ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA ORALE 3/02474

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 671 del 13/09/2016
Firmatari
Primo firmatario: VEZZALI MARIA VALENTINA
Gruppo: MISTO-ALTRE COMPONENTI DEL GRUPPO
Data firma: 13/09/2016


Destinatari
Ministero destinatario:
  • PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
  • MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI
Attuale delegato a rispondere: PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI delegato in data 13/09/2016
Stato iter:
IN CORSO
Atto Camera

Interrogazione a risposta orale 3-02474
presentato da
VEZZALI Maria Valentina
testo di
Martedì 13 settembre 2016, seduta n. 671

   VEZZALI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali . — Per sapere – premesso che:
   lo sport è da sempre conosciuto come promotore di valori positivi da tramandare e insegnare sin dall'infanzia e, per questo, ambiente ideale per la promozione della parità di genere;
   nello sport prevalgono il senso della lealtà e il rispetto del prossimo: lo sport unisce, abbatte barriere, favorisce l'integrazione;
   lo sport non fa differenza fra colore, etnia, religione, orientamento sessuale e ciò consente, grazie alla pratica sportiva, uno sviluppo coscienzioso, razionale e consapevole dell'individuo;
   allo sport manca ancora una effettiva equiparazione di trattamento economico fra uomini e donne e considera la maggior parte delle discipline femminili dilettantistiche;
   una disparità consentita in Italia poiché una norma del 1981 – scritta per regolare i rapporti di lavoro nel mondo del calcio e poi estesa a tutti gli sport – conferisce il potere alle federazioni, sulla base delle direttive impartite dal Coni, di stabilire quali sport siano da considerarsi professionistici e quali no;
   dopo 35 anni, questa situazione economicamente più conveniente, sostiene il dilettantismo;
   ciò significa che le donne, qualsiasi sport pratichino, indipendentemente dalle vittorie, dai record e dalle medaglie olimpiche conquistati, sono considerate dilettanti, con i limiti che questa dimensione porta con sé: disparità di trattamento economico, nessuna tutela in caso di maternità, in alcuni casi nessuna posizione previdenziale e infortunistica;
   in ambito sportivo una donna guadagna almeno il 30 per cento in meno di un collega e tante sono le atlete che si sono trovate a firmare la cosiddetta «clausola antimaternità» che le mette nella condizione di dover scegliere fra attività e famiglia;
   le donne più conosciute, possono vivere di sponsor o essere testimonial negli spot pubblicitari;
   l'alternativa concreta è entrare a far parte delle squadre dei corpi militari così da riuscire a guadagnare lo status di dipendente pubblico e la possibilità di mantenere lo stipendio anche oltre gli anni dell'agonismo;
   questo stato di cose permane in Italia nonostante la risoluzione 32/130 del 1977 con la quale l'Organizzazione delle nazioni unite riconosceva il diritto allo sport come diritto dell'uomo perché legato alla funzione educativa, culturale e sociale; la Carta Internazionale dello sport e dell'educazione fisica adottata dall'UNESCO nel 1978; la Convenzione di New York per l'eliminazione di tutte le discriminazioni contro le donne; la Dichiarazione di Pechino e la Piattaforma d'Azione del 1995 che, oltre a affrontare l'argomento della discriminazione di genere nello sport, sottolineano la necessità di incentivare la partecipazione delle donne nei processi decisionali del mondo sportivo;
   l'Unione europea è intervenuta più volte per denunciare la disparità di genere nell'accesso e nello svolgimento dell'attività sportiva; nel 2003 ha adottato la risoluzione donne e sport (2002/2280 (INI)) nella quale lo sport femminile è definito come espressione del diritto alla parità e alla libertà di tutte le donne;
   questa risoluzione sollecita gli Stati membri e il movimento sportivo a eliminare la distinzione tra pratiche maschili e femminili «nelle procedure di riconoscimento delle discipline di alto livello» e chiede alle federazioni nazionali e alle autorità di tutela di «assicurare alle donne e agli uomini parità di accesso allo statuto di atleta di alto livello, garantendo gli stessi diritti in termini di reddito, di condizioni di supporto e di allenamento, di assistenza medica, di accesso alle competizioni, di protezione sociale e di formazione professionale, nonché di reinserimento sociale attivo al termine delle loro carriere sportive» e chiede alle autorità di governo e sportive di «garantire l'eliminazione delle discriminazioni dirette e indirette di cui sono vittime le atlete nell'esercizio del loro lavoro»;
   l'Unione europea ha dichiarato il 2007 «Anno europeo delle pari opportunità per tutti», insistendo sul superamento delle discriminazioni e promuovendo la parità di genere in tutti i campi; ha esortato gli Stati membri a mettere in campo azioni positive per contrastare e ridurre la criticità della situazione femminile, in particolare l'accesso e la permanenza del mondo del lavoro;
   la Commissione europea ha presentato un Libro bianco sullo sport nel quale si legge che l'attività sportiva è soggetta all'applicazione del diritto comunitario (...) come il divieto di discriminazione in base alla nazionalità, le norme relative alla cittadinanza dell'Unione e la parità uomo donna per quanto riguarda il lavoro;
   secondo quanto riportato dall'ultimo rapporto Coni (2014), la quota di popolazione femminile che pratica sport è pari al 24 per cento del totale;
   l'ammontare dei premi riconosciuti alle atlete è pari a circa il 50 per cento di quello riconosciuto ai maschi nella stessa specialità;
   una sola federazione sportiva, la Federazione italiana sport equestri (FISE), è stata presieduta da una donna;
   a tutt'oggi, in Italia, nessuna disciplina sportiva femminile è qualificata come professionistica; le donne sono considerate dilettanti anche nelle federazioni (in Italia solo 6) che prevedono il professionismo per gli uomini (calcio, ciclismo – solo per le gare su strada –, motociclismo, pugilato, golf e pallacanestro);
   la legge n. 91 del 1981 prevede, infatti, da un lato l'attività sportiva professionistica svolta nell'ambito di società di capitali, dall'altro l'attività sportiva dilettantistica svolta da sportivi e da associazioni sportive dilettantistiche, cooperative e di capitali senza scopo di lucro;
   pur riconoscendo l'autonomia dell'ordinamento sportivo (nel distinguere fra professionismo e dilettantismo) va ricordato che in Italia persiste una carenza normativa che non ha ragione di rimanere tale e che dovrebbe essere colmata;
   dovrebbe risultare inaccettabile per l'interrogante questo stato di cose per un Governo che persegue il fine della legalità e della trasparenza e che vuole affrontare il nodo delle riforme come spartiacque fra immobilismo e innovazione –:
   se il Governo non ritenga superato lo status quo e necessaria una riforma della legge n. 91 del 1981, al fine di assicurare, come peraltro ribadito a livello internazionale da Europa e Unesco, quella parità di genere che non può rimanere solo una lista di buoni propositi, ma deve trasformarsi in azioni concrete e tangibili;
   se non ritenga, come suggerito dal presidente dell'INPS Tito Boeri, di assumere iniziative per introdurre forme previdenziali obbligatorie per tutti gli sportivi che praticano attività agonistica;
   se non ritenga che sia arrivato il momento di definire professionistico l'impegno costante e totalizzante di migliaia di donne che praticano sport a livello agonistico e che oggi sono costrette ad accettare «clausole antimaternità» per giocare nei club;
   se non ritenga necessarie assumere iniziative per prevedere un contratto ad hoc per gli sportivi che consenta alle società sportive la sostenibilità dei costi e l'eliminazione della discriminazione che oggi è presente fra professionisti (uomini) e dilettanti (donne) al fine di superare il discrimine costituzionale che vuole medesime opportunità per tutti senza distinzione alcuna;
   alla vigilia delle decisioni CIO sulla candidatura del nostro Paese ad ospitare i giochi olimpici e paralimpici di Roma 2024, se non ritenga necessario assumere iniziative per equiparare a livello contrattuale le performances di donne e uomini che praticano agonismo visto che per impegno e risultati le donne nulla hanno da invidiare ai colleghi maschi se non lo status di «lavoratore». (3-02474)

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

sport

risoluzione

organizzazione sportiva