XVII Legislatura

Commissione parlamentare per la semplificazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 15 di Martedì 4 febbraio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Tabacci Bruno , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SEMPLIFICAZIONE LEGISLATIVA E AMMINISTRATIVA

Audizione del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi.
Tabacci Bruno , Presidente ... 3 
Squinzi Giorgio , presidente di Confindustria ... 4 
Tabacci Bruno , Presidente ... 8 
Squinzi Giorgio , Presidente di Confindustria ... 8 
Tabacci Bruno , Presidente ... 8 
Di Giorgi Rosa Maria  ... 8 
Lavagno Fabio (SEL)  ... 9 
Taricco Mino (PD)  ... 10 
Gelli Federico (PD)  ... 11 
Tabacci Bruno , Presidente ... 12 
Ferrari Alan (PD)  ... 12 
Tabacci Bruno , Presidente ... 14 
D'Onghia Angela  ... 14 
D'Adda Erica  ... 14 
D'Ottavio Umberto (PD)  ... 16 
Tabacci Bruno , Presidente ... 16 
Squinzi Giorgio , presidente di Confindustria ... 16 
Tabacci Bruno , Presidente ... 19 
Squinzi Giorgio , Presidente di Confindustria ... 19 
Tabacci Bruno , Presidente ... 19

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BRUNO TABACCI

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla semplificazione legislativa e amministrativa, l'audizione del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi.
  L'incontro di oggi è particolarmente importante. Si tratta di un incontro centrale nell'azione che noi stiamo svolgendo. Per dire il vero, quando assunsi il ruolo di coordinare la presidenza della Commissione per la semplificazione, avvertii il presidente Squinzi, non perché questo fosse un grande evento, ma perché immaginavo che Confindustria potesse attivarsi per portare un contributo nello specifico. Infatti, di queste materie si parla, ma spesso in termini così generici che non si percepisce fino in fondo la potenzialità negativa che esercita, nel quadro generale, il tema della complicazione italiana, di cui l'aspetto della corruzione, messo in evidenza dai giornali di oggi, è una porzione della vicenda più complessiva.
  Pertanto, ringrazio il presidente Giorgio Squinzi per aver accettato questo nostro invito. La sua presenza è la dimostrazione dell'importanza strategica del tema che ci stiamo sforzando di trattare, soprattutto in un contesto di crisi economico-sociale come quello che stiamo vivendo negli ultimi anni. In altri termini, quando le vacche sono grasse, si passa sopra a tante cose, ma, se poi smagriscono, è chiaro che i punti legati a questo tema rischiano di diventare deflagranti.
  Dalle parti sociali, che stiamo audendo in questi giorni, speriamo di avere un contributo positivo e, nel caso specifico, ne siamo assolutamente certi. Ci attendiamo di determinare un quadro della situazione e utili suggerimenti per possibili interventi del Parlamento anche di natura legislativa.
  Questa indagine conoscitiva terminerà a fine di marzo. Con il documento conclusivo che la Commissione approverà, creeremo le condizioni per elaborare un articolato che intervenga su questa complessa materia, sia sui temi della semplificazione legislativa, che sono una parte importante, sia, a ricaduta, su quelli della semplificazione amministrativa.
  Non c’è dubbio che l'annunciato desiderio di andare verso una riforma strutturale, che coinvolga anche i temi del Titolo V della Costituzione e della sua riforma, sia all'ordine del giorno. L'esperienza di questi anni ha visto che, rispetto a un regionalismo annunciato, si è determinata una stratificazione, con appesantimenti di natura legislativa che hanno unito al peso già ridondante della legislazione statale un appesantimento delle legislazioni regionali, spesso chiamate a legiferare su materie che, poiché erano concorrenti, richiedevano anche il loro protagonismo.Pag. 4
  Cito per tutte l'idea della competenza in materia concorrente in tema di libere professioni. Mentre noi dobbiamo competere in Europa e nel mondo con le professioni liberali, dovremmo dare credito al fatto che ogni regione si fa il suo albo professionale. È una situazione ridicola, su cui non c’è molto da aggiungere.
  Lo stesso tema riguarda l'energia e l'idea che si facciano i bilanci energetici provinciali. Noi avremmo bisogno forse di un bilancio energetico europeo e stiamo qui a ragionare se la provincia di Campobasso abbia l'energia in positivo, cioè se produca più di quanto consumi.
  Ieri qualcuno ha detto che si trattava di una battaglia titanica. Siamo consapevoli di essere testimoni di qualcosa che rappresenta il senso delle nostre grandi contraddizioni. Se le istituzioni italiane sono arrivate al punto in cui sono arrivate, è necessario che tutti insieme facciamo una grande autocritica e non possiamo non avere il contributo delle grandi istituzioni di rappresentanza degli interessi, come certamente è Confindustria.
  In questo senso ringrazio veramente Giorgio Squinzi per la sensibilità che ha dimostrato e gli do immediatamente la parola.

  GIORGIO SQUINZI, presidente di Confindustria. Illustre e caro presidente, onorevoli senatori e deputati, vi ringrazio per l'invito a quest'audizione. Voi sapete quanto il tema sia sentito dalle imprese e quanto personalmente mi stia a cuore, tanto da averlo messo al primo punto del mio intervento programmatico all'inizio del quadriennio di presidenza di Confindustria.
  L'Italia è un Paese ormai da anni ostaggio di una burocrazia soffocante, che assorbe le energie vitali di imprese e cittadini e ne distoglie tempi e risorse da impieghi più produttivi. Non voglio soffermarmi qui sui dati e sulle classifiche che ogni anno vengono stilate dalle più prestigiose organizzazioni internazionali. Le analisi condotte individuano nella complicazione burocratica una delle principali cause dello svantaggio competitivo del nostro Paese nel contesto europeo e nell'intera area OCSE, svantaggio che sento pesante anche personalmente ogni giorno sulla mia pelle di imprenditore. Attendere anni un'autorizzazione per avviare una nuova attività o per ampliare uno stabilimento vuol dire impedire a un'impresa di nascere e crescere, di creare nuovi posti di lavoro e di contribuire al benessere di una comunità e del Paese.
  Il paradosso è che sulle analisi tutti, almeno a parole, concordano. Tutti si indignano quando si riportano casi di malaburocrazia, poi, quando si tratta di riparare, semplificando norme e procedure, abolendo inutili passaggi, limitando i poteri e spesso le vessazioni della macchina burocratica, tutto si rallenta, si perdono di vista gli obiettivi e una definizione della questione non si concretizza.
  I maliziosi, e non siamo noi, sostengono che questo accade per una sorta di pregiudizio ideologico nei confronti dell'industria, per un clima di sospetto, se non di ostilità, che ha portato a imbrigliare l'attività economica in mille lacci e lacciuoli. Indipendentemente dalle cause, è difficile smentire il risultato. Eppure, la nostra Costituzione afferma con chiarezza la libertà di iniziativa economica, nella consapevolezza che non ci sono diritti né tutele e dignità senza lavoro.
  Il lavoro lo creano le imprese. Questo l'hanno capito bene i nostri Paesi concorrenti, che hanno messo al centro delle proprie politiche l'industria, semplificando e riducendo i costi a carico delle imprese, esattamente il contrario di quello che accade in Italia. Affrontare il tema della semplificazione oggi significa, quindi, riprogrammare le politiche pubbliche ripartendo dalla centralità dell'impresa e creando le condizioni per valorizzare le nostre capacità di lavorare e produrre, così da rilanciare crescita e occupazione.
  Da quando ho assunto l'incarico di presidente di Confindustria, sostengo che soltanto puntando sull'industria l'Italia e l'Europa possano riavviare un processo di crescita stabile, sostenibile e duraturo. Per questo, come Confindustria, abbiamo chiesto con forza all'Europa di adottare un Pag. 5Industrial Compact che costituisca il punto di riferimento verso cui far convergere tutte le politiche europee e nazionali, ambientali, commerciali, finanziarie, energetiche.
  Calato sul tema di oggi, ciò significa che la ricostruzione di una solida base industriale deve rappresentare quella priorità nell'indirizzo politico che la nostra Costituzione pone in capo alla responsabilità del Governo e che deve permeare di sé le sedi legislative e tutti i livelli dell'amministrazione, dalle burocrazie centrali a quelle locali.
  Parto dalla prima, la legislazione. Negli ultimi tempi, negli ultimi anni direi, la semplificazione è diventata un mantra per qualsiasi Governo. Tutti i leader politici si sono esercitati nell'immaginare soluzioni, spesso ispirati da slogan miracolistici, come «burocrazia zero». Troppe semplificazioni sono state annunciate per ragioni di marketing politico e, quindi, vissute solo nei media e non nella realtà.
  Dal 2008 a oggi, delle svariate disposizioni che dovevano portare al risultato della burocrazia zero nessuna è stata attuata in via amministrativa. Lascio agli atti una tabella riepilogativa del desolante stato dell'arte.
  Di questa tabella voglio citare un esempio: gli sportelli unici per le attività produttive, una misura che avrebbe dovuto imprimere una svolta e che non ha ancora prodotto risultati percepibili. Sebbene siano stati istituiti in quasi tutti i comuni, tali sportelli non svolgono la funzione per cui erano stati pensati, cioè gestire integralmente i procedimenti di interesse delle imprese senza costringere l'imprenditore a una sorta di pellegrinaggio tra i vari uffici pubblici.
  Ad abundantiam, nel 2011 era stata adottata una norma che sanciva il principio dell'acquisizione d'ufficio dei documenti già in possesso delle pubbliche amministrazioni. Peccato che, salvo lodevoli eccezioni, la prassi degli uffici non si sia uniformata a questo principio.
  Questo per dire che la semplificazione è fatta anche di una scrupolosa attuazione delle norme e di una puntuale verifica del loro funzionamento, verifica da fare soprattutto per evitare quello che è ormai diventato uno sport nazionale: la corsa alle norme. Presi da una sorta di horror vacui, si regola ogni aspetto della vita quotidiana di imprese e cittadini, come se il riconoscimento di un minimo di libertà possa portare a chissà quali abusi.
  Non siamo in presenza di un quadro chiaro di regole volte a consentire il libero esplicarsi delle attività, ma di un insieme di prescrizioni che generano ostacoli e incertezze. Questa descrizione è la fotografia di un disastro che continua a far male alle imprese e al Paese ed è uno dei fattori più significativi della grave stagnazione che ci attanaglia da anni.
  Certo, molte regole ci vengono anche da Bruxelles. Noi, però, non ci facciamo scrupolo di aggravarle nell'attuazione delle direttive, in una corsa ad apparire i primi della classe che, invece, ci porta tristemente a meritare gli ultimi posti in quelle classifiche internazionali che ho citato all'inizio.
  La materia dell'ambiente è un esempio eclatante. Lo scorso anno abbiamo presentato uno studio sul funzionamento delle Autorizzazioni integrate ambientali (AIA), dal quale emerge come l'Italia, oltre ad avere i procedimenti più lunghi per la concessione dell'AIA, ne preveda la durata più breve rispetto agli altri Paesi europei. E poi ci sorprendiamo se le imprese tedesche, francesi e inglesi corrono più delle nostre, senza tralasciare il fatto che abbiamo riscontrato differenze applicative per le AIA anche tra le varie regioni e addirittura anche a livello provinciale all'interno del nostro Paese stesso.
  Da anni noi ci battiamo invano perché il divieto di gold plating sia applicato e le regole europee siano ripulite dalle aggiunte fatte dal nostro legislatore. Non è solo un problema di quantità, in quanto le leggi sono anche oscure e non coordinate tra loro.
  La scarsa qualità del risultato dipende, a sua volta, dalla scarsa qualità delle procedure, dalle mille possibilità che l'ordinamento offre per aggravare i testi di disposizioni inutili, cavillose e spesso rispondenti Pag. 6a istanze e privilegi che nulla hanno a che vedere con l'interesse generale. È veramente necessario che si prenda atto del disordine e si adottino metodi, anche drastici, per ridurre la legislazione esistente e migliorarla in termini di qualità.
  In primo luogo, la regolazione dovrebbe essere preceduta da un'analisi attenta sulla sua necessità effettiva. Ogni legge ha un costo per i destinatari e questo costo è misurabile. Prima di adottare un provvedimento servono valutazioni che ne misurino l'impatto. Una norma di legge è inutile, finanche dannosa, se i benefici che produce sono inferiori ai costi della sua applicazione.
  Occorre poi che le norme siano scritte e diffuse in modo da garantire la certezza del diritto. Uno strumento utile in questo senso è rappresentato dai codici. In Italia i risultati non sono stati entusiasmanti. La maggior parte dei codici adottati non ha garantito stabilità e organicità, poiché le relative discipline sono state oggetto di successivi e disordinati interventi di deroga e modifica. Per evitare questo, i codici dovrebbero avere forza superiore alle altre norme. Non si può adottare un codice e poi stravolgerlo a piacimento, di anno in anno.
  Ancora, vanno ridotti gli oneri burocratici nei settori più critici per chi fa impresa: lavoro e previdenza, salute e sicurezza sul lavoro, infrastrutture, beni culturali, ambiente, appalti, fisco. È un lavoro faticoso, sconosciuto ai più, che non finisce sulle prime pagine dei giornali, forse poco attraente, ma necessario se vogliamo avere un level playing field concorrenziale con i nostri competitor.
  Su ognuno di questi capitoli noi abbiamo elaborato negli anni proposte concrete, molte delle quali continuano a fare la spola invano tra gli uffici ministeriali, bloccate da veti spesso immotivati e, quando li superano, finiscono per naufragare in Parlamento. È il caso del disegno di legge sulla semplificazione, adottato a giugno dal Governo e che da allora è fermo al Senato, o del disegno di legge sulla delega fiscale, che affronta i temi centrali della riduzione degli oneri e della certezza del diritto e che, nonostante le promesse, non è ancora stato approvato.
  Con questo non voglio certo dire che finora non sia stato fatto nulla. Il decreto-legge cosiddetto del fare, per esempio, è stato importante, con misure costruite in un confronto proficuo tra Governo e associazioni imprenditoriali. Mi auguro che adesso ciascuno faccia la sua parte nell'attuarle rapidamente.
  Bisogna continuare nel solco tracciato e fare di più, con la consapevolezza che esistono settori che sembrano quasi impermeabili a qualsiasi tentativo di riforma. Penso, per esempio, alla salute e sicurezza sul lavoro. La sicurezza dei nostri lavoratori è per noi priorità assoluta, ma chiediamo che le tutele siano vere e non fondate su pezzi di carta e passaggi procedimentali senza senso, che rappresentano una chiosa di questi ultimi tempi.
  Dal mio punto di vista di imprenditore, semplificare vuol dire eliminare oneri e adempimenti inutili e non spostarli da un funzionario pubblico a un libero professionista, come spesso accade. Il tema è se un adempimento sia o meno utile: se sì, va conservato e si può valutare se trasferirlo a un professionista comporta un beneficio; se non serve, va eliminato. Spostarne automaticamente la competenza, mantiene il costo a carico dell'impresa e fa sì che nuovi soggetti siano incentivati a opporsi alle semplificazioni perché dalla complicazione traggono vantaggi economici.
  Vengo ora all'applicazione delle norme e alla gestione dei procedimenti. I numerosi intralci che oggi incontra l'attività imprenditoriale dipendono non solo dalla qualità e dalla quantità delle leggi, ma anche da una profonda crisi dei meccanismi decisionali, effetto in gran parte di un'architettura istituzionale inadeguata.
  La riforma del Titolo V della Costituzione ha costruito un ibrido irrazionale, in cui l'intrecciarsi dei diversi livelli di governo ha duplicato o triplicato le responsabilità su una stessa materia. Questo continua a generare costi impropri, incertezza, inefficienza, poteri di veto. La riforma del Titolo V della Costituzione rappresenta Pag. 7un passaggio essenziale per migliorare il rapporto tra pubbliche amministrazioni e imprese ed è necessario farla subito, sostenendo con pragmatismo le proposte su cui le forze politiche stanno lavorando.
  Un rapporto migliore tra pubblica amministrazione e imprese implica, a sua volta, profondi cambiamenti organizzativi e procedimentali. Sul piano organizzativo, sosteniamo da tempo che la ridefinizione dell'apparato burocratico, con la riduzione del numero di enti e l'efficiente allocazione delle funzioni, debba accompagnarsi all'implementazione dell’e-government anche attraverso un uso intelligente dei fondi strutturali.
  Sul piano procedimentale, è prioritario garantire l'uniformità su tutto il territorio. La standardizzazione rappresenta un presupposto essenziale per garantire l'effettivo esercizio delle libertà di iniziativa economica privata. È impensabile che un'impresa si confronti con procedure e moduli diversi per ogni comune in cui opera.
  Inoltre, è importante superare la storica riluttanza delle nostre amministrazioni a cogestire competenze e procedimenti per mettere la parola fine a pareri negativi immotivati e arbitrari che limitano il contraddittorio e non consentono di individuare e condividere soluzioni alternative.
  Questo significa mantenere i livelli di tutela degli interessi pubblici più sensibili, come l'ambiente, la salute e il paesaggio, ma, nel contempo, superare una prassi amministrativa anti-industriale. Su questo punto voglio essere chiaro: non invertire questa tendenza significa assumersi la responsabilità di un processo di impoverimento della base produttiva che mina le prospettive di crescita e occupazione. D'altro canto, anni di veti e resistenze non mi risulta abbiano prodotto l'effetto di una reale salvaguardia di quegli interessi.
  Prendiamo ancora il caso del fisco. Il nostro è un fisco punitivo, complicato e incerto, che assoggetta l'impresa a migliaia di adempimenti e ad altrettanti controlli. Tutto questo è servito realmente a contrastare l'aggiramento degli obblighi fiscali ? I numeri ci dicono di no. Allora, bisogna operare in modo diverso per sanare piaghe inaccettabili nel nostro Paese.
  Ultimo punto: la semplificazione dipende anche da fattori culturali, che vengono prima e stanno fuori dalle norme. Essi riguardano l'approccio con cui gli attori istituzionali recitano i propri ruoli e sono fattori in gran parte rimessi alla responsabilità dei singoli.
  Se così è, non basta intervenire con le riforme e con la modifica dei procedimenti legislativi e amministrativi, ma occorre una classe dirigente capace di interiorizzare la cultura della semplificazione e di iniettarla nella prassi quotidiana della pubblica amministrazione. Troppo spesso si guarda alle funzioni e ai procedimenti in un'ottica di sola legalità formale, senza dare alcun peso al risultato.
  Per questo motivo, ci siamo fatti promotori, nel disegno di legge sulla semplificazione, della proposta della figura del tutor d'impresa. Crediamo che, prima ancora dei procedimenti, sia necessario semplificare l'organizzazione e innovare i comportamenti. Ciò può essere fatto rendendo i funzionari pubblici consapevoli dell'importanza del loro ruolo, in una nuova prospettiva ancorata all'efficienza e al risultato. L'obiettivo deve essere fornire un servizio, non esercitare un potere.
  In conclusione, l'auspicio è che tutti, anche grazie ai risultati di questa indagine conoscitiva, lavoriamo per invertire una rotta che, altrimenti, ci porterà alla deriva e poi al naufragio, con una consapevolezza di fondo: dalla semplificazione del quadro normativo, da rapporti più snelli e collaborativi tra privati e pubbliche amministrazioni e da prassi meno ostili passerà il recupero di fiducia nei confronti delle istituzioni. Senza questo recupero di fiducia, il rischio di vedere incrinarsi pericolosamente il tessuto economico e sociale del Paese è concreto ed è un rischio che non possiamo permetterci.
  Come Confindustria, avvertiamo forte il peso di questa responsabilità e confidiamo Pag. 8che questo sia un sentire condiviso da coloro cui abbiamo affidato il nostro mandato di rappresentanza.

  PRESIDENTE. Sono particolarmente grato a Giorgio Squinzi per questo contributo. Ho sentito spesso relazioni e interventi nell'arco di questi anni. Mi pare che questa relazione sia stata calibrata con il senso della gravità della situazione, ma anche senza uno scarico di responsabilità fatto in maniera strumentale. È, quindi, un'analisi molto seria, con cui la Commissione – e non solo la nostra – dovrà fare i conti. Condivido questo approccio, che è molto serio, documentato e richiama un tema culturale che sta al fondo della condizione di grande difficoltà nella quale ci troviamo.
  Detto questo, ringrazio ancora il dottor Squinzi. Darò prima la parola ai colleghi che sono presenti e poi offrirò al dottor Squinzi la possibilità di rispondere e di integrare come meglio riterrà. Se, accanto a questo documento, la Confindustria riterrà di farci avere altri contributi, anche più specifici, nel periodo che va da oggi alla metà del mese di marzo, noi ne terremo conto perché, in sede di elaborazione del documento conclusivo, potranno servire a entrare nel merito di questioni, alcune delle quali sono state accennate. Penso, tra tutti, al tema ambientale.
  Ho avuto modo di osservare ieri che la storia degli ultimi decenni ha fatto emergere una serie di professioni che un tempo non erano neppure conosciute. Ci sono i consulenti del lavoro, i consulenti tributari, i consulenti ambientali. Ciò dà conto di una strumentazione complessiva, sulla quale la complicazione ha comunque determinato un coacervo di interessi indiscutibile. Tuttavia, smantellare tutto ciò non è facile e ormai diventa un fatto di competizione con gli altri Paesi, che sono molto più solidi e molto più rapidi di noi.

  GIORGIO SQUINZI, Presidente di Confindustria. Comunque, nella documentazione, oltre a questa introduzione, abbiamo depositato anche alcuni documenti specifici.

  PRESIDENTE. Va bene. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ROSA MARIA DI GIORGI. Grazie, presidente. Ringrazio il presidente Squinzi per questa relazione, che tocca i punti che evidentemente sono di maggiore rilievo in questa fase della nostra storia, ma direi non soltanto in questa fase. Sono molti anni che parliamo di questo tema e sono molti anni che le risposte non ci sono, sia a livello nazionale, con provvedimenti di natura normativa che il Parlamento dovrebbe adottare, sia a livello di responsabilità territoriali di regioni e comuni, con interventi di natura regolamentare e così via.
  Il tema del ritardo di cui qui si parla è stato più volte affrontato in questa Commissione nell'ambito del lavoro che stiamo svolgendo, che è un lavoro che vuole produrre un risultato. Spero, quindi, che questo risultato ci sia. Stiamo lavorando per questo perché è evidente che saremmo noi per primi gli sconfitti se il lavoro di questa Commissione non producesse poi ciò che tutti auspichiamo, ossia un modello che possa garantire risultati.
  Il documento che ci avete portato, questo allegato, è sconvolgente. Anche noi per il lavoro della Commissione – alcuni di noi hanno esperienza in questo ambito anche per motivi professionali – siamo partiti dal decreto-legge n. 112 del 2008 per arrivare a undici pagine di inadempimenti. È veramente qualcosa di sconvolgente per un Paese civile, per un Paese che vuole essere competitivo. Eppure, questo è lo stato.
  Si deve pertanto intervenire sia sulla parte meramente normativa, ossia sulla parte della redazione e della predisposizione delle norme – questo l'abbiamo già detto più volte in questa Commissione e credo che emerga con chiarezza anche dalla relazione del presidente Squinzi –, sia dal punto di vista del linguaggio, sia dal punto di vista di una tipologia di norme che deve essere il più possibile auto applicativa. Se approviamo una norma, è necessario che dal giorno dopo sia possibile Pag. 9applicare quella norma sui territori senza aspettare decine e decine di regolamenti che poi non verranno mai emanati, oppure norme di natura secondaria che non saranno mai poste in essere o che, comunque, saranno emanate con grande difficoltà.
  Io credo che il primo aspetto da affrontare sia proprio quello di dare attuazione a una modalità diversa di produrre le norme perché, come sappiamo bene noi legislatori, questo è il grande nodo che uccide l'Italia. Si tratta – lo dobbiamo dire – di un nodo storico, su cui dobbiamo veramente prendere un impegno forte. Non so se ci riusciremo in questa legislatura, ma credo che sia necessario che cambi proprio la cultura della redazione delle norme e la tipologia delle norme stesse, in modo che possano essere più efficaci immediatamente.
  Poi naturalmente va affrontato il tema della semplificazione dei processi. Questo è il nodo. Occorre una semplificazione dei processi rispetto a una quantità di duplicazioni che non è più tollerabile e che sta facendo sì che il nostro Paese effettivamente non sia più competitivo.
  Un aspetto legato anche alla cronaca di queste ore e di questi giorni, dopo i giudizi che sono stati espressi sulla corruzione, è che i processi complicati, i processi che complicano le procedure – li voglio chiamare processi in senso più lato –, sono quelli che implicano la minore trasparenza.
  È, infatti, evidente che, se per predisporre un procedimento ci inventiamo o si pensa che sia necessaria una quantità infinita di passaggi, in questi meandri si può nascondere molto meglio la corruzione. La nostra diventa, quindi, anche una risposta seria al problema della corruzione. Molti meno funzionari avranno potere di dare o non dare un permesso e di poter gestire questo potere, che evidentemente c’è, se i processi saranno molto più semplici o se i passaggi saranno molto meno numerosi.
  Credo che ci sia una grossa condivisione, anche tra tutte le forze politiche, rispetto a questo punto. C’è bisogno di trovare il metodo giusto e soprattutto di avere molta convinzione e una nuova cultura, che ci consentiranno di essere forse una nazione europea e, finalmente, perfino una nazione con la prospettiva internazionale che Confindustria ci chiede.

  FABIO LAVAGNO. Grazie, presidente. Ringrazio il presidente Squinzi. Noi abbiamo ascoltato una relazione di crisi, così come affronta un periodo di crisi il lavoro di questa Commissione. Mi sembra che siano evidenti e ben chiari i confini della questione, non solo perché siamo all'ennesima audizione, ma anche perché c’è la consapevolezza di tutti noi rispetto a questo tema. Credo che questa sia una crisi non solo di carattere strutturale e di natura economica, ma che abbia fondamenti di natura culturale, come viene rilevato in alcune parti della relazione.
  Nonostante io mi trovi sempre molto in sintonia con i giudizi del presidente, in questo caso riscontro nella sua relazione – non se ne abbia a male – non dico un'autoassoluzione della classe imprenditoriale, ma un certo incedere nei confronti della politica e del Parlamento, in particolare rispetto alla crisi e alle modalità della crisi.
  Sappiamo quanta rilevanza abbia l'appesantimento normativo e burocratico, ma non tutta la crisi dipende da questo. Ce lo possiamo dire con tutta franchezza, altrimenti apriremmo altri capitoli che non sono oggetto di questa Commissione. Uno, tra gli altri, è quello della finanziarizzazione dell'economia e dell'impresa. Credo che chiunque abbia a cuore l'impresa e il mondo del lavoro sappia bene quale differenza ci sia tra prodotto e finanziarizzazione. Tuttavia, lo ripeto, questo non è oggetto della Commissione.
  Secondo me, manca un punto, come è stato appena enunciato, rispetto alle conseguenze gravi e agli appesantimenti economici derivanti dall'eccessiva burocratizzazione. Da un lato, c’è la corruzione, che pesa in termini economici come una vera e propria zavorra su questo Paese e che si annida e viene favorita spesso grazie alla complicazione e alla sovrapposizione normativa; Pag. 10dall'altro lato, si aggiunge tutta la partita, cui non abbiamo accennato se non marginalmente, della grande evasione ed elusione fiscale, che è proprio rappresentata dalla complessità dei procedimenti che l'Italia ha. Solo con riferimento ai dati sull'IVA, risulta che abbiamo un 15 per cento in più di evasione rispetto ai Paesi più virtuosi dell'Unione europea. Sono dati – mi permetto di dirlo – anche più complessi e più drammatici di come vengono raccontati.
  Si tratta, dunque, di un processo anche culturale, nel quale siamo in pieno e in cui si avverte la crisi della politica istituzionale e della politica rappresentativa dei partiti, ma anche delle associazioni di rappresentanza. È una vera e propria crisi della rappresentanza. Ci dobbiamo porre problemi e anche domande rispetto a una grande celebrazione della tecnica e della tecnicizzazione, con riguardo quindi all'enorme potere che viene concesso ai funzionari pubblici a scapito della politica, la quale non è più chiamata ad assumersi responsabilità né, forse, è in grado di farlo.
  Mi permetto di porre molta attenzione rispetto a una nuova parola che sta nascendo quasi con un aspetto salvifico, che è la velocità, la rapidità. È vero che siamo di fronte a tanti, cogenti e impietosi inadempimenti, ma la velocità di per sé non è un valore, la velocità è un valore qualora porti a risultati positivi. Tutti concordiamo sul fatto che il Titolo V della Costituzione sia stato un errore per come è stato riformato e che debba essere riformato di nuovo. Io, però, non so se riformarlo in due giorni, piuttosto che in sei mesi, sia di per sé un bene. Forse è meglio cambiarlo in sei mesi bene, piuttosto che in due giorni male.
  Lo dico perché c’è molto di culturale negli aspetti della crisi che affrontiamo, viviamo e cerchiamo di trattare, con una certa dose di umiltà, in questa Commissione. Credo che abbiamo bisogno di sentire tutti i contributi, come stiamo facendo, perché effettivamente questa sia una partita aperta su più fronti e su cui ognuno, per la propria parte, per ruolo e competenza, possa offrire un'opportunità di miglioramento delle condizioni nel nostro Paese, soprattutto sulle ricadute cui accennavo, che sono quelle che citava il presidente Squinzi. Tali ricadute ci devono porre, in termini di competitività, all'altezza di altri Paesi europei e soprattutto mettere in grado di dare prospettive di crescita a questo Paese.
  Sono in gioco la crescita e – mi viene da dire – la sopravvivenza del nostro Paese in questo momento nel suo settore produttivo. Non si può non avere questo come tema centrale per un Paese che ha ancora la manifattura come proprio cuore pulsante. Si tratta di un settore che rappresenta, in termini di mercato e di capacità produttiva, un aspetto importante che credo debba tenere insieme e ben legati tutti i nostri lavori e i nostri ragionamenti.
  Concludo, presidente – scusi se ho portato via troppo tempo –, sulla natura e sulla ragione di molti miei interventi, che tendono a individuare alcune priorità che dobbiamo darci rispetto ai lavori normativi di semplificazione. Ripeto ancora una volta che varrebbe la pena di stabilire alcune priorità e che, quindi, impresa, sviluppo e occupazione dovrebbero forse essere affrontati prima di altri temi in un ragionamento anche di semplificazione normativa.

  MINO TARICCO. Grazie, presidente. Sono grato al presidente Squinzi per il quadro – oserei dire – culturale di fondo che ci ha illustrato, prima ancora di addentrarsi su singole questioni. Da questo punto di vista, credo sia pienamente condivisibile un approccio che tenga conto della necessità di invertire una tendenza complessiva dentro la quale poi stanno singole questioni.
  Le volevo, però, chiedere di fornire due precisazioni relativamente a un aspetto che mi ha colpito e che ho trovato molto interessante, anche perché è la prima volta che emerge un aspetto di questa natura. Mi riferisco all'affermazione che lei ha fatto – riflessione assolutamente condivisibile – sulla necessità di riforma del Pag. 11Titolo V della Costituzione, declinando nuovamente priorità e competenze. Credo, infatti, che sia ormai evidente a tutti come il quadro istituzionale che ne è conseguito sia probabilmente all'origine di molte delle complicazioni che oggi abbiamo di fronte.
  Ho trovato molto interessante anche la riflessione che lei ha svolto sul fatto che dovrebbe esserci una diversa gerarchia tra leggi ordinarie e codici. Credo che questa sia una questione cruciale. Abbiamo, infatti, la necessità di rimettere mano a un quadro normativo, riconducendo tutto dentro codici su singole materie, sia per dare ordine e rivedere un sacco di doppioni e contraddizioni che esistono e che, in un'operazione di questo genere, verrebbero fuori e semplificherebbero indirettamente il quadro, sia per garantire un'accessibilità da parte degli utenti. Oggi questo è diventato veramente un ginepraio in cui serve ben altro che i consulenti per poter navigare.
  Tornando alla questione della gerarchia delle fonti, mi piacerebbe se potesse spendere due parole in più su questo tema, perché, in un'ottica di revisione normativa, trovo che si tratti di un argomento molto interessante e su cui vale la pena riflettere.

  FEDERICO GELLI. Presidente Squinzi, grazie del suo contributo. Credo che, come veniva detto dai colleghi precedentemente, stiamo vivendo un passaggio cruciale della storia del nostro Paese. Ormai tutti sono consapevoli che così non possiamo andare avanti. Non possiamo andare avanti in un assetto dello Stato che risente di grandissimi problemi, di grandissime tensioni e di un immobilismo quasi assoluto.
  L'elenco delle norme che ci avete presentato rappresenta solo una piccola parte rispetto a quelle che disciplinano la vita del nostro Paese. È chiaro che l'idea di iniziare a tappe forzate un processo di cambiamento nel nostro Paese, che è iniziato da poche settimane con l'ipotesi di una nuova legge elettorale e, quindi, di un diverso assetto nel Paese tra maggioranze e minoranze, tra coalizioni e forze politiche, è un primo segnale.
  L'altro segnale è quello dell'abbattimento di un sistema di bicameralismo perfetto che è ormai fuori tempo e fuori storia. Questa non è un'affermazione banale. In questi giorni io e altri colleghi abbiamo dovuto verificare di persona come una difformità, per esempio, tra il regolamento del Senato e quello della Camera ci porti a ritmi e tempi totalmente diversi. Al Senato, per esempio, una volta che si pone la questione di fiducia su un provvedimento, decadono automaticamente gli ordini del giorno collegati e, per procedere alla votazione, non si deve aspettare il decorso delle ventiquattro ore, come invece avviene alla Camera.
  Come diceva giustamente il Ministro Franceschini l'altro giorno, le ventiquattro ore furono introdotte nel nostro Paese per permettere a tutti i parlamentari di raggiungere con i mezzi di allora la Camera dei deputati. Ad oggi credo che obiettivamente bisogna riformare il regolamento della Camera per evitare di dedicare giornate intere a un ostruzionismo che è giusto che ci sia in un Paese democratico come espressione di una minoranza, ma non certo in forme e modi che sono veramente superati dal tempo.
  La riforma del Titolo V della Costituzione è un passaggio fondamentale. Noi abbiamo vissuto – lo ricordo per chi, come il sottoscritto, ha fatto l'amministratore in un'importante regione, come la regione Toscana – fortissimi elementi di conflitto e di zone grigie, in cui non si riusciva mai a capire quali fossero gli ambiti del legislatore regionale rispetto a quello nazionale.
  Con Confindustria Toscana e con le organizzazioni sindacali abbiamo messo più volte mano ai temi della semplificazione. Abbiamo approvato una norma regionale sugli appalti pubblici che ha permesso di introdurre elementi innovativi, ma spesso ci scontravamo sulle competenze del legislatore regionale rispetto a quello nazionale in questo ambito di semplificazione.
  Potrei farvi molti altri esempi. Posso citare la digitalizzazione del sistema dei SUAP, ossia degli sportelli unici per le Pag. 12attività produttive, e molte altre norme di semplificazione in virtù delle quali, per esempio, al fine di semplificare le modalità della convocazione e dei pieni poteri di una conferenza dei servizi in cui si decide di un appalto e di una scelta strategica importante per la pubblica amministrazione di un dato territorio, fino a quando non si raggiunge l'unanimità tra tutti gli attori, quel problema non viene risolto, quell'opera non viene attuata, quei lavori non iniziano.
  Abbiamo, quindi, provato, come regione, a introdurre elementi di semplificazione e di cambiamento, ma ci siamo subito scontrati con norme di natura nazionale che non ci consentivano di farlo, perché si rientrava, in parte, nelle competenze del legislatore nazionale.
  Le ho fatto solo alcuni esempi per dimostrare quanto sia veramente importante rivedere e ridisegnare le priorità e le competenze dello Stato centrale rispetto alle regioni.
  Aggiungo un'ultima battuta in merito a un tema al quale io personalmente, ma credo anche la senatrice Di Giorgi e molti altri che conosco, dedichiamo particolare attenzione. È il tema dell’e-government, come lei dice, il tema della digitalizzazione del nostro Paese. Ancora oggi il nostro Paese è analfabeta nell'utilizzo dell'ICT e delle tecnologie informatiche.
  Lei pensi che – sono dati in suo possesso – solo il 23-24 per cento dei cittadini della mia regione, che sicuramente non è tra le peggiori regioni in termini di innovazione nel nostro Paese, naviga in Internet. Purtroppo questo dato si rispecchia anche nel mondo delle imprese, soprattutto delle piccole e medie imprese, dove ancora oggi la grande potenzialità del tema dell’e-government e dell'ICT, che ci offre di semplificare il rapporto tra imprese, cittadini e pubblica amministrazione, non viene colto appieno.
  Molte responsabilità sono sicuramente ravvisabili nell'ambito della pubblica amministrazione. L'Agenzia per l'Italia digitale stenta a funzionare e ancora oggi non capiamo bene quali saranno le sue competenze e fino a che punto agirà. C’è anche, però, un tema culturale, sul quale noi tutti dobbiamo lavorare insieme perché ancora oggi ci sono cittadini e imprese che non conoscono appieno questa grande potenzialità. Si tratta di una sfida che ci deve vedere tutti impegnati.

  PRESIDENTE. Vedo che il presidente Squinzi sta prendendo nota, con grande diligenza, di chi parla. Noi ci affidiamo poi alla sua grande capacità di sintesi.
  Ci sono ancora tre interventi. Come ho già detto, alle 15.15 le darò la parola per consentirle di completare le risposte fino alle 15.30.

  ALAN FERRARI. Presidente, svolgerò il mio intervento in tempi rapidi. In primo luogo, credo che non sia insignificante dirci che le questioni che sono state rilevate puntualmente nella relazione del presidente Squinzi trovano un'ampia condivisione e un riscontro anche negli atti già depositati nel lavoro di questa Commissione.
  È chiaro a tutti che, se lo sforzo deve essere collettivo perché questo Paese riparta, è necessario superare uno stato delle cose in cui è come se si parlassero degli UFO. Ci sono tantissime persone che stanno lavorando e condividendo lo stesso approccio e credo che, attraverso la somma di questi sforzi, si possa fare un passo avanti.
  È del tutto condivisibile l'analisi che si fa sulle difficoltà di tutta la parte legislativa del Paese. Ovviamente non possiamo che condividere l'importanza che si attribuisce al tema della semplificazione e, quindi, mi fermo qui, su tale punto, auspicando che questa collaborazione e questo spirito anche puntuale possano rientrare nei lavori che ci porteranno a definire il nostro articolato. Metto per primo questo, ossia il tema della condivisione sull'importanza della semplificazione e sull'approccio usato, perché questa è la sede in cui tale argomento va affrontato.
  Aggiungo, però, una riflessione più generale, perché la passione con cui il presidente Squinzi esercita il suo protagonismo civico e politico, come abbiamo visto Pag. 13in questi giorni, credo ci offra la possibilità di svolgere una riflessione più ampia, che mi serve anche per chiedere al presidente di continuare su questa strada e di provare a capire quali stimoli tutti insieme possiamo fornire a questo Paese e alle istituzioni.
  Noi abbiamo scelto una strada, ossia quella di rilanciare questa legislatura, affrontando la questione delle riforme istituzionali. C'erano due possibilità: affrontare la questione dalla parte più spiccatamente delle riforme del lavoro e della produttività, per rilanciare la produttività, oppure da un'altra parte. Si è scelto di intervenire dalla parte delle riforme istituzionali.
  Credo, tuttavia, che ogni giorno debba essere ricordato l'obiettivo finale. Noi non cambiamo la natura del Senato e non rivediamo il Titolo V della Costituzione per ragioni fini a se stesse, lo facciamo per aumentare la produttività complessiva di questo Paese o, almeno, lo dobbiamo fare con questo obiettivo. In altre parole, ciò vuol dire mettere in moto e rendere più produttiva la metà del PIL, la parte statale, e fare in modo che, essendo più produttiva questa parte, si inneschi un processo di maggiore capacità e di maggiore produttività della parte privata del PIL.
  Credo sia utile che lei ci dia una mano a ridefinire e a tener ben presente questo obiettivo. È ovvio che, dentro questo obiettivo, la riforma del Titolo V della Costituzione ricopre, come è stato rilevato nella sua relazione anche oltre le nostre aspettative, un ruolo strategico e fondamentale. Anche su questo credo sia utile che tutti insieme affrontiamo il tema dalla parte giusta.
  Il punto nodale, ossia la sovrapposizione di competenze, è certamente un problema da risolvere, ma esiste un'ampia letteratura sul funzionamento dei sistemi, soprattutto di quelli federali, in giro per il mondo, che ci dice che questo esito, cioè quello di aver avuto troppe materie concorrenti, con tutte le complicazioni che ne sono derivate, dipende dal fatto che l'approccio con cui si è costruito il funzionamento istituzionale di questo Paese è stato un approccio esclusivamente giuridico.
  Quindi, aprirei un secondo capitolo. Nel primo capitolo definiamo pure come dirimere meglio le sovrapposizioni di competenze e decidiamo anche qual è e dove sta il livello di competenza prevalente. Nel secondo capitolo, invece, dedichiamo molta passione nell'ingegnarci su come i vari livelli istituzionali interagiscono, perché l'obiettivo deve necessariamente riguardare tutto, se si tratta di sviluppare il Paese in tutti i settori su cui questo può avere ricadute.
  Non è banale che lei ci possa dare una mano in questa riflessione, perché, ahimè – il presidente Tabacci lo sa bene –, noi continuiamo a rilevare che questo secondo aspetto in realtà manca ed io ho la sensazione che, visti i tempi stretti, mancherà anche nella riformulazione del Titolo V della Costituzione. Mi auguro, invece, che sia fondamentale.
  Concludo dicendo che, come mi è capitato di osservare in alcune riunioni di questi giorni, mi pare che siamo in una situazione un po’ paradossale, come quella di chi si trova la sera prima di un esame universitario che avrà il giorno dopo e che, pur sapendo da tempo che avrebbe dovuto sostenere l'esame, non si è preparato e, quindi, gli rimangono dodici ore.
  Quando rimangono dodici ore, è del tutto evidente che queste dodici ore non basteranno per conoscere la materia nel dettaglio. Tuttavia, ciò non toglie che la materia vada conosciuta nei propri limiti e nella sua interezza, al fine di averne adeguata conoscenza. Non è, inoltre, da escludere che alcune cose possano e debbano essere fatte immediatamente. Una volta che si sono visti i limiti, si deve scegliere da dove partire, dando subito un segnale significativo.
  Questo per dire che, se il tema è quello di agire con un grande sforzo collettivo, nessuno può sostenere che abbia colpa solo l'altro. Questo è il punto. Credo che siamo arrivati qui per vizi comportamentali, per cultura, per comodità, per una somma di cause che hanno riguardato tutti e che, quindi, solo tutti insieme Pag. 14possiamo uscirne. Ritengo sia fondamentale un contributo reciproco al fine di stabilire come tarare il tema dei tempi e quale sia la materia su cui intervenire prioritariamente.
  Penso che la politica si debba fare carico, come tutte le altre organizzazioni sociali ed economiche di questo Paese, di dire che non c’è più tempo da perdere. Se non facciamo contestualmente una stima reale di quanto ci vuole per fare una delle cose su cui non vogliamo perdere tempo e, quindi, se non stimiamo che per riformare il Senato e il Titolo V della Costituzione sia ragionevole impiegare un anno senza perdere un minuto in più, noi non saremo più in grado di allineare questo Paese con chi ha potere decisionale.
  Parlo di ognuno di noi. Non sarà mai più chiaro a nessuno se il tempo che si è impiegato sia troppo poco oppure il contrario. Io penso che questo ricada nella responsabilità di ognuno di noi. Se la disponibilità del presidente, che si coglie da questo scritto, va in questa direzione, sappia, presidente, che ci sono molti parlamentari che condividono pienamente le sue osservazioni.

  PRESIDENTE. Grazie. Abbiamo sette minuti per tre interventi. Do ora la parola alla senatrice D'Onghia.

  ANGELA D'ONGHIA. Grazie, presidente, sarò velocissima. Sono convinta che le complicazioni che troviamo in Italia siano dovute sicuramente all'ingerenza che la politica ha voluto avere nell'industria di questo Paese, nel sistema industriale e nel sistema del lavoro.
  Penso che al punto in cui siamo – sono d'accordissimo con il collega che ha parlato prima di me – tutti noi dobbiamo fare uno sforzo comune per tirare il nostro Paese fuori da questo pantano. In questo sforzo comune, abbiamo bisogno intanto che voi facciate una cosa che compete a Confindustria, essendo Confindustria la più grande rappresentanza industriale del Paese, ossia mettere insieme le varie associazioni di categoria.
  A volte, infatti, si ascoltano richieste completamente diverse, che fanno complicare le cose, perché poi, pur di dare voce a tutti, pur di agevolare tutti, pur di non fare male a nessuno, facciamo sempre pastrocchi da cui non si esce più. Questo è un grande problema del nostro Paese e, pertanto, sarebbe giusto avere un tavolo di semplificazione in cui riunirci tutti insieme per decidere come semplificare.
  In secondo luogo, sarebbe giusto avere da voi quasi una lista della spesa di tutto quello che va eliminato, perché penso che vadano eliminate tante norme che ormai non servono, che complicano la vita delle imprese. Le imprese, come utenti, sanno benissimo quali siano le dieci regole che servono a tenere in piedi l'impresa nell'etica sociale e in tutto ciò che è giusto per portare avanti un'impresa al passo con i tempi, considerato che oggi parliamo di un'impresa europea, non più di un'impresa italiana. Sarebbe giusto, quindi, avere questa lista da parte vostra.
  Ancora, voi sapete meglio di noi che dobbiamo fare riprendere i consumi interni. Se non facciamo ripartire tali consumi, sarà difficile uscire da questa crisi per il nostro Paese e per le imprese, almeno medio-piccole, di questo Paese. Per fare ciò, abbiamo bisogno che anche con le associazioni dei distributori in Italia si incomincino a fare dei ragionamenti sulle semplificazioni, sui consumi e su quello che può portarci ai consumi interni.
  Secondo me, è importante che in questo momento le riflessioni siano svolte per raggiungere la competitività di cui abbiamo bisogno, senza dimenticare nulla. Pertanto, ci aspettiamo da voi un grande aiuto per arrivare a fine marzo e avere una visione completa. Ritengo che voi, come associazione, abbiate forse più mezzi di noi per fornirci l'elenco delle cose che servono alle imprese.

  ERICA D'ADDA. Grazie, presidente. Ringrazio il presidente Squinzi che ci ha presentato, con la sua relazione, un punto di vista importante e autorevole rispetto a un tema che – lo abbiamo detto anche ieri, audendo le parti sociali – possiamo tranquillamente dire che ci vede tutti d'accordo e, in particolare, come diceva Pag. 15ieri il presidente, ci vede d'accordo come parti politiche. Nessuno di noi mette in discussione il fatto che la complicazione di questo Paese sia uno dei fattori che non lo rendono competitivo sotto tutti i punti di vista, in particolare sotto il punto di vista del lavoro, delle imprese e, quindi, anche dello stato dei lavoratori.
  Proprio perché anche le parti che abbiamo audito dal loro punto di vista, dalla particolare angolatura da cui hanno affrontato questo tema, si sono sostanzialmente trovate d'accordo, le impostazioni convergono, ciascuna con le sue sfumature, come è giusto che sia.
  Vorrei, tuttavia, sottolineare un elemento. Noi percepiamo questa concordia ma, se usciamo da qui, penso che il cittadino si stupirebbe di trovarla. C’è, dunque, anche un nostro problema, un problema, come lei dice, probabilmente anche culturale delle classi dirigenti, perché noi fuori non comunichiamo questa concordia o comunichiamo una distonia che in realtà qui non esiste.
  Questo è un punto molto importante, presidente. Penso che non siamo come nella notte degli esami, a dodici ore dall'esame per il quale non ci siamo preparati, perché ai miei studenti avrei consigliato di non presentarsi agli esami. Un buon professore non fa passare uno che dodici ore prima non ha studiato per l'esame. Siamo, però, vicini alla scadenza dell'esame e, quindi, dobbiamo attrezzarci per riuscire a passarlo perlomeno con una certa dignità di intenti.
  Su questo punto, vorrei anche la sua valutazione. Abbiamo bisogno, affinché il cittadino ritrovi nelle classi dirigenti e nelle istituzioni un minimo di credibilità, di mandargli anche questo messaggio. Non dobbiamo mandare sempre un messaggio conflittuale, ma un messaggio che chiarisca come, su alcuni temi, stiamo cominciando a lavorare. Magari troveremo anche dei nodi sui quali non siamo d'accordo, ma su cui possiamo lavorare per scioglierli, senza mandare sempre, a causa delle nostre differenze, un'immagine che non corrisponde a quello che io ho trovato in questa Commissione.
  Anche rispetto alle priorità hanno già detto molto i colleghi. Intanto potremmo dire che molto probabilmente a raggiungere Roma erano molto più veloci i senatori che non i deputati, se i regolamenti sono diversi. Faccio questa battuta non per dire che dobbiamo chiudere la Camera, ma per evidenziare che è molto più facile e ha molto più senso che si intervenga velocemente sui regolamenti. Si dovrebbe intervenire immediatamente per cambiare i regolamenti, perché sono obiettivamente obsoleti e sono anche molto onerosi da studiare e da valutare.
  Quella che considero una riforma inevitabile e corretta, ossia la riforma del Senato, va affrontata, essendo una riforma istituzionale importante – sono d'accordo con il collega che lo diceva –, tenendo conto dei tempi, perché con il Titolo V della Costituzione abbiamo già visto che si è verificato quello che dalle mie parti si indica con il proverbio: la gattina frettolosa fa i gattini ciechi. Mi pare che il Titolo V della Costituzione rientri, per esprimersi proprio in maniera molto brutale, in questo proverbio che i nonni ci hanno lasciato.
  Affrontiamo, quindi, i grandi temi, ma sapendo che la velocità o è efficienza o è complicazione. Nel riassumere la questione ed elaborare un documento conclusivo, dovremmo andare veramente a toccare i nodi fondamentali, prestando molta attenzione. In questi decenni nessuno deve sentirsi offeso, ma nessuno deve sentirsi escluso. Con riferimento alla complicazione e alla mancanza di sanzioni rispetto alle varie complicazioni, nessuno si deve sentire escluso da una responsabilità che, come classi dirigenti, abbiamo.
  Venendo all'ultimo punto, quando non sappiamo cosa dire, diciamo che la pubblica amministrazione è complicata e che ha tutte le responsabilità, dimenticando che forse tra pubblica amministrazione e politica devono essere definiti confini certi, ossia chi fa cosa, come e perché, altrimenti questo intreccio un po’ strano diventa anche un po’ eccessivo. Proprio questo intrecciarsi eccessivo delle competenze o attribuisce tutte le responsabilità in capo Pag. 16ad un solo soggetto oppure configura tutti come responsabili e, quando sono tutti responsabili, in realtà nessuno lo è.

  UMBERTO D'OTTAVIO. Presidente, sarò assolutamente rapido. Mentre venivano svolti gli altri interventi, ho letto le prime agenzie sulla relazione del presidente Squinzi, già apparse in rete. Anche in quest'audizione, come in moltissime altre, emerge in modo molto drammatico il fatto che si abbia una pubblica amministrazione praticamente impostata a impedire e a dire di no.
  Io ho partecipato – era presente anche il presidente Squinzi – qualche settimana fa a una interessante assemblea dell'ANFIA, nella quale c’è stato un confronto tra Italia e Spagna sulla produzione di automobili nei due Paesi. È emerso, con mia sorpresa, come, mentre da noi vi sono le vicende che conosciamo, in Spagna non solo è aumentata la produzione di automobili, ma si prevede nei prossimi anni di creare nuovi stabilimenti. A parlare era il rappresentante del Ministero del lavoro.
  Da quel giorno mi chiedo e continuo a chiedermi ciò che oggi ho l'occasione di affermare, ossia che, secondo me, non è opportuna una battaglia generica contro la pubblica amministrazione. Non sono, infatti, assolutamente convinto né che sia così né che sia opportuno scaricare su una categoria di lavoratori, quali sono quelli della pubblica amministrazione, i problemi del nostro Paese. Credo che dobbiamo avere chiaro per cosa agire. Io ho fatto il sindaco e, quando un imprenditore veniva a trovarmi per dire cosa avesse intenzione di fare, invitavo gli uffici del mio comune a mettersi a disposizione, non a impedire.
  Noi dobbiamo perseguire degli obiettivi perché, in tal modo, non c’è bisogno di aspettare grandi trasformazioni, ma si raggiungono quegli obiettivi. Per esempio, se avessimo l'obiettivo di ridurre il costo dell'energia e ci mettessimo a lavorare sul costo dell'energia, potremmo trovare una soluzione.
  A mio avviso, considerato che nel nostro Paese non ci sono solo bruttissimi esempi, ma anche bellissimi esempi, dovremmo promuovere un'alleanza tra la vostra associazione, che, come è stato già detto, è la più importante associazione degli imprenditori nel nostro Paese, e quella parte della pubblica amministrazione che ha voglia di cambiare, che è già cambiata e che, quando si pone un problema, cerca di risolverlo nell'interesse pubblico. In tal modo, secondo me, saremmo in grado di conseguire migliori risultati concreti.

  PRESIDENTE. Rinuncio a svolgere altre osservazioni.
  Do la parola al Presidente Squinzi per la replica.

  GIORGIO SQUINZI, presidente di Confindustria. Grazie per questa serie di riflessioni molto interessanti, su cui cercherò di interagire.
  Con la senatrice Di Giorgi mi sembra che ci sia una sostanziale concordanza di visioni per il futuro. Noi condividiamo interamente quello che lei ha citato: complicazione sicuramente significa meno trasparenza. Sono tutte cose per le quali ci battiamo continuamente e, tra l'altro, abbiamo avanzato una serie di proposte precise. Da parte nostra c’è una disponibilità totale a sederci, discutere e condividere con voi le nostre idee, in maniera da fornire il più ampio contributo possibile.
  Con riguardo alle osservazioni dell'onorevole Lavagno, faccio presente che noi non ci siamo autoassolti. Si può, infatti, discutere moltissimo anche sul problema dell'evasione fiscale, perché quelle sull'evasione fiscale sono sempre stime. Secondo il mio punto di vista, ci sono due dati, ossia l'evasione fiscale e ciò che è emerso oggi sul tema della corruzione. Si tratta di dati sempre relativi, in quanto basati su situazioni che si stima possano verificarsi.
  In effetti, in merito alla corruzione, va rilevato che essa è presente ovunque. Io, che sono un imprenditore e produco in trentatré Paesi nei cinque continenti, le assicuro che la mia impresa non ha mai operato in questo modo, ma in qualche Pag. 17mercato siamo addirittura quasi costretti a uscire o ad alleggerire la nostra presenza proprio perché i problemi della corruzione sono insormontabili. Devo segnalare, tuttavia, che ciò non si verifica nel contesto europeo.
  Comunque, per noi la rapidità non costituisce un mantra, tuttavia vorremmo ricordare che il decreto-legge n. 112 è del 2008. Sono passati ormai sei anni e stiamo aspettando le risposte, mentre oggi, nel mercato globale, con la velocità cui va l'economia e cui sono obbligate a uniformarsi le imprese, servono tempi rapidi su tutto.
  Posso citare alcuni casi che ho vissuto personalmente per l'ampliamento di alcuni stabilimenti in Italia. In un caso, verificatosi a Robbiano di Mediglia, alle porte di Milano, proprio per non aver voluto far ricorso alla corruzione, ho atteso otto anni, con tutta una serie di cavilli e di inghippi burocratici, l'autorizzazione ad ampliare uno stabilimento. A Latina, quindi in un'altra provincia, abbiamo aspettato, invece, sette anni che una delibera del Consorzio per lo sviluppo industriale Roma-Latina, che ci autorizzava all'ampliamento, uscisse dagli scaffali della regione Lazio.
  Questi sono i problemi veri che le imprese si trovano ad affrontare. Già a partire dalla cosa più semplice, che è una licenza edilizia, le imprese non hanno alcun tipo di certezza. Vorrei aggiungere che, in quegli otto anni a Mediglia e in quei sette anni a Latina, noi mediamente abbiamo costruito, partendo da terreno verde, dodici stabilimenti in tutto il mondo, nei Paesi più complicati e più rispettosi, che hanno una migliore immagine ecologico-ambientalista. Questa è la realtà, purtroppo, nel nostro Paese.
  Io sono d'accordo che dobbiamo darci delle priorità. Sicuramente le riforme istituzionali vanno fatte e sono importanti, ma non sono sufficienti. L'economia reale ha bisogno di interventi più rapidi. Signori, noi ci stiamo battendo contro un calo di 9 punti percentuali del PIL dal 2007 a oggi, contro un calo dei volumi produttivi del 25 per cento nello stesso periodo, contro una situazione di 3,5 milioni di disoccupati e del 42 per cento di disoccupazione giovanile. Dobbiamo reagire con tempi molto, molto più rapidi.
  Sulle riforme istituzionali, noi siamo assolutamente convinti che quello che si sta portando avanti vada nella direzione giusta, lo condividiamo, però non possiamo dimenticare l'economia reale. L'economia reale ha bisogno di interventi molto, molto rapidi. Questo è quello che volevo assolutamente dire.
  Onorevole Taricco, riteniamo che la riforma del Titolo V della Costituzione sia assolutamente necessaria perché le competenze concorrenti su tutta una serie di argomenti sono veramente un problema difficilissimo da gestire.
  Quanto alla sua domanda sui codici, riteniamo che i codici debbano essere modificati solo con leggi organiche, un po’ sul modello di tendenza seguito in Germania, perché si tratta di leggi a metà tra il costituzionale e l'ordinario. Comunque, la nostra parte legislativa, il cui responsabile è l'avvocato Panucci, che ha una particolare competenza in questo settore, e tutta Confindustria sono a disposizione, qualora voi vogliate consultarci, per fornirvi anche un nostro contributo.
  Onorevole Gelli, in parte le ho già risposto. Le riforme sono importanti, però non possiamo fermarci alle riforme istituzionali e dobbiamo andare avanti. Il tema delle riforme dei regolamenti parlamentari è già stato ripreso da tanti. So anch'io, tra l'altro, che in Toscana vi è una particolare esperienza con riguardo a questi temi. Uno dei miei vicepresidenti è stato un past president della regione Toscana e anche il nostro delegato agli interni e, quindi, sono piuttosto al corrente di quello che è successo. Condivido, pertanto, le sue riflessioni.
  Il punto importante è quello dei tempi di convocazione delle conferenze dei servizi. È un'altra questione sulla quale dobbiamo intervenire. Se qualcuno si vuole prendere lo sfizio di andare a consultare la pubblicazione comparativa che abbiamo Pag. 18elaborato sui tempi di rilascio delle AIA, lo faccia e rimarrà orripilato. Ci sono casi incredibili.
  Gliene cito uno che mi riguarda personalmente. Una delle aziende del mio gruppo è Vinavil, che ha uno stabilimento in Val d'Ossola, a Villadossola esattamente. Nel corso del rinnovo dell'autorizzazione AIA abbiamo avuto un'ingiunzione da parte della Commissione di ridurre i parametri di emissione di alcune sostanze nelle acque di processo. Ci hanno ridotto questi limiti e attualmente l'imposizione è che per tutta l'acqua che emettiamo dobbiamo essere trenta volte sotto i parametri dell'acquedotto comunale di Villadossola.
  Non è finita qui. A 5 chilometri da noi, più a sud, verso il Lago Maggiore, c’è uno stabilimento, un impianto cloro-soda, che apparteneva a ENI e che adesso è di proprietà del gruppo belga Tessenderlo. Lo stabilimento di Pieve Vergonte può emettere quaranta volte più di noi delle sostanze che vanno tenute sotto controllo perché Pieve Vergonte ha un'AIA nazionale e noi abbiamo un'AIA regionale.
  Questi sono i problemi con cui combattiamo nelle nostre imprese. Quello citato è un caso che mi riguarda personalmente, ma a me risulta che ce ne siano centinaia. Questi sono i problemi sui quali bisogna incidere.
  Il discorso dell’e-government è sicuramente molto condiviso. È chiaro che il numero che lei fornisce, ossia che in Toscana solo il 23-24 per cento delle aziende sono internettizzate, è un problema. Come Confindustria, noi abbiamo questa tra le nostre priorità.
  Vorrei ricordare che ho dato la delega per l'Agenda digitale all'ingegner Sarmi, che personalmente reputo sia uno dei massimi esperti del nostro Paese. Stiamo cercando di porre una posizione costruttiva in questa direzione.
  A me risulta personalmente, anche da colloqui diretti che abbiamo avuto, che il povero commissario straordinario, l'ingegner Caio, altra persona di grandissima competenza, sia sull'orlo dell'abbandono, dello scoramento. È chiaro che il futuro del nostro Paese passa da una vera e integrale applicazione di un e-government generale, in modo particolare partendo dalla pubblica amministrazione. Su questo siamo assolutamente d'accordo.
  Onorevole Ferrari, i temi sono quelli che abbiamo già toccato e noi siamo disponibili a fornire la nostra più ampia collaborazione. L'immagine che lei ha dato della notte prima degli esami rende l'idea, tuttavia è chiaro che sono necessari dei tempi. Dobbiamo darci delle priorità, questo è assolutamente condivisibile, ma questi tempi devono essere rapidi perché l'economia reale è quello che è, come abbiamo già detto.
  Senatrice D'Onghia, sicuramente la ripartenza del nostro Paese inizia e transita da una ripresa dei consumi interni. Su questo non c’è discussione. Lo vediamo tutti e anche i dati del nostro Centro studi ci dicono che comunque, in termini di esportazioni, noi stiamo tenendo. Stiamo tenendo percentualmente più o meno come la Germania, in qualche caso anche meglio dalla Germania, ma le nostre aziende e le nostre fabbriche si battono contro una desolante condizione di crollo dei consumi interni. È quello il punto sul quale dobbiamo intervenire perché i nodi dell'economia reale vanno affrontati subito. Non abbiamo più tempo per aspettare.
  Capisco che ci siano tante richieste, ma le assicuro che personalmente, in tutta coscienza, sono convinto che Confindustria, anche per la complessità dell'attività manifatturiera, abbia sicuramente la più ampia visione su tutti i problemi in generale dell'economia e del Paese. Ritengo che noi abbiamo una visione più ampia rispetto ad altre categorie che rappresentano i consumatori, i commercianti e tanti altri soggetti, proprio per la complessità della nostra attività lavorativa.
  Questo non vuol dire che noi rifuggiamo il confronto, anzi, abbiamo sempre un contatto continuo e siamo assolutamente coordinati. Riteniamo, però, che sia nostro diritto-dovere quello di dire chiaramente ciò che serve in questo momento per far ripartire il Paese. Da questo punto Pag. 19di vista, siamo disposti a offrire la nostra massima collaborazione e accettiamo qualunque tipo di confronto.
  Con l'onorevole D'Adda abbiamo già toccato un po’ tutti i temi. C’è un discorso, l'incrocio tra pubblica amministrazione e politica, sul quale forse dobbiamo spendere qualche parola. Il Governo definisce sicuramente l'indirizzo politico e la pubblica amministrazione è quella che deve attivarlo. La pubblica amministrazione è fatta da tecnici che, però, non possono essere autoreferenziali. Purtroppo, l'impressione che ho sviluppato, in questo anno e mezzo abbondante ormai di presidenza di Confindustria, è che i poteri della burocrazia all'interno della pubblica amministrazione superino nettamente quelli dei politici che vengono messi a capo dei ministeri. L'esperienza che ho avuto nei miei contatti diretti è proprio questa.
  Si tratta di un punto importante ed è per questo motivo che chiediamo che la politica riprenda controllo, forza e che stabilisca le priorità. Facendo questo, ci aspettiamo che la politica rimetta al centro degli interessi del Paese l'impresa, perché il lavoro lo può creare solo l'impresa, non dimentichiamocelo. Dateci un Paese normale, come dico spesso, e vi facciamo vedere cosa siamo capaci di fare. Non credo, infatti, che abbiamo perso la capacità che abbiamo avuto nel dopoguerra di trasformarci da un Paese agricolo di seconda fascia alla quarta potenza economica mondiale. Tuttora siamo al settimo, ottavo posto. Come Paese, come italiani, come imprenditori, come collaboratori delle nostre imprese, credo che siamo capaci di riprendere una posizione più forte. La pubblica amministrazione evidentemente deve seguire questo indirizzo e ostacolare il meno possibile le imprese.
  L'ultimo intervento è stato quello dell'onorevole D'Ottavio. Ricordo quell'assemblea dell'ANFIA tra Italia e Spagna. Non dimentichiamoci un fatto molto semplice e concreto: lo spread spagnolo è ormai stabilmente dieci punti più basso dello spread italiano. Questo, secondo me, non dipende dal fatto che la Spagna è un Paese più competitivo dell'Italia, assolutamente non è così. Da un punto di vista manifatturiero non c’è confronto tra noi e la Spagna, ma credo che bisogna assolutamente fare delle riforme. In Spagna sono stati capaci di farle. Chiediamo, quindi, che si facciano delle riforme, ormai necessarie, e siamo disposti a discutere e a sederci a un tavolo per fornire il nostro contributo. Credo che il colloquio tra le imprese e la pubblica amministrazione debba essere portato avanti. Una delle grandi delusioni che ho avuto in questi venti mesi di presidenza, per esempio, è il fatto che non si sia ancora riusciti a portare fino in fondo il passaggio parlamentare sulla legge delega per la riforma fiscale.
  Siamo sicuri che sarà approvata ? Io comincio ad avere le idee un po’ confuse. Ricordo che, un anno fa, Befera mi disse che questa riforma non sarebbe mai passata. Sicuramente non sarebbe stata approvata nella legislatura precedente. Vieri Ceriani, invece, sosteneva che la riforma fiscale avrebbe visto la luce.
  Sono scioccato, perché ieri ho letto che Befera ritiene che il fisco sia l'ostacolo alle imprese estere per venire in Italia. Comincio a essere un po’ confuso. Speriamo bene. Dateci chiarezza. Il sistema delle imprese c’è e vuole dimostrare di esserci. Dateci una mano. Credo che il Paese possa ripartire.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il Presidente Squinzi. Parafrasando il collega Ferrari a proposito della notte degli esami, bisognerebbe sapere esattamente chi deve fare gli esami e chi sono gli esaminatori. Ho l'impressione che la questione sia molto complicata.

  GIORGIO SQUINZI, Presidente di Confindustria. L'esame finale ce lo fanno i mercati internazionali. È questo il problema.

  PRESIDENTE. Questo vuol dire che l'Italia, che si è attorcigliata nelle sue difficoltà e nei suoi problemi, ha espresso Pag. 20una classe dirigente, che non siede solo in Parlamento, ma nel Paese, in tutte le sue articolazioni, che l'ha portata a questo punto di ricaduta. Non si può, infatti, pensare di dare la colpa ad altri. Nella relazione introduttiva del mio amico presidente Squinzi, questo non è stato fatto e gliene ho dato atto.
  Mi è capitato, nel corso di questi anni, di frequentare incontri di categorie in cui la litania era ricorrente, ossia che la colpa era sempre degli altri. La colpa non può essere degli altri, perché, tra l'altro, con il lavoro dei lobbisti che operano sia alla Camera dei deputati sia al Senato della Repubblica, si capisce che anche il processo legislativo è fortemente irreggimentato da interessi che si sono consolidati.
  Ritengo che la relazione del presidente Squinzi e le sue osservazioni rappresentino un contributo molto importante, per lo stile, per il taglio e per la concretezza che vi sono stati impressi. Colgo, dunque, da questa interlocuzione con il dottor Squinzi un elemento in più per guardare con un certo ottimismo ai prossimi impegni della Commissione.
  Comunico che domani mattina alle 8 si terrà l'audizione del Presidente dell'ANCE e del Segretario generale di Confedilizia.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.40.