ATTO CAMERA

INTERPELLANZA 2/00767

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 343 del 02/12/2014
Firmatari
Primo firmatario: DE MITA GIUSEPPE
Gruppo: PER L'ITALIA
Data firma: 02/12/2014
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
BINETTI PAOLA PER L'ITALIA 02/12/2014


Destinatari
Ministero destinatario:
  • MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI delegato in data 02/12/2014
Stato iter:
IN CORSO
Atto Camera

Interpellanza 2-00767
presentato da
DE MITA Giuseppe
testo di
Martedì 2 dicembre 2014, seduta n. 343

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   i congedi straordinari di due anni, disciplinati dall'articolo 42, comma 5, del decreto legislativo n. 151 del 2001, sono – assieme ai permessi lavorativi mensili previsti dall'articolo 33 della legge n. 104 del 1992 – un'agevolazione lavorativa di grande interesse per i familiari di persone con grave disabilità;
   la norma istitutiva (legge n. 388 del 2000, articolo 80, comma 2) ammetteva al beneficio solo i genitori di persone con handicap grave e – in casi eccezionali – i fratelli e le sorelle conviventi con il disabile, due successive sentenze della Corte costituzionale (n. 158 del 2007 e n. 19 del 2009) hanno esteso anche al coniuge e ai figli la facoltà di avvalersi del congedo retribuito di due anni: in questi due casi la Corte ha posto come condizione la convivenza con il familiare da assistere, prerequisito che già valeva per fratelli e le sorelle. Per i figli che assistono i genitori – va sottolineato – la Corte aggiunge anche un'altra condizione: i congedi possono essere concessi «in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della persona in situazione di disabilità grave»;
   sul significato da attribuire al concetto di «convivenza» tuttavia, sono emersi da subito dei dubbi interpretativi e, conseguentemente, applicativi. La Corte costituzionale, rifacendosi alla norma istitutiva, parla genericamente di «convivenza», senza entrare nel merito delle più precise definizioni del Codice civile che distingue nettamente fra residenza e domicilio;
   una prima indicazione in tal senso è stata fornita dall'INPS, sentito il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con il messaggio n. 19583 del 2 settembre 2009, in cui si stabiliva che – alla luce della necessità di una assistenza continuativa – per convivenza si deve fare riferimento, in via esclusiva, alla residenza, luogo in cui la persona ha la dimora abituale, ai sensi dell'articolo 43 del Codice civile, non potendo «ritenersi conciliabile con la predetta necessità la condizione di domicilio né la mera elezione di domicilio speciale previsto per determinati atti o affari dall'articolo 47 del Codice civile»;
   l'INPS, nella sua modulistica in merito, non richiede la presentazione del certificato anagrafico di residenza, ma chiede al lavoratore una dichiarazione di responsabilità in, cui si sottoscrive la convivenza intesa come dimora abituale comune alla persona da assistere, guardando, quindi, alla sostanza della situazione e non alla formalizzazione «anagrafica»;
   si facevano salve in tal modo le situazioni «ibride», quali – ad esempio – il caso delle coabitazioni di fatto senza trasferimento ufficiale di residenza, ma al contempo era possibile far pesare, già in fase istruttoria, la evidente assenza di continuità derivante da diversi «domicili», pur in presenza di formale residenza. In sostanza: il congedo poteva essere negato a chi pur risiedendo formalmente assieme al familiare da assistere, fosse impiegato in un'altra città o magari in un'altra regione;
   in sede applicativa, però, gli stessi uffici periferici dell'INPS, in questi mesi, hanno preso in considerazione strettamente la residenza effettiva comune, unica condizione effettivamente verificabile attraverso un controllo incrociato all'anagrafe comunale di riferimento, prestando però il fianco a prevedibili contestazioni di lavoratori i quali hanno interpellato il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   si chiede, in particolare, se il familiare abita allo stesso numero civico, ma non allo stesso interno, secondo questa logica strettamente letterale, veniva escluso dalla concessione dei benefici;
   su questo aspetto è, quindi, intervenuto nuovamente il Ministero del lavoro e delle politiche sociali con la lettera circolare del 18 febbraio 2010, protocollo 3884, che prevede la concessione dei congedi anche nel caso il familiare da assistere, abiti nello stesso condominio del lavoratore che richiede il congedo (stesso numero civico) ma in un appartamento diverso (altro interno);
   il Ministero premette: «è di tutta evidenza che la residenza nel medesimo stabile, sia pure in interni diversi, non pregiudica in alcun modo l'effettività e la continuità dell'assistenza al genitore disabile. [...] Ancorare, quindi, la concessione del diritto esclusivamente alla coabitazione priverebbe in molti casi il disabile della indispensabile assistenza atteso che, il più delle volte, gli aventi diritto hanno già conseguito una propria indipendenza»;
   tale premessa è contraddetta nella forma e nella sostanza dalla disposizione successiva: «al fine di addivenire ad una interpretazione del concetto di convivenza che faccia salvi i diritti del disabile e del soggetto che lo assiste, rispondendo, nel contempo, alla necessità di contenere possibili abusi e un uso distorto del beneficio, si ritiene giusto ricondurre tale concetto a tutte quelle situazioni in cui, sia il disabile che il soggetto che lo assiste abbiano la residenza nello stesso Comune, riferita allo stesso indirizzo»;
   il Ministero dispone ad avviso degli interpellanti arbitrariamente un limite (abitare nello stesso stabile allo stesso stabile, anche se non nello stesso appartamento, in sostanza), ma esclude altri casi simili, come ad esempio: i residenti in condomini contigui, i residenti in abitazioni comuni (esempio ville a schiera, ville bi-familiari) con numeri civici diversi, i residenti nello stesso stabile che abbia due ingressi differenti, oltre a tutti i casi in cui le due abitazioni si trovino a pur breve distanza;
   il Ministero, legando strettamente la concessione dei congedi alla formalità dei riscontri anagrafici al fine di contenere abusi, potrebbe aprire a ben altri abusi, ingenerando una potenziale eterogenesi dei fini tutt'affatto particolare: con questa indicazione avranno diritto alla concessione dei congedi i lavoratori formalmente residenti con l'assistito, ma che di fatto potrebbero avere un domicilio molto distante;
   l'indicazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali è cogente sia per il comparto pubblico che per quello privato: l'INPS ha, comunque, ripreso le indicazioni del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con il proprio Messaggio n. 6512 del 4 marzo 2010;
   sarebbe di gran lunga preferibile un'impostazione sostanzialista in merito alla risoluzione della criticità interpretativa sopra riportata per quanto concerne la corretta definizione del concetto di coabitazione, in luogo dell'impostazione formalista ora cogente che potrebbe però comportare potenziali abusi sopra evidenziati;
   ulteriori criticità si riscontrano in merito alla frazionabilità oraria dei permessi, di cui all'articolo 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992;
   il comma 6 dell'articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, consente al lavoratore con handicap grave di fruire mensilmente ed alternativamente di 3 giorni di permesso oppure della riduzione oraria giornaliera. Il terzo comma dello stesso articolo da diritto a coloro che assistono un familiare in situazione di gravità, solo ai 3 giorni di permesso mensile;
   mentre in molti contratti del pubblico impiego è espressamente prevista la riconduzione ad ore dei permessi giornalieri, nel settore scolastico, pur prevista nel contratto del 1995, non è stata specificata nel CCNL vigente, ma al riguardo però vi è parere favorevole dell'INPDAP e dell'INPS;
   la frazionabilità oraria è prevista in molti contratti del pubblico impiego e, nella scuola, in particolare, era previsto dal contratto del 1995;
   per dare soluzione unitaria al problema della frazionabilità dei permessi lavorativi dei familiari di portatori di handicap grave, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con propria circolare, ha ammesso la possibilità di fruire dei tre giorni di permesso previsti all'articolo 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, anche frazionandoli in permessi orari;
   sulla scorta di detta circolare del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, anche l'INPS applica ora la soluzione già adottata dall'INPDAP sulla possibilità di frazionare in ore i permessi mensili previsti all'articolo 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, precisando, con messaggio 15995 del 18 giugno 2007, che i beneficiari dei tre giorni di permesso possono frazionare le assenze fino ad un massimo di 18 ore, se svolgono attività a tempo pieno (per chi svolge un tempo parziale il monte ore frazionabile viene proporzionato alle ore effettivamente lavorate);
   il limite delle 18 ore non si applica a quei lavoratori che abbiano diritto alle due ore di permesso giornaliero, ovvero ai lavoratori disabili o ai genitori di persone di età inferiore ai tre anni;
   dopo il messaggio 15995 del 18 giugno 2007, di cui sopra, l'INPS è tornata sulla questione della frazionabilità oraria dei permessi mensili: con messaggio 16866 del 28 giugno 2007, ove l'ente ribadisce che il limite massimo previsto opera esclusivamente quando i tre giorni di permesso vengono frazionati, anche parzialmente, in ore: si precisa, inoltre, che il limite di 18 ore è riferito ai casi in cui l'orario di lavoro sia di 36 ore suddiviso in sei giorni lavorativi;
   le circolari del dipartimento funzione pubblica n. 7 del 17 luglio 2008 e n. 8 del 5 settembre 2008, nel richiamare il disposto di cui al comma 4 dell'articolo 71 del decreto-legge n. 112 del 2008, stabiliscono che i permessi possono essere fruiti anche con frazionamento orario ed è stato fissato il contingente massimo di ore 18: tale possibilità è applicabile solo se i contratti collettivi vigenti prevedono l'alternatività tra la fruizione a giornate e quella ad ore dei permessi;
   l'articolo 15 del contratto collettivo nazionale scolastico del 2007 disciplina a giorni i permessi del dipendente che assiste un familiare in situazione di gravità: pertanto la frazionabilità oraria non sarebbe prevista, tuttavia l'INPS, con messaggio n. 15995 del 18 giugno 2007, ha comunicato che il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, con propria circolare, ha ammesso la possibilità di fruire dei tre giorni di permesso di cui al comma 3 della legge n. 104 del 1992 anche frazionandoli in permessi orari;
   permangono quindi evidenti difficoltà in merito all'interpretazione ed alla concreta attuazione per quanto concerne il frazionamento orario dei congedi retribuiti per assistenza familiare in situazione di gravità, in particolare per quanto concerne il settore scolastico: si palesa infatti grave incertezza sulla possibilità per i docenti che assistono un familiare in situazione di grave disabilità di frazionare in ore i tre giorni di permesso, sulle modalità di tale eventuale frazionamento, nonché infine in merito al tempo di preavviso della programmazione dei permessi –:
   se il Ministro sia al corrente delle criticità riportate in premessa in merito all'interpretazione ed all'applicazione concreta delle norme citate;
   quali iniziative, anche di natura normativa, intenda porre in essere al fine di sanare i dubbi interpretativi e le criticità riportate in premessa per quanto concerne la corretta interpretazione della normativa citata in materia di congedi retribuiti per assistenza familiare in situazione di gravità.
(2-00767) «De Mita, Binetti».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

permesso di lavoro

lavoratore disabile

contratto collettivo