ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN COMMISSIONE 7/00737

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 462 del 15/07/2015
Abbinamenti
Atto 7/00719 abbinato in data 23/07/2015
Atto 7/00721 abbinato in data 23/07/2015
Atto 7/00727 abbinato in data 23/07/2015
Atto 7/00732 abbinato in data 23/07/2015
Atto 7/00735 abbinato in data 23/07/2015
Approvazione risoluzione conclusiva
Atto numero: 8/00132
Firmatari
Primo firmatario: BORDO FRANCO
Gruppo: SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
Data firma: 15/07/2015
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
ZACCAGNINI ADRIANO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 15/07/2015


Commissione assegnataria
Commissione: XIII COMMISSIONE (AGRICOLTURA)
Stato iter:
05/08/2015
Partecipanti allo svolgimento/discussione
INTERVENTO PARLAMENTARE 23/07/2015
SANI LUCA PARTITO DEMOCRATICO
 
INTERVENTO PARLAMENTARE 29/07/2015
OLIVERIO NICODEMO NAZZARENO PARTITO DEMOCRATICO
 
INTERVENTO PARLAMENTARE 05/08/2015
OLIVERIO NICODEMO NAZZARENO PARTITO DEMOCRATICO
GALLINELLA FILIPPO MOVIMENTO 5 STELLE
ZACCAGNINI ADRIANO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
ROMANINI GIUSEPPE PARTITO DEMOCRATICO
 
DICHIARAZIONE GOVERNO 05/08/2015
CASTIGLIONE GIUSEPPE SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI)
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 23/07/2015

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 23/07/2015

DISCUSSIONE IL 23/07/2015

DISCUSSIONE IL 29/07/2015

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 29/07/2015

DISCUSSIONE IL 05/08/2015

APPROVATO (RISOLUZIONE CONCLUSIVA) IL 05/08/2015

CONCLUSO IL 05/08/2015

Atto Camera

Risoluzione in commissione 7-00737
presentato da
BORDO Franco
testo di
Mercoledì 15 luglio 2015, seduta n. 462

   La XIII Commissione,
   premesso che:
    il sistema agroalimentare italiano è una delle più importanti risorse da salvaguardare e potenziare perché rappresenta l'eccellenza dei nostri territori nella misura in cui non è solamente un settore destinato alla produzione di alimenti, ma identifica un patrimonio unico di valori e tradizioni di cultura e qualità di notevoli potenzialità;
    il valore della produzione agroalimentare può essere tutelato solo attraverso la promozione della qualità, della tracciabilità degli alimenti e dall'ampliamento delle informazioni ai consumatori, anche al fine di contrastare il dilagare delle pratiche commerciali sleali e di contraffazione dei prodotti agroalimentari;
    l'Italia vanta il primato, fra i Paesi dell'Unione europea, di una tutela della qualità delle produzioni agroalimentari elevata: si pensi che il Paese ha il maggior numero di prodotti a marchio registrato come la denominazione d'origine protetta (162), DOP, l'indicazione geografica e protetta (109), IGP, e la specialità tradizionale garantita (2), STG, che sono oggetto di numerosi e sofisticati tentativi di contraffazione;
    in merito all'indicazione in etichetta dell'origine del prodotto, gli interventi del legislatore italiano si sono scontrati nel corso degli anni con l'impostazione, ancora prevalente in sede europea, tendente a ritenere incompatibile con il mercato unico la presunzione di qualità legate alla localizzazione nel territorio nazionale di tutto o di parte del processo produttivo di un prodotto alimentare. A tale principio hanno fatto eccezione solo le regole relative alle denominazioni di origine, DOP, e alle indicazioni di provenienza, IGP;
    il principio dell'indicazione del luogo d'origine o di provenienza è obbligatoria solo se la relativa omissione può indurre in errore il consumatore circa l'origine o la provenienza effettiva del prodotto alimentare (articolo 3 della direttiva 2000/13/UE, recepito dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 109/1992);
    è importante sottolineare che il principio è stato confermato anche dal nuovo Regolamento n. 1169/2011 (UE), il quale si applica a tutti gli alimenti destinati al consumatore finale, inclusi i prodotti destinati al consumo immediato presso ristoranti, mense, scuole, ospedali e imprese di ristorazione (non ricompresi dalla precedente direttiva 2000/13/UE). Restano esclusi dall'ambito di applicazione del Regolamento gli alimenti non preimballati, gli alimenti imballati nei luoghi di vendita su richiesta del consumatore o preimballati per la vendita diretta;
    il Regolamento 1169/2011 estende l'obbligo di indicare il luogo d'origine o di provenienza a carni fresche, refrigerate o congelate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili (a decorrere dal 1o aprile 2015, ai sensi del Regolamento attuativo Regolamento n. 1337/2013) (articolo 26, paragrafo 2). Per le carni bovine l'obbligo di indicazione di origine (paese di nascita, ingrasso e macello) è già esistente sulla base della normativa europea sopravvenuta ai fenomeni di encefalopatia spongiforme bovina (la cosiddetta «mucca pazza»);
    alle indicazioni obbligatorie contenute nel regolamento (articolo 26, circa l'origine, e articolo 9, sugli altri elementi obbligatori da inserire in etichetta), gli Stati membri, ai sensi del Regolamento 1169/2011 (articolo 39) possono introdurre disposizioni relative ad ulteriori indicazioni obbligatorie con particolare riferimento al Paese d'origine o al luogo di provenienza di alimenti, solo ove esista un nesso comprovato tra talune qualità dell'alimento e la sua origine o provenienza e ciò sia ritenuto rilevante per i consumatori;
    gli Stati membri devono dunque fornire prova del fatto che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura di tali informazioni (una recente consultazione pubblica promossa dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha evidenziato che i consumatori italiani vogliono conoscere sempre l'origine delle materie prime: latte fresco il 95 per cento degli intervistati, prodotti lattiero-caseari il 90 per cento e lo 82 per cento è disposto a spendere di più pur di sapere l'origine e la provenienza) e devono inoltre previamente comunicare alla Commissione e agli altri Stati membri le norme integrative relative (articolo 45 Reg. UE);
    è utile rammentare che il legislatore nazionale ha tradizionalmente attribuito grande rilievo alla possibilità di definire una legislazione che consentisse di indicare l'origine nazionale della produzione agroalimentare ai fini della tutela della qualità e della relativa autenticità del prodotto stesso. La produzione nazionale alimentare è considerata una delle eccellenze, e, pertanto, il suo legame territoriale è stato ritenuto costantemente elemento di pregio — quindi degno di segnalazione al consumatore – anche per le produzioni non «a denominazione protetta»;
    la legge n. 4 del 2011 in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari ha il fine di assicurare una completa informazione ai consumatori, disponendo l'obbligo (articoli 4 e 5), per i prodotti alimentari commercializzati, trasformati, parzialmente trasformati o non trasformati, di riportare nell'etichetta anche l'indicazione del luogo, di origine o di provenienza. L'etichetta deve altresì, in conformità alla normativa dell'Unione europea, segnalare l'eventuale utilizzazione di ingredienti in cui vi sia presenza di organismi geneticamente modificati (OGM) dal luogo di produzione iniziale fino al consumo finale;
    le modalità applicative della legge n. 4 del 2011, sono state demandate a decreti interministeriali chiamati a definire, all'interno di ciascuna filiera alimentare, quali prodotti alimentari saranno assoggettati all'etichettatura d'origine;
    per sbloccare l'attuazione della legge sull'etichettatura e, dunque, l'adozione dei decreti di essa attuativi – ad oggi non ancora adottati – nel corso dell'attuale legislatura è intervenuto l'articolo 3, commi 7-9, del decreto legislativo n. 91 del 2014, che da un lato ha previsto una consultazione pubblica tra i consumatori per comprendere in quale misura le informazioni relative all'origine dei prodotti alimentari e della materia prima agricola siano in grado di indirizzare le scelte dei consumatori, e dall'altro, ha disposto che i decreti attuativi dovessero essere adottati entro il 25 dicembre 2014. Tali decreti dovranno conformarsi alla nuova disciplina europea del Regolamento n. 1169/2011, che si applica (salvo eccezioni specifiche) a decorrere dal 13 dicembre 2014;
    il Vice Ministro Oliverio in più occasioni pubbliche e nel dibattito parlamentare, ha confermato l'impegno del Governo ad attuare la legge 4 del 2011 nel rispetto della normativa europea e dunque a notificare, in fase di progetto, gli schemi di decreti ministeriali alla Commissione europea e agli altri Stati membri;
    la normativa nazionale (decreto legislativo n. 109 del 1992, non abrogata, ma comunque destinata ad essere disapplicata nelle parti incompatibili con il nuovo Regolamento Ue 1169/2011) prevede che i prodotti alimentari preconfezionati destinati al consumatore devono riportare la sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento (articolo 3 lettera f)). Tale previsione, per poter essere mantenuta nell'ordinamento nazionale, dovrà essere notificata alla Commissione europea;
    il 20 maggio 2015 la Commissione europea ha pubblicato due distinte relazioni, a seguito di uno studio casi commissionato nel 2014 diretto a consumatori, agli operatori del settore e alle Autorità competenti degli Stati membri, che sono state illustrate durante il Consiglio europeo dell'agricoltura del 16 giugno 2015. La prima relazione riguarda l'indicazione obbligatoria del Paese di origine degli alimenti non trasformati, dei prodotti a base di un unico ingrediente che rappresentano più del 50 per cento di un alimento. La seconda relazione riguarda l'indicazione obbligatoria del Paese di origine del latte, del latte usato per la produzione dei prodotti lattiero-caseari e dei tipi di carni differenti dalle carni di origine bovina, suina, ovina, caprina e dei volatili;
    secondo la Commissione europea, in merito all'etichettatura di origine obbligatoria, la sua apposizione comporterebbe maggiori oneri economici e non, non quantificati ma solo enunciati, per la maggior parte dei prodotti esaminati, quindi per la Commissione prevale il legame causale ed effettuale costi/benefici per l'etichettatura d'origine, e non il principio di informazione e conoscenza consapevole di quello che si è scelto come prodotto da consumare;
    la Commissione europea ha inviato una diffida all'Italia per chiedere la fine del divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la fabbricazione di prodotti lattiero-caseari, nella sostanza si vuole imporre al nostro Paese, per mere logiche dettate dalle lobby delle multinazionali e non dal diritto alla salute e alla conoscenza del prodotto, di produrre formaggi senza latte;
    la diffida (del 29 maggio 2015 procedura d'infrazione n. 2014/4170) è stata inviata perché il nostro ordinamento prevede il divieto di utilizzare polvere di latte per produrre formaggi, yogurt e latte alimentare ai caseifici situati sul territorio nazionale (legge n. 138 del 1974, Nuove norme concernenti il divieto di ricostituzione del latte in polvere per l'alimentazione umana);
    la motivazione giuridica posta a base della diffida dalla Commissione europea, sarebbe la violazione dell'articolo 258 del Trattato di funzionamento dell'Unione europea;
    il caso EU-Pilot (EU Pilot 5697/13/AGRI) nei confronti dell'Italia, per la non conformità al diritto europeo delle norme nazionali sulla fabbricazione di prodotti lattiero-caseari, era stato avviato il 18 novembre 2013, con la raccolta di informazioni da parte della Commissione europea riguardanti il recepimento in Italia della direttiva 2001/114/CE (relativa a taluni tipi di latte conservato parzialmente o totalmente disidratato destinato all'alimentazione umana) del Consiglio del 20 dicembre 2001, impegnandosi a comunicarne successivamente le risultanze;
    la normativa italiana sulla produzione dei prodotti lattiero-caseari ha origine dal regio decreto del 15 ottobre 1925, n. 2033;
    il 2 luglio 2015 il Viceministro delle politiche agricole alimentari e forestali nel rispondere ai question time parlamentari presentati in Commissione agricoltura, ha evidenziato di aver già comunicato alla Commissione europea che, in assenza di un'armonizzazione a livello europeo, tutti i Paesi dell'Unione europea hanno la possibilità di introdurre specifiche disposizioni sulla fabbricazione dei formaggi, con speciale riferimento alle previsioni di produzione e alle materie prime utilizzabili e che, l'eventuale abrogazione della legge n. 138 del 1974 avrebbe provocato un vuoto normativo in un settore tradizionale e fondamentale dal punto di vista socio-economico per il nostro Paese;
    la Commissione ha evidenziato al riguardo come, a livello europeo, vi siano già specifiche protezioni per la politica della qualità (DOP e IGP). Come possibile alternativa al divieto, la Commissione europea ha suggerito di utilizzare un sistema di etichettatura per informare i consumatori dell'eventuale presenza di latte in polvere;
    la Commissione europea ritiene che la legge italiana in materia della tutela della qualità delle produzioni rappresenti una restrizione alla «libera circolazione delle merci», essendo che la polvere di latte e il latte concentrato sono di utilizzo comune in Europa per la produzione di formaggi di dubbia se non di pessima qualità (i maggiori produttori europei di latte in polvere sono la Germania e la Francia). Altri elementi critici sono la non conoscenza della filiera di produzione, gli standard igienico-sanitari, la quantità ormonale contenuta, la tracciabilità del prodotto di tali surrogati e le conseguenza a medio-lungo periodo sulla salute umana;
    l'adeguamento normativo che l'Europa ci chiede è, di fatto, una vera e propria deregolamentazione dei sistemi dei controlli di cui il nostro Paese è leader nel mondo e, la diretta conseguenza, sarà un non contrasto delle sofisticazioni e delle adulterazioni, all'aumento di tali reati che non verranno più perseguiti qualora il nostro ordinamento recepisse tale indicazione, oltre alla perdita culturale che la produzione lattiero-casearia narra dei territori con la notevole qualità, diversità, sicurezza e quantità delle produzioni casearie;
    è evidente secondo i firmatari della presente risoluzione, che alla base di questa scelta della Commissione europea non vi è l'applicazione né del principio di precauzione e né tanto meno la tutela delle produzioni e delle certificazioni di qualità, anzi vi è la messa a repentaglio del made in Italy, per poi addivenire ad adeguamenti ordinamentali che di fatto disperderanno l'evocazione di garanzia che il made in Italy ha nel mondo;
    è indubbio che ci sono i grandi proventi delle multinazionali del settore le quali hanno tutti gli interessi per creare le precondizioni per il Transatlantic Trade and Investment Partnership, che si rivelerà la tomba delle produzioni alimentari di qualità e certificate;
    il 31 marzo 2015 è terminato il regime delle quote latte e l'Italia dovrà pagare una multa, circa 41 milioni di euro, per aver splafonato nelle quantità delle quote assegnate al nostro Paese nell'ultima campagna lattiero-casearia. Quindi, se passasse questo pericolosissimo adeguamento normativo sul nostro territorio arriverà latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito a costi bassissimi, di pessima qualità con conseguenze socio-economiche pesantissime per la tenuta degli allevamenti italiani;
    è opportuno ricordare tutti i processi di deregolamentazione nel settore della trasformazione del primario operati finora dalla Commissione europea come, ad esempio, dal vino senza uva (wine kit che promettono di ottenere in pochi giorni le etichette più prestigiose con la semplice aggiunta di acqua), al cioccolato senza cacao, di aumentare la gradazione del vino (vino zuccherato) attraverso l'aggiunta di zucchero nei Paesi del Nord Europa (lo zuccheraggio è sempre stato vietato nei Paesi del Mediterraneo), la possibilità per alcuni tipi di carne di non indicare l'aggiunta di acqua fino al 5 per cento, ma per alcuni prodotti (wurstel, mortadella) tale indicazione può essere elusa, la circolazione libera di imitazioni del Parmigiano Reggiano e del Grana Padano (cosiddetti similgrana) in tutta Europa o come le mozzarelle dove, una su quattro, non sono prodotte in Italia ma ottenute con semilavorati industriali (cagliate) che provengono dall'estero senza alcuna indicazione in etichetta per effetto della normativa europea. A quanto summenzionato bisogna aggiungere la mancanza di informazioni chiare e definite per l'olio extravergine di oliva ottenuto da olive straniere dove, nella stragrande maggioranza dei casi, è quasi impossibile leggere in etichetta nei supermercati scritte come «miscele di oli di oliva comunitari», «miscele di oli di oliva non comunitari» o «miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari», tutto questo a scapito dei consumatori e della sicurezza alimentare;
    è fuor di dubbio che la normativa comunitaria sull'etichettatura va radicalmente rivista e adeguata ai migliori standard qualitativi esistenti nei Paesi virtuosi, come l'Italia, perché è ambigua e contraddittoria come nel caso dell'obbligo di indicare la provenienza in etichetta della carne bovina, ma non per i prosciutti, per l'ortofrutta fresca, ma non per quella trasformata, per le uova, ma non per i formaggi, per il miele, ma non per il latte. Tutte queste antinomie giuridiche non fanno altro che impedire al consumatore di conoscere quello che realmente sta consumando visto che, a mo’ d'esempio, due prosciutti su tre venduti come italiani, in realtà non lo sono perché provenienti da maiali allevati all'estero, come del resto anche per il latte a lunga conservazione dove tre cartoni su quattro sono stranieri perché privo dell'indicazione di provenienza;
    le esportazioni di formaggi e latticini italiani nel primo trimestre del 2015 sono aumentate del 9 per cento per effetto della reputazione conquistata a livello internazionale che rischierebbe di essere messa a rischio dalla liberalizzazione dell'uso di latte in polvere;
    il settore lattiero-caseario rappresenta la voce più importante dell'agroalimentare italiano con un valore di 28 miliardi di euro e con quasi 180 mila occupati nell'intera filiera. Ad oggi, sono sopravvissute appena 35 mila stalle che hanno prodotto nel 2014 circa 110 milioni di quintali di latte, mentre sono circa 86 milioni di quintali le importazioni di latte equivalente;
    il via libera alla polvere di latte comporterà l'aumento della dipendenza dall'estero con la chiusura delle stalle, la perdita di posti di lavoro e l'abbandono delle montagne, delle aree collinari e rurali. Per ogni centomila quintali di latte in polvere importato in più, scompaiono 17 mila mucche e 1200 occupati solo in agricoltura, cui si aggiunge l'elevato costo ambientale perché il processo di trasformazione del latte in polvere in quello fresco, comporta, per il processo di re-idratazione, un elevato consumo di acqua;
    per fare un esempio in Italia sono stati censiti dalle Regioni 487 formaggi tradizionali, da un chilo di latte in polvere, che costa sul mercato internazionale 2 euro, è possibile ottenere 10 litri di latte, 15 mozzarelle o 64 vasetti di yogurt il tutto con l'identico sapore perché viene meno l'elemento distintivo dei diversi territori: si produrrà l'omologazione e l'appiattimento dei sapori e dei saperi agroalimentari;
    nel primo trimestre del 2015 le importazioni di latte e crema in polvere (privi di proprietà organolettiche) sono aumentate del 16 per cento rispetto allo scorso anno e, circostanza alquanto singolare, che i due terzi delle importazioni provengono dalla Francia e dalla Germania;
    desta preoccupazione commista a indignazione e sconcerto il fatto che le sollecitazioni affinché l'Europa ci mettesse sotto procedura di infrazione siano partite dall'associazione italiana delle industrie lattiero-casearie (Assolatte),

impegna il Governo:

   a porre in essere le azioni necessarie e opportune al fine di evitare che il nostro ordinamento venga deregolamentato, adeguandolo a quello comunitario, a scapito delle produzioni di qualità del lattiero-caseario che utilizzano latte e non latte in polvere, concentrato e ricostituito per la produzione di formaggi;
    ad appellarsi, nelle sedi comunitarie, al principio di sovranità alimentare, sicurezza alimentare e principio di precauzione al fine di scongiurare che questa alchimia giuridico-lobbistica si traduca in realtà ordinamentale;
    a confutare, in punto di diritto e nelle sedi opportune, la base giuridica posta a fondamento da parte della Commissione europea, che ha prodotto quale conseguenza la diffida nei confronti del nostro Paese, visto che l'articolo 258 del Trattato di funzionamento dell'Unione europea afferma che: «...la Commissione, quando reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei Trattati, emette un parere motivato al riguardo, dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni...», posto che è evidente la forte componente normativa su base «discrezionale» (... quando reputi...);
    ad adottare le opportune e necessarie azioni politico-istituzionali per difendere il made in Italy nel settore agroalimentare dalla crescente pressione internazionale e comunitaria, che mira alla deregolamentazione e all'abbassamento degli alti standard qualitativi che sono alla base e a garanzia delle produzioni di qualità del nostro sistema Paese;
    ad adottare speditamente i decreti attuativi, ad oggi non ancora adottati, della legge n. 4 del 2011 col fine di definire, all'interno di ciascuna filiera alimentare, quali prodotti alimentari saranno assoggettati all'etichettatura d'origine;
    ad assumere iniziative per introdurre per il latte fresco e quello a media e lunga conservazione l'etichettatura del luogo di origine, di provenienza e dello stabilimento di produzione e confezionamento, affinché il «latte 100 per cento italiano» e i suoi derivati, siano opportunamente valorizzati per gli elevati standard di qualità e di salubrità nel mercato europeo e mondiale.
(7-00737) «Franco Bordo, Zaccagnini».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

prodotto lattiero-caseario

latte in polvere

denominazione di origine