XVII Legislatura

Commissione parlamentare per la semplificazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 21 di Mercoledì 12 febbraio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Tabacci Bruno , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SEMPLIFICAZIONE LEGISLATIVA ED AMMINISTRATIVA

Audizione del Presidente di Federdistribuzione, Giovanni Cobolli Gigli.
Tabacci Bruno , Presidente ... 2 
Cobolli Gigli Giovanni , Presidente di Federdistribuzione ... 2 
Tabacci Bruno , Presidente ... 8 
D'Onghia Angela  ... 8 
Tabacci Bruno , Presidente ... 8 
D'Onghia Angela  ... 8 
Tabacci Bruno , Presidente ... 9 
D'Adda Erica  ... 9 
Tabacci Bruno , Presidente ... 9 
Cobolli Gigli Giovanni , Presidente di Federdistribuzione ... 9 
Tabacci Bruno , Presidente ... 11

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BRUNO TABACCI

  La seduta comincia alle 8.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Presidente di Federdistribuzione, Giovanni Cobolli Gigli.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Presidente di Federdistribuzione, Giovanni Cobolli Gigli. Ringrazio il Presidente Giovanni Cobolli Gigli, che ha accettato il nostro invito. La sua presenza e la ricchezza del materiale documentario predisposto da Federdistribuzione dimostrano l'importanza strategica della semplificazione, soprattutto in un contesto di crisi economico-sociale come quello che stiamo vivendo negli ultimi anni.
  In queste settimane dedicate all'audizione delle parti sociali abbiamo acquisito molti elementi di conoscenza e utili suggerimenti per possibili interventi del Parlamento, anche di natura legislativa. Questo è il contesto nel quale si svolge l'audizione di Federdistribuzione.
  Ringrazio ancora il Presidente Cobolli Gigli, cui cedo la parola.

  GIOVANNI COBOLLI GIGLI, Presidente di Federdistribuzione. Grazie, presidente. Grazie a tutti. La sua introduzione mi esime dal fare altre osservazioni. Noi siamo qui per cercare di esporre le osservazioni che Federdistribuzione fa in termini di semplificazione anche in una visione molto prospettica.
  Solo per inquadrare il tema, la distribuzione moderna organizzata rappresenta in Italia il 58 per cento di tutti i consumi alimentari e non alimentari, che sono stati nel 2012 di 219 miliardi. Essa svolge sicuramente un ruolo fondamentale nel contenere i prezzi e nell'offrire prezzi convenienti. Solo nel 2012 ci sono stati sconti per oltre 5,5 miliardi di valore nel settore alimentare.
  La redditività del settore, come in quasi tutti i settori, è preoccupantemente calata. Noi siamo caratterizzati da una redditività percentuale piuttosto bassa sul fatturato, che è naturalmente molto alto, ma siamo passati dall'1,4 per cento di incidenza percentuale del 2006 allo 0,2 per cento del 2012.
  Nonostante questo, siamo intenzionati a continuare a fare investimenti e a generare o a mantenere occupazione, il che, in questo tempo, è già un fatto piuttosto rilevante. Bisogna, però, che siano risolti i numerosi impedimenti nei quali ci troviamo.
  Vi traguardo subito sul nostro obiettivo di medio-lungo termine, che è quello di arrivare a una risoluzione dell'attuale Titolo V della Costituzione, a un ripensamento del Titolo V, per poter fare in modo che si apportino le semplificazioni fondamentali, che devono essere certificate nel documento finale.
  Oggi come oggi, noi viviamo in un'Italia dalle 20 regioni e dai 21 ordinamenti regionali (Trento e Bolzano valgono due). C’è una difformità normativa a livello Pag. 3locale che crea incertezze, difficoltà organizzative, costi e freni agli investimenti. Avrò modo di soffermarmi su questi punti.
  Gli interventi legislativi delle regioni sono in contrasto con le leggi dello Stato, con le leggi che noi abbiamo varato sul tema della liberalizzazione, i cosiddetti decreti «Salva Italia» (n. 201 del 2011) e «Cresci Italia» (n. 1 del 2012). Il commercio, quindi, è vittima, da una parte, di leggi dello Stato, che intende seguire, perché è suo dovere, e, dall'altra, di un federalismo che, in un certo senso, frena.
  Cito una frase dell'Agcom in una delle tante segnalazioni fatte in questo periodo. Il 2 ottobre del 2012 l'Agcom diceva, tra le tante cose: «Siamo in una situazione di federalismo confuso e irresponsabile».
  In questo periodo, vigenti le leggi di conversione dei due decreti Salva Italia e Cresci Italia, ci sono state alcune sentenze della Corte costituzionale che hanno respinto il ricorso delle regioni che ricorrevano contro le leggi dello Stato. Sono stati respinti ricorsi delle regioni Piemonte, Veneto, Sicilia, Lazio, Lombardia, Sardegna, Toscana, Friuli Venezia Giulia. La Corte costituzionale ha confermato l'approccio liberista e pro-concorrenziale del provvedimento statale e ne ha affermato la piena legittimità, in quanto emanato a tutela della concorrenza, materia di competenza esclusiva del legislatore nazionale.
  Noi ci muoviamo, dunque, sulla base di questi assunti e riteniamo che sarebbe utile, quando si tratterà il tema della revisione del Titolo V della Costituzione, effettuare un ripensamento della ripartizione della potestà legislativa tra Stato e regioni che preveda un sistema nel quale lo Stato fissa i princìpi fondamentali e vincolanti per il legislatore regionale, il quale dovrebbe adottare disposizioni in coerenza e attuazione delle norme e dei princìpi espressi dal livello statale.
  Le regioni dovrebbero essere rappresentanti di un decentramento amministrativo e rispettose dei princìpi costituzionali di tutela, efficienza e libertà del mercato e della concorrenza, in linea con quanto scritto nel Piano Destinazione Italia, di cui al recente decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145. Tale Piano attribuisce alle regioni il compito di coordinamento, grazie alla Conferenza unificata, mettendo a sistema tutte le iniziative regionali di attrazione degli investimenti esteri, diffondendo buone prassi e costruendo sinergie.
  Questo è il punto finale a cui vorremmo arrivare. Esaminiamo ora lo stato dell'arte attuale.
  La situazione della burocrazia la conoscete tutti. Noi siamo pesantemente affetti dal problema di una burocrazia che necessita sicuramente di molte semplificazioni per liberare risorse. La stessa Commissione europea, nel luglio del 2010, invitava l'Italia a semplificare e deburocratizzare.
  Non devo dirlo a questa Commissione bicamerale, che ha lo scopo esattamente di trattare queste tematiche. Vi faccio solo presente che la distribuzione moderna organizzata dedica l'1,15 per cento all'anno del suo fatturato, cioè 1,4 miliardi, per spese di burocrazia. Secondo uno studio che noi abbiamo fatto, almeno il 20 per cento di queste spese potrebbe essere risparmiato attraverso un processo di semplificazione e di razionalizzazione.
  In più, la situazione in questo periodo è stata aggravata da politiche di rigore nei conti pubblici che hanno richiesto sacrifici alle famiglie e agli operatori economici. Avrebbero dovuto esserci un taglio annunciato dall'Agenzia delle entrate degli adempimenti fiscali e procedure più snelle a vantaggio dei cittadini e delle imprese, ma nessun intervento è stato effettuato.
  Noi facciamo riferimento, in particolare, al disegno di legge recante «Misure di semplificazione», all'esame della Commissione Affari costituzionali del Senato (A. S. 958) e allo schema di disegno di legge (collegato alla manovra finanziaria 2014, ma non ancora approvato e nemmeno trasmesso alle Camere), recante misure di semplificazione per l'avvio delle attività economiche, per i finanziamenti e agevolazioni alle imprese Contiamo su queste norme per avere una pubblica amministrazione che sia alleata delle imprese e dei cittadini affinché ci siano rapporti più Pag. 4fluidi per recuperare tempi e risorse da dedicare alle attività che creano valore.
  Come tutti, siamo convinti che sia necessario un abbassamento del cuneo fiscale. Questo si può realizzare anche attraverso misure di semplificazione degli adempimenti.
  Cito tra le questioni che ci interessano, e che troverete nelle schede descrittive più dettagliate, l'abrogazione della responsabilità solidale negli appalti e la revisione delle sanzioni penali per i reati tributari, ossia la possibilità di sanzioni amministrative anziché penali. Troviamo una traccia di questo argomento nel Piano Destinazione Italia.
  Si aggiunge la definizione dei tempi di durata delle verifiche fiscali. Il tempo deve essere al massimo, secondo la nostra opinione, di 60 giorni, e il superamento di questi 60 giorni dovrebbe portare alla nullità del successivo accertamento. Noi abbiamo bisogno di essere accertati e visurati dalle autorità fiscali, ma abbiamo anche bisogno di tempo per lavorare. Bisogna, quindi, che tutto sia fatto in una maniera più coordinata e razionale.
  Un altro tema che ci interessa moltissimo è la semplificazione del lavoro. Non si tratta solo di ridurre la quantità delle norme, ma anche di costruire strumenti chiari, completi e comprensibili di fenomeni estremamente complessi. Sarebbe già una semplificazione il raggruppamento in testi unici, con la possibilità di un rapido reperimento delle norme e di esaustività.
  Siamo in un momento in cui bisogna cercare di supportare al massimo le assunzioni, un momento in cui le aziende hanno difficoltà ad assumere a tempo indeterminato. Tratto, quindi, temi che riguardano il lavoro a tempo determinato.
  Anche in quest'ambito ci troviamo con un regime normativo complesso, incerto e costoso. Per il contratto a tempo determinato sono moltissimi i contenziosi sulla legittimità delle motivazioni dei contratti, ossia sulla causale dei contratti a tempo determinato. Ci sono costi gestionali per le nostre aziende molto alti e difficoltà per i lavoratori a entrare o a rientrare nel mercato del lavoro.
  Nella legge n. 92 del 2012 troviamo una traccia del concetto di acausalità, cioè del cancellare la causale, come vi proporremo di seguito. Lo troviamo anche nella legge n. 99 del 2013, che prevede la proroga entro 10 mesi del contratto a termine determinato in contesto di acausalità.
  L'apprendistato, una soluzione lavorativa che ci interessa moltissimo, vede sostanzialmente 21 regioni che hanno opinioni e istruzioni disomogenee per quanto riguarda le norme relative. Questo crea grossissimi problemi alle nostre aziende, che, nella maggior parte dei casi, sono multilocalizzate, cioè localizzate su più regioni. Finora sono stati nulli gli interventi del legislatore per indurre le regioni a normative omogenee.
  Il salario di produttività è difficile da applicare e crea problemi, oggi come oggi, per l'azienda sostituto d'imposta, perché ci sono un'incertezza normativa ed eccessivi oneri burocratici che scoraggiano il ricorso alla detassazione.
  Infine, le norme sulla salute e la sicurezza del lavoro portano, anche in questo caso, approcci operativi e interpretativi diversi a livello regionale. Pensate che, per esempio, per quanto riguarda la formazione relativa alla sicurezza del lavoro, i formatori abilitati hanno diversi tipi di accreditamento da regione a regione. Questo crea grossi problemi.
  Cosa vorremmo ? Anche qui vorremmo una semplificazione. Il contratto a tempo determinato, secondo noi, dovrebbe essere svincolato dalla specifica motivazione, dalla causale, e avere come unici limiti la durata massima di 36 mesi e la percentuale massima dell'utilizzo di tali contratti dallo stesso datore di lavoro.
  Per l'apprendistato ci vuole una definizione a livello nazionale di un'omogenea disciplina.
  Per il salario di produttività occorrono certezze normative per le aziende che hanno responsabilità di sostituti d'imposta e riduzione degli adempimenti burocratici.
  Anche per la salute e sicurezza del lavoro occorre una definizione a livello nazionale di un'interpretazione univoca e chiara. Anche in questo settore puntiamo Pag. 5su regole tali che siano fissate dallo Stato, siano uguali per tutti e ci permettano di lavorare.
  Nel settore energetico viviamo una situazione piuttosto paradossale. Ci sono norme europee chiare. È l'Italia che è riuscita a complicare moltissimo il quadro normativo. In Italia c’è una forte dipendenza dal rifornimento estero. In più, si è aggiunta nel 2013 e nel 2014 una riduzione dei consumi che ha creato per lo Stato il problema di dover recuperare questo valore, perché lo Stato deve rispettare alcuni impegni economici.
  Lo Stato recupera tale valore con l'incremento del costo energetico, particolarmente sulla tariffa A3. Noi sappiamo che la tariffa A3 copre gli incentivi per le rinnovabili e che il 90 per cento degli incrementi è relativo a tali incentivi.
  Di nuovo, c’è un primo passo che troviamo in Destinazione Italia, provvedimento che, nella sua lettura originaria, con le sue 50 misure, ci aveva fatto sorridere, perché rendeva l'idea dell'Italia che noi vorremmo. In Destinazione Italia sono previste misure per arrivare ad avviare una riduzione o una rimodulazione degli incentivi sulle fonti rinnovabili, con un effetto di riduzione del costo delle bollette.
  Bisogna, però, risolvere un problema. Oggi come oggi, per quanto riguarda le agevolazioni, c’è una criticità sulle agevolazioni per le aziende a forte consumo. Il decreto del Ministero dello sviluppo economico (MISE) del 5 aprile 2013 ha promosso un criterio illegittimo per distinguere tra aziende energivore e non energivore, che è la percentuale del costo energetico sul fatturato fissata al 3 per cento.
  Voi capite che le nostre aziende, che sono caratterizzate da altissimi fatturati e bassissima redditività, non arrivano a questa percentuale. Se, invece, venisse adottato il valore suggerito e, direi, anche imposto dalla Commissione europea, ossia il costo dell'energia sul valore produttivo, cioè sul valore aggiunto, le nostre aziende sarebbero considerate energivore.
  In più, il MISE ha stabilito che potevano essere ritenute energivore e considerate a livello di agevolazione le aziende del solo settore manifatturiero. Questa questione è già nelle mani del giudice amministrativo. Il giudice amministrativo si sta pronunciando, ma ci troviamo di fronte a un meccanismo che evidentemente non funziona. Oltretutto, c’è il paradosso che, oggi come oggi, è agevolato chi consuma di più, mentre c’è l'esclusione di qualsiasi riferimento agli investimenti sul risparmio energetico.
  Noi cosa proponiamo ? È banale dirlo: ridurre la dipendenza dall'estero – facile da dire, ma non da attuare – attuando una politica energetica che sostenga la white-green economy prevista dalla Strategia energetica nazionale.
  Vorremmo, inoltre, che fossero adottati i parametri individuati dalla direttiva comunitaria per la definizione delle imprese energivore, ossia il costo di energia sul valore produttivo. Intenderemmo anche proporre che siano valorizzati gli investimenti in efficienza energetica e, quindi, la definizione di agevolazioni tariffarie che valorizzino gli investimenti sul risparmio energetico.
  Arriviamo al tema che ci è più caro, e che è un po’ la madre di tutti i nostri problemi, ma anche di tutte le nostre speranze: il tema della concorrenza e delle liberalizzazioni.
  Oggi come oggi, esistono in Italia tre leggi dello Stato che fissano alcuni princìpi fondamentali sulle liberalizzazioni: il decreto-legge n. 138 del 2011 ed i già citati decreti Salva Italia e Cresci Italia: questi decreti hanno generato un cambiamento nell'approccio ai temi di sviluppo del mercato e della concorrenza e noi seguiamo queste leggi dello Stato.
  Tuttavia, esistono vincoli legislativi e amministrativi a livello centrale e locale che limitano l'accesso ai mercati e l'esercizio della libertà di iniziativa economica. In più, ci sono alcuni settori chiave dell'economia, come quelli dei carburanti, dei farmaci e anche dei rifiuti, che sono stati in parte liberalizzati, ma sui quali deve proseguire il processo di liberalizzazione.Pag. 6
  Noi ci troviamo in una situazione piuttosto paradossale per chi opera tutti i giorni – credo che voi, che la vivete tutti i giorni, la conosciate meglio di me – ossia mancano moltissimi provvedimenti attuativi. Di tutte le riforme varate dal Governo negli ultimi due anni è stato attuato solo il 38 per cento dei provvedimenti attuativi, 238 su 748. Noi non sappiamo cosa dobbiamo fare perché non abbiamo la guida che ci deve portare sulla strada. Abbiamo grande incertezza e difficoltà nel programmare gli investimenti.
  Se prendiamo il primo decreto, il decreto-legge n. 138 del 2011, vediamo che era previsto un adeguamento entro settembre del 2012 da parte di comuni, province, regioni e Stato al principio di libertà dell'iniziativa dell'attività economica. Non c’è stato alcun adeguamento.
  Se prendiamo il decreto Salva Italia, vediamo che prevedeva l'adeguamento delle legislazioni locali ai princìpi di apertura di nuovi esercizi commerciali e di libertà di accesso al mercato. Non c’è stato alcun adeguamento e i decreti attuativi del Salva Italia sono stati portati avanti al 56 per cento. Noi abbiamo un 44 per cento di strada che è sconosciuta e non sappiamo cosa fare.
  Inoltre, la legge Cresci Italia prevedeva che entro il 31 dicembre del 2012 dovessero essere emanati i regolamenti per le attività produttive, che avrebbero dovuto essere regolate con un atto di preventivo assenso. Anche questi regolamenti non sono stati emanati e lo stato di attuazione del Cresci Italia è al 53,3 per cento.
  Ci sono, quindi, leggi dello Stato che dicono delle cose e decreti attuativi che mancano.
  Per quanto riguarda la liberalizzazione nel settore dei carburanti, dei farmaci e dei rifiuti, si è fatto qualche passo avanti sui carburanti, ma le regioni tendono a renderci la vita difficile, imponendo obblighi per le nuove aperture di pompe anche con gasolio e metano, cosa che a volte non è possibile fare, perché non ci sono gli spazi fisici per poter fornire anche questo tipo di carburante.
  Per quanto riguarda il discorso dei farmaci, anche in questo caso ci sono delle resistenze. È stato possibile aprire alcune parafarmacie. Ne abbiamo aperte circa 300. Noi desidereremmo, però, che potesse essere allargata la gamma dei prodotti parafarmaceutici, cioè venduti senza prescrizione medica ma in presenza del farmacista. Si tratterebbe di aumentare la gamma dell'offerta. Per quanto riguarda gli OTC, cioè i prodotti da banco che possono essere venduti senza bisogno del farmacista, vorremmo poterli vendere anche con esposizione al di fuori della parafarmacia.
  Faccio presente che ovviamente, come concetto di grande distribuzione, noi portiamo avanti la convenienza. Abbiamo un differenziale di prezzo rispetto a quello che si trova nelle farmacie del 20 per cento, che va a favore dei consumatori.
  Infine, per quanto riguarda i rifiuti, i rifiuti speciali, quelli generati dalle imprese, sono governati come i rifiuti urbani. I rifiuti urbani vengono smaltiti dai comuni e così anche i rifiuti speciali. Noi riterremmo che si dovrebbero aprire possibilità di concorrenza per lo smaltimento dei rifiuti speciali, portando vantaggi tariffari.
  Seguitando sulle regole del commercio, vi ho delineato quello che voi conoscete bene, ossia la presenza dello Stato che ha definito regole di forte liberalizzazione. Noi abbiamo poi un elemento segnalatore: abbiamo l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (Antitrust), che segnala o esprime pareri.
  L'Antitrust in questo periodo ha fatto tre segnalazioni: la prima a ottobre del 2012, esortando a completare il processo di liberalizzazione e a rimuovere i vincoli e le barriere a livello regionale; la seconda a luglio 2013, confermando la posizione di liberalizzazione sulla possibilità dell'imprenditore di decidere ciò che meglio ritiene sugli orari di apertura e incentivando a proseguire su questa strada; infine, la terza a dicembre 2013, riconfermando che le limitazioni all'apertura di Pag. 7nuovi esercizi commerciali potessero essere poste soltanto nell'interesse generale e che la libertà è la regola.
  Pertanto, noi abbiamo le leggi dello Stato che dicono una cosa e l'Antitrust, che è stata potenziata due anni fa e che dovrebbe essere l'autorità che deve dare un parere obbligatorio, esprimendo parere preventivo per tutti i provvedimenti che introducono restrizioni, che ci dà luce verde. Ci muoviamo, ma troviamo poi sul terreno tutte le difficoltà che vi ho illustrato.
  L'Antitrust sollecita tutte le volte a snellire e semplificare le regole e gli oneri burocratici, a garantire la certezza dei tempi delle pratiche amministrative, a semplificare il federalismo, ad attuare le misure pro-concorrenziali introdotte dalle riforme degli anni 2011 e 2012.
  Noi sosteniamo, forti dei pareri dell'Antitrust e delle sentenze della Corte costituzionale, la validità dell'articolo 31, comma 2 del decreto-legge n. 201 del 2011, che tratta la libertà di apertura di nuovi esercizi senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute dei lavoratori, dell'ambiente e dei beni culturali. Lo sosteniamo perché così dice l'Antitrust, perché così ha detto il MISE in una sua interpretazione distribuita a tutte le regioni, e perché così ha detto – e mi sembra il fatto più importante – la Corte costituzionale nelle sentenze in cui non ha accolto i ricorsi presentati dalle regioni.
  In più, sosteniamo – e questo l'hanno detto la 10a Commissione del Senato in maniera ancora più esplicita e la X Commissione della Camera quando si sono espresse sull'articolo 31, comma 2 – la possibilità di utilizzare lo strumento della SCIA, cioè della Segnalazione certificata di inizio attività. Questo vuol dire continuare a rispettare le regole, perché si tratta di avere la documentazione necessaria per poter iniziare un'attività di apertura di un nuovo negozio, ma anche accelerare moltissimo gli adempimenti burocratici e le pratiche di autorizzazione.
  Ovviamente anche su questo argomento troviamo grandi difficoltà a livello di regioni. Vi segnalo che stiamo per impugnare al TAR il regolamento della regione Lombardia. Abbiamo impugnato tutta un'altra serie di regolamenti al TAR oppure abbiamo segnalato alla Presidenza del Consiglio e all'Avvocatura dello Stato, che poi ha passato la questione alla Corte costituzionale, le leggi commerciali delle regioni, perché non c’è coerenza tra quello che fanno le regioni e le leggi dello Stato.
  Come finirà questa storia non lo sappiamo, perché effettivamente, lo devo ammettere, il potere delle regioni è molto forte. Noi siamo debolini, ma siamo convinti quanto meno di dover andare avanti nel sostenere ragioni che attingiamo, lo ripeto, dalle leggi dello Stato.
  Un altro tema per noi di fondamentale importanza ha, invece, trovato applicazione in questi due anni. Da gennaio del 2012 in poi è stata applicata la libertà all'imprenditore commerciale di decidere cosa fare dei suoi orari di apertura. Ciò non vuol dire aprire ventiquattro ore su ventiquattro tutti i giorni della settimana e tutti i giorni dell'anno. Vuol dire modulare le proprie aperture sulla base dell'esigenza del target di consumatori di riferimento.
  Fino a oggi, dopo aver fatto moltissimi ricorsi al TAR contro i comuni che si opponevano e aver vinto tutti i ricorsi, perché noi rispettavamo la legge dello Stato, le aperture sono libere. C’è, però, una tendenza, che stiamo leggendo nei dibattiti che avvengono nella X Commissione della Camera e che poi dovranno passare anche alla 10a Commissione del Senato, a rivedere questo concetto di liberalizzazione.
  Io mi permetto di sconsigliarlo nella maniera più assoluta, perché noi dovremmo guardare – almeno noi lo facciamo, ma sicuramente anche voi – all'interesse dei 60 milioni di cittadini italiani che entrano nei nostri negozi tutte le settimane e che hanno dimostrato, il che è provato da ricerche di mercato fatte con società esterne, un enorme gradimento per le aperture festive e via elencando.Pag. 8
  Anche i dettaglianti, sempre secondo ricerche esterne effettuate con società specializzate, non dimostrano grande disagio. Soprattutto i dettaglianti più giovani hanno capito che, per proseguire in questa difficile professione, bisogna cambiare, innovarsi e ricordarsi che dietro le spalle, o addirittura sulla nuca, c’è Internet, che sta continuando a svilupparsi in termini di forte concorrenza.
  Internet non ha giorni festivi, non ha orari di apertura e ha procedure molto semplificate. Internet è già arrivata in Italia a 13 miliardi di fatturato. Molto è realizzato in settori che non sono i settori del dettaglio alimentare e non alimentare, ma sta incominciando a crescere.
  Io dico: traguardiamoci verso quella che deve essere la nostra professione del futuro e non fermiamoci su posizioni conservative come quelle che portano avanti – e io ne rispetto l'opinione – le confederazioni, Confesercenti e Confcommercio, perché dobbiamo cercare di guardare all'Italia del futuro. Anche in questo caso segnaliamo la necessità di emanare i provvedimenti attuativi.
  Presidente, io mi sono tenuto nei tempi. Avrei qualcosa da aggiungere. Se voi avrete la bontà di leggere il documento che ho depositato agli atti, troverete qualcosa di più.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente. La sua relazione è stata completa e anche concettualmente logica nell'impostazione, mettendo al centro delle problematiche le questioni legate alla concorrenza e alla tutela del consumatore, che rappresentano una visione sicuramente importante e positiva.
  Inoltre, sono stati passati in rassegna diversi elementi di contraddizione che la Commissione ha già avuto modo di mettere a fuoco nel corso di questa indagine conoscitiva, in particolare sul tema ricorrente del Titolo V. Abbiamo già raccolto conferme che richiedono un intervento legislativo.
  Diversamente, la situazione appare molto paradossale. Che la Corte costituzionale sia costretta praticamente a lavorare in maniera esclusiva per dirimere i contrasti che insorgono dall'interpretazione del Titolo V è un fatto, ma la Corte non può agire in sostituzione dello Stato. Bisogna cambiare la Costituzione in quella parte e superare il tema delle materie concorrenti, che danno origine a una confusione senza limiti.
  Poi c’è il problema dell'articolazione territoriale delle regioni. È chiaro, infatti, che un territorio segmentato in questa maniera crea situazioni difficilmente governabili, che incidono in definitiva sulla produzione di ricchezza. Se un Paese è sconclusionato, fatica a tenere il passo della competizione con gli altri.
  Se i colleghi hanno questioni specifiche da porre, poiché la relazione di oggi è davvero molto completa, volentieri do loro la parola. Diversamente, ne prendiamo atto.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANGELA D'ONGHIA. Grazie, presidente. Grazie per la relazione. Voi avete fatto la sintesi della semplificazione, quella che noi non riusciamo a fare.

  PRESIDENTE. È per questo che ho chiamato Federdistribuzione. Ho voluto vedere quello che avevano fatto, altrimenti non li avrei chiamati.

  ANGELA D'ONGHIA. Ha fatto benissimo il presidente, anche perché voi rappresentate il 52 per cento del commercio nazionale. È importante che noi vi dedichiamo attenzione, perché producete ricchezza nel nostro Paese.
  Sono d'accordissimo sul fatto che bisogna adeguarsi ai tempi. Noi dobbiamo cercare di adeguarci per fare in modo che voi e le imprese che insistono sul nostro territorio possiate andare avanti.
  Ho una domanda, presidente. Io ho visto tutta questa semplificazione, che va benissimo, perché, secondo me, tutto quello che crea ostacoli non permette alle imprese di essere adeguatamente vicine al mercato. Tuttavia, c’è un problema: con Pag. 9riferimento a quello che nella globalizzazione le imprese manifatturiere in parte hanno già dovuto subire e le imprese di distribuzione hanno subìto meno, non vi preoccupate di una globalizzazione e, quindi, dell'arrivo in Italia di grandi catene dai Paesi asiatici ? Con tutta questa grande semplificazione anche all'ingresso di queste nuove catene il vostro settore non potrebbe avere tra dieci anni i problemi che sta avendo oggi il manifatturiero in Italia ?

  PRESIDENTE. Si potrebbe dire: «È la concorrenza, bellezza».

  ERICA D'ADDA. Grazie, presidente. La relazione è stata molto esaustiva. Vorrei soffermarmi su un tema puntuale e fare una domanda diretta. Mi riferisco alla liberalizzazione degli orari.
  Premesso che mi pare che il tema sia stato spiegato in maniera chiara, soprattutto dalla lettura dei testi che ho fatto, anch'io concordo con quanto viene detto e con i dati riportati rispetto all'incremento del gradimento del consumatore, ma anche dei posti di lavoro che sono stati acquisiti e, non ultimo, con il passaggio che è stato fatto per quanto riguarda la necessità anche in questo settore di tenere conto che il mondo sta cambiando. Obiettivamente, le professioni cambiano e, quindi, bisogna fare di necessità virtù.
  Tuttavia, quello che viene percepito in gran parte sul territorio è diverso. Mi spiego. È vero che i comuni molto spesso intervengono cercando di bloccare le aperture fuori dagli orari naturali, ma viene percepito dalle associazioni dei commercianti il fatto che l'apertura della grande distribuzione colpisce la piccola distribuzione, almeno in alcuni settori. Secondo lei, come si può fare ?
  Prendiamo, per esempio, l'apertura domenicale. La piccola distribuzione molto spesso è a conduzione familiare o al massimo ha uno o due dipendenti, se va proprio bene. Tutto questo comporta un'organizzazione del lavoro, una serie di spese aggiuntive e tutta una serie di problemi che possono rendere pesante la conduzione del lavoro. Secondo lei, è solo un fatto di incapacità di riorganizzare il lavoro, è solo un problema di percezione, o ci sono obiettivamente degli elementi in campo ?
  Noi vediamo che nelle città medio-piccole – non tanto nei paesi – laddove chiudono, soprattutto nei quartieri, i piccoli commercianti, i negozi più piccoli, si generano obiettivamente dei quartieri dormitorio. La grande distribuzione offre certamente un dato tipo di servizio, ma ne viene a mancare un altro, che è, a sua volta, essenziale. Vorrei sapere la sua opinione in merito.

  PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi che sono intervenuti e do la parola al Presidente Cobolli Gigli per le questioni che sono state poste, che mi pare richiedano una sottolineatura nell'ambito delle tematiche che sono già state affrontate nella relazione.

  GIOVANNI COBOLLI GIGLI, Presidente di Federdistribuzione. Senatrice D'Onghia, è sicuro quello che lei dice: se si tolgono barriere all'ingresso, possono entrare anche operatori esteri.
  In merito c’è una prima contraddizione. Da una parte, l'Italia – faccio sempre menzione di Destinazione Italia; me lo sono letto, me lo sono messo sotto il cuscino e ci dormo insieme – sta cercando di trovare tutte le misure per attrarre investimenti dall'estero. Il Presidente del Consiglio – speriamo che lo sia ancora domani; non lo sappiamo – Letta va in Arabia e cerca di portare a casa 500 milioni di dollari. Dicono che sono pochi, ma comunque servono per aiutare l'Italia.
  È chiaro che, se arrivano gli stranieri, in alcuni settori investono, ma possono anche delocalizzare. In altri settori, come il nostro, e questo è un lato positivo, che non toglie, però, il problema della concorrenza, investono sul territorio. Assumono persone che vivono sul territorio, a volte anche persone del loro Paese, ma comunque che vivono sul territorio e gli investimenti generano anche un fatto positivo Pag. 10sull'indotto. Per ogni miliardo di investimenti che vengono fatti sul territorio 750 milioni si riverberano sull'indotto.
  Io posso parlarvi delle esperienze che ho visto di catene straniere che sono già arrivate in Italia, in questo caso francesi e di altri Paesi europei. Le catene straniere assumono personale italiano, vendono necessariamente, nel settore alimentare, prodotti in grandissima parte italiani, perché gli italiani vogliono mangiare bene, e generano investimenti sul territorio.
  Nel settore non alimentare il problema è un po’ più complesso. Ci sono moltissime catene straniere, che però hanno portato una grande dinamica e una grande concorrenza, offrendo prodotti sportivi, di bricolage, di elettronica. La maggior parte sono catene straniere. Queste catene straniere hanno creato maggiore concorrenza.
  Adesso c’è il fenomeno che lei ha sottolineato, quello dell'arrivo degli asiatici. Cinesi e giapponesi nel Nord Italia stanno aprendo grandi superfici, in cui l'offerta di concorrenza è ancora più spinta a livello di prezzo. È un po’ più bassa a livello di qualità, ma è molto attrattiva per le persone indigenti e per quelle che hanno bisogno di fare gli acquisti al miglior prezzo possibile.
  Non credo che sia un problema risolvibile. Credo che noi dobbiamo adeguarci al fatto che arrivano questi stranieri, come la FIAT avrebbe dovuto adeguarsi al fatto che un bel momento in Europa sarebbero venuti i giapponesi e le avrebbero abbassato la quota del mercato dal 60 per cento al 25-27 per cento.
  Dobbiamo cercare di essere un po’ più previdenti, senza alcuna critica nei confronti della FIAT, rispetto a quello che è successo nel settore automobilistico e dobbiamo cercare di coprire le migliori posizioni con le aperture che riusciamo a fare noi piuttosto che gli stranieri.
  Non ho molto altro da aggiungere, perché il problema è un po’ quello del gatto che si morde la coda: se c’è tanta concorrenza, arrivano anche gli stranieri e le regole valgono anche per loro. Sottolineo, però, il fatto, come ho già detto, che chi investe nel nostro settore investe sull'Italia e offre sostanzialmente reddito e sostentamento sull'Italia.
  Quello che dice la senatrice D'Adda sugli orari è assolutamente condivisibile, a parte il fatto che la senatrice concorda su una serie di cose che noi abbiamo detto.
  Il dettagliante soffre. Soffre il grande distributore e soffre altrettanto il dettagliante. Soffre anche perché, come lei ha osservato, a volte ha una struttura del negozio che è ancora familiare.
  Voglio, però, farle presenti le indagini che noi facciamo. Ricordo che la X Commissione della Camera ha commissionato all'ISTAT un'indagine per capire l'effetto delle aperture in termini di maggiori consumi e di ricaduta sul dettaglio, diminuito o no. I dati del MISE dicono che i numeri dei negozi in Italia non è diminuito. È chiaro, però, che il mix dei negozi è molto cambiato. Ci sono tanti dettaglianti tradizionali, particolarmente di una certa età, che non hanno trovato i figli disponibili a voler proseguire questo mestiere e che hanno deciso di chiudere e ci sono tantissimi extracomunitari che sono entrati.
  I dettaglianti extracomunitari fanno delle offerte e usano moltissimo la pratica degli orari di apertura. L'indiano sta aperto fino alle dieci di sera. Il panettiere indiano sta aperto dalla mattina alla sera, tutti i sabati e tutte le domeniche, anche perché deve recuperare gli investimenti. Nei primi anni lavora moltissimo. Questo crea un problema all'interno del settore, ma di concorrenza tra dettagliante e dettagliante. È il mix di dettaglianti che è cambiato.
  Poi c’è un altro fenomeno che non viene mai preso in considerazione: in Italia ci sono circa 178.000-180.000 ambulanti, che continuano a crescere e che hanno più del 10 per cento di quota del mercato. Vengono misurati dal MISE, ma francamente poi non si riesce a capire molto.
  L'ISTAT, per esempio, non rileva le vendite degli ambulanti, perché non può farlo. Rileva le vendite della grande distribuzione, entrando addirittura nei nostri Pag. 11registratori di cassa, in maniera perfetta. Rileva le vendite del dettaglio sulla base degli studi di settore e, quindi, in maniera già molto meno perfetta.
  Io sono sicuro che gli ambulanti creino un effetto concorrenziale forte in primo luogo sul dettaglio. Anche questo è un elemento di realtà.
  Come soffrono gli ambulanti ? In primo luogo, soffrono perché devono cercare di adattare il loro modo di fare commercio a quelle che sono, a mio avviso, nuove regole. In secondo luogo, sono vessati da costi che continuano ad aumentare. I costi degli affitti sono uno dei motivi per cui si decide di chiudere e si crea la desertificazione. Certamente c’è anche il costo di persone aggiuntive che a tempo determinato possono arrivare a lavorare in fasce orarie durante il sabato e la domenica, se i dettaglianti ritengono di tenere aperto il sabato e la domenica.
  Io credo che sarebbe necessario prevedere degli aiuti a questi dettaglianti e che chi dovrebbe provvedervi siano le regioni, alle quali, secondo me, verrebbe mantenuta una sorveglianza sui temi dell'urbanistica. Adesso sono uscito un attimo dal seminato, ma le regioni dovrebbero anche ragionare in termini di sollecitazione di crescita del commercio per quelli che una volta si chiamavano i distretti del commercio.
  All'interno di questi distretti si potrebbero trovare anche alcune regole per cui si eroghino, se possibile, agevolazioni fiscali ai dettaglianti per l'assunzione di giovani – sto dicendo cose banali, che dovrebbero essere analizzate – e si potrebbero anche trovare alcune formule per alleviare il peso degli oneri degli affitti.
  È un problema che deve essere definito di concerto e in modo coordinato dalle regioni, in questo caso dovrebbe rimanere il potere di coordinamento delle regioni, tra le associazioni dei dettaglianti, i rappresentanti della grande distribuzione e i comuni per trovare sistemi che diano incentivi alle vendite di queste persone.
  Credetemi, nonostante il mestiere che faccio, che è concentrato sulle logiche della grande distribuzione, posso dirvi che nessuno di noi della grande distribuzione pensa di avere un'Italia ridotta come gli Stati Uniti o come altri Paesi, dove non si trova più l'artigianato, dove non si trova più il dettagliante, dove non si trova più il piacere di camminare nelle strade del centro o di periferia vedendo che queste strade sono ancora vive.
  Fino adesso – i dati che io vi riferisco sono dati del Ministero dello sviluppo economico e di Infocamere – il fenomeno in termini numerici non ha creato riduzione. Chiaramente, all'interno c’è un grande turnover.
  Devo dire la verità. Vicino a casa mia c’è un panettiere turco che tiene aperto la domenica e fa il pane molto buono. Io trovo grandi vantaggi ad andare a comprare dal panettiere turco. Vado dal dettagliante, non dalla grande distribuzione, perché è vicino. Il dettagliante ha il vantaggio della rendita di posizione e della prossimità. Il panettiere turco sta facendo molto bene il suo mestiere, tiene aperto tante ore e poi tra tre anni probabilmente, quando avrà recuperato l'investimento, incomincerà anche lui a modulare i suoi orari di apertura.
  Non vorrei essere stato troppo prolisso.

  PRESIDENTE. La ringrazio molto, presidente. Io penso che la chiave di lettura che dovremmo tenere presente quando discutiamo di queste tematiche sia l'interesse del consumatore, che poi è il cittadino. Poiché ognuno di noi può essere anche un dettagliante, ma è un cittadino consumatore, la chiave interpretativa, la chiave di volta, è quella: aver ostacolato le politiche di concorrenza ha portato a un impoverimento del sistema Italia nel suo complesso.
  Il caso della FIAT, di cui lei, presidente, ha parlato, è emblematico: per non far entrare gli americani abbiamo preteso che fosse ceduto alla FIAT il ramo aziendale di Alfa Romeo, solo che la FIAT poi l'ha preso semplicemente per pensare di tenere le quote di mercato. Quando il mercato si è aperto, si è scoperto che la FIAT aveva Pag. 12rispetto al Paese un rapporto predatorio, perché non faceva più investimenti sui modelli.
  Non sono arrivati solo i giapponesi. I tedeschi sono lì al loro posto e stanno facendo con grande efficacia auto che io non mi sarei mai sognato di comprare quando ero tifoso dell'Alfa Romeo. Oggi per comprare un'auto italiana devo pensarci su un sacco di volte. Bloccando la concorrenza, non abbiamo fatto l'interesse dei cittadini italiani e neanche dell'economia italiana. Abbiamo creato le condizioni per una situazione che appare in tutta la sua evidenza come molto negativa.
  Grazie veramente, presidente, per i materiali che ci ha portato. Credo che Federdistribuzione abbia fornito un grande contributo al nostro lavoro.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 8.50.