XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 34 di Martedì 24 ottobre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 2 

Deliberazione di una proroga del termine:
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SALUTE PSICOFISICA DEI MINORI

Audizione di rappresentanti dell'associazione «Aiutiamo le Famiglie» (A. le F.) Associazione europea per la tutela dei diritti delle famiglie e della rappresentante della campagna nazionale «Nidi violati».
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 2 
Della Pina Antonella , rappresentante della campagna nazionale «Nidi violati» ... 2 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 4 
Boschi Stefano , psicoterapeuta, ricercatore in psicoterapia breve integrata e psicosomatica, rappresentante dell'associazione «Aiutiamo le Famiglie» (A. le F.) ... 4 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 8 
Lupo Loredana (M5S)  ... 9 
Boschi Stefano , psicoterapeuta, ricercatore in psicoterapia breve integrata e psicosomatica, rappresentante dell'associazione «Aiutiamo le Famiglie» (A. le F.) ... 9 
Lupo Loredana (M5S)  ... 10 
Boschi Stefano , psicoterapeuta, ricercatore in psicoterapia breve integrata e psicosomatica, rappresentante dell'associazione «Aiutiamo le Famiglie» (A. le F.) ... 10 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 10 
Della Pina Antonella , rappresentante della campagna nazionale «Nidi violati» ... 11 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 11 
Boschi Stefano , psicoterapeuta, ricercatore in psicoterapia breve integrata e psicosomatica, rappresentante dell'associazione «Aiutiamo le Famiglie» (A. le F.) ... 11 
Della Pina Antonella , rappresentante della campagna nazionale «Nidi violati» ... 13 
Prina Francesco (PD)  ... 13 
Della Pina Antonella , rappresentante della campagna nazionale «Nidi violati» ... 13 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 13 
Romanini Giuseppe (PD)  ... 13 
Della Pina Antonella , rappresentante della campagna nazionale «Nidi violati» ... 14 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 14 

ALLEGATO: Documentazione presentata dal dottor Boschi ... 15

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE
ROSETTA ENZA BLUNDO

  La seduta comincia alle 13.55.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Deliberazione di una proroga del termine.

  PRESIDENTE. Comunico che è stata acquisita la previa intesa con la Presidente della Camera e con il Presidente del Senato, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento della Camera, in merito alla proroga del termine dell'indagine conoscitiva in questione sulla tutela della salute psicofisica dei minori, che proroga il termine al 31 dicembre 2017.

Audizione di rappresentanti dell'associazione «Aiutiamo le Famiglie» (A. le F.) Associazione europea per la tutela dei diritti delle famiglie e della rappresentante della campagna nazionale «Nidi violati».

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla tutela della salute psicofisica dei minori, l'audizione di rappresentanti di alcune associazioni.
  Sono presenti: l'associazione europea per la tutela dei diritti delle famiglie «Aiutiamo le famiglie», con il presidente, il dottor Massimo Rosselli Del Turco, e il dottor Stefano Boschi, psicoterapeuta e ricercatore in psicoterapia breve e integrata e psicosomatica; la dottoressa Antonella Della Pina, che rappresenta la campagna nazionale «Nidi violati», promossa dall'associazione di promozione sociale Intesa San Martino.
  Comunico, invece, che non abbiamo presente la dottoressa Barbara Camilli, che avrebbe dovuto partecipare anche lei all'odierna audizione per l'associazione «Psicologia utile». A causa di gravi problemi familiari, oggi purtroppo non ha potuto raggiungerci; ha comunque mandato a tutti noi un contributo scritto, che è stato appena consegnato ai presenti e di cui darò lettura nel corso della seduta.
  Do la parola alla dottoressa Antonella Della Pina, rappresentante della campagna nazionale «Nidi violati», promossa dall'associazione «Intesa San Martino», per lo svolgimento della sua relazione.

  ANTONELLA DELLA PINA, rappresentante della campagna nazionale «Nidi violati». Ringrazio la presidenza, i senatori e gli onorevoli presenti per aver organizzato questo momento di confronto sulla salute psicofisica dei minori.
  Come associazione «Intesa San Martino» condividiamo il programma da voi ricevuto, soprattutto il passaggio che afferma quanto sia importante mantenere i figli nella propria famiglia di origine come forma di tutela della salute mentale.
  L'audizione in qualità di promotrice della campagna nazionale «Nidi violati» mi consente di dare voce alle problematiche di Pag. 3salute psicofisica vissute dai minori a seguito dell'allontanamento coatto dal proprio nido naturale in assenza di prove e rivelatosi ingiusto.
  Negli ultimi anni, in rete con altre associazioni, ci siamo interessati agli allontanamenti sui minori agiti applicando l'articolo 403 del codice civile, mossi da segnalazioni all'interforze contro genitori accusati di molestie, maltrattamenti, abusi e incapacità genitoriale, per i quali, però, dopo anni e decenni si accerta la totale innocenza. Archiviazioni o assoluzioni decretano che il fatto non sussiste, che non esistono elementi probatori e l'infondatezza della notizia di reato. Mi riferisco ai cosiddetti «falsi» di cui non si parla, di cui non abbiamo traccia; bambini che entrano nel bussolotto dell'affido e della tutela in assenza di prove, vite umane costrette all'istituzionalizzazione coatta.
  I dati Istat dei bambini collocati fuori famiglia non sono aggiornati, risalgono al 2012. C'è qualche informazione dell'Autorità garante dell'infanzia del 2014. Sono dati censiti anche dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Dipartimento della giustizia minorile, ma non sono mai stati estrapolati i falsi, mettendo a confronto quanti genitori accusati sono risultati innocenti e, quindi, quanti figli sono stati allontanati dal proprio nido ingiustamente.
  Stiamo chiedendo una sovrastruttura che aggiorni i dati numerici dei figli allontanati, non solo in entrata, ma anche in uscita, a partire almeno dal 2000, poiché i procedimenti durano molti anni o decenni. Ci sono bambini collocati in comunità o in strutture protette sulla base di valutazioni soggettive fatte da burocrati rivelatesi poi false. Crediamo che sapere quanti sono sia un dovere di tutti.
  Per essere accettabile e affidabile, il sistema di monitoraggio deve prevedere la conoscenza dei numeri di casi accertati come falsi. La vera prevenzione al danno esistenziale alla salute psicofisica dei bambini che questa Commissione intende contrastare parte anche da qui, dato che si fa riferimento a migliaia di bambini o a soggetti ormai adulti ingiustamente allontanati quando erano bambini.
  I momenti drammatici descritti dalle persone che hanno subìto l'allontanamento coatto ingiusto in età minorile si focalizzano su alcuni punti: il dramma del momento dell'allontanamento, di cui a volte abbiamo visto alcuni passaggi in televisione, perché ormai coi cellulari i genitori filmano; il trasporto e l'abbandono del bambino in un ambiente sconosciuto con persone sconosciute; giorni, settimane, mesi e anni senza vedere i propri genitori né i propri cari; il vivere in una sorta di 41-bis, con visite dei familiari protette in ambiente neutro; il timore di conoscere e incontrare figure autoritarie, come l'assistente sociale, il carabiniere o la persona in divisa che ti porta via, il giudice, l'avvocato, che in genere porta queste persone a un silenzio assordante, testimone della paura, della vergogna, del dolore e della mancanza di fiducia nello Stato.
  Lascio alla vostra sensibilità la libertà di declinare la sofferenza di questi bambini per potermi concentrare su una richiesta doverosa, certa di interpretare la volontà di migliaia di cittadini. La richiesta non è solo umana, ma è anche politica. È rivolta a voi, rappresentanti del popolo e legislatori, perché troviate la forma più giusta, rapida ed efficace per aiutare economicamente tutti coloro che hanno subìto questi danni in età minorile e i loro genitori, persone deprivate degli affetti.
  La formula risarcitoria deve considerare anche i danni che nell'immediatezza non si palesano, perché sono latenti, ma che a distanza di anni e decenni riemergono inficiando la qualità della vita di queste persone. Il percorso risarcitorio va costruito ex novo, deve essere in grado di considerare i postumi delle ingiustizie subite e non deve essere giudiziale.
  Le famiglie non riescono a richiedere i danni, poiché vincolate dalle leggi della prescrizione e da tempi troppo stretti; non riescono ad accedere ad atti amministrativi, spesso addirittura secretati. Per chiedere giustizia sarebbero obbligati a subire il trauma di altri processi, spese su spese, dopo che per riuscire a riportare a casa i Pag. 4figli sono stati costretti a costi che non consentono altro margine.
  Il lavoro non può finire qui. Una volta rilevati i casi di falsi a partire almeno dal 2000, pensiamo che, anche alla luce di ciò che emergerà dalle analisi, si debba procedere a sanare la giustizia minorile. Da anni le associazioni in rete stanno osservando e leggendo anche atti che dimostrano alcune criticità nel sistema. Ho partecipato e organizzato convegni, presentazioni di libri e così via, a partire da Trento sino a Napoli e vi posso confermare che alcuni marcatori sono gli stessi. Sono certa che questa Commissione ne è già venuta a conoscenza.
  La segnalazione di sospetti maltrattamenti e abusi sui minori alle interforze è un dovere di tutti, ma le agenzie sociosanitarie ed educative di questo Paese spesso vanno oltre, fanno investigazioni, validano dichiarazioni, somministrano test ai minori, per confermare i comportamenti dell'indagato ritenuti probatori sulla base di osservazioni di natura soggettiva, cioè in assenza di prove. Ciò che scrive lo psicologo viene considerato probatorio, perché il professionista dipende dal Ministero della giustizia. Riteniamo che vada ricollocato in ambito sociale.
  Sempre più psicologi avvicinano i nostri figli nelle agenzie socio-educative a scuola, anche in assenza di consenso informato, che non è reso obbligatorio dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Sempre più psicologi scrivono come se fossero giudici e sempre più giudici agiscono come se fossero degli psicoterapeuti. Questa è un'anomalia.
  Lo psicologo e l'assistente sociale vanno riportati nell'alveo dei servizi alla persona e non devono poter fare investigazioni e indagini indirette sui minori e la famiglia.
  Sappiamo di agenzie educative, cliniche e socio-assistenziali che organizzano corsi per individuare comportamenti criminogeni, basati sull'osservazione. Questo può diventare pericoloso, perché queste persone non sono sufficientemente attrezzate a trattare il tema.
  Va abrogato e riformulato l'articolo 403 agito autonomamente dal servizio sociale anche in assenza di prove, per impedire allontanamenti coatti ingiusti.
  Riteniamo che la mancanza di dati relativi ai minori allontanati ingiustamente sia una criticità di tutto il sistema il quale, così come opera, può creare ingiustizie tali da indurre i cittadini a chiedere ai governi la chiusura del tribunale dei minori, sostituito dal tribunale della persona.
  Chiudo il mio intervento con la lettura di una poesia, «Gabbia d'oro», presa dal libro «Nidi violati», che poi, se posso, voglio consegnare. È scritta da una mamma, da una signora che ha subìto da piccola due allontanamenti coatti ingiusti.
  «Gabbia d'oro. Libero gioco sereno nel giardino di fronte a casa. Nella tua cameretta colorata d'amore dormi tranquillo. Dalle coccole ti fai cullare e di baci ti fai mangiare, finché verrà a prenderti la bugia e ti porterà via... in una gabbia d'oro ti rinchiuderà. Conoscerai il buio del tempo, non troverai calore ma dolore, tutto si colorerà di grigio. Nel tuo cuore un fendente ti affligge. Perderai la fiducia nell'uomo e proverai un male mai avuto. A lungo ti sentirai solo, impotente nelle parole che dirai. Tutto cambierà nel tuo cuore, che morirà di tristezza. La tua casa adesso non c'è più, solo la speranza ti aiuterà affinché ritrovi il calore perduto, ma la gabbia d'oro sarà il tuo tormento per sempre».

  PRESIDENTE. Grazie per questa relazione molto sentita e che noi apprezziamo, anche perché la Commissione si sta occupando ormai da quasi due anni dei problemi di queste persone di età minore che sono state allontanate dalla famiglia, oltre che dello stato di salute psicofisico dei minori.
  Do la parola al dottor Stefano Boschi, psicoterapeuta e ricercatore in psicoterapia breve integrata e psicosomatica, rappresentante dell'Associazione europea per la tutela dei diritti della famiglia «Aiutiamo le famiglie», per lo svolgimento della sua relazione.

  STEFANO BOSCHI, psicoterapeuta, ricercatore in psicoterapia breve integrata e Pag. 5psicosomatica, rappresentante dell'associazione «Aiutiamo le Famiglie» (A. le F.). Ringrazio anch'io questa Commissione per l'opportunità di presentare la mia relazione «Le radici educative della patologia», titolo che ci introduce all'argomento: i presunti legami fra un processo fondante nella nostra società come l'educazione e un processo negativo e devastante come la patogenesi, ossia il processo che porta all'emersione delle varie patologie nei tre fondamentali macro-ambiti: psicologico, somatico e relazionale-comportamentale. Anche se qui abbiamo un focus particolare sulla salute mentale, in realtà, secondo le mie ricerche e non solo, le radici della patologia in tutti gli ambiti della clinica sono le stesse.
  Vorrei iniziare con una brevissima carrellata epidemiologica che ci illustra alcuni semplici dati che risultano dagli atti del congresso tenutosi a Vienna, il XXIII congresso dell'Associazione europea di psichiatria (EPA).
  Gli europei affetti da una forma di disturbo psichico sono 164 milioni, che equivalgono al 38,2 per cento della popolazione. L'impatto economico stimato è 798 miliardi di euro. L'impatto dei disturbi mentali sulla disabilità è del 26,6 per cento. Per quanto riguarda la situazione in Italia, ne sono affetti circa 17 milioni di soggetti.
  Quel che è peggio, a parte questa istantanea, è la prospettiva, ossia il trend o la tendenza secolare. Secondo le previsioni, nel 2030 le patologie psichiatriche saranno le malattie più frequenti a livello mondiale.
  Se vogliamo dare uno sguardo alla situazione degli adolescenti o dei soggetti in età evolutiva in particolare, vediamo che dal 4 al 20 per cento delle femmine in adolescenza presenta schemi alimentari anomali e il 17 per cento degli adolescenti maschi e femmine presentano criteri per un disturbo di personalità. Vediamo che la situazione non è solo drammatica attualmente, ma lo è ancora di più in una prospettiva futura.
  La domanda doverosa a questo punto è: quali sono i fattori, sia quelli scatenanti sia soprattutto quelli strutturali, che portano alla situazione attuale e, quel che è peggio, alla prospettiva futura?
  Faccio una battuta, forse fuori luogo vista la tragicità: basterebbe girare il cartello dell'ospedale psichiatrico e faremmo prima. Purtroppo, non fa molto ridere, perché questa non è una situazione comica, ma è una situazione drammatica.
  Ponendoci queste domande, dobbiamo prima di tutto pensare a un possibile punto di accesso nel problema. Quando si parla di patogenesi, ossia del processo che porta allo sviluppo delle varie patologie nei vari ambiti, dobbiamo pensare a un processo che è multi-stratificato: possiamo partire da una prospettiva storica o sociale, da una prospettiva relazionale o individuale.
  Quello che mi preme sottolineare qui è che è importante individuare il punto di entrata, in modo tale che, in questo ambito soprattutto, le istituzioni possano cominciare a sviluppare dei percorsi e dei programmi di intervento per poter modificare la situazione.
  Pensiamo alla società come a una pianta. Non bisogna essere necessariamente giardinieri per capire questa metafora. Se una pianta ha le radici sane, sarà una pianta sana, che crescerà sana e forte; se le radici della pianta sono malate, la pianta di conseguenza non potrà crescere sana e forte, ma sarà una pianta malata.
  Qual è il senso di questa metafora? I soggetti in età evolutiva, i nostri figli, i bambini, i fanciulli, i ragazzi sono la radice della nostra società. Quali sono i giardinieri che dovrebbero prendersene cura? Sono gli enti e gli agenti del processo educativo. Parliamo di famiglia e scuola, di genitori e di insegnanti.
  Se vogliamo vedere questo come punto di entrata nel problema, dobbiamo allora chiederci quali sono le possibili falle nel processo educativo tali per cui questi giardinieri, pur con tutta la buona volontà che possono metterci, alla fine non riescono a coltivare in maniera appropriata questa pianta, non riuscendo a far sì che le radici siano sane. Di conseguenza, ci ritroviamo in una società malata, che peraltro lo diventa sempre più. Pag. 6
  Non è soltanto un problema di salute pubblica, ma di tipo economico, che si riverbera su tutti i piani di analisi che noi possiamo sviluppare, quindi coinvolge tutta l'organizzazione di uno Stato. Di fronte a un quarto della popolazione malata, io mi chiedo come farà lo Stato a gestire questa situazione, senza arrivare al 2030 o forse andando anche oltre.
  Il problema che si pone non riguarda soltanto i soggetti in età evolutiva e credo che non riguardi soltanto – mi si corregga se sbaglio – la Commissione infanzia e adolescenza. Riguarda proprio un assetto di governo, che si voglia proporre con delle finalità di efficacia e dei criteri di efficienza.
  Le opinioni possono essere discordanti e varie. Quello che io ritengo personalmente è che il punto di entrata più facile e più conveniente può essere identificato nell'educazione. Torniamo quindi alla domanda di prima: quali sono i fattori strutturali che sul piano educativo fanno sì che ci sia una società sempre più malata?
  Per rispondere a questa fondamentale domanda dobbiamo tornare indietro nella storia, fino a ritrovare le tracce di uno scienziato che, seppur lavorando nella fisiologia della digestione, diede un contributo che si è rivelato fondamentale su altri piani. Parlo di Pavlov, che portò avanti una serie di esperimenti che in seguito sono stati chiamati «nevrosi sperimentali indotte».
  Che cosa faceva? Ve lo spiego brevemente. Pavlov lavorava sui cani, i famosi cani di Pavlov. Prendeva un cane, che veniva sottoposto a un compito di discriminazione percettiva. Ad esempio, gli si mostrava la figura di un cerchio e la figura di una ellisse. Il cane veniva addestrato a premere con la zampa la leva in corrispondenza del cerchio e non in corrispondenza dell'ellisse, perché in corrispondenza del cerchio otteneva il cibo, mentre in corrispondenza dell'ellisse prendeva una scossa elettrica. Visto che il cane voleva il cibo e non voleva la scossa elettrica, come possiamo ben immaginare, imparava.
  Quando aveva imparato, lo sperimentatore, un po’ cattivello, cominciava a confondere gli stimoli, ossia cominciava ad allargare progressivamente il cerchio e a restringere progressivamente l'ellisse, finché il cane si trovava in una condizione di confusione e non sapeva più cosa fare.
  Io considero questa situazione in cui il cane si veniva a trovare, che è stata chiamata «nevrosi sperimentale indotta» come un conflitto motivazionale. Praticamente il cane non sapeva più cosa fare. Sentiva l'impulso a premere la leva e contemporaneamente l'impulso a trattenersi dal premere la leva: premere la leva per ottenere il cibo, non premerla per evitare la scossa elettrica.
  In tale situazione, il cane cominciava a presentare una fenomenologia sintomatica molto simile a quella degli umani che sono affetti dai vari disturbi psicologici e dalle varie malattie somatiche. Si osservavano turbe emotive, quali dilatazione pupillare, accelerazione del ritmo cardiaco e respiratorio, tremore, agitazione, segnali d'ansia, insonnia e ipersonnia, atteggiamento di prostrazione e reazioni fobiche. Aveva comportamenti relazionali disfunzionali nel rapporto con gli altri animali e con lo sperimentatore, come tendenze a isolarsi e diminuzione del comportamento sessuale. Si osservavano anche turbe comportamentali, come alterazioni del comportamento alimentare e ritualismi ossessivi, o alterazioni dei processi viscerali legati al conflitto tra eccitazione e inibizione a livello del sistema nervoso autonomo. Un fenomeno simile a quello delle malattie psicosomatiche.
  Perché dico questo? Noi non siamo cani e non siamo sottoposti a compiti di discriminazione percettiva, per lo meno non come i cani di Pavlov. Se prendiamo questo principio, che possiamo chiamare «conflitto motivazionale», che cosa c'entra con l'educazione? Purtroppo c'entra, perché quello che fa l'educazione è installare un sistema di valori che possiamo definire culturali. Qui abbiamo i principali: i valori economici, come il lavoro, il profitto, la carriera, il potere; i valori sociali, ad esempio il senso del dovere, l'altruismo, la partecipazione, la condivisione, l'integrazione; i valori religiosi, che affondano nelle radici ebraico-cristiane, ad esempio la virtù, la Pag. 7rinunzia e l'espiazione; i valori scientifici, ad esempio la conoscenza, la ricerca, la tecnologia; i valori artistici, come la bellezza e l'espressività estetica; i valori politici eccetera. Non sto a elencarli tutti.
  I valori che possiamo definire culturali entrano inevitabilmente e automaticamente in rotta di collisione con quelli che possiamo definire valori naturali. I valori naturali sono quelli legati alla condizione di benessere profonda e globale in cui l'essere umano nasce e che dimenticherà molto presto per via dei traumi di natura relazionale e per via di questi valori culturali.
  Il problema non sono i valori culturali e non sono nemmeno, come possiamo immaginare, i valori naturali. Il problema nasce dal fatto che i valori si strutturano in termini di gerarchia. La gerarchia cos'è? È qualcosa che somiglia al modo in cui è organizzato l'esercito, dove c'è un generale che comanda tutti i suoi sottoposti e c'è un soldato semplice che prende ordini da tutti. Se noi mettiamo il soldato semplice a comandare l'esercito, cosa succede in caso di emergenza? Succede un disastro, perché in teoria e anche in pratica ci dovrebbe essere un generale che dà ordini, che vengono recepiti dal colonnello e passano in via gerarchica.
  Quello che succede è che i valori naturali sono ovviamente più potenti di quelli culturali. Nel momento in cui io, per via degli input educativi che ho ricevuto, comincio a cercare di conformarmi ai valori culturali, mi trovo come a nuotare controcorrente in un fiume. Chi vincerà la gara? È una domanda retorica, perché ovviamente la vincerà il fiume, non la vincerò io, soprattutto se è un fiume come il Rio delle Amazzoni.
  Il problema non è tanto l'accostamento di due valori che sono di matrice diversa, il problema è come vengono organizzati. La nostra educazione cerca di porre in cima a tutto i valori culturali, il che produce un numero imprecisato di conflitti. La nostra è una società che vive e prospera, per modo di dire, sui conflitti.
  Questo fatto andrebbe corretto, perché in una situazione di conflitto motivazionale come quella dei cani di Pavlov si viene a trovare anche l'essere umano, preso nel dilemma, in termini linguistici, fra dovere e volere. Oltretutto, quello che ci insegnano è «prima il dovere e poi il piacere», nonché «l'erba voglio non cresce nemmeno nel giardino del re», per cui il verbo «dovere» finisce per surclassare completamente il verbo «volere». Questi sono i due verbi che si possono definire motivazionali.
  Questa situazione ci pone nelle stesse condizioni del cane di Pavlov, che non sa più cosa fare, presi nel dilemma – lo ripeto – in termini linguistici fra volere e dovere, da cui nascono i modi di dire citati sopra.
  A questo punto ci ritroviamo a sviluppare – questa è un'ipotesi – la stessa fenomenologia sintomatica che i cani di Pavlov si trovavano a sviluppare nel momento in cui non riuscivano più a distinguere fra il cerchio e l'ellisse.
  Ci sono altri studiosi che hanno messo in atto dei modelli sperimentali decenni dopo Pavlov, come Henri Laborit e Martin Seligman. Tutti vanno a toccare quello che possiamo chiamare «il sistema motivazionale-comportamentale», che dà come risultato in tutti i disegni e modelli sperimentali la comparsa di una fenomenologia sintomatica molto simile alla nostra.
  Abbiamo da imparare dai cani di Pavlov, dai topi di Laborit, dai cani di Seligman? Probabilmente sì, perché hanno un sistema nervoso molto simile al nostro. L'unica fondamentale differenza è che c'è uno sviluppo inferiore della massa della corteccia cerebrale, ma sostanzialmente hanno un sistema di regolazione molto simile al nostro.
  Tutto lascia pensare che alla base della patologia in tutti i suoi ambiti di manifestazione vi sia quello che possiamo chiamare un «conflitto motivazionale», che ha le sue radici nell'educazione.
  Cosa succede nella scuola? Abbiamo gli strumenti didattici oggi utilizzati che vanno per la maggiore. Eccone alcuni: relazioni di natura autoritaria, fare le cose seriamente mossi dal senso del dovere, sforzarsi di fare qualcosa che non si ha voglia di fare eccetera (non li sto a leggere tutti) versus relazioni di natura empatica, fare le cose per gioco o mossi dalla curiosità, divertirsi nel Pag. 8fare qualcosa che si ha voglia di fare, passare dal complesso al semplice, dal senso reale all'astratto, dal pratico alla teoria, dall'azione alla rappresentazione.
  In pratica, la scuola di oggi cosa fa? Utilizza in maniera inflattiva tutti quegli strumenti che fanno riferimento o afferiscono alle funzioni dell'emisfero sinistro, mentre va a disincentivare o a utilizzare in maniera veramente accessoria, purtroppo, tutti quegli strumenti didattici che fanno riferimento alle funzioni dell'emisfero destro.
  Qual è il problema? Il problema è che la motivazione – ecco di nuovo comparire il sistema motivazionale-comportamentale – ha funzionalmente sede nell'emisfero destro, quindi sarebbe un po’ come portare il cavallo all'acqua, ma non riuscire a farlo bere.
  Qui abbiamo due illustri insegnanti che forse ci possono confermare questa mia tesi. Uno dei problemi fondamentali della scuola di oggi risiede nella mancanza di motivazione degli alunni. Io lavoro con gli insegnanti e ho tre corsi attualmente che sto portando avanti con loro. Tutti sono concordi nell'affermare che la mancanza di motivazione rappresenta un problema di natura centrale nella scuola di oggi. Qui abbiamo una possibile ipotesi e forse più che un'ipotesi, quasi una certezza.
  Cosa si dovrebbe fare in pratica? Torniamo ai due enti e ai due agenti dell'educazione, ovvero scuola e famiglia, genitori e insegnanti. Dopo aver fatto questa breve analisi molto stringata – me ne rendo conto, ma il tempo a mia disposizione è limitato – dopo aver fatto questa sorta di «diagnosi», dovremmo necessariamente passare alla terapia, perché la diagnosi deve essere necessariamente funzionale alla terapia, altrimenti è qualcosa di deontologicamente scorretto.
  Che cosa si propone come terapia? Assieme al dottor Massimo Rosselli Del Turco abbiamo elaborato due metodi gemelli: uno, Active education, si rivolge alla famiglia; l'altro, Active learning, si rivolge alla scuola. Sono fondati proprio su un principio di corretta gestione motivazionale, quindi fanno riferimento anch'essi al sistema motivazionale comportamentale, però con l'intento di porre rimedio alla situazione sociale.
  Tornando alla metafora dei giardinieri da cui ho iniziato, in pratica è necessario educare gli educatori a educare. Questo può essere l'aforisma che riassume la mia relazione.
  Questi due metodi gemelli sono peraltro ispiratori di un progetto di legge che stiamo portando avanti assieme alla vicepresidente di questa Commissione, la senatrice Enza Blundo, proprio per cercare di dare un incentivo ai fattori facilitanti un'evoluzione sociale corretta, che tenga in considerazione soprattutto il fatto che l'individuo nasce con una grande risorsa, che è quella del benessere.
  Se noi ignoriamo questa fondamentale risorsa e il fatto che per tutta la nostra vita, anche se non ce ne rendiamo minimamente conto, non faremo altro che tentare di recuperare questa naturale condizione di benessere che la natura ci ha dato come risorsa fondamentale, quello a cui andiamo incontro è una prospettiva di disturbi e di malattie in senso lato, che si riversano su tutti i livelli del sociale, su tutti i livelli e le funzioni della famiglia e su tutte le funzioni dell'individuo. Infatti, parliamo di qualcosa di fondante, di qualcosa di essenziale per l'essere umano.
  Vi ringrazio di nuovo per l'attenzione che mi è stata concessa.

  PRESIDENTE. Possiamo ora leggere il contributo che ci è stato inviato dalla dottoressa Camilli.
  «Dispiaciuta di non essere presente a causa di gravi problemi familiari, ringrazio la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza per questa audizione di cui, insieme a una nota scritta, invio anche un video». Colleghi, vi faremo avere il video, perché in questo momento non si può proiettare, visto che ha una lunghezza superiore al tempo disponibile.
  «Il video racconta di una storia trattata all'interno del setting clinico presso il mio studio. I disegni sono stati realizzati da un bambino che si trova a vivere la contesa tra mamma e papà che sono in uno stato di conflitto. Pur amando entrambi il loro figlio, fanno molta fatica a comunicare. Si Pag. 9sono rivolti a me per riuscire a stabilire un punto di incontro, al fine di dare al proprio figlio ciò di cui ha realmente bisogno in termini di amore e ascolto».
  «Durante il percorso di sostegno ho aiutato il piccolo di otto anni a esprimere le sue necessità. Queste sono ben illustrate nei disegni, dove si può vedere: la famiglia reale, con lui posto da collante tra mamma e papà; la famiglia ideale dove lui viene protetto dai genitori, ed in particolare dal papà. Essendo Nicolò un maschio, ha una necessità maggiore di rapporto con il genitore omologo, fondamentale e insostituibile ai fini della crescita psicologica ed emotiva».
  «In quanto ricercatrice dalla comprovata esperienza clinica e nella ricerca-azione, ho potuto constatare che l'assenza o la deprivazione prolungata del genitore crea stati di deprivazione incolmabile, con disagi fisici o disturbi dell'umore o della personalità, di grado diverso a seconda della storia e del tipo di deprivazione (lutto, allontanamento o allontanamento forzato)».
  «Il video termina con la soluzione di Nicolò nel dottor Coccolite, uno scienziato in grado di elaborare tutti i sentimenti negativi che imperano in famiglia in un abbraccio. Con questo video ho voluto mostrare e dare espressione ai reali bisogni dell'essere umano, dove l'amore è il primo, ma non ciò che io penso vada bene per l'altro quanto l'ascolto vero e attivo (Carl Rogers, Istituto dell'approccio centrato sulla persona), che mi porta a dare alla persona che chiede ciò di cui ha realmente bisogno, quindi non ciò che credo ma ciò che è».
  «Nelle situazioni di disagio familiare e incompatibilità coniugale, l'allontanamento forzato non è la soluzione che va bene al minore, salvo situazioni in cui ci sia un pericolo per la sua incolumità fisica, psichica ed emotiva. La famiglia, a ogni livello di sofferenza, va assistita, sostenuta e seguita da apposite strutture e professionisti. Un figlio cercherà sempre la sua famiglia; nostro compito è aiutarla».
  «Françoise Dolto, nota psicanalista francese, nelle situazioni di disagio della coppia consigliava agli stessi di alternarsi nella casa coniugale, mantenendo il figlio nella sua condizione di normalità, in modo da garantire continuità, stabilità, sicurezza».
  «Ricordo che tra i bisogni fondamentali e insostituibili dell'essere umano ci sono il bisogno di sicurezza, il bisogno di varietà, il bisogno di amore, il bisogno di importanza. Se non soddisfatti in maniera sana e opportuna, i danni sono certo a carico del corpo (somatizzazioni della mente, disturbi dell'attenzione e della memoria, scarsa concentrazione) ed emotivi (disturbi dell'umore e della personalità).
  Ringrazio per l'attenzione e resto a disposizione per chiarimenti e per sviluppare gruppi di lavoro operativi secondo le metodologie del corpo-anima-mente».
  Ringraziamo per questo contributo la dottoressa Camilli, psicologa ricercatrice, presidente dell'associazione Psicologia utile e ideatrice del programma CAM (corpo anima mente), Nutriziopoli-Salute-GustaMi.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  LOREDANA LUPO. Ringrazio gli auditi per le informazioni che ci hanno fornito. Quando lei fa riferimento a dei modelli che andrebbero adoperati, c'è un modello in particolare, ad esempio a livello europeo, al quale ci dovremmo ispirare per modificare lo strumento educativo, che, da quanto si vede, non è dei migliori?

  STEFANO BOSCHI, psicoterapeuta, ricercatore in psicoterapia breve integrata e psicosomatica, rappresentante dell'associazione «Aiutiamo le Famiglie» (A. le F.). Ci sono tanti contributi nella psicopedagogia. Quello che abbiamo fatto insieme al dottor Rosselli Del Turco è stata una sintesi per produrre una sinergia, perché un conto è mettere assieme in maniera giustapposta e un altro conto è l'integrazione.
  Quello che abbiamo voluto fare, con un lavoro di ricerca che è durato un paio d'anni, è stato cercare di dare una cornice unitaria, integrando tutti i vari contributi, quindi questi due lavori (sull'educazione e sull'apprendimento), che corrispondono a due testi, sono il risultato dell'impegno in questa direzione e direi che, per quello che Pag. 10possiamo capire, sono, anche se forse non dovrei dirlo io, all'avanguardia, anche nella didattica, dove appunto li sto già mettendo in atto con tre gruppi di insegnanti con ottimi risultati.
  Non so se ho risposto alla sua domanda.

  LOREDANA LUPO. Faccio una precisazione aggiuntiva. Al di là di del fatto che questo modello sicuramente sarà innovativo per quanto riguarda il Paese Italia, esistono delle realtà magari non perfettibili e già applicate in altri luoghi, alle quali potremmo anche ispirare un lavoro di natura legislativa efficiente e rapido da incrementare nel momento in cui avremo un modello italiano anche migliore rispetto a quello già presente?

  STEFANO BOSCHI, psicoterapeuta, ricercatore in psicoterapia breve integrata e psicosomatica, rappresentante dell'associazione «Aiutiamo le Famiglie» (A. le F.). La sua domanda si pone ancora più nei dettagli.
  Il modello più diffuso di cui io sia a conoscenza è quello di Gordon «Genitori efficaci», che ha letteralmente spopolato negli Stati Uniti, però è un modello datato agli anni Settanta. Si tratta di un modello perfezionato di cui si è tenuto conto e che rientra, come fattore di integrazione, all'interno dei nostri due lavori, che rappresentano già due modelli, uno educativo e uno didattico.

  PRESIDENTE. Se nessun altro ha domande da fare, vi rivolgo io alcune domande.
  Intanto, ringrazio anch'io i relatori auditi, che ci hanno illustrato in maniera molto efficace e attenta la condizione della salute dei minori dal punto di vista psicofisico.
  Sotto quest'aspetto, avrei due richieste di precisazione. Chiedo intanto al dottor Boschi se, in particolare, gli interventi fatti in urgenza e messi in atto utilizzando l'articolo 403 del codice civile potrebbero aggravare il danneggiamento dal punto di vista della reazione che vivono i bambini sottratti. Come si diceva prima e – poi arrivo anche all'altra domanda – anche lei in parte ha detto, evidentemente ci sono delle ripercussioni per la sottrazione dei minori dal proprio nucleo, dal proprio ambiente e dal proprio vissuto, che, fino a quel momento quei minori hanno avuto.
  Le chiedo se l'azione di intervento in urgenza potrebbe cerare dei problemi ulteriori e che tipo di conseguenze potrebbero esserci anche dal punto di vista educativo-pedagogico per il percorso del bambino all'interno della scuola.
  In riferimento a quanto chiedeva anche la collega, preciso che, seppure non ci sia una realtà specifica per applicare in pieno la proposta che si sta elaborando, questa è sicuramente tratta da una serie di buone prassi fatte a vari livelli in più scuole, quindi si è trattato di raccogliere tutte le buone prassi interne alle scuole.
  Le pongo la domanda perché credo che, a mio avviso, nessun buon metodo educativo-pedagogico per fornire un ambiente accogliente e rispondente ai bisogni dei bambini possa bastare di fronte a determinati atti e che questo, secondo me, sia un problema grave.
  Non so se qualcuno dei due auditi può darci risposta in merito a diverse modalità in cui potrebbe essere applicato l'articolo 403, visto che l'attuale ancora non è stato modificato, nonostante ci siano proposte di legge in discussione alla Camera e in Commissione Giustizia al Senato.
  Alla dottoressa Della Pina vorrei fare un'altra domanda. Io stessa ricevo moltissime segnalazioni di problemi di salute psicofisica di minori che si trovano tuttora all'interno delle strutture, dove purtroppo devo dire che la tutela della salute psicofisica del minore non è garantita.
  Ci sono stati anche casi in cui in un ambiente protetto il bambino è stato addirittura ucciso dal genitore dal quale l'altro voleva proteggerlo.
  Purtroppo, queste sono situazioni complicate perché è difficile capire quando la salute psicofisica del minore è messa in pericolo dalla famiglia e quanto questa sia messa in pericolo da chi vuole intervenire per fare il bene del minore. È molto complicato capire i limiti delle due problematiche Pag. 11 e dei due interventi, quindi chiedo come si possa realmente riconoscerle e tutelarle dal punto di vista della salute mentale e, di rimando, anche fisica, anche perché bambini che hanno subito traumi manifestano poi sintomi di tipo fisico, come eruzioni cutanee, mancanza di appetito e quant'altro, ma anche, non ultimo, quello che viene diagnosticato come disturbo dell'apprendimento. Purtroppo c'è una rispondenza diretta che abbiamo rilevato perché è chiaro che l'intelligenza emotiva influisce moltissimo sull'aspetto cognitivo.
  Le chiedo qual è questo limite, cioè, dall'esperienza che ha lei con l'associazione, come si può comprendere dove sia il limite.
  L'ultimissima domanda riguarda il discorso della tutela del minore all'interno della famiglia.
  Purtroppo, abbiamo dovuto accavallare le audizioni della salute psicofisica dei minori su quelle per l'indagine conoscitiva dei minori fuori famiglia, che, in parte, coincidevano, quindi, su richiesta della collega Mattesini, abbiamo voluto spostare alcune audizioni per non duplicarle. Tuttavia, mi piacerebbe capire qual è la condizione reale in cui si trovano i bambini e se ci sono stati degli studi o avete fatto eventualmente delle ricerche in questo senso.
  Purtroppo, i dati non sono aggiornati, però vi chiediamo se avete qualche contributo da poter dare alla Commissione.
  Grazie.

  ANTONELLA DELLA PINA, rappresentante della campagna nazionale «Nidi violati». Per quello che riguarda la domanda rivolta a me, il nostro polso della situazione è quello delle associazioni, che ormai sono in rete e con cui ci confrontiamo quasi quotidianamente.
  I procedimenti minorili hanno delle lacune e presentano gli stessi marcatori rispetto all'osservazione di situazioni che diventano subito una denuncia. Esiste la fase della segnalazione che è un dovere di tutti e per cui non c'è bisogno di essere psicologo o insegnante o altro, perché qualsiasi persona abbia il sospetto che un bambino possa subire dei maltrattamenti deve assolutamente segnalarlo.
  Che cosa succede laddove rileviamo grossi errori perché vengono incardinati procedimenti giuridici assolutamente sbagliati? Nella fase delle indagini, c'è una forte sovrapposizione fra l'investigazione e l'osservazione soggettiva.
  Abbiamo dei gruppi di interforze in grado di mettere cimici e di verificare se effettivamente c'è il maltrattamento oggettivo e il fatto reale o se la manifestazione del bambino ha origini diverse, come, per esempio, nel caso di una cattiva educazione.
  Credo che la salvezza di questi bambini stia nelle indagini e nel ridare in mano, alle forze dell'ordine e a chi è preposto a fare le indagini, l'accertamento veloce di queste situazioni, anche perché, oggigiorno, i ragazzi manifestano molti disagi e molte problematiche, per cui si tende sempre a rendere patologico il rapporto con la famiglia.
  Sono 400 le scuole di pensiero a livello psicologico e non esiste la psicoterapia pediatrica, quindi, prima di colpevolizzare immediatamente il rapporto genitori-figli, davanti alla possibilità di sradicare il bambino dalla famiglia, bisognerebbe avere una prova provata e oggettiva.
  Per la tecnologia, le indagini che ci sono adesso riteniamo che possano benissimo arrivare a questo obiettivo.

  PRESIDENTE. Chiedo anche al dottor Boschi di rispondere alle mie domande.

  STEFANO BOSCHI, psicoterapeuta, ricercatore in psicoterapia breve integrata e psicosomatica, rappresentante dell'associazione «Aiutiamo le Famiglie» (A. le F.). Per riportarmi a uno dei primi punti della complessa domanda che è stata posta, la prima cosa che mi viene da dire è che il ricollocamento del minore in ambito extrafamiliare previsto dall'articolo 403 sia comunque un trauma, a prescindere dalla gravità delle condizioni della famiglia.
  È ovvio che, nel momento in cui ci siano situazioni insostenibili all'interno della famiglia, si segue la logica del male minore, però non bisognerebbe dimenticare che lo sradicamento dalla famiglia è un trauma a tutti gli effetti perché il bambino aveva Pag. 12messo già in campo degli strumenti e delle modalità di adattamento, che, se pur disfunzionali, deve rivedere.
  Vorrei allargare l'ambito della mia risposta e dire che, nelle aule giudiziarie d'Italia, si tende ad adottare un principio salomonico.
  Ricordiamo tutti la storia di re Salomone, che, di fronte alle due donne che rivendicavano la maternità di un unico bambino, ordinò che il bambino fosse tagliato a metà per darne una metà a una madre e l'altra metà all'altra madre, ma il punto è che Salomone dette questa disposizione sul filo di uno stratagemma. In altre parole, Salomone non voleva davvero tagliare a metà il bambino, ma era solo per chiarire chi fosse la madre naturale, risultato che ottenne.
  Oggi, nelle aule giudiziarie, con la spada della legge si tende, invece, a tagliare a metà non già il bambino, ma il rapporto genitori-figli, non già sul filo di uno stratagemma, ma facendolo davvero, come se questa fosse, invece che l'ultima ratio di fronte a situazioni insostenibili, la normale prassi da seguire a fronte di situazioni familiari problematiche e sarebbe come se io mi rompessi una gamba e mi portassero dal giudice, mentre dovrebbero portarmi al pronto soccorso e non dal giudice.
  Prima la dottoressa Della Pina stava dicendo una cosa importante, ossia si tende a colpevolizzare le famiglie, parlando di uno processo di patologizzazione della famiglia stessa.
  Allora, io vorrei dire una cosa: nella realtà clinica, la famiglia costituisce purtroppo, per la nostra cultura e la nostra società, il terreno di coltura di germi patogeni che poi si svilupperanno nelle varie forme di patologia. Questo non significa colpevolizzare, ma significa che c'è la necessità di prendersene cura. Di nuovo, se mi rompo una gamba, mi portate davanti al giudice o al pronto soccorso? Lo stesso discorso deve essere applicato alla famiglia.
  Dobbiamo renderci conto che purtroppo, per motivi che non sto a precisare e che affondano le radici in una situazione storica, sociologica, psichico-relazionale e chi più ne ha più ne metta, la famiglia diventa il teatro di tutti i conflitti non risolti che ci portiamo dietro – mi riferisco in particolare ai genitori – sin dall'infanzia.
  Siamo di fronte, nel mio personalissimo modo di vedere e non solo, a una delle forme di patologia più conclamate e più diffuse nella nostra società: la patologia relazionale.
  Di fronte a una patologia, non bisogna reagire con gli strumenti della legge perché, di nuovo, saremmo di fronte al paradosso «mi rompo una gamba e mi portano davanti al giudice», cosa che nessuno farebbe, ma con gli strumenti della psicologia.
  Allargando ancora più il discorso, si rende necessaria l'integrazione fra la psicologia e la giurisprudenza perché la giurisprudenza lasciata a se stessa non può che creare danni irreparabili.
  A parte una frangia di situazioni molto estrema, in cui, come dicevo, il bambino è esposto in una situazione insostenibile, in tutti gli altri casi, il primo passo da fare non è verso la giurisprudenza, ma verso il tentativo di ricucire il tessuto relazionale lacerato.
  In questo caso parliamo di clinica, quindi mi va benissimo la giurisprudenza e mi va benissimo la clinica, ma ci deve essere un'integrazione. Fino a oggi, la psicologia con tutti i suoi strumenti ha svolto il ruolo di parente povero e di ancella al servizio della giurisprudenza, dove, purtroppo, come vi ripeto, non esistono – questo non è solo un mio parere personale – gli strumenti per ricucire il tessuto relazionale lacerato.
  In pratica, i problemi familiari non si risolvono in tribunale e, purtroppo, il tribunale funge da elemento enfatizzante, che porta alle estreme conseguenze le problematiche familiari, fino ad arrivare al punto in cui la legge viene utilizzata come la spada salomonica che taglia a metà il rapporto genitori-figli.
  A questa situazione si deve assolutamente porre rimedio e penso che sia prima di tutto compito del legislatore acquisire la consapevolezza dello stato del problema e degli strumenti e dei programmi da mettere in campo per rivalutare quello che, a largo spettro, possiamo chiamare «cultura Pag. 13della famiglia e dei buoni rapporti» e che, a tutt'oggi, viene assolutamente trascurato.
  In tal senso, torno inevitabilmente a quello che dicevo prima sulla considerazione dei due poli del processo familiare, gli agenti e gli enti dell'educazione, per cui, trasponendo il discorso sul piano di un programma effettivo per arrivare a riparare questo stato di cose, bisognerebbe tenere assolutamente in conto la necessità di un'integrazione fra giurisprudenza e psicologia.

  ANTONELLA DELLA PINA, rappresentante della campagna nazionale «Nidi violati». Vorrei solamente aggiungere una precisazione. Ecco perché, come associazione, chiediamo che vengano contati i falsi arrivati, quindi quanti bambini sono entrati nel bussolotto dell'affido e quanti genitori erano assolutamente innocenti.
  Questo dato serve anche a voi non solo per quantificarli, ma anche per capire quali sono state le procedure e le modalità errate, laddove si è sbagliato e laddove ci sono stati psicologi che si sono comportati come giudici e giudici che si sono atteggiati a psicoterapeuti, mentre il lavoro doveva essere educativo, familiare, di affiancamento e di sostegno. Le due questioni non vanno sovrapposte perché si possono creare dei danni e dobbiamo quantificarli.

  FRANCESCO PRINA. È già la seconda volta che lei sottolinea la necessità di monitorare i falsi, dunque questo vuol dire che la statistica ufficiale non riesce a determinare quanti ce ne siano.
  Ho capito il suo discorso, ma bisogna chiedersi chi stabilisce i falsi. Bisogna intendersi sulla questione dell'incontro tra psicologia e giurisprudenza perché lei ha ragione sul fatto che bisogna spostare la barra e siamo d'accordo, ma chi stabilisce il falso è, comunque e sempre, l'autorità giudiziaria.

  ANTONELLA DELLA PINA, rappresentante della campagna nazionale «Nidi violati». Certo. A quindici o vent'anni di distanza dall'allontanamento coatto, famiglie e genitori vengono a dirci «siamo stati scagionati perché il fatto non sussiste». Non esistono dati e noi li rileviamo a livello associativo, però, se voi non avete questo dato, per il quale bisogna andare indietro di quindici o vent'anni, non riuscite a capire dove dovete mettere le mani per sanare la giustizia minorile.
  È per voi fondamentale capire quanti ne sono entrati erroneamente e, già negli atti, si può vedere laddove si è sbagliato. Abbiamo fatto convegni dove ci hanno consigliato di abrogare l'articolo 403 e di rimodularlo, alla luce di queste indagini.

  PRESIDENTE. Probabilmente non ci riferiamo al fatto che non esistono singoli dati, ma al fatto non esiste una raccolta di questi dati, in modo da metterli a sistema per quantificarli.
  Vorrebbe fare una domanda anche l'onorevole Romanini.

  GIUSEPPE ROMANINI. Intanto, vorrei scusarmi perché è stato necessario andare a votare nella Commissione permanente della quale faccio parte e non ho potuto ascoltare gran parte del vostro intervento.
  Conosco l'associazione e so anche quanto sia delicato il tema.
  L'ultimo convegno al quale ho partecipato a Parma mi procurò una serie di interventi di censura da parte dell'ordine degli assistenti sociali, anche perché il tema è molto delicato.
  Vorrei porre una domanda rispetto ai dati. Il fatto che manchino è ormai palese e chiaro, sono dati complessi e non si tratta soltanto di riuscire a incrociarli su un arco temporale così lungo, il che evidentemente è molto complicato, ma basterebbe, secondo me, a significare qualcosa per poter conoscere quali siano i casi in cui il giudice non si allinea direttamente e immediatamente alla disposizione dei servizi sociali, cioè quanti siano gli interventi dell'autorità giudiziaria di revisione del provvedimento richiesto di allontanamento coatto da parte del sistema degli assistenti sociali.
  Secondo me, quello che non occorre fare è partire dalla patologia per condannare un sistema. Noi abbiamo un sistema di attenzione nei confronti della famiglia e Pag. 14l'unico momento in cui lo Stato interviene in rapporti familiari destinati ad avere altre regole, quelle del sistema degli affetti, è il momento in cui si interviene a tutela dei più deboli, cioè dei minori.
  In questo caso, bisogna stare attenti a non confondere le due cose. Scusandomi per non aver partecipato e per non aver, probabilmente, sentito quello che avete detto, sul correttivo, è giusto non partire dalla patologia per condannare un sistema, ma porsi anche il tema di quali provvedimenti si potrebbero prendere sotto il profilo legislativo per porre un limite ancora maggiore a eventuali errori che potrebbero esserci.

  ANTONELLA DELLA PINA, rappresentante della campagna nazionale «Nidi violati». Secondo la nostra esperienza, le rispondo che si potrebbe inserire il contraddittorio nel procedimento, anche perché, diversamente, non posso difendermi e, se sono indifendibile, la giurisprudenza impiega tempi biblici, per cui i bambini rischiano di diventare maggiorenni e, dopo il diciottesimo anno, di essere abbandonati.
  Abbiamo visto ragazzini che hanno perso la famiglia e che, dopo i diciotto anni, sono stati abbandonati anche dallo Stato, quindi si sono trovati in una situazione drammatica.

  PRESIDENTE. Aggiungo che, forse, un'altra cosa grave che avviene e che abbiamo rilevato è che neppure i provvedimenti vengono applicati tempestivamente dopo l'articolo 403, quindi non solo siamo in mano alla magistratura per aspetti così delicati, che dovrebbero essere trattati con altre modalità, ma, nelle norme attuali, non c'è un tempestivo intervento.
  Purtroppo, ci sono dei casi di applicazione dell'articolo 403, che, come risulta anche a Ferrara, dove ce ne sono più di uno, non sono stati neppure convalidati da un provvedimento, ma il bambino resta comunque allontanato; quindi il problema è che, forse, a livello giudiziario non si comprende il danno che si fa nelle ore successive o, figuriamoci, nei mesi o negli anni successivi.
  Questo è il punto: non si tratta di una pratica, ma di vite umane di minori con un'età abbastanza fragile, in cui si forma la loro personalità, quindi effettivamente si tratta di un aspetto problematico e delicato.
  Chiudo la seduta di oggi, ringraziando ancora, da parte di tutta la Commissione, il dottor Boschi e la dottoressa Della Pina.

  La seduta termina alle 15.

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ALLEGATO

Documentazione presentata dal dottor Boschi

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