ATTO CAMERA

MOZIONE 1/01604

scarica pdf
Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 780 del 18/04/2017
Abbinamenti
Atto 1/01589 abbinato in data 18/04/2017
Atto 1/01600 abbinato in data 18/04/2017
Atto 1/01601 abbinato in data 18/04/2017
Atto 1/01602 abbinato in data 18/04/2017
Atto 1/01609 abbinato in data 10/05/2017
Atto 1/01626 abbinato in data 10/05/2017
Atto 1/01627 abbinato in data 10/05/2017
Firmatari
Primo firmatario: BRUNETTA RENATO
Gruppo: FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Data firma: 18/04/2017


Stato iter:
10/05/2017
Partecipanti allo svolgimento/discussione
ILLUSTRAZIONE 18/04/2017
Resoconto BRUNETTA RENATO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
 
INTERVENTO PARLAMENTARE 18/04/2017
Resoconto CAUSI MARCO PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto FASSINA STEFANO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE
 
INTERVENTO GOVERNO 10/05/2017
Resoconto MORANDO ENRICO ERRORE:TROVATE+CARICHE - (ERRORE:TROVATI+MINISTERI)
 
DICHIARAZIONE VOTO 10/05/2017
Resoconto CAPEZZONE DANIELE MISTO-CONSERVATORI E RIFORMISTI
Resoconto RIZZETTO WALTER FRATELLI D'ITALIA-ALLEANZA NAZIONALE
Resoconto ZANETTI ENRICO SCELTA CIVICA-ALA PER LA COSTITUENTE LIBERALE E POPOLARE-MAIE
Resoconto MARCON GIULIO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE
Resoconto GUIDESI GUIDO LEGA NORD E AUTONOMIE - LEGA DEI POPOLI - NOI CON SALVINI
Resoconto TANCREDI PAOLO ALTERNATIVA POPOLARE-CENTRISTI PER L'EUROPA-NCD
Resoconto MELILLA GIANNI ARTICOLO 1-MOVIMENTO DEMOCRATICO E PROGRESSISTA
Resoconto GIORGETTI ALBERTO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Resoconto CASO VINCENZO MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto FANUCCI EDOARDO PARTITO DEMOCRATICO
 
PARERE GOVERNO 10/05/2017
Resoconto MORANDO ENRICO ERRORE:TROVATE+CARICHE - (ERRORE:TROVATI+MINISTERI)
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 18/04/2017

DISCUSSIONE IL 18/04/2017

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 18/04/2017

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 10/05/2017

DISCUSSIONE IL 10/05/2017

NON ACCOLTO IL 10/05/2017

PARERE GOVERNO IL 10/05/2017

RESPINTO IL 10/05/2017

CONCLUSO IL 10/05/2017

Atto Camera

Mozione 1-01604
presentato da
BRUNETTA Renato
testo presentato
Martedì 18 aprile 2017
modificato
Mercoledì 10 maggio 2017, seduta n. 793

   La Camera,
   premesso che:
    all'origine, il fiscal compact avrebbe dovuto essere un atto europeo – si pensava a un regolamento – per «compattare» (copyright Mario Draghi) in un testo unico tutte le normative che erano state adottate nel periodo della grande crisi dell'eurozona (Six Pack, Two Pack);
    per il Regno Unito un regolamento avrebbe avuto un'influenza eccessiva anche per i Paesi non euro, limitando, per esempio, la libertà di circolazione dei servizi finanziari, e si oppose;
    per superare questa impasse si usò la formula dell'accordo internazionale, la stessa utilizzata in precedenza anche per Schengen, e fu inserito l'articolo 16, per cui a 5 anni data dalla firma (quindi nel 2017) si sarebbe valutata la possibilità di recepire l'accordo internazionale nell'ambito dei Trattati europei (come è effettivamente accaduto, in altra sede e con altri tempi, per Schengen);
    l'appuntamento dei 5 anni non è una scadenza, non è un rinnovo, non è neanche un tagliando/controllo. Al massimo, quello che un Paese può fare è, come per ogni accordo internazionale, ritirare la firma e uscire dal fiscal compact. Resta comunque, come Stato dell'Unione europea vincolato a tutte le regole del Six Pack e del Two Pack, che rimangono in vigore;
    l'unico vincolo di cui ci si libererebbe sarebbe l'equilibrio di bilancio, se non fosse che lo si è inserito nella Costituzione. Quindi si sarebbe tenuti a rispettarlo comunque, salvo nuove modifiche costituzionali;
    l'uscita da fiscal compact preclude la possibilità di ricorso, qualora ve ne fosse bisogno, alle risorse del fondo Salva-Stati;
    piuttosto, è necessario cancellare l’«imbroglio» del dopo Maastricht, e tornare al suo spirito originario con la sospensione delle norme che ne hanno modificato l'impianto iniziale;
    tornare a Maastricht significa recuperare la lezione di Guido Carli. Fu su proposta dell'allora Ministro del tesoro, infatti, che nel testo fu inserita una clausola che, con riferimento ai parametri fissati, consentiva agli Stati «di tenere conto della tendenza ad avvicinarsi al valore di riferimento e di eventuali cause eccezionali o temporanee di scostamento da quei parametri»;
    il patto di stabilità del 1997 (e le modifiche successive) ha cambiato, tra l'altro con modalità di dubbia legittimità, proprio questo punto fondamentale del Trattato, inviso ovviamente ai tedeschi, in quanto contrario alla loro dottrina calvinista e alla loro ossessione nei confronti dell'inflazione;
    così facendo, è stato dato un segnale alla speculazione e ai mercati, che si sono scatenati a scommettere sulla prevedibilità del non rispetto di quei «paletti», considerati troppo rigidi e per questo irrealizzabili. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, soprattutto negli ultimi anni;
    è ora di tornare all'Europa vera, solidale, illuminata, lungimirante, della crescita, vincendo così anche i populismi e gli estremisti. «Sì» alla genialità di Maastricht, ma basta agli egemonismi e ai «ricatti» tedeschi;
    solo così l'Italia e l'Europa tornerebbero più forti, in grado di affrontare le sfide e le difficoltà più grandi. Abbiamo le idee e gli strumenti per ridisegnare il futuro. O ne saremo travolti;
    il trattato di Maastricht fu firmato il 7 febbraio 1992, ma il passaggio clou di tutte le negoziazioni fu l'Ecofin (riunione dei Ministri economici e finanziari) del 21 settembre 1991;
    grazie alla clausola citata, inserita su proposta italiana, gli Stati che non rispettavano i «paletti» di Maastricht non erano costretti a realizzarli attraverso un piano di rientro a tappe forzate che avrebbe richiesto misure di politica economica restrittive, bensì adottando politiche virtuose che comportassero miglioramenti progressivi. Vale a dire senza stress eccessivo, e controproducente, bensì impegnandosi a sforzi graduali e compatibili con lo stato dell'economia e del tessuto sociale e produttivo del Paese, senza costringerlo a imprese impossibili;
    viene, cioè, fissato l'obiettivo, ma il suo conseguimento è affidato alle politiche che ciascun Governo adotta autonomamente, tenendo conto delle specificità e delle concrete condizioni della propria economia. Per cui il grado di conseguimento dell'obiettivo varia da Paese a Paese e di anno in anno. «I criteri di convergenza economica rispetto a debito, deficit, inflazione e tassi di interesse da inserire nel Trattato non devono essere applicati in maniera meccanica e occorre lasciare la possibilità di sviluppare un'attenta valutazione politica», annunciò in conferenza stampa, soddisfatto, Guido Carli;
    i parametri, dunque, furono fissati, ma con una dose di flessibilità. Il deficit, per esempio, doveva essere minore o uguale al 3 per cento del prodotto interno lordo, certo, ma andava comunque tutto bene anche se i singoli Stati dimostravano che il rapporto diminuiva in modo sostanziale e continuo nel tempo, raggiungendo livelli sempre più vicini al valore di riferimento. Allo stesso modo, il debito non doveva superare il 60 per cento del prodotto interno lordo, a meno che il Paese non dimostrasse di essere in grado di ridurre quel rapporto in misura sufficiente, avvicinandosi al valore di riferimento con un ritmo adeguato;
    pochi anni dopo, nel 1997, il trattato di Maastricht è stato modificato proprio in questo punto fondamentale. Ma non attraverso un nuovo Trattato, che avrebbe comportato la ratifica dei parlamenti nazionali o un referendum popolare, come era già avvenuto per Maastricht; bensì attraverso dei regolamenti, che non necessitano di alcun via libera popolare, diretto o indiretto per via parlamentare;
    con il patto di stabilità, quindi, dei regolamenti sono stati elevati al rango di Trattati, allorquando essi possono solo disciplinare l'applicazione delle disposizioni previste dai trattati, senza mai entrare, però, in contraddizione con questi ultimi;
    i regolamenti in questione, che costituiscono il patto di stabilità, sono il n. 1466/97 e il n. 1467/97, del 17 giugno 1997, entrati in vigore a marzo 1998. Con un colpo di mano, introducono quel principio di rigidità che Guido Carli era riuscito a evitare. Pertanto il rispetto dei vincoli di bilancio diventa forzato e indipendente dai governi e dalle politiche che essi intendono implementare, nonché incurante delle fasi di congiuntura economica sfavorevole;
    inoltre, vengono inseriti meccanismi di sorveglianza e sanzionatori che, oltre a far venire meno la filosofa portante del trattato di Maastricht, tolgono di fatto agli Stati membri la piena autonomia nelle scelte di politica economica. Si realizza così, con strumenti giuridicamente inadeguati (si ripete: due regolamenti e non un trattato), il primo vero «scippo» di sovranità degli Stati nazionali da parte dell'Europa. Anzi, per essere precisi, di Germania e Francia. Il tutto senza alcun dibattito politico-parlamentare. D'altronde, i regolamenti non lo richiedevano. Tattica perfetta dell'asse franco-tedesco;
    il patto di stabilità resta in vigore fino al 6 dicembre 2011, e pochi giorni dopo, il 13 dicembre 2011, ne entra in vigore uno nuovo e rinforzato. Le misure in esso contenute, denominate six pack, sono scritte in 5 regolamenti e una direttiva approvate dal Parlamento europeo a novembre 2011. Stessi principi dei due precedenti regolamenti, stessi meccanismi di sorveglianza e sanzionatori;
    anche in questo caso (Consiglio europeo del 17 giugno 2010), qualcuno fece inserire una clausola di flessibilità, sulla linea di quanto fatto in passato da Guido Carli: l'allora Presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, che insistette a lungo affinché nel percorso di avvicinamento agli obiettivi di bilancio si tenesse conto dei cosiddetti «fattori rilevanti», vale a dire delle specificità delle economie dei singoli Paesi, e del ciclo economico;
    in particolare, la proposta di Berlusconi era incentrata sulla previsione di «attribuire importanza maggiore ai livelli, all'andamento e alla sostenibilità globale dell'indebitamento degli Stati» e che, pertanto, nel calcolo del rapporto debito/prodotto interno lordo si comprendesse, al nominatore, oltre al debito pubblico, anche quello di famiglie e imprese;
    prendendo in considerazione l'indebitamento aggregato, infatti, l'Italia è seconda solo alla Germania. E rivedendo in tal senso i parametri del six pack, sarebbe chiamata a uno sforzo di riduzione del debito pubblico ridotto almeno alla metà rispetto alle manovre del 3 per cento annuo del prodotto interno lordo per 20 anni previste dalle regole attuali e che oggi strozzano il nostro Paese;
    è nato così il fiscal compact, approvato dai capi di Stato e di governo a Bruxelles il 2 marzo 2012, e ratificato in Italia il 19 luglio 2012. Nonostante esso rechi «Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell'unione economica e monetaria», neanche il fiscal compact ha il rango di trattato in grado di modificare Maastricht, in quanto non è stato adottato all'unanimità, visto che è mancato il voto dell'Inghilterra. Per questo oggi, a cinque anni di distanza, ci si trova a valutare, come previsto dall'articolo 16 dello stesso, la possibilità di recepire l'accordo internazionale nell'ambito dei Trattati europei,

impegna il Governo

1) ad intervenire in tutte le sedi europee, assumendo ogni opportuna iniziativa volta al ritorno all'impianto originale del trattato di Maastricht e alla sospensione di tutte le modifiche intervenute successivamente, in primis il Fiscal Compact, attraverso strumenti legislativi inadeguati e, per alcuni versi, di dubbia legittimità, che hanno squilibrato il sistema europeo.
(1-01604) «Brunetta».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

prodotto interno lordo

accordo internazionale

condizione economica