ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA IMMEDIATA IN COMMISSIONE 5/05213

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 402 del 31/03/2015
Firmatari
Primo firmatario: CAUSI MARCO
Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO
Data firma: 31/03/2015
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
GINATO FEDERICO PARTITO DEMOCRATICO 31/03/2015


Commissione assegnataria
Commissione: VI COMMISSIONE (FINANZE)
Destinatari
Ministero destinatario:
  • MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE delegato in data 31/03/2015
Stato iter:
01/04/2015
Partecipanti allo svolgimento/discussione
ILLUSTRAZIONE 01/04/2015
Resoconto CAUSI MARCO PARTITO DEMOCRATICO
 
RISPOSTA GOVERNO 01/04/2015
Resoconto ZANETTI ENRICO SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
 
REPLICA 01/04/2015
Resoconto CAUSI MARCO PARTITO DEMOCRATICO
Fasi iter:

DISCUSSIONE IL 01/04/2015

SVOLTO IL 01/04/2015

CONCLUSO IL 01/04/2015

Atto Camera

Interrogazione a risposta immediata in commissione 5-05213
presentato da
CAUSI Marco
testo di
Martedì 31 marzo 2015, seduta n. 402

   CAUSI e GINATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 14 della legge 11 marzo 2014, n. 23, ha delegato al Governo il compito di attuare il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici, raccogliendole in un codice in modo sistematico ed organico ma al tempo stesso procedendo al loro adeguamento ai più recenti principi, anche di fonte giurisprudenziale, stabiliti al livello dell'Unione europea;
   l'attuazione della delega legislativa costituisce pertanto una straordinaria occasione per sottoporre ad analisi costruttiva gli aspetti dell'attuale quadro regolatorio in materia di giochi che hanno rivelato meno efficienza nel tempo e che, d'altro canto, risultano più rilevanti dal punto di vista dai parametri comunitari di riferimento;
   il settore in assoluto più coinvolto dall'evoluzione dei principi comunitari in cui l'assetto regolatorio sembra non essere più attuale è quello delle scommesse;
   nell'arco degli ultimi quindici anni, accanto alle reti fisiche ufficiali di imprese dedite alla raccolta delle scommesse secondo il modello della concessione di Stato per la gestione delle relative attività, si sono fortemente sviluppate reti fisiche parallele di imprese (centri trasmissione dati-CTD) che raccolgono anch'esse scommesse – per conto di società di riferimento con sede legale nello Spazio economico europeo ma, di fatto, operando come vere e proprie sale scommesse – in un regime di sostanziale migliore concorrenza rispetto alle imprese concessionarie. Reti alternative e parallele la cui attuale dimensione, pari ormai a circa la metà della rete ufficiale, impone di non potere più ignorare il fenomeno;
   tra i diversi aspetti che caratterizzano il gap concorrenziale emerge, dal punto di vista degli interessi statali, il fatto che i CTD si sottraggono con ogni mezzo – nel migliore dei casi ritardandone notevolmente la riscossione – alla fiscalità italiana sul gioco e che le società di loro regia, in quanto dislocate all'estero, non assolvono in Italia l'IRES ma versano imposte nei Paesi di rispettiva residenza ad aliquote oggettivamente più concorrenziali; con l'effetto finale che i servizi di queste reti alternative riescono ad essere offerti a prezzi più vantaggiosi degli analoghi servizi offerti dalle reti ufficiali dei concessionari di Stato; non si conoscono i dati riguardanti il fatto che i CTD scontino, in Italia, almeno l'Irpef o l'Ires sui loro margini di ricavo;
   le reti alternative inoltre, sottraendosi al regime regolatorio delle concessioni di Stato, non sono collegate ai totalizzatori né rispettano i palinsesti nazionali, ossia gli strumenti che, in Italia, perimetrano, legittimandoli, la tipologia e la quantità di eventi – sportivi ed ippici – sui quali nel nostro Paese è consentito ufficialmente raccogliere scommesse: questa situazione impedisce, tra l'altro, di poter assicurare all'intera platea dei giocatori parità di garanzie in ordine alla qualità dei servizi-scommesse, giacché, relativamente alle reti alternative, occorre esclusivamente affidarsi al senso di autoresponsabilità di chi vende scommesse nei CTD e delle loro società estere di riferimento e regia; tale situazione, peraltro, aumenta il gap competitivo, in quanto presso i CTD possono essere acquistate scommesse che non possono essere offerte dai concessionari di Stato che devono rispettare le regole di totalizzazione e palinsesto;
   la propensione delle reti fisiche alternative di raccolta delle scommesse a non accettare l'attuale modello regolatorio nazionale trova più recente testimonianza nell'attuazione prevista dall'articolo 1, comma 643, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante la procedura di regolarizzazione dei soggetti attivi alla data del 30 ottobre 2014, che offrono scommesse con vincite in denaro in Italia, senza essere collegati al totalizzatore nazionale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli; come appare dai primi dati appresi, solo un terzo circa della consistenza delle reti alternative sarebbe emersa, avvalendosi delle opportunità di questa procedura;
   le maggiori società estere che organizzano le reti italiane di CTD stanno tentando con ogni mezzo di contrastare l'eventualità di una prevalenza dell'assetto regolatorio nazionale di riferimento mediante la citazione innanzi ai giudici civili con la richiesta del risarcimento di tutti i possibili danni patrimoniali conseguenti ad una mancata disapplicazione delle norme nazionali repressive, e ciò nel presupposto che tali norme non sarebbero compatibili con l'ordinamento comunitario;
   in particolare, è stata intimata una diffida ai vertici nazionali dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli ad adottare ogni atto necessario perché al personale dipendente – e le forze di polizia che li coadiuvano – venga disposto di non attuare il predetto sistema di norme repressive della raccolta di scommesse fuori dalle reti fisiche organizzate dai concessionari di Stato;
   tale atto pregiudicherebbe il funzionamento e l'assetto legale nazionale in materia di raccolta di scommesse, con una caduta verticale della sua credibilità agli occhi delle imprese che hanno creduto nel sistema organizzativo italiano di riferimento ed hanno investito nelle attività di offerta dei servizi-scommesse all'interno del mercato di riferimento;
   l'assunto dal quale muove la citata azione di diffida e giudiziaria per il risarcimento di pretesi danni consiste nel fatto che la Corte di giustizia ha dichiarato, in sentenze passate, che le imprese che governano le reti di CTD sarebbero state illegittimamente impedite nella partecipazione alle gare pubbliche di affidamento delle concessioni di raccolta delle scommesse, ed in tal modo discriminate, e che in quanto tali non sarebbero state punibili nel momento in cui avessero di fatto comunque raccolto scommesse in Italia: un'affermazione, questa, che continua praticamente a tenere in piedi una sorta di «salvacondotto comunitario» per le reti alternative che, invocandolo, riescono a conseguire l'assolvimento presso molte sedi giudiziarie penali nel momento della verifica della legittimità degli atti di repressione delle scommesse raccolte fuori dalle reti ufficiali;
   più recenti sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea (l'ultima in ordine di tempo del 22 gennaio 2013, nella causa C-463/13) hanno invece non solo confermato, specialmente nel settore delle scommesse, la legittimità comunitaria dell'assetto organizzativo delle reti ufficiali italiane di raccolta del gioco basato sul rilascio di una concessione di Stato e sul conseguimento previo di titoli abilitativi di polizia ai sensi del testo unico delle leggi in materia di polizia e sicurezza, ma, nello stesso settore, hanno affermato come non sia stata discriminatoria la gara pubblica per la selezione dei soggetti che raccolgono scommesse bandita ai sensi dell'articolo 10, comma 9-octies del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, appositamente prevista proprio per offrire agli organizzatori storici delle reti di CTD in Italia l'opportunità di entrare nel perimetro delle concessionarie di Stato per la raccolta di scommesse;
   ancor più di recente il TAR del Lazio, che si è pronunciato con sentenza 5 marzo 2015, appunto applicando il principio di diritto stabilito dalla Corte di giustizia dell'Unione europea con la citata decisione del 22 gennaio 2015, ha decisamente respinto la domanda di una società italiana che, attirata emulativamente dall'esempio delle reti dei CTD, pretendeva di essere autorizzata dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli ad avviare attività di raccolta di scommesse senza necessità di rispetto alcuno per il quadro regolatorio nazionale di riferimento;
   si può confidare sul fatto che il Consiglio di Stato, dal quale è partito il quesito pregiudiziale che si è al momento concluso con l'affermazione di diritto fatta dalla Corte di giustizia dell'Unione europea con la decisione 22 gennaio 2015 e che dovrà conseguentemente concludere il suo processo entro breve, farà propria tale affermazione, respingendo le doglianze della storica società di organizzazione di una rete di CTD in Italia, se è vero che lo stesso, già nel momento in cui formulava il quesito pregiudiziale, anticipava di «non aderire alla richiesta di diretta disapplicazione della norma nazionale in punto di durata delle concessioni messe in gara (...) permanendo il convincimento negativo del Collegio (...) costituente il punto di vista del Collegio nella soluzione della questione pregiudiziale» posta;
   nondimeno una divaricazione fra la giurisprudenza dei giudici amministrativi e dei giudici penali – rispetto alla quale è peraltro ancora del tutto imprevedibile quella del giudice civile investito più di recente dei giudizi di risarcimento del danno sopra detti –, frutto di un paradigma logico certamente non sviluppato in tutte le sue implicazioni proprio dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, è tale per cui, se da un lato è ben accetto a livello europeo il modello organizzativo italiano di raccolta delle scommesse, basato sul binomio concessione di Stato-titolo abilitativo di polizia, dall'altro però è pure consentito – sempre in nome di principi comunitari – a chi sfrutta la concorrenza transfrontaliera nell'offerta di scommesse in reti fisiche in Italia di approfittare del salvacondotto per la non punibilità nei riguardi delle norme repressive nazionali del gioco non in concessione, tanto che a quest'ultimo è consentito di perpetuare con veemenza atteggiamenti di immunità dall'applicazione del sistema regolatorio nazionale;
   la situazione complessiva genera tanto maggiore incertezza, sia dal punto di vista dell'ordine pubblico e della sicurezza, oltre che della salute, sia dal punto di vista della confidabilità degli investimenti, anche esteri, in Italia, quanto più vicino è l'approssimarsi della scadenza – a metà del prossimo anno – di tutte le concessioni rilasciate dallo Stato per la raccolta di scommesse secondo il quadro regolatorio vigente; una scadenza sicuramente superata ampiamente dai tecnici di risoluzione per sola via giudiziaria dei profili di incertezza sopra detti –:
   quali iniziative intenda assumere, anche con l'avallo da parte della Commissione europea, nella predisposizione del decreto legislativo delegato di attuazione dell'articolo 14 della legge n. 23 del 2014, al fine di superare i profili di incertezza giuridica che si sono determinati e ristabilire le necessarie regole di concorrenza tra reti ufficiali e reti alternative di raccolta scommesse in Italia. (5-05213)

Atto Camera

Risposta scritta pubblicata Mercoledì 1 aprile 2015
nell'allegato al bollettino in Commissione VI (Finanze)
5-05213

  Con il documento in esame, gli onorevoli interroganti evidenziano il fenomeno per cui in Italia, da circa quindici anni a questa parte, alcune società legalmente stabilite in Paesi dello Spazio economico europeo a fiscalità di vantaggio sono riuscite a costituire e sviluppare in Italia vere e proprie reti fisiche di raccolta di scommesse alternative a quelle proprie dei concessionari di Stato legittimati alla raccolta del gioco mediante scommesse e con queste in diretta concorrenza all'interno di un unico mercato di riferimento.
  Ciò posto, gli interroganti chiedono di sapere quali iniziative intenda assumere il Governo nella predisposizione del decreto legislativo delegato di attuazione dell'articolo 14 della legge 11 marzo 2014, n. 23, al fine di ristabilire le necessarie regole di concorrenza tra reti ufficiali e reti alternative di raccolta scommesse in Italia.
  Al riguardo, sentita l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, si rappresenta quanto segue.
  La dimensione del fenomeno è notevole. Come riferiscono le stesse società estere nel corso di processi, le reti alternative contano ormai circa 7.000 punti di offerta di gioco sul territorio, più della metà di quelli delle reti dei concessionari che assommano a circa 12.700.
  La convenienza a mantenere e sviluppare reti alternative sta nel vantaggio competitivo – efficace all'interno di un unico contesto di mercato del gioco interessato da concorrenza transfrontaliera, ossia quello della raccolta in rete fisica di scommesse – dato dall'assenza di costi per oneri di concessione, dal differenziale di costo fiscale tra il prelievo tributario nazionale sulla raccolta di scommesse e quello più conveniente (peraltro solo sui ricavi aziendali) del Paese di stabilimento legale della società di regia della rete alternativa in Italia (rete dei centro trasmissione dati, cosiddetti CTD), della autonomia nella scelta dei prodotti-scommessa da offrire sul mercato italiano (grazie al mancato rispetto delle regole di palinsesto italiane), nonché dall'assenza dei controlli sull'offerta di tali prodotti-scommessa (grazie al mancato collegamento al totalizzatore nazionale).
  La convenienza risalta anche di più alla luce dell'obiettivo finale perseguito da tali società estere, ossia, attraverso sistematica erosione, delegittimazione e progressivo smantellamento del mercato della raccolta di scommesse gestito dai concessionari nazionali, quello di una sostanziale liberalizzazione di tale mercato, che – per quanto da loro auspicato – si dovrebbe trasformare, al più, in un «mercato meramente autorizzato».
  L'attenzione concorrenziale delle società estere è concentrata sulla raccolta fisica delle scommesse. Lo dimostra anche il fatto che una di queste società ha effettivamente conseguito, a seguito di apposita gara nel 2011, una concessione per l'offerta on line di scommesse, ai sensi della legge n. 88 del 2009 (articolo 24, comma 13 e seguenti), che le permetterebbe di praticare concorrenza transfrontaliera in competizione con le altre concessionarie di gioco on line. La società, però, non utilizza appieno tale concessione, evidentemente perché è meglio – grazie al vantaggio competitivo sopra detto – concorrere nel settore dell'offerta di scommesse attraverso reti fisiche.
  Vale precisare come si è realizzata fino ad oggi la neutralizzazione del sistema nazionale costituito da concessione ed autorizzazione, per effetto di un assunto teorico – giusto di per sé se preso isolatamente – dato anni addietro dalla Corte di Giustizia.
  La Corte rilevò che nelle gare italiane del 1999 e del 2006 per l'attribuzione di concessioni per la raccolta in rete fisica di scommesse alcune prescrizioni erano comunitariamente non compatibili e tali da costituire barriera di ingresso in Italia a prestatori esteri di offerta di scommesse in regime di concorrenza transfrontaliera, di fatto discriminando – dal punto di vista concorrenziale – i prestatori esteri rispetto a quelli nazionali.
  Una società estera – quella che storicamente esprime il modello organizzativo cui altre si sono accodate – si è così dotata del titolo di soggetto discriminato. La società, non partecipando alle gare dell'epoca, non ha conseguito concessione per la raccolta in Italia in rete fisica e, di conseguenza, neppure ha ottenuto provvedimento abilitativo ex articolo 88 Tulps.
  La società si è concentrata su questa soluzione organizzativa: contrattualizzare una serie di titolari di esercizi (fisici) di offerta di scommesse dislocati in Italia, che a quel punto avrebbero potuto operare sotto il suo nome. Quindi ha fatto sì che questi esercizi di offerta di scommesse dialogassero in modalità telematica con lei – stabilita in un Paese dello Spazio economico europeo sufficientemente conveniente –, onde poter sostenere che tali esercizi non fossero loro a vendere prodotti-scommessa ai giocatori italiani bensì che tali prodotti-scommessa fossero venduti informaticamente direttamente all'estero.
  Le autorità preposte ai controlli, applicando le norme proibitive di settore che sanzionano, anche penalmente, chi vende in Italia scommesse in assenza di concessione ed autorizzazione (i.e., licenza del Questore ex articolo 88 Tulps), hanno quindi preso ad irrogare sanzioni nei riguardi dei punti fisici di offerta di scommesse in Italia contrattualizzati con la società estera (giacché non concessionari né titolari di titolo abilitativo ex articolo 88 Tulps).
  Sempre la Corte di Giustizia, investita incidentalmente da giudici nazionali che dovevano decidere sulle sanzioni impugnate dagli esercizi contrattualizzati dalla società estera o da questa impugnati direttamente, ha poi stabilito che non fosse comunitariamente compatibile una norma sanzionatoria nazionale applicata nei riguardi di un soggetto «discriminato» nei termini anzidetti.
  L'effetto, a livello di contenzioso nazionale (specie in sede penale), è stato che risultassero spuntati ed inefficaci gli strumenti di contrasto alla proliferazione in Italia di punti di offerta fisica di scommesse contrattualizzati con società estera e che si dilatassero progressivamente le reti fisiche di raccolta di scommesse affrancate de facto dal quadro regolatorio nazionale.
  Questo spiega la finalità ultima perseguita dal Governo con le disposizioni di cui all'articolo 1, commi 643 e 644, della legge n. 190 del 2014.
  Il risultato della giurisprudenza comunitaria ricordata è che, oggi, nel mercato nazionale dell'offerta di scommesse in rete fisica operano due «circuiti» di reti: quella dei concessionari di Stato e quella degli esercizi contrattualizzati con le società estere (cosiddette bookmaker). È però il secondo circuito, nei fatti, a godere del vantaggio competitivo innanzi detto.
  La qualifica di soggetto discriminato, indicato dalla citata giurisprudenza comunitaria, non poteva ovviamente essere ex se eterno. In primo luogo perché, scadute le concessioni in relazione alle quali la discriminazione era stata dichiarata, questa evidentemente non poteva esistere più. In secondo luogo perché l'ordinamento nazionale ha fatto tesoro di quella giurisprudenza.
  Così l'articolo 10, comma 9-octies, del decreto-legge n. 16 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 44 del 2012, il cui obiettivo è stato – cogliendo l'occasione della necessità di riporre in gara 2.000 concessioni all'epoca scadute – anche quello di offrire a quanti cosiddetti bookmaker esteri avessero voluto la opportunità di entrare nel mercato dell'offerta di scommesse in rete fisica data in concessione dello Stato.
  Ma la società estera sopra ricordata – a differenza peraltro di un altro operatore suo collega, che si è aggiudicato un non marginale numero delle concessioni bandite – neppure ha fatto domanda di partecipazione alla selezione, assumendo che ancora una volta le condizioni di gara fossero discriminatorie.
  Il motivo di questo atteggiamento sta in ciò. Soltanto ottenendo un nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, per pretesa incompatibilità comunitaria della normativa nazionale, sarebbe stato possibile perpetuare quel meccanismo di sostanziale salvacondotto che opera attraverso l'equivalenza «discriminato=non punibile» che pure, involontariamente, è stato creato dalla stessa Corte di Giustizia.
  Un meccanismo che – secondo plastica traslazione esemplificativa – potrebbe portare un qualsiasi concorrente transfrontaliero rispetto al mercato italiano, per quanto regolato, ad operarvi in concorrenza con gli operatori che rispettano le regole di mercato. Ma una concorrenza falsata dalla possibilità di non dover osservare quelle stesse regole.
  Rispetto alla gara della norma del 2012 è tuttavia mutato il panorama giurisprudenziale di riferimento.
  Il Consiglio di Stato prima, in sede di rinvio pregiudiziale, e la Corte di Giustizia poi, rispondendo (sentenza 22 gennaio 2015), hanno stabilito che quella società estera non è stata discriminata.
  In sede di giudizi penali, però, altri rinvii pregiudiziali alla Corte di Giustizia sono stati sollevati nei riguardi della gara del 2012. Né le società estere di regia si astengono dal promuovere nuovo contenzioso. Il più recente di tutti, innanzi al Tar Lazio e di prossima decisione, anche contro le norme, e gli atti applicativi dell'Agenzia, di cui all'articolo 1, commi 643 e 644, della legge n. 190 del 2014.
  In ciò, si direbbe, i motivi di questa ulteriore iniziativa giudiziaria:
   da un lato, tenere salde le fila di reti che – altrimenti sfaldandosi – potrebbero non credere più al granitico assunto secondo il quale il modello organizzativo sopra descritto è vincente e lo sarà per sempre;
   da un altro lato, e soprattutto, alimentare il moto continuo di rinvii pregiudiziali alla Corte di Giustizia – per presunte nuove forme di non compatibilità comunitaria di norme nazionali – che costituisce il motore di quel modello organizzativo che si basa tutto sulla possibilità di perpetuare anche solo l'ipotesi di una discriminazione ad infinitum, all'ombra del quale poter poi via via invocare il «diritto» alla non soggezione alle norme sanzionatorie che vigono in Italia nei riguardi di chi offre e vende prodotti-scommessa in assenza di concessione ed autorizzazione.
  È utile rappresentare altresì che, dal punto di vista fenomenico, quello che gli stessi onorevoli interroganti definiscono «salvacondotto comunitario» si manifesta come una medaglia a due facce.
  Da un lato, le sembianze di un elaborato processo argomentativo di tipo giuridico. Dall'altro, però, una aggressività nella incalzante pretesa della totale immunità dal pur possibile vaglio critico della sua stessa plausibilità e tenuta.
  Si allude all'amplissimo fenomeno messo in atto da una delle società estere in questione di progressiva e sistematica diffida di tutto il personale dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (oltre che del coadiuvante personale delle Forze di Polizia), impegnato nei propri ordinari compiti di istituto, e financo dei vertici dell'Agenzia, a disapplicare in logica comunitaria tutte le norme nazionali sanzionatorie che invece, per ambito soggettivo ed oggettivo, si applicherebbero alla società e alla sua rete fisica di offerta di scommesse sul territorio nazionale. E ciò perché, a suo dire, proprio quello che qui è stato sinteticamente definito un «ragionamento salvacondotto» imporrebbe tale risultato ed effetto.
  Agli atti di diffida, se ritenuti non ottemperati, la società fa quindi seguire sistematicamente veri e propri atti di citazione di quel personale innanzi al G.O. per il risarcimento dei danni che essa assume di subire (e la cui prova viene data per implicita ed assodata, pur se il persistente sviluppo della fenomenologia del sistema lascerebbe pensare l'esatto contrario) in conseguenza degli atti sanzionatori dell'Amministrazione che vengono – causa carenza di concessione ed autorizzazione – adottati per la non osservata disapplicazione pretesa.
  La «politica» di un siffatto modo di agire è sufficientemente chiara: riuscire progressivamente a mettere sotto scacco l'intera azione amministrativa dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, e delle Forze di Polizia che la coadiuvano istituzionalmente, e a paralizzarla, in modo da coronare anche nei fatti «l'effetto salvacondotto» frutto dell'impianto argomentativo sopra descritto.
  Sono ormai giunti circa 230 atti di diffida ai dipendenti e 19 atti di citazione in giudizio per risarcimento dei danni.
  La paralisi dell'azione dell'Agenzia non si ferma al fronte degli atti sanzionatori. La società estera più attiva sul fronte giudiziario assume che illegittimi siano anche gli atti di accertamento tributario che l'Agenzia adotta per il mancato assolvimento della fiscalità nazionale sulle singole transazioni di gioco che si realizzano in occasione di ciascuna vendita di un prodotto-scommessa da parte della rete fisica di offerta di gioco che con la società è contrattualizzata.
  All'architettura argomentativa della società (basata sull'assunto che i contratti di scommessa si concludano all'estero e che quindi in Italia non ricorra il presupposto impositivo per la fiscalità nazionale sul gioco) è però replicabile che:
   1) una discriminazione, pur patita in occasione di gare risalenti nel tempo vale al più per il periodo di durata delle concessioni attribuite in forma discriminatoria. Allo stato, tutt'al più, una discriminazione patita risulta essere stata affermata dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea (CGUE) solo fino alle gare anteriori a quella del 2012;
   2) comunque, quando pure un soggetto sia stato discriminato questo non significa affatto che quel dato soggetto possa liberamente esercitare l'attività per la cui legittimazione la procedura selettiva era stata indetta, come se dunque la procedura stessa, e la relativa selezione, non servissero a nulla;
   3) non è vero che la CGUE abbia affermato che una società estera di regia possa operare in Italia, attraverso CTD, a suo totale piacimento. All'opposto, la sentenza 12 settembre 2013 della CGUE ha affermato che, in ogni caso, la discriminazione patita in passato da una società non legittima affatto i suoi CTD ad operare in assenza dell'altro titolo abilitativo necessario in Italia per offrire scommesse, ossia il provvedimento ex articolo 88 Tulps;
   4) non vale invocare il fatto che la società paga imposte all'estero, tra l'altro esclusivamente «sul margine», ossia sulla differenza tra denaro raccolto con le scommesse e vincite pagate, senza nulla dovere al fisco straniero sulle singole transazioni di gioco costituite dalle singole scommesse vendute. Queste imposte, ove la società avesse sede in Italia, equivarrebbero allora alla nostra Ires. Ma le concessionarie di Stato, in Italia, pagano, oltre all'Ires, anche le imposte sul gioco raccolto in forma di scommessa. La simmetria, dunque, è totalmente imperfetta;
   5) è un «gioco di specchi» far credere che l'offerta di gioco della società estera operi, a livello giuridico-contrattuale, secondo lo schema della «offerta al pubblico». Si sa che nel nostro ordinamento, anche in materia di contratti, la sostanza prevale sulla forma. Ad un esame più attento del fenomeno, allora, non si può disconoscere che, in ogni caso, è sempre il giocatore italiano a costituire la parte contrattuale «proponente» nei riguardi di una parte contrattuale «accettante» estera che ha sempre e comunque il diritto di rifiutare l'offerta (delle condizioni) di gioco – del giocatore in Italia – che le viene trasmessa informaticamente attraverso il CTD. Del resto, questo è ora anche legislativamente ribadito dall'articolo 1, comma 643, alinea della legge n. 190 del 2014, dove si legge «in considerazione del fatto che, in tale caso, il giocatore è l'offerente e che il contratto di gioco è pertanto perfezionato in Italia e conseguentemente regolato secondo la legislazione nazionale».
  Al momento, la giurisprudenza delle Commissioni tributarie è percentualmente favorevole all'Amministrazione: 68 le decisioni positive per l'Erario, 38 quelle contrarie.
  Questo scenario non esaurisce però il panorama problematico per il quadro regolatorio nazionale in materia di raccolta di scommesse. Al contenzioso ancora pendente – e dal quale i ricorrenti sperano di ottenere nuovi rinvii pregiudiziali in Corte di Giustizia – altro se ne aggiungerà. La società estera più attiva, oltre ad avere impugnato come detto, insieme ad altra analoga società estera, le disposizioni di cui ai commi 643 e 644 citati, ha già mediaticamente annunciato che impugnerà anche tutti i titoli abilitativi ex articolo 88 Tulps che saranno rilasciati dalle Questure ai soggetti che hanno chiesto di regolarizzarsi ai sensi dell'articolo 1, comma 643, della legge n. 190 del 2014 (e si tratta di quasi 2.200 soggetti).
  Per rispondere dunque al quesito conclusivo degli On.li interroganti, si crede che l'unica soluzione veramente affidabile a breve non possa che essere la seguente: attuare la delega legislativa di cui all'articolo 14 della legge n. 23 del 2014.
  Lo schema di decreto delegato, che riconfermerebbe, in tema di raccolta di gioco in rete fisica, il modello tradizionale della concessione ed autorizzazione, peraltro in formale e sostanziale aderenza ai principi e criteri direttivi della delega legislativa, dovrà necessariamente essere sottoposto ad esame e giudizio anche della Commissione europea.
  Se questo giudizio sarà favorevole all'impianto italiano difficilmente potranno sopravvivere contestazioni da parte di concorrenti transfrontalieri.
  Una riprova sta nelle disposizioni di cui all'articolo 24, comma 13 e seguenti, della legge n. 88 del 2009 che disciplinano la raccolta di gioco (incluse le scommesse) attraverso reti on line.
  Nessuna delle società estere in argomento, fino ad oggi, ha mai eccepito alcunché in relazione a questa disciplina.
  Anzi la più attiva delle società estere sul fronte del contenzioso, relativamente al mercato della raccolta di gioco in rete fisica, si è addirittura procurata di sua libera scelta, come detto, una di tali concessioni.
  Dunque l'attuazione della delega legislativa – o comunque un qualunque adattamento del quadro regolatorio nazionale –, abbinata al suo riscontro positivo in sede comunitaria, potranno solo fornire un quadro di certezze regolatorie in vista della scadenza di tutte le concessioni di Stato in tema di scommesse che avverrà a giugno 2016. Diversamente questa scadenza potrà coincidere con un panorama contenzioso ed incerto alquanto ampio.

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

gioco d'azzardo

licenza edilizia

sentenza della Corte CE