeriale sulla sicurezza nelle gallerie ferroviarie per i veicoli circolanti sulla rete italiana, entro l'8 aprile 2021, le imprese ferroviarie dovranno dotare il materiale rotabile per trasporto passeggeri di impianto antincendio. L'inserimento del sistema antincendio in tutte le vecchie carrozze richiede un investimento consistente, per questo Trenitalia ha ritenuto conveniente l'acquisto di nuovo materiale rotabile, riducendo la flotta impiegata nella media distanza a circa 500/600 carrozze;

   la sostituzione delle carrozze vetuste e i nuovi acquisti di materiale rotabile equipaggiato di impianto antincendio potrebbero determinare una consistente riduzione delle commesse per manutenzione dell'officina di Osmannoro. Pertanto, per mantenere gli attuali livelli di occupazione, sarebbe necessario affidare all'officina delle lavorazioni su altre carrozze o treni di nuova generazione;

   sia l'accordo sottoscritto il 3 marzo 1999 tra Ministero dei trasporti, Ferrovie dello Stato, regione Toscana, comune e provincia di Firenze, che il successivo protocollo del 2005 tra i medesimi soggetti, prevedevano lo sviluppo del polo manutentivo di Osmannoro, in particolare il trasferimento delle attività e della manutenzione «ciclica» del materiale rotabile dalle officine di Porta a Prato;

   le officine sono costruite secondo i più aggiornati criteri tecnologici e sono collocate in un contesto ottimale, ad adeguata distanza dai centri urbani, ma opportunamente collegate sia alla rete ferroviaria che a quella stradale e non distanti dalla direzione tecnica di Trenitalia di Firenze, dedicata all'ingegneria della manutenzione e del materiale rotabile nuovo;

   nella vicina Pistoia, si trova la società Hitachi che ha costruito il treno AV 1000 e altri con tecnologie all'avanguardia, la quale potrebbe collaborare con l'officina di Osmannoro;

   sulla stampa è stato pubblicato un comunicato a firma delle segreterie regionali di Cgil, Cisl e Uil, preoccupate dai piani presentati da Trenitalia che mettono in discussione l'attuale livello di produzione delle officine di Firenze, Pisa e Siena, nonché della direzione tecnica nazionale dell'ingegneria della manutenzione rotabili a Firenze. In particolare, emerge una forte preoccupazione circa il paventato ridimensionamento delle lavorazioni di ciclica a vantaggio della corrente, a cui seguirebbe il totale spostamento di tutto l'impianto a servizio del trasporto regionale, con conseguente chiusura anche degli impianti manutentivi di Siena e Pisa;

   Trenitalia ha dichiarato che «non è previsto alcuno smantellamento delle attività dell'officina ferroviaria dell'Osmannoro con la conseguente perdita di posti di lavoro», ma tra i lavoratori sta facendosi sempre più largo il timore di un potenziale trasferimento in altre regioni già attrezzate per gli interventi manutentivi sui nuovi treni sopra citati;

   in data 23 aprile 2018 si è svolto a Roma uno specifico incontro tra la direzione di Trenitalia e le segreterie dei principali sindacati del settore dei trasporti, avente ad oggetto la presentazione di un progetto in cui si prevedono le modalità manutentive dei nuovi treni ed i luoghi dove queste manutenzioni verranno realizzate –:

   quali iniziative intenda assumere il Governo, per quanto di competenza, al fine di tener fede agli accordi sottoscritti volti allo sviluppo del polo manutentivo del materiale rotabile di Osmannoro, valorizzando e tutelando gli investimenti effettuati, nonché l'esperienza e la professionalità che la Toscana ha maturato nel settore.
(5-00014)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SERRACCHIANI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   in data 8 maggio 2018 le organizzazioni sindacali dei lavoratori dell'Ente nazionale di assistenza al volo hanno indetto uno sciopero contro il piano industriale 2018-2022 che prevede l'introduzione di nuove tecnologie per il controllo del traffico aereo ed una conseguente riduzione del personale in servizio;

   attualmente l'Ente nazionale di assistenza al volo gestisce il traffico aereo nazionale da 4 centri di controllo, che sono quelli di Roma, Milano, Padova e Brindisi, i quali assistono gli aerei in fase di rotta, e da 45 torri di controllo in altrettanti aeroporti, dalle quali vengono gestiti decolli, atterraggi e movimentazione al suolo degli aeromobili;

   il nuovo modello operativo prevede il consolidamento, a regime, dei 4 centri di controllo sulle due sedi di Roma e Milano ed entro il 2022 i centri di controllo di Roma e Milano, che già gestiscono l'avvicinamento sui maggiori aeroporti nazionali, assorbiranno anche le attività di quasi tutti i centri di avvicinamento dislocati sulle torri di controllo;

   tale nuovo piano industriale preoccupa, in particolare, il futuro del centro aeroportuale di Ronchi dei Legionari, in quanto se ne prevede la chiusura della postazione del radar di avvicinamento, installato nel 2008, che controlla e prende in carico tutti i sorvoli che interessano il Friuli Venezia Giulia e quindi non solo degli aeromobili che atterrano o decollano a Ronchi dei Legionari;

   l'aeroporto di Ranchi dei Legionari si trova peraltro in una fase espansiva della propria attività, conseguente alla realizzazione del polo intermodale che congiunge lo scalo dell'alta velocità ferroviaria;

   inoltre, sono tuttora in corso trattative per individuare un socio industriale che potrebbe dare ulteriore impulso al traffico aereo dell'intera regione e lo stesso scalo regionale è l'unico al servizio dei viaggiatori sloveni e dell'Istria croata;

   entro il 2019, ove fosse confermato, tale piano comporterebbe il trasferimento in altre sedi di un terzo del personale in servizio presso la struttura aeroportuale triestina, con circa 20 controllori e 6 osservatori meteorologici in meno;

   le organizzazioni sindacali hanno manifestato la loro preoccupazione e chiedono chiarimenti sul futuro della stessa struttura aeroportuale –:

   quali iniziative il Governo intenda assumere valutando l'opportunità di convocare un tavolo di confronto, coinvolgendo anche la regione Friuli Venezia Giulia, al fine di scongiurare un ridimensionamento che risulterebbe estremamente penalizzante nei confronti di un aeroporto, quale quello di Ronchi dei Legionari, strategico per l'intero sistema di comunicazioni del nord est.
(4-00194)


   DIENI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il 10 gennaio 2018 nel comune di Bagnara Calabra (RC), località Pellegrina, zona Santa Barbara, una frana causava il cedimento di un muro di contenimento, della rete idrica sottostante e di parte della carreggiata;

   la strada coinvolta dalla frana risulta ancora chiusa a causa dell'incapacità di identificare una chiara competenza sulla ricostruzione del muro di contenimento, a seguito del confronto che ha coinvolto l'amministrazione del comune calabrese e Anas (Ente nazionale per le strade);

   la chiusura della strada sta creando un forte disagio alla cittadinanza e alle locali attività economiche, che rischiano di avere serie conseguenze, con ricadute anche sul piano occupazionale;

   a quanto risulta dalla stampa, peraltro, veniva effettuata una richiesta di accesso agli atti nei confronti di Anas da parte di un operatore locale, il signor Antonino Gioffrè, alla quale non sarebbe stato dato seguito –:

   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intenda adottare le iniziative di competenza affinché venga garantito il diritto alla mobilità ai cittadini e agli operatori economici della località zona Santa Barbara nel comune di Bagnara Calabra (RC);

   per quale motivo l'Anas abbia ritenuto di non dare seguito alle disposizioni previste nel decreto legislativo n. 33 del 2013 riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni.
(4-00202)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   VANESSA CATTOI, BINELLI, FUGATTI, SEGNANA e ZANOTELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   è stato intrapreso un complesso processo di ridimensionamento dei presidi delle forze dell'ordine sul territorio nazionale, proprio mentre aumentano le minacce alla sicurezza e all'ordine pubblico nel Paese;

   da quanto si apprende dalle notizie riportate dagli organi di stampa in Trentino saranno soppressi i turni di pattugliamento delle volanti della polizia nelle ore notturne nei comuni di Rovereto e Riva del Garda per problemi di organico;

   i Governi che si sono succeduti hanno portato avanti una linea programmatica e politica non condivisibile, da un lato operando continui tagli al comparto sicurezza e, dall'altro lato, varando provvedimenti come «svuota carceri» e depenalizzazioni dei reati minori;

   ringraziando gli agenti di polizia ed il questore per il lavoro svolto costantemente sul territorio cercando in ogni modo di sopperire ai deficit strutturali e di personale, non è immaginabile che il Trentino, per le sue caratteristiche orografiche e per l'importante ruolo di polo di attrazione turistica, possa subire la soppressione dei pattugliamenti notturni specialmente alla vigilia della stagione estiva;

   la preoccupazione è che questi tagli di pattugliamento vengano poi applicati anche al capoluogo di Trento, incidendo pesantemente sulla sicurezza della città;

   tornando alla situazione attuale del basso Trentino è notizia di oggi che il presidente dell'Unione commercio e turismo, Marco Fontanari, promette iniziative, se serve, pure eclatanti, mobilitando tutte le imprese e i commercianti per ribadire il loro diritto a vivere e lavorare in un territorio dove la presenza delle forze dell'ordine e delle istituzioni sia forte e riesca a tutelare ed evitare fatti come le recenti aggressioni a «Das Mor» di Rovereto e al caffè «Da Ciro» di Villa Lagarina;

   in questo particolare momento di difficoltà, in cui crisi e immigrazione clandestina contribuiscono ad aumentare il numero dei reati e delle situazioni a rischio, le forze dell'ordine e i loro presidi andrebbero sostenuti e potenziati, non indeboliti o soppressi –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda adottare per garantire in Trentino la normale prosecuzione dei pattugliamenti notturni delle forze di polizia.
(4-00186)


   RIPANI, D'ETTORE, MUGNAI e MARTINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   la legge n. 124 del 2015, recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», all'articolo 8, comma 1, lettera a), conferisce delega al Governo al fine di adottare decreti legislativi in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, dettando principi e criteri direttivi relativi al complessivo riordino delle forze di polizia, alla razionalizzazione, al potenziamento dell'efficacia delle richiamate funzioni, al transito del personale del Corpo forestale dello Stato nella forza di polizia che assorbe il medesimo Corpo;

   l'articolo 4 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, recante «disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato», adottato al fine di dare attuazione del citato articolo 8, comma 1, lettera a), reca la soppressione delle squadre nautiche della polizia di Stato e dei siti navali dell'arma dei carabinieri, fatto salvo il mantenimento delle moto d'acqua per la vigilanza dei litorali e delle unità navali impiegate nella laguna di Venezia, nelle acque interne e nelle isole minori, ove, per esigenze di ordine e sicurezza pubblica, è già dislocata una unità navale, nonché dei siti navali del corpo di polizia penitenziaria, ad eccezione di quelli dislocati a Venezia e Livorno;

   il documento concernente gli elementi essenziali contenuti nella bozza dello schema di decreto del capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza ai sensi dell'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, disciplina:

    1) la soppressione delle squadre nautiche della polizia di Stato, nonché l'assegnazione alle questure ed ai commissariati di pubblica sicurezza dei seguenti natanti, già in dotazione alle medesime squadre nautiche:

     moto d'acqua per la vigilanza dei litorali;

     unità navali nella laguna di Venezia, nonché nelle acque interne e nelle isole minori, ove alla data di soppressione delle squadre nautiche è già dislocata una unità navale;

    2) l'assegnazione e l'impiego di personale qualificato già in servizio presso le squadre nautiche;

    3) l'impiego delle moto d'acqua delle unità navali;

    4) il mantenimento nella disponibilità della questura degli ormeggi e delle altre installazioni logistiche già in uso alle squadre nautiche della polizia di Stato;

   le squadre nautiche della polizia di Stato svolgono importanti funzioni di prevenzione e repressione nei settori della sicurezza della navigazione, della ricerca e del salvataggio marittimo, della protezione dell'ambiente marino e della pesca, con un campo di azione sostanzialmente limitato alla fascia costiera delle acque interne e delle acque territoriali;

   la soppressione delle squadre nautiche, ad avviso degli interroganti, avrebbe quali inevitabili conseguenze:

    una ripercussione negativa in tema di sicurezza delle coste, delle isole e dei confini territoriali;

    la destinazione a tutt'altri servizi degli operatori di polizia già formati ed abilitati per il mare;

    l'indebolimento delle forze in campo in settori nevralgici della sicurezza, in un momento in cui è verosimile il rischio di attacchi terroristici provenienti dal mare, così come annunciato dal Copasir, massimo organo di intelligence nazionale;

   con decreto del Ministero dell'interno il 10 ottobre 2001 è stata istituita la squadra nautica della questura di Grosseto, con sede nel comune di Orbetello, precisamente nella frazione di Talamone;

   la sopraccitata squadra nautica svolge fondamentale ed efficace funzione di vigilanza sul mare lungo tutta la costa sud della Toscana, sul litorale che territorialmente si estende dal comune di Follonica fino alla foce del Chiarone, ricomprendendo anche le isole facenti parte dell'arcipelago toscano;

   la soppressione della squadra nautica priverebbe l'intera provincia di Grosseto di un presidio di polizia strategico, di uffici e di mezzi nautici per l'espletamento del servizio;

   altri importanti presidi di polizia di estrema rilevanza per le attività di controllo saranno a breve soppressi anche in altre regioni italiane. È il caso della squadra nautica di Pescara, avamposto di frontiera marittima che dista soltanto 200 chilometri dalle coste slave –:

   alla luce di quanto sopra esposto in premessa, se e quali iniziative di competenza intendano intraprendere al fine di scongiurare la soppressione dei suddetti organi, unità e funzioni e al fine di garantire un efficace controllo del territorio marittimo.
(4-00189)


   FREGOLENT. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il gruppo Torinese Trasporti s.p.a. (Gtt) è l'azienda pubblica di trasporti di Torino, una impresa con oltre 200 milioni di passeggeri annui che fornisce servizi di trasporto pubblico urbano, suburbano ed extraurbano, gestisce due linee ferroviarie, una metropolitana ed alcuni parcheggi;

   Gtt fa capo a FCT Holding s.r.l., società finanziaria interamente controllata dal comune di Torino;

   negli ultimi anni tale società ha riportato gravi perdite finanziarie ed i bilanci della società non sono stati approvati entro i termini di legge;

   in tale contesto è opportuno ricordare come l'attuale amministrazione comunale di Torino abbia promosso una riduzione della frequenza dei mezzi e del chilometraggio complessivo del servizio pubblico di trasporto ed aumentato il prezzo di alcune tipologie di biglietti ed abbonamenti per gli utenti di Gtt;

   l'articolo 5, comma 1-quinquies, della legge 4 dicembre 2017, n. 172, ha stanziato complessivamente 40 milioni di euro, di cui 35 per l'anno 2017 e 5 per l'anno 2018, «per far fronte alla situazione finanziaria della Società GTT S.p.A.»;

   nel mese di gennaio 2018 il consiglio di amministrazione di Gtt ha approvato il piano industriale 2018-2021. In base a tale documento l'esposizione finanziaria dell'azienda con gli istituti bancari passerà dagli attuali 190 milioni di euro a 220 milioni di euro nel 2021;

   il piano industriale prevede contestualmente il licenziamento di 260 lavoratori e l'accompagnamento alla pensione di altri 500 addetti nel giro di quattro anni, senza però definirne criteri attuativi e modalità. È emerso inoltre che verranno dismessi anche i reparti che si occupano della manutenzione dei mezzi che dovrebbe essere appaltato ad aziende esterne;

   sono state numerose nelle ultime settimane le prese di posizione di associazioni sindacali e lavoratori contro tali decisioni, che hanno portato a scioperi ed interruzioni del servizio pubblico –:

   quali iniziative urgenti intenda assumere il Governo al fine di salvaguardare i livelli occupazionali di Gtt, anche in relazione agli ingenti e recenti finanziamenti statali concessi, garantendo al tempo stesso un servizio pubblico di trasporto efficace per i cittadini.
(4-00192)


   MONTARULI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   in data 4 maggio 2018 si è verificato un tentativo di rapina ai danni delle poste di piazza Montale a Torino, sfociato in una sparatoria;

   tale episodio si inserisce in una situazione di complessiva insicurezza che coinvolge il quartiere Vallette e le periferie torinesi, già fortemente compromesse dalla crisi economica;

   risulta indispensabile garantire la sicurezza delle suddette aree, al fine di contribuire ad una reale riqualificazione del territorio –:

   quali iniziative intenda adottare per garantire in modo strutturale la sicurezza nelle periferie torinesi e, in particolare, nel quartiere Vallette.
(4-00193)


   FASSINA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   da fonti di stampa si apprende che lo scorso giorno di Pasqua, Antonio Casamonica e il cugino Alfredo Di Silvio sono entrati in un bar di via Salvatore Barzilai a Roma chiedendo le sigarette e pretendendo di essere serviti subito. Il barista non se ne accorge e loro sbraitano interpretando il gesto come uno sgarbo non tollerabile. Nel locale tacciono tutti. L'unica a rispondere è una giovane che esclama: «Se il bar non vi piace andate altrove». Un affronto che accende la violenza. Stando a quanto riportato dal quotidiano la Repubblica, Casamonica le strappa con una mano gli occhiali e li lancia dietro al bancone, poi si sfila la cinta dai pantaloni e la passa a Di Silvio. La donna, disabile, viene frustata. Poi calci, pugni fino a quando crolla a terra. Nessuno si muove, nessuno interviene per difenderla. «Se chiami la polizia ti ammazziamo», le gridano dopo averle strappato di mano il telefono. La giovane non conosce i suoi aguzzini;

   si tratta di un'esibizione di forza mafiosa, una violenza brutale per intimidire chi non ha rispettato la loro volontà, anche quando questo significa servirli per primi senza farli aspettare;

   il barista, l'unico a soccorrerla nel locale ormai vuoto, invece sa bene chi sono: i Di Silvio abitano molto vicino al bar in questione e i Casamonica poco più in là. «Torneranno», dice l'uomo alla disabile consigliandole di andare via. Passa mezz'ora e Alfredo Di Silvio in effetti rientra, accompagnato dal fratello Vincenzo, ed è di nuovo violenza: vetrine rotte, tavoli e sedie rovesciate. I due urlano al proprietario che in quel posto «comandiamo noi» e che «ora questo bar lo devi chiudere, altrimenti sei morto». Prima di andar via, lo picchiano;

   l'uomo riporta 8 giorni di prognosi, mentre per la ragazza ne occorreranno trenta. Le vittime denunciano. Un altro affronto intollerabile pure questo. La famiglia si muove di nuovo, sempre stando a quanto scrive Repubblica. Questa volta è Enrico, il nonno dei fratelli Di Silvio, già condannato per sequestro di persona e lesioni, a presentarsi nel bar. Chiede un caffè e contestualmente il ritiro immediato delle accuse. Il barista è terrorizzato, chiude il locale per due giorni, ma a reagire, in questo caso, è la moglie che convince il marito a riaprire, perché quell'attività commerciale è la loro vita –:

   quali iniziative urgentissime, per quanto di competenza, intenda mettere in campo il Ministro interrogato per rafforzare il controllo del territorio e la presenza dello Stato nella periferia sud-est della capitale, affinché le suddette molteplici intimidazioni non abbiano più a verificarsi e affinché il rilancio legale e sostenibile di quel territorio non venga più minacciato dalla criminalità mafiosa;

   se non ritenga necessario porre in essere, per quanto di competenza, misure a tutela dell'esercente dell'attività commerciale minacciata in maniera così diretta.
(4-00200)


   LOCATELLI, MOLTENI, ZOFFILI e CLAUDIO BORGHI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   in questi giorni è tornata nuovamente alla ribalta delle cronache la questione del centro culturale islamico che opera in uno stabile di via Domenico Pino a Camerlata, quartiere del comune di Como, di fatto una vera e propria moschea e già da anni al centro di accese polemiche;

   l'attuale centro culturale islamico di via Pino, ormai noto come la «moschea di Camerlata», ha cominciato ad operare già nel 2014, quando allora apparve improvvisamente un cartello in turco con l'indicazione di una nuova moschea di cui si ignorava precedentemente l'esistenza, e nello stesso luogo che ospitava precedentemente una moschea abusiva chiusa poi nel 2005;

   sebbene già nel 2014 ne fosse stata chiesta l'immediata chiusura, anche tramite apposite interrogazioni parlamentari rimaste però senza alcun riscontro, lo stesso centro culturale islamico ha continuato a rimanere operativo, finché nel 2015 i media nazionali lo hanno incluso tra i luoghi del nostro Paese potenzialmente più esposti alla veicolazione del messaggio jihadista, se non tra le fonti più attive della propaganda radicale islamista;

   già allora fu inserito nella lista dei siti soggetti a particolare monitoraggio da parte dell’intelligence del nostro Paese;

   a conferma di quanto sopra, nel 2016, il vice presidente dell'associazione culturale, un quarantanovenne cittadino tunisino considerato dalla Digos vicino ai reclutatori jihadisti, fu espulso dall'Italia per questioni di sicurezza nazionale;

   all'indomani della notizia dell'espulsione del vice presidente dell'associazione, era stata chiesta nuovamente al Ministro dell'interno la chiusura del centro, senza tuttavia, ancora una volta, alcun risultato;

   dal 2004 ad oggi, grazie al prezioso lavoro svolto dagli uomini della polizia e della Digos, sarebbero ben 4 i capi spirituali islamici ai vertici del centro di via Pino espulsi perché legati al fondamentalismo più radicale e con legami con altre moschee altrettanto pericolose;

   come dimostrano alcuni video pubblicati su alcuni social network, tra cui anche recentemente la pagina facebook di ComoZero, non vi è dubbio che ancora oggi, nei locali di via Domenico Pino sia attiva una vera e propria moschea islamica con tanto di preghiere, predicatori e Imam, peraltro rivendicata dagli stessi frequentatori;

   la «moschea di Camerlata» avrebbe addirittura due pagine di riferimento sui social network, una intitolata «Associazione culturale islamica di Como» e l'altra «Centro Culturale Islamico di Como»; quest'ultima riporta praticamente tutta l'attività della sede di via Pino, tra cui registrazioni delle preghiere del venerdì o di altre ricorrenze musulmane alla presenza di diversi Imam e predicatori, prevalentemente in lingua araba;

   a Como non è più tollerabile la presenza di una vera e propria moschea abusiva sia perché, come sopra evidenziato, ciò costituisce una minaccia per la sicurezza del nostro Paese ed, in particolare, dei cittadini comaschi, sia perché si tratta di una situazione in palese spregio delle norme in vigore che regolano l'edificazione di nuovi luoghi di culto –:

   se il Governo intenda valutare la sussistenza dei presupposti per assumere iniziative al fine di pervenire alla chiusura definitiva e immediata del centro culturale islamico di via Domenico Pino a Como;

   quali iniziative abbia assunto o intenda assumere in relazione al medesimo centro, nell'ambito dell'attività di monitoraggio dei luoghi di culto che possono presentare rischi di infiltrazioni terroristiche;

   se il Governo non giudichi necessario potenziare le risorse a disposizione delle forze dell'ordine nella provincia comasca al fine di garantire le opportune attività di monitoraggio e prevenzione della propaganda radicale islamista.
(4-00201)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanze:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:

   ai sensi degli articoli 194 e 197 del Testo unico delle norme in materia di istruzione, di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, il diploma di maturità magistrale conseguito entro l'anno scolastico 2001/2002, ha valore abilitante ai fini dell'insegnamento nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria;

   in seguito all'istituzione del corso di laurea in scienze della formazione primaria, il legislatore nel riconoscere valore abilitante a tale nuovo corso di studi, ha sancito al contempo che avrebbero conservato valore legale abilitante anche i diplomi dell'istituto magistrale conseguiti entro l'anno scolastico 2001/2002;

   la natura abilitante di tali diplomi è stata riconosciuta per la prima volta dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con il decreto n. 353 del 22 maggio 2014, ma soltanto ai fini dell'inserimento nella seconda fascia delle graduatorie di istituto, quelle utilizzate per le supplenze;

   con il precedente decreto n. 235 del 1° aprile 2014, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca aveva, invece, precluso a tali docenti di presentare domanda di inserimento nelle graduatorie ad esaurimento, utilizzate sia per le supplenze sia per le immissioni in ruolo;

   la VI sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1973 del 16 aprile 2015 ha annullato il decreto ministeriale n. 235 del 2014, nella parte in cui non consentiva ai docenti in possesso del diploma magistrale abilitante l'iscrizione anche nelle graduatorie ad esaurimento, atteso che la legge n. 296 del 2006 impone al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca di inserire nelle stesse, al momento della trasformazione delle graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento, «i docenti già in possesso di abilitazione»;

   tale orientamento è stato ribadito dal Consiglio di Stato con le sentenze n. 3628, 3673, 3675, 3788, e 4232 del 2015, confermando l'illegittimità del decreto ministeriale n. 235 del 2014, poiché «lo stesso articolo 1 ... della legge n. 296 del 2006, nel fare riferimento alla definizione di un piano triennale per l'assunzione a tempo indeterminato allo scopo di dare soluzione al fenomeno del precariato, fa espressamente salvi gli inserimenti ... a favore dei docenti già in possesso di abilitazione, pur escludendo la possibilità di nuovi inserimenti»;

   l'Avvocatura dello Stato si è costituita nei giudizi pendenti senza contestare la natura abilitante del diploma magistrale conseguito entro l'anno scolastico 2001/2002, ma sostenendo che lo stesso non sarebbe sufficiente per l'inserimento nelle graduatorie ad esaurimento, in quanto l'immissione nelle soppresse graduatorie permanenti avrebbe richiesto anche il superamento di un pubblico concorso, senza considerare che le graduatorie ad esaurimento rappresentano già un pubblico concorso per soli titoli;

   nonostante l'univoca e ormai consolidata posizione, la VI sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza n. 364/2016, ha disposto la remissione all'Adunanza plenaria del medesimo Consiglio della sola «questione della riapertura delle graduatorie ad esaurimento, per i possessori di diploma magistrale conseguito entro l'anno scolastico 2001/2002»;

   l'Adunanza plenaria, con la sentenza n. 11/2017, ha rigettato l'appello dei diplomati magistrale nonostante la lesiva esclusione degli stessi sia avvenuta per l'orientamento a giudizio degli interpellanti incoerente del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca che si è più volte contraddetto nell'emanazione dei propri decreti;

   se si dovesse dare un'applicazione generalizzata alla sentenza n. 11/2017 ben 55.000 diplomati magistrale si troverebbero non solo cancellati dalle graduatorie ad esaurimento, dove avevano ottenuto l'inserimento con riserva, ma anche nell'impossibilità di lavorare sia nelle scuole pubbliche che in quelle paritarie, posto che l'affermata assenza di abilitazione precluderebbe loro qualsiasi attività di insegnamento;

   inoltre, la generale applicazione della sentenza n. 11/2017 condurrebbe al licenziamento di 6.669 insegnanti già assunti con contratti a tempo indeterminato e confermati in ruolo dopo il superamento dell'anno di prova;

   l'applicazione della sentenza n. 11/2017, infine, condurrebbe alla revoca di 23.356 incarichi al 30 giugno o 31 agosto e di 20.110 supplenze brevi conferite ai diplomati magistrale;

   la disparità di trattamento tra insegnanti nella medesima condizione sostanziale è peraltro aggravata dal fatto che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha consentito l'accesso alle graduatorie permanenti/ad esaurimento, se non addirittura al ruolo, senza che fosse loro richiesto il superamento di alcuna procedura concorsuale per titoli ed esami, a cittadini in possesso di un titolo di abilitazione equiparabile al diploma di maturità magistrale, conseguito in altri Stati dell'Unione europea, in particolare in Romania;

   la decisione dell'Adunanza plenaria è stata contestata con un reclamo collettivo al Consiglio d'Europa, con un ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo, nonché attraverso la presentazione di un ricorso per Cassazione per eccesso di potere giurisdizionale –:

   se non ritenga di assumere iniziative normative urgenti prima del 30 giugno 2018 per garantire la continuità didattica e il regolare avvio del prossimo anno scolastico, attraverso la riapertura delle graduatorie ad esaurimento a tutto il personale docente in possesso di un'abilitazione all'insegnamento, nonché al fine di evitare sperequazioni tra i lavoratori della scuola pubblica italiana.
(2-00018) «Rampelli, Ciaburro, Deidda, Prisco, Luca De Carlo, Mollicone, Bellucci, Rotelli, Ferro, Trancassini, Montaruli, Crosetto, Zucconi, Donzelli, Caretta, Frassinetti, Bucalo, Gemmato, Lucaselli».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:

   con interpellanza n. 2-01970 della XVII legislatura, l'allora deputata Eleonora Cimbro aveva rappresentato la situazione divenuta insostenibile del conservatorio Santa Cecilia di Roma – ente sottoposto a vigilanza del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca – e le relative cause, tutte legate alla gestione del direttore insediatosi nel novembre 2016;

   atti di sindacato ispettivo di analogo contenuto erano stati presentati dalla ex senatrice Lucrezia Ricchiuti: si vedano le interrogazioni a risposta scritta nn. 4-08186 e 4-08239 della XVII legislatura;

   a tali atti, pur sollecitati più volte da entrambe le parlamentari, il Ministro interpellato non ha mai dato risposta. Né ha dato risposta alla segnalazione di una grave interferenza del direttore Giuliani, affinché elle non incontrassero gli studenti del conservatorio;

   in via di sintesi, il direttore Giuliani ha denegato in passato l'accesso agli atti amministrativi a unità di personale interno, le quali si sono poi rivolte al TAR ottenendo pieno riconoscimento delle loro ragioni. Ciò ha comportato un danno per il conservatorio, che è stato condannato alle spese per diverse migliaia di euro;

   inoltre, durante il mandato del direttore Giuliani si sono registrate criticità anche in relazione al corso di direzione d'orchestra, che era il fiore all'occhiello del conservatorio, e alla gestione delle graduatorie d'istituto permanenti utili alla stabilizzazione di personale precario;

   l'ultimo eclatante episodio concerne la contrattazione decentrata all'interno del conservatorio. Come è noto, oltre al contratto collettivo nazionale, il rapporto di lavoro presso gli istituti di alta formazione artistica e musicale italiani è integrato e arricchito dalla contrattazione di istituto (vedi l'articolo 40-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001 e contratto integrativo nazionale di comparto Afam 12 luglio 2011). I fondi da destinare ai contratti integrativi devono essere stabiliti dal consiglio d'amministrazione del conservatorio sulla base di una programmazione formale; i criteri di distribuzione del montante contrattuale devono essere, come è noto, contrattati con le organizzazioni sindacali in un apposito contratto decentrato, sottoposto alla validazione dei revisori dei conti ex articoli 40 e 41 del medesimo decreto legislativo n. 165 del 2001;

   in data 14 dicembre 2017, i revisori dei conti hanno dato un giudizio assai pesante sul contratto decentrato di istituto sottoscritto dal direttore Giuliani e dal presidente per la parte pubblica, da due organizzazioni sindacali non rappresentative in conservatorio e dalla minoranza della rappresentanza sindacale unitaria, muovendo rilievi contabili e gestionali molto penetranti;

   il direttore aveva infatti ottenuto dal consiglio d'amministrazione l'approvazione di una delibera che aveva destinato al fondo per il contratto decentrato più di 326 mila euro, proponendo alle organizzazioni sindacali (con l'esito già ricordato) un contratto dimensionato su tale cifra. Senonché i revisori, già il 7 dicembre 2017, avevano espresso su quella determinazione un parere contrario per patente violazione di norma di legge, in particolare dell'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo n. 75 del 2017;

   acquisito tale parere negativo, senza il dovuto nuovo passaggio con i sindacati per definire il contratto secondo le indicazioni ricevute dai revisori, il consiglio di amministrazione nella seduta del giorno 11 dicembre – di cui il direttore è componente di diritto – ha unilateralmente determinato il nuovo montante contrattuale;

   il 14 dicembre i revisori, tornati sull'argomento, hanno obiettato che la riduzione del fondo operata in tal modo non era intelligibile, poiché – a parte l'irregolarità procedurale della mancata consultazione con le organizzazioni sindacali, imprescindibile per determinare dove la decurtazione dovrà incidere – non indicava le modalità operative della riduzione;

   come se non bastasse, i revisori hanno imputato al conservatorio, di cui il direttore è rappresentante legale, di non aver dato riscontro agli altri rilievi precedentemente resi, tutti rilevanti ai fini del rigoroso rispetto delle norme di legge regolanti la materia;

   appare evidente che occorre al più presto ristabilire il buon andamento e l'imparzialità nell'azione amministrativa del conservatorio visto che questo tipo di gestione espone l'erario pubblico ad azioni risarcitorie che potrebbero finire per danneggiare il patrimonio pubblico in tutti i sensi –:

   se non intenda promuovere immediatamente un'ispezione presso il conservatorio Santa Cecilia di Roma, onde verificare i presupposti per assumere iniziative volte alla rimozione del direttore e al commissariamento del conservatorio.
(2-00020) «Pastorino».

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   ANZALDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   si è appreso dal servizio giornalistico della trasmissione televisiva «Le Iene» andata in onda l'8 aprile 2018 che la senatrice appartenente al gruppo M5S eletta in Sardegna, Vittoria Bogo Deledda, prima di essere eletta e nell'ambito del proprio lavoro di dirigente dei servizi sociali del comune di Budoni, in provincia di Sassari, avrebbe usufruito di 243 giorni ininterrotti di malattia per via di una sindrome legata a situazione di esaurimento emotivo;

   la patologia che l'avrebbe costretta ad allontanarsi per così tanto tempo dal proprio lavoro, denominata «burnout», può manifestarsi in tutte quelle professioni con implicazioni relazionali molto accentuate;

   secondo la ricostruzione effettuata dalla trasmissione il periodo di malattia si sarebbe concluso in data 2 febbraio 2012 proprio in concomitanza con la candidatura al Parlamento che risalirebbe al 29 gennaio 2018 per poi prendere ferie per poter svolgere la campagna elettorale;

   non c'è alcuna volontà dell'interrogante di arrecare pregiudizio alle prerogative della citata parlamentare, pur tuttavia, in considerazione anche delle importanti riforme che sono state approvate dal legislatore per evitare abusi e storture, soprattutto nella pubblica amministrazione, per quanto concerne i periodi di malattia, anche a tutela di chi effettivamente si trova in condizioni di disagio per patologie professionali sul proprio luogo di lavoro, sarebbe opportuno un approfondimento della vicenda che ovviamente ha suscitato perplessità nell'opinione pubblica –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e se intenda valutare, per quanto di competenza, l'opportunità di attivare un'azione ispettiva sul caso.
(4-00197)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   NOVELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto denunciato recentissimamente dalla stampa, le api che periodicamente scompaiono dalle campagne sono vittime dell'attività legata all'impiego illecito in agricoltura di fitofarmaci vietati, come i neonicotinoidi;

   i danni per l'ecosistema potrebbero risultare gravissimi, poiché spariscono intere specie animali proprio nelle zone a ridosso dei fondi agricoli attraverso l'uso di mais conciato con sostanze neonicotinoidi, ovverosia insetticidi neurotossici vietati dalla normativa nazionale ed europea;

   ciò cui si sta assistendo da tempo è, infatti, un vero e proprio «apicidio» purtroppo sottovalutato da molti, senza contare che il 27 aprile 2018, in sede europea, è stato approvato il divieto definitivo e quasi completo di usare tre tipologie di pesticidi neonicotinoidi. Sotto tale profilo si evidenzia che un divieto temporaneo era già stato introdotto nel 2013 relativamente alle coltivazioni di mais, colza e girasoli, piante che le api impollinano. Inoltre, la Commissione europea aveva già provato per due volte a estendere il divieto in modo definitivo dopo che l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) aveva dato due pareri favorevoli alla sua introduzione. Il nuovo divieto, che entrerà in vigore alla fine del 2018, riguarda tutte le coltivazioni, fatta eccezione per quelle nelle serre;

   negli scorsi giorni, peraltro, nel Friuli Venezia Giulia, il sostituto procuratore di Udine Viviana Del Tedesco, che da alcuni anni sta conducendo un'inchiesta per inquinamento e disastro ambientale in agricoltura, ha chiesto il sequestro preventivo di diverse proprietà agricole disseminate nel territorio, con l'inibizione delle coltivazioni con neonicotinoidi e l'interruzione delle colture in corso, dove queste sostanze fossero state utilizzate. La richiesta, controfirmata dal procuratore Antonio De Nicolo, è stata accolta dal giudice per le indagini preliminari Daniele Faleschini Barnaba;

   successivamente, numerose squadre del Corpo forestale regionale (Noava) hanno cominciato a notificare i provvedimenti a 38 persone che risultano indagate per violazione dell'articolo 452-bis del codice penale (inquinamento ambientale) per aver cagionato abusivamente una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili di un ecosistema e della biodiversità della fauna in generale;

   una situazione che, peraltro, non sembrerebbe circoscritta al Friuli Venezia Giulia, ma che interesserebbe anche la regione Veneto, dove gli apicoltori sono parti lese, avendo visto i propri alveari falcidiati dalla moria di api;

   quanto precede appare, con tutta evidenza, di eccezionale gravità e tale da favorire, altresì, la recrudescenza di fenomeni che potrebbero estendersi territorialmente in modo incontrollato, compromettendo la totale produzione annuale di miele –:

   se il Governo, alla luce di quanto descritto in premessa, non intenda attivarsi urgentemente al fine di promuovere a livello nazionale tavoli di confronto ministeriali volti ad assicurare il corretto utilizzo dei fitofarmaci in agricoltura;

   se il Governo non intenda avviare, su tutto il territorio nazionale, un programma mirato di controlli sull'impiego in agricoltura delle predette sostanze.
(4-00185)


   VIVIANI, GUIDESI, RIXI, FOSCOLO, DI MURO, MORRONE, LIUNI, GAVA, GOLINELLI, LOLINI e VALLOTTO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   il Feamp è il fondo per gli affari marittimi e della pesca dell'Unione europea per il periodo 2014-2020, il quale sostiene i pescatori nella transizione verso una pesca sostenibile, aiuta le comunità costiere a diversificare le loro economie, finanzia i progetti che creano nuovi posti di lavoro e migliorano la qualità della vita nelle regioni costiere europee e agevola l'accesso ai finanziamenti;

   a ciascun Paese, previa predisposizione di un programma operativo con specificazione delle modalità di utilizzo delle risorse assegnate, viene assegnata una quota della dotazione complessiva del fondo in base alle dimensioni del suo settore ittico;

   con decreti del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, relativi all'individuazione delle risorse e dei criteri per l'erogazione degli aiuti alle imprese di pesca che effettuano l'interruzione temporanea obbligatoria, vengono destinati contributi alle imprese autorizzate all'esercizio dell'attività di pesca con il sistema «strascico», le quali abbiano attuato il fermo obbligatorio e rispettato le misure tecniche successive all'interruzione;

   le risorse destinate ammontano a 15 milioni di euro per ciascuna delle annualità 2015-2016-2017 e sono state assegnate in base al numero di giorni lavorativi di fermo effettuati nei periodi stabiliti dai rispettivi decreti ministeriali;

   per accedere alle agevolazioni, il decreto direttoriale n. 10207 del 17 giugno 2016 ha enunciato, nel dettaglio, i requisiti di ammissibilità e i relativi adempimenti amministrativi; le imprese hanno inoltre presentato, entro la fine del periodo di arresto obbligatorio o delle misure tecniche, un'apposita manifestazione di interesse, integrata ex articolo 1 del decreto direttoriale suddetto;

   l'indennizzo serve a compensare gli armatori per l'interruzione dell'attività per il fermo biologico e le marinerie lamentano il ritardo con il quale si stanno effettuando i pagamenti. Nel frattempo i pescatori sono comunque costretti a sopportare i costi per espletare gli adempimenti fiscali, per produrre un reddito sufficiente al loro sostentamento e per provvedere agli stipendi dei dipendenti;

   non è pensabile che, nel momento in cui si costringono le imprese ittiche al fermo biologico, parallelamente non si provvede all'immediato pagamento di quanto dovuto per il loro sostentamento nel periodo di fermo, considerati i sacrifici in termini economici che queste sopportano;

   le risorse destinate ad indennizzare ogni armatore per il cosiddetto «fermo biologico», riferite all'annualità 2015, risulta agli interroganti siano in corso di pagamento, mentre quelle relative agli anni 2016 e 2017 non hanno ancora raggiunto le marinerie che sono risultate beneficiarie, provocando grande preoccupazione, dal momento che, in assenza di tale accorgimento economico, il settore in questione rischia di non avere più un futuro;

   la regolare e puntuale messa in pagamento dei contributi è una boccata d'ossigeno per un settore vitale come quello ittico. Più di due anni di «flessibilità» nel pagamento sono un ritardo pesantissimo per le imprese ittiche, in quanto la pesca rappresenta una delle attività più rilevanti dell'economia nazionale e, al tempo stesso, un'eccellenza di portata internazionale da tutelare costantemente, risultato anche del sacrificio di intere famiglie –:

   se il Ministro interrogato intenda chiarire le cause che hanno portato al tardivo pagamento delle indennità e quali iniziative necessarie ed urgenti intenda adottare affinché la dotazione finanziaria del Feamp, riservata all'Italia e riferita alle annualità 2015-2016-2017, giunga, il prima possibile, agli armatori beneficiari.
(4-00187)


   GUIDESI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   con il termine Ocm vino (Organizzazione comune mercato vitivinicolo) si indica la regolamentazione unica dell'Unione europea che disciplina il settore vitivinicolo, sia per quanto riguarda le norme di produzione che per quanto concerne la concessione di finanziamenti e contributi ai produttori vitivinicoli. L'obiettivo è di riformare e semplificare l'organizzazione comune del mercato vitivinicolo, per conseguire un migliore equilibrio tra l'offerta e la domanda sul mercato comunitario e rendere il settore più competitivo a lungo termine;

   nel nostro Paese i finanziamenti e i contributi dell'Ocm vino sono assegnati con bandi annuali emanati dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e dagli assessorati agricoltura di ogni regione o provincia autonoma, aventi ad oggetto la concessione di contributi a fondo perduto dal 40 all'80 per cento;

   l'Italia rischia di venire esclusa dai fondi Ocm e quindi dai programmi europei di promozione all'estero per i prossimi cinque anni (2018-2023) a causa di una interpretazione sulla normativa comunitaria da parte della direzione generale agricoltura della Commissione europea;

   risulta all'interrogante, infatti, che con una comunicazione datata 31 gennaio 2018 la direzione generale agricoltura, in risposta ad una lettera di chiarimenti da parte del Ministro dell'agricoltura spagnolo, abbia fornito una diversa interpretazione, rispetto alle precedenti programmazioni, delle norme comunitarie che sovrintendono le misure comunitarie (Regolamento (Ue) n. 1308/2013 e Regolamento di esecuzione n. 1149/2016), in base alla quale nel prossimo quinquennio di programmazione sarà impossibile per gli operatori comunitari promuovere le proprie produzioni vinicole nei Paesi terzi dove già sono state svolte attività per un quinquennio;

   questa interpretazione, ad avviso dell'interrogante illogica, sembrerebbe essere anche in contrasto con le indicazioni della stessa Commissione europea, in quanto all'articolo 45, paragrafo 1, lettera b), del Regolamento (Ue) 1308/2013 si legge che «il sostegno ai sensi del presente articolo riguarda le misure di informazione e promozione dei vini dell'Unione (...) nei paesi terzi, al fine di migliorarne la competitività»;

   con questa interpretazione della direzione generale agricoltura, la promozione dei vini europei nei Paesi terzi rischierebbe di scomparire soprattutto nei mercati del Nord America, come USA e Canada, che rappresentano il primo mercato di consumo al mondo e oggetto di ingenti investimenti promozionali, da parte degli operatori europei, che hanno permesso di conquistare importanti quote di mercato e contrastare la concorrenza delle produzioni vitivinicole degli altri Paesi extraeuropei;

   nei prossimi cinque anni non avere la possibilità di continuare ad essere presenti su mercati importanti ed emergenti comporta la perdita della possibilità di consolidare la presenza del vino made in Italy nel mondo. Questo si tramuterebbe in un danno incalcolabile per il settore con importanti ripercussioni sul sistema economico nazionale, in un momento in cui l’export italiano si è affermato superando addirittura quello della Francia negli Usa e della Spagna in Cina;

   la programmazione, al contrario, dovrebbe avere una proiezione di lungo periodo che arrivi almeno a 10 anni, in quanto un quinquennio non è sufficiente per poter affermare in maniera definitiva e consolidata il prodotto europeo, soprattutto italiano, nei Paesi terzi –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'interpretazione della direzione generale agricoltura della Commissione europea e non ritenga assolutamente necessaria e urgente un'azione in sede europea, anche congiuntamente ai Ministri dell'agricoltura degli altri Stati membri, per contrastare tempestivamente la suddetta interpretazione, affinché non si trasformi in un vero e proprio orientamento vincolante della Commissione europea che andrebbe a svantaggio del settore vitivinicolo.
(4-00188)


   VIVIANI, GUIDESI, RIXI, FOSCOLO, DI MURO, MORRONE, GAVA, GOLINELLI e LOLINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   la questione delle quote del tonno rosso è un argomento molto complesso proprio perché l'applicazione nel nostro Paese deriva da regolamenti sovranazionali che impongono determinate quote all'interno delle quali bisogna operare e adeguarsi;

   il «palangaro» è un attrezzo di pesca professionale o sportiva, dei più antichi, ecosostenibile ed è il più utilizzato dagli operatori della piccola pesca nel Mediterraneo, in particolare per la pesca del tonno;

   il «sistema a circuizione» è una tecnica di pesca indirizzata in genere a specie che vivono in banchi, come i tonni, e utilizza una rete da circuizione nota come «tonnara volante»;

   l'articolo 8 del Reg. (UE) n. 2016/1627 relativo al piano pluriennale di ricostituzione del tonno rosso nell'Adriatico orientale e nel Mediterraneo, prevede che «(...) in sede di assegnazione delle possibilità di pesca a loro disposizione, gli Stati membri (...) si adoperano inoltre per ripartire equamente i contingenti nazionali tra i vari segmenti di flotta tenendo conto della pesca tradizionale e artigianale (...)»;

   la pesca con il «palangaro» viene effettuata nel nostro Paese da innumerevoli imbarcazioni di medie/piccole dimensioni di tipo artigianale ed è un sistema più selettivo e meno impattante rispetto alla «tonnara volante» che svolge la sua attività di pesca nel pieno della fase riproduttiva del tonno rosso. Quindi, il «palangaro» sembra essere il sistema che più rispecchia il dettato del suddetto articolo 8 del Reg. (UE) n. 2016/1627;

   per l'anno 2018 il Reg. (UE) n. 2018/120 ha riconosciuto all'Italia una quota nazionale pari a 3.894,13 tonnellate che risulta essere incrementata, rispetto all'anno 2017, di circa 589 tonnellate;

   con decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali si ripartiscono i contingenti di tonno rosso assegnati a ciascun gruppo di attrezzi. Ad oggi, agli interroganti non risulta che il decreto di ripartizione per il triennio 2018-2020 sia stato ancora emanato;

   attualmente in Italia circa 15 imprese ittiche detengono l'80 per cento delle quote nazionali di pesca per il tonno rosso. Nel nostro Paese sussiste un problema di equa distribuzione delle quote tra i soggetti già autorizzati oltre ad un'apertura, minima e controllata, a quelle realtà che storicamente hanno effettuato, in passato, la pesca del tonno e si sono viste togliere l'accesso a tali risorse da norme che di fatto hanno escluso tanti piccoli pescatori artigianali. Esiste, quindi, un monopolio fatto di poche barche a circuizione che controllano la pesca del tonno rosso;

   il tonno rosso sovente fa parte delle catture accidentali. Queste, secondo le vigenti normative sovranazionali, in sede di sbarco delle catture accessorie (by-catch), sono ammesse entro e non oltre un limite del 5 per cento del totale delle catture di tonno rosso, calcolato in base al peso e/o al numero. Questo rende di fatto impossibile lo sbarco, in quanto molto spesso non si raggiunge il numero sufficiente di pescato affinché il tonno possa essere al di sotto della suddetta soglia;

   da anni le associazioni di categoria chiedono che si proceda a un cambio di direzione perché appare giusto riconoscere a tutti la possibilità di usufruire di questa risorsa. Invece, si continua a destinare a questi piccoli imprenditori solo una minima parte della quota accidentale che si esaurisce in tempi rapidi –:

   se non ritenga opportuno intervenire, nelle opportune sedi, affinché si proceda all'abolizione del limite del 5 per cento come massimo di cattura accidentale, in modo da consentire anche ai pescatori artigianali di usufruire di questa importante risorsa;

   se intenda assumere iniziative affinché venga dedicata una quota delle catture di tonno ai pescatori di pesce spada con il sistema del palangaro, che costituiscono un comparto di elevato interesse economico, sociale e storico, e che hanno un naturale by-catch di tonno rosso.
(4-00195)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   IANARO, MAGLIONE, LOREFICE, PROVENZA, NAPPI e LAPIA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   la città di Benevento, circa 60 mila abitanti, ha riferimento di prossimità locale, per diagnosi, cura ed assistenza la struttura dell'azienda ospedaliera «Gaetano Rummo», che ottenne il riconoscimento di ospedale di rilievo nazionale acquisendo il requisito di azienda ospedaliera sede di Dea di II livello. Ad oggi, l'azienda è composta da 6 padiglioni su circa sessantamila metri quadrati;

   uno dei reparti di eccellenza è la cardiologia interventistica, dotata di 24 posti letto di cui 6 di Utic, riconosciuta dalla regione Campania come centro hub di primo livello per le emergenze urgenze cardiologiche. Ogni anno si ricoverano nel reparto circa 2000 pazienti, di cui oltre la metà esegue interventi di angioplastica coronarica, impianto di pacemaker o defibrillatori con il servizio di angioplastica coronarica di urgenza, attivo nelle 24 ore e 7 giorni su 7. Dal 2003 sono stati sottoposti ad interventi di emodinamica o elettrostimolazione cardiaca oltre 15 mila pazienti;

   anche l'Uoc di neurochirurgia rappresenta una «eccellenza», con la possibilità di effettuare qualsiasi tipologia di intervento per patologie craniche e spinali. Grazie a sofisticate attrezzature ed al supporto di una neurorianimazione dedicata, con qualità di prestazioni effettuate in linea, se non superiori, ai dati dei principali centri di neurochirurgia nel mondo;

   con decreto del Commissario ad acta n. 54 del 7 novembre 2017, il presidio ospedaliero «Sant'Alfonso Maria de’ Liguori» di Sant'Agata dei Goti (già appartenente all'Asl Bn) è stato annesso all'azienda ospedaliera «G. Rummo» di Benevento. Tutti i reparti ed i servizi sono transitati all'azienda ospedaliera «G. Rummo» ad eccezione del laboratorio di patologia clinica che, anche se ubicato presso il P.O. di Sant'Agata dei Goti, rimarrebbe di pertinenza dell'Asl di Benevento;

   il piano regionale di programmazione della rete ospedaliera, aggiornato con il decreto del Commissario ad acta n. 8 del 2018, ha costituito il polo oncologico denominato «Nuova azienda Ospedaliera San Pio», integrando l'ospedale di S. Alfonso di S. Agata dei Goti con il Dea Rummo di Benevento;

   l'atto aziendale adottato dall’«Azienda Ospedaliera San Pio», aggiornato sulle indicazioni del Dca n. 8 del 2018, assegna all'ospedale di S. Agata dei Goti, escluso dalla rete dell'emergenza, alcune specialità tipicamente «per acuti», fino ad oggi espletate presso l’«AO Rummo» tra cui una Unità operativa complessa di chirurgia onco-addominale, una Uoc di neurochirurgia, una Uoc di neuro rianimazione, una Uoc oncologia medica, ed una Uoc di medicina interna, oltre a Unità operative di ambito oncologico e riabilitativo;

   nel Dea di II livello del Rummo, che perde le importanti discipline dislocate presso il presidio di S. Agata, la disciplina di cardiochirurgia non viene programmata in quanto garantita nella macroarea dell'azienda ospedaliera Moscati di Avellino e così pure l'unità di gastroenterologia, trasferita presso l'Azienda ospedaliera Moscati di Avellino che diventa Hub;

   il 7 maggio 2018 i quotidiani Cronache di Napoli e Cronache di Caserta sottolineano che è «un paradosso immaginare che due ospedali come il Rummo e il Sant'Agata possano integrare l'offerta sanitaria con una distanza di 55 chilometri l'uno dall'altro e con gli atavici problemi di viabilità dell'area sannita»;

   l'accorpamento delle due strutture ospedaliere in «Polo Oncologico» non dovrebbe penalizzare eccellenze mediche già esistenti ma essere di ausilio per una diversificata offerta nell'ottica di una ottimizzazione dell'organizzazione sanitaria locale –:

   quale sia l'orientamento del Governo in relazione all'accorpamento delle due strutture ospedaliere di cui in premessa e quali iniziative di competenza si intendano assumere, anche per il tramite del Commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali, per evitare la frammentazione dell'azienda ospedaliera Rummo, che rappresenta un punto di riferimento fondamentale per i cittadini di Benevento e della provincia, e per l'intera regione Campania, oltre che un presidio di rilievo nazionale.
(4-00203)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   i rifiuti radioattivi attualmente presenti in Italia derivano principalmente dal programma nucleare pregresso e sono stoccati nei depositi temporanei delle centrali nucleari di Trino, del Garigliano, di Latina e di Caorso, definitivamente spente, degli impianti ex Enea Eurex di Saluggia e di Itrec della Trisaia, degli impianti plutonio Opec di Casaccia, nel deposito Avogadro di Saluggia, nelle installazioni del Centro comune di ricerca di Ispra di Varese della Commissione europea. Tali siti fanno tutti capo alla Sogin s.p.a.;

   detti rifiuti ammontano a circa 21.600 metri cubi per le categorie di attività molto bassa e di bassa attività ed a 1.700 metri cubi per la categoria di media attività e di alta attività;

   a tali rifiuti si aggiungono circa 30.000 metri cubi, prevalentemente di bassa attività, derivanti dalla disattivazione delle predette installazioni, nonché il combustibile nucleare irraggiato derivante dall'esercizio delle centrali, in gran parte trasferito all'estero e che rientrerà in Italia come rifiuto condizionato ad alta attività;

   oltre ai rifiuti del pregresso programma nucleare, sono presenti i rifiuti di origine medica, industriale e di ricerca per circa 5.000 metri cubi, con una produzione di alcune centinaia di metri cubi l'anno;

   la direttiva 2011/70/Euratom, prescrive tra l'altro, che i rifiuti radioattivi siano gestiti dallo Stato che li genera. In tale ottica è stato emanato il decreto legislativo n. 31 del 2010, il quale, nel testo vigente, prevede che tutti i rifiuti radioattivi prodotti in Italia siano stoccati in un deposito nazionale;

   il deposito nazionale è una installazione destinata allo smaltimento definitivo dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività, derivanti da attività industriali, di ricerca e medico-sanitarie (40 per cento), nonché dalla pregressa gestione di impianti nucleari (60 per cento), oltre all'immagazzinamento, a titolo provvisorio di lunga durata, dei rifiuti ad alta attività e del combustibile irraggiato;

   l'articolo 1 della legge n. 239 del 2004, al comma 104, prevede per i soggetti produttori e detentori di rifiuti radioattivi l'obbligo del loro conferimento al deposito nazionale, secondo criteri definiti con decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Al comma 105 prevede che «salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque ometta di effettuare il conferimento di cui al comma 104, è punito con l'arresto fino a due anni e con l'ammenda fino a euro 1.000.000»;

   la Sogin ha predisposto la carta nazionale delle aree potenzialmente idonee per ospitare il deposito nazionale sulla base dei criteri emanati da Ispra con la guida tecnica n. 29, del 4 giugno 2014;

   il 23 marzo 2018 il Ministero dello sviluppo economico ha pubblicato una nota informativa sull’iter di localizzazione del deposito nazionale impegnandosi a consentire la pubblicazione della carta nazionale. La pubblicazione farà avviare una consultazione pubblica per consentire una scelta condivisa del sito nel quale realizzare il deposito nazionale;

   va ad ogni modo fatto presente che con segnalazione n. 416/2014/I/EEL l'Arera ha rese note al Governo e al Parlamento alcune criticità sia in merito alla copertura tramite la componente tariffaria A2 di parte dei costi relativi sia alla progettazione e alla realizzazione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi e del parco tecnologico, sia alle azioni di sviluppo e ai programmi di ricerca che dovrebbero avere luogo nelle anzidette strutture. Tali questioni andrebbero debitamente affrontate da parte del Governo –:

   in quali tempi si intenda provvedere alla pubblicazione della carta nazionale delle aree potenzialmente idonee per ospitare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi;

   se il Governo abbia valutato le criticità segnalate dall'Arera in merito al finanziamento delle attività di realizzazione e gestione del deposito nazionale e del parco tecnologico.
(5-00013)

Interrogazione a risposta scritta:


   VALLASCAS. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   alcuni organi di stampa della Sardegna hanno dato notizia della situazione lavorativa di un gruppo di 30 dipendenti della Dynamicall srl, società che eroga servizi di telemarketing inbound nell'ambito di una commessa di Enel energia in capo, da circa dodici anni, al consorzio Call2net;

   secondo quanto riportato, a fine marzo 2018, la Dynamicall avrebbe avviato la procedura di licenziamento collettivo, al termine di un percorso lavorativo complesso, e per molti aspetti anomalo, che si sarebbe caratterizzato per i ripetuti passaggi tra aziende diverse – riconducibili alle medesime proprietà che operavano negli stessi locali e con le stesse strumentazioni – nell'ambito della commessa con Enel energia;

   sembrerebbe, ad esempio, che inizialmente la commessa impegnasse 120 dipendenti nell'area di Cagliari, che sarebbero stati assunti attraverso alcune società del gruppo Call2net, come la Ichnos e la Nesos;

   sembrerebbe, inoltre, che i dipendenti venissero assunti con contratti a tempo determinato e che le citate aziende abbiano usufruito, tra le altre cose, degli sgravi fiscali previsti per l'assunzione di lavoratori in stato di disoccupazione;

   questo modo di operare – che prevedeva il rinnovo di contratti a tempo determinato e, solo in parte, a tempo indeterminato – unitamente agli incentivi all'esodo, nel corso degli anni, avrebbe ridotto considerevolmente il numero dei lavoratori iniziali;

   nel 2012, a causa della cessazione delle attività della Nesos, la Call2net avrebbe garantito la continuità dell'attività lavorativa di una parte del gruppo, attraverso l'assunzione presso la Dynamicall srl (individuata da Call2net), con contratti a tempo determinato e, successivamente, solo in parte riconfermati a tempo indeterminato;

   i citati impegni per la continuità lavorativa dei dipendenti sarebbero stati assunti dal consorzio Call2net alla presenza delle tre sigle sindacali Fistel, Cisl, Uilcom e Cgil;

   i dipendenti della Dynamicall sarebbero stati «distaccati», da prima presso la Progetto Vendita – sempre affiliata al gruppo Call2net e poi ceduta –, successivamente presso la Zeroquattronove srl, dislocata sempre nel medesimo stabile della Dynamicall, dove, nell'ultimo anno, avrebbero svolto attività di formazione del personale neoassunto da Zeroquattronove srl;

   da una prima analisi, risulterebbe immotivato il licenziamento dei 30 dipendenti Dynamicall considerato che la commessa in capo a Call2net sarebbe stata trasferita a Zeroquattronove e quest'ultima starebbe ampliando l'organico per fare fronte all'aumento del volume delle chiamate;

   da quanto esposto, emergerebbe con forza la continuità del rapporto di lavoro, nonché il legame diretto, tra il consorzio CaN2net e i dipendenti che in questi dodici anni hanno lavorato nell'ambito della commessa con Enel energia;

   di conseguenza, nel rispetto sia delle norme sugli appalti sia delle clausole sociali, i dipendenti dovrebbero restare legati alla commessa e quindi essere riconfermati –:

   quali iniziative il Governo intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, per verificare se nella vicenda siano state rispettate le norme in materia di appalti pubblici e le clausole sociali a garanzia della stabilità del lavoro e se siano stati salvaguardati i diritti dei lavoratori;

   di quali elementi disponga il Governo circa i volumi di traffico telefonico, attuali e previsti, nell'ambito della commessa di Enel Energia a Call2net, considerato che da essi dipende la continuità lavorativa dei dipendenti Dynamicall presso Zeroquattronove;

   se il Governo non ritenga opportuno, nell'ambito delle proprie competenze, promuovere ogni iniziativa utile a chiarire il ruolo di Call2net, anche in relazione alla eventuale sussistenza di obblighi maturati dal consorzio nei confronti dei lavoratori che, seppure in aziende diverse, hanno lavorato continuativamente nell'ambito della commessa con Enel energia.
(4-00199)