XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 30 di Martedì 19 settembre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori.
Zampa Sandra , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SALUTE PSICOFISICA DEI MINORI

Audizione di Alberto Villani, presidente della Società italiana di pediatria (SIP) e di Maria Luisa Scattoni, ricercatrice dell'Istituto superiore di sanità (ISS), presso il Servizio di coordinamento e supporto alla ricerca (CORI).
Zampa Sandra , Presidente ... 3 
Villani Alberto , Presidente della Società Italiana di Pediatria (SIP) ... 3 
Zampa Sandra , Presidente ... 5 
Scattoni Maria Luisa , ricercatrice dell'Istituto superiore di sanità (ISS), presso il Servizio di coordinamento e supporto alla ricerca (CORI) ... 5 
Romanini Giuseppe (PD)  ... 6 
Scattoni Maria Luisa , ricercatrice dell'Istituto superiore di sanità (ISS), presso il Servizio di coordinamento e supporto alla ricerca (CORI) ... 6 
Romanini Giuseppe (PD)  ... 7 
Scattoni Maria Luisa , ricercatrice dell'Istituto superiore di sanità (ISS), presso il Servizio di coordinamento e supporto alla ricerca (CORI) ... 7 
Zampa Sandra , Presidente ... 8 
Padua Venera  ... 8 
Zampa Sandra , Presidente ... 9 
Mattesini Donella  ... 9 
Zampa Sandra , Presidente ... 10 
Villani Alberto , presidente della Società Italiana di Pediatria (SIP) ... 10 
Scattoni Maria Luisa , ricercatrice dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS), presso il Servizio di coordinamento e supporto alla ricerca (CORI) ... 11 
Villani Alberto , presidente della Società Italiana di Pediatria (SIP) ... 12 
Prina Francesco (PD)  ... 12 
Villani Alberto , presidente della Società Italiana di Pediatria (SIP) ... 12 
Romanini Giuseppe (PD)  ... 12 
Villani Alberto , presidente della Società Italiana di Pediatria (SIP) ... 12 
Mattesini Donella  ... 13 
Villani Alberto , presidente della Società Italiana di Pediatria (SIP) ... 13 
Romanini Giuseppe (PD)  ... 14 
Villani Alberto , presidente della Società Italiana di Pediatria (SIP) ... 14 
Romanini Giuseppe (PD)  ... 14 
Villani Alberto , presidente della Società Italiana di Pediatria (SIP) ... 14 
Prina Francesco (PD)  ... 14 
Villani Alberto , Presidente della Società Italiana di Pediatria (SIP) ... 14 
Padua Venera  ... 15 
Villani Alberto , presidente della Società Italiana di Pediatria (SIP) ... 15 
Zampa Sandra , Presidente ... 15 

ALLEGATO: Documentazione prodotta dalla Società italiana di pediatria ... 16

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE
SANDRA ZAMPA

  La seduta comincia alle 13.45.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione di Alberto Villani, presidente della Società italiana di pediatria (SIP) e di Maria Luisa Scattoni, ricercatrice dell'Istituto superiore di sanità (ISS), presso il Servizio di coordinamento e supporto alla ricerca (CORI).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla tutela della salute psicofisica dei minori, l'audizione di Alberto Villani, presidente della Società italiana di pediatria (SIP), e di Maria Luisa Scattoni, ricercatrice dell'Istituto superiore di sanità (ISS) presso il Servizio di coordinamento e supporto alla ricerca (CORI).
  Saluto il professor Villani e la dottoressa Scattoni. Noi siamo molto lieti di questo incontro e molto interessati a sentire quello che avete da comunicare da osservatori particolarmente importanti e prestigiosi.
  Io darei subito inizio all'audizione, tenendo conto che partiamo con quindici minuti di ritardo. Credo siate informati che la vostra audizione rientra nel contesto di una complessa e molto lunga indagine conoscitiva sulla salute psicofisica dei minori, che sta cominciando ad avviarsi alla conclusione. In questo contesto ovviamente è di grande importanza il punto di vista del presidente della Società italiana di pediatria, il professor Villani, e naturalmente del prestigioso Istituto superiore di sanità nella persona della dottoressa Maria Luisa Scattoni.
  Io vi chiederei uno sforzo, perché per noi è molto importante poter fare eventualmente domande. Nella fase delle domande avrete la possibilità di tornare su quello che avreste voluto dire nell'eventualità che non abbiate fatto in tempo a dirlo. Vi chiedo di concentrare i vostri interventi in dieci o quindici minuti, in modo che ci sia la possibilità di una vostra replica alle domande.
  Do la parola al professor Villani per lo svolgimento della sua relazione.

  ALBERTO VILLANI, Presidente della Società Italiana di Pediatria (SIP). Buongiorno e grazie molte per questa opportunità. Io mi chiamo Alberto Villani e sono il presidente della Società italiana di pediatria, che conta circa 10.000 pediatri come soci su un totale di 12.500. Raccogliamo pediatri universitari, ospedalieri e del territorio.
  Ovviamente come pediatri viviamo molto questo problema, che è di grandissimo interesse. Pongo all'attenzione – probabilmente la Commissione ne è già bene informata – alcuni punti che forse sono di particolare rilievo.
  Iniziamo, per esempio, con la situazione degli ospedali. Qual è la possibilità di accogliere bambini con problemi di salute psicofisica importanti? È una situazione molto carente. In realtà, ci sono delle esigenze Pag. 4 che sono decisamente superiori alle possibilità di offerta.
  Come sempre accade purtroppo nel nostro lungo Paese, vi sono delle realtà centro-settentrionali meno sfortunate e il Meridione che, invece, purtroppo vive delle condizioni estremamente difficoltose. Questo è ciò che riguarda i pazienti gravi, cioè quelli che devono accedere per fascia d'età soprattutto in ambito pediatrico.
  Io lavoro come primario di pediatria generale e malattie infettive presso l'ospedale Bambino Gesù, che è un policlinico pediatrico. Abbiamo un grossissimo problema di posti letto, che chiaramente riesce a essere soddisfatto per quanto riguarda i pazienti più gravi, però sempre rientrando in questo ambito di disturbo, per esempio, le ragazze anoressiche, nella gran parte dei casi devono trovare collocazione in ambito pediatrico. Per carità, è giusto che stiano lì, perché molto spesso hanno anche necessità organiche purtroppo, ma non viene offerto loro il meglio.
  La situazione del territorio è ancora più lacunosa, nel senso che, laddove c'è la richiesta di assistenza, questa non può essere soddisfatta, perché come pediatri noi abbiamo il compito essenzialmente di cercare di intervenire. A questo proposito dobbiamo ringraziare moltissimo l'Istituto superiore di sanità, il Ministero della salute e tutto ciò che è istituzionale, che sta facendo un grandissimo lavoro anche in termini di formazione dei pediatri per identificare quanto più precocemente possibile i soggetti bisognevoli di interesse e cura.
  Il vero problema è che, quando e se questi soggetti vengono identificati, esiste un grandissimo imbuto. Mi scuso della brevissima divagazione, ma starò nei tempi. Questo vale purtroppo per tutte le situazioni di reale necessità. Effettivamente, laddove ci sono quelli che noi definiamo «bambini con necessità assistenziali complesse», c'è sempre un'enorme difficoltà nel trovare il modo di aiutare e assistere al meglio questi bambini.
  Faccio un altro breve inciso sul calo della natalità, che non vuol dire solo riduzione numerica. Anche se è un discorso eticamente non piacevole, c'è anche un calo della qualità dei bambini, proprio perché purtroppo sono sempre di più quelli che nascono prematuramente e sono sempre di più quelli che nascono con problemi. C'è la questione connessa alle gravidanze medicalmente assistite, perché ormai è ben evidente che c'è un'incidenza maggiore di bambini con problemi.
  Tornando all'argomento dell'audizione, dicevamo che il territorio di fatto è un imbuto, perché i servizi di psicologia clinica e di neuropsichiatria sono pochi, mal distribuiti, con pochissimo personale e non sono messi nelle condizioni di operare al meglio. Da una parte, c'è una grandissima richiesta e dall'altra... Chiaramente il mio è un discorso generale, ma poi andrebbe fatta una graduazione dell'importanza dell'intervento e della gravità. Fortunatamente l'Italia è un Paese che ancora riesce a garantire il soggetto molto grave, però non fa nulla per far sì che chi non è molto grave non lo diventi, perché non si riesce a intervenire in tempo. Dovremmo cercare di perfezionarci molto in questo.
  Un altro aspetto che va sottolineato è che, da un lato, per alcuni tipi di patologie c'è la segnalazione in termini epidemiologici di grandissimi numeri; dall'altro, però, c'è un problema che è rappresentato dai numeri concreti, per esempio la prescrizione di psicofarmaci in pediatria, che sono invece molto poco prescritti.
  Anche qui c'è da domandarsi se sono poco prescritti perché ci sono pochi bambini, oppure se questo può essere collegato anche a quello che ci dicevamo prima, ossia che, non essendoci servizi territoriali, coloro che ne hanno bisogno non accedono alle cure e, quindi, c'è una mancata prescrizione.
  Effettivamente – poi la dottoressa ne parlerà sicuramente in maniera più diffusa – c'è una sproporzione significativa tra quello che sembra essere realmente come epidemiologia e dei dati concreti che sono appunto quelli relativi alla prescrizione farmacologica.
  È un qualcosa che sicuramente a noi pediatri interessa moltissimo. Come pediatri, ci siamo anche resi conto di una cosa molto importante: in realtà – ed è un'accusa Pag. 5 a tutti e a nessuno – purtroppo c'è una grande disattenzione verso l'età evolutiva. Questo dispiace ancor più perché, non solo per la salute mentale ma anche per la salute globale, è ormai scientificamente dimostrato – e penso che persone come voi lo sappiano molto bene – che la gran parte dei giochi si fanno dall'inizio del concepimento ai primi due anni di vita (i famosi 1.000 giorni).
  Di conseguenza, questa disattenzione è doppiamente gravosa e colpevole da parte di tutti, perché di fatto noi in molte situazioni potremmo evitare – un termine che in pediatria sembrava folle fino a qualche anno fa – la cronicizzazione, che diventa una realtà, perché nasce – e dispiace dirlo – da una trascuratezza, quindi anche situazioni che sono borderline diventano poi delle situazioni impegnative. Pertanto, l'intervento precoce sarebbe auspicabile.
  Questo ovviamente richiede un'organizzazione che si rifà essenzialmente a una distribuzione migliore delle risorse. A tale proposito – mi scuso di questo, ma non è veramente nulla di corporativo nel senso più antipatico del termine – sottolineo che c'è uno scarsissimo ricambio dei pediatri. Penso che sappiate che ne vanno in pensione circa 1.000 l'anno e se ne formano 350, anche se stiamo chiedendo di formarne di più. Inoltre, ci sono delle lacune significative in termini di formazione e di numeri per quanto riguarda la neuropsichiatria e ci sono difficoltà ad accedere alla specialistica. Anche lauree che potrebbero rientrare perfettamente in questo ambito, quali psicologia e psicologia clinica, di fatto poi non hanno la possibilità di uno sviluppo formativo, nel senso che c'è la laurea, ma poi non ci sono le abilitazioni e i percorsi. Questo ovviamente rappresenta un grosso problema.
  Terminando, io credo che, da un lato, come parte sanitaria dobbiamo essere molto più attenti nel classificare meglio le diverse situazioni, per evitare di fare un grosso pabulum, arrivando a stabilire le situazioni di gravità vera e a porre su queste moltissima attenzione, perché richiedono molta cura.
  Dall'altra parte, dobbiamo avere anche molta attenzione nella diagnosi precoce, perché è quella che in tempi medio-lunghi fa risparmiare.
  Io non mi dilungherei ulteriormente. In seguito, se ci sono altre domande, risponderò molto volentieri. Ho portato della documentazione solo a testimonianza dell'interesse. Noi facciamo spesso delle indagini conoscitive. Ovviamente c'è sempre questo borderline tra un disagio socio-economico e culturale, quindi una povertà che diventa anche di salute, e il suo sfociare nella patologia.
  Purtroppo troppi studi sono stati fatti, che voi conoscete, che mostrano che diventa vecchio e in salute chi è ricco e istruito, mentre non arriva a esserlo chi è più sfortunato. Sono temi fortemente connessi con il sociale, ma chi più di voi, che fate questo mestiere, è sensibile al sociale?

  PRESIDENTE. Vorrei informare i colleghi che il professor Villani ha lasciato la sintesi di un'indagine conoscitiva che è stata fatta sugli adolescenti, il comunicato e il materiale intero. Ringrazio il professore anche per la sua capacità di sintesi.
  Do la parola alla dottoressa Scattoni per lo svolgimento della sua relazione.

  MARIA LUISA SCATTONI, ricercatrice dell'Istituto superiore di sanità (ISS), presso il Servizio di coordinamento e supporto alla ricerca (CORI). Ovviamente il mio intervento, essendo la coordinatrice dell'Osservatorio nazionale per il monitoraggio dei disturbi dello spettro autistico e del Network italiano per il riconoscimento precoce dei disturbi dello spettro autistico, sarà molto limitato a questo tipo di disturbi.
  Questa è l'unica diapositiva che ho ed è in inglese. Mi scuserete, ma non abbiamo purtroppo – questo è un altro elemento – dati italiani del genere. I disturbi dello spettro autistico affliggono – questo è un dato americano – un bambino su 68. Abbiamo un rapporto di cinque a uno tra i maschi e le femmine.
  Come vedete, il costo stimato varia tra 1,4 milioni di dollari e 2,4 e dipende dalla circostanza che il bambino o la persona Pag. 6con autismo abbia o meno una disabilità intellettiva associata. Un terzo delle persone non è verbale.
  Quello che mi preme precisare è che solo l'1 per cento dei fondi destinati alla ricerca a livello internazionale è dedicato ai problemi legati all'arco di vita. Molto spesso sono sulla genetica, sull'impatto ambientale sui bambini e anche molto sulla diagnosi precoce, ma resta tutto lì.
  Essendo un serio problema di sanità pubblica, ovviamente l'Istituto superiore di sanità, come organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale, è chiamato a rispondere a questo tipo di emergenza con i compiti a lui attribuiti.
  Da poco è stato istituito l'Osservatorio nazionale, grazie a dei fondi della Direzione generale della prevenzione sanitaria del Ministero della salute, per rispondere principalmente a due problematiche. La prima è che non abbiamo una stima di prevalenza in Italia dei disturbi dello spettro autistico. Si hanno solo dati relativi al sistema informativo del Piemonte e dell'Emilia-Romagna, quindi solo due regioni in Italia hanno un sistema informativo in cui è possibile raccogliere dati su questo tipo di disturbo in età evolutiva.
  Lo studio di prevalenza in Italia è tutt'oggi un progetto di ricerca. Lo stiamo effettuando in tre aree rappresentative del territorio italiano nella fascia 7-9 anni: Lecco-Monza-Brianza per il nord, Roma per il centro e Palermo e provincia per il sud.
  Non mi dilungo molto, perché vi lascio le diapositive. Sono questioni di carattere metodologico. La cosa importante è vedere i numeri. Lo studio di prevalenza che stiamo effettuando ha una prima attività dedicata alla misurazione delle persone che hanno una certificazione con disturbo dello spettro autistico consegnata all'ufficio scolastico regionale, che sono le certificazioni che servono per assegnare un sostegno. Come vedete, già abbiamo in queste aree, solo con le certificazioni, una stima di uno a 149 in Lecco-Monza-Brianza, che si alza molto a Roma e provincia e a Palermo e provincia, rispettivamente uno su 94 e uno su 98.
  Attualmente siamo entrati nelle scuole, abbiamo consegnato un questionario di screening e siamo nella fase di valutazione diagnostica. Nel febbraio del 2018 è stimata la consegna del report finale al Ministero della salute.
  Avremo questa stima di prevalenza, che – lo ricordo – è fondamentale per una corretta pianificazione e l'adeguamento dei servizi alle esigenze delle persone con disturbi dello spettro autistico. Infatti, fare delle stime su dei dati provenienti da altri Paesi non è molto sensato. Questo studio fa parte di un grande progetto europeo, quindi avremo una stima di prevalenza, non solo in Italia, ma anche in altre dodici nazioni europee.
  Quello su cui mi preme focalizzare l'attenzione è che in Italia attualmente non esiste un sistema informativo nazionale per le patologie dell'età evolutiva. Abbiamo un sistema informativo per la salute mentale, ma non per quanto riguarda le patologie dell'età evolutiva.
  Questa è una grande carenza, perché magari avremo sempre il fiorire di registri dedicati a una singola patologia, mentre forse sarebbe più rilevante mettere in piedi un sistema informativo che serva a tutti, dai pediatri agli psicologi, dai neuropsichiatri infantili fino agli psichiatri.
  Fondamentale è anche promuovere delle politiche a più livelli, sanitarie, educative e sociali, che siano diffuse, standardizzate e armonizzate su tutto il territorio, non solo europeo, ma anche regionale. Non sto a dire a voi che le regioni hanno un'autonomia.
  Attualmente stiamo facendo anche un altro calcolo, grazie al questionario sviluppato da Martin Knapp: il calcolo dell'impatto socio-economico del disturbo. Si tratta di calcolare l'impatto a livello familiare di avere in carico una persona con autismo in tutto l'arco di vita.
  I costi stimati attualmente, come vi ho detto prima, vanno da 1,4 a 2,4 milioni.

  GIUSEPPE ROMANINI. Per singolo caso?

  MARIA LUISA SCATTONI, ricercatrice dell'Istituto superiore di sanità (ISS), presso Pag. 7il Servizio di coordinamento e supporto alla ricerca (CORI). Per singolo caso in tutto l'arco di vita. Purtroppo, il dato sembra alto, ma...

  GIUSEPPE ROMANINI. Mi ridice la cifra?

  MARIA LUISA SCATTONI, ricercatrice dell'Istituto superiore di sanità (ISS), presso il Servizio di coordinamento e supporto alla ricerca (CORI). Da 1,4 quando non c'è la disabilità intellettiva, a 2,4 quando c'è la disabilità intellettiva. Questo è un dato recentissimo, perché è appena uscito nel 2017.
  Un'altra cosa che mi preme rilevare – il presidente Villani mi ha anticipato e ha «alzato la palla» – è l'importanza della diagnosi precoce, perché l'intervento precoce, sfruttando la neuro-plasticità cerebrale dei primi anni di vita, è quello che è parso influire positivamente sulla prognosi di bambini e ovviamente sulla qualità della vita delle loro famiglie.
  Questo è un dato che è uscito proprio qualche giorno fa e che rileva come i bambini su cui si è intervenuti molto precocemente rispetto a quelli che hanno avuto una diagnosi e un intervento più tardivi hanno avuto accesso a un maggior numero di interventi, a un migliore livello verbale di apprendimento in età scolare, a una maggiore probabilità di frequentare la scuola statale (purtroppo, nel mondo esistono ancora le scuole speciali) e alla necessità di un sostegno meno costante in seguito. Capirete, quindi, la rilevanza.
  Quello su cui stiamo lavorando all'interno dell'osservatorio è costituire o consolidare dove è già presente la rete pediatria-neuropsichiatria infantile. Stiamo lavorando molto intensamente soprattutto con la SINPIA (Società italiana di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza), con la Società italiana di pediatria e con le altre associazioni coinvolte.
  C'è un quadro istituzionale di riferimento. Non lo leggo, perché ve lo lascio, però sono diverse le leggi in campo su questa tematica.
  Questa rilevazione che mostro della Federazione italiana medici pediatri, che è stata presentata la scorsa settimana alla Regione Lombardia, indica come sia presente un raccordo tra i pediatri e le neuropsichiatrie infantili. Infatti, loro dicono che c'è un invio, ma purtroppo solo nel 66 per cento dei casi (peraltro, solo in tre regioni e nella Provincia autonoma di Trento) c'è un raccordo formalizzato, ma quando si va a indagare si vede che i genitori effettuano la richiesta di una visita neuropsichiatrica da soli, quindi non c'è un vero raccordo, e solo una piccola percentuale è effettuata direttamente dall'ambulatorio del pediatra in spazi dedicati.
  Questa è un'indagine nazionale appena pubblicata dall'Istituto superiore di sanità e coordinata dalla dottoressa Venerosi, che mostra che il 70 per cento delle unità operative di neuropsichiatria infantile indicano un raccordo, però, come vedete, c'è un protocollo per una piccolissima percentuale, mentre per il resto è sempre un raccordo non formale.
  Questo è indicativo dell'evento, come lo chiamo io, «istituzionale». Guardate le forze che abbiamo messo in campo per costituire una vera sorveglianza dello sviluppo, che non è dedicata solo ai disturbi dello spettro autistico. Mi preme precisare che una necessità che abbiamo rilevato è quella di effettuare una sorveglianza dei disturbi del neuro-sviluppo. I pediatri, avendo i bilanci di salute, sono assolutamente i professionisti sanitari più indicati per fare questo tipo di osservazione e il cardine per il riconoscimento precoce. Questo è il network italiano.
  Un'altra cosa che mi preme precisare è la necessità di andare a monitorare delle popolazioni a rischio. Che cosa significa a rischio? Nelle famiglie dove c'è già un caso di autismo il secondo e il terzo fratello hanno una probabilità di avere essi stessi un disturbo del neuro-sviluppo pari al 18 per cento e addirittura al 40 per cento di avere comunque un disturbo del neuro-sviluppo. È, quindi, una popolazione ad alto rischio per una motivazione seria, come indicato dalle evidenze scientifiche.
  Recentemente, anche grazie a un altro finanziamento del Ministero della salute, stiamo effettuando il monitoraggio di altre Pag. 8due popolazioni ad alto rischio – anche su questo il presidente Villani mi ha anticipato – ovvero i prematuri e i piccoli per età gestazionali, che stiamo monitorando dai primi giorni ai tre anni di vita. Queste sono le unità operative già coinvolte e speriamo di diffondere il più possibile questo tipo di protocollo all'interno del territorio nazionale già a partire dalla gravidanza.
  Stiamo effettuando in regione Veneto un monitoraggio della popolazione generale, anche in questo caso grazie ai bilanci di salute. Stiamo dando un supporto e un'assistenza ai genitori, proprio perché è da loro che partono le prime osservazioni di una problematica. C'è un'implementazione all'interno della pratica professionale dei bilanci di salute di questo protocollo. È necessario assolutamente fare un percorso formativo regionale, ma anche nazionale.
  Termino con una problematica non indifferente. Occuparsi dei bambini va benissimo, però non è da tralasciare l'adolescenza, perché il bambino trattato su cui si interviene molto spesso, purtroppo, arrivato ai 6-7-8 anni viene lasciato stare senza un intervento appropriato. È necessario occuparsi della transizione.
  Tutte le linee guida internazionali indicano la necessità di formare delle équipe di transizione, che coinvolgano il neuropsichiatra infantile e lo psichiatra, che si prendano cura entrambi a partire dai 14-15 anni della persona con autismo e l'accompagnino dall'adolescenza alla vita adulta.
  Sono molti i problemi legati all'adolescenza, in particolar modo nel caso delle persone con disturbi dello spettro autistico: grandi percentuali di comorbilità psichiatrica, dall'ansia alla depressione, dalla psicosi al bullismo. Non è da sottovalutare la probabilità di un grande uso di droghe e di sostanze d'abuso. Un occhio particolare va dato alla sessualità e all'impiego.
  Segnalo un position statement che ci è appena arrivato dall'Associazione nazionale genitori soggetti autistici Onlus (ANGSA) e dal Gruppo Asperger, che è stato consegnato al Ministero della salute, all'Istituto superiore di sanità e al Ministero del welfare. Indica i bisogni delle persone con autismo, legati alla transizione e alla vita adulta.
  È necessario anche in questo caso un dialogo tra i neuropsichiatri e le persone che si occupano della salute mentale.
  Finisco con il dire che andrebbero supportate anche le attività progettuali e lavorative, che attualmente in Italia partono dai genitori (infatti, come vedete, sono tutte associazioni, come l'Aut aut Modena Onlus e l'ANGSA), ma che devono assolutamente partire anche dal Governo.
  Ultima ma non ultima è la necessità di formazione a più livelli: rete curante ovviamente, rete educativa e formazione dei familiari.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa. La sua presentazione è stata molto interessante e anche molto efficace.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  VENERA PADUA. Innanzitutto vi ringrazio della brevità e della pienezza delle vostre relazioni, che sono state concise ma estremamente ricche di stimoli e di considerazioni, che peraltro abbiamo condiviso in questa Commissione, ma anche in Commissione Sanità con la senatrice Mattesini e con i relatori, che abbiamo incontrato anche noi in Commissione Sanità per altre problematiche.
  Purtroppo conosciamo tutti i dati presentati dal presidente e dalla dottoressa. Dottoressa, quello che lei ci ha appena detto in fondo è stato messo da noi in una norma, che secondo me è di straordinaria portata, perché c'è la diagnosi precoce, c'è la terapia da fare immediatamente in maniera intensiva ed estensiva, c'è il discorso di accompagnare, dal bambino all'adolescente fino all'adulto, l'inserimento nella fase lavorativa e il sostegno alla famiglia.
  Dunque, in teoria avremmo tutto scritto e l'abbiamo scritto con l'aiuto dei genitori, dell'ANGSA e di tanti professionisti, col vostro aiuto e col sostegno dell'associazionismo e dei portatori di interesse nel senso più nobile del termine.
  Il problema è tradurlo nella concretezza. Questa non è una lamentela, ma è un Pag. 9dovere che dobbiamo sentire forte tutti noi. Come sempre, ci sono alcune regioni – meno male – che sono straordinariamente attente e altre che non lo sono.
  Figuriamoci se io posso parlare di cifre, ma dobbiamo parlarne perché ne abbiamo il dovere. Non è vero che non spendiamo soldi, perché spendiamo da 1,4 milioni a 2,4 milioni di euro nell'arco della vita di una persona. In che modo queste somme potrebbero essere spese meglio se noi riuscissimo ad applicare la norma? Più che una domanda è una riflessione che pongo e che condivido con i colleghi e con chi ha la responsabilità – in questo momento ci siamo noi, quindi la responsabilità è nostra – di porla con molta forza.
  È vero il discorso delle regioni e dell'autonomia. Io vengo da un'altra Commissione, c'è l'inchiesta sul femminicidio che stiamo facendo al Senato. Anche in quel caso vediamo questa Italia così lunga, con questi provvedimenti così diversamente applicati. C'è l'autonomia regionale, ma su questo c'è una norma che comunque dà un quadro e delle linee guida che tutti dovrebbero seguire, proprio perché vogliamo aiutare questi bambini.
  Ringrazio il presidente di tutti noi pediatri per l'altra osservazione che ha fatto. Mi riferisco alla riflessione che tutti noi dobbiamo fare su ciò che è stato detto, ovvero sul discorso della scarsa natalità, ma anche sui problemi che questa natalità, magari a volte un po’ forzata, come sappiamo, o con i bambini a basso peso, può dare purtroppo nel prosieguo della vita.
  Io credo che anche questo sia un problema che dobbiamo porci e che dobbiamo attenzionare per vedere come meglio agire.
  Io condivido tutte queste vostre osservazioni, le vivo, le conosco. Penso che tutti noi le conosciamo, ma da un punto di vista professionale le vivo con molta forza e anche con molto pathos, perché vengo da una regione, che, come sempre dico, non è la Val d'Aosta – e si capisce – dove, per esempio, noi siamo stati antesignani. Non c'era stato bisogno neanche di una legge sullo spettro autistico. La Regione Sicilia da tanti anni ha stabilito che lo 0,1 per cento del fondo sanitario deve essere dedicato espressamente alle persone affette da spettro autistico, ma questi soldi non sono spesi. Io ho fatto interrogazioni, ho cercato di stimolare, di aiutare. Hai un obbligo di legge, sei stato antesignano, l'hai fatto prima degli altri e non lo applichi! È insopportabile.
  Penso che tutti noi dobbiamo fare una seria riflessione e accogliere quello che voi ci avete detto, che in parte più o meno conosciamo e a cui in parte abbiamo cercato di dare risposte, ma che purtroppo necessita ancora adesso di particolare attenzione.
  Io mi permetto di spezzare una lancia a favore dei pediatri, perché loro fanno la formazione, ma il problema è che inviano, fanno la diagnosi precoce e dopo non si ha come curare questi bambini perché mancano le figure professionali che devono farsene carico. Anche questo è stato risolto, perché adesso nei (LEA) livelli essenziali di assistenza c'è la soluzione, ma chi li applica? Sta a noi forse andare a verificare che tutto questo venga realizzato, perché di strumenti ce ne avremmo.

  PRESIDENTE. Io vorrei aggiungere una richiesta di approfondimento al professor Villani, che ha fatto un cenno in particolare alla neuropsichiatria infantile. È un dato che anche noi abbiamo rilevato. Le chiedo se può illustrare un po’ meglio cosa è accaduto e quali sono geograficamente i luoghi di sofferenza maggiore di questa situazione.

  DONELLA MATTESINI. Ringrazio i nostri ospiti, perché ci hanno dato davvero informazioni importanti e un bello stimolo.
  Voglio sottolineare quello che a me sembra sia venuto fuori, anche per capire se questo è il quadro. Su tale questione della salute dei minori, come dicevo prima, avremmo voluto, non dico segmentare, ma poter specializzare. Ad esempio, c'è una parte che manca completamente – non so se si farà in tempo a terminarla – che riguarda il tema dell'educazione all'affettività e la sicurezza nella sessualità, a proposito di percorso adolescenziale.
  Al di là delle singole questioni, quello che io condivido, se ho capito bene, e che Pag. 10soprattutto lei ci segnala, l'esigenza di una modalità per affrontare il tema senza spezzettarlo, ma pensando allo sviluppo di quel bambino che viene concepito e poi nasce, in modo non segmentato ma con una linea fluida.
  Ciò vuol dire lavorare, cioè trovare un metodo e, quindi, un'organizzazione del sistema sanitario (ospedali e territorio), ma c'è anche il tema dell'integrazione, perché occuparsi della crescita sana vuol dire occuparsi di istruzione, famiglia eccetera.
  Se questo è il punto, non so se nella vostra riflessione avete anche (perché agevolano tanto) dei suggerimenti rispetto alle leggi nazionali e anche a quelle regionali esistenti e sul perché non riusciamo a farle funzionare. Infatti, non ci stiamo inventando questa teoria adesso. Effettivamente, se non mettiamo in campo questo, sprechiamo risorse e vite. Sostanzialmente, quindi, anche da questo punto di vista vorremmo un aiuto.
  Dicevamo con la presidente Zampa e altri colleghi che, per esempio, una cosa su cui noi vorremmo lavorare è il poter fare la giornata del 20 novembre esattamente su che cosa significa programmare politiche integrate per la salute e per la vita dei minori e degli adolescenti. Vorremmo capire se questo è quanto anche lei diceva e se ha suggerimenti da dare.
  Le pongo una domanda specifica, perché abbiamo la necessità, oltre che di concludere l'indagine, anche di poter tradurre e cogliere le occasioni che abbiamo – siamo in fine legislatura e sto pensando alla legge di stabilità – per provare a portare a casa dei risultati.
  Una delle questioni che venivano poste concerneva la formazione numericamente insufficiente per i pediatri e come riusciamo a specializzare, non soltanto i pediatri ma anche altri medici. Abbiamo chiuso una parte di un'indagine sull'oncologia pediatrica e quello che viene fuori effettivamente è che c'è proprio una difficoltà degli oncologi ad avere questa formazione specifica.
  Su questo vi chiedo se magari ci potete dare delle risposte, anche eventualmente una piccola nota scritta, perché dovremmo provare a lavorarci anche in Commissione Sanità con il Ministero.
  Ringrazio anche la dottoressa, perché il tema dell'autismo ci mostra esattamente che agiamo per segmenti.
  Siccome è da poco entrata in vigore la legge delega sul contrasto alla povertà (L. 33 del 2017) – anche se al momento è stato emanato uno solo dei quattro decreti legislativi previsti – e siccome in questa legge c'è esattamente il metodo che si diceva, cioè è una legge che va interpretata e agìta in modo diverso, non in modo pietistico o di aiuto, ma come l'occasione di sostenere uno sviluppo, forse anche lì potremmo trovare dei percorsi da suggerire ai comuni.
  Vi chiedo anche su questo se condividete e se avete suggerimenti o indicazioni da offrirci, per riuscire a fare proposte concrete in questo scorcio di legislatura laddove possiamo.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  ALBERTO VILLANI, presidente della Società Italiana di Pediatria (SIP). Vi ringrazio molto della vostra attenzione.
  In neuropsichiatria le carenze purtroppo sono a macchia di leopardo, quindi è molto difficile stabilirle. Possiamo sicuramente fornire dei dati, che vi farò avere, sulla realtà, ma c'è anche un problema di accreditamento.
  Mi scuso di questa breve divagazione: il vero problema è l'informatizzazione. Come è stato giustamente detto – e mi riaggancio a quanto affermato dalla senatrice Padua e dalla senatrice Mattesini – il vero problema è quello di avere dei dati attendibili, e tutto questo passa attraverso l'informatizzazione. Peraltro, si sono fatti mille rivoli invece di fare un buon fiume, per cui abbiamo una rete delle malattie rare, che è qualcosa di prestigioso che il mondo ci invidia, e poi abbiamo, invece, delle realtà fatte di casistiche molto più consistenti di cui non si sa nulla.
  Probabilmente la vera soluzione sta in questo, cioè nell'informatizzazione di tutto il sistema che da questo passa, anche perché ogni volta il vero problema è avere dati. Pag. 11
  Perdonatemi la franchezza, ma è paradossale che noi società scientifiche dobbiamo fornire al Ministero dei dati che dovrebbero essere invece centralizzati. Il flusso dovrebbe essere inverso; questo, se uno ci pensa, è un po’ un paradosso. Tuttavia, chiaramente noi ci stiamo attrezzando per questo, perché ci rendiamo conto che in tante situazioni quello che serve sono i numeri, proprio per aiutare la politica buona a darci una mano. Sottolineo quindi l'informatizzazione e l'accreditamento.
  Ci si chiedeva che cosa fare. La senatrice Mattesini ha messo veramente il dito, più che nella piaga, nella marmellata. Sono anni che noi pediatri ci stiamo battendo per un impegno nel sociale. Ci siamo resi conto benissimo che non basta più occuparsi della malattia, quello è veramente il minimo. Onestamente e senza presunzione, la pediatria italiana ha dei numeri (la più bassa mortalità neonatale e una lunghezza della vita) che penso siano meriti oggettivi. Non c'è da discutere su questo, anche se si potrebbe fare molto meglio.
  Riporto la testimonianza dell'oncologia pediatrica. Perché un bambino di dodici anni seguito in oncologia dell'adulto ha un'aspettativa di vita e di guarigione nettamente inferiore rispetto a un bambino seguito dall'oncologo pediatra? Perché l'altro tema fondamentale è la specificità della pediatria. La pediatria – anche in questo caso non sono corporativista – è una branca a parte, non è una branca d'organo. Inoltre, da medicina di una fascia d'età è diventata la medicina della vita, perché quello che io sono a 60 anni lo debbo a quello che mi è successo nei primi 1.000 giorni di vita, tutto il resto incide ma relativamente. Sembra paradossale, ma è così.
  Abbiamo parlato dell'informatizzazione e dell'integrazione, ma il punto vero è la connessione con tutti gli altri mondi. Ovviamente quello più importante è quello della scuola. Se nelle scuole fosse possibile fare sport regolarmente, poter imparare uno strumento musicale, fare in modo che i bambini vengano educati all'arte e alla bellezza, noi avremmo molti meno malati, molti meno disagiati, molti meno tossicodipendenti, molte meno persone tristi. È talmente banale che non ci vuole il premio Nobel per la medicina.
  Condivido appieno. Io pure nella mia veste di presidente, frequentando una serie di ambienti, rimango stupefatto delle quantità di denaro che sono disponibili e che probabilmente non sono sempre utilizzate al meglio.
  Recentemente sono stato a una premiazione, oltretutto in memoria di un illustrissimo pediatra, che è stato il professor Burgio. Questo premio chiamato «Dalla parte dei bambini» è stato dato a un imprenditore che ha messo su Dynamo Camp, che è una bellissima cosa, con fondi privati. Con questa iniziativa, fatta nel sociale, va in pari e addirittura guadagna (certamente utilizzando molto il volontariato).
  Io credo che effettivamente, soprattutto agendo sulla scuola, si possa fare molto. Sono profondamente convinto – non glielo devo dire io, senatrice, lei è molto più brava di me in queste cose – che, se il bambino stesse in una scuola in cui l'alimentazione viene curata secondo criteri scientifici da chi ha dei riferimenti precisi, dando spazio a tutti e alla variabilità che caratterizza l'essere umano ma tutelando il bambino stesso, se potesse fare sport regolarmente e se potesse essere – lo ripeto – educato al bello...
  È chiaro che, se iniziamo a fare delle discriminazioni in un Paese che apparentemente è democratico, ma che invece si dimentica sistematicamente di chi è più debole e fragile, ovvero il bambino e il bambino malato, grandi spazi non ce ne sono.

  MARIA LUISA SCATTONI, ricercatrice dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS), presso il Servizio di coordinamento e supporto alla ricerca (CORI). Ha detto già molto. Voglio solo puntualizzare quello che dice giustamente la senatrice Padua e che è stato anche ripreso. È vero che c'è una legge, che è la legge n. 134 del 2015, sull'autismo e c'è anche un fondo dedicato.
  Questa è una grande notizia. Ve la dico così, perché è una notizia molto nuova (me l'hanno comunicata ieri sera): è stato appena registrato in Corte dei conti il progetto Pag. 12 dedicato a criteri e modalità di utilizzo di questo fondo autismo. Gran parte di questi fondi saranno dedicati alla messa a punto di un database, un sistema informativo nazionale, perché è vero che la tematica è rilevante, ma non bisogna sottovalutare gli altri disturbi che sono correlati in comorbilità, come il disturbo di sviluppo del linguaggio che, se non curato e non trattato, potrebbe sfociare nei disturbi dello spettro autistico.
  Stiamo tentando (perché è stato affidato all'istituto questo ruolo) di mettere a sistema queste attività. Infatti, non deve essere solo un una tantum. Adesso ci sono 5 milioni, ma domani non ci saranno più. Speriamo continuino a esserci, però, se non ci saranno più, che facciamo? Mettiamo a sistema queste attività.
  Una nota che segnalo, secondo me positiva, è che l'istituto è quasi obbligato (perché c'è un decreto ministeriale) a lavorare in collaborazione con le regioni, quindi non è solo l'istituto che deve collaborare con le regioni, ma anche le regioni devono collaborare con l'istituto.
  Le linee di indirizzo ci sono state nel 2012. Ci sono delle linee di indirizzo che sono chiarissime. Ci troviamo per i LEA a doverle aggiornare. Noi siamo a supporto del Ministero della salute. Questa volta, però, forniremo degli indicatori di monitoraggio e l'istituto monitorerà il recepimento delle linee di indirizzo a livello regionale. Dunque, non si tratta solo di un'indicazione di cosa andrebbe fatto, anche delle linee guida, ma anche di fare un controllo sulla loro applicazione.

  ALBERTO VILLANI, presidente della Società Italiana di Pediatria (SIP). Va ribadito il concetto delle reti. Il bambino autistico può anche avere il diabete. Se continuiamo a ragionare per reti, non si va da nessuna parte, dobbiamo avere un unico sistema. Ci deve essere una rete dell'età evolutiva, dell'età pediatrica, in cui ci sia una tracciabilità per tutto quello che si fa.
  Pensate semplicemente al discorso vaccini, se ci fosse stata una rete quanto tutto sarebbe stato più facile. Avremmo avuto la segnalazione dei soggetti con patologie di immunodeficienza transitoria o definitiva e quindi, avremmo saputo cosa fare, cosa non fare e quando farlo; avremmo saputo chi era vaccinato e non vaccinato.
  La chiave di volta è quella di avere una rete informatica che funziona e di non andare per reti, perché altrimenti noi siamo in grado di curare la più sofisticata malattia rara...

  FRANCESCO PRINA. Scusi, una rete nazionale pediatrica?

  ALBERTO VILLANI, presidente della Società Italiana di Pediatria (SIP). Pediatrica, dell'età evolutiva, che poi diventa dell'adulto ed è in continuità, nel senso che in molte parti del mondo...
  Mi scusi, senatore: lei sa quanto pesava alla nascita? No. Lei lo sa?

  GIUSEPPE ROMANINI. Io sì.

  ALBERTO VILLANI, presidente della Società Italiana di Pediatria (SIP). È uno dei criteri fondamentali per il benessere e per valutare la salute di un soggetto. Parliamo veramente di banalità. Una rete nazionale di tutto, però nell'età evolutiva questo diventa ancora più importante e pregnante. Una volta che noi identifichiamo il bimbetto che ha un disturbo neuro-comportamentale di media gravità, vogliamo sapere se ha il diabete? Lo vogliamo considerare nella sua globalità?
  Questo non va a ledere la specificità di settore, perché, come dicevamo prima, l'oncologo pediatra deve essere oncologo pediatra, ma ci deve essere una visione a 360 gradi, che è garantita solamente dallo specialista pediatra, ospedaliero, del territorio o dove si voglia, ma nel quale poi si intersecano benissimo il neuropsichiatra e il logopedista e diventa tutto più fattibile e seguibile.
  A quel punto non ci sono più chiacchiere perché, se un bambino deve essere incanalato e irreggimentato, non potrà più fare fede la certificazione fatta non si sa come e perché, ma una standardizzazione precisa ci sarà. È chiaro che ci sarà un'interpretazione della realtà sociale e della realtà locale, però è l'unica vera chiave di Pag. 13volta, altrimenti si fanno degli sforzi disumani per risultati del tutto marginali.
  Per quanto concerne la malattia molto rara, lei adesso paradossalmente ha la diagnostica che costa un sacco di soldi, ha diritto a tutto e fa pure dei tentativi di cura. Voi vi siete sorpresi per quelle cifre di prima, ma sapete quanto costa l'esito di una meningite neonatale grave? Costa da 1,5 a 3 milioni di euro, se il soggetto campa fino a 70 anni, perché le protesi vanno cambiate. Infatti, al di là dell'acuzie, che costa 200.000 euro, c'è tutto il percorso successivo.
  Quando si parla di costi dei vaccini, tanto per dirne un'altra, è chiaro che la valutazione deve essere globale. Sottolineo l'informatizzazione e la globalità del problema e, soprattutto per quanto riguarda l'età infantile, la formazione.
  Io non credo che ci sarebbero bambini per strada se la scuola funzionasse bene e se ci fossero campi da tennis e calcio. Diventa una discriminante. I miei figli hanno fatto tutto perché se lo potevano permettere, ma non è giusto neanche questo, per quanto si possano fare opere di carità.

  DONELLA MATTESINI. Dunque, c'è anche un tema di mancanza di formazione nelle varie specialistiche, nel senso che mancano gli oncologici pediatrici, oppure no?

  ALBERTO VILLANI, presidente della Società Italiana di Pediatria (SIP). Lei mi sta invitando a nozze. Nel pieno rispetto dei colleghi della pediatria del territorio, io non so giocare a tennis, ma è notorio che, se uno vuole diventare più forte, gioca con chi è più bravo. Quando io devo pensare alla formazione dei pediatri, cerco di formarli all'interno di una struttura ospedaliera altamente qualificata il più a lungo possibile, certamente dando anche un piccolo spazio alla formazione in ambito territoriale. Io devo saper fare bene tutto ed essere preparato all'eccellenza. Se poi non giocherò in serie A, in serie B o in serie C, questo è un altro paio di maniche, ma io devo essere preparato ad affrontare tutto.
  La carenza si forma anche perché – credo che lei lo sappia – la realtà è che un primario ospedaliero guadagna la metà di un pediatra di famiglia, e ci sono dei primari ospedalieri che hanno abbandonato l'ospedale per vivere più sereni, senza responsabilità. Adesso con la legge Gelli (n.24/17) la nostra situazione si è un po’ più tranquilla, ma la realtà è questa.
  Le sembra ragionevole che in molte regioni mancano i pediatri ospedalieri e il pediatra che vede i codici rossi e quelli gialli, cioè quelli gravi, guadagna 2.800 euro al mese, mentre poi vengono dati 800-600 euro a guardia a un pediatra che deve vedere i codici bianchi? È una situazione paradossale.
  È chiaro che poi mancano gli specialisti. Un collega pediatra di famiglia eccellente è un ex oncologo che ora fa il pediatra di famiglia. Perché io devo vivere con il dolore, con le difficoltà, a 3.000 euro al mese, quando ne posso guadagnare il triplo in maniera molto più serena?
  Questa non è un'accusa ai colleghi pediatri di famiglia, lo dico per spiegarle la fenomenologia. Il fatto che ci sia questa discrasia comportamentale e contrattuale non è un qualcosa che aiuta. Chiaramente io giovane pediatra ho la fiamma sacra dentro, perché voglio fare il salvatore di vite e non mi importa nulla di nulla, oppure, se ho un minimo di sale in zucca, vado a fare una vita meno complicata guadagnando di più.
  C'è da porsi anche questo problema. A maggior ragione la prima fuga c'è stata dagli ospedali, ma adesso la carenza è anche nel territorio. Qualora venisse a mancare il pediatra nel territorio, è chiaro che dei modelli organizzativi virtuosi potrebbero prevedere il pediatra con il neuropsichiatra, il logopedista e tutto, per cui si potrebbe ampliare da 1.000 a 2.000 o a 3.000. La differenza in Italia, checché se ne voglia dire, nel tasso di natalità, di sopravvivenza e tutto, l'ha fatta la rete pediatrica: pediatria di famiglia, del territorio, ospedaliera e specialistica. Chiunque di voi ha parenti o amici all'estero sa che cosa significa avere un bambino in Gran Bretagna. Non sto parlando del Congo belga, ma della Gran Bretagna.

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  GIUSEPPE ROMANINI. Tante risposte sono già arrivate negli interventi che sono stati fatti. Parto dall'ultima osservazione (chi di noi conosce quale sia la situazione in Gran Bretagna eccetera) e da questa dicotomia con una descrizione della situazione italiana tutto sommato autocritica. Infatti, lei è partito dicendo che abbiamo una distanza fra l'apparenza epidemiologica e le prescrizioni di farmaci che evidenzia che non c'è un indirizzo verso le strutture appropriate.
  Tante risposte sono venute fuori. Io vengo dalla regione Emilia Romagna, dove nella mia esperienza ho visto che c'è la rete dei pediatri di famiglia, c'è lo psicologo a scuola, abbiamo fatto protocolli su disturbi specifici dell'apprendimento quanto sulla somministrazione di farmaci a scuola eccetera.
  Mi chiedo: cosa manca? Non penso che manchi il sistema della pediatria specialistica, ospedaliera eccetera. Probabilmente il tema è la formazione, a mio avviso soprattutto della scuola più che della rete dei pediatri di famiglia, che penso, per la mia esperienza, siano assolutamente attrezzati.
  Dunque, ancora una volta la scuola è un punto nel quale si riversano la maggior parte delle responsabilità rispetto a questo, rispetto al disagio sociale, rispetto all'autolesionismo, rispetto al cyberbullismo eccetera, e sul quale dovremmo investire ancora.
  Non so neanche se era una domanda, perché poi nel dire le cose che ha detto ha dato molte parti della risposta che mi aspettavo.

  ALBERTO VILLANI, presidente della Società Italiana di Pediatria (SIP). Se mi posso permettere, non vorrei che si interpretasse il mio quadro come un'accusa da una categoria all'altra.
  Per carità, l'Emilia Romagna per alcuni aspetti è sicuramente una regione fortunata, ma penso che lei sappia che attualmente è complicato trovare medici che vadano a lavorare nei reparti, ma soprattutto è difficile trovarli nei reparti ad alta specialità, che sono quelli che richiedono più impegno e più qualificazione.
  Credo che lei sappia bene che c'è tutta una fascia generazionale assente dagli ospedali, per cui non c'è ricambio. Quando va via l'endoscopista bravo, in quell'ospedale l'endoscopia digestiva muore.

  GIUSEPPE ROMANINI, Abbiamo anche un problema di scuole di specializzazione?

  ALBERTO VILLANI, presidente della Società Italiana di Pediatria (SIP). Certo.

  FRANCESCO PRINA. Prima parlava dei mille giorni. Lì il rapporto non è con la scuola, ma è con la famiglia, con i genitori. C'è tutto un discorso di formazione, di informazione e di collaborazione. Effettivamente, se dobbiamo spostare la nostra visione dal sanitario al sociale, si aprono dei capitoli veramente molto impegnativi, anche sul territorio nazionale, come diceva lei, che è conformato in una certa maniera.
  Nello specifico, invece, mi sarebbe piaciuto (anche se adesso dobbiamo andare alla Commissione Agricoltura e siamo in ritardo) approfondire l'aspetto dell'invadenza tecnologica nel mondo dell'infante e dell'adolescente.
  Lo dico come genitore, ma anche come cittadino. Questa è una domanda che si pongono tutti, anche noi qui dentro, che abbiamo a che fare con una tecnologia sempre più invadente.
  Vorrei una riflessione su questo punto. Io leggevo sulla nota che ci avete dato che sullo smartphone, sui media eccetera ci sono delle rilevazioni che voi avete fatto. Mi sarebbe piaciuto approfondire queste rilevazioni, anche se non abbiamo tempo. Comunque, lo pongo come tema.

  ALBERTO VILLANI, Presidente della Società Italiana di Pediatria (SIP). Sulla famiglia lei ha ragione, ma lei sa meglio di me – a parte il fatto che nessuno più di voi che vi occupate di questo deve tener conto della variegata realtà di quello che viene definito attualmente famiglia – che la famiglia significa anche il bambino di sei mesi che va al nido.
  Se noi diamo alla mamma la possibilità di essere assistita, tutelata e garantita, potrà svolgere bene la sua parte nella società e come madre. Andrebbe forse politicamente Pag. 15 rivalutato il ruolo della maternità come valore. Attualmente lei mi insegna che, se una donna dice che è incinta, perde il lavoro, succede di tutto e di più. Non c'è la cultura della maternità. Nei primi mille giorni ci sono i sei mesi al nido e, se il nido funziona bene, il bambino viene accudito bene e il suo cervello lavorerà meglio rispetto all'ipotesi in cui venga abbandonato, se la madre fa la negoziante dentro al negozio, se fa un'altra cosa chissà dove.
  Talvolta, purtroppo, non c'è il concetto di allevamento, ma c'è il concetto di deposito, per delle contingenze, perché ci sono famiglie che devono campare con 1.200-1.400 euro e tutto diventa più complicato. È, quindi, un problema sociale e culturale.

  VENERA PADUA. Mi collego a quello che diceva il collega, che purtroppo è andato via. Noi, per esempio, abbiamo tanto lavorato, anche con la nostra capogruppo in Commissione, sul discorso della responsabilità genitoriale. Io avevo presentato anche un disegno di legge, perché bisogna lavorare su quello e bisogna formare i genitori, in quanto mancano tutte le reti che comunque, criticabili o meno, prima c'erano e adesso sono scomparse.
  Aggiungo una nota, che non è polemica, ma è soltanto di rispetto. Lo puntualizziamo, perché penso che noi teniamo alla stessa cosa. Si parla molto della pediatria di base e le posizioni sono un po’ variegate, tant'è che io ho presentato anche un disegno di legge che la estendesse sino ai 18 anni, per tutte le cose che sappiamo relative alla fase adolescenziale, ma è rimasto lì nel cassetto. Pazienza, chissà se ci sarà un prosieguo e se qualcun altro lo porterà avanti, lo speriamo.
  Io vorrei puntualizzare il prezioso lavoro che hanno fatto i pediatri di base, perché hanno lavorato tanto, hanno ridotto l'ospedalizzazione e hanno contribuito insieme agli ospedalieri alla modernizzazione.
  Parlo perché sono parte in causa, avendo fatto tutte e due le esperienze. Penso che siano davvero importantissime. Lo puntualizzo in questa sede perché ho visto che ci sono state un po’ di resistenze e si vorrebbe tornare indietro, c'è un po’ questa tendenza. Noi non dobbiamo, secondo me, rinforzare questo aspetto, ma piuttosto aiutare a livellare cose assolutamente scorrette.
  Io capisco che le coronarie di chi è in sala parto quando succedono le cose che succedono vanno in un certo modo, mentre il pediatra di base vive con più rilassatezza, però volevo precisare.

  ALBERTO VILLANI, presidente della Società Italiana di Pediatria (SIP). Tuttavia, la tristezza vera sarà tornare ai bambini nella medicina delle donne o al bambino in condizioni critiche per cui non c'è un pediatra che lo può assistere.
  Per questo, in un momento di crisi e di criticità, io penso che sia molto importante. È chiaro che se è possibile mantenere il sistema e garantire «territorio-ospedale», bene, ma, se si dovranno operare delle scelte, ricordiamoci che poi forse va tutelato il più grave, il più bisognoso, il più debole.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio davvero molto, anche della vostra disponibilità, e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.45.

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ALLEGATO

Documentazione prodotta dalla Società italiana di pediatria

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