ATTO CAMERA

MOZIONE 1/00352

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 182 del 04/03/2014
Firmatari
Primo firmatario: MIGLIORE GENNARO
Gruppo: SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
Data firma: 03/03/2014
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
BORDO FRANCO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 03/03/2014
PALAZZOTTO ERASMO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 03/03/2014
LACQUANITI LUIGI SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 03/03/2014
ZAN ALESSANDRO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 03/03/2014
PELLEGRINO SERENA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 03/03/2014
ZARATTI FILIBERTO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 03/03/2014
FERRARA FRANCESCO DETTO CICCIO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 03/03/2014
CATALANO IVAN MISTO-ALTRE COMPONENTI DEL GRUPPO 05/03/2014


Stato iter:
IN CORSO
Fasi iter:

APPOSIZIONE NUOVE FIRME IL 05/03/2014

Atto Camera

Mozione 1-00352
presentato da
MIGLIORE Gennaro
testo di
Mercoledì 5 marzo 2014, seduta n. 183

   La Camera,
premesso che:
nel 1994 il ricercatore oceanico Charles Moore fonda la «Algalita Marine Research Foundation», una fondazione per la ricerca sugli ecosistemi marini;
nel 1997 Charles Moore scopre la presenza nel nord dell'oceano Pacifico di una grande chiazza di immondizia (great pacific garbage pacth), ossia un enorme accumulo di spazzatura galleggiante composto soprattutto da materiale di plastica;
l'isola di plastica, ribattezzata il «sesto continente» dall'oceanografo, è approssimativamente situata fra il 135o e il 155o meridiano ovest e fra il 35o e il 42o parallelo nord;
l'estensione del «sesto continente» non è nota con esattezza, ma sia le ricerche della fondazione che le ricerche della Marina degli Stati Uniti, stimano che l'estensione può andare dai 700.000 chilometri quadrati fino a più di 10 milioni di chilometri quadrati, cioè un'area più grande della Spagna a un'area più estesa degli Stati Uniti, ovvero tra lo 0,41 per cento e il 5,6 per cento dell'oceano Pacifico;
questa immensa massa di rifiuti è composta per oltre l'80 per cento da materiali di plastica che negli ultimi decenni si è triplicata. La massa di rifiuti è divisa in due grandi blocchi che vengono tenuti insieme dal «vortice subtropicale del nord Pacifico» (North Pacific Subtropical Gyre), una lenta corrente oceanica che si muove in senso orario a spirale, consentendo ai rifiuti galleggianti di aggregarsi tra loro;
i materiali di plastica maggiormente presenti nella grande chiazza di rifiuti sono le buste di plastica, il cui accumulo si è formato a partire dagli anni ’50;
l'esistenza della grande chiazza di rifiuti fu preconizzata in un documento pubblicato nel 1988 dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) degli Stati Uniti. Le predizioni erano basate su risultati ottenuti da diversi ricercatori con base in Alaska che, fra il 1985 e il 1988, misurarono le aggregazioni di materiali plastici nel nord dell'oceano Pacifico;
una chiazza similare di detriti è presente anche nell'oceano Atlantico, in una zona compresa/fra le latitudini di 22o Nord e 38o Nord, corrispondente all'incirca al mar dei Sargassi;
nel giugno del 2006 un programma ambientale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite ha stimato che ci sono una media di 20.000 frammenti di plastica presenti in ogni chilometro quadrato di superficie oceanica e, nelle aree più contaminate la media passa a 400.000 frammenti di plastica;
la plastica si sta accumulando anche nei nostri mari e, recentemente, sono state riscontrate due grosse correnti di plastica tra Cagliari e le Isole Egadi e tra La Spezia e l'arcipelago toscano;
la plastica non si degrada, ma si foto degrada in pezzi sempre più piccoli fino alle dimensioni dei polimeri che la compongono, la cui ulteriore biodegradazione è molto difficile. La plastica e i suoi frammenti agiscono come spugne assorbendo tutti gli inquinanti chimici dispersi in acqua come i metalli pesanti, gli inquinanti organici persistenti (POP's) tra cui gli insetticidi clorurati di prima generazione (dieldrin, DDT, toxafene, clordano), prodotti chimici industriali come i bifenili policlorurati (PCB) e sottoprodotti industriali come la diossina;
la contaminazione antropogena, che ha causato il crearsi del «sesto continente», ha consentito l'alterazione della catena alimentare nel senso che le particelle di plastica assomigliano allo zooplancton (il rapporto è 6 a 1) e le meduse e i calamari che se ne cibano vengono a loro volta mangiati da altri pesci;
oltre alla compromissione della catena alimentare, vi è anche quella dell'ecosistema marino che vede delfini, foche, tartarughe, balene, per un totale di 100.000 l'anno, morire soffocati, strozzati o per danni irreparabili all'apparato digestivo causati dall'ingestione di sacchetti di plastica, reti da pesca in plastica e detriti plastici vari;
ogni anno nel mondo vengono consumati dai 500 ai 1000 miliardi di sacchetti di plastica con una media di utilizzo che va dai 10 ai 20 minuti. Nei Paesi industrializzati il consumo pro capite di sacchetti di plastica va dai 200 ai 400 all'anno;
in Europa si stima che vengono usati 100 miliardi di sacchetti di plastica ogni anno. Per produrre una quantità simile di buste si consumano 700.000 tonnellate di petrolio con l'emissione in atmosfera di 1,4 milioni di tonnellate di anidride carbonica all'anno;
in Italia si producono circa 220 mila tonnellate di buste di plastica all'anno (l'equivalente di 500 mila tonnellate di petrolio) con un'emissione in atmosfera di circa 200 mila tonnellate di anidride carbonica;
si stima che il consumo annuo in Italia di buste di plastica sarebbe all'incirca di 20 miliardi di sacchetti e in discarica finiscono circa 2 milioni di tonnellate di plastica;
i tempi di degrado delle buste di plastica variano da decine a centinaia di anni a seconda dello spessore e delle condizioni ambientali. In acqua si stima che la plastica si degradi in un tempo che va dai 450 anni a quasi 1000 anni;
ogni anno nel mondo si producono circa 154 miliardi di bottiglie di plastica (PET) la cui produzione richiede il consumo di 13,8 miliardi di litri di petrolio con la conseguente immissione in atmosfera di circa 10 miliardi di tonnellate di anidride carbonica;
in Italia si consumano circa 15 miliardi di bottiglie in PET e solo il 20 per cento di queste viene riciclato, mentre la restante parte finisce in discarica;
il comma 1129 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007) afferma che: «...ai fini della riduzione delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera, del rafforzamento della protezione ambientale e del sostegno alle filiere agro industriali nel campo dei biomateriali, è avviato, a partire dall'anno 2007, un programma sperimentale a livello nazionale per la progressiva riduzione della commercializzazione di sacchi per l'asporto delle merci che, secondo i criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle nome tecniche approvate a livello comunitario, non risultino biodegradabili.»;
il comma 1130 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007) afferma che: «...il programma di cui al comma 1129, definito con decreto del Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e con il Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, è finalizzato ad individuare le misure da introdurre progressivamente nell'ordinamento interno al fine di giungere al definitivo divieto, a decorrere dal 1° gennaio 2010, della commercializzazione di sacchi non biodegradabili per l'asporto delle merci che non rispondano entro tale data, ai criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle norme tecniche approvate a livello comunitario»;
il comma 21-novies dell'articolo 23 del decreto-legge n. 78 del 2009 («decreto anticrisi»), convertito con modificazioni, dalla legge n. 102 del 3 agosto 2009, ha prorogato il termine del definitivo divieto della commercializzazione di sacchi non biodegradabili per l'asporto di merci al 1o gennaio 2011;
i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico pro tempore in data 18 marzo 2013 (Gazzetta Ufficiale del 27 marzo 2013) hanno emanato un decreto interministeriale con il quale si individuano le caratteristiche tecniche dei sacchi per l'asporto merci e, in particolare, per i sacchetti di plastica che però, per mancanza di una precisa normativa, hanno continuato a circolare nell'utilizzo quotidiano. Il decreto interministeriale chiarisce e definisce una precisa normativa che incrementa, così dovrebbe, l'uso di quelli ecofriendly, che dovrebbe contribuire alla strategia nazionale per la decarbonizzazione dell'economia (piano di azione nazionale per la riduzione dei livelli di emissione di gas ad effetto serra approvato in data 8 marzo 2013 dal Comitato interministeriale per la programmazione economica, CIPE). Il provvedimento è stato concepito per stimolare lo sviluppo della filiera produttiva, incentivare la chimica verde e mettere l'Italia in linea con la normativa comunitaria in materia;
il decreto interministeriale definisce le categorie di sacchi per l'asporto di merci – destinate sia all'uso alimentare che non alimentare – e la commercializzazione, specificando il tipo di sacchetti che possono essere utilizzati. Tra questi rientrano quelli monouso biodegradabili e compostabili conformi alla norma armonizzata Uni En 13432:2002 e quelli riutilizzabili in carta, in tessuti di fibre naturali, fibre di poliamminide e materiali diversi dai polimeri. I consumatori devono essere informati sull'idoneità dei sacchi per l'asporto delle merci attraverso una dicitura, riportata sia nei monouso che nei riutilizzabili;
il mancato rispetto di quanto previsto dal combinato disposto delle norme summenzionate, è sanzionato dall'articolo 2 del decreto-legge n. 2 del 25 gennaio 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 28 del 24 marzo 2012. Il decreto stabilisce anche le caratteristiche chimico-fisiche dei sacchetti per l'asporto che possono circolare, ossia: due tipi monouso biodegradabili e compostabili (ai sensi della norma armonizzata Uni En 13432:2002), oppure riutilizzabili con maniglia esterna di spessore superiore a 200 micron (uso alimentare) e 60 micron (altri usi). In aggiunta, i sacchi realizzati con polimeri non conformi alla norma armonizzata devono contenere una percentuale di almeno il 10 per cento di plastica riciclata, che sale al 30 per cento per quelli ad uso alimentare. Dal 1o gennaio 2013 la commercializzazione dei sacchi non conformi è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.500 a euro 25.000;
l'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria per la commercializzazione degli shopper non biodegradabili per l'asporto, è stata prorogata alla data del 31 dicembre 2013 dall'articolo 2 comma 4 dal decreto-legge n. 2 del 25 gennaio 2012. L'articolo 34, comma 30, del decreto-legge n. 179 del 18 ottobre 2012 ha modificato il termine del 31 dicembre 2013 rimandando il tutto, così come recita il comma: «...a decorrere dal sessantesimo giorno dall'emanazione dei decreti di natura non regolamentare di cui al comma 2...»;
in data 27 marzo 2013 viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto ministeriale del 18 marzo 2013 che definisce le caratteristiche tecniche dei sacchetti monouso biodegradabili e compostabili e di quelli riutilizzabili che possono circolare. Le norme diventano efficaci dopo la pronuncia di compatibilità con la normativa europea in materia – direttiva 94/62/CE – da parte della Commissione europea;
in data 13 giugno 2013 la Commissione europea doveva esprimersi sulla compatibilità delle norme italiane sui «bioshopper». La Commissione europea proroga di 90 giorni la decisione da assumere;
in data 13 settembre 2013 è scaduto il termine entro il quale la Commissione europea doveva esprimersi sulla compatibilità delle norme italiane sui «bioshopper» con la direttiva 94/62/CE. Il decreto e le relative sanzioni previste dal decreto-legge n. 2 del 25 gennaio 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 28 del 24 marzo 2012 sono «congelate»;
in data 4 novembre 2013 la Commissione europea ha licenziato una proposta di direttiva che modifica la direttiva madre sugli imballaggi (94/62/CE) con lo scopo di ridurre ed eliminare il consumo di sacchetti di plastica in materiale leggero (sotto i 50 micron). Gli Stati membri possono raggiungere l'obiettivo anche vietando la circolazione dei sacchetti in deroga all'articolo 18 della direttiva del 1994 che contrariamente stabilisce che la circolazione degli imballaggi nell'Unione non può essere limitata;
in data 21 novembre 2013 il Commissario europeo all'ambiente, Janez Potocnik, rispondendo a una interrogazione parlamentare, dichiara che la Commissione europea non si è ancora espressa sulla compatibilità delle norme italiane con la «direttiva imballaggi» (94/62/CE);
in data 14 gennaio 2014 il Parlamento europeo approva una risoluzione che invita la Commissione a modificare la «direttiva imballaggi» (94/62/CE) per arrivare a eliminare o ridurre drasticamente al 2020 i sacchetti di plastica monouso che non siano riutilizzabili, biodegradabili e compostabili;
risulta ai firmatari del presente atti di indirizzo che la disciplina normativa e sanzionatoria prevista dal decreto-legge n. 2 del 25 gennaio 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 28 del 24 marzo 2012, di fatto non è operativa;
la Commissione europea a fronte dell'eccessivo inquinamento dei fiumi e dei mari causato dalla plastica, conosciuto come «marine litter», ha avviato una consultazione pubblica, che è stata aperta fino al 18 dicembre 2013, nel quadro della revisione degli obiettivi previsti dalle direttive su rifiuti, imballaggi e discariche, dove pescatori, cittadini, associazioni ed esperti hanno potuto proporre soluzioni al problema nell'ottica della riduzione dei rifiuti e del perseguimento di qualunque strategia per raggiungere questo risultato. Gli utenti sono stati chiamati ad esprimersi anche sull'efficacia delle misure intraprese finora per la lotta al «marine litter». Le risultanze serviranno alla Commissione europea per fissare il primo obiettivo per contenere i rifiuti dei mari e dei fiumi e lavorare per la futura riduzione. Questa campagna precede ed è propedeutica alla formulazione di un obiettivo di riduzione quantitativa per i rifiuti marini che dovrebbe tradursi in una Comunicazione da parte della Commissione europea prevista per il 2014;
il «rapporto rifiuti urbani 2013» dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, ISPRA, descrive nella sezione «Gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio» che vi è, rispetto al biennio 2010-2011, un forte calo dell'immesso al consumo degli imballaggi in legno e carta, pari rispettivamente a 143 mila tonnellate (-6,2 per cento) e 146 mila tonnellate (-3,3 per cento), per i quali le applicazioni predominanti sono quelle commerciali ed industriali. Anche l'acciaio fa registrare una diminuzione, pari a 46 mila tonnellate (-9,5 per cento), la plastica e il vetro presentano, invece, contrazioni più ridotte, pari a 23 mila tonnellate e 39 mila tonnellate (rispettivamente -1,1 per cento e -1,7 per cento). Quindi, è molto meno marcata la riduzione degli imballaggi primari legati tipicamente ai consumi alimentari;
l'Istituto di chimica e tecnologia dei polimeri, ICTP, del Consiglio nazionale di ricerca, CNR, di Pozzuoli (Napoli) ha messo a punto tecniche per l'utilizzo di materie prime di origine vegetale, non utilizzate per scopi alimentari, come le bucce dei pomodori San Marzano, da cui è stato ottenuto un film biodegradabile, biocompatibile e non tossico da utilizzare per le pacciamature delle piante, ossia quel processo di protezione e aiuto alla crescita delle piante nella fase più delicate dello sviluppo con alcuni strati di plastica stesi al suolo. Si pensi, che nel mondo vengono usate ogni anno circa 700 mila tonnellate di plastiche pacciamanti e che il loro destino è quello di un difficile riciclo, in quanto contaminate da terra e sostanze organiche, o di finire nel terreno compromettendo la fertilità del suolo. Il vantaggio socio-ambientale non è soltanto quello di essere composto da sostanze organiche; esso può essere utilizzato anche sotto forma di spray e non ha bisogno di essere rimosso, funzionando da ammendante del suolo perché si decompone a contatto con l'acqua piovana – mantenendo le performance per tempi confrontabili ai tradizionali additivati – dopo un certo periodo non lasciando tracce e inquinanti;
in Italia l'azienda Bio-on ha realizzato e brevettato la prima bioplastica PHAs (Polidrossialcanoati) al mondo completamente e naturalmente biodegradabile in acqua e al suolo. Si tratta della Minerv-PHA, un polimero biologico per la cui produzione si utilizzano gli scarti della lavorazione della barbabietola e della canna da zucchero i quali anziché rappresentare un costo di smaltimento, diventano una risorsa economica con risvolti positivi sull'ambiente e l'ecosistema. Questo tipo di bioplastica è resistente al calore fino a 200o C, è impermeabile ai gas e ai liquidi e ha prestazioni meccaniche eccellenti. I seguiti applicativi di questo polimero biologico sono diversi, si va dalla possibilità di utilizzarlo come substrato per i circuiti elettrici o, combinato con opportune nano cariche può diventare un conduttore di elettricità con prospettive straordinarie prima su tutte quella di ridurre drasticamente l'impatto che il fenomeno conosciuto e-waste ha sull'ambiente con i suoi 50 milioni di tonnellate di rifiuti prodotti ogni anno nel mondo dall'elettronica. Alcuni ricercatori dei dipartimenti di ingegneria delle Università di Modena e Reggio Emilia stanno studiando la possibilità di incorporare circuiti elettrici ed elettronici in substrati plastici, al fine di ottenere un'elettronica flessibile, leggera, facilmente integrabile e sostenibile. La bioplastica PHAs può essere utilizzata anche per rigenerare un tessuto umano, in particolare per realizzare la struttura di supporto (scaffold) di colture di cellule ossee; strutture grazie alle quali è possibile rigenerare un osso umano. In laboratorio è stato dimostrato, empiricamente, che questo tipo di bioplastica, opportunamente combinata con particelle di ceramica o vetrose osteoinduttive in strutture altamente porose, sia adatto alla costruzione di scaffolds compositi privi di citotossicità;
negli Stati Uniti l'azienda Ecovativedesign ha brevettato un sistema che permette di realizzare sostanze simili al polistirolo e alle schiume plastiche attraverso la coltura di funghi. Le spore dei funghi vengono fatte crescere direttamente su scarti vegetali in stampi della forma desiderata. Nel giro di una settimana, senza bisogno di acqua, luce o sostanze chimiche, l'intreccio dei miceti produce una speciale plastica sostenibile. I primi contenitori in bioplastica sono già in vendita e la loro applicazione per il momento è quella dei contenitori, per esempio i gusci salva bottiglie, ma è imminente il lancio di materiali per l'edilizia e le carrozzerie delle auto;
una studentessa turca, Elif Bilgin, è riuscita a mettere a punto un processo con cui è possibile produrre dalle bucce di banane una bioplastica dall'alto valore tecnologico e ambientale. Dopo due anni di perfezionamento della tecnica la studentessa è riuscita ad ottenere polimeri funzionali che, grazie al contenuto di amido e cellulosa contenuti nella buccia possono essere utilizzati per creare materiali isolanti elettrici e protesi mediche. La studentessa è stata proclamata vincitrice nel 2013 del più importante premio internazionale «Science in Action» della Scientific American;
gli esempi nel mondo di nuove scoperte nel campo della tecnica e della scienza applicati al campo della chimica verde potrebbero avere quale risvolto positivo sugli ecosistemi della società, quello di ridurre drasticamente il fenomeno dell'inquinamento causato dalla plastica prodotta da fonte fossile con la progressiva scomparsa a lungo-lunghissimo termine;
le continue ricerche sulla bioplastica, all'interno dei nuovi scenari socio-economici che offre la «bioeconomia», potrebbero contribuire in modo significativo ad una vera e propria nuova rivoluzione della chimica con la possibilità di riqualificare vaste aree deindustrializzate del Paese, generare nuova occupazione, qualità ambientale e cultura;
il «cluster tecnologico nazionale della chimica verde» è stato creato nell'ambito della Comunicazione (2011)809 della Commissione europea che istituisce il programma quadro di ricerca e innovazione «Horizon 2020», sotto la priorità «Bioeconomy». Il cluster intende sviluppare a livello nazionale la promozione delle bioindustrie europee a basse emissioni di carbonio, efficienti sotto il profilo delle risorse, sostenibili e competitive. Le attività si concentrano sulla promozione della bioeconomia con la trasformazione dei processi e dei prodotti industriali convenzionali in prodotti e processi biologici efficienti nell'uso delle risorse e dell'energia, con lo sviluppo di bioraffinerie che utilizzano biomassa, rifiuti biologici e biotecnologici sottoprodotti derivati dalla produzione primaria e l'apertura di nuovi mercati attraverso il sostegno alla standardizzazione, alla regolamentazione e alle attività dimostrative/sperimentali e altri, tenendo conto delle conseguenze della bioeconomia sull'utilizzazione del terreno e delle modifiche di destinazione del terreno,

impegna il Governo:

ad avviare un monitoraggio rispetto alla presenza dell'accumulo anche nei mari italiani delle due grosse correnti di plastica situate tra Cagliari e le isole Egadi e tra La Spezia e l'arcipelago toscano e, conseguentemente, a porre in essere tutte le azioni volte alla bonifica e alla tutela ambientale dell'ecosistema marino;
ad avviare indagini epidemiologiche sull'eventualità del rischio di contaminazione della catena alimentare ad opera delle due grosse correnti di plastica;
a sollecitare e farsi promotore nelle istituzioni internazionali di un programma mondiale di monitoraggio della great pacific garbage pacth e della chiazza similare di detriti presente anche nell'oceano Atlantico, in una zona corrispondente all'incirca al Mar dei Sargassi, al fine di conoscere la reale entità e il suo grado di evoluzione e, conseguentemente, avviare i protocolli internazionali con cui procedere alla bonifica del «sesto continente»;
in sede comunitaria, a far sì che venga trasmessa all'Italia l'espressione della compatibilità delle norme italiane sui «bioshopper» alle norme dell'Unione europea, a fronte del fatto che il termine entro il quale la Commissione europea doveva esprimersi è scaduto il 13 settembre 2013 e, contestualmente, a far sì che nel semestre europeo di presidenza dell'Italia, venga rivista la «Direttiva imballaggi» (94/62/CE) alla luce delle nuove scoperte tecniche-scientifiche sulle bioplastiche a impatto zero e delle applicazioni che queste possono trovare negli indotti delle attività produttive;
a incentivare lo sviluppo di «chemical» da fonti rinnovabili, con particolare riferimento all'utilizzo di prodotti di scarto dell'industria agroalimentare, residui forestali locali, o comunque a materie prime vegetali coltivate in terreni marginali o abbandonati dall'agricoltura;
a porre in essere ogni iniziativa di competenza finalizzata ad adottare – entro la data di inizio del prossimo semestre europeo – un «piano nazionale per la bioeconomia», già istituito in Europa da Germania, Olanda, Danimarca, Irlanda, Repubblica Ceca ed in via di definizione in Francia, che introduca un nuovo sistema di politica industriale-ambientale teso a favorire la riqualificazione ed il rilancio delle aree del Paese deindustrializzate, a sostenere la ricerca universitaria, l'innovazione pubblica e privata, i processi di internazionalizzazione e le reti di imprese, e, infine, a incoraggiare la domanda e l'offerta di bioprodotti.
(1-00352) «Migliore, Franco Bordo, Palazzotto, Lacquaniti, Zan, Pellegrino, Zaratti, Ferrara, Catalano».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC :

protezione dell'ambiente

lotta contro l'inquinamento

riduzione delle emissioni gassose

gestione dei rifiuti

materia plastica

ambiente marino

armonizzazione delle norme