ATTO CAMERA

INTERPELLANZA URGENTE 2/00875

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 384 del 03/03/2015
Firmatari
Primo firmatario: BRUNETTA RENATO
Gruppo: FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Data firma: 03/03/2015


Destinatari
Ministero destinatario:
  • PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
  • MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
Ministero/i delegato/i a rispondere e data delega
Delegato a rispondere Data delega
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 03/03/2015
Attuale delegato a rispondere: PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI delegato in data 04/03/2015
Stato iter:
06/03/2015
Partecipanti allo svolgimento/discussione
ILLUSTRAZIONE 06/03/2015
Resoconto BRUNETTA RENATO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
 
RISPOSTA GOVERNO 06/03/2015
Resoconto BARETTA PIER PAOLO SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
 
REPLICA 06/03/2015
Resoconto BRUNETTA RENATO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Fasi iter:

DISCUSSIONE IL 06/03/2015

SVOLTO IL 06/03/2015

CONCLUSO IL 06/03/2015

Atto Camera

Interpellanza urgente 2-00875
presentato da
BRUNETTA Renato
testo presentato
Martedì 3 marzo 2015
modificato
Venerdì 6 marzo 2015, seduta n. 386

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   i nuovi atti depositati dalla procura di Trani nell'ambito dell'inchiesta sul declassamento dell'Italia (da A a BBB+) il 13 gennaio 2012 da parte di Standard & Poor's, mettono in luce ulteriori aspetti che non possono lasciare indifferenti il Governo italiano, e, in particolare, il Ministero dell'economia e delle finanze che, fino ad ora, non si è ancora costituito parte civile nel processo in corso;
   negli ultimi giorni è emerso un nuovo forte «elemento indiziario» contro Standard & Poor's e Fitch, ovvero il pagamento, secondo la procura, di 2,6 miliardi di euro disposto «senza battere ciglio» dal Ministero dell'economia e delle finanze italiano a Morgan Stanley dopo il declassamento del rating italiano deciso «illegittimamente e dolosamente» da Standard & Poor's «al solo fine di danneggiare l'Italia». Il pagamento era previsto da una clausola del contratto di finanziamento tra il Ministero dell'economia e delle finanze e la banca d'affari americana: una clausola su cui pesa e assume particolare rilievo l'informazione che la Consob ha comunicato alla procura di Trani: Morgan Stanley è tra gli azionisti di McGraw Hill, il colosso che controlla Standard & Poor's;
   dalle carte emerge che, a partire dagli anni Novanta, ci furono contratti di finanziamento tra il Ministero dell'economia e delle finanze e le banche d'affari statunitensi, con clausole bilaterali che prevedevano che in qualsiasi momento i contratti potevano essere chiusi, e sarebbe stato liquidato l'attivo alla parte cui spettava; per motivi mai spiegati, con Morgan Stanley la clausola era unilaterale e poteva essere esercitata dalla banca al verificarsi di due condizioni: il declassamento dell'Italia e se vi fosse stata un'esposizione elevata verso il nostro Paese (se la banca cioè avesse avuto in portafoglio una quantità di titoli italiani che superasse una certa soglia);
   e fu così che nel 2012, a seguito del declassamento del debito italiano, grazie a quella clausola, Morgan Stanley (azionista di McGraw Hill, che controlla proprio Standard & Poor's) decise di chiudere il contratto e ottenne dunque dal Governo Monti, che era subentrato a novembre all'Esecutivo guidato da Silvio Berlusconi, ben 2,6 miliardi di euro;
   ed è qui che assumono particolare rilevanza i nuovi particolari che emergono dalle indagini integrative svolte dal pubblico ministero Michele Ruggiero dopo la conclusione dell'inchiesta che ha portato al rinvio a giudizio per «manipolazione del mercato» di Standard & Poor's e di Fitch e sei tra manager e analisti delle stesse agenzie di rating. Gli imputati sono accusati dalla procura di Trani di manipolazione del mercato, aggravata dalla «rilevante offensività» (perché il reato è commesso ai danni dello Stato sovrano italiano) e dalla rilevantissima gravità del danno patrimoniale provocato;
   gli atti sono stati depositati presso il tribunale dinanzi al quale il 5 marzo 2015 riprenderà il processo al quale hanno chiesto di costituirsi parte civile le associazioni dei consumatori e partecipano come parti offese Banca d'Italia e Consob. Assente invece il Governo e il Ministero dell'economia e delle finanze;
   la mancata costituzione al processo di Palazzo Chigi e del Ministero dell'economia e delle finanze, stigmatizzata anche dallo stesso pubblico ministero di Trani (che l'ha definita «una scelta che rispetto, ma che francamente mi sorprende»), dinnanzi ad una mossa che, come definisce la stessa accusa, avrebbe provocato «una destabilizzazione dell'immagine, del prestigio e degli affidamenti creditizi dell'Italia sui mercati finanziari nazionali ed internazionali», un deprezzamento dei titoli di Stato e un indebolimento dell'euro, suscita ben più di una perplessità;
   inoltre, la scelta del Governo si presenta alquanto dubbia anche perché sussisterebbe la possibilità, in caso di condanna delle agenzie di rating, di una rivalsa dei risparmiatori sulle casse dello Stato, che, tramite la vigilanza di Banca d'Italia e Consob, avrebbe dovuto impedire tali ipotetici atti fraudolenti, tutto ciò comportando un ulteriore danno e un esborso notevole da parte dello Stato;
   per di più non si comprende come sia possibile che l'Italia abbia pagato 2,6 miliardi di euro «senza battere ciglio» ed appare discutibile che quantomeno non ci si potesse difendere in qualche modo da questa clausola; a tal proposito, nel corso di un'audizione svolta in Commissione finanze alla Camera dei deputati nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli strumenti finanziari derivati, la dottoressa Maria Cannata, che da quindici anni è dirigente generale e capo della direzione del debito pubblico, ha avuto modo di argomentare come fosse impossibile «ribellarsi» a tale clausola: secondo la dottoressa Cannata, se il Tesoro non avesse pagato, «il danno reputazionale che ne sarebbe derivato sarebbe stato enorme con conseguenze assolutamente insostenibili», nei confronti dei mercati. La dottoressa Cannata ha altresì affermato che oggi quel tipo di clausole non esistono più, ma «ciò non vuol dire che, su singole posizioni, non ci sia qualche clausola di chiusura anticipata, ma si tratta sempre di clausole mutual ovvero esercitabili da entrambe le parti»;
   dal 2011 ad oggi, il numero di operazioni con clausole di questo tipo sarebbe stato ridotto (da 35 a 13) e solo in due casi è avvenuto l'esercizio da parte della controparte, nel giugno e nel dicembre 2014; la dottoressa Cannata non ha però specificato chi ha chiuso i due derivati e quanto è costato; né si conoscono i contenuti dei contratti di derivati dello Stato italiano ancora in essere; chi siano le controparti e per quali importi; quando siano stati stipulati e da chi; con quali clausole. Inoltre, non si ha evidenza pubblica della relazione semestrale che il Ministero dell'economia e delle finanze dovrebbe inviare alla Corte dei conti sulla gestione del debito, prevista dal decreto del Ministero del tesoro del 10 novembre 1995, che fornisca un resoconto dettagliato dell'operatività in derivati, esplicativo delle strategie e degli obiettivi perseguiti, nonché di come vi si siano inquadrate le singole operazioni realizzate;
   in ogni caso, quello dei titoli derivati stipulati dal Tesoro italiano per ridurre l'incertezza sul servizio del debito pubblico è un tema carsico di cui si discute da tempo (sono numerose le interrogazioni ed interpellanze parlamentari e le indagini conoscitive che si sono susseguite negli anni), ma la verità è ancora lontana dall'essere svelata. Ciò di cui oggi si è, a fatica, al corrente è soltanto che il totale di titoli derivati sottoscritti dallo Stato italiano ammonta a circa 160 miliardi di euro (di cui il 72 per cento sono «interest rate swap»; il 12 per cento sono «swaption»; 14 per cento sono «cross currency swap»; il 2 per cento altri titoli derivati legati ad operazioni specifiche), pari a un decimo del prodotto interno lordo del nostro Paese; che le controparti sono le stesse banche che acquistano sul mercato primario i titoli di Stato italiani; che nel 2012 il Governo Monti ha «chiuso» un contratto in essere con Morgan Stanley realizzando perdite per 2,6 miliardi di euro e che, sull'intero ammontare, si rischiano perdite superiori a 40 miliardi di euro;
   in un articolo pubblicato su Il Corriere della Sera del 23 dicembre 2014 da Milena Gabanelli, si chiedeva l'istituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta, con gli stessi poteri dell'autorità giudiziaria, per chiarire la posizione finanziaria dell'Italia in relazione a questi pericolosi, e costosi, titoli in portafoglio. Quella stessa commissione d'inchiesta che Forza Italia chiede da tempo per chiarire le vicende, le cause e le responsabilità, anche internazionali, che nell'estate-autunno del 2011 portarono alla speculazione finanziaria sul debito sovrano del nostro Paese e alle successive dimissioni del Governo Berlusconi, l'ultimo legittimamente eletto dai cittadini;
   il tema dei derivati, infatti, è strettamente collegato a quanto avvenuto in quei mesi del 2011; il downgrade anomalo del debito pubblico dell'Italia da parte delle agenzie di rating innescò la corsa al rialzo dello spread tra i rendimenti dei titoli decennali del debito pubblico italiano e i corrispondenti titoli del debito pubblico tedesco. E la corsa a rialzo dello spread aumentò il potere contrattuale delle banche con cui lo Stato aveva in essere contratti derivati, ai fini della loro rinegoziazione, o, come è avvenuto nel 2012, proprio con il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore Monti, per «chiuderli», alla cifra di 2,6 miliardi di euro;
   durante il più tecnico dei Governi (quello di Monti), in soli sei mesi si ristrutturarono contratti per 30 miliardi di euro, consolidando 8 miliardi di euro di perdite; si pagarono 2,6 miliardi di euro a Morgan Stanley (dove lavora un ex Ministro del Tesoro) e si impose una tassa sulla casa ed un'imposta di bollo a milioni d'italiani;
   downgrade e spread sono stati, infatti, utilizzati, da un lato, a livello politico, per portare alle dimissioni del Governo Berlusconi e, dall'altro, a livello finanziario, dai mercati, per speculare sui titoli del debito pubblico italiano e dalle banche, per aumentare il proprio guadagno nel rinegoziare i titoli derivati stipulati con lo Stato italiano;
   i soggetti che sono dietro tutte e tre queste operazioni sono gli stessi o sono fortissimamente collegati tra loro: nel panorama di quell'autunno del 2011 gli investitori-speculatori, che con le loro azioni concordate e concertate potevano far scendere a loro piacimento i prezzi dei titoli del debito sovrano dei Paesi e aumentare i rendimenti, erano anche gli stessi soggetti (banche, fondi di investimento e altro) che controllavano le agenzie di rating, che giudicavano la credibilità e il merito di credito degli emittenti dei titoli che loro stessi scambiavano sui mercati;
   e sono sempre gli stessi soggetti investitori (banche, fondi e altro) che sono passati all'incasso quando gli Stati, gli enti pubblici o le imprese con cui avevano sottoscritto contratti derivati, stremati dall'aumento degli spread, e quindi dei rendimenti dei titoli con il collasso dei relativi valori e il downgrade del loro rating, rischiavano di non essere solvibili;
   sono circa 20 grandi banche o fondi di investimento che giocano sui mercati finanziari internazionali, orientandone l'andamento a loro piacimento e speculando, al solo fine di ottenere ingenti guadagni. Il tutto sulla pelle degli ignari cittadini, su cui queste operazioni si ripercuotono come anello finale della catena;
   in tutto ciò, il Governo italiano, se non si costituirà parte civile nel corso del processo di Trani, nonostante il grosso danno causato all'erario e la destabilizzazione totale dell'immagine dell'Italia, rischia di ammettere implicitamente di aver fatto parte di questa macchina perversa di speculazione ai danni del nostro stesso Paese;
   nel corso del question-time alla Camera dei deputati di mercoledì 11 febbraio 2015, dinnanzi alla richiesta avanzata dal MoVimento 5 Stelle in merito ai motivi per cui lo Stato non si fosse costituito parte civile al processo di Trani, il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, onorevole Maria Elena Boschi, ha dichiarato che «nel caso specifico non si sono rilevate prove evidenti di una connessione tra l'annuncio pubblico del declassamento della Repubblica italiana e, quindi, del downgrading operato da queste società di rating a mercati aperti e l'andamento dei titoli, sia perché l'andamento dei titoli è determinato da molteplici fattori sul mercato e, quindi, non c'era una stretta evidenza, sia perché nei giorni immediatamente successivi non ci sono state collocazioni di titoli di Stato, quindi, non si è potuto verificare un impatto negativo né un particolare andamento negativo conclamato dei titoli italiani, del sistema bancario e, quindi, del debito pubblico in generale». Ebbene, sarebbe da chiarire se il Governo intende confermare questa «non-spiegazione» anche alla luce delle ulteriori rivelazioni del processo in corso;
   inoltre, dinnanzi ad un sistema in cui il rapporto tra finanziatori/banche/speculatori è appeso ad un filo sottile, e, alla luce di un sistema di incompatibilità che vede, ad esempio, per i dirigenti delle autorità indipendenti l'impossibilità di intrattenere, direttamente o indirettamente, rapporti di collaborazione, di consulenza o di impiego con le imprese operanti nel settore di competenza, per almeno due anni dalla cessazione dell'incarico, è necessaria una riflessione in merito alla compatibilità degli alti dirigenti di un dipartimento come quello del Tesoro, con un contratto per una posizione apicale all'interno di quelle stesse banche con cui lo stesso dipartimento ha stipulato contratti;
   di seguito, infatti, alcuni esempi, con tutto il rispetto, che giustificherebbero da soli un intervento normativo in tal senso; Mario Draghi a Goldman Sachs, Domenico Siniscalco a Morgan Stanley, Vittorio Grilli a Crédit Suisse, Giuliano Amato consulente Deutsche Bank, Linda Lanzillotta a Jp Morgan: tutti dirigenti (o addirittura ex Ministri) del Tesoro per cui il passo verso il «partner» con cui erano stati stipulati accordi è stato a dir poco breve –:
   se, non solo a causa della partecipazione azionaria di Morgan Stanley nella società che controlla Standard & Poor's, ma anche, più in generale, per la straordinaria gravità delle accuse di destabilizzazione dell'immagine, del prestigio e degli affidamenti creditizi dell'Italia sui mercati finanziari nazionali ed internazionali, nonché di deprezzamento dei titoli di Stato e di indebolimento dell'euro, il Governo e il Ministero dell'economia e delle finanze non intendano costituirsi parte civile nei processi in corso presso il tribunale di Trani;
   se il Governo non intenda garantire la piena attuazione del principio di total disclosure che deve governare tutta l'attività dell'amministrazione pubblica, ai sensi di quanto stabilito sin dal decreto legislativo n. 150 del 2009, pubblicando in versione integrale tutti i contratti derivati in essere dello Stato italiano, al fine di rendere note a tutti tutte le informazioni in merito ai seguenti aspetti: i contenuti degli stessi; chi siano le controparti e per quali importi; quando siano stati stipulati e da chi; con quali clausole;
   se il Governo non intenda intervenire, nell'ambito della propria competenza, per una revisione del sistema delle incompatibilità dei dirigenti del Tesoro, in particolare nei riguardi delle società che hanno effettuato accordi con il Ministero dell'economia e delle finanze nel corso del loro incarico.
(2-00875) «Brunetta».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

debito pubblico

mercato finanziario

banca