XVII Legislatura

Commissione parlamentare per la semplificazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 14 di Mercoledì 16 dicembre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Tabacci Bruno , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE SEMPLIFICAZIONI POSSIBILI NEL SUPERAMENTO DELLE EMERGENZE

Audizione dei dirigenti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Fabio Carapezza Guttuso, Paolo Iannelli e Carla Di Francesco.
Tabacci Bruno , Presidente ... 3 
Carapezza Guttuso Fabio , coordinatore dell'unità di crisi del coordinamento nazionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ... 3 
Di Francesco Carla , dirigente generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ... 5 
Iannelli Paolo , responsabile dell'Ufficio sicurezza del patrimonio culturale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ... 6 
Tabacci Bruno , Presidente ... 8 
Prataviera Emanuele (Misto)  ... 8 
Taricco Mino (PD)  ... 9 
D'Ottavio Umberto (PD)  ... 9 
Tabacci Bruno , Presidente ... 10 
Di Francesco Carla , dirigente generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ... 10 
Iannelli Paolo , responsabile dell'Ufficio sicurezza del patrimonio culturale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ... 11 
Carapezza Guttuso Fabio , coordinatore dell'unità di crisi del coordinamento nazionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ... 12 
Tabacci Bruno , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BRUNO TABACCI

  La seduta comincia alle 8.25.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione dei dirigenti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Fabio Carapezza Guttuso, Paolo Iannelli e Carla Di Francesco.

  PRESIDENTE. Comunico che è pervenuta una memoria della Confindustria, che è in distribuzione e sarà pubblicata nel volume conclusivo dell'indagine.
  L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle semplificazioni possibili nel superamento delle emergenze, dei dirigenti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBACT) Fabio Carapezza Guttuso, Carla Di Francesco e Paolo Iannelli.
  Il prefetto Fabio Carapezza Guttuso è coordinatore dell'unità di crisi del coordinamento nazionale del Ministero e presidente della Commissione speciale permanente per la sicurezza del patrimonio culturale; la dottoressa Carla Di Francesco, dirigente generale, ha vissuto da vicino le vicende del terremoto dell'Emilia-Romagna nella sua qualità di direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici; l'ingegner Paolo Iannelli è responsabile dell'Ufficio sicurezza del patrimonio culturale.
  Il Ministero, anche nelle sue articolazioni territoriali, è stato una sorta di convitato di pietra nelle audizioni fin qui svolte, nelle quali è stata da più parti invocata una maggiore flessibilità soprattutto per gli interventi di messa in sicurezza all'indomani delle calamità.
  Detto questo, do la parola ai nostri ospiti per lo svolgimento delle rispettive relazioni.

  FABIO CARAPEZZA GUTTUSO, coordinatore dell'unità di crisi del coordinamento nazionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Buongiorno presidente e onorevoli tutti. Credo che sia meglio iniziare con una piccolissima introduzione sul problema delle emergenze. Io sono il prefetto Fabio Carapezza Guttuso e sono in posizione di fuori ruolo presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, dove da circa vent'anni mi occupo di sicurezza del patrimonio culturale.
  Il problema della sicurezza del patrimonio culturale, italiano soprattutto, va inteso, prima di scendere nelle possibili e indispensabili semplificazioni, come un dialogo tra i tecnici dei beni culturali, quali storici dell'arte, architetti, archeologi, archivisti, bibliotecari, e i tecnici dell'emergenza. Il tecnico dell'emergenza sarei io stesso come prefetto, ma lo sono anche i vigili del fuoco, le forze di polizia, le forze armate, eccetera. Questo dialogo non sempre è stato perfetto, come si sa, e man mano ha attraversato momenti di grande attenzione soprattutto da parte della Protezione civile, da quando si è staccata dal Ministero dell'interno.Pag. 4
  Come sapete, fino agli anni Ottanta, fino all'arrivo di Zamberletti, la Protezione civile era parte integrante del Ministro dell'interno. Successivamente ha conosciuto momenti di altissima attenzione, come all'epoca del Sottosegretario Barberi, quando addirittura al Ministero dei beni culturali e al patrimonio culturale era dedicata l'VIII sezione della Commissione per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi. Accanto a questo, venne istituita la figura del commissario straordinario per il patrimonio culturale, nell'emergenza Marche 1997.
  Questo dialogo continuo non è sempre facilissimo perché ci sono due visioni. La visione dei tecnici dell'emergenza, che hanno tempi stretti, privilegia la necessità di colmare bisogni primari come gli ospedali, il cibo, le tende, eccetera. Non sempre vedono come fondamentale, fin dai primi momenti, dedicarsi al patrimonio culturale e alla messa in sicurezza.
  Lentamente e faticosamente è stato costruito il modello italiano, che quasi ci è invidiato all'estero perché siamo riusciti a trasformare le squadre speleologico-alpino-fluviali (SAF) nei più attenti custodi dei beni culturali. Li avrete visti appendersi dagli elicotteri per intervenire sui torrini. Si è quindi evitata buona parte della pratica normale secondo cui un monumento non si poteva mettere in sicurezza, ma doveva essere demolito.
  Da questo punto di vista sicuramente si può fare molto. È importante tenere presente che il patrimonio culturale italiano è un museo a cielo aperto. Il problema italiano è difendere un patrimonio diffusissimo. Non c’è campagna che non abbia una chiesetta, un rudere, un'area archeologica da tutelare. In più, spesso, i beni culturali, come nel caso dei quadri di Caravaggio o di Bellini, sono nelle chiese stesse per i quali erano state progettate.
  Questo comporta che non possiamo modificare, parlando di Caravaggio, la chiesa di Santa Maria del Popolo o le chiese venete che contengono i Bellini perché hanno una loro immodificabilità e una loro struttura essa stessa tutelata. Inevitabilmente il processo di avvicinamento alla messa in sicurezza e al restauro definitivo ha tempi che dipendono da questa particolarità italiana, che del resto è molto importante per il turismo. Uno dei maggiori fascini che colpisce gli appassionati o i semplici turisti è vedere che i luoghi, come Palazzo Te a Mantova, dove si trovano gli affreschi di Romano, sono esattamente come erano allora.
  Questo immediatamente sposta l'attenzione e necessita, sia in fase di pianificazione dell'emergenza sia in fase di gestione, di un'attenzione enorme verso il patrimonio culturale, accogliendo i tecnici dei beni culturali nelle strutture deputate. Lo cito solamente, ma voi sapete che la competenza è soltanto del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, tranne che in Sicilia, che è regione autonoma.
  Il codice dei beni culturali, il cosiddetto «codice Urbani», il decreto legislativo n. 42/2004, all'articolo 3 parla espressamente della tutela, che, sintetizzando, è l'attività indirizzata al riconoscimento e all'individuazione di ciò che ha un interesse culturale e di cosa faccia parte del patrimonio. Non è solo un concetto estetico. L'estetica è la chiave, ma la considerazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo riguarda oggetti che sono importanti. Lo stivale di Garibaldi può essere insieme al quadro di Bellini. Subito dopo, l'articolo 4 dice che le funzioni di tutela sono attribuite al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.
  Talvolta c’è un po’ di confusione a livello dei tanti uffici in cui l'emergenza si dipana. Come sapete, quando un'emergenza irrompe, si tagliano i normali contatti tra il centro e la periferia e intervengono organismi nuovi, come la Direzione di comando e controllo (DICOMAC), il Centro di coordinamento dei soccorsi (CCS) o il Centro operativo misto (COM). Presso gli enti locali o le sedi dove ha origine l'emergenza si creano momenti diversi. In quelle funzioni il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo deve essere assolutamente presente, ma fin da quando si pianifica.Pag. 5
  Citavo il caso di Barberi perché è stato forse l'acme. Nella attuale Commissione per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi non è rappresentato il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, come non è rappresentato quale parte necessaria nel Comitato operativo per la protezione civile, che è la massima struttura che si riunisce in caso di emergenza.
  Non ci sono per la verità altri Ministeri, ma il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è il convitato di pietra, come diceva il presidente. Se il MIBACT non viene invitato prima, ricompare dopo, come il commendatore nel Don Giovanni. È inevitabilmente presente e le fasi autorizzative e tutto il resto sono anche conseguenza del non aver tenuto presente il Ministero a monte.
  La ricchezza di beni culturali del Paese corrisponde a una ricchezza di fenomeni naturali. Ad esempio, non c’è territorio in Italia, tranne piccoli pezzi della Sardegna, che non sia a elevato rischio sismico. Abbiamo problemi di vulcanesimo e credo sappiate che l'emergenza Vesuvio è dietro l'angolo. C’è un «piano Vesuvio» cui si sta lavorando. L'Etna ogni tanto si risveglia. Vulcano è pronta a regalarci qualcosa, non si sa quando, e così via. Abbiamo il bradisismo a Pozzuoli e abbiamo anche una situazione idrogeologica difficile e continue alluvioni.
  Tutte queste emergenze colpiscono in maniera grave i beni culturali e, soddisfatti i bisogni primari, la popolazione sente la necessità di riavere i luoghi simbolo che la rappresentano. È un problema molto importante, talvolta trascurato. Non parlo di un solo quadro, di un incendio o di un'emergenza che riguardi un singolo monumento. Se viene colpita l'Aquila, l'Umbria o l'Emilia, la popolazione sente la necessità di riavere la chiesetta o il monumento attorno a cui stringersi e da fruire. Ci chiede fortemente che le siano restituiti per potersi riunire.
  Per ora ho finito e resto a disposizione per eventuali domande.

  CARLA DI FRANCESCO, dirigente generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Se non desiderate procedere subito con domande, vorrei precisare qualcosa in merito alla tragedia del terremoto che ha colpito l'Emilia-Romagna.
  Nel caso emiliano abbiamo sentito fortemente lo scollamento, cui il prefetto Carapezza accennava, con l'apparato della Protezione civile. In virtù della mia esperienza con il piccolo terremoto che colpì l'area di Salò e del Garda alla fine del 2004, sono riuscita a muovermi, come responsabile dell'unità di crisi regionale, in maniera autonoma, organizzando i funzionari delle soprintendenze per le ricognizioni e dando loro le istruzioni operative affinché proteggessero se stessi da uno sciame sismico che nei primi momenti si rivelava molto virulento.
  Sono riuscita a capire che dovevo comunque intervenire per definire il quadro dei beni culturali colpiti e danneggiati in maniera più o meno grave e avere tutto sott'occhio, nonostante nell'organizzazione di Protezione civile noi non fossimo né chiamati né informati. Le prime ordinanze io le ho ricevute per la cortesia dei comuni o dei colleghi di provincia e regione che erano inseriti all'interno del sistema.
  Credo che questo sia il punto essenziale delle nostre difficoltà immediate nell'emergenza. Ci sarebbe bisogno di rafforzare la presenza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo all'interno delle strutture ufficiali che lavorano nel momento della calamità.
  Teniamo presente che, quando si parla di beni culturali, spesso c’è un equivoco. Si pensa, cioè, che i beni culturali siano solo chiese, castelli e cose importanti di evidenza, ma non è così. Beni culturali sono anche un'infinità di beni sul territorio e nei centri storici, che sono tutelati non per legge o per evidenza, ma per decreto.
  C’è una quantità di beni in più. Anche palazzi ed edifici inseriti all'interno dei centri storici hanno la caratteristica di beni culturali e nella ricostruzione sono trattati con un regime diverso, per esempio per quanto riguarda i contributi per la Pag. 6ricostruzione. Vanno quindi schedati come beni culturali, ma la ricognizione necessiterebbe, nei primi momenti, di una maggiore unità con le altre strutture a livello nazionale e regionale.
  C’è poi un altro aspetto cui ha accennato il prefetto. I beni culturali, in quanto edifici, sono a loro volta contenitori – brutta parola, ma è così – di altri beni culturali che devono essere prelevati, asportati, ricoverati e successivamente messi in sicurezza. Questo siamo riusciti a farlo perché abbiamo messo in campo un'organizzazione tutta nostra, in particolare riunendo le due soprintendenze dei beni storico-artistici in un'unica sede e mettendole a lavorare insieme.
  È un'infinità di compiti che, se non viene ricondotta al sistema generale, ci vede sempre a lavorare a lato, come interlocutori altri, che hanno di fronte soprattutto le curie, che sono una realtà diffusissima – come dicevo, i beni culturali vengono spesso confusi con le proprietà ecclesiastiche o con i pochi edifici a carattere pubblico, quali castelli e cose del genere – e i comuni, in quanto massimi proprietari dei beni culturali di maggiore evidenza. Tuttavia, nel momento in cui facciamo le ricognizioni, abbiamo sempre di fronte anche i privati, persone la cui casa danneggiata, e talvolta crollata, è bene culturale. La necessità di essere accreditati a entrare e redigere le schede di tipo specifico sui beni culturali è reale e l'abbiamo sentita fortemente.
  Mi fermerei qui per lasciare spazio alle vostre domande sulla ricostruzione e sulla nostra organizzazione, che è stata ed è ancora, perché il lavoro di ricostruzione autorizzativo prosegue, fortemente coesa con la regione. Con il presidente della regione, in quanto commissario delegato, e con l'ente abbiamo concordato una commissione autorizzativa unica, in cui sono presenti il servizio sismico della regione, il commissario delegato e i beni culturali, che manda avanti la ricostruzione in modo unitario, con controlli, assistenza ai progetti e assistenza alla realizzazione.

  PAOLO IANNELLI, responsabile dell'Ufficio sicurezza del patrimonio culturale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Buongiorno. Io vorrei darvi il punto di vista di chi si è trovato, a ridosso del sisma, ad analizzare alcune criticità dei passati eventi. Vorrei inoltre descrivervi il percorso per il quale il Ministero ha optato, perché sono convinto che sia un percorso virtuoso ed estendibile anche ad altre amministrazioni.
  A ridosso delle varie emergenze che abbiamo affrontato, abbiamo riscontrato alcuni malfunzionamenti specifici. In primo luogo, in Italia, per diffusione di patrimonio e per vulnerabilità del territorio, siamo di fronte a un'emergenza quasi continua. Il nostro primo approccio all'emergenza, in particolare in Emilia-Romagna, è stato quello di non pensare nell'ottica dell'emergenza, ma in un'ottica ordinaria, convinti del fatto che se non era il terremoto, era un'alluvione, un evento meteorologico o una «bomba d'acqua». Siamo quindi entrati in un'ottica diversa: un'ottica di ordinarietà e non più di straordinarietà.
  Inoltre, abbiamo constatato che nelle passate gestioni dell'emergenza era mancato il trasferimento dell'esperienza nelle nuove crisi. Si richiamavano le stesse persone che erano state presenti, ma di atti scritti, linee guida, procedure e strategie non c'erano tracce, se non fumose o da ricercare con il lanternino.
  Altro aspetto riguarda il fatto che, siccome in Italia non si capisce quando finisce il momento straordinario, le strutture straordinarie si sovrappongono inevitabilmente a quelle ordinarie. Nell'immediato questo è evidente, ma anche il post-emergenza viene gestito in condizioni straordinarie. Ciò genera sovrapposizioni di ruoli e, tra l'altro, poiché le strutture straordinarie sono spesso strutturate meglio di quelle ordinarie, queste ultime fanno fatica a riconquistare il proprio ruolo e a ripristinare una gestione ordinaria.
  Questo è quanto abbiamo riscontrato dal centro – l'ufficio che seguo è un ufficio centrale –, osservando le emergenze. Il Pag. 7Ministero, in questo tipo di prospettiva, ha deciso di scegliere un percorso diverso dal solito per non dover affrontare le cose nuovamente con un commissario delegato e una struttura straordinaria. Come dicevo, infatti, le condizioni per pensare in un'ottica di straordinarietà non ci sono. Il Ministero ha quindi scelto di seguire un percorso quasi ordinario, affiancando alle strutture ordinarie una struttura a rete.
  Dal momento che ovunque in Italia gli eventi non propriamente emergenziali, ma quantomeno calamitosi, sono pressoché continui e visto che tutto diventa straordinario perché nelle strutture ordinarie scarseggia il personale e via dicendo, abbiamo deciso di costituire, indipendentemente dagli eventi, una struttura che, nel caso di un evento straordinario – senza definirlo calamitoso o emergenziale –, possa gestirlo con una certa continuità.
  Per fare questo abbiamo creato in ogni regione una struttura che, sulla carta, si affianca a quella ordinaria e che si attiva solo quando c’è necessità. Questo non comporta un sovraccarico delle strutture ordinarie, ma serve a individuare persone di riferimento e a dotarle di strumenti quali procedure e strumenti schedografici e informatici affinché, a ogni nuova emergenza, non si debba scoprire che cosa occorre e quanti soldi ci vogliono dopo che sono passati giorni, con persone che non hanno mai lavorato in emergenza e alle quali si chiede di fatto di inventare.
  Il primo evento sismico in Emilia-Romagna si è verificato il 20 maggio 2012. Il giorno 25 il segretario generale, con decreto, ha stabilito che tutte le direzioni regionali del Ministero si dotassero di questa struttura a rete. Abbiamo indicato quali unità occorressero, ma non la quantità perché questo dipende dall'entità dell'evento e dalle disponibilità. Con circolari successive sono state indicate le procedure. Abbiamo specificato cosa fare e quali attrezzature avere, fino a raccomandare, ad esempio, l'uso della torcia perché ciò che è banale per chi ha sempre operato in queste situazioni non lo è per chi lo fa per la prima volta.
  Abbiamo quindi fornito queste unità di una propria autonomia di movimento, pur se affiancate alle strutture ordinarie, spiegando loro cosa fare e cosa usare. Questo percorso vive forti evoluzioni perché non volevamo aspettare che un'ordinanza ci dicesse come modificare la procedura, la scheda o la linea guida. Questo percorso è andato avanti nell'ordinario e, dopo le prime circolari, tutto è stato inglobato in una direttiva del Ministro del dicembre 2013. A distanza di un anno circa, un periodo non così lungo visti i tempi ordinari, è stata emanata la direttiva che ha cucito insieme tutte queste disposizioni per dar loro una veste unitaria e integrata.
  Noi non riteniamo che il percorso sia concluso, tant’è che nell'aprile del 2015 è stata emanata un'ulteriore direttiva, che aggiorna la precedente, proprio per non dare l'illusione che sia qualcosa di definitivo. È la cosiddetta resilienza, cioè la capacità di imparare dall'esperienza. Mano a mano che si attuano procedure e che le emergenze ci costringono a confrontarci con nuove tipologie di intervento o nuove situazioni, vengono aggiornate tanto le nostre procedure quanto le cognizioni delle strutture, così da incrementare l'operatività non straordinaria, ma ordinaria.
  Abbiamo anche tenuto riunioni con i vigili del fuoco e con la Protezione civile e stiamo svolgendo delle giornate informative in ogni regione con il coinvolgimento delle agenzie regionali e della Conferenza episcopale. Come ripeto, siamo convinti che la soluzione non passi dal momento straordinario, ma dall'ordinarietà.
  Detto tutto questo, sottopongo alla vostra valutazione la possibilità di estendere, con le personalizzazioni del caso, un percorso che noi riteniamo essere virtuoso, promuovendo, per esempio, campagne preliminari in tutti i Ministeri e stimolando – nelle varie strutture che sono sempre chiamate a operare – la costituzione, già nell'operatività ordinaria, di una struttura a rete che si confronti e trovi strumenti e intese nel lavoro ordinario, lasciando allo straordinario quello che Pag. 8effettivamente va gestito momento per momento e imponendogli una forte limitazione.
  Se le strutture sono già presenti ordinariamente, non c’è bisogno di mantenere condizioni straordinarie per anni. La straordinarietà può essere proporzionalmente limitata nella misura in cui chi di dovere ha già recepito quello che doveva recepire.
  Affinché sorga una struttura operativa all'interno delle amministrazioni preposte a intervenire, potrebbe essere molto utile, in base alla nostra esperienza, semplificare con disposizioni legislative l'eventuale mobilità di personale sia all'interno dell'amministrazione sia fra amministrazioni. Noi, per esempio, abbiamo avuto difficoltà a utilizzare i vigili del fuoco a causa del pagamento delle missioni e perché serve un accordo quadro.
  Va bene che ci sono ordinariamente alcune regole, ma si dovrebbe pensare a qualcosa per far sì che non sia solo la struttura commissariale ad avere il potere di mobilitare il personale della pubblica amministrazione. Anche nell'ordinario, magari con un accordo quadro, si dovrebbe poter utilizzare il personale per interventi di questo tipo senza l'assillo di chi paga la benzina, la missione o lo straordinario.
  Altrettanto utile per la funzionalità potrebbe essere l'istituzione di tavoli tecnici permanenti. La direttrice raccontava che insieme alla regione hanno istituito una sorta di conferenza dei servizi permanente ed è un fatto positivo, ma la realizzazione di una sorta di mini conferenza dei servizi permanente per le autorizzazioni potrebbe essere imposta per legge. Non ci sarebbe bisogno di ordinanze e nemmeno si dovrebbe sperare in una persona avveduta o nel raggiungimento di un'intesa.
  Se l'esigenza è quella di avere un iter autorizzativo più snello, dove c’è una dichiarazione di stato di emergenza si deve istituire uno sportello unico o una conferenza di servizi permanente. La forma non è importante. Spesso questo si fa, ma dopo dieci giorni o per l'invenzione di qualcuno. Perché avviene questo se l'esigenza è costante ?
  Un'altra semplificazione che potrebbe essere utile è la costituzione, magari a priori, di un nucleo di tecnici, sulla falsariga dei nuclei che si occupano delle valutazioni del danno, anche per la progettazione degli interventi di messa in sicurezza, cui attingere senza dover ricorrere alle procedure del codice degli appalti, visto che la prima cosa che ogni ordinanza fa è derogare a questa o quella norma.
  Se c’è un'esigenza che si ripete, è inutile rimandarla a un'ordinanza. Bisognerebbe piuttosto riportarla nella legislazione ordinaria, in modo da creare un collegamento automatico nelle forme migliori, senza dilatare troppo questo tipo di operazione.
  C’è un altro provvedimento che ritengo molto qualificante. Il Ministero lo ha attivato e penso che andrebbe fatto per tutti. Mi riferisco al monitoraggio di tutti gli interventi post-emergenziali, con particolare riguardo all'efficacia. Non parlo tanto di un monitoraggio della spesa, anche se in Italia siamo abituati a pensare che solo la spesa sia da monitorare. A dover essere monitorata è la bontà dell'intervento, per essere sicuri che quello che si fa diventi prevenzione per il futuro.
  Noi non abbiamo questa cultura. Tutti diciamo che si deve fare prevenzione, ma poi mancano i soldi. Eppure molti interventi che si fanno dovrebbero essere fatti nell'ottica che siano essi stessi interventi di prevenzione.
  Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  EMANUELE PRATAVIERA. Buongiorno. Io vengo dalla provincia di Venezia, che recentemente ha subito la devastazione del tornado nella zona della riviera del Brenta e in particolare nei comuni di Mira, Dolo e Pianiga.
  L'incidenza del valore architettonico dei beni e degli immobili danneggiati è Pag. 9elevatissima. La commistione tra beni pubblici, privati ed ecclesiastici è veramente notevole ed è quindi complicato operare in questo contesto soprattutto per un cittadino, che deve già pensare alla propria famiglia e fare i conti con il danno economico subìto.
  Il simbolo è diventato Villa Fini, che è stata completamente rasa al suolo. Una delle più belle ville di tutta la riviera del Brenta non esiste più. Accanto a quella villa, per fare un esempio concreto, c’è un ristorante che ha deciso di riaprire, senza indugiare, già dalla settimana successiva, per celebrare un matrimonio, cosa che ha rappresentato, in modo romantico, anche la voglia di rinascita del territorio.
  Quello stesso ristorante è situato in una villa storica e anche lì si sono registrati dei danni sui quali i proprietari non hanno potuto intervenire per la messa in insicurezza perché le norme non consentono di intervenire sommariamente, incidendo sul marmorino piuttosto che sul tipo di cotto usato o sull'affresco che sta sulla parete.
  La vera sfida è coniugare la giusta e necessaria difesa e trasmissione alle generazioni successive del patrimonio e la contingente necessità delle famiglie e delle imprese che occupano questi edifici di continuare a viverci e lavorare. Vi chiedo come questo sarebbe possibile. Potrei citare esempi di parrucchieri che occupavano porzioni di edifici tutelati, ma credo sia superfluo.
  L'assessore regionale che si era occupato di questo tema aveva evocato la necessità di aprire un dialogo con il Ministero. Vorrei capire se ci sono stati degli sviluppi in questo senso. Credo che il compito della Commissione sia quello di trovare, come diceva l'ingegner Iannelli, una legge che non lasci le soluzioni al caso o all'intraprendenza di chi si trova ad affrontare queste situazioni il giorno dopo, una settimana dopo o un mese dopo, ma che proponga una soluzione costante.

  MINO TARICCO. Tutte le volte che da cittadini, più che da deputati, ragioniamo di beni culturali, da una parte, scatta nel nostro immaginario un meccanismo che ha che fare con la percezione di vivere in un contesto di straordinaria bellezza, con particolarità sparse sul territorio e non sempre eclatanti o importanti. Dall'altra parte, la sensazione è che, quando malauguratamente ci si deve confrontare con la necessità di intervenire su alcuni di questi beni sottoposti a tutela, ci si infila in un labirinto di complessità per certi versi estenuante. Se nell'ordinario ci si mettono due anni anziché sei mesi, ma ci si arriva, in situazioni particolari di emergenza la cosa si fa drammatica.
  A me pare che il Ministero abbia cominciato a organizzare una serie di questioni, come dicevate prima, partendo dal presupposto che il susseguirsi continuo di situazioni straordinarie crea una situazione di ordinaria straordinarietà. Da questo punto di vista, non si può trattare un evento come una tantum perché è un evento una tantum che si sussegue nel tempo in modo molto continuato. Credo che questo sia assolutamente positivo.
  Dal vostro punto di vista, al di là del coordinamento e del gioco di squadra con gli altri enti, che sono importanti, ci sono margini per deroghe in termini di velocizzazione delle procedure in situazioni di questo genere ? È un'ottima cosa volersi coordinare meglio e fare in modo che si decida tutti insieme per velocizzare le procedure ed è un passo in avanti, ma davanti a situazioni quali quelle che descriveva il collega Prataviera credete che esistano modalità di semplificazione nel merito ?
  Quando le circostanze straordinarie riguardano una casa che, pur essendo un bene storico, è abitata e magari nell'immediato occorrerebbe qualche intervento tampone, non si può fare nulla. Arrivano le sanzioni, le multe e via discorrendo.
  Ci piacerebbe capire se, dall'interno, ritenete che qualcosa potrebbe aiutare ad affrontare questo tipo di situazioni.

  UMBERTO D'OTTAVIO. L'impressione che si ha, parlando di gestione dell'emergenza in questo settore, è che, come dicevate Pag. 10anche voi, deve aumentare la consapevolezza del fatto che i beni culturali sono beni essenziali.
  Poche settimane fa c’è stato un dibattito parlamentare molto importante, che ha portato la fruizione dei beni culturali tra i beni essenziali. Mi riferisco alla vicenda del decreto-legge volto a regolare il diritto di sciopero nei musei a seguito delle note vicende che hanno interessato il Colosseo. La fruizione dei beni culturali è da oggi considerata alla pari della scuola, della sanità e di altri servizi essenziali.
  Si può mutuare il comportamento che si tiene in quei settori per aiutare la gestione dell'emergenza nel settore dei beni culturali ?

  PRESIDENTE. Do ora la parola ai nostri ospiti per la replica.

  CARLA DI FRANCESCO, dirigente generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Inizio proprio dalla questione del tornado in Veneto. In emergenza si deve tenere conto di una quantità di fattori, soprattutto quando si tratta di un disastro naturale, come un terremoto o un'alluvione, a campo molto diffuso.
  Bisogna tenere conto degli interlocutori, che non solo hanno visto i loro beni materiali distrutti o fortemente danneggiati, ma sono anche fortemente scossi, così come lo sono le loro famiglie. Nella mia esperienza, ci sono state anche visite in frazioni di piccoli centri dell'Emilia Romagna con campanili incombenti sulle case, dove, quando ci siamo presentati, siamo stati minacciati, quasi che l'evento terremoto fosse colpa nostra o la presenza del campanile colpa di chi lo deve tutelare. Tuttavia, essendo stati anche noi – io abito a Ferrara – fortemente colpiti dal terremoto, credo che di queste esigenze e problematiche riferite alla vita delle persone dobbiamo tenere conto.
  Questo mi pare sia un tema molto importante perché la percezione del bene culturale e del danno provocato dall'evento calamitoso è uno degli elementi essenziali che ci porta a colloquiare più o meno bene con i nostri interlocutori.
  Dal punto di vista legislativo, nel codice dei beni culturali esiste un articolo che dice con chiarezza che, laddove ci sia un'esigenza, il proprietario può intervenire senza autorizzazione, semplicemente mandando una comunicazione alla soprintendenza competente dell'intervento che intende fare. Parlo dell'articolo 27, quello che nel primo mese di emergenza in Emilia-Romagna abbiamo fatto utilizzare diffusamente. Il funzionario constatava l'effettivo pericolo e dava istruzioni al proprietario per intervenire ex articolo 27.
  Può succedere in caso di calamità, ma anche nei casi classici di edifici che, lasciati andare in abbandono, a un certo punto cominciano ad avere grossi problemi perché, per esempio, incombono sulla pubblica via. È un caso abbastanza classico. Il proprietario è allora autorizzato a compiere quel minimo intervento che noi chiamiamo di «somma urgenza» o messa in sicurezza.
  Se un edificio è scoperchiato, c’è bisogno di proteggere sia l'edificio sia chi può essere colpito, al di fuori del suo perimetro, dalla caduta di tegole, pezzi di cornicione, mattoni, finestre o altro. Il proprietario, in questo caso, può e deve intervenire con interventi minimi, che non cambiano sostanzialmente l'edificio, ma lo proteggono. Parliamo di sostegni minimi e teli che possano proteggere da future intemperie e nello stesso tempo consentano di entrare al piano terra, anche se non al piano superiore perché troppo fortemente colpito.
  Questo articolo consente l'utilizzabilità. Il proprietario è obbligato a inviare alla soprintendenza il progetto e il resoconto dell'intervento che ha fatto, ma solo successivamente. C’è però un punto che va tenuto presente nei casi di edifici fortemente danneggiati, cioè l'agibilità e la sicurezza. Se parliamo di casi di questo tipo, l'intervento certamente protegge il bene e può evitare problemi incombenti sulla pubblica via, ma non rende l'edificio agibile. Nel caso di un pubblico esercizio, se fossi il proprietario valuterei bene. Non riuscirei a essere sicura, se non dopo Pag. 11l'attestato ben chiaro di un tecnico, di poter utilizzare l'edificio per il famoso matrimonio.
  Se invece si tratta di piccoli interventi, come una riparazione di lesione, che non toccano la sostanza e l'agibilità, posso procedere dandone comunicazione, ma è necessario che la soprintendenza venga e faccia una constatazione. Io darei per scontato che nel caso del ristorante citato la soprintendenza sia andata, abbia visto e constatato il danno. Con poca manutenzione viene messo in funzione un ristorante, che in quel momento serve non solo per la conservazione del bene culturale, ma anche per ridare avvio all'attività.
  Un'azione che, secondo me, sarebbe estremamente utile in casi come questi è obbligare – ma forse è una riflessione più nostra – le soprintendenze e le nostre strutture ministeriali ad avere un nucleo fisso che si occupi degli interventi. Sappiamo tutti che i funzionari che si occupano della tutela hanno cinquanta comuni e una quantità di cose da fare. Nel momento in cui si verifica l'emergenza, però, quelli devono essere gli interlocutori, in modo tale che cittadini, enti e parroci abbiano solo quelli. La dispersione e la molteplicità delle figure può solo creare confusione.
  In un caso come quello, con un sito abbastanza piccolo di tre comuni, penso sia un obbligo dovuto. Nei casi dei nostri cinquantanove comuni colpiti, con quattro province, è stato molto più complesso. Nel nucleo che abbiamo istituito per il terremoto in Emilia-Romagna c'era un gruppo di funzionari fissi, assegnati come interlocutori per gruppi di comuni, più naturalmente i sovrintendenti e il direttore regionale. È stato complesso, ma ci siamo riusciti. Dovrebbe, tuttavia, essere un obbligo assicurare l'urgenza e la necessità di contatto continuo, anche per le piccole cose.
  Mi permetterei di suggerire una cosa che dicevo ieri al prefetto Carapezza. Nella immediatezza dei disastri capita che cittadini privati, società, enti e associazioni chiamino o scrivano offrendo aiuti economici finalizzati ai beni culturali. Per farla breve, io non sono riuscita ad accettare tali aiuti e li ho tutti dirottati verso la regione, che aveva un conto corrente aperto per le donazioni di qualunque tipo e con il quale ha stilato e già realizzato un piano speciale di interventi, dando priorità naturalmente alle scuole e alle attività sociali ritenute più importanti.
  È un peccato, perché chi voleva donare qualcosa ai beni culturali dal Ministero non ha avuto la risposta che si aspettava. È evidentemente un problema di bilancio, ma io non ho potuto aprire un conto corrente e neppure il segretariato, ampiamente consultato, mi ha saputo dare indicazioni su dove fare affluire neanche i pochi spiccioli, che però erano tanti, e le donazioni di associazioni che avevano fatto manifestazioni di beneficenza per un quadro, un comune o una chiesa. Non c’è la possibilità di aprire un conto.
  Secondo me, potrebbe essere una facilitazione e una opportunità che avvicinerebbe il cittadino all'azione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.

  PAOLO IANNELLI, responsabile dell'Ufficio sicurezza del patrimonio culturale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Vorrei aggiungere una cosa. Il problema è stato gestito ed è gestito, nel senso che le procedure già prevedono cosa fare per la verifica di agibilità e del danno. Ritorna invece il problema di cui parlavo prima e cioè il problema delle risorse, umane ed economiche.
  Per darvi l'idea, in Emilia-Romagna abbiamo avuto difficoltà a comporre la squadra di rilievo del danno perché era prevista la presenza di un vigile del fuoco e si sarebbe dovuto fare un accordo quadro per stabilire chi pagava. Il rilievo del danno è fondamentale, come diceva prima la direttrice. Ordinariamente, se non ci sono cose particolari, ognuno è capace di valutare, ma dove avviene un evento calamitoso non si ha la capacità e la cognizione di autodefinire sicura una struttura ed è evidente che si aspetta l'arrivo di un tecnico.Pag. 12
  Come deve essere composta la squadra, cosa deve fare e in che tempi è determinato a monte. Le procedure ci sono già. Con le nuove disposizioni di Protezione civile, per altro, è stato creato un nucleo tecnico di valutatori incaricato di valutare l'agibilità. Anche questo aiuterà perché sono risorse cui si attinge più rapidamente. Si affiancheranno ai nostri, ma i nostri comunque mancano. In base alle tempistiche che abbiamo sperimentato, nell'ultima direttiva del 2015 abbiamo previsto una valutazione cosiddetta «speditiva» per fare fronte a una criticità emersa durante il sisma dell'Emilia-Romagna. Le schede di rilievo del danno erano state ritenute in alcuni casi eccessivamente complicate e lunghe da compilare. Prendendo atto di quello che ci veniva comunicato e dell'esigenza di una tempistica diversa, nell'ultima direttiva è stata predisposta una scheda che si compila in meno di mezz'ora, semplicemente osservando lo stato delle cose.
  Siamo molto attenti a questo e, come ripeto, il più delle volte non mancano né gli strumenti né la consapevolezza di cosa fare. Mancano le persone. Il rilievo si effettua con una squadra composta da un certo numero di persone. Se ci sono dieci unità, in un giorno si fanno dieci rilievi. Se ce ne sono due, no.
  È solo un fatto di risorse.

  FABIO CARAPEZZA GUTTUSO, coordinatore dell'unità di crisi del coordinamento nazionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Vorrei rispondere sulla questione dei servizi essenziali. Da prefetto, vedo con molto favore questa riforma voluta dal Ministro Franceschini perché il primo nucleo di sicurezza, che poi si estende, è inevitabilmente il museo o l'area archeologica.
  Noi abbiamo previsto una pianificazione di emergenza che può riguardare un singolo bene. Per gli addetti alla vigilanza, ma anche per altre figure, devono essere previste limitazioni al diritto di manifestazione. Tale diritto deve continuare a essere libero, ma deve essere regolamentato in quanto stiamo ragionando sulla essenzialità dell'apporto economico dei beni a livello turistico.
  Quando parliamo del Colosseo, che ha 6 milioni di visitatori, o di Pompei, il traino è talmente importante che all'interno della commissione di difesa civile stiamo ragionando sull'inserimento dei beni culturali più importanti tra quelli di rilievo strategico per il nostro Paese.
  Io ritengo che sia molto importante sia ai fini di un migliore utilizzo sia ai fini della sicurezza.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri interlocutori e dichiaro la mia soddisfazione per avere sentito persone che hanno una competenza di grande qualità, persone di cui il Paese può andare orgoglioso.
  Noi siamo impegnati in un'operazione molto complicata, cioè trovare un punto di equilibrio tra diverse e contrapposte esigenze. Ci siamo imbarcati in questa avventura sulla scorta di vicende che sono state prima ricordate dall'onorevole Prataviera e speriamo di riuscire a dare un contributo utile ai diversi soggetti che sono in campo.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.20.