XVII Legislatura

Commissione parlamentare per la semplificazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 23 di Giovedì 27 febbraio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Tabacci Bruno , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SEMPLIFICAZIONE LEGISLATIVA ED AMMINISTRATIVA

Audizione del Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, Giovanni Pitruzzella.
Tabacci Bruno , Presidente ... 3 
Pitruzzella Giovanni , Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ... 3 
Tabacci Bruno , Presidente ... 9 
Taricco Mino (PD)  ... 9 
Monchiero Giovanni (SCpI)  ... 10 
Mucci Mara (M5S)  ... 10 
Angioni Ignazio  ... 11 
Tabacci Bruno , Presidente ... 12 
Pitruzzella Giovanni , Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ... 12 
Tabacci Bruno , Presidente ... 15

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BRUNO TABACCI

  La seduta comincia alle 8.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, Giovanni Pitruzzella.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, Giovanni Pitruzzella.
  Con il professor Pitruzzella, che ovviamente ringrazio per la disponibilità, proseguiamo il ciclo di audizioni dedicato alle autorità indipendenti nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla semplificazione legislativa e amministrativa. È un ambito di grande interesse per la Commissione dal momento che tali autorità sperimentano, nell'esercizio dei loro poteri, procedure di analisi d'impatto e consultazioni pubbliche.
  Rammento, come già segnalato ieri, che l'analisi d'impatto, nel caso delle autorità indipendenti, assume particolare rilevanza anche giurisprudenziale, in particolare quando, per esigenze che le autorità stesse sono chiamate a dimostrare, esse si discostino dalle indicazioni europee e nazionali.
  Do, quindi, la parola al presidente Pitruzzella, che sono sicuro potrà offrirci anche un quadro esaustivo della normativa vigente nei settori di competenza dell'Autorità dal punto di vista della semplificazione. Lo ringrazio per la memoria che ha già messo a nostra disposizione e che ci aiuterà nella definizione del documento conclusivo.

  GIOVANNI PITRUZZELLA, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Premetto che, a mio avviso, il confronto tra autorità indipendenti e Parlamento dovrebbe essere costante non solo per mettere a disposizione dell'organo rappresentativo la massa di informazioni e di riflessioni di cui dispongono, ma anche perché esiste un’accountability delle autorità nei confronti del Parlamento.
  In questa prospettiva, sempre in premessa, ricordo che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, preposta proprio alla promozione della concorrenza in tutti i mercati, manda al Parlamento delle segnalazioni in cui solleva delle criticità regolatorie, della legislazione, che bloccano la concorrenza o creano, comunque, inefficienze significative nel funzionamento del sistema economico su tematiche specifiche. Una volta l'anno, inoltre, mandiamo una segnalazione per la legge annuale sulla concorrenza, istituto previsto dal legislatore, attuato solamente una volta col decreto-legge cosiddetto «Crescitalia», che fu il frutto in parte di una nostra segnalazione.
  Ciò premesso, vorrei brevemente ricollegarmi a quanto diceva il presidente sul ruolo delle autorità indipendenti anche ai fini di precisare quanto illustrerò sulla semplificazione. Le autorità indipendenti svolgono ruoli diversi e, quindi, Pag. 4esistono, soprattutto sulla base del diritto europeo, delle autorità di regolazione, come l'Autorità per l'energia elettrica il gas ed il sistema idrico, l'Autorità per le comunicazioni e così via, che hanno proprio il compito di dettare regole in determinati ordinamenti sezionali, in determinati ambiti di mercato.
  Tra le funzioni di queste regole, c’è quella di creare un mercato concorrenziale in contesti in cui il mercato non potrebbe esserci. Pensiamo alla concorrenza che si svolge sulle ferrovie o sulla rete elettrica.
  Di contro, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato non ha compiti di regolazione. Non adottiamo regole, non emaniamo regolamenti, se non poca cosa, che riguardano il nostro funzionamento interno, ma interveniamo ex post per reprimere illeciti concorrenziali, irrogando delle sanzioni amministrative che riguardano soprattutto l'abuso di posizione dominante e i cartelli. La nostra non è un'esperienza di chi fa regole, ma è tale da avere una visione a 360 gradi del funzionamento dei mercati, che ci consente di capire quali sono le condizioni che in molti casi bloccano la competitività del Paese e la ripresa della crescita.
  Sotto questo profilo, il contributo che possiamo offrire riguarda soprattutto la semplificazione amministrativa e la semplificazione legislativa, certamente tra i fattori, messi in evidenza da una molteplicità di rapporti e di studi nazionali, che penalizzano la competitività del Paese.
  Al riguardo, procedendo per flash e lasciando spazio a eventuali richieste di chiarimenti, vorrei sottolineare che in Italia si discute di semplificazione amministrativa e di semplificazione legislativa da circa 20 anni. Abbiamo avuto numerose iniziative, tra cui un dipartimento per la semplificazione. Il fatto che ancora oggi tutti affermiamo che gli oneri burocratici sono tra gli elementi che ostacolano fortemente la competitività del Paese e la ripresa della crescita significherà che forse in queste politiche di semplificazione qualcosa non funzionava.
In tutti i programmi di Governo presentati, vi è stata una gran massa di interventi sul tema, ma sotto questo profilo, a me pare che una riforma che voglia sul serio semplificare, non soltanto parlare ai giornali, dovrebbe affrontare alcuni nodi, che mi permetto di esporre in rapida sequenza.
  Anzitutto, per chi investe nel mondo, occorre una certezza dei tempi della decisione amministrativa. Se si deve realizzare un rigassificatore – sto parlando, quindi, di investimenti importanti – introdurre una fabbrica, con tutte le problematiche che riguardano la tutela dell'ambiente, le compatibilità urbanistica e quant'altro, serve un sì o un no in tempi certi, altrimenti l'investitore nazionale o straniero va da qualche altra parte, soprattutto in un'era di globalizzazione.
  Non abbiamo affrontato in modo adeguato, a mio parere, il semplice problema della certezza dei tempi della decisione amministrativa, che non significa necessariamente un sì, ma anche un no in tempi ragionevoli per sapere come svolgere un calcolo economico razionale.
  È stata seguita la via delle varie forme di silenzio: il silenzio, come espressione tecnica – esistono vari istituti in cui si articola il silenzio della pubblica amministrazione – come sostitutivo del provvedimento amministrativo, nel senso che, se l'amministrazione non interviene entro un certo termine, vale come provvedimento amministrativo.
  Ancora oggi, sviluppando questo filone, il privato parte, poi l'amministrazione effettua un controllo ex post. Si può davvero pensare che qualcuno investa decine e centinaia di milioni – magari chiedendo un mutuo o emettendo obbligazioni sui mercati internazionali – sulla base del silenzio dell'amministrazione che, dopo qualche mese, potrebbe dire che non è stata rispettata la distanza dal bosco o c’è un'interpretazione del piano regolatore per cui quell'intervento non si può fare o ancora ritiene che un Pag. 5certo materiale vada considerato non come semplice rifiuto, ma come rifiuto speciale ?
  Credo, come anche l'esperienza dimostra, che nessuno faccia un investimento sulla base del semplice silenzio. Anche il comune cittadino, che deve comunque attingere dal suo reddito personale per realizzare una qualsiasi opera, probabilmente, salvo che si tratti di interventi veramente di modestissima entità e che danno un contributo assai modesto al PIL, difficilmente si accontenterà del silenzio.
  Il tema centrale, quindi, a mio parere, è quello di una decisione espressa in tempi certi. Le linee di intervento devono essere semplici. Spesso, volendo seguire politiche di semplificazione, abbiamo creato costruzioni barocche e difficilmente comprensibili e gestibili. Sui tempi dell'azione amministrativa occorrerebbe riprendere un filone che già risale alla legge n. 241 del 1990, secondo la quale il procedimento si chiude in tempi certi.
  Per questo, bisogna riprendere un'opera di individuazione dei procedimenti, magari con una struttura di coordinamento a livello centrale, per cui la tematica riguarda sia lo Stato sia le regioni, con cui si fissino in modo ragionevole i termini dei procedimenti amministrativi.
  In passato, i termini erano fissati dalle singole amministrazioni, e quindi, anziché accorciare la durata, magari si allungava per avere più garanzie. Occorre individuare una struttura di validazione dei regolamenti che fissano i termini in modo che siano congrui per ogni procedimento.
  Cosa succede se viene sforato il termine ? Bisogna introdurre dei meccanismi che disincentivino lo sforamento del termine, come la previsione che per ogni giorno di ritardo ci sia una indennizzo da pagare al privato. Quando si paga di tasca propria, si pensa due volte a sforare il termine, prevedendo che questo sia automaticamente un danno erariale.
  La proposta si può articolare meglio, ma – sto procedendo, come vedete, per schermi – secondo me è fondamentale la certezza del tempo, la normazione che lo stabilisca e la previsione di un disincentivo a sforare il termine.
  Tutto ciò deve operare anche nei confronti delle conferenze dei servizi, previste per semplificare la procedura in caso di contrasti tra più amministrazioni coinvolte nella decisione amministrativa.
  Per legge, come sappiamo, la conferenza di servizi, quando si insedia, deve fissare il termine di conclusione dei suoi lavori. Spesso, però, e anzi nella pluralità dei casi, per le vicende importanti, per le opere di infrastrutturazione, per le grandi realizzazioni, questo termine viene abbondantemente violato senza che succeda nulla. Occorre stabilire quel meccanismo dell'indennizzo anche nei confronti dell'amministrazione procedente, che ha quindi la responsabilità di concludere nei termini stabiliti.
  Altro tema strettamente connesso è quello dei poteri sostitutivi. Abbiamo una previsione dei poteri sostitutivi in Costituzione contro l'inerzia, però l'interpretazione che è stata data fa riferimento solamente all'ipotesi in cui un'amministrazione di livello inferiore non adotta un atto obbligatorio per legge.
  In molti casi, accade che un'amministrazione non proceda, stia ferma. Al cittadino o all'impresa che deve realizzare un intervento interessa poco se un'autorizzazione, un nulla osta, un atto di assenso siano adottati da comune, regione o Stato, ma che ci sia una decisione in tempi certi, e che quindi quell'atto comunque venga fuori.
  In questa prospettiva, dovremmo rafforzare i poteri sostitutivi prevedendo che, qualora si sforino i termini per adottare l'atto, c’è la possibilità di ricorrere a un'amministrazione di livello territoriale superiore, realizzando il principio di sussidiarietà. Quest'ultima, infatti, secondo i manuali, funziona come un ascensore: tendenzialmente, porta una funzione verso un livello più prossimo al cittadino. Se, però, quella funzione non è esercitata a quel livello in modo adeguato, la sussidiarietà riporta la funzione Pag. 6verso l'alto. È quello che avviene o, almeno, doveva avvenire nel sistema europeo.
  Se a livello più prossimo al cittadino e all'impresa un inadempimento e una decisione amministrativa non sono presi, dovrebbero esistere dei meccanismi per riportare la decisione a un livello territoriale superiore attivando dei poteri sostitutivi. Vedete che tutto ciò comporta una responsabilizzazione delle amministrazioni, che a mio parere dovrebbe essere completata introducendo forme di competizione tra amministrazioni, individuando l'amministrazione più virtuosa per stimolare anche dei processi emulativi.
  Questo incide sui meccanismi con cui sono definite le indennità accessorie della struttura retributiva. Oggi, la nostra struttura retributiva è uguale per tutte le amministrazioni; poi, in aggiunta alla retribuzione base, ci sono alcuni meccanismi incentivanti, indennità accessorie di risultato e così via. Poco conta, però, se l'amministrazione nel suo complesso, il ministero, il dipartimento, l'assessorato comunale o regionale abbiano raggiunto i loro obiettivi. Tutta la logica è all'interno di quel dipartimento, di quel ministero, di quella direzione, di quell'assessorato.
  Al contrario, occorrerebbe mettere in competizione più amministrazioni tra loro, anche sulla base di benchmark predefiniti, e poi dare quella massa finanziaria a quel ramo dell'amministrazione che è stato più virtuoso, nel senso che ha raggiunto i risultati in modo efficiente sulla base di obiettivi predefiniti. Questo crea anche lo spirito di squadra, come avviene in alcune aziende private, per cui l'amministrazione deve raggiungere tutta insieme l'obiettivo e, se lo fa, ne trarrà un vantaggio che sarà ripartito al suo interno.
  L'altro elemento di un sistema che valorizzi la responsabilità è quello, come credo sia emerso anche in precedenti interventi, di un recupero della cultura del risultato. Tutti gli interventi, a partire dagli anni Novanta fino alle riforme recenti, hanno voluto enfatizzare, nel rapporto di lavoro, il risultato, e quindi l'attribuzione anche di meccanismi premiali ai dirigenti, soprattutto che raggiungessero i risultati.
  Tutto ciò postula, però, che l'organo di Governo, ministro, assessore e così via, fissi ai dirigenti gli obiettivi. Il meccanismo introdotto in questo Paese, parlando di spoil system, era di separazione tra politica e amministrazione nell'insieme con aggiustamenti ed esasperazioni da una parte o dall'altra.
  A partire dagli anni Novanta – è passato un bel po’ di tempo ed è sempre continuato così – c'era l'idea di una separazione tra politica e amministrazione, per cui la politica fissa programmi, obiettivi e fini, mentre la gestione, con tutta l'ampia discrezionalità che comporta, è affidata all'amministrazione, rectius alla dirigenza.
  In realtà, non fissando obiettivi – non vediamo mai che, al momento in cui sono attribuiti incarichi dirigenziali, ci sono obiettivi – nei contratti dei dirigenti ci rendiamo conto che gli obiettivi suonano del tipo «per incrementare l'efficienza dell'amministrazione, conseguire risparmi di spesa», cioè frasi vuote, declamazioni.
  La conseguenza di un'attuazione a metà del sistema, per cui si dà discrezionalmente l'incarico dirigenziale senza fissare gli obiettivi, è una dequalificazione della dirigenza, nel senso che è premiato il più fedele, il più servile, l'amico, ma non il più bravo. Se vogliamo riprendere una semplificazione amministrativa, possiamo pensare tutte le regole di semplificazione, anche quelle che ho detto, sui tempi e così via, ma se la burocrazia è dequalificata, mi pare che non andremo comunque da nessuna parte.
  È fondamentale, allora, oltre alle varie norme, introdurre veramente una cultura del risultato. Questo richiede un rapporto diverso della politica e degli organi di governo con l'amministrazione. Procedo, per rispetto del vostro tempo, in modo da darvi la possibilità, se lo volete, di formulare qualche domanda, per nuclei Pag. 7fondamentali, per i nodi problematici fondamentali che occorre affrontare sul piano dell'organizzazione.
  Nessuna organizzazione amministrativa può funzionare se il quadro normativo di riferimento è incerto. Se dobbiamo guardare in faccia la realtà e dire le cose per come stanno, possiamo osservare che in Italia il diritto è inconoscibile. Un operatore internazionale che vuole fare un investimento ragiona con schemi molto definiti e certi e difficilmente in Italia qualcuno può dire sì, se si tratta di un intervento di una qualche rilevanza, oppure no. Per i tempi, chissà, possono servire un anno o due. Questo ci pone fuori dalla competizione globale.
  Allora, il tema centrale, oltre a quello che abbiamo detto poc'anzi dell'organizzazione, è come rendere maggiormente conoscibile il diritto, un livello accettabile di certezza del diritto. Sotto questo profilo, potremmo spaziare tra tanti temi, dal problema dei decreti-legge ai regolamenti, ma mi limiterò a poche osservazioni.
  Anzitutto, bisogna riprendere l'esperienza dell'analisi d'impatto della regolazione. Bisogna capire perché le regole vengono fatte. Badate bene: riprendere l'analisi d'impatto della regolazione non significa affatto dare una soluzione tecnica, ma ridefinire il modo in cui opera la politica. Introdurre l'analisi d'impatto della regolazione significa, infatti, introdurre una politica che persegue obiettivi di medio, se non di lungo termine, parlare di una politica che assume un elemento di trasparenza perché dice con chiarezza cosa vuole fare.
  Più che il rapporto tra il singolo ministro, l'assessore, il dirigente o il gruppo di interesse, conta quello tra l'organo che gestisce e imprime l'indirizzo politico e la società, l'opinione pubblica nel suo insieme. Parlare, quindi, di analisi d'impatto della regolazione significa rimettere sul trono l'interesse generale piuttosto che la mediazione tra tanti interessi particolaristici.
  In assenza di un'analisi d'impatto della regolazione, e quindi di una chiarezza sugli obiettivi che vogliamo perseguire, difficilmente possiamo migliorare il quadro normativo. Attualmente, il prodotto legislativo è frutto di norme caricate sulla base della pressione di interessi diversi, fin da quando c’è un'iniziativa legislativa del Governo e del Parlamento.
  Addirittura, una delle tecniche è quella di mascherare l'interesse che c’è dietro e di scrivere la norma in modo che il lettore non si renda ben conto di quale sia l'interesse che si vuole tutelare. Da qui deriva quella tecnica dei rinvii, la legge x, così come modificata dalla legge y, è sostituita da altro.
  Questo non avviene a caso, ma perché in questo modo si può celare la reale dimensione degli interessi presenti dietro quella proposta, quell'intervento legislativo, quell'emendamento. Viceversa, un'analisi d'impatto della regolazione serve a dire cosa vogliamo fare, e quindi ad accogliere eventuali interventi correttivi che siano coerenti con quello che si vuole fare.
  Insieme all'analisi d'impatto della regolazione, l'altro aspetto che, a mio parere, è cruciale e che è stato tante volte richiamato nel dibattito pubblico recente, riguarda la tendenza a rinviare la successiva normativa di dettaglio a decreti. Spesso, non si parla di regolamenti e dovrebbero esserlo, talora si parla di decreti non regolamentari, di decreto del ministro e di una serie di fonti atipiche e dalla difficile configurazione.
  In ogni caso, come sapete, tante leggi sono bloccate perché tutta quest'attività di attuazione normativa non esiste. Pensiamo al decreto-legge «Crescitalia» – parlate di semplificazione – che aveva previsto il principio generale per cui le attività economiche si possono svolgere liberamente, salvo che il regolamento in via eccezionale introduca delle forme di assenso o nulla osta o quant'altro, rinviando ai regolamenti successivi per le singole amministrazioni la realizzazione di questo principio di liberalizzazione.
  Quei regolamenti non ci sono stati. Pensate a mille misure che riguardano altri settori, magari con richiesta delle Pag. 8imprese. Penso, per quanto riguarda la mia Autorità, al rating di legalità: un decreto del Ministro dello sviluppo economico avrebbe dovuto definire come il rating di legalità giovasse nell'accesso ai finanziamenti pubblici e al credito, ma questi decreti o questi regolamenti si impantanano o non vengono fuori.
  Probabilmente, questo accade per una ragione politica, perché a monte non c'era una chiarezza sugli obiettivi, sull'equilibrio che voleva essere dato agli interessi, si scaricava in un momento successivo la composizione del quadro, la definizione della scala di priorità tra gli interessi in gioco e l'amministrazione non lo fa.
  Un possibile rimedio è quello di rendere trasparente il processo di formazione degli atti normativi di attuazione delle leggi. Oggi, il processo di attuazione degli atti normativi di attuazione delle leggi è assolutamente oscuro. La legge rinvia a un decreto o regolamento, di cui deve occuparsi il ministro, poi nessuno sa bene cosa succeda.
  Bisognerebbe stabilire, per usare un termine oggi di moda, un cronoprogramma, e quindi stabilire per il decreto o il regolamento delle fasi. Spesso, si deve passare dal ministero, con il concerto di un altro, magari un parere del Consiglio di Stato se è un regolamento.
  Bisognerebbe rendere chiaro dove si trova l'atto, di chi è la responsabilità e, se non è adottato, le ragioni per cui è fermo, cioè realizzare una forma di accountability, di responsabilità diffusa, per cui chi vi ha interesse può operare una pressione affinché il momento di blocco sia superato, fermo restando che in linea di principio meno rinvii ad atti di normazione successiva si possono fare e meglio è.
  Restando, però, coi piedi per terra, credo che sia impossibile, talora per la tecnicità di alcune materie, non prevedere atti di attuazione, ma il procedimento deve essere chiaro, trasparente e controllabile da tutti. Il Web, di cui si parla, può essere una risorsa utile anche per il miglioramento della produzione legislativa.
  Detto questo, direi che l'altro aspetto, una volta che le norme sono fatte, è che bisognerebbe monitorarne l'attuazione. In questo, probabilmente, si dovrebbe rivendicare un nuovo ruolo del Parlamento, che si sente investito di un compito solo o soprattutto nel momento in cui deve raggiungere la decisione.
  Nel nostro Paese crediamo, proprio per la nostra cultura legalistica, che tutto si risolva con la legge. Non è così. Il diritto vive nella sua applicazione. Se non c’è applicazione, se non si capisce il contenuto del diritto vivente, non si capisce come funzionano le cose. Il Parlamento – anche attraverso Commissioni come questa – dovrebbe monitorare costantemente l'attuazione per intervenire allorché ci siano state delle distorsioni dell'attuazione.
  Inoltre, un punto a mio avviso di qualche interesse è che abbiamo adottato degli strumenti di semplificazione legislativa che sono diventati di «complessificazione» normativa. Si pensi all'esperienza dei codici.
  Si è detto che le leggi erano frammentate in molteplicità di testi, che andavano raccolte in codici. Abbiamo realizzato il codice dell'ambiente, quello dei contratti pubblici, del processo amministrativo e via discorrendo. Se, però, chiedete all'operatore del diritto, il giudice, l'avvocato, se la situazione è migliorata, vi dirà probabilmente di no, che anzi la situazione è stata complicata e per due ragioni.
  Anzitutto, realizzato il codice, c’è subito dopo il correttivo, per cui si fa un codice con decreto legislativo e dopo qualche mese c’è il primo correttivo, poi il secondo, poi il terzo, il quarto e il quinto. In questo modo non si crea quella stabilità insita nella nozione di codice, ma al contrario si crea un sistema altamente instabile.
  A mio avviso, quando si fanno queste cose, si dovrebbe precisare che per un po’ di tempo abbiamo il codice, che non Pag. 9lo cambieremo, che è quello. Oltretutto, tornando al punto di prima, ribadisco che il diritto non è quello scritto nelle leggi, non è il law in the books, ma il diritto che vive nell'esperienza concreta, nelle aule di giustizia, nell'amministrazione, nella sua applicazione pratica, dove il momento interpretativo è ineliminabile, consustanziale alla costruzione della norma.
  Se questo è vero, qualsiasi norma ha bisogno di un po’ di tempo per assumere contenuti. Quando si cambia, si aggiunge incertezza a incertezza. Gli operatori economici vanno anche in Paesi assai meno evoluti del nostro, ma dove il diritto è più stabile. Sarà complicato, sanno che dovranno seguire mille passaggi, ma che la regola è quella, non si cambia ogni minuto. Questa costante tendenza al cambiamento per ragioni di immagine o per seguire qualche interesse è un elemento fortemente negativo sul piano della conoscibilità del diritto, e quindi sul piano della competitività del Paese.
  Altro aspetto che vorrei evidenziare – termino qui perché non riguarda tanto le riforme legislative, quanto le riforme costituzionali – è certamente il tema di un riordino dei rapporti Stato-regioni, che resta, pur esulando dall'ambito dei lavori di questa Commissione, comunque centrale per rendere maggiormente certo il quadro di riferimento legale e per rafforzare la competitività del nostro Paese.
  Molte considerazioni andrebbero aggiunte, ma mi fermo qui.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il professor Pitruzzella anche perché il quadro che ci ha illustrato ci aiuta ad andare avanti in quest'operazione assai complessa e ci conferma in convinzioni che eravamo già andati maturando.
  Allo stesso modo, il tema ultimo che ha trattato del rapporto tra Stato e regioni è, in realtà, quasi una premessa. Se, però, non c’è la ridefinizione, nell'ambito del Titolo V della Costituzione, delle materie di legislazione concorrente, ovviamente interviene la Corte costituzionale, ma lasciamo un'indeterminatezza molto grave e complessa che le audizioni di queste settimane ci hanno del tutto confermato.
  Per il resto, ho trovato elementi di grande interesse laddove è descritta la necessità di fissare obiettivi precisi per evitare la dequalificazione nella struttura dirigenziale. Si affronta il nodo centrale delle riforme della pubblica amministrazione di questi anni, che tali non sono state, molto sulla carta, molto per far parlare o per far scrivere, non certo perché ci fosse una modifica nella sostanza. Al contrario, si assiste a una caduta di responsabilità e alla totale indeterminatezza, che pesa sulle spalle dei cittadini e delle imprese e rende il nostro Paese poco appetibile.
  Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MINO TARICCO. Anch'io mi associo al ringraziamento per l'interessante relazione, che conferma un filo conduttore che ha caratterizzato il percorso sin qui compiuto e che, peraltro, ci è confermato anche dall'esperienza quotidiana di rapporto con territorio, imprese e amministrazioni. Credo che questi temi siano cruciali.
  Ho trovato molto interessanti due aspetti: tutta la riflessione sul calare dentro i procedimenti amministrativi tempi certi perché questa è un'ineludibile necessità; il rimando a una possibilità di accesso a livelli superiori qualora quelli inferiori non garantiscano ottemperanza ai procedimenti in tempi potabili e con modalità potabili da parte dell'utente.
  Tutte e due le questioni, per l'esperienza amministrativa che ho maturato, fanno i conti con la qualità della struttura amministrativa dirigenziale oggi presente nei nostri enti. Da questo punto di vista, condivido assolutamente la riflessione del presidente sull'aleatorietà degli obiettivi e degli orizzonti offerti e richiesti ai dirigenti nell'espletamento delle loro funzioni.
  Ho visto, però, anche decine di esperienze pilota lanciate con grandi enfasi Pag. 10su questi temi tradursi, sostanzialmente, in una scarsa sostanza. Credo sia uno dei temi cruciali e più delicati. Oltretutto, ho la netta sensazione che continuiamo a oscillare, oserei dire più sul piano degli orizzonti culturali che non delle scelte pratiche, tra un'idea che persegue una soluzione a un problema attraverso uno spoil system – chi ha la responsabilità di Governo ne risponde davanti ai cittadini e si sceglie chi vuole – e chi, invece, vorrebbe una struttura amministrativa con la propria autonomia e le proprie capacità.
  Credo che qui ci sia una variabile non indipendente, che è quella del tempo. I disastri di un'amministrazione di oggi normalmente si vedono con evidenza con l'amministrazione seguente, come centinaia di esempi quotidianamente evidenziano.
  La questione che vorrei porle è la seguente. Ho apprezzato e condivido la sua riflessione: il punto è capire se conosca esperienze che hanno, a partire da questo dato di realtà, affrontato e non dico risolto, ma dato un avvio importante non tanto come teorizzazione di percorsi, ma come attuazione concreta e come raggiungimento di risultati.
  Mi piacerebbe, se potesse, se ne è a conoscenza, che ci citasse qualche caso di cosa è successo e come è stato possibile farlo. Su questo, continuo, come nell'amministrazione cui ho partecipato, a sentire proclami pazzeschi sull'onda del tema richiamato dal presidente Tabacci, grandi enunciati. Quando, però, a consuntivo si tirano le somme e si verificano i risultati, nella migliore delle ipotesi la montagna partorisce il topolino, ma a volte neanche quello.
  Mi piacerebbe capire se, come e dove vi siano state esperienze che hanno compiuto passi significativi nel concreto in questa direzione.

  GIOVANNI MONCHIERO. È rara una sintonia come quella di stamattina tra il relatore e noi che ascoltiamo. Lei ha impresso un taglio molto pratico e anche molto critico, chiamando in causa il livello e la qualità della nostra attività. Effettivamente, credo che in un Paese in cui moltissimi, per non dire tutti, passano con il rosso, pensare di risolvere il problema modificando il codice della strada evidentemente è un errore. Il Parlamento, ahimè, vive di quest'equivoco e continua tutti i giorni a perseverare con questo errore.
  Manteniamo sempre quest'atteggiamento sbagliato e votiamo norme fatte apposta per perpetuare questa confusione. L'errore è in questa iperproduzione di norme che non sono applicate.
  Non so da che parte si possa cominciare. Sicuramente, i campi dovrebbero essere due: anzitutto, cambiare in modo radicale la qualità della normazione. Produciamo leggi scritte in un linguaggio di per sé oscuro. Professore, lei è un docente di diritto e insegna queste materie, ma il primo dei problemi è come fare per evitarlo; in secondo luogo, occorre trovare dei metodi per misurare in modo oggettivo la qualità della pubblica amministrazione. È difficile, infatti, stabilire obiettivi su ciò che non si sa misurare.
  Esistono, comunque, anche settori nei quali pubblico e privato in qualche misura si trovano in una sorta di competizione. Il pubblico non è soltanto amministrazione, spesso è anche intervento in settori di produzione, almeno di servizi, se non di produzione industriale vera e propria: dal suo punto di vista, esiste qualche settore della pubblica amministrazione che abbia dato qualche segno di cambiamento verso un modo più chiaro e più semplice ?

  MARA MUCCI. Ringrazio molto il relatore perché ha detto delle cose che condivido in assoluto e a proposito delle quali stiamo conducendo una battaglia anche a livello di gruppo, ma questa, a mio avviso, deve essere una battaglia trasversale.
  Ha detto che l'analisi d'impatto della regolazione è importante, a mio avviso non soltanto per la necessaria chiarezza delle norme, quanto per l'efficacia. Anche il problema della decretazione d'urgenza, infatti, che ci sottopone a continui stressPag. 11a livello parlamentare – i decreti saltano addirittura perché ci sono stati dei calcoli sbagliati nei tempi e questa è un'altra conseguenza – è legata al fatto che, in assenza di un'analisi ex ante ed ex post dei provvedimenti, non si sa esattamente dove si stia andando a parare.
  È un po’ questo che vedo mancare alla politica, un obiettivo finale. Che tipo di economia vogliamo implementare ? L’high tech ? Il turismo ? Dove vogliamo andare a parare ? Decidiamo come vogliamo impostare la nostra azione e come investire le risorse e diamoci un indirizzo. Questo manca in tutti i settori.
  Venendo ad aspetti più pratici, quanto ai dirigenti, ha detto in maniera molto giusta che, innanzitutto, devono avere una certa qualità. Lo hanno detto anche i colleghi e sono d'accordo. In secondo luogo, ci si deve dare degli obiettivi e dei tempi certi.
  Cosa facciamo, però, se il dirigente sbaglia ? Diamo un premio quando fa bene: consideriamo il fatto di dare anche una sanzione se sbaglia ? Dobbiamo valutare il dirigente, ma consideriamo anche il fatto di come può essere fatta la valutazione.
  L'altro ieri parlavo con un dirigente di una società privata molto importante, che mi diceva appunto che la loro azienda funziona bene perché mettono nei ruoli chiave delle persone indipendenti e di un certo livello qualitativo. Si discuteva se il consiglio d'amministrazione non debba dare anche un voto a questi dirigenti.
  Magari è un discorso che deve rimanere soltanto nel piccolo della gestione interna, ma se all'interno di un consiglio d'amministrazione iniziamo a dare i voti sui nostri dirigenti, a dire cosa non va e cosa va, sottolineando gli aspetti positivi, ma anche quelli negativi, magari il successore migliora la qualità e gli strumenti che utilizza.
  Ha anche detto giustamente che bisogna stabilire dei cronoprogrammi nella nostra azione, ma non ho capito bene dal suo discorso se intendesse inserire, ad esempio, anche nei dispositivi, nei decreti, nelle leggi la definizione del cronoprogramma.
  Quanto alla responsabilità e alla trasparenza, sono totalmente d'accordo. Bisogna iniziare a chiarire chi ha in mano le carte, dove vanno a finire e che qualcuno si assuma la responsabilità. Anche nel piccolo, non può essere sempre colpa del ministro. È colpa del ministro, ma sotto di lui ci sono dirigenti, capi di gabinetto.
  Quando cominciamo a denunciare che nella pubblica amministrazione c’è gente che timbra il cartellino e va via ? Mi chiedo chi controllasse queste persone, in che ufficio lavorassero. È possibile che neanche un collega si accorga che qualcuno entra ed esce e bada agli affari suoi ?
  Stiamo coprendo un sistema completamente da smantellare. Ognuno si assuma le sue responsabilità, ma definiamo anche dei criteri. La responsabilità è il criterio principale, che non cozza assolutamente con la trasparenza. Quando, infatti, si mette un faro sulla situazione, è più difficile sgarrare.
  Oggi ha fatto un bellissimo discorso, del quale la ringrazio e aspetto una sua risposta alle mie domande.

  IGNAZIO ANGIONI. Mi dispiace per essere arrivato in ritardo, ma purtroppo anche le questioni del territorio marciano la mattina presto.
  La ringrazio particolarmente della sua relazione. Ho cercato di ricostruire la prima parte, ma credo di aver capito che anche il pezzo che ho avuto modo di seguire era forse una conseguenza della prima parte.
  Ha detto diverse cose, che condivido particolarmente e che, anche in diverse forme, abbiamo sentito in questi mesi non soltanto dagli operatori del diritto, dai tecnici della politica o dell'amministrazione pubblica, ma anche dagli operatori economici. La cosa non è secondaria e mi sembra anche centrale per l'economia del lavoro che la Commissione intende svolgere.Pag. 12
  Anche lei pone alcune questioni di carattere generale, che riguardano la tecnica di produzione normativa, un'eccessiva proliferazione di norme e di leggi e, in particolare, tra le altre cose, la mancanza di decreti e di regolamenti esecutivi, che finiscono spesso per sterilizzare anche le leggi buone che si fanno per sburocratizzare.
  A proposito di questo, vorrei sapere innanzitutto cosa pensa dell'espressione che, tra gli altri, ha utilizzato per esempio il presidente di Confindustria, e cioè di un ritorno alla politica nel senso di restituire dignità alle scelte politiche nelle funzioni dello Stato e degli enti locali.
  A suo parere, tutte le funzioni che in questi ultimi due decenni, in particolare, abbiamo attribuito alla macchina amministrativa e, in particolare, ai dirigenti – né da parte mia né da parte di nessuno dei colleghi c’è alcun accanimento contro i dirigenti della pubblica amministrazione – soprattutto con le riforme dei primi anni Novanta, sono davvero essenziali per una corretta e trasparente gestione della cosa pubblica ?
  Diceva che, in realtà, i dirigenti spesso non possono essere dei meri esecutori degli obiettivi che la politica si pone in quanto hanno, loro malgrado, una discrezionalità tale che a volte finiscono per stabilire, in un certo senso, la strada che si persegue direttamente.
  Da questo punto di vista, stiamo parlando semplicemente di qualcosa che superiamo con la riforma del Titolo V della Costituzione o è venuto il momento di rivedere parte di quella disciplina prevista dagli anni Novanta della quale parlavo ?

  PRESIDENTE. Penso – lei è un cultore della materia – che una delle ragioni dell'aggravamento del processo amministrativo sia legata anche a una furbizia diffusiva che nella struttura pubblica è diventata uno status symbol. I furbi spesso assumono funzioni di leadership e questo determina il fatto che gli obiettivi che si fissano sono così generici da non riuscire neppure a distinguere le cose tra di loro.
  Un'altra motivazione si vede chiaramente nel peggioramento del modo di fare le leggi e anche di amministrare: la crisi della politica ha comportato il passaggio dai grandi partiti popolari che si combattevano sulla base di princìpi come la lotta di classe a corpi multiformi e fortemente permeabili dai cosiddetti interessi particolari, senza nessuna mediazione politica.
  Lo si vede nella costruzione degli emendamenti a qualsiasi iniziativa, specialmente se a un decreto-legge a porto sicuro, nel senso che garantisce risultati in un certo tempo e che è sotto i nostri occhi se non siamo troppo velati.
  Il punto è che, in quella dimensione, la sintesi si cercava di trovare già nelle proposte che filtravano dai grandi partiti popolari, che poi si trasferivano sull'azione di Governo. È esattamente così che partivano le iniziative, mentre oggi, semmai, è totalmente rovesciato. Il potere di condizionamento delle lobby era del tutto riconducibile all'interesse generale, non era visto a sé stante.
  Oggi, il lobbismo diventa un fatto deteriore perché, tra l'altro, chi lo subisce si illude che comporti un vantaggio elettorale, ma così non è. Nel frattempo, infatti, vi è stata la grande disarticolazione del rapporto tra elettorato e formazioni partitiche. Mi è parso che alcune sue sollecitazioni riportassero anche a discorsi che sono, dal punto di vista della politica, quasi esistenziali. Qui siamo alla premessa di fondo.

  GIOVANNI PITRUZZELLA, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Molti dei temi che sono stati affrontati si intrecciano; quindi, piuttosto che rispondere singolarmente, cercherò di individuare le problematiche, che mi pare siano riconducibili a tre blocchi. Il primo riguarda il ruolo della politica; il secondo il modo in cui si fanno le regole; il terzo i dirigenti. Questi erano gli elementi essenziali.
  Sul ruolo della politica, come ha detto il presidente, viviamo una fase di trasformazione storica profondissima. Chi Pag. 13non si rende conto che il mondo è cambiato, e cioè sono cambiate la politica, la società, la tecnologia, e guarda alle cose facendo riferimento agli schemi di ieri, andrà a sbattere.
  In questo cambiamento, certamente la trasformazione più profonda ha riguardato i partiti. Come diceva il presidente, i partiti dell'era postcostituzionale per qualche decina d'anni dovevano realizzare al loro interno una sintesi perché erano partiti di massa, radicati nella società. Alla fine, gli interessi venivano mediati, grosso modo, alla luce di un interesse generale.
  Oggi non è più così. Il più delle volte abbiamo un predominio di interessi particolari e non è l'interesse del singolo cittadino, della popolazione, della società nel suo complesso, ma l'interesse particolaristico di una lobby, di una grande impresa, di un gruppo burocratico o di un gruppo di pressione a prendere il sopravvento.
  Per questo la legge è oscura. Lo è perché spesso persegue obiettivi inconfessabili. Quello è uno dei punti se dobbiamo guardare in faccia la realtà. Certamente, esiste in primo luogo un problema di ruolo della politica.
  Condivido quanto diceva il presidente, e cioè spesso il parlamentare ancora opera con la mente rivolta a ieri, per cui fa l'emendamento di favore a un gruppo pensando che ne avrà riconoscenza. Non è così. Il gruppo di interesse forse non sarà neppure riconoscente, quindi non è neppure detto che il parlamentare che opera in un certo modo faccia il suo interesse.
  Dobbiamo recuperare una politica che metta sul trono l'interesse generale, cioè della società nel suo complesso, non di questo o di quello, che recuperi anche il concetto di trasparenza. Per questo insisto sull'AIR. Dobbiamo fissare degli obiettivi e ognuno deve dire con chiarezza alla società quale obiettivo intende perseguire e poi va seguìto il processo.
  Va bene inserire il cronoprogramma perfino nelle leggi. Ognuno deve assumersi la responsabilità di quello che fa. Se si rinvia, il Parlamento dovrebbe essere trasparente sulle ragioni, dopodiché si stabilisce chi è il responsabile.
  Sotto questo profilo, il controllo diffuso che può arrivare da tutti, collegandoci a casa sul sito e vedendo dov’è il blocco, in migliaia di persone, è una forza incredibile, che può costituire il vero controllo su quel blocco nel processo di attuazione della legge, fermo restando che, se il Parlamento recupera quell'idea che si occupa dell'interesse generale, deve poi monitorare quello che avviene.
  Esiste la cultura per cui, fatta la legge, si è risolto il problema perché l'idea è che si è dato un messaggio ai giornali e alla televisione, ma alle persone non interessa più niente. Dimenticano il messaggio l'indomani. Interessa la qualità della vita, il modo in cui si conduce la propria esistenza, l'opportunità di lavoro che si ha e così via. Per questo, occorre badare all'attuazione.
  Il Parlamento dovrebbe essere un grande organo di controllo anche nei confronti delle autorità indipendenti, cioè deve essere il luogo dove si viene a monitorare quello che realmente si fa. Se il Parlamento ha perduto il ruolo sul piano del controllo politico sui Governi, dovrebbe recuperarlo sul piano del controllo su tutte le articolazioni, dalle regioni alla burocrazia, alle autorità e quant'altro.
  È stata spezzata un'ennesima lancia a favore della trasparenza, che non è in antitesi all'efficienza ma, se intesa correttamente, può essere un veicolo di efficienza.
  Quanto ai dirigenti, certamente non funzionerà nessuna semplificazione se non avremo una macchina in grado di funzionare, una burocrazia all'altezza, in cui sia premiato il merito e sanzionato il demerito. Vanno introdotte forme di sanzione per chi è negligente, sbaglia, al di là del caso di chi si allontana, per il quale dovrebbe intervenire proprio il giudice penale e, comunque, un controllo interno anche di carattere culturale e sociale. Le sanzioni, però, devono esserci.Pag. 14
  Erano stati introdotti dei meccanismi di controllo interno, che non sono stati fatti funzionare. A mio avviso, però, come pure è stato detto, il consiglio d'amministrazione o, comunque, l'organo di vertice dovrebbe poter attribuire dei voti, ma non arbitrari.
  Così come a scuola non si possono attribuire voti perché si è belli, brutti, simpatici, antipatici, figli di qualcuno o di qualcun altro, ma perché si risponde bene o male, lì è fondamentale che si dica cosa va fatto.
  Vorrei, al di là di tutte quanto abbiamo detto, lanciare un po’ – perdonatemi – come messaggio culturale un'idea di concretezza e semplicità. Ricordate che all'inizio dicevo che parliamo da 20 anni di semplificazione, che sta anche diventando un tema noioso. Se ne parliamo sempre, vuol dire che qualcosa non ha funzionato. Diversamente, non parleremmo di tutti i problemi che abbiamo.
  A mio giudizio, non ha funzionato perché, anziché rendere le cose semplici, le abbiamo rese sempre più complicate. Dobbiamo agire con semplicità e concretezza. Come vedete, parlo di tempo, di potere sostitutivo, obiettivi raggiungibili. Le cose troppo complicate non sono realizzabili. Anche sul piano dei controlli sui dirigenti e le sanzioni, credo vadano fissati obiettivi programmatici.
  Bisogna conferire all'organo di governo il potere, come ha detto l'onorevole Mucci, di attribuire voti, di valutare, magari sulla base della relazione di un organismo terzo, tecnico, esterno all'amministrazione, che individui dati tecnici, come la spesa, ma deve poter valutare.
  Un altro aspetto importante e che differenzia nettamente un'organizzazione pubblica da un'organizzazione privata, che non sono poi tutte rose e fiori, è che non dobbiamo neppure creare il mito: il personale è sostanzialmente inamovibile.
  Il vertice di un'amministrazione sostiene che qualcuno è scarso, per fare un'esemplificazione, non funziona, che vuole cambiarlo o che c’è bisogno di lavoro in un certo settore perché è lì che ci sono i problemi. Ebbene, occorre introdurre un meccanismo per cui, ferma restando la garanzia di tutti i diritti, a partire dalla retribuzione, e di tutti i diritti che sono conquiste del mondo del lavoro, si deve poter spostare una persona da un'area all'altra, da un'attività all'altra con estrema facilità.
  Il problema è nella cultura del risultato e di dare una risposta alla società su certi temi. Se si deve dare una risposta, si deve poter organizzare la macchina nel modo migliore. Esiste, probabilmente, un problema di chiarificazione della legge che riguarda i poteri del giudice quando interviene su questo tipo di operazioni relative all'organizzazione interna. Chi ha la responsabilità dell'organizzazione deve poter agire, assumendosene la responsabilità.
  È giusto, inoltre, quel discorso di separazione tra politica e amministrazione verso cui siamo andati o la politica deve riprendere il controllo dell'amministrazione ? Dico che è sbagliato il modo in cui si è realizzata la separazione tra politica e amministrazione perché è accaduto in un modo per cui lo spoil system era di assumere l'amico, il suddito, quello scarso che però fa tutto ciò che si vuole, di cui ci si fida, che è una macchina che esegue.
  È stato un errore drammatico della politica. Una persona scarsa farà male anche a chi vuole governare. La giornata è di 24 ore e non si può pensare a tutto. All'inizio, sembra di poter pensare a tutto, ma non è così e alla fine si hanno delle persone inadeguate, incapaci, che faranno danni alla collettività o al vertice politico.
  La selezione va fatta sulla base di criteri di merito, gli obiettivi vanno stabiliti e poi va effettuata la valutazione. Questo fa sì che la politica abbia il ruolo di perseguire l'interesse generale, di fissare obiettivi, di dire cosa si vuole fare. Se ho un assessore in comune e voglio che si realizzi l'asilo nido o che quell'area sia resa pedonale entro un certo Pag. 15numero di giorni con una certa spesa, se l'assessore vorrà farlo, assumerà l'incarico, dopodiché si valuterà.
  In questa prospettiva, credo ancora una volta che non possiamo che procedere con semplicità, con concretezza e tenendo conto delle nuove tecnologie, di cui non abbiamo avuto modo di parlare.
  La semplificazione, invece, passa ancora una volta dall'economia digitale. Mi permetto di segnalare che su questo dovreste insistere, che non riguarda soltanto le cose minute, come chiedere un certificato, ma anche le cose importanti. In Gran Bretagna, si stanno sperimentando molte procedure di gara sul Web e questo, badate bene, crea minori costi per le imprese, più trasparenza, evita gli accordi tra le imprese. È tutto molto più lineare.
  Anche su questo, è necessario un certo sviluppo, non tenendo conto che, se l'amministrazione si apre realmente all'economia digitale, avremo uno stimolo allo sviluppo di altri settori dell'economia digitale, che sono un settore fondamentale della crescita. Questo è un punto su cui non ci siamo potuti soffermare per mancanza di tempo, ma che personalmente e nelle segnalazioni dell'Antitrust, che continua a fare, riteniamo cruciale per trasparenza, competitività e concorrenza.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Pitruzzella per la bella audizione e dichiaro chiusa la seduta.

  La seduta termina alle 9.15.