XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 31 di Martedì 26 settembre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SALUTE PSICOFISICA DEI MINORI

Audizione di rappresentanti
di Federsanità.

Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 3 
Potena Rita , direttore f.f. Unità operativa complessa tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva ASL RM2 ... 3 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 3 
Potena Rita , direttore f.f. Unità operativa complessa tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva ASL RM2 ... 3 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 3 
Potena Rita , direttore f.f. Unità operativa complessa tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva ASL RM2 ... 3 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 7 
Scannapieco Gianluigi , direttore Generale dell'Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) «Burlo Garofolo» di Trieste ... 7 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 11 
Padua Venera  ... 11 
Scannapieco Gianluigi , direttore Generale dell'Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) «Burlo Garofolo» di Trieste ... 11 
Padua Venera  ... 11 
Potena Rita , direttore f.f. Unità operativa complessa tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva ASL RM2 ... 12 
Padua Venera  ... 12 
Potena Rita , direttore f.f. Unità operativa complessa tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva ASL RM2 ... 12 
Padua Venera  ... 12 
Potena Rita , direttore f.f. Unità operativa complessa tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva ASL RM2 ... 12 
Padua Venera  ... 12 
Prina Francesco (PD)  ... 13 
Potena Rita , direttore f.f. Unità operativa complessa tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva ASL RM2 ... 13 
Padua Venera  ... 13 
Prina Francesco (PD)  ... 13 
Potena Rita , direttore f.f. Unità operativa complessa tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva ASL RM2 ... 13 
Prina Francesco (PD)  ... 13 
Potena Rita , direttore f.f. Unità operativa complessa tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva ASL RM2 ... 13 
Prina Francesco (PD)  ... 14 
Potena Rita , direttore f.f. Unità operativa complessa tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva ASL RM2 ... 14 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 15 
Potena Rita , direttore f.f. Unità operativa complessa tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva ASL RM2 ... 16 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 17 
Potena Rita , direttore f.f. Unità operativa complessa tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva ASL RM2 ... 17 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 17 
Potena Rita , direttore f.f. Unità operativa complessa tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva ASL RM2 ... 17 
Scannapieco Gianluigi , direttore generale dell'Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) «Burlo Garofolo» di Trieste ... 17 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 18 

ALLEGATO 1: Documentazione presentata dalla dottoressa Rita Potena ... 19 

ALLEGATO 2: Documentazione presentata dal dottor Gianluigi Scannapieco ... 35

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE
ROSETTA ENZA BLUNDO

  La seduta comincia alle 13.40.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti
di Federsanità.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla tutela della salute psicofisica dei minori, l'audizione di rappresentanti di Federsanità, l'audizione della dottoressa Rita Potena, direttore facente funzioni dell'Unità operativa complessa «Tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva» della ASL RM2, e del dottor Gianluigi Scannapieco, direttore generale dell'Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) «Burlo Garofolo» di Trieste.
  Do la parola alla dottoressa Potena per lo svolgimento della sua relazione.

  RITA POTENA, direttore f.f. Unità operativa complessa tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva ASL RM2. Quanto tempo abbiamo?

  PRESIDENTE. Dieci minuti o anche un quarto d'ora se le serve.

  RITA POTENA, direttore f.f. Unità operativa complessa tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva ASL RM2. Me ne servirebbe di più, perché sono un po’ prolissa.

  PRESIDENTE. L'unica cosa è che poi ci sono i lavori della Camera e del Senato. Per il resto, siamo felicissimi di ascoltarla.

  RITA POTENA, direttore f.f. Unità operativa complessa tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva ASL RM2. Ho provato a buttare giù delle slide, che vi lascio. Non ho punteggiato gli acronimi, perché ho letto gli interventi precedenti e ho visto che di epidemiologia ne avete avuta tanta, avete avuto una serie di interventi sugli ospedali, ma probabilmente sono meno note le condizioni di lavoro nei servizi territoriali.
  Non ho chiarito alcuni acronimi – ma poi li posso aggiungere – perché sono partita dalla realtà laziale, che è quella che conosco meglio per ovvi motivi, dove i servizi di neuropsichiatria infantile sono chiamati «Tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva», un pessimo acronimo (TSMREE), che però tende a sottolineare che ovunque fosse stata collocata l'unità operativa complessa, prima nel dipartimento materno infantile, poi nel dipartimento fragilità e attualmente nel dipartimento di salute mentale, il TSMREE si occupa del minore con patologia neurologica, del neurosviluppo e psichiatrica.
  Si rivendica questa eccellenza della branca specialistica italiana che non ha mai disgiunto e fatto a pezzi il minore, in primo luogo per un motivo eziologico, ossia che una malattia neurologica spesso esita e ha importanti risvolti sullo sviluppo, e in secondo luogo perché è complesso. Pag. 4
  Il concetto di disabilità non è un concetto molto sanitario – diciamocelo – è un concetto «non essere capaci di». È sanitario? Sono molti i motivi per cui noi ’non siamo capaci di’, quindi ’non è capace di’ il soggetto con una menomazione, con un ritardo mentale, con una tetraparesi, ma è disabile anche il soggetto psichiatrico, un ossessivo compulsivo.
  Ho visto anche che voi avete già trattato l'autismo nella disabilità. In realtà, l'autismo è una modalità, è una patologia della comunicazione e della relazione, non dell'intelligenza.
  Questo concetto della disabilità, un po’ ballerino – gli inglesi hanno l’impairment e il disability, mentre noi abbiamo solo il disability – un po’ ci ostacola, però l'importante è capirci. Io ho fatto anche un monitoraggio delle varie situazioni italiane, condividendo coi colleghi – sono stata anche giovedì al convegno della Società italiana di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza (SINPIA) – e mi sembra che tutto sommato il concetto fondamentale, le modalità e le criticità sono uguali in tutta Italia. Forse non a Trieste, che è un vero paradiso.
  In queste slide vi dico quali sono le patologie. Questo è importante. Sono solo dei focus. Vi dico solo che le patologie psichiatriche e neurologiche e l'abuso di sostanze rappresentano il 13 per cento del Global burden of deseases dell'intera popolazione. Hanno, quindi, un peso maggiore delle malattie cardiovascolari e mi riferisco a livello internazionale. Quando si parla di patologia dei nostri minori, pesano di più delle malattie cardiovascolari. Dico questo per sottolinearne l'incidenza.
  Il 50 per cento – questa è tutta letteratura internazionale – dei disturbi neuropsichici dell'adulto esordiscono in età evolutiva.
  Il terzo elemento importantissimo è che un trattamento precoce e tempestivo cambia la storia della malattia ed evita decorsi cronici e invalidanti.
  Vi lascio queste slide. Avrei voluto aggiungere gli acronimi, perché non so se sono stata chiara, ma lo posso fare. I focus sono questi. Il testo è lunghissimo e ve lo lascio.
  In realtà, la sede naturale per trattare i disturbi neuropsichiatri dell'età evolutiva sono i servizi territoriali, che sono gli unici in grado di fare progetti di vita per il bambino, anche esternalizzando alcune parti del percorso. La regia è assolutamente dei servizi, che lavorano ormai in stretta integrazione con medici di base, ospedali, scuole, municipi e tribunali. C'è un elemento di integrazione fortissimo, che consente, se uno crede, come ci credo io, nell'ottica della creazione del sintomo (a una determinata struttura bio-psico-sociale corrisponde un problema), di riabilitare in vari modi: diminuire lo stress e aumentare i fattori protettivi. Non so se sono stata troppo semplice.
  Io posso fare questo nella realtà di vita del soggetto, con la famiglia. Per carità – non vorrei che il collega si risentisse – per noi l'ospedale è importantissimo come avvio del percorso, in psichiatria dell'adolescenza, in acuzie e soprattutto in alcuni momenti protettivi per il minore.
  Va da sé che in genere i neuropsichiatri infantili non sono grandi consumatori di ricoveri né lo vogliono essere. Del resto, se pensate che nel Lazio vi sono dodici posti letto in due strutture universitarie, che rispondono anche a urgenze di altre regioni e a esigenze di ricerca, vi rendete conto che noi non siamo grandi ricoveratori, così come non siamo grandi farmacologici.
  La farmacologia che utilizziamo – e va utilizzata, perché è un pregiudizio che il minore non debba assumere farmaci – è importante come reversal nel trattamento di alcune situazioni deliranti acute, però va inserita in un progetto riabilitativo che coinvolge il minore e la sua famiglia, altrimenti io eticamente mi rifiuto di dare farmaci tanto per darli, chiaramente a meno che il soggetto non dica che i marziani verdi gli dicono di ammazzare la madre. Questo va da sé.
  Io ho inserito anche i livelli essenziali di assistenza: prevenzione primaria, secondaria e terziaria, elaborazione di progetti individuali del bambino con tutti gli altri Pag. 5attori, che sono però differenziati per intensità e durata. Proseguo rapidamente, perché ho dieci minuti. Qual è il modello?.
  Il modello organizzativo italiano della neuropsichiatria infantile – è importante che si sappia – è stato il precursore dell'assetto organizzativo delle reti costruite o proposte per altre patologie croniche del bambino e dell'adulto. In qualche modo è stato un antesignano.
  Elemento cruciale dell'organizzazione è l'unità di neuropsichiatria infantile senza posti letto (perché non abbiamo posti letto) radicata tra territorio e ospedale, in rete con tutte le strutture semiresidenziali, residenziali e terapeutiche, le unità operative ospedaliere di secondo e terzo livello.
  Io prego di notare questa differenza, perché in molte regioni, come il Lazio, noi abbiamo solo unità operative ospedaliere di terzo livello. Ci mancano i posti di ricovero, che sono pochi, come ho detto prima, nell'ospedale territoriale. C'è un numero limitato di posti letto – io rivendico questo – perché servono essenzialmente per avviare i percorsi oppure nelle situazioni di acuzie.
  Vi risparmio la complessità. Dico ora due parole sulle patologie psichiatriche. Voi sapete che i servizi si modificano secondo le richieste che fanno gli utenti (e guai se non fosse così). Quello a cui stiamo assistendo negli ultimi anni è un grossissimo incremento di richieste in tutti i TSMREE. Questo è dovuto ad una enorme e crescente sensibilizzazione di pediatri, insegnanti, genitori e medici di base, che segnalano molto più spesso disturbi soft dello sviluppo e si accorgono molto prima che qualcosa non funziona nel bambino, tant'è che sono aumentate le richieste per disturbi specifici settoriali dello sviluppo.
  Noi distinguiamo i disturbi globali dello sviluppo, ossia quando il bambino ha un ritardo o ha una patologia più massiva, dai disturbi settoriali, ossia il caso di un bambino normodotato che non sa leggere o non riesce a leggere adeguatamente, che si muove in maniera strana, non cammina abbastanza bene (non parlo di una paralisi cerebrale infantile, ma parlo di una disprassia), non sa fare i calcoli inaspettatamente o non riesce a stare attento. Questi sono disturbi settoriali, che ci vengono segnalati molto più spesso.
  Sono aumentati, invece, in maniera molto consistente i comportamenti dirompenti, cioè gli adolescenti che si rendono protagonisti di episodi massivi, che spesso sono associati all'abuso di sostanze. L'abuso di sostanze spesso, abbassando la soglia di vigilanza, slatentizza un sottostante quadro psichiatrico.
  È aumentato il fenomeno delle dipendenze da internet nei minori e dell'isolamento in casa. Vengono chiamati carinamente hikikomori, ma non sono semplicemente adolescenti che stanno su internet la notte. Noi ne abbiamo tanti e spesso sono quadri patologici franchi, non stanno semplicemente su internet.
  Importante è l'elemento dell'aggregazione in bande, che in alcuni quartieri come quelli di cui mi occupo io (San Basilio, Tor Bella Monaca) è abbastanza evidente.
  Sono sempre più numerose, infine, le condizioni che pongono i ragazzi a rischio per la presenza di una patologia psichiatrica che sta diventando sempre più precoce e grave. Io ora nel mio clinico (perché faccio ancora clinica) vedo disturbi anche gravi a dodici anni, che prima vedevo a quattordici. Ci sono gravi problemi di salute in famiglia.
  L'adozione sta diventando un bel problema, soprattutto quella internazionale. Voi sapete che è stata modificata la normativa e ora l'adozione internazionale non ha più periodi di sperimentazione, quindi la famiglia va all'estero e torna con un minore.
  Io posso dire che ho avuto finora sette-otto casi gravi di adolescenti che la famiglia voleva restituire, quindi forse anche sull'adozione, su chi dà l'idoneità, ci vorrebbe un ripensamento. Infatti, non è vero che sono sempre i servizi pubblici, spesso sono delle agenzie che danno l'adottabilità a famiglie a cui forse ex post io non l'avrei data. Ho avuto casi di abusi sessuali da parte di genitori adottivi, abbandoni, comportamenti di crudeltà, quindi forse sull'adozione internazionale andrebbe fatta una bella riflessione. Pag. 6
  Abbiamo anche il problema dei minori non accompagnati (migranti), che spesso sono vittime di torture e di abusi o bambini soldato su cui è complicatissimo fare un intervento, perché spesso mancano i mezzi sociali. Su questo va fatta una riflessione. Non sono tantissimi, ma devo dire che quando ci sono pongono gravi problemi ai servizi.
  C'è anche l'ultimo avvenimento del passaggio della sanità penitenziaria al Sistema sanitario nazionale, per cui tutti i minori autori di reato ormai sono TSMREE, quindi noi dobbiamo gestire tutta una serie di percorsi, anche carcerari.
  Vi cito poi la legge n. 170 del 2010. La n. 170 è la legge che permette ai soggetti con disturbi specifici d'apprendimento, i famosi dislessici, di avere dei trattamenti personalizzati nella scuola. Questo è un problema, perché da noi i servizi si fermano a diciott'anni. Dopo i diciotto anni chi segue questi ragazzi? Io non lo so.
  Vi spiego la nostra mission in tre parole. Di tutto questo papier, io credo che sia importante sottolineare che nella nostra mission cerchiamo sempre di fare progetti concordati, modulati nei tempi con la verifica secondo degli obiettivi, in stretta collaborazione tra la famiglia e il soggetto. Badate bene: da noi un adolescente, sia pur giuridicamente ancora non capiente, è sempre ritenuto un forte alleato, non è un attore passivo di cure. Lo dico perché è importante.
  Vi posso segnalare solo le criticità dei servizi, visto che penso di aver finito il tempo. Vi lascio tutto il materiale e, se poi vogliamo stabilire un'altra maniera di sentirci, ne sarei felice. Le criticità quali sono? Credo che i servizi non abbiano mai avuto in tutta Italia un'organizzazione unitaria, come è successo ai dipartimenti di salute mentale (DSM). La legge n. 180 del 1978 ha stabilito quali erano i requisiti dei servizi. Nei TSMREE ogni regione ha legiferato come meglio poteva e, al di là dell'appartenenza (materna-infantile, TSMREE, varie organizzazioni), non ha mai stabilito gli standard minimi rispetto ai bacini di utenza. Questo è un grosso limite.
  Le risorse che mancano fortemente sono le strutture semiresidenziali terapeutiche, i centri diurni. Vi dico solo che a Roma 2 dovremmo averne tre, mentre ne abbiamo una, quindi è chiaro che non va. Mancano le comunità terapeutiche. Nel Lazio a tutt'oggi non ci sono comunità terapeutiche. Manca personale dappertutto. Voi sapete che il piano di rientro sanitario ci ha fortemente penalizzato.
  Io dico che siamo rimasti tanti vecchi dinosauri. Nel servizio io sento la mancanza, non solo del personale, ma – se mi posso permettere da vecchia – dei giovani, perché io ho un grosso patrimonio gestionale. A chi lascio questo patrimonio gestionale? Mi sembra sprecato. Voglio andare in pensione fra due o tre anni e mi piacerebbe lasciare un po’ della mia esperienza a qualcuno, anche perché gli ambienti più fruttuosi dal punto di vista lavorativo sono gli ambienti misti di giovani e vecchi, che con le mentalità si incontrano e si supportano. Ormai stiamo diventando un servizio di vecchi. Questo è allarmante anche per il primo motivo. A me dispiace non avere delle persone a cui lasciare la mia esperienza, perché questa è la crescita dei servizi.
  L'altro elemento importante che voi regionalmente potete recepire, al di là del personale, è l'assenza di un osservatorio epidemiologico regionale. Calcolate che le uniche regioni che hanno un osservatorio epidemiologico regionale di buon livello sono la Sicilia, il Piemonte, l'Emilia e la Lombardia. In Toscana non è partito. Sono, quindi, solo quattro le regioni che stanno lavorando su questo.
  Avere un sistema di monitoraggio epidemiologico regionale e nazionale informatizzato è la base per creare una programmazione sulla necessità degli interventi e sugli esiti. Questo vuole essere da parte mia un forte richiamo a voi che potete comunque introdurre l'elemento.
  La terza criticità molto grossa che noi sperimentiamo – non voglio piangere solo sulla carenza di personale – è la transizione verso l'età adulta, che spesso provoca delle discontinuità abbastanza complicate e con esiti funesti. Pag. 7
  La fascia principale riguarda gli autistici, che non sono presi in carico dai servizi dei dipartimenti di salute mentale, neanche quelli ad alto funzionamento. I servizi per i disabili adulti sono assolutamente più deprivati dei TSMREE e, quindi, spesso non riescono proprio a recepire questa utenza. Tenete presente che i servizi per i disabili adulti dovrebbero programmare interventi sociosanitari di stabilizzazione della patologia, ma spesso non riescono neanche a fare questo.
  Il problema rimane comunque la transizione al centro di salute mentale (CSM). Io sto nel dipartimento di salute mentale e, quindi, conosco bene la battaglia quotidiana nei passaggi dei casi, sebbene vi siano dei protocolli.
  Io sottolineo che queste discontinuità spesso aggravano le patologie e segnano i destini. Vi chiedo se volete farmi qualche domanda, perché sono stata forse un po’ pletorica e confusa. Avevo tante cose da dirvi e ho dovuto stringere.

  PRESIDENTE. La ringraziamo moltissimo. Io darei la parola al dottor Scannapieco e poi magari i colleghi potranno fare ad entrambi le domande.
  Do la parola al dottor Gianluigi Scannapieco, direttore generale dell'Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico di Trieste «Burlo Garofolo», per lo svolgimento della sua relazione.

  GIANLUIGI SCANNAPIECO, direttore Generale dell'Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) «Burlo Garofolo» di Trieste. Buongiorno a tutti. Vi ringrazio per l'opportunità che mi avete dato di condividere alcune considerazioni. Io porterò la voce di chi organizza i servizi sanitari, non dell'ospedale, perché, come vedrete, il confine fra ospedale e territorio ormai si sta facendo sempre più sfumato e, come è giusto che sia, i bambini, come gli adulti, passano una piccola fase della loro vita in ospedale. Porto anche un po’ la voce degli ospedali pediatrici italiani, perché va fatta una riflessione sul loro ruolo in un contesto che sta cambiando.
  Non parlerò di clinica, perché l'hanno già fatto molto bene la collega e altri precedenti auditi, ma parlerò di modalità organizzative nel contesto che sta cambiando.
  Quello di pediatria – la prendo un po’ larga, ma poi vado subito al dunque – è un concetto recente. La pediatria non esisteva prima della Rivoluzione francese, perché il bambino era considerato un piccolo adulto. In letteratura la parola «pediatria» compare solamente alla fine dell'Ottocento.
  Dopo la Rivoluzione francese (siamo ai tempi di Dickens e di Victor Hugo) la borghesia si rende consapevole del fatto che i bambini sono qualcosa di diverso. Cominciano le charities e tutti gli interventi e nascono gli ospedali pediatrici. Il più antico è, non a caso, il Necker di Parigi, che è nato nel 1802, in piena epoca napoleonica. Successivamente nascono anche gli altri ospedali, fra cui quelli italiani. Trieste all'epoca non era italiana, ma comunque l'anno scorso la pediatria ha compiuto 160 anni. Voglio dire che è un concetto recente.
  Mi riferisco al concetto della specificità pediatrica, per cui il bambino va considerato diversamente dall'adulto, al concetto che l'età pediatrica è un'età evolutiva importante – andiamo dal pretermine (600 grammi) fino all'adolescente diciottenne, che di fatto è un adulto a tutti gli effetti – e al concetto che quando si ammala un bambino si ammala tutta la famiglia. Questo è vero anche quando si ammalano il papà, la mamma, la moglie e il marito, ma sicuramente il carico emotivo e l'impatto sono diversi. Mi riferisco al concetto che tutto ciò ha delle implicazioni, che comprendono il fatto che le competenze specifiche, come vedremo, non sono solo del pediatra. Spesso ci focalizziamo sul pediatra, ma vedremo che il concetto è molto più ampio. Mi riferisco anche ai costi, alla sperimentazione clinica, ai farmaci e così via.
  Faccio una riflessione breve su cosa sta succedendo in questo momento nei Paesi occidentali, ma in Italia in particolare. La denatalità è un tema che conosciamo tutti. Questo è un percorso che oramai difficilmente cambierà, che coincide con la crisi economica. Qui sono cominciati ad arrivare meno immigrati. Vi ricordo che prima il 20-25 per cento dei nati erano figli di Pag. 8immigrati. Sono arrivati meno immigrati e questi ultimi si sono occidentalizzati nei costumi: non fanno più quattro o cinque figli, ma ne fanno uno o forse due. Questo è il trend di un Paese che sta invecchiando e in cui ci sono sempre meno nati. Siamo scesi sotto la soglia, anche psicologica, dei 500.000 nati all'anno.
  È cambiata l'epidemiologia: i bambini sono sempre più sani, per fortuna. L'Italia da questo punto di vista è un Paese per bambini e per giovani, perché il miglioramento del contesto socioeconomico dagli anni 1960-1970, la diagnosi prenatale, che oramai è diventata importantissima, gli screening neonatali, i vaccini, che, nonostante le polemiche di questi giorni, hanno cambiato radicalmente lo scenario, e le campagne di prevenzione hanno fatto sì che i bambini siano sempre più sani. Questo è un dato incontrovertibile.
  Tuttavia, quando sono malati sono molto malati. Ci sono patologie croniche come la fibrosi cistica, patologie complesse come alcune malattie rare che hanno una complessità che non è gestibile se non da specialisti, patologie gravi, situazioni di acuzie e di emergenza che richiedono competenze completamente diverse da quelle che potevano essere necessarie 30 o 40 anni fa.
  È cambiato anche il paradigma, per cui dobbiamo lavorare più sui fattori di rischio che non sulle malattie: l'obesità, la sedentarietà, la dipendenza e i disturbi psichici.
  La collega citava il Global burden of diseases, che è uno studio a livello internazionale che misura come cambia la sanità nell'ambito pediatrico ma non solo. I dati sono stati pubblicati proprio la settimana scorsa sul Lancet – hanno partecipato anche dei nostri ricercatori del Burlo per la parte pediatrica – e questo è quello che emerge (vi do proprio un flash).
  Innanzitutto, l'Italia è un Paese dove la mortalità infantile è bassissima, addirittura inferiore a quella che sarebbe attesa per un Paese occidentale. Non è solamente bassa, ma è omogeneamente bassa. Anche gli Stati Uniti hanno dei livelli bassissimi, ma non omogenei. Negli Stati Uniti ci sono contesti in cui si muore come in Africa, nelle periferie e nelle zone non assistite.
  La mortalità sotto i cinque anni, come vedete, è calata. In particolare in Italia è calata più che negli altri Paesi. La mortalità sotto i cinque anni avviene ancora per malattie congenite e nei pretermine. Non focalizzatevi, guardate solamente le dimensioni. Quest'area mostra perché si muore sotto i cinque anni e perché si è disabili sotto i cinque anni.
  La disabilità, al contrario della mortalità, non è cambiata. Non si è disabili solamente per malattie gravi, ma anche per malattie frequenti e tutto sommato abbastanza banali (malattie cutanee, gastrointestinali, urinarie e così via).
  Passando alla fascia tra i cinque e i quattordici anni, anche in questo caso la mortalità è crollata – l'Italia è in linea con gli altri Paesi del mondo occidentale – ma, come vedete, cominciano a essere importanti come causa di morte le malattie onco-ematologiche, gli incidenti stradali e anche la violenza.
  La disabilità fra i cinque e i quattordici anni è rimasta più o meno stabile nel tempo. Guardate solo le figure. Vedete che la disabilità fra i cinque e i quattordici anni viene a essere legata a malattie psichiatriche, disabilità o impairment, come diceva la collega, sempre più importanti: depressione, ansia (parliamo della fascia cinque-quattordici anni), disturbi bipolari, disturbi del comportamento, cefalee, epilessia e così via.
  Nella fascia più alta, tra i quindici e i diciannove anni, l'Italia non performa così bene come nelle fasce di età precedente ma comunque c'è stato un calo importante. La causa di morte è drammaticamente rappresentata dagli incidenti stradali e dai suicidi.
  La disabilità non è cambiata neanche in questa fascia di età dell'adolescente pieno. Come vedete, l'area del disturbo psichico è andata a ingrandirsi ancora di più: disturbi del comportamento, alcool, disturbi vari più o meno psichiatrici, cefalee, epilessia e così via.
  Da questo contesto che sta cambiando emerge il problema delle competenze. Le competenze vengono acquisite nel percorso formativo – uno che si laurea in medicina Pag. 9e si specializza in pediatria si presume che sia adeguato – ma si acquisiscono soprattutto sulla base dell'esperienza della casistica. Le competenze non devono essere solo del pediatra, ma di tutti coloro che prestano assistenza al bambino: l'anestesista, il radiologo, le professioni sanitarie, la farmacia che deve allestire dei farmaci galenici perché la dose per il bambino piccolo non c'è e così via.
  Il problema delle competenze è legato – c'è poco da fare – alla casistica. Il decreto Balduzzi, convertito dalla legge n. 189 del 2012, è andato a definire i bacini di utenza per le varie specialità pediatriche. Vedete che in un mondo ottimale il numero di strutture delle varie specialità dovrebbe andare da un minimo a un massimo di abitanti, nel caso della neuropsichiatria infantile da 1,5 a 2,5 milioni di abitanti. Una regione come il Friuli-Venezia Giulia, che conta 1,2 milioni di abitanti, dovrebbe avere in teoria una sola neuropsichiatria infantile, cosa che non accade. Lo stesso vale per le altre specialità, come la pediatria e la neonatologia.
  Perché dico questo? Non è un problema di soldi ma è un problema di acquisizione di competenze, perché, se io non vedo un numero adeguato di casi, non posso essere un bravo pediatra. L'AGENAS (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) con il Piano nazionale esiti ha dimostrato chiaramente questo. Questo è un grafico standard che si può applicare a varie situazioni, dove vedete come la mortalità a 30 giorni rispetto al volume di casi gestiti si impenna drammaticamente quando i casi si riducono sotto un certo livello.
  È una riflessione importante, perché spesso ci concentriamo sull'aspetto economico, ma è un problema di casistica. È un po’ come se io avessi una Ferrari – i bambini ormai sono delle Ferrari – e la portassi all'officina sotto casa perché è comoda. Forse dovremmo fare una riflessione su questo.
  L'altro tema nel contesto è che i pediatri sono sempre di meno. Questo è uno studio fatto dalla Società italiana di pediatria. Vedete come dal 2006 al 2026 (in vent'anni, ma siamo molto vicini), il numero dei pediatri crollerà. Sta già crollando, perché siamo in questa fase. Crollerà, perché la mia generazione di medici andrà in pensione. Quando mi sono iscritto a Padova in medicina eravamo 2.200 matricole; l'anno scorso si è iscritto mio figlio ed erano 300 matricole. Questo avviene da molti anni. Si tratta di una stima in Italia in generale, tenendo conto che le borse per le specialità non cambieranno nei prossimi anni.
  Pertanto, il problema vero della pediatria oggi non sono i costi ma la frammentazione dei punti di erogazione, che nel caso della pediatria ospedaliera, comporta minori volumi e, quindi, minori competenze, peggioramento degli esiti e aumento dei costi, che è l'ultimo dei problemi.
  È, quindi, necessario concentrare i punti di erogazione, banalmente per coprire i turni. Ci sono tanti piccoli ospedali che ormai non riescono più ad assumere pediatri (non ci vanno). Se deve scegliere, un pediatra va in una struttura che gli dia una gratificazione professionale.
  Le competenze specialistiche devono essere centrate sul bambino, come dicevamo prima. Non ultima, sottolineo la capacità di integrare la formazione e la ricerca con l'assistenza, perché la ricerca si fa sui numeri e, se non abbiamo la casistica, non si fa neanche buona ricerca.
  Occorre, quindi, ripensare gli ospedali pediatrici – è una riflessione che stiamo facendo – non solamente come ospedali, in quanto il confine comincia a essere sfumato, ma come luoghi di competenza (perché indubbiamente l'ospedale pediatrico ha al suo interno sia i professionisti sia la casistica) dove vengono prese in carico le acuzie e la complessità e dove vengono garantite la specificità pediatrica e la centralità del bambino.
  La centralità della rete non vuol dire che tutti i bambini devono arrivare all'ospedale pediatrico, perché il bambino non va spostato quando non è strettamente necessario. Si possono spostare i professionisti o le informazioni. L'importante è garantire sicurezza ed efficacia a prescindere dalla sede.
  La rete, quindi, si governa: spostando i pazienti – è chiaro che l'intervento chirurgico Pag. 10 complesso deve essere fatto nell'ospedale pediatrico, ma io posso mandare, come già faccio adesso, i miei specialisti nelle varie sedi territoriali, dove vedono i bambini, selezionano quelli che effettivamente vanno presi in carico e li portano al Burlo – e scambiando le informazioni – abbiamo strumenti, quali il teleconsulto e la telerefertazione, che ci consentono di mantenere la prossimità del bisogno alla residenza – ma anche definendo linee guida, protocolli e percorsi, svolgendo attività formativa e coordinando la ricerca clinica e le attività progettuali.
  Le sfide del futuro, ma anche quelle attuali, quindi, attengono alla messa in atto delle reti per la presa in carico e, come diceva la collega, alla garanzia della transizione, in particolare della transizione dall'ospedale al territorio e poi nuovamente all'ospedale e dall'età pediatrica all'età adulta, che è uno dei grandi buchi neri della medicina.
  Anche queste sono già previste dalla normativa. La legge lo prevede, ma non basta scriverlo. Questo è il decreto Balduzzi. Non dobbiamo fare un'ulteriore legge per definire che dobbiamo sviluppare la rete pediatrica e la rete dei punti nascita, è già stato fatto.
  Tuttavia, in Italia l'unica rete operativa in questo momento è quella della Toscana, che ha dato un modello organizzativo solido alla rete pediatrica. Lo stiamo facendo anche in Friuli-Venezia Giulia. La settimana prossima noi presenteremo alla regione, su suo mandato, un documento di riorganizzazione che prevede di lavorare in rete.
  Le reti sono anche nazionali ed è importante che questo si sappia. Noi come ospedali pediatrici lavoriamo in rete con altri dodici ospedali pediatrici. Sono tutti nomi noti: il Bambino Gesù di Roma, ma anche il Santobono di Napoli, il Gaslini di Genova, il Meyer di Firenze e così via. Facciamo rete per portare le istanze dell'area materno-infantile, che altrimenti si perdono in un mondo che rivolge sempre più l'attenzione ai problemi dell'anziano, giustamente.
  Abbiamo recentemente costituito una rete con gli IRCCS (istituti di ricovero e cura a carattere scientifico) pediatrici, più attenta agli aspetti della ricerca. Ci sono sei IRCCS pediatrici in Italia: tre generalisti (il Gaslini, il Bambino Gesù e noi di Trieste) e tre neuropsichiatri infantili (lo Stella Maris di Pisa, la Fondazione Medea che è su più sedi e l'associazione di Troina di Enna). Cominciamo a lavorare ancora una volta in rete per dare più forza.
  Faccio un'ultima riflessione sul concetto, a cui la collega accennava, non più di patologia, ma di fragilità. Io ho provato a riassumere in una formuletta che mi sono inventato il concetto di fragilità. La fragilità nasce dalla gravità della patologia sommata o addirittura moltiplicata per il contesto.
  Che cosa vuol dire «contesto»? Il contesto è economico, emotivo, relazionale, familiare, sociale per la presa in carico. È chiaro che, se ho un contesto familiare che mi consente economicamente di prendere in carico un disabile, la situazione è molto più facile di quella di un bambino che magari ha una famiglia che porta a casa 1.200 euro al mese e non sa neanche come affrontare il tema delle barriere architettoniche.
  Spostarsi sul concetto di fragilità e, quindi, ancora una volta l'apertura sul territorio, dove il territorio non è solamente un territorio sanitario ma è anche dei comuni, ci ha portati a sviluppare in Friuli-Venezia Giulia un progetto che vede fortemente coinvolti, non solamente tutte le aziende territoriali, ma anche i comuni. Le diapositive sono a vostra disposizione.
  Proprio recentemente abbiamo sottoscritto con i comuni della provincia, l'ex provincia di Trieste, e l'azienda territoriale, un accordo, proprio per la presa in carico dei bambini con le disabilità più ampie, che non sono solamente neuropsichiche.
  È uno dei primi esempi in cui effettivamente si riesce, coinvolgendo anche i pediatri di libera scelta e i medici di medicina generale, a fare una presa in carico complessiva. Ci credevo molto ed è un progetto di ricerca che si è poi realizzato sul territorio. Pag. 11
  Per concludere, voglio spendere due parole sul tema della legge di stabilità, che voi conoscete. Già nel 2016 e poi ancora nel 2017 è stato introdotto un concetto per cui le aziende ospedaliere e gli IRCCS che hanno una forbice costi-ricavi nel 2016 superiore al 10 per cento e nel 2017 superiore al 7 per cento devono andare in piano di rientro o di efficientamento.
  In effetti, è un tema che ci sta angosciando come area pediatrica, perché tutti gli ospedali pediatrici italiani in questo momento dovrebbero essere in piani di rientro, in quanto abbiamo dei costi e delle tariffe che effettivamente non fotografano i reali costi di un ospedale pediatrico. Pensate solamente all'esigenza di avere dei dispositivi medici che vanno dalla taglia XXS (un pretermine) fino al diciottenne di 100 chili e di un metro e 90 di altezza.
  Le tariffe molto spesso sono costruite sull'adulto. Tenete conto che abbiamo farmaci molto costosi. Tutte le procedure nel bambino vengono fatte in sedazione. Una risonanza magnetica nel bambino si fa in sedazione e nell'adulto no, quindi i tempi sono completamente diversi. Il bambino, per fortuna, ha il genitore a fianco in ospedale e questo comporta dei costi di accoglienza non banali.
  Pertanto, la riflessione che stiamo facendo è che forse non dobbiamo preoccuparci del costo degli ospedali pediatrici, ma piuttosto del sistema pediatria e, quindi, lavorare sulla frammentazione dell'offerta piuttosto che sui piani di rientro degli ospedali pediatrici che sono delle eccellenze nazionali e che rischiano di andare in asfissia.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il dottor Gianluigi Scannapieco.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  VENERA PADUA. Innanzitutto vi ringrazio, perché siete stati veloci ma molto esaustivi e molto efficaci nel comunicare qual è la situazione.
  Senza piaggeria, comincio dal Burlo. Io sono una pediatra e sono cresciuta al lavoro con il professor Palizzon. Per noi il Burlo era ed è...

  GIANLUIGI SCANNAPIECO, direttore Generale dell'Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) «Burlo Garofolo» di Trieste. Divinizzato.

  VENERA PADUA. È così, quindi non è piaggeria, ma è solo riconoscenza profonda per tanti di noi che lì sono cresciuti e si sono formati.
  È vero quello che diceva la dottoressa: vorrei trasferirmi a Trieste, perché purtroppo l'Italia non è Trieste. Di questo abbiamo l'amara consapevolezza, magari qualcuno di noi un po’ di più.
  Mi piacerebbe molto esportare questo modello e forse questo potrebbe essere il nostro impegno come Commissione. Io, peraltro, sono relatrice di questa parte di indagine che stiamo facendo. Potremmo portare a conoscenza le buone prassi del nostro Paese, che comunque è straordinario nella sua diversità. L'Italia è lunga, come diciamo sempre, e non c'è omogeneità di risposta, ma certamente è eccellente nella sua complessità. Io sono più che certa che il Burlo sarà più che contento di condividere queste buone prassi straordinarie. Abbiamo un percorso tracciato, quindi da lì si potrebbe, non dico cominciare, ma ricominciare.
  Ci sono delle eccellenze. Io conosco un po’ di più il Burlo, per motivi storici e affettivi, ma anche a Troina, per passare dal nord al sud, c'è una realtà preziosissima, un centro di ricerca straordinario che adesso però è un po’ in sofferenza, anche perché il suo fondatore, che è mancato in questi giorni, era molto avanti negli anni.
  Io sono stata a un convegno l'anno scorso sullo spettro autistico. La passione e l'energia di un ultranovantenne – non so se era quasi vicino ai cento – erano una cosa che ti sconvolgeva. Quando uno, come diceva la dottoressa poc'anzi, ha la passione, nonostante gli anni che sono passati, se è convinto e ama fare il suo lavoro e capisce il bisogno che c'è, anche se ha cento anni continua con la stessa forza e con la stessa Pag. 12determinazione, se il cervello l'accompagna.
  Ci sono delle eccellenze che vanno salvaguardate e sostenute, soprattutto in questo momento. Recupero il discorso del 13 per cento. Peraltro, io sono in Commissione Sanità, dove diciamo da tempo queste cose. La malattia psichiatrica, la disabilità in senso lato (sappiamo come interpretare il termine «disabilità») purtroppo a oggi è ancora poco attenzionata. Invece, sappiamo bene che così non dovrebbe essere, perché, come abbiamo avuto modo di dire anche in questa Commissione, sono quei famosi 1.000 giorni che determinano la vita della persona e, quindi, ci sta tutto dentro.
  Perciò, io non posso che ringraziare e condividere le vostre preoccupazioni, che sono quelle dell'accompagnare il bambino dalla fase evolutiva a quando diventa un adulto. Tuttavia, mi permetto di dire che nella legge sullo spettro autistico, della quale sono orgogliosamente relatrice, noi abbiamo previsto questo accompagnare, perché sappiamo tutti che il bambino non diventava mai un adulto autistico. Gli autistici scomparivano, a diciotto anni era come se non ci fossero più, perché venivano mascherati in qualche modo dal sistema nel quadro delle psicosi. Invece, la legge prevede l'accompagnamento e il passaggio nel momento in cui il bambino passa dalla neuropsichiatria infantile allo psichiatra. Non si può passare così sic et simpliciter, deve esserci un accompagnamento.

  RITA POTENA, direttore f.f. Unità operativa complessa tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva ASL RM2. È una battaglia dura.

  VENERA PADUA. È dura, lo capisco benissimo, però sta a tutti noi adesso agire.

  RITA POTENA, direttore f.f. Unità operativa complessa tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva ASL RM2. È dura perché alcune patologie non sono conosciute. Se lei va in Piemonte, l'autismo è all'interno del DSM e, quindi, c'è un nucleo (Arduino) che lavora su quello, mentre in molti DSM la patologia non è nota.
  Noi abbiamo fatto i protocolli di condivisione. Il diciassette-diciannovenne viene seguito con le risorse: io come TSMREE ho investito risorse. Tuttavia, è una battaglia culturale, che necessiterà di tempo. Proseguiranno gli altri, perché noi andremo in pensione.

  VENERA PADUA. Tuttavia, voglio dire che adesso abbiamo lo strumento.

  RITA POTENA, direttore f.f. Unità operativa complessa tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva ASL RM2. Assolutamente.

  VENERA PADUA. Io mi sono scandalizzata quando due anni fa casualmente ho saputo che nel corso di specializzazione di psichiatria (parliamo di medici all'ultimo anno) cominciano solo al quinto anno a parlare di spettro autistico. Si rischia che gli specialisti psichiatri non affrontino neanche la problematica.
  Comunque, io credo che la battaglia culturale sarà lunghissima. Starà a noi vigilare, come professionisti dell'ambito sanitario e come rappresentanti istituzionali, affinché queste cose vengano realizzate, proprio perché il «Burlo Garofolo» non sia una eccellenza, come deve essere per carità, ma questo patrimonio culturale possa essere condiviso e tutti i bambini che diventano uomini e donne possano fruire della stessa risposta sanitaria, che è prevista dal nostro Paese.
  Dobbiamo essere un po’ tutti vigili. Alcune cose sono state quantomeno attenzionate. Certamente dobbiamo lavorare di più. Forse anche da un punto di vista culturale bisognerà impegnarsi un po’ di più e forse anche la Commissione potrebbe essere d'aiuto – vi rivolgo un invito – proprio per portare in giro sul territorio, per far conoscere e per cercare alleanze maggiori, perché bisogna lavorare in rete, con i medici di base, con i pediatri di base e naturalmente con l'ente locale, per costruire un percorso sociosanitario.
  Io sto lavorando molto nella mia regione, che, come si capisce, è la Sicilia. Noi siamo bravi e siamo stati antesignani per Pag. 13certi aspetti. Pensi che noi, ancor prima della legge sullo spettro autistico, abbiamo messo uno 0,1 per cento dedicato allo spettro. Tuttavia, quasi nessuna ASL ha utilizzato queste somme. Bisogna essere molto vigili affinché le cose si applichino e si concretizzino, perché il pensiero c'è, la ratio c'è, ma poi l'attuazione diventa difficile.
  Peraltro, ci sono molte realtà come le CTA (comunità terapeutiche assistite) private – io non ho nulla contro il privato, ma preferisco assolutamente il pubblico – dove si spendono migliaia di euro al mese per assistere in maniera più che altro farmacologica i pazienti che nel frattempo sono diventati adulti, quando si potrebbe spendere molto di meno e dare la dignità alle persone facendo un progetto educativo fin da piccini e accompagnandoli nelle varie fasi.
  Io penso che noi possiamo accogliere il lavoro preziosissimo che voi ci avete donato oggi, ma sviluppando anche con la Commissione, se ci sarà disponibilità, un lavoro culturale, perché abbiamo gli strumenti, però bisogna che siano applicati e conosciuti in tutta Italia.

  FRANCESCO PRINA. Mi hanno chiamato dall'altra parte, però prima di andare via vorrei ringraziare i due specialisti per il loro apporto.
  Io ho capito le criticità: c'è la necessità di un osservatorio nazionale e regionale. Chiaramente ci sono i primi della classe che hanno già avviato i lavori.

  RITA POTENA, direttore f.f. Unità operativa complessa tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva ASL RM2. Sì, la Sicilia, infatti. Non sapevo fosse siciliana.

  VENERA PADUA. Ogni tanto primeggiamo.

  FRANCESCO PRINA. Ringrazio anche lei, che è del settore, della sua competenza. C'è la necessità di un osservatorio nazionale e regionale. Mancano i centri diurni e le comunità terapeutiche, nel senso che ce ne sono poche.

  RITA POTENA, direttore f.f. Unità operativa complessa tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva ASL RM2. Pochissime.

  FRANCESCO PRINA. Non ho capito – poi lasciate le relazioni, in modo che possiamo leggerle – l'incidenza dei disturbi specifici.
  Ho una curiosità, ma non da medico, perché io non sono medico. Su quel 13 per cento quanto incidono l'alcool e la droga?
  Inoltre, dato che ho seguito un carcerato quando ero sindaco, ho una domanda sulla mania di persecuzione. Io l'ho incontrata per la prima volta da ignorante rispetto ai sanitari, che invece mi spiegavano questo aspetto. È poca cosa?

  RITA POTENA, direttore f.f. Unità operativa complessa tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva ASL RM2. Io le ho citato i disturbi specifici, perché nel patrimonio della salute mentale e della psichiatria sembra una banalità. Il soggetto normodotato intelligente che legge lentamente e magari scrive anche peggio e viene bocciato a scuola ha un disturbo specifico di apprendimento. È un ragazzo intelligente; neanche lui sa perché, però non riesce a scrivere come gli altri o a leggere come gli altri. Dico questo banalmente per farvi capire come le cose diventano enormi partendo dal piccolo.
  Prima un bambino andava a scuola a sei anni. I bambini non appetiscono a imparare a leggere o a scrivere. Leggono e scrivono perché vogliono bene alla maestra. Parliamoci chiaro: a sei anni ci si accorge se ci sono disfunzioni. Loro si impegnano e non riescono. Il bambino non sa perché.
  Prima c'erano gli insegnanti che gli davano dello zuccone – io ho visto bambini bocciati cinque volte in prima elementare, perché non riuscivano a scrivere – oppure gli dà dello svogliato, perché l'insegnante o la mamma vedono un bambino intelligente, pronto, che capisce tutte le cose e poi quando va a scrivere fa dei pasticci immondi e dicono: «Ma allora tu sei...» Succede ancora, non ve ne stupite. Cominciavano Pag. 14 dei meccanismi punitivi su questo ragazzino. Chiaramente in queste situazioni un bambino, come si suol dire, o si deprime o diventa rabbioso, quindi o vado sulla depressione o sul disturbo reattivo.
  Attualmente, invece, questi bambini vengono diagnosticati subito. Si capisce subito che Luigino è un bambino intelligente, però quando va a scrivere fa dei pasticci incredibili. Non dipende da lui. Vengono avviati a una riabilitazione, però questi sono disturbi cronici. A uno che è guarito rimane una cicatrice: leggerà sempre più lentamente, quando sarà distratto farà una marea di errori. Sono soggetti a cui va riconosciuto che in alcuni contesti hanno bisogno di avere un trattamento più morbido affinché imparino, perché possono imparare.
  Questa è la legge n. 170. Sembra una banalità sulla salute mentale, ma io ho visto ragazzi con disturbi di apprendimento che hanno fatto un percorso fino alla delinquenza minorile, inaspriti dal non essere compresi dal mondo e sgridati. Capiamoci.
  Ora la legge n. 170 significa che lui ha diritto a un tempo più lungo per fare i compiti, magari a consultare il vocabolario, magari, se non sa fare i conti, a usare la calcolatrice, a una serie di accorgimenti e strumenti, che si chiamano «compensativi e dispensativi».
  Noi, come competenza TSMREE finiamo ai diciott'anni quindi deve andare all'università, perché può farla. Certamente non può fare lettere classiche, perché magari la glottologia... però può farla. Chi li certifica? Questo è un buco nel sistema sanitario, perché sicuramente non sono del DSM e sicuramente non sono disabili adulti, perché ai servizi per disabili adulti ci va la persona in situazione di handicap. È un buco.
  Glielo dico perché non è un problema grave, però nella vita soggettiva oppure nelle aspirazioni di un individuo...
  È la diagnosi il problema.

  FRANCESCO PRINA. La legge n.170 non prevede la riserva nei concorsi? Credo che sia prevista.

  RITA POTENA, direttore f.f. Unità operativa complessa tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva ASL RM2. Tuttavia, il disturbo va certificato e quantificato con protocolli.
  Le rispondo sul problema dell'alcool e dell'abuso di sostanze. In base alla mia esperienza, nei disturbi psichiatrici dell'adolescenza c'è un uso al 60 per cento, anche occasionale, di sostanze a scopi auto-medicamentosi. Questo non li rende tossicodipendenti, però c'è un uso occasionale o un po’ più che occasionale. Allo stesso tempo, è assolutamente in aumento la fascia degli autolesionisti. Ormai un 30 per cento degli adolescenti che vengono al servizio si tagliano. Sono forse i modi di esprimere il disagio.
  Per quanto riguarda il sentirsi perseguitati, questa è una bella domanda. Quando è diagnosticato è un disturbo paranoico vero.
  Come posso spiegarmi in maniera facile? Io credo che la salute mentale sia un problema, non di qualità, ma di quantità. Lo dico brutalmente: io ho il mio nucleo ossessivo, il mio nucleo fobico e il mio nucleo persecutorio; se uno di questi nuclei prende il sopravvento, c'è la patologia. Ciascuno di noi ha la piccola abitudine mattutina che se non fa qualcosa non va bene.
  Lei può capire il pensiero, come quando uno si sente osservato o studiato. Quando io mi sento sempre osservato, studiato, perseguito, interpreto i segnali degli altri come un'attenzione negativa nei miei confronti, subentra il vero disturbo paranoideo, però qualche spuntino paranoideo ce l'abbiamo tutti. Vi è mai capitato di pensare: «Ma quello un po’ ce l'ha con me. Ogni volta che esco me lo trovo lì davanti»? La salute mentale è un insieme di piccoli nuclei, ma poi l'individuo funziona.
  I disturbi paranoidei sono diffusi. Nei disturbi psichiatrici adulti credo che non abbiano un'incidenza superiore a quelli... Degli elementi paranoidi, quando non è proprio la diagnosi psichiatrica, sono presenti in molte altre patologie. Spesso sono sentimenti d'insicurezza, sensi di colpa, violazioni della normativa, il sentire che si è un po’ perseguitati. Gli adolescenti un po’ Pag. 15tutti quando la combinano grossa cominciano a guardarsi intorno sospettosi.
  Mi aveva fatto una quarta domanda? Non me la ricordo più.

  PRESIDENTE. Io vorrei fare altre due domande, la prima alla dottoressa. Lei diceva che praticamente c'è questa esigenza di considerare in maniera tempestiva i disturbi che insorgono nella primissima età. In parte già dava un po’ di informazioni rispondendo alla domanda dell'onorevole Prina.
  A proposito dei disturbi dell'apprendimento che sono stati individuati come tali dalla legge n.170, non crede che il numero alto che ora abbiamo – siamo arrivati a 170.000 casi – possa in qualche modo aver reso evidente che forse è eccessiva la categorizzazione come disturbi di un qualcosa che lei prima accennava.
  Io ero una semplice maestra di scuola elementare prima di essere eletta in questa legislatura e, quindi, so bene cosa significa prendere i bambini a cinque o a sei anni, che iniziano un percorso di apprendimento di letto-scrittura e abilità di calcolo. Credo che le modalità di apprendere, ovvero gli stili di apprendimento, siano veramente un'infinità. Per questo, le persone hanno dei veri e propri disturbi.
  Io credo che, al di là degli individui e, quindi, anche dei bambini che hanno delle difficoltà congenite che non si possono superare se non compensandoli o dispensandoli, ci possano essere stati dei riconoscimenti di difficoltà di apprendimento scolastico che, invece, con un intervento serio e ben fatto di didattica, di approccio diverso, di aiuto e di comprensione della causa di questi disturbi, anziché confluire nel ramo della neuropsichiatria infantile, sarebbero potute restare nell'ambito del rapporto insegnamento-apprendimento.
  Le dico questo perché abbiamo già avuto moltissimi casi in cui bambini diagnosticati hanno chiesto di poter togliere quella certificazione a seguito di diversi percorsi fatti, che hanno dimostrato la loro possibilità di essere aiutati, ma non categorizzati, non inseriti in qualcosa che blocca. Questa è una domanda.
  L'altra domanda riguarda il discorso – a me è piaciuto moltissimo quello che lei diceva – degli psicofarmaci con un progetto. Sono veramente grata di tutta la sua esperienza che lei ha riportato a questa Commissione e mi dispiace che manchi il personale per poter andare avanti e trasmettere. Questa è veramente una cosa preoccupante.
  Tuttavia, mi viene da pensare che tanti altri centri di neuropsichiatria infantile non hanno, ahimè, tutta la sua accortezza e spesso accadono casi di bambini a cui vengono somministrati psicofarmaci, prescritti o meno, purtroppo, all'interno delle comunità di accoglienza.
  I bambini, come si diceva prima, sono degli esseri deboli, fragili, non hanno una strutturazione della personalità e, quindi, una capacità di resistere e di reagire in maniera controllata alle loro frustrazioni, alle loro condizioni di stress e quant'altro vivono. È chiaro che, in condizioni di disagio e di difficoltà familiare e sociale, a seguito di trattamenti vari con assistenti sociali che intervengono più o meno adeguatamente all'interno di dinamiche familiari complesse, entrano in crisi.
  Come si diceva prima, ci sono adolescenti che hanno comportamenti dirompenti. Non tutti gli adolescenti sono maturi al punto da avere un autocontrollo. I comportamenti dirompenti sono di reazione. L'adulto a volte li fronteggia utilizzando, ahimè, in maniera forse indiscriminata gli psicofarmaci.
  L'ultima domanda, che invece è rivolta al dottor Gianluigi Scannapieco, riguarda la disabilità. Innanzitutto la ringrazio per la sua relazione, a nome mio e di tutta la Commissione. Mi ha colpito molto il dato sui disturbi neuropsichiatrici in aumento dai quindici ai diciannove anni – e credo che a questo proposito una riflessione sulla nostra società ad ampio raggio andrebbe fatta – e sulla disabilità che resta costante.
  Vorrei capire i dati della costanza a cosa sono riferiti, che tipo di ricerca è stata fatta e su che basi, perché precedentemente alla legge n.170, per esempio, alcune disabilità non erano previste.

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  RITA POTENA, direttore f.f. Unità operativa complessa tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva ASL RM2. Io rispondo al primo quesito. Io non sono un insegnante, né so di didattica, ma credo che un bambino senza problemi impari, come diceva Collodi, a leggere, a scrivere e a far di conto esponendolo semplicemente. Impara da solo. Quando esiste un minimo problema, necessita di una cosa che si chiama «competenza didattica», che significa ricercare la strategia affinché quel bambino impari. Io credo che lei sappia che le ultime due o tre riforme della scuola di didattica non parlano più. O sbaglio? Di conseguenza, i servizi territoriali si ritrovano a dicembre con una percentuale di segnalazioni della prima elementare che in alcune classi di Roma sfiora il 25 per cento, dato assolutamente inaccettabile sulla base di un'epidemiologia nazionale.
  È chiaro che io sono una neuropsichiatra, ma sono anche una persona e, quindi, mi rendo conto che in una scuola multi-problematica di quartiere con 25 minori, di cui sette stranieri, quattro figli di separati e due autistici, questi insegnanti stanno messi male dal punto di vista didattico e sollecitano aiuti sanitari in casi in cui gli aiuti sanitari sono la maniera sbagliata per risolvere un problema giusto.
  Lo dico con amarezza, senza nessuna connotazione politica. Io ho smesso di fare politica quando mi sono iscritta a neuropsichiatra infantile, pensando: «Chi ha scelto di stare dalla parte dei bambini con problemi fa politica in senso antropologico, ogni volta che vince la battaglia per la democrazia. Punto».
  Di fatto, però – le ripeto – la riforma della scuola ha scippato un patrimonio di democrazia allo Stato italiano. La scuola è sensibilmente peggiorata, come tempi e come spazi. Nella scuola pubblica ormai ci sono classi pollaio, dove già se tornano vivi la sera a casa basta. Se io ho 25 bambini e oggi me ne portano cinque di un'altra classe, arriviamo a 30, in classi di sei metri per quattro.
  Sento dire: «La scuola deve stare aperta anche l'estate». La mia idea di donna non certo nata con la camicia è di dire: «Mandateci voi i vostri figli a scuola in una classe assolata, senza aria condizionata, di sei metri per quattro». In Inghilterra, dove ci sono il campus, la piscina, i prati, lo manderei anche a luglio, ma perché volete mettere il mio povero figlio in quel carnaio? Perché dovete fare i fustigatori delle insegnanti? Abbiamo presente cosa sono le classi italiane. Mia sorella è stata insegnante per 41 anni e sei mesi. A maggio cominciavano a litigare tra colleghi il pomeriggio per chi aveva la classe più fresca.
  È vero: c'è una sovra-segnalazione. C'è una pressione enorme da parte degli insegnanti per sollecitare certificazioni sanitarie per ottenere integrazioni di risorse, che non sono una risposta giusta. Io lo capisco, perché vedo la situazione.
  Allo stesso tempo, ritengo sempre più complicato pensare che l'azione dei servizi venga sostituita con il medico dell'INPS, che taglia le risorse sul disabile, secondo me con effetti catastrofici.
  Se io vado nella scuola di Onano, dove sono più o meno 800 da 200 anni, tutti alcoolizzati – lì ci ho lavorato – succede che in una classe di cinque bambini – ma sarà così anche nel Veneto – se c'è un disabile ha le stesse risorse del bambino sano.
  Il problema è che il bambino, anche disabile, è un bambino reale, inserito in un contesto reale. Le risorse vengono erogate su progetti e non sulla patologia. A me sembra una reificazione dei soggetti. Il bambino non è una categoria nosografica, un bambino è un soggetto reale e vive in un contesto reale, quindi io devo fare una progettazione, valutando se la classe è di 24 o 18, se è a tempo pieno, qual è il modulo, se sta in montagna, se sta al mare (diciamoci tutto).
  Questa sostituzione secondo la gravità, tra l'altro, causerà un'emorragia economica allo Stato. Non risparmierà nessuno, perché io darò le stesse risorse al bambino nella classe di cinque bambini.
  Io sono nata a Capracotta. Ci sono sei bambini in tutta la scuola elementare e ce n'è uno che ha un'emiparesi. Io quello a Capracotta lo lascerei proprio tranquillo, anche perché spesso noi non abbiamo insegnanti Pag. 17 specializzati di sostegno, come lei sa. Gli insegnanti di sostegno non sanno tenere una classe, non sono esperti di didattica e non sono esperti di neurosviluppo. L'unica cosa che sanno fare – non tutti – è mettersi alle spalle del povero disabile segnalandolo come soggetto che ha il sostegno.
  La sovra-segnalazione c'è. Ormai c'è anche una scuola superiore – a volte nella scuola superiore il ragazzo s'annoia – che dice: «Vatti a fare un giro ai servizi. Può darsi che hai un disturbo dell'apprendimento». Io sono d'accordo con lei.
  Non mi risulta che ci sia una sovra-certificazione. Io sono un direttore di unità operativa complessa (UOC) di una ASL, ma non le posso parlare di tutto il mondo. Noi cerchiamo di fare dei protocolli regolari, però poi ci sono alcuni genitori che vanno a fare costosissime valutazioni da 500 euro con prodotti di 50 pagine, in 45 delle quali ti spiegano il test e poi ci sono due righe a pagamento. Lei non sa che sta sorgendo un ricco mercato privato, che bisognerebbe calmierare. Questa è la prima richiesta.
  Per quanto riguarda l'intervento farmacologico, io non le so dire. Lei dice che il bambino è fragile. Il bambino è fragile, ma è anche molto potente, perché il bambino, al di là di tutte le mediazioni di parole, va al cuore vero della relazione, quindi sa esattamente quello che deve fare per darle fastidio in quel momento. Chi meglio del bambino?
  Grimaldi li chiamava «i bambini-mente». Non è un caso che una mamma ossessionata dalla pulizia ha il figlio encopretico, quella ossessionata dall'alimentazione ha il bambino che non mangia. Il bambino sa colpire al cuore benissimo. È il mestiere suo, perché vive ancora con l'attenzione sull'adulto.
  Io personalmente non ho in mente situazioni di farmaci dati per vissuto personale. Di fatto, se c'è...

  PRESIDENTE. Purtroppo, abbiamo avuto molte segnalazioni, di farmaci prescritti e, quindi, abbiamo avuto anche chiarezza che erano stati prescritti...

  RITA POTENA, direttore f.f. Unità operativa complessa tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva ASL RM2. Se capitano nella Roma 2 mi faccia sapere.

  PRESIDENTE. Ci sono stati segnalati anche casi in cui un farmaco che era stato prescritto per un bambino all'occorrenza veniva dato ad altri.

  RITA POTENA, direttore f.f. Unità operativa complessa tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva ASL RM2. Questo è illegale però, badi bene. Il collega mi aiuta. Una prescrizione va condivisa con il genitore e va autorizzata. Io ho tanto di protocolli sull'autorizzazione e il consenso informato, che tra l'altro viene chiesto di volta in volta. Se non viene dato da medici, ma dagli operatori, è un reato, badi bene.
  Che posso dirle? Tutti vigiliamo su questo. Noi personalmente abbiamo una filosofia farmacologica secondo cui il farmaco è la sedia che mi aiuta a prendere il libro sulla libreria, mi aiuta nel reversal, mi aiuta la modificazione mentre io metto in atto un progetto condiviso che mi aiuta a modificarmi. Senza di esso non ce la fa a volte il ragazzino, però non sono farmaci pensati per essere dati per sempre. Io parlo sempre di psicopatologia. Sono farmaci transitori che vengono rivisti.
  Per quanto riguarda questi abusi, dovete segnalarli. Non vedo altra strada. Il fatto che io ti do le pillole di Pierino è reato. Stiamo proprio in un campo che non si può fare, è una pratica assolutamente illegale.

  GIANLUIGI SCANNAPIECO, direttore generale dell'Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) «Burlo Garofolo» di Trieste. Il tema a cui ci ricolleghiamo è sempre lo stesso: molto del disagio dell'infanzia e dell'adolescenza non nasce da problemi sanitari e non trova soluzioni sanitarie. Lo abbiamo definito più volte e immagino che anche altri che sono venuti in questa sede lo abbiano fatto.
  Purtroppo, spesso si cerca una risposta sanitaria a un problema che sanitario non è, evidentemente, perché alcune patologie sono francamente psichiatriche, però la Pag. 18grande maggioranza sono patologie che hanno un confine sfumato, come diceva la collega, fra il disturbo controllato che ciascuno di noi riesce a gestire e il disturbo che ti controlla, che è un po’ simile a quello che avviene anche per la dipendenza da alcool, da stupefacenti e così via. È un confine sfumato a cui tutti ci avviciniamo prima o poi; alcuni superano la soglia e altri no.
  Il tema è proprio questo: molto spesso non c'è alternativa alla risposta sanitaria e la risposta sanitaria può essere brutale, perché spesso è il farmaco, che in alcuni casi serve per accompagnare, un po’ come la tachipirina per la febbre, cioè gestisce una situazione che mi consente nel frattempo di intervenire col farmaco o con l'approccio corretto. Se, viceversa, io gestisco il sintomo e non gestisco il problema, alla fine apparentemente lo tolgo, ma sotto il problema continua a crescere.
  Il dato epidemiologico è un dato complesso, perché questo tipo di analisi riguarda un po’ tutti i Paesi (sono 130) e il confronto è molto articolato. Non entro nella metodologia. Quello che emerge chiaramente è che il nostro è un Paese in cui le risposte sanitarie sono estremamente efficaci di fronte ai problemi che nascono come sanitari. Far sopravvivere un bambino di 700 grammi evidentemente non è un problema psicologico – non entriamo nel bioetico, che è un altro tipo di discorso – ma è un problema di farmaci, competenze, professionalità e così via. Guarire, come avviene per fortuna oramai, il 75 per cento delle leucemie – mentre una volta, quando ho cominciato a fare il medico io, morivano tutti – è un tema specifico: ci vuole il farmaco giusto, ci vuole la ricerca, ci vuole il professionista in grado di farlo. Su questo siamo molto bravi e i dati lo dimostrano: noi abbiamo la mortalità infantile più bassa del mondo, anche omogeneamente distribuita, come avete visto in quei grafici scorsi un po’ velocemente.
  Abbiamo fatto anche interventi di prevenzione importanti. Mi riferisco ai vaccini, ma anche alle campagne di prevenzione. I nuovi LEA, per esempio, prevedono lo screening delle malattie metaboliche neonatali che va a intercettare. La diagnostica prenatale si sta affinando sempre di più.
  Dunque, per quanto riguarda le risposte sanitarie, le diamo abbastanza bene, nonostante i problemi del gradiente nord-sud (ma questo è un altro tipo di discorso); il problema vero è che molte di queste problematiche non nascono come sanitarie e non possono trovare una risposta sanitaria e, quindi, occorre integrazione. Una volta si diceva che l'integrazione deve essere fatta fra l'ospedale e il territorio, ma poi ci dimentichiamo che il territorio non è rappresentato solamente dai distretti, dai medici di medicina generale e dai pediatri, ma è rappresentato anche dalle scuole, dai comuni e da chi deve programmare una risposta d'intervento anche economico di assistenza.
  I problemi si risolvono anche nell'industria. Se il problema vero oggi è l'obesità, non lo gestiamo semplicemente dando la dieta, ma probabilmente anche andando a intercettare alcune politiche di produzione industriale per cui, come hanno fatto negli Stati Uniti, penalizzo le bevande zuccherate rispetto a quelle non zuccherate, rendendo più appetibile un certo tipo di mercato.
  In questo senso, la trasversalità deve essere molto ampia, ed è questo il motivo per cui gli ospedali pediatrici che hanno ancora adesso al loro interno le competenze specialistiche di alto livello – e non parlo solo di psichiatria – devono aprirsi e devono rappresentare dei punti di riferimento, ma non il punto in cui io segrego il bambino e lo rendo perfetto. Altrimenti, una volta tornato fuori, ricominciamo con quei meccanismi di ritorni frequenti che non portano da nessuna parte.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri auditi, la dottoressa Rita Potena e il dottor Gianluigi Scannapieco, e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.

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ALLEGATO 1

Documentazione presentata dalla dottoressa Rita Potena

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ALLEGATO 2

Documentazione presentata
dal dottor Gianluigi Scannapieco

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