Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Disposizioni urgenti in materia di sicurezza, contrasto della violenza in genere, protezione civile e commissariamento delle province - D.L. 93/2013 ' A.C. 1540 - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 1540/XVII   DL N. 93 DEL 16-AGO-13
Serie: Progetti di legge    Numero: 60
Data: 05/09/2013
Descrittori:
COMMISSARIO STRAORDINARIO   DONNE
LESIONI PERSONALI   PROTEZIONE CIVILE
PROVINCE   PUBBLICA SICUREZZA
REATI SESSUALI     
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni
II-Giustizia

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Disposizioni urgenti in materia di sicurezza, contrasto della violenza di genere, protezione civile e commissariamento delle province

D.L. 93/2013 – A.C. 1540

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 60

 

 

 

5 settembre 2013

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi

Dipartimento Affari costituzionali

( 066760-3144 / 066760-3855 – * st_istituzioni@camera.it

Dipartimento Giustizia

( 066760-9148 / 066760-9559 – * st_giustizia@camera.it

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

 

La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.

File: D13093.doc

 


INDICE

Schede di lettura

Capo I (Prevenzione e contrasto della violenza di genere)                         

§      Articolo 1 (Norme in materia di maltrattamenti, violenza sessuale e atti persecutori)          11

§      Articolo 2 (Modifiche al codice di procedura penale e disposizioni concernenti i procedimenti penali per i delitti di cui all’articolo 572 del codice penale)                                       17

§      Articolo 3 (Misura di prevenzione per condotte di violenza domestica)       21

§      Articolo 4 (Tutela per gli stranieri vittime di violenza domestica)                  27

§      Articolo 5 (Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere)     31

Capo II (Norme in materia di sicurezza per lo sviluppo, di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e per la prevezione e il contrasto di fenomeni di particolare allarme sociale)          

§      Articolo 6 (Disposizioni finanziarie concernenti l’accelerazione degli interventi del POM Sicurezza nelle regioni del Mezzogiorno, il comparto sicurezza e difesa e la chiusura dell’emergenza nord Africa)                                                                                                            35

§      Articolo 7 (Disposizioni in materia di arresto in flagranza in occasione di manifestazioni sportive e per il contrasto alle rapine, nonché in materia di concorso delle forze armate nel controllo del territorio) 41

§      Articolo 8 (Contrasto al fenomeno dei furti in danno di infrastrutture energetiche e di comunicazione) 45

§      Articolo 9 (Frode informatica commessa con sostituzione d’identità digitale) 47

Capo III (Norme in tema di protezione civile)                                                 

§      Articolo 10 (Modifiche alla legge 24 febbraio 1992, n. 225)                          55

§      Articolo 11 (Disposizioni per il potenziamento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco)       61


 

Capo IV (Norme in tema di gestioni commissariali delle province)             

§      Articolo 12 (Gestioni commissariali delle province)                                      63

§      Articolo 13 (Entrata in vigore)                                                                        69

 

 


Schede di lettura

 


Capo I
(Prevenzione e contrasto della violenza di genere)

Il Capo I del decreto-legge, composto dagli articoli da 1 a 5, è dedicato al contrasto e alla prevenzione della violenza di genere.

Come specificato anche nella relazione illustrativa del disegno di legge, alcune disposizioni introdotte intendono dare attuazione nel nostro ordinamento alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (c.d. Convenzione di Istanbul).

 

La Convenzione di Istanbul

La Convenzione, fatta ad Istanbul l'11 maggio 2011, è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza. La Convenzione interviene specificamente anche nell'ambito della violenza domestica, che non colpisce solo le donne, ma anche altri soggetti, ad esempio bambini ed anziani, ai quali altrettanto si applicano le medesime norme di tutela.

Per entrare in vigore, la Convenzione necessita della ratifica di almeno 10 Stati, tra i quali 8 membri del CdE; al momento, gli Stati firmatari sono 30, 4 dei quali hanno anche ratificato (Albania, Montenegro, Portogallo e Turchia). L'Italia ha sottoscritto la Convenzione il 27 settembre 2012 e il Parlamento ha autorizzato la ratifica con la legge n. 77/2013 (lo strumento di ratifica non risulta essere stato ancora depositato ufficialmente).

 

La Convenzione si compone di un Preambolo, di 81 articoli raggruppati in dodici Capitoli, e di un Allegato.

Il Preambolo ricorda innanzitutto i principali strumenti che, nell'ambito del Consiglio d'Europa e delle Nazioni Unite, sono collegati al tema oggetto della Convenzione e sui quali quest'ultima si basa. Tra di essi riveste particolare importanza la CEDAW (Convenzione Onu del 1979 sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne) e il suo Protocollo opzionale del 1999 che riconosce la competenza della Commissione sull'eliminazione delle discriminazioni contro le donne a ricevere e prendere in esame le denunce provenienti da individui o gruppi nell'ambito della propria giurisdizione[1].

Il Preambolo della Convenzione in esame riconosce inoltre che la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi ed aspira a creare un'Europa libera da questa violenza.

Gli Obiettivi della Convenzione sono elencati nel dettaglio dall'articolo 1. Oltre a quanto già esplicitato nel titolo della Convenzione stessa, appare importante evidenziare l'obiettivo di creare un quadro globale e integrato che consenta la protezione delle donne, nonché la cooperazione internazionale e il sostegno alle autorità e alle organizzazioni a questo scopo deputate.

Di rilievo inoltre la previsione che stabilisce l'applicabilità della Convenzione sia in tempo di pace sia nelle situazioni di conflitto armato, circostanza, quest'ultima, che da sempre costituisce momento nel quale le violenze sulle donne conoscono particolare esacerbazione e ferocia.

Contestualmente alla firma, l'Italia ha depositato presso il Consiglio d'Europa una nota verbale con la quale ha dichiarato che "applicherà la Convenzione nel rispetto dei princìpi e delle previsioni costituzionali". Tale dichiarazione interpretativa - apposta anche a seguito di quanto chiesto al Governo con le mozioni approvate al Senato il 20 settembre 2012 – è motivata dal fatto che la definizione di "genere" contenuta nella Convenzione - l'art. 3, lettera c) recita: "con il termine genere ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini" - è ritenuta troppo ampia e incerta e presenta profili di criticità con l'impianto costituzionale italiano[2].

L'articolo 4 della Convenzione sancisce il principio secondo il quale ogni individuo ha il diritto di vivere libero dalla violenza nella sfera pubblica e in quella privata. A tal fine le Parti si obbligano a tutelare questo diritto in particolare per quanto riguarda le donne, le principali vittime della violenza basata sul genere (ossia di quella violenza che colpisce le donne in quanto tali, o che le colpisce in modo sproporzionato).

Poiché la discriminazione di genere costituisce terreno fertile per la tolleranza della violenza contro le donne, la Convenzione si preoccupa di chiedere alle Parti l'adozione di tutte le norme atte a garantire la concreta applicazione del principio di parità tra i sessi corredate, se del caso, dall'applicazione di sanzioni.

I primi a dover rispettare gli obblighi imposti dalla Convenzione sono proprio gli Stati i cui rappresentanti, intesi in senso ampio, dovranno garantire comportamenti privi di ogni violenza nei confronti delle donne (art. 5).

L'articolo 5 prevede anche un risarcimento delle vittime di atti di violenza commessi da soggetti non statali, che può assumere forme diverse (riparazione del danno, indennizzo, riabilitazione, ecc.). L'indennizzo da parte dello Stato è disciplinato dall'art. 30, par. 2, della Convenzione ed è accordato alle vittime se la riparazione non è garantita da altre fonti[3].

Ampio spazio viene dato dalla Convenzione alla prevenzione della violenza contro le donne e della violenza domestica. La prevenzione richiede un profondo cambiamento di atteggiamenti e il superamento di stereotipi culturali che favoriscono o giustificano l'esistenza di tali forme di violenza. A tale scopo, la Convenzione impegna le Parti non solo ad adottare le misure legislative per prevenire la violenza, ma anche alla promozione di campagne di sensibilizzazione, a favorire nuovi programmi educativi e a formare adeguate figure professionali.

Altro punto fondamentale della Convenzione è la protezione delle vittime. Particolare enfasi viene posta sulla necessità di creare meccanismi di collaborazione per un'azione coordinata tra tutti gli organismi, statali e non, che rivestono un ruolo nella funzione di protezione e sostegno alle donne vittime di violenza, o alle vittime di violenza domestica. Per proteggere le vittime è necessario che sia dato rilievo alle strutture atte al loro accoglimento, attraverso un'attività informativa adeguata che deve tenere conto del fatto che le vittime, nell'immediatezza del fatto, non sono spesso nelle condizioni psico-fisiche di assumere decisioni pienamente informate.

I servizi di supporto possono essere generali (es. servizi sociali o sanitari offerti dalla pubblica amministrazione) oppure specializzati. Fra questi si prevede la creazione di case rifugio e quella di linee telefoniche di sostegno attive notte e giorno. Strutture ad hoc sono inoltre previste per l'accoglienza delle vittime di violenza sessuale.

La Convenzione stabilisce l'obbligo per le Parti di adottare normative che permettano alle vittime di ottenere giustizia, nel campo civile, e compensazioni, in primo luogo dall'offensore, ma anche dalle autorità statali se queste non hanno messo in atto tutte le misure preventive e di tutela volte ad impedire la violenza (sui risarcimenti da parte dello Stato si è già detto più sopra).

La Convenzione individua anche una serie di reati (violenza fisica e psicologica, sessuale, stupro, mutilazioni genitali, ecc.), perseguibili penalmente, quando le violenze siano commesse intenzionalmente e promuove un'armonizzazione delle legislazioni per colmare vuoti normativi a livello nazionale e facilitare la lotta alla violenza anche a livello internazionale. Tra i reati perseguibili penalmente è inserito lo stalking, definito il comportamento intenzionale e minaccioso nei confronti di un'altra persona, che la porta a temere per la propria incolumità. Quanto al matrimonio forzato, vengono distinti i casi nei quali una persona viene costretta a contrarre matrimonio da quelli nei quali una persona viene attirata con l'inganno in un paese estero allo scopo di costringerla a contrarre matrimonio; in quest'ultimo caso, è sanzionabile penalmente anche il solo adescamento, pur in assenza di celebrazione del matrimonio.

La Convenzione torna in più punti sull'inaccettabilità di elementi religiosi o culturali, tra i quali il cosiddetto "onore" a giustificazione delle violenze chiedendo tra l'altro alle Parti di introdurre le misure, legislative o di altro tipo, per garantire che nei procedimenti penali intentati per crimini rientranti nell'ambito della Convenzione, tali elementi non possano essere invocati come attenuante.

In materia di sanzioni, la Convenzione chiede alle Parti di adottare misure per garantire che i reati in essa contemplati siano oggetto di punizioni efficaci, proporzionate e dissuasive, commisurate alla loro gravità.

La Convenzione contiene poi un ampio capitolo di previsioni che riguardano le inchieste giudiziarie, i procedimenti penali e le procedure di legge, a rafforzamento delle disposizioni che delineano diritti e doveri nella Convenzione stessa.

Un Capitolo apposito è dedicato alle donne migranti, incluse quelle senza documenti, e alle donne richiedenti asilo, due categorie particolarmente soggette a violenze di genere. La Convenzione mira ad introdurre un'ottica di genere nei confronti della violenza di cui sono vittime le migranti, ad esempio accordando ad esse la possibilità di ottenere uno status di residente indipendente da quello del coniuge o del partner. Inoltre, viene stabilito l'obbligo di riconoscere la violenza di genere come una forma di persecuzione (ai sensi della Convenzione del 1951 sullo status dei rifugiati) e ribadito l'obbligo di rispettare il diritto del non-respingimento per le vittime di violenza contro le donne.

La Convenzione istituisce infine un Gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (GREVIO) costituito da esperti indipendenti, incaricati di monitorare l'attuazione della Convenzione da parte degli Stati aderenti. Il monitoraggio avverrà attraverso questionari, visite, inchieste e rapporti sullo stato di conformità degli ordinamenti interni agli standard convenzionali, raccomandazioni generali, ecc.). I privilegi e le immunità dei membri del GREVIO sono oggetto dell'Allegato alla Convenzione.

 

Per l’analisi dettagliata dei contenuti della Convenzione si rinvia al dossier “La Convenzione di Istanbul - L'attuazione dell'ordinamento interno” (Documentazione e ricerche n. 50 – 7 agosto 2013).

 

 

Il Parlamento ha ratificato la Convenzione di Istanbul approvando la legge 27 giugno 2013, n. 77.

Per una consapevole scelta del legislatore, la legge n. 77 non detta norme di adeguamento del nostro ordinamento interno motivate dal pieno rispetto della Convenzione. Ciò in quanto è prevalsa l'esigenza di privilegiare la rapida ratifica della Convenzione, essenziale a consentirne l'entrata in vigore; rapida ratifica che sarebbe stata ostacolata da un contenuto normativo più complesso.

Concluso però questo adempimento, il Parlamento è chiamato oggi a valutare le misure che l'impegno internazionale assunto dallo Stato ci impongono.

 

Il Trattato di Lisbona ha riaffermato il principio di uguaglianza tra donne e uomini (già enunciato agli articoli 2, 3 e 13 del previgente Trattato istitutivo della Comunità europea - TCE), inserendolo tra i valori (art. 2 Trattato sull'Unione europea - TUE) e tra gli obiettivi dell’Unione (art. 3, par. 3 TUE). La dichiarazione n. 19 annessa ai Trattati afferma che l’Unione mirerà a lottare contro tutte le forme di violenza domestica. La stessa dichiarazione impegna gli Stati membri ad adottare tutte le misure necessarie per prevenire e punire tali atti criminali e per sostenere e proteggere le vittime. L’eradicazione di tutte le forme di violenza fondate sul genere costituisce una priorità della Strategia 2010-2015 per la promozione della parità fra uomini e donne nell’Unione europea, nonché del Programma di Stoccolma per lo Spazio di libertà sicurezza e giustizia, 2010- 2014.

In questo quadro, tra i recenti interventi legislativi volti a dotare l’Unione europea di strumenti condivisi nella tutela delle vittime di reato, con particolare riguardo alla protezione delle donne vittime di violenza domestica in tutto il territorio dell’UE, si segnala l’adozione della direttiva 2011/99/UE che istituisce l’“Ordine di protezione europeo”, inteso quale strumento basato sul principio del reciproco riconoscimento nell'ambito della cooperazione giudiziaria in materia penale. Emesso su richiesta della persona interessata qualora essa stia per lasciare o abbia lasciato il territorio dello Stato membro che aveva originariamente emesso una misura di protezione in suo favore, l’Ordine di protezione europeo (OPE) sarà riconosciuto nello Stato membro di destinazione che ne darà esecuzione in base alla sua legislazione nazionale.

In particolare, la direttiva stabilisce che l’ordine di protezione europeo potrà essere emesso solo se nello Stato di emissione sia stata precedentemente adottata una misura di protezione che imponga alla persona che determina il pericolo uno o più dei seguenti divieti o delle seguenti restrizioni:

a) divieto di frequentare determinate località, determinati luoghi o determinate zone definite in cui la persona protetta risiede o che frequenta;

b) divieto o regolamentazione dei contatti, in qualsiasi forma, con la persona protetta, anche per telefono, posta elettronica o ordinaria, fax o altro; o

c) divieto o regolamentazione dell’avvicinamento alla persona protetta entro un perimetro definito.

La direttiva dovrà essere recepita dagli Stati membri entro l’11 gennaio 2015. Per quanto riguarda l’Italia, essa figura nell'allegato B della Legge di delegazione europea 2013 (Legge 6 agosto 2013, n 96).

La disciplina citata è stata recentemente completata, per i profili attinenti alla cooperazione giudiziaria in materia civile, con l’adozione del regolamento (UE) n. 606/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 giugno 2013. Parallelamente al citato Ordine di protezione europeo in materia penale, in forza del nuovo regolamento le vittime di stalking, di molestie, o di violenza di genere, e le vittime di violenza domestica in generale (nella maggior parte dei casi, donne o bambini) che abbiano ottenuto dal proprio Stato membro misure di protezione nell’ambito di procedimenti in materia civile potranno spostarsi in altro Stato dell’UE senza che ciò determini la perdita di tale protezione.

In particolare, secondo il regolamento la misura di protezione disposta in uno Stato membro nell’ambito di un procedimento in materia civile è immediatamente riconosciuta in un altro Stato membro senza che sia necessario il ricorso ad alcuna procedura particolare ed è esecutiva senza che sia richiesta una dichiarazione di esecutività.

Un aggiornamento del quadro normativo generale è stato realizzato con l’adozione della direttiva 2012/29/UE che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato.

La direttiva, che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI sulla stessa materia, dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 16 novembre 2015. Anche in questo caso, per quanto riguarda l’Italia, la direttiva figura nell'allegato B della Legge di delegazione europea 2013 (Legge 6 agosto 2013, n 96)

La direttiva contiene un particolare riferimento alla necessità di protezione specifica per le donne vittime di violenza di genere e di violenza domestica e per i loro figli, a motivo dell’elevato rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni, connesso a tale violenza. La direttiva dedica inoltre una particolare attenzione alle vittime di varie forme di pratiche dannose, quali i matrimoni forzati, i cd. “reati d’onore“ e la mutilazione genitale femminile. La direttiva sancisce diritti minimi ovunque esse si trovino nell’UE,al fine di garantire, in particolare, che le vittime di reato siano informate dei loro diritti e delle cause che li riguardano in un modo a loro comprensibile,  siano protette durante la fase delle indagini e quella del procedimento penale; possano prendere parte al procedimento se lo desiderano e siano aiutate ad assistere al processo. La direttiva reca inoltre disposizioni affinché le vittime vulnerabili come minori, vittime di stupro o persone disabili siano identificate e siano adeguatamente tutelate e prevede l’introduzione di percorsi di formazione specifica per le autorità di contrasto e per gli operatori nel settore.  

L’appello ad una sollecita attuazione dei citati atti normativi nelle legislazioni nazionali è contenuto nelle conclusioni adottate dal Consiglio Affari sociali il 6 dicembre 2012 dal titolo “Lotta alla violenza contro le donne e servizi di sostegno a favore delle vittime di violenza domestica”. Il documento impegna peraltro gli Stati membri a:

·      migliorare la raccolta e la diffusione di dati amministrativi e statistici comparabili, affidabili e regolarmente aggiornati, disaggregati per genere, età e relazione vittima-autore della violenza, riguardanti le vittime e gli autori di tutte le forme di violenza contro le donne, collaborando con gli istituti di statistica nazionali ed europei e avvalendosi pienamente, laddove opportuno, dell'operato dell'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere, e sostenere la ricerca e lo scambio di buone pratiche in questo settore;

·      migliorare la registrazione e il trattamento delle denunce, ricevute a livello di Stati membri, da parte delle autorità di polizia, giudiziarie, sanitarie e sociali e delle altre autorità, agenzie, istituzioni e ONG competenti, che operano nel campo della violenza contro le donne, nonché l'individuazione di casi legati a tutte le forme di violenza contro le donne mediante l'uso, ad esempio, del manuale dell'Unione europea sulle migliori pratiche di polizia per superare il logoramento dovuto a situazioni di violenza domestica;

·      fornire adeguata formazione, o intensificarla, per il personale specializzato del settore che si occupa delle vittime e degli autori di tutti gli atti di violenza contro le donne e, se del caso, e conformemente alla normativa e alle prassi nazionali, rafforzare le unità speciali e/o le unità di polizia e le task force speciali che si occupano delle donne vittime di tali atti.

Merita da ultimo segnalare l’insieme di raccomandazioni formulate dal Parlamento europeo nella risoluzione del 5 aprile 2011 sulle priorità e sulla definizione di un nuovo quadro politico dell'UE in materia di lotta alla violenza contro le donne. Oltre a proporre un nuovo approccio politico globale contro la violenza di genere che comprenda uno strumento di diritto penale sotto forma di una direttiva contro la violenza di genere, la risoluzione:

·      esorta gli Stati membri a riconoscere come reati la violenza sessuale e lo stupro a danno di donne, in particolare all'interno del matrimonio e di relazioni intime non ufficializzate e/o se commessi da parenti maschi, nei casi in cui la vittima non era consenziente, e ad assicurare che detti reati siano perseguiti d'ufficio, nonché a respingere ogni riferimento a pratiche culturali, tradizionali o religiose come circostanze attenuanti in casi di violenza contro le donne, compresi i cosiddetti «delitti d'onore» e le mutilazioni genitali femminili;

·      invita gli Stati membri, per quanto riguarda i bambini testimoni di qualsiasi forma di violenza, a sviluppare una consulenza psicosociale appropriata in funzione dell'età specificamente mirata per i bambini in modo che possano far fronte alle loro esperienze traumatiche, e a tenere debitamente conto dell'interesse superiore del bambino;

·      sottolinea che le donne migranti, comprese le donne migranti senza documenti, e le donne che chiedono l'asilo costituiscono due sottocategorie di donne particolarmente vulnerabili alla violenza basata sul genere;

·      invita l'Unione europea e gli Stati membri a predisporre un quadro giuridico che accordi alle donne migranti il diritto di possedere personalmente il proprio passaporto e il proprio permesso di soggiorno e che consenta di ritenere penalmente responsabile chiunque s'impadronisca di tali documenti;

Si ricorda infine che l’Agenzia per i diritti fondamentali dell’Unione europea sta svolgendo una ricerca sull’entità dei fenomeni di violenza di genere nei 28 Stati membri UE, i cui risultati definitivi dovrebbero essere presentati nel corso del primo trimestre 2014.

 

 


Articolo 1
(Norme in materia di maltrattamenti, violenza sessuale
e atti persecutori)

 

L’articolo 1 interviene sul codice penale per novellare la disciplina dei maltrattamenti in famiglia, della violenza sessuale e degli atti persecutori, con tre modalità: l’introduzione di nuove aggravanti; la previsione della irrevocabilità della querela presentata per stalking; il divieto di detenzione di armi in caso di ammonimento del questore per il medesimo reato.

 

Analiticamente, il comma 1 interviene sul delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi previsto dall’art. 572 del codice penale.

 

Si ricorda che l’art. 572 c.p. (recentemente novellato alla legge n. 172 del 2012, di ratifica della Convenzione di Lanzarote) punisce con la reclusione da 2 a 7 anni chiunque «maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte» (primo comma). Il secondo comma, prima dell’entrata in vigore del decreto-legge, prevedeva un aggravio di pena (fino a un terzo) se il fatto è commesso in danno di persona minore degli anni quattordici. Infine, il terzo comma prevede aggravanti speciali per l’ipotesi in cui dal fatto derivino lesioni personali: reclusione da 4 a 9 anni in caso di lesione grave; reclusione da 7 a 15 in caso di lesione gravissima; reclusione da 12 a 24 anni in caso di morte.

 

Il decreto-legge n. 93 ha esteso l’aggravante prevista dal secondo comma, relativa alla commissione del fatto in danno di minore degli anni quattordici:

§         alla commissione del fatto in danno di minorenne, superando il limite dei 14 anni e prevedendo dunque l’aumento di pena fino a un terzo quando vittima dei maltrattamenti è un minore;

§         alla commissione del fatto in presenza di minorenne. La semplice presenza del minore alla commissione del delitto comporta l’applicazione dell’aggravante.

 

Questa disposizione risulta connessa all’attuazione nel nostro ordinamento dell’articolo 46 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (c.d. Convenzione di Istanbul). La disposizione internazionale, infatti, impegna gli Stati a ad adottare misure legislative volte a garantire che (lett. d) quando il reato è commesso «su un bambino o in presenza di un bambino», ciò sia considerato circostanza aggravante.

Si osserva che il decreto-legge introduce questa previsione esclusivamente in relazione al delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.), mentre la Convenzione richiede l’introduzione dell’aggravante in relazione a tutti i reati da essa contemplati.

 

Il comma 2 interviene sull’art. 609-ter del codice penale che individua le ipotesi di violenza sessuale aggravata.

 

L’art. 609-ter del codice penale, nel testo vigente prima della pubblicazione del decreto-legge, prevede la reclusione da 6 a 12 anni se la violenza sessuale (ovvero la costrizione a compiere o subire atti sessuali con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità) è commessa (primo comma):

1) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni quattordici;

2) con l'uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa;

3) da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio;

4) su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale;

5) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni sedici della quale il colpevole sia l'ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore;

5-bis) all’interno o nelle immediate vicinanze di istituto d’istruzione o di formazione frequentato dalla persona offesa.

Il secondo comma individua nella reclusione da 7 a 14 anni la pena per il fatto commesso nei confronti di persona che non ha compiuto 10 anni.

 

Il decreto-legge n. 93 del 2013 ha inserito due ulteriori ipotesi aggravate, che comportano l’applicazione della pena della reclusione da 6 a 12 anni. Si tratta:

§         della violenza sessuale nei confronti di donna in stato di gravidanza;

 

Si ricorda che l’aggravante relativa allo stato di gravidanza della persona offesa è già prevista dal nostro ordinamento per il delitto di atti persecutori (art. 612-bis, terzo comma, c.p.).

 

§         della violenza sessuale commessa dal coniuge (anche separato o divorziato) o da persona che sia o sia stata legata alla vittima da una relazione affettiva, anche priva del requisito della convivenza.

 

Sul punto il decreto-legge dà attuazione all’art. 46 della Convenzione di Istanbul, che alla lettera a) impegna gli Stati a considerare aggravante dei delitti di violenza il fatto commesso contro l'attuale o l'ex coniuge o partner, da un membro della famiglia, dal convivente della vittima, o da una persona che ha abusato della propria autorità.

 

Il comma 3 novella la disciplina del delitto di atti persecutori, introdotto nel codice penale all’art. 612-bis dal decreto-legge n. 11 del 2009.

 

Il decreto-legge 11/2009 ha introdotto nell’ordinamento il delitto di “atti persecutori” (stalking), con l’inserimento nel codice penale dell’articolo 612-bis, prevedendo anche la possibilità per la persona offesa dal delitto, fino a quando non è proposta querela, di avanzare al questore richiesta di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta. Inoltre, novellando il codice di procedura penale, ha introdotto una nuova misura coercitiva, il divieto di avvicinamento dell’imputato ai luoghi frequentati dalla persona offesa.

In particolare, la nuova fattispecie penale è inserita nell’ambito dei delitti contro la libertà morale (è infatti collocato subito dopo il delitto di minaccia, previsto dall’art. 612 c.p.). Per la sussistenza del delitto (procedibile a querela della persona offesa, salvo talune ipotesi specificamente indicate) si richiede la ripetitività della condotta, nonché l’idoneità dei comportamento a provocare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero a ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona alla medesima legata da relazione affettiva ovvero a costringere la stessa ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena è della reclusione da 6 mesi a 4 anni (primo comma).

I commi secondo e terzo del nuovo art. 612-bis c.p. – nel testo in vigore prima dell’emanazione del decreto-legge in commento - prevedono alcune aggravanti:

§         la pena è aumentata fino a un terzo se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato ovvero da persona che sia stata legata da relazione affettiva con la persona offesa;

§         la pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso: in danno di un minore; in danno di una donna in stato di gravidanza; con armi o da persona travisata; in danno di una persona disabile.

La pena è peraltro aumentata anche se il fatto è commesso da soggetto già ammonito dal questore.

Fermo il principio della procedibilità del delitto a querela della persona offesa (comma quarto), da presentarsi entro sei mesi dal fatto, l’art. 612-bis prevede la procedibilità d’ufficio:

-          se il reato viene commesso contro un minore o persona diversamente abile;

-          nei casi in cui il fatto è connesso con altro delitto per il quale è prevista la procedibilità d’ufficio;

-          nel caso di fatto commesso da soggetto ammonito dal questore.

Infatti, in considerazione della durata del procedimento penale, che potrebbe non essere compatibile con le finalità di tutela delle vittime degli atti persecutori, il decreto-legge del 2009 (artt. 8 e 9) ha previsto strumenti di tutela che, da un lato, possono intervenire anticipatamente rispetto alla pronuncia di una sentenza e, dall'altro, potrebbero anche dissuadere lo stalker dal condurre a ulteriori conseguenze il proprio comportamento persecutorio. In particolare, l’articolo 8 ha introdotto una misura di prevenzione personale consistente nell’ammonimento del questore. Al fine di apprestare una tutela nel periodo che intercorre tra il comportamento persecutorio e la presentazione della querela, infatti, la disposizione introduce la possibilità per la persona offesa di esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza, avanzando al questore richiesta di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta. La richiesta dovrà essere trasmessa al questore senza ritardo.

Il questore dovrà assumere, se necessario, informazioni dagli organi investigativi e dovrà sentire le persone informate dei fatti. Ove ritenga fondata l'istanza, ammonirà oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge. Verrà redatto processo verbale, copia del quale sarà rilasciata al soggetto che ha richiesto l'ammonimento e al soggetto ammonito.

Il questore dovrà anche valutare l'eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e munizioni.

 

Rispetto all’originario quadro normativo, il decreto-legge n. 93/2013 interviene su tre diversi aspetti del delitto di atti persecutori.

In primo luogo (comma 3, lett. a)) modifica la disciplina delle aggravanti, novellando il secondo comma dell’art. 612-bis in modo da prevedere:

§         un aumento di pena quando gli atti persecutori sono commessi dal coniuge – anche separato o divorziato - o da altra persona legata alla vittima da una relazione affettiva; non sono più requisiti necessari per l’applicazione dell’aggravante, la separazione legale o il divorzio;

§         un aumento di pena quando gli atti persecutori sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici. Si osserva che l’atto persecutorio consiste in minacce o molestie, perpetrate attraverso condotte reiterate, tali da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria, di un prossimo congiunto o di persona legata alla vittima da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. Occorre quindi valutare se la minaccia o molestia arrecata via web presenti effettivamente maggiore gravità e cagioni maggiore ansia o paura rispetto alla minaccia o molestia arrecata direttamente.

Il secondo luogo (comma 3, lett. b)), il decreto-legge ha modificato la disciplina della querela, intervenendo sul quarto comma dell’art. 612-bis c.p., per disporre che, una volta presentata, la querela è irrevocabile.

 

Si ricorda che in base all’art. 152 del codice penale, nei delitti punibili a querela della persona offesa, la remissione della querela estingue il reato. La Corte costituzionale ha affermato che la remissione della querela «consiste in una manifestazione di volontà con la quale la persona offesa dal reato dichiara di non persistere nella richiesta di punizione del reo formulata con la querela stessa; si tratta, in sostanza, di un atto di revoca della querela che, se accettato dal querelato, fa cessare l'azione penale iniziatasi in seguito all'esercizio del diritto di querela, determinando, di riverbero, l'estinzione del diritto di punire e quindi del reato» (sentenza n. 211 del 1995). In tale quadro, a determinare la cessazione dell'azione penale è un atto di volontà del querelante, del quale la Corte rimarca «la sostanziale libertà del processo deliberativo».

La possibilità di rimettere la querela è assoggettata dal legislatore a limitazioni di diversa natura. Per tutti i reati perseguibili a querela, un limite temporale è sancito in via generale dal terzo comma dell’art. 152 c.p., che consente la remissione soltanto «prima della condanna», facendo però espressamente salve le (eventuali) ipotesi nelle quali la legge disponga diversamente. Una diversa limitazione è, invece, correlata a specifiche fattispecie criminose, per le quali - nonostante la perseguibilità a querela - la remissione non è consentita: si parla in tal caso di irrevocabilità della querela.

L'irrevocabilità della querela, nella stesura originaria del codice, era prevista dall'art. 542 c.p. per i delitti contro la libertà sessuale e per la corruzione di minorenni (poi abrogati dalla legge 66/1996) e sul punto la Corte costituzionale era stata chiamata a pronunziarsi escludendo il contrasto con il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 Cost., «sia perché la fattispecie legislativa risulta oggettivamente differenziata dai casi in cui la remissione della querela è ordinariamente ammessa, sia perché l'irrevocabilità trova, nel caso di specie, una adeguata e logica giustificazione nel rilevante interesse pubblico alla repressione di questo tipo di reati» (sentenza n. 216 del 1974).

Prima dell’entrata in vigore del decreto-legge, che ha previsto il carattere irrevocabile della querela presentata per il delitto di atti persecutori, il codice penale prevedeva l’irrevocabilità della querela unicamente per i delitti di violenza sessuale di cui agli articoli 609-bis, 609-ter e 609-quater.

 

Per quanto riguarda la procedibilità dei delitti di violenza, si ricorda che la Convenzione di Istanbul, all’art. 55, impegna gli Stati a far sì che la repressione dei reati previsti dalla Convenzione non dipenda interamente da una segnalazione o da una denuncia da parte della vittima, richiedendo dunque una sorta di procedibilità d’ufficio. In particolare, la prima parte della disposizione richiede che le indagini ed i procedimenti penali per i reati di violenza fisica, violenza sessuale, matrimonio forzato, mutilazioni genitali femminili, aborto e sterilizzazione forzati possano essere avviati e svolti d'ufficio, non richiedendo espressamente una denuncia da parte della vittima. Il legislatore nazionale ha adottato una impostazione opposta[4] – pur con alcune eccezioni nei casi più gravi di violenza sessuale – e dunque la norma in commento, pur non rappresentando un’attuazione della Convenzione, può essere letta come un avvicinamento alle posizioni internazionali.

 

In terzo luogo (comma 4), il provvedimento in commento interviene sull’art. 8 del decreto-legge n. 11 del 2009, in tema di ammonimento da parte del questore, per disporre che, in sede di ammonimento, l’autorità di pubblica sicurezza debba adottare anche i conseguenti provvedimenti in tema di armi e munizioni; si ricorda che per il testo previgente, invece, il questore aveva ampia discrezionalità potendo valutare l’esigenza di vietare il porto d’armi.

 

La disposizione pare ricollegarsi agli articoli 51-53 della Convenzione di Istanbul che richiedono l’adozione di una serie di misure volte a ridurre o gestire il rischio di reiterazione dei comportamenti violenti, anche con riguardo all’accesso alle armi da fuoco da parte dell’autore delle violenze. In particolare, l’art. 51 della Convenzione impegna le parti ad adottare le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che le autorità competenti possano valutare il rischio di letalità, la gravità della situazione e il rischio di reiterazione dei comportamenti violenti, valutando anche il fatto che l'autore di atti di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione possieda, o abbia accesso ad armi da fuoco.


Articolo 2
(Modifiche al codice di procedura penale e disposizioni concernenti i procedimenti penali per i delitti di cui all’articolo 572 del
codice penale)

 

L’articolo 2 prevede una serie di interventi di adeguamento del codice di procedura penale alle esigenze di maggior protezione delle vittime di stalking e maltrattamenti in famiglia.

Il comma 1 detta una prima serie di modifiche volte ad ampliare la gamma delle misure coercitive adottabili a tutela della vittime di tali.

In particolare:

§         la lett. a) modifica l’art. 282-bis c.p.p. consentendo – anche ove si proceda per lesioni personali (art. 582 c.p.) e minacce gravi o aggravate (art. 612, secondo comma, c.p.) in danno dei prossimi congiunti o del convivente - l’adozione del provvedimento di allontanamento dell’imputato dalla casa familiare anche al di fuori dei limiti di pena previsti (reclusione superiore nel massimo a 3 anni);

§         la lett. c) modifica l’art. 380 per permettere - anche per i delitti di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) e di stalking (art. 612-bis c.p.) - l’arresto obbligatorio in flagranza al di fuori dei limiti di pena previsti (reclusione non inferiore nel minimo a 5 e nel massimo a 20 anni)

§         la lett. d) introduce il nuovo art. 384-bis che prevede che la polizia giudiziaria possa provvedere, su autorizzazione del PM, all’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare e al contestuale divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. II nuovo istituto:

-                 può essere applicato nei confronti di chi è colto in flagranza di uno dei reati previsti dall’art. 282-bis, comma 6[5]; tra questi, la minaccia grave, la lesione personale e lo stalking da parte del coniuge (ora, non solo separato o divorziato ma anche in costanza di matrimonio; cfr. art. 1, comma 3, lett. a. del D.L.);

-                 presuppone la sussistenza di fondati motivi di una possibile reiterazione del reato che metta in pericolo grave ed attuale la vita o l’integrità fisica della persona offesa;

-                 rinvia, in quanto applicabile, alla disciplina sull’arresto e il fermo di cui agli artt. 385 e seguenti c.p.p.. Si tratta degli artt. 385 (divieto di arresto e di fermo in determinate circostanze), 386 (doveri della polizia giudiziaria in casi di arresto o di fermo), 387 (avviso dell’arresto o del fermo ai familiari), 388 (interrogatorio dell’arrestato o del fermato), 389 (casi di immediata liberazione dell’arrestato o del fermato), 390 (richiesta di convalida dell’arresto o del fermo), 391 (udienza di convalida). Si osserva che sarebbe utile, per assicurare maggiore certezza all’interprete, una più puntuale individuazione da parte del legislatore delle disposizioni sull’arresto e il fermo applicabili al nuovo istituto dell’allontanamento di urgenza dalla casa familiare.

 

Un ulteriore gruppo di disposizioni del codice processuale penale sono modificate dal comma 1 dell’art. 2 in esame per introdurre obblighi di costante comunicazione a tutela della persona offesa dai reati di stalking e maltrattamenti in ambito familiare.

In particolare:

§         la lett. b) aggiunge all’art. 299 un comma 2-bis che prevede che l’adozione delle misure coercitive dell’allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa debba essere immediatamente comunicata al difensore di quest’ultima (o, in mancanza, alla stessa persona offesa e ai servizi socio-assistenziali territoriali); un’identica integrazione dei commi 3 e 4-bis prevede l’obbligo, per il richiedente, di notificare anche al difensore (o, in mancanza, alla parte offesa) la domanda all’autorità giudiziaria di revoca o sostituzione delle sopracitate misure coercitive avanzata sia nel corso delle indagini preliminari (comma 3) che dopo la loro chiusura (comma 4-bis); la mancata notifica costituisce, in entrambi i casi, causa di inammissibilità della richiesta.

§         la lett. g) aggiunge all’art. 408 c.p.p., un comma 3-bis che stabilisce che per il reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) l’avviso della richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato debba essere in ogni caso notificato, a cura del PM, alla persona offesa; è, inoltre, raddoppiato (da 10 a 20 gg.) il termine entro cui quest’ultima può visionare gli atti e presentare opposizione all’archiviazione con richiesta motivata di prosecuzione delle indagini preliminari;

§         la lett. h) modifica il comma 1 dell’art. 415-bis prevedendo – sempre nel caso in cui si proceda per il reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) - a cura del PM, l’obbligo di notifica anche al difensore della persona offesa (o, in mancanza alla stessa persona offesa) dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari.

 

Oltre a quelle appena citate, ulteriori misure processuali di favore sono dettate dal comma 1 dell’articolo 2 in relazione ai procedimenti per maltrattamenti in famiglia.

 

In particolare:

§         la lett. e) integra il comma 5-bis dell’art. 398, relativo a provvedimenti sulla richiesta di incidente probatorio; la nuova norma aggiunge i procedimenti per il reato di cui all’art. 572 c.p. a quelli per cui, ove fra le persone interessate all'assunzione della prova vi siano minorenni, il giudice - con l'ordinanza di accoglimento della richiesta – se le esigenze di tutela delle persone lo rendono necessario od opportuno, dispone l’incidente probatorio attraverso modalità particolari;

§         la lett. f) integra il comma 2-ter dell’art. 406 stabilendo che, anche per le indagini preliminari per maltrattamenti in famiglia, la proroga del termine di durata massima non possa essere concessa più di una volta (il termine massimo è quindi di 2 anni: 18 mesi ordinari più una possibile proroga di 6 mesi); la novella intende così favorire una celere trattazione di tali procedimenti.

§         la lett. i) estende anche al minore vittima di maltrattamenti in famiglia (ovvero alla vittima maggiorenne inferma di mente) le particolari modalità di assunzione della testimonianza previste dall’art. 4-ter dell’art. 498; l’esame testimoniale potrà quindi avvenire, su richiesta del minore o del suo difensore, mediante l'uso di un vetro specchio e di un impianto citofonico. Un comma aggiuntivo 4-quater prevede, inoltre, in relazione ai procedimenti per i reati di cui al comma 4-ter dello stesso art. 498 (che a seguito del D.L. comprende anche i maltrattamenti in famiglia) la possibilità che – su richiesta dell’interessato o del suo difensore – anche l’assunzione della testimonianza di vittime maggiorenni, se particolarmente vulnerabili, avvenga con modalità protette.

Il comma 2 dell’articolo 2 in esame interviene sulle norme di attuazione del codice di procedura penale aggiungendo una lett. a-bis) al comma 1 dell’art. 132-bis che assicura priorità assoluta nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi anche ai reati di maltrattamenti in famiglia, stalking, violenza sessuale, atti sessuale con minorenne, corruzione di minorenne e violenza sessuale di gruppo.

 

Il comma 3 integra la formulazione del comma 4-ter dell’art. 76 del TU spese di giustizia (DPR 115 del 2002) prevedendo l’ammissione al gratuito patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito delle vittime dei reati di stalking, maltrattamenti in famiglia e mutilazioni genitali femminili. La disposizione attua quanto previsto dalla Convenzione di Istanbul, la cui ratifica è stata recentemente autorizzata con legge 77/2013.

L’onere finanziario dell’intervento (di cui è indicata la copertura nello stato di previsione del Ministero dell’Economia) è valutato in 1 milione di euro per l’anno in corso e in 2,7 milioni a decorrere dal 2014.

 

Il comma 4 infine reca una disposizione transitoria che precisa come la novella all’art. 380 c.p.p. sull’arresto obbligatorio in flagranza (per stalking e maltrattamenti in famiglia) in deroga ai limiti di pena (introdotta dal comma 1, lett. c) entra in vigore a partire dalla data di vigenza della legge di conversione del decreto-legge in esame.

 

 

 


Articolo 3
(Misura di prevenzione per condotte di violenza domestica)

 

L’articolo 3 introduce misure di prevenzione per condotte di violenza domestica.

Secondo quanto si legge nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione, l’articolo si inquadra nell’ambito delle iniziative, preannunciate dal Governo, per garantire la completa attuazione della Convenzione di Istanbul e si propone – in attuazione dei principi sanciti negli articoli 5, 12, 27 e 50 della Convenzione – di rafforzare gli strumenti di prevenzione anche operativa delle vessazioni perpetrate nell’ambito del nucleo familiare o di relazioni affettive.

In particolare, l’articolo 5 della Convenzione di Istanbul (legge di autorizzazione alla ratifica 27 giugno 2013, n. 77) riguarda gli obblighi degli Stati e li impegna ad adottare le misure legislative e di altro tipo necessarie per esercitare la debita diligenza nel prevenire, indagare, punire i responsabili e risarcire le vittime di atti di violenza commessi da soggetti non statali che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione.

L’articolo 12 della Convenzione disciplina gli obblighi generali per gli Stati, che sono tenuti ad adottare le misure necessarie per: promuovere i cambiamenti nei comportamenti socio-culturali delle donne e degli uomini, al fine di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull'idea dell'inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini; impedire ogni forma di violenza rientrante nel campo di applicazione della Convenzione commessa da qualsiasi persona fisica o giuridica. Tutte le misure adottate devono prendere in considerazione e soddisfare i bisogni specifici delle persone in circostanze di particolare vulnerabilità, e concentrarsi sui diritti umani di tutte le vittime. Le Parti firmatarie della Convenzione adottano le misure necessarie per incoraggiare tutti i membri della società, e in particolar modo gli uomini e i ragazzi, a contribuire attivamente alla prevenzione di ogni forma di violenza. Le Parti vigilano affinché la cultura, gli usi e i costumi, la religione, la tradizione o il cosiddetto «onore» non possano essere in alcun modo utilizzati per giustificare nessuno degli atti di violenza. Inoltre debbono adottare le misure necessarie per promuovere programmi e attività destinati ad aumentare il livello di autonomia e di emancipazione delle donne.

L’articolo 27 della Convenzione impegna le Parti ad adottare le misure necessarie per incoraggiare qualsiasi persona che sia stata testimone di un qualsiasi atto di violenza che rientra nel campo di applicazione della Convenzione, o che abbia ragionevoli motivi per ritenere che tale atto potrebbe essere commesso, o che si possano temere nuovi atti di violenza, a segnalarlo alle organizzazioni o autorità competenti.

L’articolo 50, in fine, impegna le Parti ad adottare le misure legislative e di altro tipo necessarie per garantire che le autorità incaricate dell'applicazione della legge affrontino in modo tempestivo e appropriato tutte le forme di violenza, offrendo una protezione adeguata e immediata alle vittime. Le Parti debbono adottare le misure legislative e di altro tipo per garantire che le autorità incaricate dell'applicazione della legge operino in modo tempestivo e adeguato in materia di prevenzione e protezione contro ogni forma di violenza, ivi compreso utilizzando misure operative di prevenzione e la raccolta delle prove.

 

Il comma 1 dell’articolo 3 del decreto-legge introduce una misura di prevenzione per condotte di violenza domestica, ispirata allo schema già adottato dal legislatore con riguardo al reato di stalking (art. 8 del dl 11/2009, convertito, con modificazioni, dalla legge 38/2009).

Si prevede infatti che, nei casi in cui alle forze dell’ordine sia segnalato un fatto che debba ritenersi riconducibile al reato di cui all'articolo 582, secondo comma, c.p. (lesioni personali punibili a querela della persona offesa), consumato o tentato, nell'ambito di violenza domestica, il questore, anche in assenza di querela, può procedere, assunte le informazioni necessarie da parte degli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, all'ammonimento dell'autore del fatto.

Il decreto-legge 11/2009 già reca un’analoga disciplina dell’ammonimento, con riferimento agli atti persecutori (stalking).

L’art. 8 del dl 11/2009 stabilisce infatti che, fino a quando non è proposta querela per il reato di atti persecutori, la persona offesa può esporre i fatti all'autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell'autore della condotta. La richiesta è trasmessa senza ritardo al questore (comma 1).

Il questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l'istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Copia del processo verbale è rilasciata al richiedente l'ammonimento e al soggetto ammonito. Il questore è tenuto ad adottare i provvedimenti in materia di armi e munizioni (l’obbligo di adozione, in luogo della discrezionalità valutativa del questore originariamente prevista dal decreto-legge 11/2009, è stato introdotto dall’art. 1, comma 4, del decreto-legge 93) (comma 2).

La pena per il delitto di atti persecutori è aumentata se il fatto è commesso da soggetto già ammonito ai sensi del presente articolo (comma 3).

Si procede d'ufficio per il delitto di atti persecutori quando il fatto è commesso da soggetto ammonito ai sensi del presente articolo (comma 4).

 

L’istituto dell’ammonimento (altrimenti denominato dal legislatore “avviso orale”), quale misura di prevenzione personale, è inoltre previsto dal codice antimafia (art. 3 del d.lgs. 159/2011).

Tale istituto è applicato nei confronti di: coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi; coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.

Il questore nella cui provincia la persona dimora può avvisare oralmente i soggetti interessati che esistono indizi a loro carico, indicando i motivi che li giustificano. Invita la persona a tenere una condotta conforme alla legge e redige il processo verbale dell'avviso al solo fine di dare allo stesso data certa. La persona alla quale è stato fatto l'avviso può in qualsiasi momento chiederne la revoca al questore che provvede nei sessanta giorni successivi. Decorso detto termine senza che il questore abbia provveduto, la richiesta si intende accettata. Entro sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento di rigetto è ammesso ricorso gerarchico al prefetto. Con l'avviso orale il questore può imporre alle persone che risultino definitivamente condannate per delitti non colposi il divieto di possedere o utilizzare, in tutto o in parte, qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente, radar e visori notturni, indumenti e accessori per la protezione balistica individuale, mezzi di trasporto blindati o modificati al fine di aumentarne la potenza o la capacità offensiva, ovvero comunque predisposti al fine di sottrarsi ai controlli di polizia, armi a modesta capacità offensiva, riproduzioni di armi di qualsiasi tipo, compresi i giocattoli riproducenti armi, altre armi o strumenti, in libera vendita, in grado di nebulizzare liquidi o miscele irritanti non idonei ad arrecare offesa alle persone, prodotti pirotecnici di qualsiasi tipo, nonché sostanze infiammabili e altri mezzi comunque idonei a provocare lo sprigionarsi delle fiamme, nonché programmi informatici ed altri strumenti di cifratura o crittazione di conversazioni e messaggi. Il questore può, altresì, imporre il divieto ai soggetti sottoposti alla misura della sorveglianza speciale, quando la persona risulti definitivamente condannata per delitto non colposo.

 

Il riferimento letterale espresso alla “violenza domestica” non compare nell’ordinamento penale italiano. Il codice penale – oltre a prevedere un’aggravante comune nel caso in cui il fatto sia stato commesso con abuso di autorità o di relazioni domestiche (art. 61, primo comma, n. 11), c.p.) - sanziona il reato di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli (art. 572).

L’art. 572 c.p. punisce con la reclusione da uno a cinque anni chiunque, fuori dei casi di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni 14 o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l’esercizio di una professione o di un’arte (primo comma).

La pena è aumentata se il fatto è commesso in danno o in presenza di minore degli anni diciotto (secondo comma, come modificato dall’art. 1 del dl 93).

Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da 4 a 8 anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da 7 a 15 anni; se ne deriva la morte, la reclusione da 12 a 20 anni (terzo comma).

 

Il riferimento letterale alla “violenza domestica” è invece presente nell’art. 3 della Convenzione di Istanbul, concernente le definizioni.

La lettera b) dell’art. 3 stabilisce infatti che l’espressione “violenza domestica” designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima.

 

L’articolo 3, comma 1, del decreto-legge precisa pertanto cosa si intenda per “violenza domestica” ai fini dell’articolo medesimo. Riprende alla lettera la definizione adottata dalla Convenzione di Istanbul, con due differenze: in base alla prima si deve trattare di atti “non episodici”; in base alla seconda il riferimento al “partner” è sostituito con quello a “persone legate da relazione affettiva”.

 

L’articolo 3, comma 2, del decreto-legge prevede l’applicabilità, in quanto compatibili, delle disposizioni dell’articolo 8, commi 1 e 2, del dl 11/2009.

La clausola di compatibilità richiede quindi all’interprete di individuare quali siano le disposizioni dell’articolo 8, commi 1 e 2, sull’ammonimento relativo allo stalking, che non contrastano con la nuova disciplina dell’ammonimento per condotte di violenza domestica.

Ad esempio, l’art. 8 riserva alla persona offesa l’esposizione dei fatti all’autorità di pubblica sicurezza e prevede che la richiesta sia rivolta al questore. Inoltre, la richiesta deve essere trasmessa senza ritardo al questore dalle autorità di pubblica sicurezza.

L’art. 3 del dl 93 – diversamente dal citato art. 8 - non precisa invece a chi spetti effettuare la segnalazione; fa riferimento alle “forze dell’ordine” (anziché alla autorità di p.s.) quali destinatarie di tale segnalazione; non stabilisce un’espressa alternativa tra il procedimento di ammonimento e la querela (il questore può procedere “anche” in assenza di querela). Inoltre, non prevede le modalità e i contenuti dell’ammonimento e l’adozione dei provvedimenti in materia di armi e munizioni.

Si osserva che il richiamo ai soli commi 1 e 2 dell’art. 8 del dl 11/2009, e non anche ai commi 3 e 4, esclude la possibilità di applicazione al reato di cui all’art. 582, secondo comma, c.p. (lesioni personali perseguibili a querela) di due disposizioni previste per lo stalking: l’aumento di pena se il fatto è commesso da soggetto già ammonito; la procedibilità d’ufficio quando il fatto è commesso da soggetto ammonito.

 

Sempre il comma 2 dell’art. 3 del decreto-legge stabilisce che il questore possa richiedere al prefetto del luogo di residenza del destinatario dell'ammonimento l'applicazione della misura della sospensione della patente di guida per un periodo da uno a tre mesi. Il prefetto dispone la sospensione della patente di guida ai sensi del codice della strada (articolo 218, che disciplina il procedimento di sospensione). Il prefetto non dà luogo alla sospensione della patente di guida qualora, tenuto conto delle condizioni economiche del nucleo familiare, risulti che le esigenze lavorative dell'interessato non possono essere garantite con il rilascio del permesso previsto dall'articolo 218, secondo comma, del codice della strada.

Si tratta del permesso che il conducente cui è stata sospesa la patente, solo nel caso in cui dalla commessa violazione non sia derivato un incidente, può richiedere, per determinate fasce orarie, e comunque per non oltre tre ore al giorno, per ragioni di lavoro, qualora risulti impossibile o estremamente gravoso raggiungere il posto di lavoro con mezzi pubblici o comunque non propri, ovvero per il ricorrere di una situazione che avrebbe dato diritto alle agevolazioni previste per l’assistenza alle persone handicappate.

 

Il comma 3 prevede che il Ministero dell'interno - Dipartimento della pubblica sicurezza, anche attraverso i dati contenuti nel Centro elaborazione dati di cui all'articolo 8 della legge 1° aprile 1981, n. 121, elabora annualmente un'analisi criminologica della violenza di genere che costituisce un'autonoma sezione della relazione annuale al Parlamento del Ministro dell'interno sull'attività delle forze di polizia e sullo stato dell'ordine e della sicurezza pubblica nel territorio nazionale.

Si osserva che il comma 3 imputa direttamente a un ufficio del Ministero dell’interno il contenuto di una parte della relazione annuale di cui è invece responsabile il Ministro. Inoltre, la relazione illustrativa non chiarisce quali siano le modalità operative che consentano l’efficace predisposizione di analisi criminologiche nell’ambito della relazione annuale, che attualmente tali analisi non prevede.

 

Il comma 4 prevede che in ogni atto del procedimento di ammonimento devono essere omesse le generalità dell’eventuale segnalante.

Si osserva che la disposizione, prevedendo come mera eventualità la segnalazione alle forze dell’ordine, dovrebbe essere coordinata con il comma 1 in cui la segnalazione risulta elemento necessario per l’avvio del procedimento di ammonimento.

 

Il comma 5 prevede in fine che le misure a sostegno delle vittime di atti persecutori siano applicate anche nei casi di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli o di violenza sessuale.

In particolare, l’art. 11 del dl 11/2009 prevede che le forze dell'ordine, i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche che ricevono dalla vittima notizia del reato di atti persecutori hanno l'obbligo di fornire alla vittima stessa tutte le informazioni relative ai centri antiviolenza presenti sul territorio e, in particolare, nella zona di residenza della vittima. Le forze dell'ordine, i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche provvedono a mettere in contatto la vittima con i centri antiviolenza, qualora ne faccia espressamente richiesta.

Il comma 5 dell’art. 3 del dl 93 prevede che tali misure trovino applicazione anche nei casi in cui le forze dell’ordine, i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche ricevano dalla vittima notizie dei reati di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli o di violenza sessuale.

 

 


Articolo 4
(Tutela per gli stranieri vittime di violenza domestica)

 

L'articolo 4 novella il testo unico in materia di immigrazione (d.lgs. n. 286 del 1998[6]), introducendovi l'articolo 18-bis, che prevede il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari alle vittime straniere di atti di violenza in ambito domestico. La finalità del permesso di soggiorno è consentire alla vittima straniera di sottrarsi alla violenza.

 

In particolare, la nuova disposizione - che ricalca il contenuto dell’articolo 18 del decreto legislativo, relativo al soggiorno per motivi di protezione sociale – prevede il rilascio di un permesso di soggiorno allo straniero in presenza dei seguenti presupposti (comma 1):

 

§         Devono essere riscontrate violenze domestiche o abusi nei confronti di uno straniero nel corso di operazioni di polizia, indagini o procedimenti penali per uno dei seguenti reati:

-          Maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.);

-          Lesioni personali, semplici e aggravate (artt. 582 e 583 c.p.);

-          Mutilazioni genitali femminili (art. 583-bis c.p.);

-          Sequestro di persona (art. 605 c.p.);

-          Violenza sessuale (art. 609-bis c.p.);

-          Atti persecutori (art. 612-bis c.p.)

-          nonché per uno qualsiasi dei delitti per i quali il codice di procedura penale prevede l’arresto obbligatorio in flagranza (art. 380 c.p.p.).

La violenza domestica, al fine dell’applicazione della disposizione, è definita analogamente a quanto fatto dall’articolo 3 del decreto-legge e dalla Convenzione di Istanbul (v. sopra).

In alternativa alle indagini penali, le violenze domestiche o gli abusi possono anche emergere nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali specializzati nell'assistenza delle vittime di violenza.

 

§         Da tali operazioni, indagini, procedimenti e interventi assistenziali deve emergere che il tentativo di sottrarsi alla violenza ovvero la collaborazione alle indagini preliminari o al procedimento penale espongono l’incolumità della persona offesa straniera ad un concreto ed attuale pericolo.

 

In presenza di questi due presupposti si apre un procedimento che contempla:

-          la proposta del PM al questore di rilascio del permesso di soggiorno (o il suo parere favorevole). Nel caso in cui le violenze o gli abusi emergano nel corso di indagini penali, sarà il PM a comunicare al questore gli elementi da cui risulti la sussistenza dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno, con particolare riferimento alla gravità e attualità del pericolo per l’incolumità personale (comma 2); se, invece, la segnalazione proviene dai servizi sociali, la sussistenza dei presupposti sarà valutata dal questore sulla base della relazione redatta dagli stessi servizi (comma 3);

-          il provvedimento del questore che rilascia il permesso di soggiorno.

 

L’articolo 18-bis, introdotto dalla disposizione in commento, contiene, al comma 1, un esplicito richiamo all’art. 5, comma 6, del TU immigrazione, che appunto disciplina l’ipotesi della sussistenza di esigenze di protezione umanitaria ai fini del rilascio di permesso di soggiorno (permesso di soggiorno c.d. per motivi umanitari).

 

In particolare, in base alla disposizione richiamata, “il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano”.

 

Tale richiamo potrebbe essere inteso al fine di riconoscere alla vittima di violenza domestica la condizione giuridica del titolare di permesso per motivi umanitari, specialmente per gli aspetti non esplicitamente disciplinati dalla disposizione in commento.

 

In particolare, si segnala che il permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui all’art. 5, co. 6, TU (pur in assenza di esplicita disposizione), generalmente, viene rilasciato per la durata di un anno. Può essere concesso direttamente dal Questore come previsto dal D.P.R. 394/99 (regolamento di attuazione del Testo unico immigrazione), che all'articolo 11, co. 1, lett. c-ter) prevede che il permesso per motivi umanitari possa essere rilasciato a seguito dell'acquisizione da parte dell'interessato di documentazione relativa a oggettive e gravi situazioni personali che non consentono l'allontanamento dal territorio nazionale.

Ai sensi dell’art. 14, co. 1, lett. c), del citato regolamento, tale permesso di soggiorno consente l'esercizio del lavoro subordinato e del lavoro autonomo e può essere convertito in permesso per lavoro.

 

Nella nuova fattispecie introdotta dall’art. 18-bis non è specificata in modo espresso, analogamente a quanto previsto dall’articolo 18 per le vittime di tratta, la durata del permesso di soggiorno né sono previste la possibilità e le modalità di rinnovo.

 

Il comma 4 dell’articolo 18-bis afferma, peraltro, che il permesso è revocato in caso di condotta dello straniero incompatibile con le finalità del rilascio, ovvero con l’esigenza di consentire alla vittima straniera di sottrarsi alla violenza.

 

Infine, il comma 5 precisa che le disposizioni sul permesso di soggiorno per le vittime di violenza domestica si applicano anche ai cittadini di Stati membri dell'Unione europea e ai loro familiari.

 

Si valuti l’opportunità di un chiarimento in relazione alla formulazione del comma 5, in quanto per i cittadini di Stati membri dell'Unione europea non è previsto alcun obbligo di richiedere permesso di soggiorno e i familiari, qualora siano cittadini di Paesi extra UE, ricadono tout court nella fattispecie introdotta dal nuovo art. 18-bis.

 

 


Articolo 5
(Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere)

 

In attuazione degli impegni presi con la recente ratifica della Convenzione di Istanbul (legge 77 del 2013) ed in sinergia con le politiche dell’Unione Europea, l’articolo 5 prevede l’adozione da parte del Ministro delegato per le pari opportunità di un Piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere.

 

Nelle conclusioni in materia di “Lotta alla violenza contro le donne e servizi di sostegno a favore delle vittime di violenza domestica”, adottate il 6 dicembre 2012 il Consiglio dell’Unione Europea ha invitato gli Stati membri e la Commissione europea, nell’ambito delle rispettive competenze, a definire, attuare e migliorare, se già esistenti, piani d'azione, programmi o strategie coordinati, di carattere globale, multidisciplinare e multi-agenzia, per combattere tutte le forme di violenza contro donne e ragazze tramite il coinvolgimento di tutte le parti interessate pertinenti e l'abbinamento di misure legislative e non legislative finalizzate alla prevenzione e all'eliminazione della violenza, alla fornitura di protezione e sostegno alle vittime, all'azione penale contro gli autori di violenze; e garantire finanziamenti adeguati e sostenibili per l'attuazione delle suddette politiche e per il funzionamento dei servizi.

In proposito si ricorda che l’Unione europea sostiene le iniziative degli Stati membri volte al contrasto alla violenza di genere attraverso il programma finanziario Daphne III, con una dotazione pari 116,85 milioni di euro per il periodo 2007-2013. Adottato con decisione 2007/779/CE, esso integra i programmi esistenti negli Stati membri e si basa sulle politiche e sugli obiettivi definiti nei due programmi precedenti (Daphne e Daphne II).

Il programma mira, in particolare, a:

-          assistere e incoraggiare le organizzazioni non governative (ONG) e le altre organizzazioni impegnate contro la violenza;

-          costituire reti multidisciplinari, al fine di rafforzare la cooperazione tra le ONG;

-          sviluppare e attuare azioni di sensibilizzazione destinate a pubblici specifici;

-          diffondere i risultati ottenuti nell'ambito dei due programmi Daphne precedenti;

-          assicurare lo scambio di informazioni e di buone pratiche, per esempio tramite visite studio e scambi di personale;

-          studiare i fenomeni collegati alla violenza e il relativo impatto sia sulle vittime che sulla società (costi sociali, economici e relativi all'assistenza sanitaria);

-          sviluppare programmi di sostegno per le vittime e le persone a rischio e programmi d'intervento per gli autori delle violenze.

Per quanto riguarda il nuovo quadro finanziario 2014-2020, è attualmente all’esame delle istituzioni UE, la proposta di regolamento che istituisce il programma Diritti e cittadinanza per il periodo 2014-2020 (COM(2011)758). Il nuovo programma si pone, in un'ottica di semplificazione e razionalizzazione, come successore di tre programmi esistenti: Diritti fondamentali e cittadinanza, Daphne III, le sezioni "diversità e lotta contro la discriminazione" e "parità fra uomini e donne" del programma per l'occupazione e la solidarietà sociale (PROGRESS). In base all’accordo interistituzionale raggiunto nel giugno 2013, la dotazione complessiva del nuovo programma per il periodo 2014-2020 risulta essere pari a 382,2 milioni di euro.

 

Il Piano straordinario persegue le finalità di prevenzione del fenomeno della violenza alle donne mediante una pluralità di azioni in diversi ambiti: campagne di pubblica informazione e sensibilizzazione, promozione in ambito scolastico delle corrette relazioni tra i sessi nonché di tematiche anti-violenza e antidiscriminazione negli stessi libri di testo; potenziamento dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza e protezione delle vittime di violenza di genere e di stalking, formazione specializzata degli operatori, collaborazione tra istituzioni, raccolta ed elaborazione dei dati, previsione di specifiche azioni positive, configurazione di un sistema di governance del fenomeno tra i diversi livelli di governo sul territorio.

 

Si ricorda che già con la legge finanziaria 2008 (legge n. 244 del 2007) fu istituito un Fondo, presso la Presidenza del Consiglio, per la realizzazione di un Piano contro la violenza alle donne (cap. 496) stanziando a tal fine 20 milioni di euro per il 2008.

Nel 2009 all'obiettivo di prevenzione della violenza si è affiancato quello di prevenzione e contrasto agli atti persecutori, con la conversione del decreto-legge 11/2009 che non solo ha introdotto lo stalking nel codice penale (art. 612-bis) ma ha anche posto a carico delle forze dell'ordine, dei presidi sanitari e delle istituzioni pubbliche che ricevono dalla vittima notizia di reato di atti persecutori l'obbligo di fornire alla medesima tutte le informazioni relative ai Centri Antiviolenza presenti sul territorio ed eventualmente di metterla in contatto con tali strutture. Il provvedimento ha istituito, infine, presso il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio un numero verde nazionale a favore delle vittime degli atti persecutori, con compiti di assistenza psicologica e giuridica, nonché di comunicare gli atti persecutori segnalati alle forze dell'ordine, nei casi d'urgenza e su richiesta della persona offesa.

Le somme destinate al Piano nazionale non sono state mai impegnate nel corso degli anni, fino al 2011 quando la Corte dei Conti ha dato il via libera al primo Piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking.

Nel novembre 2011, quando il Piano contro la violenza alle donne diventa operativo, il capitolo 496 del bilancio della Presidenza del Consiglio dei Ministri recava uno stanziamento di 18.659.049 euro.

Lo stanziamento ha consentito di pubblicare in Gazzetta Ufficiale due avvisi relativi ad interventi per la Rete nazionale antiviolenza per un finanziamento complessivo di 11,7 milioni di euro:

Per quanto riguarda il 2012, il bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei Ministri recava uno stanziamento per il Piano contro la violenza alle donne di soli 1,5 milioni di euro; nel corso dell'esercizio tali somme sono aumentate e il conto finanziario 2012 della Presidenza del consiglio (D.P.C.M. 29 marzo 2013) indica per lo scorso anno una disponibilità di 5,1 milioni di euro. Di tale somma sono stati impegnati 2,5 mln (con, quindi, 2,6 mln di economie). Per il 2013 il bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei Ministri prevede 1,9 milioni di euro per l'implementazione del Piano nazionale contro la violenza alle donne. Tale stanziamento di 1,9 milioni di euro per il 2013 è stato integrato con il riporto dell'avanzo 2012; attualmente dunque sul capitolo 496 figurano 4,5 milioni di euro.

 

L’articolo 5 precisa che le per l’elaborazione e l’adozione del Piano straordinario possono essere anche utilizzate le risorse del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità (istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri dall’art. 19, comma 3, del D.L. 223/2006[7]).

Non sono previsti stanziamenti aggiuntivi per la concreta attuazione del Piano straordinario che - ai sensi del comma 3 dell’art. 7 – deve avvenire “senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.

 

Atti all’esame delle istituzioni europee (a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

Nelle conclusioni in materia di “Lotta alla violenza contro le donne e servizi di sostegno a favore delle vittime di violenza domestica”, adottate il 6 dicembre 2012 il Consiglio Affari sociali ha invitato gli Stati membri e la Commissione europea, nell’ambito delle rispettive competenze, a definire, attuare e migliorare, se già esistenti, piani d'azione, programmi o strategie coordinati, di carattere globale, multidisciplinare e multi-agenzia, per combattere tutte le forme di violenza contro donne e ragazze tramite il coinvolgimento di tutte le parti interessate pertinenti e l'abbinamento di misure legislative e non legislative finalizzate alla prevenzione e all'eliminazione della violenza, alla fornitura di protezione e sostegno alle vittime, all'azione penale contro gli autori di violenze; e garantire finanziamenti adeguati e sostenibili per l'attuazione delle suddette politiche e per il funzionamento dei servizi.

In proposito si ricorda che l’Unione europea sostiene le iniziative degli Stati membri volte al contrasto alla violenza di genere attraverso il programma finanziario Daphne III, con una dotazione pari 116,85 milioni di euro per il periodo 2007-2013. Adottato con decisione 2007/779/CE, esso integra i programmi esistenti negli Stati membri e si basa sulle politiche e sugli obiettivi definiti nei due programmi precedenti (Daphne e Daphne II).

Il programma mira, in particolare, a:

Per quanto riguarda il nuovo quadro finanziario 2014-2020, è attualmente all’esame delle istituzioni UE, la proposta di regolamento che istituisce il programma Diritti e cittadinanza per il periodo 2014-2020 (COM(2011)758). Il nuovo programma si pone, in un'ottica di semplificazione e razionalizzazione, come successore di tre programmi esistenti: Diritti fondamentali e cittadinanza, Daphne III, le sezioni "diversità e lotta contro la discriminazione" e "parità fra uomini e donne" del programma per l'occupazione e la solidarietà sociale (PROGRESS).

In base all’accordo interistituzionale raggiunto nel giugno 2013, la dotazione complessiva del nuovo programma per il periodo 2014-2020 risulta essere pari a 382,2 milioni di euro.

 

 

 


Capo II
(Norme in materia di sicurezza per lo sviluppo, di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e per la prevezione e il contrasto di fenomeni di particolare allarme sociale)

Articolo 6
(Disposizioni finanziarie concernenti l’accelerazione degli interventi del POM Sicurezza nelle regioni del Mezzogiorno, il comparto sicurezza e difesa e la chiusura dell’emergenza nord Africa)

 

Il comma 1 autorizza il Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitario, istituito ai sensi dell’articolo 5 della legge n. 183 del 1987, ad anticipare, nei limiti delle risorse disponibili, su richiesta del Ministero dell'interno, le quote di contributi comunitari e statali previste per il periodo 2007-2013, al fine di assicurare l'integrale utilizzo delle risorse comunitarie relative al Programma operativo nazionale «Sicurezza per lo Sviluppo – Obiettivo Convergenza 2007-2013».

 

La disposizione mira a garantire continuità nel flusso di pagamenti del predetto Programma operativo nazionale (PON), assicurando che i soggetti attuatori dei progetti ricevano tempestivamente le somme loro spettanti sulla base dello stato di attuazione, come disposto dall'autorità di gestione del Programma.

 

L'avanzamento finanziario di tale Programma incontra, infatti, serie difficoltà, stante la carenza della liquidità necessaria per far fronte alle spese maturate nell'ambito dei singoli progetti approvati, in attesa dei rimborsi dei contributi europei e del cofinanziamento nazionale.

Tali rimborsi sono erogati dall'Unione europea soltanto a seguito della presentazione delle rendicontazioni di spesa da parte dell'amministrazione titolare del Programma, con una tempistica che non consente l'immediata disponibilità delle risorse necessarie a dare continuità al flusso dei pagamenti, rischiando di provocare ritardi nell'attuazione del Programma in una fase in cui è, al contrario, necessario accelerare il processo di spesa al fine di garantire il completo utilizzo delle risorse entro la prevista scadenza del 31 dicembre 2015.

 

Al fine di evitare, quindi, rallentamenti nella realizzazione del Programma, con conseguenti perdite dei contributi europei, il comma 1 autorizza il Fondo di rotazione ad anticipare le quote dei contributi europei e statali già pianificati con la decisione di approvazione del predetto Programma.

 

Alla data del 30 aprile 2013, su un contributo complessivo pari a 978 milioni di euro per il PON Sicurezza per lo sviluppo, risultano impegnate risorse per 618 milioni e pagamenti per 454 milioni, pari rispettivamente al 63,2 per cento e al 46,4 per cento delle disponibilità (Fonte: Ragioneria generale dello Stato – IGRUE).

Si ricorda che il mancato conseguimento degli obiettivi nelle diverse fasi temporali comporta, secondo i Regolamenti comunitari[8], una riduzione delle risorse per il Fondo e per il Programma operativo interessato.

Infatti, in base alla c.d. "regola dell'n+2", per ogni annualità contabile delle risorse impegnate – per ciascun fondo (FSE, FESR) e programma operativo (PO) sul bilancio comunitario - la parte che non risulta effettivamente spesa e certificata alla Commissione entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello dell’impegno di bilancio viene disimpegnata automaticamente.

Il disimpegno delle risorse comunitarie comporta anche la parallela riduzione di disponibilità delle relative risorse di cofinanziamento nazionale.

In sostanza, trattandosi delle risorse relative al ciclo di programmazione comunitaria 2007-2013, le risorse devono essere impegnate entro il 31 dicembre 2013 e i pagamenti effettuati entro il 31 dicembre 2015.

 

Il comma 1 dispone inoltre in merito al reintegro delle somme anticipate dal Fondo di rotazione, prevedendo che, per la quota comunitaria, si provvede con imputazione agli accrediti disposti dall'Unione europea a titolo di rimborso delle spese effettivamente sostenute e, per la quota statale, con imputazione agli stanziamenti autorizzati in favore del medesimo programma nell'ambito delle procedure previste dalla stessa legge 16 aprile 1987, n. 183.

 

Il PON Sicurezza per lo sviluppo interessa le regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Il PON è articolato in tre Assi: Sicurezza per la libertà economica e d'impresa, Diffusione della legalità; Assistenza tecnica.

 

L’Asse 1 è orientato in particolare a contribuire alla creazione di un contesto più favorevole alla vita economica rimuovendo gli ostacoli che la criminalità organizzata crea alla libera concorrenza tra le imprese. In particolare l’Asse prevede la realizzazione di azioni di sicurezza per il miglioramento del contesto in cui operano i soggetti economici, sia attraverso il contrasto alle aggressioni della criminalità, alle strutture produttive (aree urbane ed extraurbane, aree industriali) e alle infrastrutture di comunicazione (grandi assi viari, porti, aeroporti), sia arginando i fenomeni distorsivi della libera concorrenza tra imprese (contraffazione di marchi o prodotti) al fine di promuovere, accanto allo sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, un alto grado di competitività e un generale miglioramento del tenore e della qualità della vita. Nell’Asse sono inoltre comprese iniziative dedicate alla formazione per potenziare, nell'ambito degli Obiettivi previsti nell'Asse, le conoscenze degli operatori di sicurezza.

 

L’Asse 2 è orientato a “diffondere migliori condizioni di legalità e giustizia a cittadini ed alle imprese anche mediante il miglioramento della gestione dell’impatto migratorio”.

Particolare attenzione è posta alle iniziative in materia di impatto migratorio promuovendo procedure di inclusione sociale degli immigrati e rafforzando le azioni di prevenzione e contrasto al favoreggiamento della manodopera immigrata, in particolar modo quella clandestina. Altro importante obiettivo dell’Asse 2 è quello legato al miglioramento della gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata al fine del loro reinserimento nel circuito produttivo per la realizzazione di iniziative a beneficio di categorie deboli. Tra le linee d’intervento dell’Asse 2 sono previste anche la tutela del lavoro regolare, il contrasto al racket delle estorsioni e dell’usura, una maggiore trasparenza negli appalti pubblici.

 

L’Asse 3 è orientato a migliorare l’efficienza e l’efficacia del Programma mediante azioni di supporto tecnico-scientifico e uno studio costante degli effetti prodotti dal Programma.

 

Il comma 2 introduce una deroga in materia di trattamento economico in favore delle Forze armate e delle Forze di polizia relativamente all’anno 2013. In particolare, per tale anno non si applica la riduzione, già prevista dall’art. 9, co. 2-bis, del D.L. 98/2010 (conv. L. 122/2010), delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale.

 

L’art. 9, co. 2-bis, D.L. 98/2010 prevede dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 la riduzione delle risorse per il trattamento accessorio del personale anche dirigenziale delle amministrazioni di cui all’ articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Tali risorse non possono superare il corrispondente importo dell’anno 2010 e d. in ogni caso, subiscono una riduzione automatica in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio.

 

La relazione illustrativa motiva tale deroga con la stretta necessità di far fronte alle esigenze di funzionalità dei comparti interessati, i quali impiegano maggiormente il personale in specifiche attività operative per le quali è prevista la corresponsione di indennità ed emolumenti accessori. Tale maggiore impiego è correlato alle cessazioni dal servizio di personale non pienamente reintegrato in applicazione del parziale blocco del turn over.

 

Per quanto concerne i Corpi di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, l’articolo 66, comma 9-bis, del D.L. 112/2008 ha previsto un regime speciale in materia di turn over in base al quale tali amministrazioni potevano procedere, secondo le procedure di cui all’articolo 35, comma 4, del D.Lgs. 165/2001, all’assunzione di personale a tempo indeterminato, nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente a una spesa pari a quella relativa al personale cessato dal servizio nel corso dell’anno precedente e per un numero di unità non superiore a quelle cessate dal servizio nel corso dell’anno precedente. Tale regime speciale aveva carattere provvisorio, in quanto previsto per il triennio 2010, 2011 e 2012. L'articolo 9, comma 6, del D.L. 78/2010 aveva reso permanente, a decorrere dall'anno 2010, il regime speciale per le assunzioni nei suddetti Corpi. Con un’ulteriore modifica normativa, introdotta dall’articolo 14, co. 2, del D.L. 95/2012 (conv. L. 135/2012), il regime di cui sopra si applica ai soli anni 2010 e 2011 e, contestualmente, si prevede che il ricambio del turn-over sia limitato al 20 per cento nel 2012-2014, al 50 per cento nel 2015 e al 100 per cento dal 2016, analogamente a quanto disposto per le altre amministrazioni dello Stato.

 

La disposizione in commento richiama la cogenza per le stesse Forze delle disposizioni di contenimento delle spese per il pubblico impiego previste dall’articolo 16, co. 1, del D.L. 98/2011 (conv. L. 111/2011). Il riferimento riguarda in particolare quanto previsto dalla lettera b) della disposizione citata che proroga al 31 dicembre 2014 le disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici, anche accessori, del personale delle pubbliche amministrazioni, tra le quali si annovera il citato art. 9, co. 2-bis, del D.L. 98/2010.

 

Il comma 3 prevede la necessaria copertura finanziaria dell’onere derivante dalla disposizione di cui al comma 2, pari ad euro 6.299.662,00 per l'anno 2013. L’onere è stato quantificato - secondo la relazione tecnica - sulla base di dati forniti dai competenti Ministeri, che fanno registrare una riduzione del personale del comparto sicurezza-difesa pari a circa 7000 unità. Alla copertura di tale onere si provvede, quanto a 4 milioni, mediante corrispondente utilizzo delle somme disponibili in conto residui dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 3, comma 155, ultimo periodo, della legge n. 350 del 2003 (legge finanziaria 2004) e, per la parte rimanente, mediante riduzione per il 2013 della medesima autorizzazione.

Lo stesso comma autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze a disporre, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

Il richiamato comma 155 dell'articolo 3 della legge finanziaria per il 2004, reca autorizzazioni di spesa finalizzate a due distinti interventi: il riallineamento di alcune posizioni di carriera del personale delle Forze Armate ed il riordino dei ruoli e delle carriere di parte del personale delle Forze Armate e delle Forze di polizia. In particolare, il secondo periodo, autorizzava la spesa di 73 milioni di euro per l'anno 2004, 118 milioni di euro per l'anno 2005 e 122 milioni di euro a decorrere dall'anno 2006 da destinare a provvedimenti normativi in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale non direttivo e non dirigente delle Forze armate e delle Forze di polizia. Il comma 30 dell’articolo 9 del decreto legge n. 78 del 2010 ha successivamente stabilito che gli effetti dei provvedimenti normativi di cui al secondo periodo decorrano dal 1° gennaio 2011.

 

Il comma 4 interviene in materia di indennità per il personale della polizia stradale impiegato nei servizi autostradali, sostituendo l’attuale limite massimo giornaliero fissato per legge con la piena libertà di contrattazione delle parti in sede convenzionale.

Si ricorda che la Polizia di Stato assicura nel comparto di specializzazione della polizia stradale, la sicurezza stradale, con valenza peraltro, esclusiva per gli interventi in ambito autostradale (cfr. Ministero dell’interno, Decreto 28 aprile 2006, Riassetto dei comparti di specialità delle Forze di polizia).

 

Attualmente, infatti, sulla base delle convenzioni intervenute tra il Ministero dell'interno e le società concessionarie di autostrade per l'effettuazione del servizio di polizia sulle autostrade, le stesse società concessionarie s’impegnano a corrispondere alcune somme a titolo di indennità, in favore del personale della polizia stradale impiegato nei servizi autostradali.

L’articolo 18, co. 3, della legge 7 agosto 1990, n. 232 ha stabilito la misura massima di tali somme, che non possono in ogni caso superare il limite di lire 10.000 (corrispondenti a euro 5,16) giornalieri.

Con una duplice novella a tale disposizione, in primo luogo, viene abrogato il limite massimo e la misura dell’indennità è integralmente rimessa alle convenzioni tra Ministero e società autostradali, fermo il divieto di stabilire misure inferiori a quanto previsto dalle vigenti convenzioni.

 

La relazione tecnica valuta gli effetti di tale “liberalizzazione” in termini positivi per l’erario nel suo complesso, nel presupposto che l’eliminazione del limite legislativo consentirà all’Amministrazione di ottenere dalle società concessionarie, in sede di stipula delle convenzioni, indennità più ravvicinate al valore delle prestazioni garantite e, pertanto, più elevate di quelle finora stabilite. Ciò potrà determinare a sua volta un incremento delle entrate al bilancio dello Stato, derivanti dalle ritenute operate per legge dal Ministero dell’economia e delle finanze sulle somme versate al Ministero dell’interno.

 

In secondo luogo, per la definizione dei criteri e delle modalità per la ripartizione e la corresponsione al personale delle somme incassate dall’erario, si rinvia ad un decreto del Ministro dell'interno, adottato di concerto non solo con il Ministro dell'economia e delle finanze, ma anche con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, sentite le organizzazioni sindacali della polizia di Stato maggiormente rappresentative sul piano nazionale.

 

Il comma 5 è volto a consentire l’assegnazione nella disponibilità del Ministero dell’interno e al Fondo nazionale di protezione civile delle risorse già stanziate dal D.L. 95/2012 (conv. L. 135/2012) per assicurare la prosecuzione degli interventi connessi al superamento dell'emergenza umanitaria nel territorio nazionale in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa ed ormai dichiarata conclusa.

 

Tale emergenza è stata dichiarata con D.P.C.M. 12 febbraio 2011 (G.U. 21 febbraio 2011, n. 42), recante Dichiarazione dello stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale in relazione all’eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai paesi del Nord Africa. A seguito di tale provvedimento sono state emesse 10 ordinanze dalla Presidenza del Consiglio, a partire dal 18 febbraio 2011, per fronteggiare tale eccezionale stato di emergenza. Successivamente, il D.P.C.M. 6 ottobre 2011 (G.U. 8 ottobre 2011, n. 235) ha provveduto ha prorogare, fino al 31 dicembre 2012, lo stato di emergenza.

Per consentire la prosecuzione degli interventi, l’art. 23, comma 11, D.L. 95/2012 (conv. L. 135/2012) ha autorizzato la spesa massima di 495 milioni di euro per l’anno 2012. La suddetta autorizzazione di spesa è iscritta su di un apposito fondo dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze. L’individuazione delle risorse da assegnare per gli interventi di rispettiva competenza alla Protezione civile ovvero direttamente al Ministero dell'interno e alle altre Amministrazioni interessate è demandata ad ordinanze del Capo del Dipartimento della protezione civile, adottate, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, ai sensi dell'articolo 5, comma 2, della legge 24 febbraio 1992, n. 225. La disposizione ha stabilito che le somme non utilizzate nell'esercizio possono esserlo in quello successivo.

Infine, il comma 12 ha previsto la chiusura dello stato di emergenza ed il rientro nella gestione ordinaria degli interventi concernenti l’afflusso di immigrati sul territorio nazionale.

 

La disposizione in esame prevede, a valere sulle disponibilità del suddetto fondo, l’assegnazione per il 2013 di:

§      231.822.000 euro ai pertinenti capitoli dello stato di previsione del Ministero dell'interno;

§      16.964.138 euro al Fondo nazionale di protezione civile.

La relazione illustrativa motiva il ricorso allo strumento legislativo per disporre tale ripartizione di risorse per la impossibilità di utilizzare le ordinanze di protezione civile, come previsto dalle disposizioni del D.L. 95/2012, in conseguenza della cessazione dello stato emergenziale.

 

Si può notare che la disposizione prevede un’assegnazione di risorse stanziate per fronteggiare un’emergenza con interventi straordinari (art. 2, lett. c L. 225/1992), fattispecie che rientra tra quelle per le quali l’art. 10 del provvedimento in esame dispone l’istituzione di un Fondo per le emergenze nazionali (si v., infra).

 

 


Articolo 7
(Disposizioni in materia di arresto in flagranza in occasione di manifestazioni sportive e per il contrasto alle rapine, nonché in materia di concorso delle forze armate nel controllo del territorio)

 

L’articolo 7 reca una serie di disposizioni in materia di sicurezza dei cittadini.

Anzitutto, il comma 1 intervenendo sul comma 1-quinquies dell’art. 8 della legge 401 del 1989, proroga l’efficacia della disciplina sull’arresto in flagranza differita e sull’applicazione delle misure coercitive nei confronti degli imputati di reati commessi in occasione di manifestazioni sportive. Tale disciplina aveva cessato di avere efficacia il 30 giugno 2013.

L’articolo 8 della legge 401/1989 prevede infatti che nei casi di arresto in flagranza o di arresto differito per reato commesso durante o in occasione di manifestazioni sportive, i provvedimenti di remissione in libertà conseguenti a convalida di fermo e arresto o di concessione della sospensione condizionale della pena a seguito di giudizio direttissimo possono contenere prescrizioni in ordine al divieto di accedere ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive (comma 1).

Oltre che nel caso di reati commessi con violenza alle persone o alle cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, per i quali è obbligatorio o facoltativo l'arresto ai sensi degli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, l'arresto è altresì consentito nel caso di reati di lancio di materiale pericoloso, scavalcamento ed invasione di campo in occasione di manifestazioni sportive, possesso di artifizi pirotecnici in occasione di manifestazioni sportive, violazione del divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive (anche nel caso di divieto non accompagnato dalla prescrizione del questore di presentarsi presso l’ufficio di polizia nelle giornate di svolgimento delle manifestazioni sportive) (comma 1-bis).

Nei casi di cui al comma 1-bis, quando non è possibile procedere immediatamente all'arresto per ragioni di sicurezza o incolumità pubblica, si considera comunque in stato di flagranza ai sensi dell'articolo 382 del codice di procedura penale colui il quale, sulla base di documentazione video fotografica dalla quale emerge inequivocabilmente il fatto, ne risulta autore, sempre che l'arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione e, comunque, entro quarantotto ore dal fatto (comma 1-ter).

Quando l'arresto è stato eseguito per uno dei reati indicati dal comma 1-bis, e nel caso di violazione del divieto di accedere ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive, l'applicazione delle misure coercitive è disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli articoli 274, comma 1, lettera c), e 280 del codice di procedura penale (comma 1-quater).

In base al testo previgente al decreto-legge 93, le disposizioni di cui ai commi 1-ter e 1-quater hanno efficacia a decorrere dal 13 novembre 2010 fino al 30 giugno 2013.

Si rammenta che In base all’articolo 274, primo comma, lettera c), c.p.p., le misure cautelari sono disposte quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, sussiste il concreto pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.

In base all’art. 280 c.p.p. le misure cautelari coercitive possono essere applicate solo quando si procede per delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni. La custodia cautelare in carcere può essere disposta solo per delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni e per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all'articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195, e successive modificazioni.

 

La disciplina sull’arresto in flagranza differita e sull’applicazione delle misure cautelari per reati commessi in occasione di manifestazioni sportive non è mai stata inserita a regime nell’ordinamento e, ai sensi dell’art. 1 del D.L. 187/2010, era efficace fino al 13 giugno 2013. Come indicato nella relazione illustrativa del Governo al disegno di legge di conversione del decreto-legge, tale strumento si è rivelato particolarmente efficace, ottenendo una notevole riduzione dei reati di violenza in ambito sportivo ed un significativo miglioramento dell’azione repressiva. Per effetto della norma in esame l’efficacia della disciplina sull’arresto differito e sull’applicazione delle misure coercitive è prorogata al 30 giugno 2016.

Si osserva che la disposizione, prorogando un termine già scaduto il 30 giugno 2013, ha carattere parzialmente retroattivo.

 

Il comma 2 dell’art. 7 interviene sull’art. 628, terzo comma, del codice penale introducendo nuove aggravanti speciali del delitto di rapina nei casi di cd. minorata difesa.

Ferma restando l’attuale sanzione edittale per il reato-base (punito con la reclusione da 3 a 10 anni e con la multa da 516 a 2.065 euro) costituisce rapina aggravata punita con la reclusione da 4 anni e 6 mesi a 20 anni e con la multa da 1.032 a 3.098 euro anche:

§         il reato commesso in luoghi tali da ostacolare la pubblica e privata difesa;

§         il reato commesso in danno di persona maggiore di 65 anni.

Va rilevato che entrambe le ipotesi sono attualmente riconducibili ad aggravanti comuni previste dall’art. 61 c.p. (n. 5).

Il citato n. 5 prevede come aggravante comune del reato l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa.

Lo scopo dell’intervento in esame, come osserva la relazione al provvedimento, è quello di tipizzare tali aggravanti, la cui specialità ne rende obbligatoria l’applicazione nelle rapine commesse in danno dei soggetti più vulnerabili.

 

Il comma 3 novella il comma 74 dell’art. 24 del D.L. 78/2009[9] (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini) permettendo così di destinare le forze armate impegnate nel controllo del territorio (1.250 unità) anche a compiti diversi da quello di perlustrazione e pattuglia.

L’art. 7-bis della legge 125/2008 (di conversione del D.L. sicurezza n. 92/2008)[10] ha previsto, per specifiche ed eccezionali esigenze di prevenzione della criminalità, uno specifico Piano di impiego del personale delle Forze armate da utilizzare per il controllo del territorio.

 

Il comma 4 dell’art. 7 aggiunge un comma all’art. 682 c.p. relativo al reato di ingresso arbitrario in luoghi ove l'accesso è vietato nell'interesse militare dello Stato.

L’art. 682, se il fatto non costituisce un più grave reato, punisce tale fattispecie contravvenzionale con l'arresto da 3 mesi a 1 anno o con l'ammenda da 51 a 309 euro.

Il nuovo secondo comma dell’art. 682 prevede analoga sanzione per l’accesso abusivo in immobili adibiti a sedi di ufficio, di reparto o a deposito di materiali dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, il cui accesso è vietato per ragioni di sicurezza pubblica.

L’intervento, come esplicita la relazione illustrativa del Governo al disegno di legge di conversione del decreto-legge, intende colmare “un vuoto di tutela della riservatezza dei luoghi dell’amministrazione della pubblica sicurezza, in primis, della Polizia di Stato, che ha suscitato problemi di carattere interpretativo” coordinando, peraltro, il quadro normativo attuale con la riforma del segreto di stato (L. 124/2007) e le disposizioni attuative di cui al DPCM n. 7/2009; tale ultimo decreto definisce, altresì luoghi di interesse per la sicurezza della Repubblica le strutture delle amministrazioni che esercitano competenze istituzionali in materia di difesa e sicurezza dello Stato e di polizia (art. 6, comma 2).

 

 

 

 


Articolo 8
(Contrasto al fenomeno dei furti in danno di infrastrutture energetiche e di comunicazione)

 

L’articolo 8 interviene sul codice penale e sul codice di procedura penale per inasprire la repressione del reato di furto di materiali da impianti e infrastrutture destinate all’erogazione di servizi pubblici. A tal fine, il comma 1 novella le fattispecie penali di furto e di ricettazione, prevedendo specifiche aggravanti, mentre il comma 2 interviene sul codice di procedura penale per prevedere, nelle medesime ipotesi, l’arresto obbligatorio in flagranza di reato.

 

Analiticamente, la lettera a) del comma 1 modifica l’art. 625 c.p., relativo alle circostanze che aggravano il delitto di furto, prevedendo la pena della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 103 a euro 1.032 se il furto è commesso «su componenti metalliche o altro materiale sottratto ad infrastrutture destinate all'erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici e gestite da soggetti pubblici o da privati in regime di concessione pubblica». Quando dunque il furto attenga a beni infrastrutturali di questo tipo non si applica più la pena base dell’art. 624 c.p. - reclusione da sei mesi a tre anni e multa da euro 154 a euro 516 – bensì la pena aggravata.

La lettera b) del comma 1 modifica l’art. 648 c.p., relativo al delitto di ricettazione.

 

Si ricorda che il codice penale punisce con la reclusione da 2 ad 8 anni e con la multa da 516 a 10.329 648 euro chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare (primo comma).

La pena è della reclusione sino a 6 anni e della multa sino a 516 euro se il fatto è di particolare tenuità (secondo comma).

 

Il decreto-legge – inserendo un periodo in coda al primo comma – prevede ipotesi aggravate del delitto di ricettazione se il fatto riguarda denaro o cose provenienti da:

§         fattispecie aggravate del delitto di rapina (art. 628, terzo comma, c.p.);

§         fattispecie aggravate del delitto di estorsione (art. 629, secondo comma, c.p.);

§         fattispecie aggravata del delitto di furto, per l’aver sottratto componenti metalliche o altro materiale ad infrastrutture destinate all'erogazione di servizi pubblici e gestite da soggetti pubblici o da privati in regime di concessione pubblica (art. 625, primo comma, n. 7-bis).

In tutti questi casi il giudice potrà applicare un aumento di pena fino ad un terzo della pena base.

 

Il comma 2 dell’articolo 8 novella l’art. 380 del codice di procedura penale, relativo all’arresto obbligatorio in flagranza, per coordinarne le previsioni con le modifiche apportata al codice penale dal comma 1. Conseguentemente, tanto per l’ipotesi di furto aggravato di materiali provenienti da infrastrutture destinate all'erogazione di servizi pubblici (art. 625, primo comma, lett. 7-bis), quanto per le ipotesi di ricettazione aggravata di cui all’art. 648, primo comma, ultimo periodo, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria potranno procedere all’arresto di chiunque sia colto in flagranza di delitto.

 

 

 


Articolo 9
(Frode informatica commessa con sostituzione d’identità digitale)

 

L’articolo 9 detta una serie di disposizioni volte a contrastare il c.d. furto di identità.

 

Per una definizione del furto di identità nel nostro ordinamento occorre fare riferimento all’art. 30-bis del decreto legislativo n. 141 del 2010[11], in base al quale con questa espressione s’intende:

a) l'impersonificazione totale: occultamento totale della propria identità mediante l'utilizzo indebito di dati relativi all'identità e al reddito di un altro soggetto. L'impersonificazione può riguardare l'utilizzo indebito di dati riferibili sia ad un soggetto in vita sia ad un soggetto deceduto;

b) l'impersonificazione parziale: occultamento parziale della propria identità mediante l'impiego, in forma combinata, di dati relativi alla propria persona e l'utilizzo indebito di dati relativi ad un altro soggetto, nell'ambito di quelli di cui alla lettera a).

 

Il tema della sostituzione dell’identità digitale è stato affrontato dal Parlamento nella scorsa legislatura, nell’ambito di un’indagine conoscitiva della Commissione Trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera sulla sicurezza informatica delle reti.

In quella sede, nella seduta del 19 settembre 2012, il direttore del servizio di Polizia postale e delle comunicazioni aveva affermato che «Il furto di identità digitale non ha oggi una specifica previsione normativa in Italia: sarebbe opportuno dare autonome configurazioni legislative da questo punto di vista. […] In Italia i furti d'identità digitale riguardano i codici di pagamento elettronico, in maniera preponderante; e poi i codici di accesso ai servizi di home-banking. I clienti bancari che subiscono questo tipo di attacchi criminali sono passati dallo 0,06% del 2010 allo 0,16% del 2011; ma il dato è ancora più importante se si considerano le aziende, salendo allo 0,51% in quanto - spiega - le aziende sono assai meno attente dei privati nella gestione dei propri sistemi elettronici e informatici, forse perché non c'è un'adeguata cultura della sicurezza».

Nel documento conclusivo dell’indagine conoscitiva, la IX Commissione (DOC XVII, n. 26, del 22 gennaio 2013), ha sostenuto che «per combattere efficacemente il furto di identità digitale, oltre alle misure di carattere preventivo […], appare necessario dotare le istituzioni di adeguati strumenti normativi, introducendo nell'ordinamento il reato di furto di identità digitale, prevedendo adeguate sanzioni penali».

 

In particolare, il comma 1 novella la fattispecie di frode informatica, prevista dall’art. 640-ter c.p., introducendovi una aggravante per il fatto commesso con sostituzione dell’identità digitale in danno di uno o più soggetti.

 

L’art. 640-ter c.p. punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 51 a 1.032 euro chiunque, «alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno» (comma 1).

La pena è aggravata (reclusione da uno a cinque anni e multa da 309 a 1.549 euro) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico, ovvero se il fatto è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema (secondo comma).

Se ricorrono circostanze aggravanti il delitto è punibile d’ufficio mentre per la fattispecie base è richiesta la querela della persona offesa (ultimo comma).

 

In particolare, la lettera a) introduce un nuovo comma nell’articolo 640 in modo da prevedere la pena della reclusione da 2 a 6 anni e della multa da 600 a 3.000 euro se il fatto è commesso con sostituzione dell'identità digitale in danno di uno o più soggetti. La lettera b) interviene con finalità di coordinamento sull’ultimo comma della norma penale, disponendo che anche per questa ipotesi di aggravante il reato divenga perseguibile d’ufficio.

Il decreto-legge non istituisce dunque un’autonoma fattispecie penale relativa al c.d. furto dell’identità digitale, ma prevede che la sostituzione di tale identità possa rappresentare un’aggravante del delitto di frode informatica.

 

Il comma 2 novella il decreto legislativo n. 231 del 2001, in tema di responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato.

 

Al riguardo, si ricorda che il D.Lgs. n. 231/2001 prevede che, per una serie di reati espressamente individuati (artt. 24 e ss) , possano essere applicate alla persona giuridica - mediante accertamento giudiziale - sanzioni pecuniarie, sanzioni interdittive, confisca, pubblicazione della sentenza (art. 9).

Il presupposto per l’irrogazione della sanzione è ovviamente la responsabilità dell’ente che, ai sensi dell’art. 5, sussiste in riferimento ai reati commessi nell’interesse dell’ente stesso o a suo vantaggio, da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione, di direzione dell'ente o da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso.

Le sanzioni interdittive sono le seguenti (artt. 9, 13-18, 23):

-      l'interdizione dall'esercizio dell'attività;

-      la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito;

-      il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;

-      l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi.

La sanzione pecuniaria, ai sensi dell’art. 10, è applicate per quote, in un numero non inferiore a cento né superiore a mille. L'importo di una quota varia da un minimo di 258 euro ad un massimo di 1.549 euro.

Nella commisurazione della sanzione pecuniaria (art. 11) il giudice determina il numero delle quote tenendo conto della gravità del fatto, del grado della responsabilità dell'ente, nonché dell'attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti. L'importo della quota è fissato sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente allo scopo di assicurare l'efficacia della sanzione.

Infine, il decreto legislativo prevede che la responsabilità per fatti antecedenti permanga anche in caso di successiva trasformazione, fusione o scissione dell’ente; la competenza a conoscere gli illeciti amministrativi dell’ente è dello stesso giudice penale competente per i reati dai quali essi dipendono.

 

In particolare, il decreto-legge interviene sull’art. 24-bis del decreto legislativo, relativo a Delitti informatici e trattamento illecito di dati, per aggiungere al catalogo dei delitti ivi previsti tre ulteriori tipologie di reati, che determinano l’applicazione all'ente della sanzione pecuniaria da 100 a 500 quote.

Si tratta:

-             della frode informatica aggravata dalla sostituzione dell’identità digitale (art. 640-ter, terzo comma, c.p.);

-             dell’indebita utilizzazione di carte di credito (art. 55, comma 9, del d.lgs n. 231/2007[12], sulla prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio);

 

Si ricorda che l’art. 55, comma 9, del d.lgs. 231/2007 punisce con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 310 a 1.550 euro l’utilizzo indebito, non essendone titolare, e al fine di trarne profitto per sé o per altri, di carte di credito o di pagamento, ovvero di qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi, nonché la falsificazione o alterazione, la cessione o acquisizione dei medesimi strumenti di provenienza illecita.

 

-             dei delitti previsti dal Codice della privacy (artt. 167-172 del d.lgs n. 196 del 2003).

 

Si tratta in realtà delle sole fattispecie delittuose e dunque del trattamento illecito di dati (art. 167), delle falsità nelle dichiarazioni e notificazioni al Garante (art. 168) e dell’inosservanza di provvedimenti del Garante (art. 170).

 

Inoltre, in base all’art. 24-bis del decreto legislativo del 2001, se in seguito alla commissione dei suddetti delitti l'ente ha conseguito un profitto di rilevante entità o è derivato un danno di particolare gravità; si applica la sanzione pecuniaria da 200 a 600 quote.

 

Il comma 3 novella infine il decreto legislativo n. 141 del 2010 per gli aspetti concernenti il sistema di prevenzione delle frodi nel settore del credito al consumo, con specifico riferimento al furto d'identità.

 

Si ricorda che il D.Lgs. n. 64 del 2011 ha inserito nel D.Lgs. n. 141/2010 il Titolo V-bis dedicato all’istituzione di un sistema pubblico di prevenzione, sul piano amministrativo, delle frodi nel settore del credito al consumo, con specifico riferimento al furto d'identità, ovvero la frode che si sostanzia ogniqualvolta qualcuno utilizzi senza autorizzazione i dati personali di un soggetto (anagrafica, codice fiscale, dati previdenziali, ecc.) per ottenere un finanziamento a suo nome. L’obiettivo della normativa è di prevenire il fenomeno delle frodi, fornendo strumenti adatti ad accertare identità e capacità reddituale dei richiedenti il credito, configurare forme di deterrenza per i frodatori e ridurre il contenzioso giudiziario. A tale scopo, il sistema prevenzione configurato si prefigge di fornire contributi sul processo di “identificazione”, inteso come verifica della validità dei dati dichiarati dal soggetto e, successivamente, sul piano della “autenticazione”, ovvero la verifica con elevato livello di affidabilità dell'identità del soggetto.

Il sistema di prevenzione configurato dal D.Lgs. n. 64 del 2011 si basa su un archivio centrale informatizzato e su un gruppo di lavoro (articolo 30-ter, comma 2). La titolarità del predetto archivio, così come del trattamento dei dati, è affidata al MEF che, ai sensi delle norme del codice della privacy, (articolo 29 del codice del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196), designa la Consap S.p.A. quale ente gestore dell’archivio. Il gruppo di lavoro opera con funzioni di indirizzo, impulso e coordinamento, per migliorare l’azione preventiva. Ha inoltre funzioni di elaborazione e studio dei dati statistici, in forma anonima, relativi al comparto delle frodi.

In particolare l’articolo 30-ter ha istituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze un sistema di prevenzione delle frodi, sul piano amministrativo (ferme restando, dunque, le prescrizioni civili e penali in materia), nel settore del credito al consumo e dei pagamenti dilazionati o differiti, con specifico riferimento al furto d'identità. Per quanto concerne l’utilizzo dell’archivio da parte dei soggetti aderenti al sistema di prevenzione delle frodi, il comma 7 consente ai soggetti aderenti di inviare al gestore richieste di verifica dell'autenticità dei dati contenuti nella documentazione fornita dalle persone fisiche o giuridiche che richiedono una dilazione o un differimento di pagamento, un finanziamento o altra analoga facilitazione finanziaria, un servizio a pagamento differito. Tale verifica non può essere richiesta al di fuori dei casi e delle finalità previste per la prevenzione del furto di identità.

 

In particolare, il decreto-legge (art. 9, comma 3, lettera a)) novella l’art. 30-ter, che istituisce il sistema di prevenzione, inserendo il comma 7-bis in base al quale coloro che partecipano al sistema di prevenzione (ad esempio banche o intermediari finanziari) possono richiedere al gestore del sistema di prevenzione la verifica dell’autenticità dei dati contenuti nella documentazione fornita da persone fisiche, laddove ritengano utile accertarne l’identità.

 

L’articolo 30-ter istituisce, presso il Ministero dell’economia e delle finanze, un sistema di prevenzione delle frodi, sul piano amministrativo (ferme restando, dunque, le prescrizioni civili e penali in materia), nel settore del credito al consumo e dei pagamenti dilazionati o differiti, con specifico riferimento al furto d'identità.

Il sistema si basa su un archivio centrale informatizzato e su un gruppo di lavoro. La titolarità del predetto archivio, così come del trattamento dei dati, è affidata al MEF che designa la Consap S.p.A. quale ente gestore dell’archivio.

Le norme elencano poi i soggetti che possono partecipare al sistema di prevenzione delle frodi:

§         le banche e gli intermediari finanziari iscritti negli appositi elenchi previsti dalla legislazione bancaria;

§         i fornitori di servizi di comunicazione elettronica;

§         i fornitori di servizi interattivi associati o di servizi di accesso condizionato;

§         le imprese di assicurazione;

§         i gestori di sistemi di informazioni creditizie e le imprese che offrono ai predetti soggetti servizi assimilabili alla prevenzione, sul piano amministrativo, delle frodi, in base ad apposita convenzione con il MEF.

La disposizione (comma 6) demanda a un apposito decreto del MEF l’individuazione di altri soggetti aderenti al sistema.

Per quanto concerne l’utilizzo dell’archivio da parte dei soggetti aderenti al sistema di prevenzione delle frodi, il comma 7 consente ai soggetti aderenti di inviare al gestore richieste di verifica dell'autenticità dei dati contenuti nella documentazione fornita dalle persone fisiche o giuridiche che richiedono una dilazione o un differimento di pagamento, un finanziamento o altra analoga facilitazione finanziaria, un servizio a pagamento differito. Tale verifica non può essere richiesta al di fuori dei casi e delle finalità previste per la prevenzione del furto di identità.

Inoltre, gli aderenti trasmettono al titolare dell’archivio (MEF) le informazioni relative ai casi che configurano un rischio di frode.

Il comma 8 istituisce nell'ambito del sistema di prevenzione un servizio gratuito, telefonico e telematico, che consente di ricevere le segnalazioni da parte di soggetti che hanno subìto o temono di aver subìto frodi configuranti ipotesi di furto di identità.

 

La lettera b) del comma 3 interviene invece sull’art. 30-sexies del decreto legislativo n. 141 del 2010, per consentire – attraverso un decreto del Ministro dell’economia – la rideterminazione della misura delle componenti del contributo dovuto dall’aderente al sistema di prevenzione al gestore dell’archivio, in relazione ad ogni interrogazione della banca dati.

 

L’articolo 30-sexies si occupa della procedure di riscontro dell’autenticità dei dati. La Consap (ente gestore dell’archivio) autorizza, di volta in volta, la procedura di collegamento dell'archivio alle banche dati degli organismi pubblici e privati. Ciascuna richiesta di verifica comporta, da parte dell'aderente, il pagamento di un contributo fisso tale da garantire la copertura del costo pieno del servizio svolto dal gestore (comma 2). La Consap è obbligata a fornire al MEF apposita rendicontazione sulle somme introitate e i costi sostenuti in rapporto al servizio.

La quota delle somme introitate dalla Consap non destinata a garantire le spese di progettazione e di realizzazione dell'archivio, nonché il costo pieno del servizio svolto dalla stessa, viene versata annualmente, dal medesimo ente, all'entrata del bilancio dello Stato, per essere riassegnata ad apposito programma dello stato di previsione del MEF, da destinare alla prevenzione dei reati finanziari (nuovo comma 1-bis dell’articolo 30-septies, inserito dal D.Lgs. n. 169/2012).

 

Già prima dell’entrata in vigore del decreto-legge, in base all’art. 30-octies del d.lgs. n. 141/2010, spettava ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, previo parere del Garante per la protezione dei dati personali, fissare l'importo del contributo di cui all'articolo 30-sexies, comma 2, nonché i criteri di determinazione e le modalità di riscossione del medesimo.

La norma ora inserita per la rideterminazione della misura delle componenti del contributo si discosta da quella già prevista in quanto sostituisce il parere del Garante con il parere del gruppo di lavoro (previsto con funzioni di indirizzo, impulso e coordinamento, dall’art. 30-ter, comma 9).

 

Si osserva che la novella all’art. 30-sexies introduce una disposizione (il comma 3, che più correttamente si sarebbe dovuto numerare comma 2-bis) in realtà già approvata dal Parlamento, in sede di esame del disegno di legge di conversione del c.d. decreto del fare (decreto-legge n. 69 del 2013).

Infatti, l’articolo 16-bis, comma 1, lett. b), del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 (pubblicata nella Gazzetta ufficiale del 20 agosto 2013) ha inserito nell’art. 30-sexies il comma 2-bis, in base al quale «Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il parere del gruppo di lavoro di cui all'articolo 30-ter, comma 9, può essere rideterminata la misura delle componenti del contributo di cui al comma 2 del presente articolo».

Il Governo ha adottato il decreto-legge in esame quando la legge di conversione del c.d. decreto “fare” non era ancora stata pubblicata in Gazzetta.

Le due formulazioni – con lo stesso contenuto - non sono formalmente identiche:

 

D.Lgs. n. 141 del 2010

Art. 30-sexies

Comma 2-bis

Introdotto dall’art. 16-bis, comma 1, lett. b), D.L. 21 giugno 2013, n. 69

 

Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il parere del gruppo di lavoro di cui all'articolo 30-ter, comma 9, può essere rideterminata la misura delle componenti del contributo di cui al comma 2 del presente articolo.

Comma 3

Introdotto dall’art. 9, comma , 3, lett. b), D.L. 14 agosto 2013, n. 93.

 

Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il parere del gruppo di lavoro, può essere rideterminata la misura delle componenti del contributo di cui al comma 2.

 

Atti all’esame delle istituzioni europee (a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

La necessità di intensificare le azioni di contrasto ai cosiddetti “reati tradizionali” su reti elettroniche, tra cui il furto di identità, è un  tema di particolare rilevanza a livello dell’Unione europea, come risulta già dalla Comunicazione della Commissione europea “Verso una politica generale di lotta contro la cibercriminalità” (COM(2007)267) nonché, da ultimo, nell’Agenda digitale europea, (COM(2010)245), iniziativa faro della Strategia UE 2020 per la crescita e l’occupazione.

In particolare nella Comunicazione “Verso una politica generale di lotta contro la cibercriminalità”, la Commissione europea aveva sottolineato la necessità di un intervento legislativo a livello dell’Unione europea in materia di furto di identità, sulla base delle seguenti considerazioni:

·         il furto di identità in quanto tale non costituirebbe fattispecie di reato in tutti gli Stati membri;

·         nella maggior parte degli Stati membri l'autore sarebbe più probabilmente perseguito per frode;

·         poiché apparirebbe spesso più facile provare il reato di furto di identità che quello di frode, la cooperazione fra le autorità di contrasto dell'UE sarebbe agevolata se tutti gli Stati membri considerassero reato il furto di identità.

Nel Piano di azione per l’attuazione del programma di Stoccolma per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia (2010-2014) (COM(2010)171), la Commissione europea si è impegnata a presentare una Strategia europea sulla gestione dell'identità, comprendente proposte legislative sulla qualifica come reato del furto di identità, nonché sull'identità elettronica (eID) e su sistemi di autenticazione sicuri.

In tale quadro è in corso di esame da parte delle istituzioni europee una proposta di regolamento in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni nel mercato interno (COM(2012)238) presentata dalla Commissione europea nel giugno 2012. La proposta, che abroga la direttiva 1999/93/CE relativa ad un quadro comunitario per le firme elettroniche, è volta a:

·      fissare le condizioni a cui gli Stati membri riconoscono e accettano i mezzi di identificazione elettronica delle persone fisiche e giuridiche che rientrano in un regime notificato di identificazione elettronica di un altro Stato membro;

·      istituire un quadro giuridico per le firme elettroniche, i sigilli elettronici, la validazione temporale elettronica, i documenti elettronici, i servizi elettronici di recapito e l’autenticazione dei siti web.

·      garantire che i servizi e prodotti fiduciari ad esso conformi sono autorizzati a circolare liberamente nel mercato interno.

La proposta di regolamento, oggetto di dibattito in seno al Consiglio dell’Unione europea trasporti, telecomunicazioni e energia del 20 dicembre 2012, è tuttora all’esame delle Istituzioni europee; il voto in prima lettura del Parlamento europeo è indicativamente previsto per il 10 dicembre 2013.

 

Circa la sicurezza delle reti e dell’informazione si segnala che il 7 febbraio scorso la Commissione europea ha presentato una Comunicazione JOIN(2013)1 “Strategia dell'Unione europea per la cibersicurezza: un ciberspazio aperto e sicuro” (adottata insieme all’’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza), congiuntamente ad una proposta di direttiva (COM(2013)48) recante misure volte a garantire un livello comune elevato di sicurezza delle reti e dell’informazione nell’Unione. Si tratta di un pacchetto di iniziative per costituire un ambiente digitale sicuro e affidabile, nel quale siano in ogni caso promossi e protetti i diritti fondamentali e gli altri valori costitutivi dell’UE.

La comunicazione, oltre a riferirsi alla proposta di direttiva quale strumento principale della strategia, individua un complesso di misure concernenti la sensibilizzazione sul tema della sicurezza, lo sviluppo di un mercato interno di prodotti e servizi attinenti alla cibersicurezza, la promozione di investimenti, l’attività di contrasto alla criminalità informatica, e l’elaborazione di una politica internazionale dell’UE nel settore.

La proposta di direttiva, in sintesi, prevede:

·         un insieme di obblighi indirizzati agli Stati membri in materia di prevenzione, trattamento e risposta nei confronti dei rischi e degli incidenti a carico delle reti e dei sistemi informativi;

·         un meccanismo di collaborazione tra gli Stati membri volta ad un’applicazione  uniforme della nuova disciplina, che assicuri - se necessario – risposte e trattamenti coordinati ed efficienti dei rischi di incidenti a carico delle reti e dei sistemi informativi;

·         una serie di obblighi di sicurezza a carico degli operatori del mercato e delle amministrazioni pubbliche: si tratta, in particolare, di generalizzare l’obbligo di dichiarazione degli incidenti informatici (già previsto dalla legislazione Ue per prestatori di servizi di telecomunicazioni tradizionali), estendendone l’applicazione ad operatori di infrastrutture critiche (ad esempio nel settore dell’energia e dei trasporti), a fornitori di servizi dell’informazione (soggetti che utilizzano piattaforme di commercio informatico, reti sociali, etc.), nonché alle amministrazione pubbliche.

La proposta direttiva è all’esame delle Istituzioni europee; il voto in prima lettura del Parlamento europeo è indicativamente previsto per il 4 febbraio 2014.

 

Si segnala, inoltre, che dall’inizio del 2013, presso l’Agenzia dell’Unione europea Europol, è operativo l’EC3 - Centro europeo per la lotta alla criminalità informatica allo scopo di contribuire a proteggere i cittadini e le imprese europei dalla criminalità informatica. L’EC3 si concentra sulle attività illegali online compiute dalla criminalità organizzata, in particolare gli attacchi diretti contro l’e-banking e altre attività finanziarie online, lo sfruttamento sessuale dei minori online e i reati che colpiscono i sistemi di informazione e delle infrastrutture critiche dell’UE. In particolare, l’EC3 ha il compito di raccogliere e trattare dati relativi alla criminalità informatica, nonché di fungere da help desk per le unità di contrasto dei paesi dell’UE. Il Centro offre, inoltre, sostegno operativo ai paesi dell’UE e fornisce competenze tecniche, analitiche e forensi di alto livello nelle indagini congiunte dell’UE.

 

 


Capo III
(Norme in tema di protezione civile)

Articolo 10
(Modifiche alla legge 24 febbraio 1992, n. 225)

 

L'articolo 10, comma 1, novella l'art. 5 della legge n. 225 del 1992 in materia di protezione civile, recentemente modificato con il decreto-legge n. 59 del 2012, del quale si evidenziano di seguito le disposizioni di riforma più salienti.

 

La legge 24 febbraio 1992 n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile) come da ultimo modificata dal D.L. n. 59/2012 (Disposizioni urgenti per il riordino della protezione civile), all’articolo 5 reca norme concernenti lo stato di emergenza e il potere di ordinanza ad esso connesso.

L’art. 1, comma 1, lett. c), D.L. 59 ha modificato l’articolo 5 in più parti prevedendo alcune rilevanti novità in relazione alla dichiarazione e alla durata dello stato di emergenza, demandando la deliberazione dello stato di emergenza al Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o, se delegati, da un Ministro con portafoglio o dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri.

In particolare l’art. 5, comma 1, della legge n. 225/1992, così come novellato dal D.L. 59, prevede che la delibera con cui viene dichiarato lo stato di emergenza:

§       può essere emanata non solo al verificarsi degli eventi calamitosi, ma anche nella loro imminenza;

§       dispone in ordine all’esercizio del potere di ordinanza, conferendo al Consiglio dei Ministri una competenza attributiva di tale potere; la norma non effettua una previa individuazione del novero dei potenziali destinatari, fatta salva l’indicazione contenuta nel successivo comma 2, che conferisce potere di ordinanza al Capo del Dipartimento per la protezione civile salvo che sia diversamente stabilito con la deliberazione dello stato di emergenza; deve essere oggetto di intesa con le regioni territorialmente interessate;

§       deve indicare l’amministrazione pubblica competente in via ordinaria per il coordinamento degli interventi successivi alla scadenza dello stato di emergenza.

Si ricorda, altresì, che il D.L. 59/2012 ha introdotto anche un nuovo comma 1-bis dell’articolo 5, apportando un’ulteriore novità al sistema di protezione civile introducendo una durata massima dello stato di emergenza, pari a novanta giorni, prorogabile o rinnovabile di regola una sola volta - previa ulteriore deliberazione del Consiglio dei Ministri - di ulteriori sessanta giorni.

 

Con particolare riferimento a quanto previsto dalla norma in esame, il comma 2 dell'articolo 5 della legge n. 225/1992, come modificato dal D.L. 59/2012, reca una significativa innovazione alla disciplina previgente attraverso l’attribuzione del potere di ordinanza al Capo del Dipartimento della protezione civile, salvo che non sia diversamente stabilito con la delibera dello stato di emergenza (in tal caso viene comunque ribadito che il Capo del Dipartimento della protezione civile è il soggetto deputato a curarne in ogni caso l’attuazione). Val la pena sottolineare che il potere di ordinanza, in deroga alla normativa vigente[13] e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico, deve comunque essere esercitato nei limiti e secondo i criteri indicati nel decreto di dichiarazione dello stato di emergenza.

 

Il D.L. 59/2012 era intervenuto anche in merito al contenuto delle ordinanze, prevedendo che esse possono disporre in ordine:

§       all’organizzazione e all’effettuazione degli interventi di soccorso e di assistenza ai soggetti colpiti dall’evento;

§       alla messa in sicurezza degli edifici pubblici e privati e dei beni culturali gravemente danneggiati;

§       al ripristino delle infrastrutture e delle reti indispensabili per la continuità delle attività economiche e produttive e per la ripresa delle normali condizioni di vita.

Ai sensi dello stesso comma 2, per l’emanazione delle ordinanze da parte del Capo del Dipartimento della protezione civile è necessario acquisire l’intesa delle regioni territorialmente interessate.

Lo stesso D.L. 59/2012, introducendo il comma 2-bis nell’articolo 5 della L. 225/1992, ha previsto, in tema di emanazione ed efficacia delle ordinanze:

§         la trasmissione, per informazione, al Ministro con portafoglio delegato ovvero al Presidente del Consiglio dei Ministri;

§         che le ordinanze emanate entro i primi trenta giorni dall’evento sono trasmesse anche al Ministero dell’economia e delle finanze (MEF), che dovrà comunicare gli esiti della verifica[14] al Presidente del Consiglio dei Ministri e sono immediatamente efficaci;

§       che, successivamente al trentesimo giorno dalla dichiarazione dello stato di emergenza, l’emanazione delle ordinanze necessita del previo concerto del MEF limitatamente ai profili finanziari.

Si ricorda che il concerto con il MEF per l’emanazione delle ordinanze, relativamente agli aspetti di carattere finanziario, è stato introdotto dall’art. 2, comma 2-quinquies del D.L. 225/2010[15]. A differenza della disciplina previgente, le nuove disposizioni richiedono il concerto con il MEF solo nel caso di ordinanze emanate dopo i primi venti giorni dall’evento e di ordinanze destinate a regolare il rientro nell’ordinarietà (comma 4-ter dell’art. 5 della legge n. 225/1992). Il concerto con il MEF è previsto in ogni caso per le ordinanze che ripartiscono risorse derivanti dall’attuazione dei meccanismi di finanziamento di cui al comma 5-quinquies dell’articolo 5 della legge n. 225/1992 (alla cui scheda di commento si rinvia).

 

Il citato D.L. 59/2012 è intervenuto anche sull’art. 2 della L.225/1992, che distingue gli eventi da fronteggiare e gli ambiti di competenze ai fini dell'attività di protezione civile, come segue:

a) eventi naturali o connessi con l'attività dell'uomo che possono essere fronteggiati mediante interventi attuabili dai singoli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria;

b) eventi naturali o connessi con l'attività dell'uomo che per loro natura ed estensione comportano l'intervento coordinato di più enti o amministrazioni competenti in via ordinaria;

c) calamità naturali o connesse con l'attività dell'uomo che in ragione della loro intensità ed estensione debbono, con immediatezza d'intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo.

 

In merito agli interventi effettuati dall’art. 10, comma 1, sulla recente riforma disposta dal D.L. 59/2012, si evidenziano i seguenti:

§         la delibera che dichiara lo stato di emergenza per le fattispecie da fronteggiare con immediatezza e mezzi straordinari (art. 2, co. 1, lett. c), L. 225/1992) provvede anche ad una prima individuazione delle risorse finanziarie necessarie agli interventi da effettuare, autorizzando la spesa “nell’ambito dell’apposito stanziamento sul Fondo di protezione civile destinato allo scopo, individuando nell’ambito dello stanziamento complessivo quelle finalizzate” agli interventi attuabili in via ordinaria (lett. a), co. 2); se tali risorse si rivelano insufficienti in corso di intervento, possono essere oggetto di ulteriori deliberazioni in base a relazione motivata presentata dal Capo del Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri al Presidente del Consiglio dei ministri (lett. a);

§         è allungata la durata massima dello stato di emergenza, fissata a novanta giorni dal D.L. 59/2012, fino a centottanta giorni, prorogabili di altri centottanta (lett. b);

§         è introdotta una differente tipizzazione delle misure che possono essere previste dalle ordinanze di protezione civile in deroga adottate nelle situazioni di emergenza da fronteggiare con immediatezza e mezzi straordinari (lett. c);

§         è istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Protezione civile il Fondo per le emergenze nazionali, per la copertura degli oneri derivanti dall'attuazione di interventi necessari nelle situazioni di emergenza da fronteggiare con immediatezza e mezzi straordinari (cioè art. 2, co. 1, lett. c), L. 225/1992).

 

In merito a tali interventi si può rilevare che:

§         la modifica prevista dalla lett. a) non riproduce la norma introdotta dal D.L. 59/2012 nell’art. 5, comma 1, della L. 225/1992, che prevede che il Consiglio dei Ministri, nel deliberare lo stato di emergenza, dispone in ordine all’esercizio del potere di ordinanza; tuttavia, nonostante sia venuta meno la formulazione espressa dell’attribuzione di tale competenza del Consiglio dei ministri, la medesima competenza può essere dedotta dal comma 2 dello stesso art. 5 della L. 225/1992 – non modificato dall’articolo in esame – che prevede che le ordinanze sono emanate “dal Capo del Dipartimento della protezione civile, salvo che sia diversamente stabilito con la deliberazione dello stato di emergenza di cui al comma 1”: quindi la sfera soggettiva del potere di ordinanza mantiene la configurazione mista, comprensiva di organi di indirizzo politico e di organi amministrativi introdotta dal D.L. 59/2012;

§         la formulazione della tipologia delle misure adottabili con le ordinanze viene modificata rispetto a quella prevista dal D.L. 59/2012, anche introducendo in modo espresso il limite delle risorse finanziarie disponibili per ogni intervento previsto dalle ordinanze ed estendendo lo strumento dell’ordinanza alla ricognizione dei fabbisogni;

§         nonostante la lett. d) del comma 1 introduca un nuovo fondo per le emergenze nazionali, per gli interventi necessari nelle situazioni di emergenza da fronteggiare con immediatezza e mezzi straordinari (cioè art. 2, co. 1, lett. c), L. 225/1992) la lett. a) del comma 1 in esame prevede il ricorso per la copertura di tali interventi all’ “apposito stanziamento sul Fondo di protezione civile destinato allo scopo, individuando nell’ambito dello stanziamento complessivo quelle finalizzate” agli interventi attuabili in via ordinaria; inoltre, il vigente comma 4-quinquies, inserito nell’art. 5 della L. 225/2012 dal D.L. 59/2012 e non modificato dall’art. in esame, mantiene il riferimento all'utilizzo del Fondo per la protezione civile, senza citare il nuovo fondo per le emergenze nazionali; ancora, l’art. 6, co. 5 del provvedimento in esame assegna al Fondo nazionale per la protezione civile somme che erano state stanziate per emergenza umanitaria da fronteggiare in via straordinaria; in definitiva, considerata la coesistenza di riferimenti normativi ad entrambi i fondi, appare necessario un chiarimento in merito alle fattispecie di riferimento e ai criteri di utilizzazione delle loro risorse.

 

L’art. 10, comma 3, novella l'articolo 42 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, emanato in materia di trasparenza nelle pubbliche amministrazioni in base a delega contenuta nella legge 190/2012, c.d. anticorruzione. Con tale novella sono attribuite ai commissari delegati per la protezione civile le funzioni di responsabili per la prevenzione della corruzione e per la trasparenza.

 

L’art. 1, comma 7, della L. 190/2012, recante disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione, prevede che, ai fini dei piani anticorruzione, l'organo di indirizzo politico individua, di norma tra i dirigenti amministrativi di ruolo di prima fascia in servizio, il responsabile della prevenzione della corruzione. Negli enti locali, il responsabile della prevenzione della corruzione è individuato, di norma, nel segretario, salva diversa e motivata determinazione.

Inoltre, l’art. 43 del D.Lgs. 33/2013, emanato in base a delega contenuta nella L.190/2012, prevede che in ogni amministrazione il responsabile per la prevenzione della corruzione svolga, di norma, le funzioni di responsabile per la trasparenza.

 

In particolare la novella prevede che i commissari delegati svolgano le funzioni indicate “direttamente”; la disposizione presuppone l’affidamento di uno specifico ambito di attività commissariale, come richiesto dall’art. 5, comma 4, della L. 225/1992, che stabilisce che “il relativo provvedimento di delega deve specificare il contenuto dell'incarico, i tempi e le modalità del suo esercizio” e postula che venga attivato il subentro dell'amministrazione pubblica competente in via ordinaria almeno dieci giorni prima della scadenza del termine dello stato di emergenza ai sensi e nei limiti previsti dal medesimo art. 5, comma 4-quater.

 

Il medesimo articolo 10, comma 4, abroga la disposizione contenuta nel decreto-legge c.d. emergenza rifiuti in Campania che aveva istituito un nucleo interforze a disposizione del Dipartimento della protezione civile (art. 1, comma 8, D.L. 245/2005).

 

 

 


Articolo 11
(Disposizioni per il potenziamento del Corpo nazionale
dei vigili del fuoco)

 

L'articolo 11 reca disposizioni che riguardano il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, per diversi profili: da un lato, risorse finanziarie per garantire la funzionalità del Corpo al verificarsi di emergenze di protezione civile (co. 1-4) e, dall’altro, interventi in materia di sicurezza sul lavoro (co. 5).

 

Il comma 1 istituisce nello stato di previsione del Ministero dell'interno (missione «Soccorso civile» – programma «Prevenzione dal rischio e soccorso pubblico») uno specifico fondo emergenze, per le anticipazioni delle immediate e indifferibili esigenze delle spese derivanti dalle attività di soccorso pubblico prestate dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco nelle situazioni oggetto di dichiarazioni di stato di emergenza ex L. 225/1992. In particolare, è previsto l’utilizzo del Fondo per il pagamento delle somme necessarie per il trattamento economico accessorio spettante al personale del Corpo stesso impegnato nelle menzionate emergenze di protezione civile.

La dotazione del Fondo per l'anno 2013 è pari a 15 milioni di euro e, a decorrere dall'anno 2014, sarà determinata annualmente con la legge di bilancio. Lo stanziamento sul 2013 è garantito a valere su una parte delle risorse del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell’usura di cui all’art. 2, co. 6-sexies, D.L. 225/2010 (conv. da L. 10/2011). Per ripristinare le risorse anticipate, si prevede che le risorse rimborsate a qualsiasi titolo al Corpo nazionale dei vigili del fuoco per le spese sostenute per emergenze restano acquisite all'erario in misura corrispondente (comma 3).

Alla ripartizione delle risorse del Fondo di provvede mediante decreti del Ministro dell'interno, da comunicare al Ministero dell'economia e delle finanze, tramite l'Ufficio centrale del bilancio (comma 4).

 

Con riguardo alla materia della sicurezza sui luoghi di lavoro, di cui al decreto legislativo n. 81 del 2008, l’articolo in commento introduce (comma 5) alcune novelle nello stesso decreto legislativo volte a:

§         includere anche il Corpo nazionale dei vigili del fuoco nella specifica disciplina oggetto di decreto interministeriale  riservata alle Forze di polizia e alle Forze armate in materia di regole tecniche per la realizzazione, il funzionamento e il trattamento dei dati, del Sistema informativo per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP), nonché le modalità di partecipazione al SINP per le attività operative e di addestramento (lett.a));

§         consentire al Corpo l'effettuazione in proprio sia delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro, di cui all'allegato VII del decreto legislativo 81/2008, di cui il Corpo nazionale dispone a titolo di proprietà o di comodato d'uso (lett. b)), sia delle attività di formazione e di abilitazione del proprio personale all'utilizzo delle attrezzature di lavoro, che comprendono quelle per il soccorso pubblico (lett. c)).

 

 

 


Capo IV
(Norme in tema di gestioni commissariali delle province)

Articolo 12
(Gestioni commissariali delle province)

 

L’articolo 12, con i commi 1 e 2, dispone la salvezza, rispettivamente, dei provvedimenti di scioglimento delle province e dei conseguenti atti di nomina dei commissari nonché degli atti da questi posti in essere. La base normativa di entrambe le categorie di atti è costituita dal comma 20 dell'art. 23 del decreto-legge 201/2011 (conv. da L. 216/2011) - dichiarato illegittimo dalla sentenza della Corte costituzionale n. 220/2013 - che prevedeva l'applicazione sino al 31 marzo 2013, agli organi provinciali venuti a scadenza successivamente alla sua entrata in vigore e a tutti quelli da rinnovare entro il 31 dicembre 2012, della disposizione del Testo unico per gli enti locali (TUEL) in tema di commissariamento.

 

La sentenza 3 luglio 2013, n. 220 ha dichiarato l'illegittimità non solo del comma 20 dell'art. 23, ma anche dei commi 4, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20-bis dello stesso articolo decreto-legge n. 201/2011 e degli artt. 17 e 18 del decreto-legge n. 95/2012.

In particolare, l'art. 23 del D.L. 201/2011 aveva circoscritto le funzioni provinciali di indirizzo e di coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale e aveva limitato gli organi di governo della Provincia al Consiglio provinciale e al Presidente della Provincia, e previsto la loro elezione di secondo grado, rinviando la determinazione delle modalità di elezione di tali organi a legge dello Stato da adottare entro il 31 dicembre 2013. Per le altre funzioni era stato previsto il trasferimento ai comuni salve esigenze di carattere unitario che ne rendano necessaria l'acquisizione alle regioni. In particolare le seguenti disposizioni dell'art. 23, delle quali la sentenza dichiara l'illegittimità, hanno previsto:

·         obbligo dei comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti ricadenti nel territorio di ciascuna Provincia di affidare obbligatoriamente ad un'unica centrale di committenza l'acquisizione di lavori, servizi e forniture nell'ambito delle unioni dei comuni, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici (comma 4);

·         limitazione delle funzioni delle province esclusivamente a quelle di indirizzo e di coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze (comma 14);

·         eliminazione della giunta dagli organi di governo della Provincia limitati al Consiglio provinciale e il Presidente della Provincia che durano in carica cinque anni (comma 15);

·         il Consiglio provinciale è composto da non più di dieci componenti eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della Provincia e il Presidente della Provincia è eletto dal Consiglio provinciale tra i suoi componenti (commi 16 e 17 ): le modalità di elezione dovevano essere stabilite con legge entro il 31 dicembre 2013, ma l'esame del disegno di legge presentato a tal fine dal Governo nella scorsa legislatura non si è concluso;

·         lo Stato e le Regioni, con propria legge, secondo le rispettive competenze, provvedono a trasferire ai Comuni, entro il 31 dicembre 2012, le funzioni conferite dalla normativa vigente alle Province, salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle Regioni, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. In caso di mancato trasferimento delle funzioni da parte delle Regioni entro il 31 dicembre 2012, si provvede in via sostitutiva (comma 18);

·         lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono altresì al trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l'esercizio delle funzioni trasferite, assicurando nell'ambito delle medesime risorse il necessario supporto di segreteria per l'operatività degli organi della provincia (comma 19);

·         agli organi provinciali che devono essere rinnovati entro il 31 dicembre 2012 si applica, sino al 31 marzo 2013, la disposizione del Testo unico per gli enti locali (TUEL) in tema di commissariamento; gli organi provinciali che devono essere rinnovati successivamente al 31 dicembre 2012 restano in carica fino alla scadenza naturale; solo decorsi tali termini si procede all'elezione dei nuovi organi provinciali  (comma 20).

Va ricordato che il comma 20-bis del citato art. 23, escludendo le regioni ad autonomia speciale dall’applicazione diretta di quanto statuito, ha rinviato alla stessa autonomia, nei limiti costituzionalmente previsti, l’obbligo di adeguamento alle disposizioni illustrate che non si applicano alle province autonome di Trento e di Bolzano. Tuttavia, la citata sentenza 220/2013 ne ha dichiarato l’illegittimità consequenziale in quanto “pone un obbligo di adeguamento degli ordinamenti delle Regioni speciali a norme incompatibili con la Costituzione”.

Il decreto-legge n. 95/2012 (conv. da L. 135/2012) aveva disposto, con l'articolo 17, un generale riordino delle province all'esito di un procedimento da condividere con le comunità locali e una ridefinizione delle loro funzioni, con conferimento di ulteriori funzioni oltre a quelle di coordinamento stabilite dal D.L. 201/2011. Il riordino delle province era strettamente collegato all'istituzione delle città metropolitane, prevista dall'articolo 18 del medesimo provvedimento, che avrebbe dovuto comportare la contestuale soppressione delle province nel relativo territorio.

Nella scorsa legislatura era stato emanato anche un terzo decreto-legge n. 188/2012, decaduto per mancanza di conversione nel termine, che provvedeva al riordino delle province delle regioni a statuto ordinario sulla base della deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012 che ne aveva individuato i requisiti minimi: popolazione di almeno 350 mila abitanti e superficie territoriale non inferiore ai 2.500 chilometri quadrati. Il testo disponeva anche in materia di istituzione e di organi di città metropolitane.

 

La sentenza 220/2013 fonda la pronuncia di illegittimità sulla considerazione che lo strumento del decreto-legge, configurato dall'art. 77 della Costituzione come "atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza", non è "utilizzabile per realizzare una riforma organica e di sistema quale quella prevista dalle norme censurate".

Per la Corte, risulta evidente che le norme censurate incidono notevolmente sulle attribuzioni delle Province, sui modi di elezione degli amministratori, sulla composizione degli organi di governo e sui rapporti dei predetti enti con i Comuni e con le stesse Regioni. Si tratta di una riforma complessiva di una parte del sistema delle autonomie locali, destinata a ripercuotersi sull’intero assetto degli enti esponenziali delle comunità territoriali, riconosciuti e garantiti dalla Costituzione (punto 11.3 considerato in diritto).

L’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., nell’attribuire alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la disciplina in materia di legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane, conferisce “le componenti essenziali dell’intelaiatura dell’ordinamento degli enti locali” a “leggi destinate a durare nel tempo e rispondenti ad esigenze sociali ed istituzionali di lungo periodo, secondo le linee di svolgimento dei princìpi costituzionali nel processo attuativo delineato dal legislatore statale ed integrato da quelli regionali. È appena il caso di rilevare che si tratta di norme ordinamentali, che non possono essere interamente condizionate dalla contingenza, sino al punto da costringere il dibattito parlamentare sulle stesse nei ristretti limiti tracciati dal secondo e terzo comma dell’art. 77 Cost., concepiti dal legislatore costituente per interventi specifici e puntuali, resi necessari e improcrastinabili dall’insorgere di «casi straordinari di necessità e d’urgenza»”. Perciò, se può essere “adottata la decretazione di urgenza per incidere su singole funzioni degli enti locali, su singoli aspetti della legislazione elettorale o su specifici profili della struttura e composizione degli organi di governo, secondo valutazioni di opportunità politica del Governo sottoposte al vaglio successivo del Parlamento. Si ricava altresì, in senso contrario, che la trasformazione per decreto-legge dell’intera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale, previsto e garantito dalla Costituzione, è incompatibile, sul piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale, trattandosi di una trasformazione radicale dell’intero sistema, su cui da tempo è aperto un ampio dibattito nelle sedi politiche e dottrinali, e che certo non nasce, nella sua interezza e complessità, da un «caso straordinario di necessità e d’urgenza” (punto 12.1 considerato in diritto).

Inoltre, poiché “la modificazione delle singole circoscrizioni provinciali richiede, a norma dell’art. 133, primo comma, Cost., l’iniziativa dei Comuni interessati – che deve necessariamente precedere l’iniziativa legislativa in senso stretto – ed il parere, non vincolante, della Regione”, la Corte ha ravvisato “una incompatibilità logica e giuridica (…) tra il decreto-legge, che presuppone che si verifichino casi straordinari di necessità e urgenza, e la necessaria iniziativa dei Comuni (punto 12.2 considerato in diritto).

 

I commi 3 e 4 dell’articolo in esame incidono sulla disposizione contenuta nella legge di stabilità per il 2013 (art. 1, comma 115, L. 228/2012) che aveva temporaneamente congelato, fino al 31 dicembre 2013, l'assetto dato all'ordinamento provinciale dai D.L. 201/2011 e D.L. 95/2012.

 

La disposizione citata ha previsto: la sospensione, fino al 31 dicembre 2013, del trasferimento ai Comuni delle funzioni conferite dalla normativa vigente alle Province, nonché del trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali all'esercizio delle funzioni stesse; la sospensione fino al 31 dicembre 2013 dell'applicazione delle disposizioni in materia di città metropolitane; la proroga al 31 dicembre 2013 del termine entro il quale sono stabilite, con legge dello Stato, le modalità di elezione dei componenti del Consiglio provinciale con previsione di gestioni commissariali fino alla stessa data; l'attribuzione di carattere transitorio all'assegnazione delle funzioni di area vasta alle province, effettuata in via definitiva dal comma 10 dell'art. 17 del D.L. 95/2012.

Il differimento degli effetti delle modifiche ordinamentali predisposte era preordinato al fine di consentire la riforma organica della rappresentanza locale ed al fine di garantire il conseguimento dei risparmi previsti dal D.L. n. 95/2012, nonché quelli derivanti dal processo di riorganizzazione dell’Amministrazione periferica dello Stato.

 

In particolare, si dispone l'ulteriore efficacia di tale disposizione - senza intervento di novella - rendendola applicabile oltre il termine del 31 dicembre 2013 e fino al 30 giugno 2014 per le gestioni commissariali già in essere (comma 3) e dal 1° gennaio 2014 al 30 giugno dello stesso anno per le gestioni che dovranno essere disposte per le province che cesseranno per scadenza naturale o per cessazione anticipata (comma 4).

 

Il Governo motiva, nella relazione illustrativa, l’opportunità di conferire nuova legittimazione alle gestioni commissariali in corso, dopo la sentenza della Corte costituzionale, e di protrarla fino al 30 giugno 2014 “in considerazione della ragionevole possibilità che il percorso riformatore venga a compiersi successivamente al 31 dicembre 2013, termine ultimo attualmente indicato dalla legge per la conclusione delle gestioni commissariali provinciali”.

 

In merito a tale percorso di riforma, si ricorda che il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva (seduta n. 18, del 2 agosto 2013), un disegno di legge costituzionale (A.C. 1543) che prevede la soppressione delle province (ora sottoposto al parere della Conferenza unificata) e, in via preliminare, un disegno di legge per il riordino delle funzioni delle province (seduta n. 16, del 26 luglio 2013). Questo secondo disegno di legge ordinamentale (A.C. 1542) si affiancherebbe al ddl costituzionale di abolizione delle Province e, nelle more della riforma costituzionale, dovrebbe consentire già a partire dal 2014 cambiamenti sostanziali, sia nelle funzioni, sia negli assetti istituzionali.

 

Per quanto riguarda l’incidenza della disposizione in commento, si rileva che le amministrazioni provinciali che risultano sciolte alla data del 1° settembre 2013 sono: Belluno (13 dicembre 2011), Genova (9 maggio 2012), Vicenza (31 maggio 2012), La Spezia (1 giugno 2012), Ancona (2 giugno 2012), Como (2 giugno 2012), Asti (23 novembre 2012), Biella (23 novembre 2012), Brindisi (23 novembre 2012), Vibo Valentia (10 dicembre 2012), Roma (10 gennaio 2013), Avellino (12 febbraio 2013); Rieti (12 febbraio 2013); Frosinone (18 marzo 2013); Napoli (18 marzo 2013), Benevento (18 aprile 2013); Catanzaro (18 aprile 2013); Massa Carrara (18 aprile 2013); Varese (18 aprile 2013); Foggia (16 maggio 2013); Lodi (6 giugno 2013); Taranto (19 luglio 2013).

 

La salvezza di effetti prevista dai commi 1 e 2 e l’ulteriore efficacia conferita dai commi 3 e 4, con riferimento a disposizioni contenute, rispettivamente, in decreti-legge e in legge ordinaria, rientranti comunque in unico disegno di riforma dell’ordinamento provinciale, concorrono a conferire una sostanziale continuità di effetti, con lo strumento del decreto-legge, ad una riforma le cui disposizioni cardine sono state caducate dalla Corte costituzionale proprio in quanto adottate con decreto-legge.

 

Si rileva inoltre che:

§         ferme restando le differenze delle fattispecie riconducibili a differenti vicende cui possono essere soggette le disposizioni di decreto-legge - da un lato la declaratoria di incostituzionalità che produce effetti dalla data di pubblicazione della sentenza della Consulta (art. 136 Cost.) e, dall’altro, la decadenza per mancata conversione che ha effetto ex nunc (art. 77 Cost.) – l’art. 77 Cost., comma secondo, secondo periodo, richiede la legge ordinaria per disporre la salvezza di effetti di rapporti giuridici privati di base giuridica in caso di mancata conversione del decreto-legge sulla base del quale erano sorti;

§         la sent. 220/2013, nel richiamare l’art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, recante «Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri», che prevede che il decreto-legge debba contenere misure di immediata applicazione, ha fatto presente che tale disposizione, che non ha sul piano formale, rango costituzionale, “esprime ed esplicita ciò che deve ritenersi intrinseco alla natura stessa del decreto-legge (sentenza n. 22 del 2012), che entrerebbe in contraddizione con le sue stesse premesse, se contenesse disposizioni destinate ad avere effetti pratici differiti nel tempo” (punto 12.1 considerato in diritto);

§         tale contraddizione è rilevata, dalla medesima sent. 220/2013, proprio per l’art. 1, comma 115, L. 228/2012, sul quale sostanzialmente incidono i commi 3 e 4 dell’articolo in esame, notando che da esso “non risulta chiaro se l’urgenza del provvedere – anche e soprattutto in relazione alla finalità di risparmio, esplicitamente posta a base del decreto-legge, come pure del rinvio – sia meglio soddisfatta dall’immediata applicazione delle norme dello stesso decreto oppure, al contrario, dal differimento nel tempo della loro efficacia operativa. Tale ambiguità conferma la palese inadeguatezza dello strumento del decreto-legge a realizzare una riforma organica e di sistema, che non solo trova le sue motivazioni in esigenze manifestatesi da non breve periodo, ma richiede processi attuativi necessariamente protratti nel tempo, tali da poter rendere indispensabili sospensioni di efficacia, rinvii e sistematizzazioni progressive, che mal si conciliano con l’immediatezza di effetti connaturata al decreto-legge, secondo il disegno costituzionale”;

§         l’ulteriore efficacia disposta dai commi 3 e 4 appare idonea a conferire alla sanatoria prevista dai commi 1 e 2 una proiezione verso rapporti giuridici futuri che non risulta coerente con la giurisprudenza costituzionale per la quale “la sanatoria provvede soltanto a "cristallizzare", una volta per tutte, gli effetti prodotti a suo tempo dai decreti decaduti, ma non può, in quanto tale, disporre in ordine ai rapporti futuri” (si veda a.e. sent. n. 430/1997).

 

Il comma 5 sospende l’applicazione delle disposizioni contenute nell'articolo 2, comma 2, del D.L. 95/2012 (conv. da L. 135/2012) che prevedono la riduzione delle dotazioni organiche del Ministero dell’interno. Nel dettaglio, le riduzioni previste dalla norma richiamata si applicheranno dopo il 30 giugno 2014.

L’obiettivo della sospensione è quello di collegare i provvedimenti relativi alle dotazioni organiche dell’Amministrazione civile dell’interno a quelli di tipo ordinamentale di riordino delle province, come già stabilito ai sensi dell’art. 2, co. 2, del D.L. 95/2012 e dell’art. 1, co. 115, della legge di stabilità per il 2013.

 

L'articolo 2 del D.L. 95/2012 ha stabilito, nell’ambito di un processo di razionalizzazione della spesa già avviato da qualche anno, una riduzione degli uffici e delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni dello Stato in misura non inferiore al: 20 per cento di quelle esistenti, per il personale dirigenziale di livello generale e di livello non generale (lettera a); 10 per cento della spesa complessiva relativa al numero dei posti in organico, per il personale non dirigenziale. Il comma 2 di tale disposizione ha stabilito per il solo personale dell’Amministrazione civile dell’interno che le riduzioni si applicano all’esito della procedura di soppressione e razionalizzazione delle province prevista dal medesimo D.L., all’articolo 17, e, comunque, entro il 30 aprile 2013.

 

Il comma 6 dispone l'invarianza finanziaria di quanto previsto dall'art. 12.

 

 


Articolo 13
(Entrata in vigore)

 

L’articolo 13 dispone l’entrata in vigore del provvedimento il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

 

 



[1]     Si ricorda che la CEDAW – universalmente riconosciuta come una sorta di Carta dei diritti delle donne – definisce "discriminazione contro le donne" "ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia l'effetto o lo scopo di compromettere o annullare il riconoscimento, il godimento o l'esercizio da parte delle donne, indipendentemente dal loro stato matrimoniale e in condizioni di uguaglianza fra uomini e donne, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile, o in qualsiasi altro campo".

Si segnala che, sempre nell'ambito delle Nazioni Unite, nel 2009 è stato lanciato il database sulla violenza contro le donne, allo scopo di fornire il quadro delle misure adottate dagli Stati membri dell'Onu per contrastare la violenza contro le donne sul piano normativo e politico, nonché informazioni sui servizi a disposizione delle vittime.

[2]     Si veda, al proposito, la relazione illustrativa al ddl di autorizzazione alla ratifica – A.S. 3654 - presentato dal Governo Monti l'8 gennaio 2013.

[3]     Riguardo l'articolo 30 della Convenzione, si ricorda che il Governo Monti aveva annunciato (v. relazione illustrativa al citato ddl 3654 presentato al Senato nella scorsa legislatura) la propria intenzione, al momento del deposito dello strumento di ratifica, di apporre la riserva all'articolo 30, paragrafo 2, prevista dall'articolo 78 della Convenzione stessa.

[4]     In merito si osserva che nel nostro ordinamento penale il principio della procedibilità d'ufficio dei delitti si applica come regola generale, ovvero quando il legislatore non prescriva una diversa condizione di procedibilità. In particolare, la scelta del nostro legislatore è sempre stata quella della procedibilità a querela della persona offesa per i delitti di violenza sessuale (art. 609-septies c.p.), con la specificazione dell'irrevocabilità della querela proposta. Si procede d'ufficio solo se:

     la vittima della violenza sessuale è un minore;

     il fatto è commesso dall'ascendente, dal genitore, anche adottivo, o dal di lui convivente, dal tutore ovvero da altra persona cui il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia o che abbia con esso una relazione di convivenza;

     il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nell'esercizio delle proprie funzioni;

     il fatto è connesso con un altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio;

     il reato di atti sessuali con minorenne è stato commesso nei confronti di un minore di 10 anni.

[5] Si tratta dei seguenti reati previsti dal codice penale: violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570); abuso dei mezzi di correzione o di disciplina (art. 571); lesione personale (art. 582); riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (art. 600); prostituzione minorile (art. 600-bis); pornografia minorile (art. 600-ter); detenzione di materiale pornografico (art. 600-quater); tratta di persone (art. 601); acquisto e alienazione di schiavi (art. 602); violenza sessuale semplice e aggravata (artt  609-bis e-ter); atti sessuali con minorenne (art. 609-quater); corruzione di minorenne (art. 609-quinquies); violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies); minaccia grave (art. 612, secondo comma).

[6]     D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

[7] Convertito, con modificazioni, dalla L. 248/2006.

[8]     Regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio dell’11 luglio 2006, recante le disposizioni generali sui Fondi strutturali.

[9] Convertito, con modificazioni, dalla legge 102/2009.

[10] Convertito, con modificazioni, dalla legge 102/2009.

[11]    D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141, Attuazione della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonché modifiche del titolo VI del testo unico bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993) in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi.

[12]    D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231, Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione.

[13]    Si fa presente che, ai sensi dei commi 5 e 6 dell’art. 5 della legge n. 225/1992, le ordinanze emanate in deroga alle leggi vigenti devono essere motivate, contenere l’indicazione delle principali norme a cui si intende derogare, pubblicate nella G.U. e trasmesse ai sindaci interessati per l’ulteriore pubblicazione locale.

[14]    Il testo originario conteneva il termine “verificazione” che è stato sostituito con il termine “verifica” durante l’esame in sede referente.

[15]    Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie, convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10.