ATTO CAMERA

INTERPELLANZA 2/00012

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 3 del 25/03/2013
Firmatari
Primo firmatario: BORGHI ENRICO
Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO
Data firma: 25/03/2013


Destinatari
Ministero destinatario:
  • MINISTERO DELLA SALUTE
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELLA SALUTE delegato in data 25/03/2013
Stato iter:
IN CORSO
Atto Camera

Interpellanza 2-00012
presentato da
BORGHI Enrico
testo di
Lunedì 25 marzo 2013, seduta n. 3

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   nel quadro ordinamentale attuale della Repubblica Italiana spetta allo Stato l'impegno-dovere di garantire, su tutto il territorio nazionale, in ragione dell'universalità dei diritti sanciti dall'articolo 32 della Costituzione, livelli essenziali ed uniformi di assistenza sanitaria e socio-sanitaria, mentre compete alle regioni la responsabilità piena in quanto ad organizzazione dei servizi ed allocazione delle risorse finanziarie con le quali assicurare la spesa sanitaria e socio sanitaria;
   il diritto alla salute delle persone che vivono nelle zone montane e delle persone che a vario titolo frequentano la montagna (sancito anche dal riconoscimento della peculiarità di tali territori assicurato dall'articolo 44 della Costituzione) va riempito di contenuti adeguati, partendo anzitutto dal riconoscimento oggettivo degli handicap strutturali permanenti delle zone montane riconosciuti dall'articolo 174 del Trattato Costituzionale dell'Unione europea in termini di svantaggi naturali, svantaggi orografici, svantaggi talora di condizioni economiche, squilibri nella struttura demografica e maggiori oneri per far fronte ai diritti di cittadinanza;
   l'erogazione dei servizi sanitari, secondo un'indagine realizzata dalla «Commissione sui problemi della sanità in montagna» del Ministero della sanità nel febbraio 2001, comporta costi strutturali superiori alla media nazionale, con scostamenti oscillanti dal 10 al 25 per cento in ragione delle peculiarità locali e comunque con un'incidenza di un surplus strutturale mediamente più elevato rispetto ai territori metropolitani e cittadini di circa in quinto a causa della morfologia del territorio, della bassa densità demografica, delle caratteristiche intrinseche della popolazione;
   si possono individuare alcuni criteri oggettivi che, descrivendo le zone montane, ne possano enucleare il disagio rispetto alle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie, elementi valutabili in chiave scientifica che non possono prescindere dalla considerazione di almeno quattro indici, quali l'altitudine, l'indice di dispersione nel territorio dei nuclei abitati, il rapporto tra popolazione residente e superficie complessiva, l'indice di invecchiamento spesso abbinato a condizioni di vita in solitudine;
   la costruzione di un modello della sanità in montagna capace di assicurare l'assistenza primaria di base, sia ospedaliera che territoriale, in linea con i principi enunciati dal Piano sanitario nazionale, corrisponde ad un preminente interesse nazionale, in quanto favorire lo sviluppo dell'abitare in montagna, agevolandovi la permanenza delle persone, è anche mezzo per la salvaguardia attiva del territorio, a beneficio dell'intera comunità nazionale;
   nel territorio della regione Piemonte, con D.G.R. n. 1-415 del 2 agosto 2010 di approvazione dell'accordo di programma tra Ministero della salute, Ministero dell'economia e delle finanze e la regione Piemonte per la riorganizzazione e rientro della sanità piemontese, nonché con successivi atti amministrativi regionali, è stata posta in atto la ridefinizione dei posti letto a disposizione della popolazione nella rete ospedaliera regionale, che, secondo la regione Piemonte, va ottenuta tramite la razionalizzazione dell'offerta ospedaliera e una drastica diminuzione dei ricoveri detti a rischio di «inappropriatezza» e che nei medesimi atti conseguenziali si è provveduto alla eliminazione del riconoscimento dello standard di «montanità» che garantiva la compensazione finanziaria delle prestazioni sanitarie in aree montane, cagionando un'oggettiva disparità tra territori della medesima regione;
   in funzione di ciò in data 15 marzo 2013 in Torino è stato approvato dalla giunta regionale del Piemonte il Piano sanitario della regione Piemonte che prevede la programmazione sanitaria regionale con interventi di revisione della rete ospedaliera piemontese. In merito alla programmazione sanitaria regionale dei punti nascita si evince che:
    sono soppressi i punti nascita con un numero di parti inferiori a 500 parti/anno così come recita l'accordo, ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra Governo, regioni ed enti locali in sede di Conferenza unificata concernente le «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo;
    nell'allegato A (censimento della strutture ospedaliere del 2008 fonte Ministero della salute – sistema informativo sanitario – scheda di dimissione ospedaliera SDO) del sopracitato documento risulta che in Piemonte non esistevano a quella data punti nascita con meno di 500 parti/anno;
    già nel 2008 l'allora assessorato della sanità della regione Piemonte aveva comunicato che le SOC di ginecologia ed ostetricia dei punti nascita con meno di 500 parti/anno erano soppresse ed aggregate ad altra SOC di ginecologia ed ostetricia tanto che il numero delle strutture dava una somma pari o leggermente inferiore all'indicatore 1000;
    nei punti nascita con un numero di parti inferiore a 1000 – specificatamente in Piemonte sono tre – questi rientrano nell'idoneità al mantenimento in quanto collocati in area disagiata, corrispondendo alle «motivate valutazioni legate alla specificità dei bisogni reali delle varie aree geografiche interessate con rilevanti difficoltà di attivazione dello STAM», previste dal citato accordo;
    sempre nella tabella 1 dell'allegato A della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano si evidenzia che i punti nascita sono 24 così come oggi nel Piano sanitario della regione Piemonte 2012-2015;
    valutando il Piano sanitario all'interno del disegno globale della rete ospedaliera in merito alle reti delle neonatologie viene evidenziato che esistono 32 punti nascita (in realtà sono 24) senza tenere conto che in alcune realtà come Verbania-Domodossola, Tortona-Novi Ligure, Ivrea-Cuorgnè ed altri è stato attuato il progetto di Punto Nascita unico plurisede;
    tra l'altro nel documento deliberativo della regione Piemonte viene indicato un numero di parti aggregato tra le due realtà sanitarie in una unica realtà facendo intendere che in una realtà vi sono 1000 parti/anno quando in realtà non superano 600/parti anno (vedi Verbania-Domodossola oppure Tortona-Novi Ligure);
   l'assessorato alla sanità della regione Piemonte non ha tenuto in considerazione ad avviso dell'interrogante la volontà espressa dalla precedente amministrazione regionale che aveva inteso dare alle giuste esigenze delle popolazioni montane una risposta seria, corretta rispettando in primis il dettato di una pubblica amministrazione: il servizio alle popolazioni;
   la predetta determinazione regionale, in difformità alle «linee di indirizzo» sopra citate, mantiene aperti i seguenti punti nascite nonostante siano inferiori ai 1000 nati all'anno (Chieri 739 parti/anno, Vercelli 765 parti/anno, Mondovì 584 parti/anno, Casale Monferrato 545 parti/anno), disponendo invece la chiusura immediata con decorrenza 30 giugno 2013 del punto nascite di Domodossola (237 parti/anno, e che secondo la tabella 1 di cui all'Accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010, superava i 500 parti/anno nell'anno 2008) mantenendo inalterata la realtà del punto nascite di Susa (332 parti/anno), analoga in tutto e per tutto alla precedente realtà di Domodossola, determinando con ciò una assoluta sperequazione di valutazioni e di livelli delle prestazioni sul territorio della regione Piemonte in termini di livelli essenziali di prestazioni e assistenza;
   in un documento redatto dalla consulta sanità dei sindaci delle Valli Ossolane in data 18 marzo 2013 si registra con disappunto e contrarietà la decisione regionale di pervenire ad una chiusura del servizio a far data dal 30 giugno 2013 in palese difformità e disparità con gli atteggiamenti, le valutazioni e le decisioni adottate per gli altri reparti e punti nascite piemontesi al di sotto della soglia dei 500 parti/anno (Carmagnola, Susa, Cuorgnè, Bra, Tortona, Acqui Terme, Borgosesia), contravvenendo con ciò sia agli impegni assunti dall'assessore regionale alla sanità, dal direttore regionale Aress e dal direttore generale dell'Asl 14 di fronte ai sindaci ossolani;
   sorprende, in particolare, la difformità di giudizio e di trattamento tra il punto nascite di Susa (che viene positivamente escluso da misure di chiusura) e il punto nascite di Domodossola, che come facilmente evincibile dalla medesima direzione generale regionale si presenta nelle medesime condizioni territoriali, orografiche e strutturali di quello di Susa. Ricordiamo, peraltro, che tra il comune di Formazza o altre realtà montane della provincia del Verbano Cusio Ossola e la futura sede del punto nascite di Verbania si superano gli stessi 80 chilometri citati dalla DGR per giustificare l'apertura del punto nascite valsusino e garantire la continuità assistenziale, mentre il parametro di popolazione equivalente in Valsusa attribuito ad un possibile aumento legato ai lavori TAV in Val d'Ossola è già assicurato in virtù dei flussi turistici e della collocazione di Domodossola su due assi internazionali di scorrimento (Genova-Rotterdam e Milano-Parigi). Non si comprende, infatti, come sia possibile da parte della regione Piemonte garantire per le valli ossolane quel trasporto in sicurezza ed emergenza per le gestanti che dichiara ancora impregiudicato per la realtà valsusina. A giustificazione ulteriore della disparità di trattamento manifestata nella circostanza dalla regione Piemonte, si rileva come la distanza tra Alagna Valsesia e Borgosesia (ulteriore punto nascite non considerato nel progetto di chiusura) è di soli 48 chilometri di strada di montagna, contro quasi il doppio di Formazza e decisamente superiore a tutte le testate di valle ossolane;
   di conseguenza, mentre si mantengono giustamente aperti i punti nascite di Susa e Borgosesia in quanto posti a servizio di aree geograficamente complesse e disagiate come realtà montane, in area montana piemontese si chiude esclusivamente il punto nascite di Domodossola che presenta analoghe condizioni agli altri due presidi;
   si rileva, peraltro, il mancato rispetto del concetto di ospedale unico plurisede nella determinazione della chiusura del punto nascite di Domodossola, mentre per il mantenimento del reparto di Verbania si far riferimento a dati complessivi dell'intero bacino del Verbania-Cusio-Ossola che consentono – solo sulla carta – di superare (di sole dieci unità teoriche) il limite stabilito dall'accordo Stato-regioni. Con ciò determinando una clamorosa contraddizione nella programmazione, non suffragata dalla realtà che ha visto in questi anni un costante incremento della mobilità passiva del reparto di ostetricia e ginecologia;
   nella relazione a corredo della bozza di delibera della giunta regionale di cronoprogramma e avvio del piano di cui alla D.G.R. n. 17/1830/2011 e 4/2495/2011, sono contenute delle riflessioni relativamente ai punti nascita di Susa (Torino) e Borgosesia (Vercelli), collocati in territorio montano, dalle quali si evince che per il primo caso, la distanza dalla frazione più lontana della Valle di Susa nella eventualità di soppressione del presidio sarebbe uguale a 80 chilometri di strade di montagna, distanza giudicata pericolosa per i parti a rischio e gli interventi di neonatologia in quanto non rispettosa del modello dell'urgenza-emergenza entro standard temporali indicativi di 20-40 minuti e di un trasporto secondario entro standard temporali di 50-60 minuti, mentre per Borgosesia invece viene malgrado i parti siano inferiori a 500, non lo siano di così tante unità da provocarne la dismissione, ma i pochi chilometri di distanza (48) dall'ulteriore presidio non sono ostativi al procrastinare dell'attività ostetrica;
   va preso atto:
    a) della validità del mantenimento dei presidi di Susa e Borgosesia, soluzione condivisibile e di sicuro impatto positivo sulla permanenza in zone montane di popolazione giovane e interessata dai servizi di cui trattasi;
    b) della sussistenza, nel caso del presidio sanitario di Domodossola, di condizioni di distanza pari o addirittura superiori agli altri due presidi e che in caso di chiusura del punto nascite che determinerebbero lo sforamento temporale di tutti gli standard (90 chilometri da Riale di Valle Formazza, 80 chilometri da Ponte di Valle Formazza, 60 chilometri da Macugnaga di Valle Anzasca, 59 chilometri da Re di Valle Vigezzo, 64 chilometri da Devero di Valle Antigorio, 50 chilometri da Antrona Schieranco di Valle Antrona, 58 chilometri da Trasquera di Valle Divedro di strade di montagna con percorrenze medie decisamente allungate in caso di precipitazioni nevose consuete in tali territori;
    c) della mancata attivazione sul territorio della regione Piemonte del servizio trasporto assistito materno (STAM), tale da non configurare pertanto una condizione di possibile alternatività di una erogazione di servizio di assistenza con standard accettabili per gestanti provenienti dalle zone montane sopra citate.
    d) della mancata integrazione territorio-ospedale di cui all'allegato 3 dell'Accordo Stato-regioni sopracitato, con particolare riguardo ai temi della continuità assistenziale (con relativa promozione) e della promozione dell'adozione di strumenti di collegamento e comunicazione tra le diverse strutture ospedaliere e territoriali;

   occorre ricordare infine che tale procedimento si inserisce in un quadro ancor più preoccupante di riorganizzazione patrimoniale dell'edilizia sanitaria piemontese, con la messa in campo da parte della regione Piemonte secondo l'interrogante di una concreta linea di azione vendita degli ospedali per fare cassa e ripianare i debiti della sanità mediante la creazione di un fondo immobiliare detenuto al 60 per cento dalla regione Piemonte e al 40 dei privati in cui confluiscano tutte le strutture ospedaliere e i poliambulatori per un valore di 650 milioni di euro;
   sulla scorta di tali premesse, nel territorio della regione Piemonte per effetto della riorganizzazione della rete sanitaria disposta dalla giunta regionale del Piemonte stanno venendo meno le garanzie per il rispetto dei livelli essenziali di assistenza (LEA) nei confronti in particolar modo dei cittadini, residenti e soggiornanti nelle zone montane con particolare riguardo a quelle delle Valli dell'Ossola, e che, sempre a seguito di tali iniziative viene pesantemente compromessa la continuità assistenziale e di cura in tali territori, dove peraltro il tessuto sociale si presenta più vulnerabile e che spetti allo Stato, sulla scorta dell'articolo 32 della Costituzione, il compito di garantire i fondamentali diritti di cittadinanza e di pari accesso alle cure mediche e sanitarie dei cittadini su tutto il territorio della Repubblica –:
   quali iniziative intenda adottare al fine di scongiurare l'attuale processo di riduzione delle garanzie per il rispetto dei livelli essenziali di assistenza (LEA) nei confronti in particolar modo dei cittadini, residenti e soggiornanti nelle zone montane del Piemonte con particolare riguardo a quelle delle Valli dell'Ossola, a seguito dei processi di riorganizzazione della rete ospedaliera disposta dalla giunta regionale del Piemonte citati in premessa;
   quali iniziative intenda adottare per evitare la pesante compromissione della continuità assistenziale e di cura in tali territori, dove peraltro il tessuto sociale si presenta più vulnerabile, con particolare riguardo alla situazione relativa al punto nascite di Domodossola e alla profonda differenza di trattamento ad esso attribuito rispetto a similari situazioni del resto del territorio piemontese;
   se ritenga, a fronte di quelle che l'interrogante ritiene un'inadeguatezza e un'inappropriatezza delle politiche sanitarie, di intervenire mediante una modifica dell'accordo tra Governo. regioni ed enti locali raggiunto nella seduta del 16 dicembre 2010 della Conferenza unificata, al fine di ottenere nel medesimo il riconoscimento della specificità montana e disponendo – come si propone – che nella quota del Fondo sanitario regionale le quote di finanziamento pro-capite vengano incrementate del 20 per cento (secondo le linee-guida della Commissione nazionale per i problemi della sanità in montagna presso il Ministero della salute) secondo criteri che tengano conto della dispersione territoriale della popolazione, della sua composizione per classi di età nonché della rete di presidi ospedalieri e di servizi distrettuali presenti sul territorio, stabilendo che la congruità del differenziale accordato in sede di bilancio preventivo vada verificata secondo indicatori di efficienza, efficacia e sicurezza sanitaria anche in sede di consuntivo;
   se ritenga, alla luce di quando sopra, di convocare il Comitato per il percorso nascita (CPN) interistituzionale, con il coinvolgimento delle direzioni generali del Ministero della salute (programmazione, prevenzione, comunicazione, ricerca, sistema informativo), delle regioni e province autonome e di altre istituzioni sanitarie nazionali (ISS, AGENAS) al fine di una attenta e oggettiva verifica circa la sussistenza delle motivate e oggettive valutazioni legate alla specificità dei bisogni reali delle varie aree geografiche interessate con rilevanti difficoltà di attivazione dello STAM, quali le zone montane in particolare.
(2-00012) «Borghi».

Classificazione EUROVOC:
SIGLA O DENOMINAZIONE:

DL 1997 0281

EUROVOC :

protezione del consumatore

regione montana

costituzione

Piemonte

diritto alla salute

medicina generale

politica sanitaria