XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 17 di Martedì 7 marzo 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Zampa Sandra , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SALUTE PSICOFISICA DEI MINORI

Audizione del professor Bernardo Dalla Bernardina, Direttore del Dipartimento sperimentale di pediatria e U.O. Neuropsichiatria infantile dell'Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona, e della dottoressa Claudia Cervelli, Fisiatra e Direttore sanitario del Centro di rieducazione psicomotoria ABILI S.r.l. di Milano.
Zampa Sandra , Presidente ... 3 ,
Dalla Bernardina Bernardo , Direttore del Dipartimento sperimentale di pediatria e U.O. Neuropsichiatria infantile dell'Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona ... 3 ,
Zampa Sandra , Presidente ... 7 ,
Cervelli Claudia , Fisiatra e Direttore sanitario del Centro di rieducazione psicomotoria ABILI S.r.l. di Milano ... 7 ,
Zampa Sandra , Presidente ... 11 ,
Cervelli Claudia , Fisiatra e Direttore sanitario del Centro di rieducazione psicomotoria ABILI S.r.l. di Milano ... 11 ,
Zampa Sandra , Presidente ... 11 ,
Cervelli Claudia , Fisiatra e Direttore sanitario del Centro di rieducazione psicomotoria ABILI S.r.l. di Milano ... 11 ,
Zampa Sandra , Presidente ... 11 ,
D'Incecco Vittoria (PD)  ... 11 ,
Cervelli Claudia , Fisiatra e Direttore sanitario del Centro di rieducazione psicomotoria ABILI S.r.l. di Milano ... 11 ,
D'Incecco Vittoria (PD)  ... 11 ,
Cervelli Claudia , Fisiatra e Direttore sanitario del Centro di rieducazione psicomotoria ABILI S.r.l. di Milano ... 11 ,
D'Incecco Vittoria (PD)  ... 11 ,
Cervelli Claudia , Fisiatra e Direttore sanitario del Centro di rieducazione psicomotoria ABILI S.r.l. di Milano ... 11 ,
Prina Francesco (PD)  ... 12 ,
Cervelli Claudia , Fisiatra e Direttore sanitario del Centro di rieducazione psicomotoria ABILI S.r.l. di Milano ... 12 ,
Zampa Sandra , Presidente ... 12 ,
Cervelli Claudia , Fisiatra e Direttore sanitario del Centro di rieducazione psicomotoria ABILI S.r.l. di Milano ... 12 ,
Dalla Bernardina Bernardo , Direttore del Dipartimento sperimentale di pediatria e U.O. Neuropsichiatria infantile dell'Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona ... 12 ,
Zampa Sandra , Presidente ... 12 ,
Dalla Bernardina Bernardo , Direttore del Dipartimento sperimentale di pediatria e U.O. Neuropsichiatria infantile dell'Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona ... 12 ,
Cervelli Claudia , Fisiatra e Direttore sanitario del Centro di rieducazione psicomotoria ABILI S.r.l. di Milano ... 12 ,
Dalla Bernardina Bernardo , Direttore del Dipartimento sperimentale di pediatria e U.O. Neuropsichiatria infantile dell'Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona ... 12 ,
Cervelli Claudia , Fisiatra e Direttore sanitario del Centro di rieducazione psicomotoria ABILI S.r.l. di Milano ... 12 ,
Zampa Sandra , Presidente ... 13 ,
Blundo Rosetta Enza  ... 13 ,
Cervelli Claudia , Fisiatra e Direttore sanitario del Centro di rieducazione psicomotoria ABILI S.r.l. di Milano ... 13 ,
Blundo Rosetta Enza  ... 13 ,
Cervelli Claudia , Fisiatra e Direttore sanitario del Centro di rieducazione psicomotoria ABILI S.r.l. di Milano ... 13 ,
Blundo Rosetta Enza  ... 14 ,
Zampa Sandra , Presidente ... 14 

ALLEGATO 1: Documentazione presentata dal professor Bernardo Dalla Bernardina ... 15 

ALLEGATO 2: Documentazione presentata dalla dottoressa Claudia Cervelli ... 25

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE
SANDRA ZAMPA

  La seduta comincia alle 13.10.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione del professor Bernardo Dalla Bernardina, Direttore del Dipartimento sperimentale di pediatria e U.O. Neuropsichiatria infantile dell'Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona, e della dottoressa Claudia Cervelli, Fisiatra e Direttore sanitario del Centro di rieducazione psicomotoria ABILI S.r.l. di Milano.

  PRESIDENTE. Vi comunico che sarò in missione, in rappresentanza della Commissione, il 21 marzo a Bologna e il 6 aprile all'Università di Urbino.
  L'ordine del giorno di oggi reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla tutela della salute psicofisica dei minori, l'audizione del professor Bernardo Dalla Bernardina, direttore del Dipartimento sperimentale di pediatria e dell'Unità di neuropsichiatria infantile dell'azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona, e della dottoressa Claudia Cervelli, fisiatra e direttore sanitario del centro di educazione psicomotoria ABILI di Milano.
  I lavori della nostra indagine sono a un livello molto avanzato, quindi in procinto di concludersi. Nel ringraziarlo nuovamente, cedo la parola al professor Dalla Bernardina.

  BERNARDO DALLA BERNARDINA, Direttore del Dipartimento sperimentale di pediatria e U.O. Neuropsichiatria infantile dell'Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona. Grazie alla Commissione per l'invito. Vi lascerò la documentazione che ho preparato. Adesso procederò rapidamente per stare nei tempi. Mi era stato chiesto di vedere se le epilessie pongono problemi particolari nella disabilità dello sviluppo. Il titolo era, appunto, Le epilessie nella disabilità dello sviluppo. Spero di riuscire a farvi comprendere perché ho messo fra parentesi il termine epilessia.
  L'epilessia si definisce come quel disordine cerebrale caratterizzato dalla ricorrenza di crisi epilettiche. Nell'ultima definizione della International League Against Epilepsy (ILAE) si definisce epilessia quella condizione nella quale ci sono almeno due crisi a distanza di più di 24 ore una dall'altra.
  L'epidemiologia nella popolazione generale è intorno all'1 per cento, ovvero circa 500.000 soggetti affetti in Italia, con 30.000 nuovi casi all'anno. La cosa che ci interessa è che l'incidenza è particolarmente elevata in età pediatrica. Ci sono ben 86 casi su 100.000 che esordiscono nel primo anno di vita.
  Si tratta di un disordine estremamente complesso e polimorfo, sul piano sia di come si manifesta, quindi delle caratteristiche cliniche con cui si presenta una crisi, sia eziologico, cioè delle cause che possono provocare, sia dell'evoluzione, prognostico, e sia, infine, del grado di severità. Pag. 4
  Al di là di essere definita per la ricorrenza delle crisi, l'epilessia è molto di più poiché ha una serie di altri inconvenienti associati o conseguenti. È indispensabile comprendere questo, quando si parla di epilessie, perché la semplificazione comporta degli inconvenienti negativi sul piano sia della capacità diagnostica, sia dell'approccio terapeutico, sia della presa in carico riabilitativa, dunque a livello sociale e della formazione, sia dal punto di vista legislativo.
  Un esempio è rappresentato dal decreto che riguarda l'invalidità. Infatti, l'invalidità per epilessia si divide in due possibilità, a seconda che le crisi siano plurisettimanali o settimanali, il che significa che l'invalidità è stabilita solo in base alla frequenza delle crisi, ma non tiene minimamente conto del come si manifestano e degli inconvenienti che possono comportare.
  Faccio un esempio. Molte epilessie del bambino si caratterizzano per la ricorrenza di crisi «di caduta», cioè il bambino improvvisamente viene violentemente sbattuto per terra, con il rischio di traumi importanti. Ora, è chiaro che anche se lo fa solo quattro volte al mese la sua invalidità non è certo ininfluente sul piano delle possibilità di autonomia.
  Adesso molto rapidamente, per dare un'idea, le dividiamo in funzione di quella che può essere la causa. Abbiamo delle forme di epilessia definite «idiopatiche», che sarebbero la condizione nella quale l'epilessia è la malattia in sé, cioè c'è solo l'epilessia, senza altre alterazioni che la sostengano dal punto di vista cerebrale. Presumibilmente, queste sono su base genetica. Tuttavia, essendo su base poligenetica, sono poche le forme di cui si conosce la reale alterazione genetica.
  La quota più importante è rappresentata dalle forme cosiddette «sintomatiche», il che significa che la crisi epilettica è il sintomo di una patologia celebrale sottostante, quindi preesistente all'epilessia. Le forme sintomatiche possono essere di tipo strutturale o metabolico. In questo caso – ci si arriva facilmente – l'alterazione strutturale può essere congenita, quindi c'è una malformazione cerebrale, oppure derivante da un danno acquisito, cioè il cervello si è costruito normalmente, ma nella fase di costruzione, durante la gravidanza, al momento del parto o successivamente, per cause diverse subisce un danno che provoca un'alterazione strutturale.
  Una quota importante rimane, infine, da causa sconosciuta, il che significa che si riesce a fare diagnosi di epilessia, ma non si arriva a comprendere qual è la causa che la sostiene, quindi non si arriva nemmeno a sapere se è idiopatica o da danno cerebrale.
  In ambito pediatrico, questa quota rappresenta circa il 30 per cento, quindi una condizione nella quale non sono mai finiti neanche gli accertamenti, per cui è impossibile fare delle valutazioni prognostiche perché se non si sa da dove veniamo è impossibile sapere dove andremo a finire.
  Dal punto di vista dell'evoluzione, esistono delle forme cosiddette «benigne» – oggi il termine è stato sostituito da «self limited» – ovvero epilessie dovute a una predisposizione costituzionale, che insorgono in età pediatrica, ma di per sé vanno alla guarigione spontaneamente entro l'età dello sviluppo. In molti casi non hanno neanche bisogno di terapia, se le crisi non sono particolarmente frequenti. Indipendentemente dal loro andamento, le crisi spariscono e il soggetto guarisce spontaneamente.
  Viceversa, esistono delle forme cosiddette «farmaco sensibili». Ciò significa che se il soggetto prende dei farmaci e ottiene il controllo delle crisi, però è destinato a prendere quel trattamento a lungo termine nella vita, perché ogni qualvolta cercasse di smettere ricomincerebbe ad avere delle crisi.
  Purtroppo, esiste una quota almeno del 30 per cento di forme cosiddette «farmaco resistenti». Quindi, qualsiasi terapia venga fatta, le crisi continuano e non si riesce a ottenerne il controllo. Questa farmaco resistenza non è cambiata negli anni.
  Dal 1900, quando sono stati utilizzati i primi due farmaci che tutti conoscete, ovvero il fenobarbital e successivamente la difenilidantoina, nonostante farmaci di seconda e terza generazione, la quota delle Pag. 5epilessie farmaco resistenti, a oggi, è rimasta sostanzialmente invariata. Abbiamo farmaci che riducono o minimizzano gli effetti collaterali, ma non ottengono un risultato maggiore.
  Adesso faccio un altro passaggio. La ricorrenza delle crisi epilettiche, di per sé, in alcuni casi, può produrre sia una compromissione dello sviluppo, sia un suo arresto, sia una regressione o una perdita delle acquisizioni fatte. Questo è possibile che si verifichi solo in conseguenza della ricorrenza delle crisi.
  Tuttavia, nella maggioranza dei casi, là dove le epilessie sono sintomatiche, quindi c'è una patologia cerebrale sottostante la patologia di partenza, quella che è responsabile delle crisi, indipendentemente dalle crisi stesse, può produrre una comorbilità, ovvero la presenza di deficit di sviluppo, neurologici, cognitivi, comportamentali e così via.
  Purtroppo, spesso succede che le due componenti contribuiscano insieme a dare degli inconvenienti, il che significa che un soggetto che ha delle crisi perché ha problematiche di ordine strutturale cerebrale e che di conseguenza, oltre alle crisi, ha una compromissione dello sviluppo, rischia di avere un'ulteriore compromissione dovuta all'andamento delle crisi.
  Arrivando al problema del tavolo, nei primi anni di vita le caratteristiche dell'epilessia sono essenzialmente sfavorevoli perché predominano le forme sintomatiche, cioè quelle che, di per sé, hanno inconvenienti in comorbilità; predominano le epilessie farmaco resistenti, cioè quelle che purtroppo non rispondono ai farmaci e, di conseguenza, le epilessie con comorbilità, quindi con la presenza, fin dall'inizio, di altri disturbi associati, prevalentemente la disabilità intellettiva, le paralisi cerebrale infantile in senso lato e l'autismo.
  Per darvi un esempio, prendiamo la paralisi cerebrale infantile, che è una delle cause più frequenti di disabilità cronica ad esordio infantile. La prevalenza dell'epilessia nei soggetti che hanno una paralisi cerebrale infantile è cinque volte maggiore rispetto a quella dei bambini che sono neurologicamente normali.
  Il 35,62 per cento dei bambini con paralisi cerebrale infantile sviluppa crisi epilettiche. Fra parentesi leggete «stato di male», che è la condizione nella quale la crisi, invece di arrestarsi entro 5-10 minuti prosegue per 30-60 minuti, quindi è una condizione nella quale la crisi, realizzando uno stato di male, è potenzialmente dannosa sul piano strutturale dal punto di vista cerebrale.
  Il rischio di epilessia in presenza di disabilità intellettive è del 15-20 per cento. Di conseguenza, se le due cose si associano, aumenta il rischio. Inoltre, se la paralisi cerebrale infantile è dovuta a una causa post-natale, come un'encefalite o un danno qualsiasi avvenuto dopo la nascita, il rischio sale al 75 per cento.
  L’outcome cognitivo e motorio delle autonomie è significativamente peggiore se, a parità di disturbo dello sviluppo cognitivo, è presente epilessia. In altri termini, due bambini con la stessa insufficienza mentale, uno con epilessia e l'altro no, nel corso dello sviluppo avranno un andamento diverso nel tempo dal punto di vista cognitivo, come vedete in relazione all'inserimento scolastico.
  Se prendiamo, per esempio, la probabilità che un bambino con paralisi cerebrale infantile arrivi a camminare, vediamo che i fattori predittivi favorevoli sono l'arrivare a stare seduto in maniera autonoma ai due anni, l'assenza di deficit visivi importanti, l'assenza di disabilità intellettiva e l'assenza di epilessia.
  Quando due disordini o più si associano, chiaramente diventa tutto più difficile dal punto di vista sia diagnostico, sia della gestione.
  Dal punto di vista diagnostico, per esempio, diventa più difficile fare anche solo diagnosi di crisi epilettica. Siccome sono bambini che possono avere movimenti anomali più o meno parossistici associati alle crisi epilettiche, la distinzione tra la crisi epilettica e un fenomeno parossistico non epilettico spesso è clinicamente difficile, per cui bisogna passare attraverso esami come la video EEG poligrafica, che registra anche l'attività muscolare insieme a quella Pag. 6cerebrale per vedere la corrispondenza tra il movimento e l'attività elettrica cerebrale.
  Inoltre, c'è una maggiore difficoltà terapeutica perché non esistono farmaci antiepilettici che in misura maggiore o minore non abbiano effetti collaterali. Là dove c'è un handicap motorio, cognitivo e così via, come capirete facilmente, gli effetti collaterali rischiano di essere molto più pesanti rispetto a quelli che possono verificarsi in un bambino che non ha questi problemi.
  Si hanno, dunque, una serie di conseguenze a cascata. La difficoltà di inclusione scolastica, che è già un problema significativo per bambini con crisi epilettiche senza deficit, diventa molto più complicata. Per esempio, la somministrazione dei farmaci e dei farmaci salvavita, nell'ambito della discrezionalità prevista dalla legge del 2005, comporta degli inconvenienti ulteriormente pesanti.
  Un'altra associazione che ha una frequenza significativa è quella tra epilessia e autismo. Per darvi l'idea della dimensione, la prevalenza dell'epilessia nei soggetti con autismo è di circa il 25 per cento. La dirimente è la presenza di disabilità intellettiva. In altri termini, se il soggetto ha un autismo e una disabilità intellettiva, la possibilità di avere epilessia sale al 25 per cento. Se il soggetto ha un autismo senza insufficienza mentale, la probabilità di epilessia è del 6 per cento.
  Vedete, quindi, come la diagnostica debba entrare nel dettaglio sui diversi aspetti del soggetto. Non basta fare una diagnosi di crisi epilettica o di condizione autistica, perché le cose sono completamente diverse a seconda di come i diversi fattori si associano o convivono nello stesso soggetto.
  L'associazione tra epilessia e autismo è frequente perché, presumibilmente, in molti casi c'è una comune base genetica, cioè c'è un disturbo genetico che da una parte dà epilessia e dall'altra dà autismo, come due fenomeni indipendenti, che non sono uno conseguenza dell'altro. Tuttavia, esistono condizioni nelle quali un determinato andamento dell'epilessia può provocare una condizione di tipo autistico.
  Vado rapidamente alla fine. Sintetizzando, in relazione alle epilessie nella disabilità dello sviluppo, nello sviluppo precoce, in particolare nei primi tre anni di vita, c'è una maggiore incidenza di epilessie sintomatiche o di quelle a eziologia sconosciuta, di comorbilità, di farmaco resistenza, di effetti collaterali dei farmaci e, di conseguenza, di disabilità dello sviluppo.
  Questo, come è intuitivo, comporta un aumento delle difficoltà di diagnosi e di comunicazione della diagnosi e una maggiore difficoltà dal punto di vista terapeutico e della valutazione dei risultati. Infatti, come capite bene, in un bambino che ha un'insufficienza mentale e ha delle crisi, fare un intervento per valutare quanto è migliorato, peggiorato o stabile dal punto di vista della sua condizione cognitiva, relazionale e di apprendimento diventa difficile, perché è come se piovesse sul bagnato, per cui è complicato capire quant'è l'acqua che si è aggiunta.
  C'è, dunque, una difficoltà di presa in carico globale e di inclusione scolastica e un aumento significativo dei costi socio-sanitari. Quindi, per una corretta diagnosi, trattamento e presa in carico, abbiamo bisogno di una maggiore competenza dei soggetti che si approcciano a questi bambini nell'ambito dell'insieme dei disturbi del neurosviluppo, ovvero di una maggiore competenza e potenzialità diagnostica. Occorre soprattutto un potenziamento della rete ospedale-territorio, ovvero dei servizi che devono includere le diverse competenze per affrontare in maniera olistica il problema di questi soggetti e, a cascata, una maggiore informazione tra gli operatori, ivi compreso il legislatore.
  Vi lascio una memoria, che non vi presento ora, sui servizi di neuropsichiatria infantile. Come promemoria, oltre alla disponibilità mia e dell'Azienda a dare una mano, là dove fosse ritenuto utile, richiamo alcune cose più cogenti.
  Innanzitutto, dovremmo cercare di entrare nel merito della definizione dell'invalidità per prevedere di default la non rivedibilità delle forme di epilessia farmaco resistenti e non guaribili, che non hanno Pag. 7nessuna possibilità documentata di vedere modificato il loro quadro negli anni.
  Inoltre, dovremmo rendere meno discrezionale – diverse regioni si stanno muovendo in questo senso, cercando di fare dei protocolli – le Linee-guida per la somministrazione di farmaci in orario scolastico del 25 novembre 2005, che prevede che il direttore scolastico scelga l'individuo disponibile a somministrare il farmaco indispensabile come salvavita al bambino in classe. Data la discrezionalità, i protocolli mirano a introdurre dei corsi di formazione per il personale che ha a che fare a qualsiasi titolo con questi bambini, a conclusione dei quali vengono individuate le disponibilità, ovvero le persone incaricate di svolgere questo compito.
  A questo proposito, non sono riuscito a recuperare una sorta di modello di intervento del Comitato paritetico nazionale per le malattie croniche sulla somministrazione dei farmaci a scuola, istituito dal MIUR con il decreto citato che, però, non si sa dove sia finito. Non si riesce a sapere.
  A ogni modo, tra le cose da fare, dovremmo promuovere una formazione specifica sulle epilessie impossibili e sulla loro gestione da parte degli operatori scolastici, della riabilitazione e delle comunità. Inoltre, abbiamo visto che fare epidemiologia dell'epilessia ha una scarsa ricaduta sull'utenza, sulla conoscenza delle cose, sull'organizzazione sanitaria e sulla riduzione dei costi, perché non ha senso che vengano messe insieme condizioni completamente diverse.
  Infine, meriterebbe di essere preso in considerazione l'aggiornamento nell'ambito dei Diagnosis Related Group (DRG). Esiste, infatti, un solo DRG in epilessia, con o senza perdita di coscienza, ma il carico dal punto di vista diagnostico, terapeutico e così via è completamente diverso, se sono riuscito a farvi intuire quanto possono essere diverse le condizioni.
  Occorre anche un minimo di aggiornamento delle prestazioni esenti per epilessia. Come vi ho detto, una delle cose fondamentali, in certi contesti, è capire se quello che succede al bambino è una crisi epilettica o meno. Per fare questo, è necessario avere il monitoraggio di come si muove e di come funziona l'attività elettrica in quel momento, ovvero quella che si chiama poligrafia. Tuttavia, per l'epilessia sono esenti tutti i tipi di registrazione EEG, ma manca proprio la poligrafia.
  Vi ringrazio e vi dichiaro la mia ulteriore disponibilità. Spero di esservi stato minimamente utile.

  PRESIDENTE. Grazie, professore. È stato certamente utile. La sua relazione sarà in distribuzione, come le altre, quindi i parlamentari che non hanno potuto partecipare a questo incontro potranno comunque leggere la sua testimonianza.
  Dottoressa, confido che riesca a dirci quello che ha preparato in dieci minuti. Le lascio subito la parola.

  CLAUDIA CERVELLI, Fisiatra e Direttore sanitario del Centro di rieducazione psicomotoria ABILI S.r.l. di Milano. Sono una fisiatra, direttore sanitario di un piccolo centro di riabilitazione che si chiama ABILI e che ha come motto questa frase: «non perfetti, ma perfettamente abili», questo per dare un'idea di un concetto di riabilitazione un po’ diverso rispetto a quello di cui probabilmente avrete sentito parlare.
  Proprio perché non sempre si riesce ad avere un soggetto che, dopo la riabilitazione, rientra nei canoni della normalità, noi miriamo a una funzionalità, ovvero a che possa avere una vita perlomeno sociale, un buon inserimento e così via.
  ABILI è nata solo nel 2011, quindi in tempi molto recenti, da un gruppo di riabilitatori, quindi fisioterapisti, fisiatri, psicomotricisti e così via, tutti cresciuti professionalmente con la professoressa Morosini, che era una fisiatra nota a livello internazionale come la «signora dei risvegli» perché aveva incominciato per prima a studiare la riabilitazione nei post-comatosi, riabilitazione che adesso ha preso molto slancio, con diversi centri in tutta Italia che si interessano di questa problematica.
  La differenza fra la vecchia riabilitazione e il metodo Morosini parte dal fatto che la professoressa poneva la persona - paziente al centro di tutto il percorso riabilitativo, Pag. 8 travalicando l'utilizzo di questa o quella metodica riabilitativa. Quindi, dopo la valutazione neurofisiatrica del bambino si deve stilare un programma riabilitativo olistico, che viene creato come un abito su misura per quel dato bambino. Ovviamente, dico bambino, ma vale anche per l'adulto.
  Di conseguenza, non si deve tener conto di questa o quella metodica riabilitativa neuromotoria – non so se qualcuno sarà venuto a parlarvi di Doman, di Bobath o di Perfetti e di varie altre metodiche – ma si cerca di capire quale cocktail di metodiche riabilitative possono essere associate fra di loro, tenendo appunto conto della persona che abbiamo davanti, anche se è un neonato.
  Vi faccio un esempio. Io non posso pensare di applicare il metodo Vojta, che applico su molti pazienti, se quel bambino non accetta di essere molto manipolato, molto stretto e molto contenuto, perché piangerebbe disperato.
  Lo stesso metodo Perfetti che si basa tutto sulla capacità cognitiva – se ci fosse il professor Perfetti non la prenderebbe bene – su un bambino di due mesi non dà i risultati che può dare una tecnica Bobath, una Doman o Castagnini.
  Con questo intendo dire che un buon riabilitatore non dovrebbe conoscere o applicare solo uno o due metodi riabilitativi, perché le metodiche riabilitative neuromotorie sono moltissime. Non solo, spesso e volentieri bisogna pensare a un potenziamento cognitivo neuropsicologico perché – come diceva prima il professor Dalla Bernardina – problematiche neuromotorie, o comunque neurologiche motorie, e un'insufficienza intellettiva o un deficit neuropsicologico, quindi anche del linguaggio e quant'altro, sono spesso associate. Dobbiamo, pertanto, tener conto della logopedia, della psicomotricità e della psicoterapia.
  Come dicevo prima, tutte le metodiche riabilitative hanno valide basi scientifiche. Molte sono state riviste, ristudiate e rivalutate. Tuttavia, non sempre tutte sono adattabili e applicabili, quindi bisogna scegliere quelle più adeguate, cosa che è abbastanza raro veder fare realmente.
  Secondo me, bisogna superare la dicotomia corpo-mente, proprio perché si pensa alla disabilità motoria o intesa come mentale e intellettiva, dimenticando il quadro psicoaffettivo e motivazionale della persona. Se ho un bambino che scoppia a piangere appena mi avvicino con il camice, forse è meglio che tolga il camice. Oppure, ci sono bambini che vengono portati nel centro di riabilitazione, ma piangono e si ribellano. Allora non andiamo da nessuna parte, per cui a volte è forse più utile mandare il terapista a casa. Ecco, basta poco per bypassare problemi che impediscono il miglioramento dello sviluppo del bambino.
  Inoltre, dobbiamo valutare non solo il bambino, ma anche con quale ambiente familiare abbiamo a che fare, perché è essenziale lavorare con la famiglia, come pure con l'ambiente scolastico e più tardi con quello sociale in generale, quando il bambino sarà più grande.
  Tutto questo è per dire che, al di là della riabilitazione intesa come metodiche tecniche, è essenziale la relazione che si instaura anche con il bambino, ma in generale con la persona-paziente. La relazione diventa, così, una chiave di lettura per comprendere su quali risorse puntare nell'intervento riabilitativo. Bisogna capire chi abbiamo di fronte e qual è il modo per poter ottenere il massimo dalle sue potenzialità.
  Infine, la relazione costituisce un punto di forza dell'intervento riabilitativo in quanto diventa, appunto, curativa.
  Vi lascio uno schema, giusto per farvi capire come la qualità della relazione interviene in tutte le dinamiche scolastiche, sociali, familiari e così via.
  Le patologie che seguiamo – parlo ovviamente sempre di ABILI, ma in generale mi allaccio a quello che diceva il professor Dalla Bernardina – sono soprattutto paralisi cerebrale infantili, che per definizione sono patologie croniche, ma sottolineo che non sono immutabili, perché risentono moltissimo degli interventi riabilitativi che si fanno. Pag. 9
  Ora, per intervento riabilitativo – ripeto – intendo qualcosa di molto largo, non soltanto dell'ora di fisioterapia. Quindi, quando talvolta i nostri pazienti hanno delle patologie di questo tipo cronico, noi li seguiamo per anni o anche per decenni. Dopo vi farò vedere un filmato, se ci riesco, con un caso clinico seguito per 17 anni.
  Questo viene a scontrarsi con il nostro Servizio sanitario nazionale perché talvolta, quando un bambino comincia avere 4, 5 o 6 anni e la paralisi cerebrale infantile viene definita più o meno stabilizzata, gli si danno dei cicli di dieci terapie per volta.
  Noi cerchiamo di fornire un cammino che si intraprende con la persona in difficoltà e i suoi familiari. Non siamo solo un centro che fornisce delle terapie. Questa è una definizione vecchia di riabilitazione, ma tuttora valida, proprio per far capire come a volte non è tanto il danno che determina la disabilità, ma ci sono degli aspetti più particolari che dobbiamo valutare.
  Faccio un esempio. Può essere minore il danno per un bambino che non riesce a camminare, ma che ha una buona vita sociale e un buon inserimento scolastico e che riesce ad avere un successo in futuro, rispetto a un pianista che ha una sola lesione al dito mignolo per la quale ha la carriera rovinata e non riesce più a suonare.
  Il concetto di riabilitazione è, perciò, molto differente. La riabilitazione si stacca dal resto dei concetti della medicina generale. La riabilitazione neuromotoria ha un'altra difficoltà. Vorrei, infatti, che vi rendeste conto che gli studi di efficacia non sono sempre chiari e rigorosi, come potrebbero essere per altri ambiti medici. Questo accade sia per la ristrettezza del campione, sia per mancanza del gruppo di controllo.
  Intendo dire che se qualcuno ha una cardiopatia, un diabete, la glicemia alta e così via il medico sa qual è la molecola più adatta. Al limite può scegliere fra due perché una dà più effetti collaterali di un'altra. In ogni caso, dietro ci sono studi a doppio cieco durati anni e anni che danno una certa sicurezza, cosa che non è possibile fare in ambito riabilitativo neurologico perché mancano i campioni, essendo difficile trovare due bambini che abbiano lo stesso tipo di lesione, di quadro clinico, di famiglia e così via.
  Il discorso diventa, quindi, molto complesso. Un'altra importante problematica è legata proprio all'uso delle scale di valutazione. Qui si apre un problema perché ce ne sono tantissime, come Tinetti, Barthel, Gross Motor.
  Per esempio, secondo la scala Barthel, è importante sapere se il paziente si veste da solo o ha bisogno di aiuto, ma questa scala non dice molto dal punto di vista riabilitativo. Se ce la fa da solo, si ha il punteggio massimo, ma non dice se ce la fa in due ore, né ci dice con quali schemi patologici, ovvero se riesce a vestirsi con le mani, con una buona posizione o con tutte le mani stirate prese da schemi patologici. Tutte queste scale danno dei dati quantitativi, ma non indicano la qualità del movimento e della vita del paziente che viene osservato.
  Nel 2001 è stata elaborata la Classificazione internazionale del funzionamento, la famosa ICF. Ricordo che quando è uscita si è fatto clamore perché si era trovato qualcosa che ci dava una qualità. Infatti, la ICF analizza e descrive la disabilità come esperienza umana. Tuttavia, è risultato uno strumento troppo complesso, che richiede moltissime ore per essere applicato. Lo abbiamo studiato tutti in ospedale e applicato per un po’, dopo di che è stato praticamente abbandonato, perché se per ogni paziente dobbiamo considerare tutte le variabili qualitative otteniamo un tomo di codici che poi sono illeggibili o perlomeno comprensibili solo per chi è strettamente dentro ai lavori. Per questo, non viene più utilizzato.
  Un'altra cosa estremamente importante è il programma insegnato e trasmesso ai parenti. Mi rifaccio a quello che vi dicevo prima. Se dobbiamo fornire moltissima terapia al bambino, non possiamo pensare che il Sistema sanitario nazionale gliene dia dieci ore al giorno. In genere ne vengono date due o tre alla settimana e solo per qualche anno, quindi si chiude. Allora, l'idea di poter trasmettere il programma ai Pag. 10parenti, ma anche agli amici, ai volontari e a chi c'è e ha voglia di fare, permette di far sì che il bambino viva tutta la sua giornata inserendo la terapia nella quotidianità.
  Dunque, non solo fornisco la terapia, e in quell'ora il bambino fa i movimenti giusti, ma se i genitori sanno come correggerlo, in tutta la giornata può essere inserita la terapia: nel gioco, nel vestire, nel mangiare e così via.
  L'accusa che ci viene fatta sul modello del programma insegnato ai parenti è che carichiamo i genitori di un peso enorme perché, oltre a fare i genitori e a dover vivere il loro lutto di avere un bambino che non è quello idealizzato e sognato durante i nove mesi di gravidanza, devono anche fare i terapisti e spesso anche i maestri e gli insegnanti dei propri figli.
  Invece, nella mia esperienza posso dire che dare in mano uno strumento riabilitativo ai genitori, che non saranno tecnici come un terapista, però conoscono molto bene il loro figlio, per cui sanno quando e come intervenire, fa in modo che si sentano utili, consapevoli e competenti, cosa che li aiuta a combattere la depressione e il senso di lutto per i propri figli.
  Ho dei filmati, con cui volevo raccontarvi la storia di questa ragazzina che si chiama Roberta, che è stata investita mentre attraversava sulle strisce pedonali, all'età di tredici anni. Il primo, fra l'altro, è di Roberta appena uscita dalla rianimazione, con ancora tutti i segni dell'intervento neurochirurgico, perché hanno dovuto evacuare un ematoma.

  (proiezione di alcuni brevi filmati)

  Qui la ragazzina non era ancora minimamente contattabile. Faceva solo un movimento stereotipo della testa destra-sinistra. A distanza di quattro mesi, con un buon lavoro di riabilitazione, ha cominciato a muovere la mano sinistra. La mano destra è completamente paretica. Voi non siete tecnici, ma credo che chiunque possa capire che il suo movimento della mano non è lo stesso che fareste voi per mangiare. Eravamo solo all'inizio della strada riabilitativa.
  Abbiamo passato il programma ai genitori. Dopo altri sette mesi di riabilitazione intensiva, vediamo la zia e la mamma che cercano di ripetere quello che hanno visto fare ai terapisti. È chiaro che la tecnica non è pulita. Un terapista potrebbe dire «ma cosa stanno facendo?», ma comunque mettono in piedi Roberta, che non era ancora molto contattabile. La mimica è quella che è, la testa ancora non la sosteneva bene. Insomma, eravamo ancora nelle fasi iniziali.
  A distanza di ben due anni, Roberta è con la fisioterapista, in uno dei tanti programmi. La fisioterapia viene fatta davanti a tante persone. C'erano la mamma, la zia, gli amici perché poi a casa si lavorava nella stessa maniera, proprio per ridurre i costi e favorire una riabilitazione intensiva.
  Dopo un altro anno passato, Roberta è in piedi, con tutta la gente intorno. La terapista sta tenendo un programma, quindi non è una fisioterapia. Tutte le persone che sono lì sono amiche di Roberta, quindi persone che poi la aiuteranno a casa.
  Qui stavamo incominciano a instaurare il passo. Roberta aveva una stazione eretta un po’ più stabile, ma stiamo parlando di quattro anni fa.
  Nel penultimo filmato, che è di pochi mesi fa, Roberta canta perché il compito doveva essere doppio, quindi doveva camminare e cantare. Questo è per dimostrarvi la difficoltà. Mentre canta, perde l'equilibrio. Siamo a casa sua, non in un centro di riabilitazione.
  Nell'ultimo filmato Roberta deve solo camminare senza cantare e cammina decisamente meglio. Questo è un filmato di qualche mese fa.
  Tutto questo percorso ha preso 17 anni di riabilitazione, ma non abbiamo finito perché c'è da lavorare sulla posizione del piede destro, visto che cammina ancora in maniera instabile. Attualmente, però, Roberta è inserita. Sta lavorando in una banca. È stata appena assunta part time. Prima si è laureata. Tutto sommato, siamo molto orgogliosi.
  Ha avuto il sostegno di un tutor durante l'università. Ha fatto la Cattolica. Poi, il papà lavorava in banca e questa è stata una Pag. 11grossa facilitazione. Infatti, il papà si è licenziato e ha lasciato il posto alla figlia.
  Grazie per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Siamo rimasti veramente colpiti. È vero che sono 17 anni, che hanno un costo immagino molto alto, ma è anche vero che è stata inserita una persona che ora è in grado di guadagnare e produrre.

  CLAUDIA CERVELLI, Fisiatra e Direttore sanitario del Centro di rieducazione psicomotoria ABILI S.r.l. di Milano. Il costo – ripeto – non è molto alto perché la fisioterapia di Roberta, a parte i primissimi periodi durante i quali faceva anche un'ora al giorno per cinque giorni, ora in realtà fa un'ora di fisioterapia a settimana. Adesso lavorano i genitori, gli amici; abbiamo anche istruito i colleghi della banca, proprio per dare uno sguardo perché lei si muove senza stampelle, così come l'avete vista, ma ci sono da fare delle scale.

  PRESIDENTE. Che patologia ha?

  CLAUDIA CERVELLI, Fisiatra e Direttore sanitario del Centro di rieducazione psicomotoria ABILI S.r.l. di Milano. È stata investita da una macchina, quindi è stata in coma per tre mesi e mezzo.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che desiderino porre delle domande.

  VITTORIA D'INCECCO. Ho innanzitutto un'esclamazione: Dio vi benedica per quello che fate! Cercherò di essere telegrafica. Vorrei solo esprimervi la solidarietà per la criticità che avete espresso, che è quella della rivedibilità della patologia, per cui quando è sicuro che non è reversibile si crea soltanto disagio alla famiglia, al paziente e anche alle istituzioni perché si potrebbero risparmiare i costi, ma anche il disagio e la fatica per i pazienti.
  Quindi, questo è un monito per noi per farci capire che ci dobbiamo tornare sopra e insistere. È come per i pazienti Down. Purtroppo anche loro non hanno una patologia reversibile, per cui è inutile chiamarli ogni anno.

  CLAUDIA CERVELLI, Fisiatra e Direttore sanitario del Centro di rieducazione psicomotoria ABILI S.r.l. di Milano. Vengono chiamati ogni due anni a visita. A me chiedono le relazioni, ma si tratta di persone Down.

  VITTORIA D'INCECCO. Vorrei chiedere se la riabilitazione è inserita nei Livelli essenziali di assistenza (LEA) quando non è più nella fase acuta e se ci sono lunghe liste d'attesa oppure è compatibile con i cicli che i pazienti devono sopportare. Inoltre, riguardo al singolo caso di Roberta, le chiedo se ha dovuto effettuare una terapia farmacologica durante la fase del coma e anche adesso.

  CLAUDIA CERVELLI, Fisiatra e Direttore sanitario del Centro di rieducazione psicomotoria ABILI S.r.l. di Milano. No, perché fortunatamente ha avuto crisi epilettiche solo nei primi anni post coma. Adesso non assume nessun farmaco. Io vi ho fatto vedere i filmati che avevo, chiedendo ai genitori. Sono tutti di riabilitazione neuromotoria perché è la cosa più lampante. Se vi avessi fatto vedere le sedute di logopedia, diventavano ben noiose. Tuttavia, ha fatto un sacco di sedute di logopedia, ma non è solo – mi riallaccio a quello che dicevo prima – una questione motoria.
  Roberta è stata in psicoterapia per anni perché ha dovuto accettare di aver avuto un incidente che le ha rovinato la vita a 13 anni e ha dovuto accettarsi per quella che è adesso, con quella voce e quel modo di camminare. Ancora oggi lei continua a chiedere, nonostante il supporto psicoterapeutico, se troverà mai un marito. Per esempio, vorrebbe un figlio. È questo che racconta.

  VITTORIA D'INCECCO. Prevedete una totale autonomia?

  CLAUDIA CERVELLI, Fisiatra e Direttore sanitario del Centro di rieducazione psicomotoria ABILI S.r.l. di Milano. Assolutamente sì. Questa è la nostra idea. La madre e il padre si sono già mossi per prenderle un appartamento che sarà nello Pag. 12stesso palazzo dove abitano loro. L'idea è quella di poterla mandare in totale autonomia.

  FRANCESCO PRINA. Sulla logopedia ha già risposto. Ho una curiosità. Questo livello professionale di intervento sanitario e sociosanitario è diffuso in questo modo su tutto il territorio nazionale?

  CLAUDIA CERVELLI, Fisiatra e Direttore sanitario del Centro di rieducazione psicomotoria ABILI S.r.l. di Milano. Secondo me no, però...

  PRESIDENTE. La dottoressa rappresenta un'associazione che opera in quale realtà?

  CLAUDIA CERVELLI, Fisiatra e Direttore sanitario del Centro di rieducazione psicomotoria ABILI S.r.l. di Milano. A Milano. Ci sono, però, altre realtà in tutta Italia che seguono – non perché gliel'abbiamo detto noi – queste linee riabilitative, quindi insegnano ai genitori o estendono ai volontari le conoscenze, cosa che permette di contenere fortemente i costi della riabilitazione, che sono, altrimenti, enormi.

  BERNARDO DALLA BERNARDINA, Direttore del Dipartimento sperimentale di pediatria e U.O. Neuropsichiatria infantile dell'Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona. Non per sminuire quello che ha detto la dottoressa, né per togliervi delle illusioni, però, ritornando a quello che vi ho detto prima, questa è una ragazzina che aveva uno sviluppo normale fino a quando non è finita sotto la macchina.

  PRESIDENTE. Questo è chiarissimo.

  BERNARDO DALLA BERNARDINA, Direttore del Dipartimento sperimentale di pediatria e U.O. Neuropsichiatria infantile dell'Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona. Non dico a voi, ma nell'ambito della popolazione una delle ragioni per le quali è difficile applicare una condizione di questo genere è che bisogna riuscire a far passare nella competenza medica e soprattutto nell'ascolto della popolazione che si possono ottenere dei risultati, partendo da quel contesto, ma i servizi di riabilitazione sono chiamati a gestire condizioni molto più drammatiche e senza una speranza simile, soprattutto senza che ci sia la possibilità di far acquisire ai parenti la reale storia naturale.
  Infatti, qualsiasi intervento può essere utile, se è calato in quella che sarà la storia naturale. Bisogna cercare di ottenere quello che si può. Desiderare l'inottenibile porta al massacro, oltre che a spese ingiustificate.

  CLAUDIA CERVELLI, Fisiatra e Direttore sanitario del Centro di rieducazione psicomotoria ABILI S.r.l. di Milano. È verissimo, ma è anche vero che se avessimo guardato Roberta appena uscita dalla rianimazione, che si muoveva in quel modo, non so quante persone avrebbero sperato in quello sviluppo. Io, però, applico lo stesso metodo con una persona affetta dalla sindrome di Rett.

  BERNARDO DALLA BERNARDINA, Direttore del Dipartimento sperimentale di pediatria e U.O. Neuropsichiatria infantile dell'Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona. (fuori microfono) Ma non si ottengono gli stessi risultati.

  CLAUDIA CERVELLI, Fisiatra e Direttore sanitario del Centro di rieducazione psicomotoria ABILI S.r.l. di Milano. È chiaro che non ottengo gli stessi risultati, ma lavoro in questa maniera – adesso non potevo presentare tutti i casi che ho – anche con una sindrome di Rett, che è una patologia genetica molto grave, con epilessia e con una percentuale altissima di comorbilità e una gravissima scoliosi. Nelle persone con sindrome di Rett che seguo, i gradi di scoliosi sono minori perché fanno fisioterapia molte ore al giorno e contro la scoliosi vengono messe in posture studiate apposta dai genitori, o altrimenti dalle tate o dalle zie.
  Questo ci permette di abbattere i costi. Le bambine che ho in mente e che sto seguendo in questo momento sono tutte a Milano. Una è in un istituto, una in un altro Pag. 13e la terza in un altro ancora, ma sono seguite. Una fa un'ora di fisioterapia; un'altra fa due ore di acquaticità e un'altra fa l'ippoterapia, che non serve a nulla nel caso della scoliosi. Eppure sto parlando di centri importanti di riabilitazione a Milano. Poi qui nasce la polemica.

  PRESIDENTE. Erano rimaste altre domande. Purtroppo, siamo tutti incalzati dal riprendere delle attività nelle Commissioni in cui siamo titolari. Questa è una seconda Commissione che si aggiunge alle altre.

  ROSETTA ENZA BLUNDO. Innanzitutto, vi ringrazio della vostra audizione e di averci spiegato in maniera così completa queste patologie, ma soprattutto di averci lasciato tutte le indicazioni sulle proposte di intervento sia normativo, sia di attenzione a vario titolo per quanto riguarda gli aggiornamenti che andrebbero fatti. Vi ringrazio molto per questo.
  Voglio essere breve. Ho soltanto due domande. Una riguarda l'inclusione scolastica e l'altra il problema della somministrazione dei farmaci, che mi sembra che nel caso dell'epilessia sia veramente rilevante.
  Ora abbiamo visto il caso di una ragazzina che è stata recuperata con una terapia fatta in maniera adeguata. Peraltro, trovo bellissimo questo coinvolgimento degli amici e della famiglia perché forse il danno più grave che qualunque essere umano sano o con disabilità può avere è l'isolamento. Ci sono persone che, come sappiamo benissimo, arrivano a gesti veramente gravi perché si sentono abbandonati, isolati, trascurati e così via.
  Credo che il coinvolgimento, al di là dell'abbassamento dei costi, che in un momento di crisi come questo va bene, sia ottimale anche se ci fossero tutti i soldi perché è importante che ci sentiamo comunità, cioè parti attive nell'aiutare sia una ragazzina che proviene da un incidente – cosa effettivamente difficile da accettare; appena l'ho sentito, avendo dei figli, ho rabbrividito perché può capitare in qualunque momento a noi e ai nostri cari – sia quando la disabilità è connaturata con la conformazione, cioè dalla nascita, con patologie purtroppo non risolvibili.
  Ecco, credo che anche un passetto avanti rispetto all'assoluta incapacità sia qualcosa di positivo da offrire, per cui quello della riabilitazione è un lavoro importante. Ho avuto anche casi di alunni o figli di mie amiche che, attraverso la riabilitazione, hanno recuperato qualcosa. Pertanto, ritengo che sia da diffondere questo tipo di metodologia.
  Per quanto riguarda il discorso dell'inclusione nella scuola, non possiamo creare delle difficoltà di frequenza e di presenza di queste persone che hanno bisogno di somministrazioni di farmaci salvavita. Neanche si può pretendere che la famiglia debba lasciare il posto di lavoro e andare dentro la scuola su chiamata, quando poi mi sembra di capire che, come nel caso dell'epilessia, la tempestività è fondamentale.
  L'insegnante non può avere il tempo di telefonare e attendere che con il traffico arrivino.

  CLAUDIA CERVELLI, Fisiatra e Direttore sanitario del Centro di rieducazione psicomotoria ABILI S.r.l. di Milano. In realtà la legge dice che gli insegnanti o comunque la preside, quando succede una cosa del genere in classe, non devono chiamare i genitori. Viene chiamano il 118, quindi deve arrivare l'ambulanza.

  ROSETTA ENZA BLUNDO. Ma comunque c'è un arrivo da attendere.

  CLAUDIA CERVELLI, Fisiatra e Direttore sanitario del Centro di rieducazione psicomotoria ABILI S.r.l. di Milano. Infatti, è una cosa assurda perché, come giustamente diceva il professore, basterebbe molto poco per istruire e avere delle persone preposte in ogni scuola a intervenire.
  È capitato, almeno nella mia esperienza, che qualche genitore abbia trovato una buona collaborazione, magari con insegnanti di sostegno o con l'educatrice, facendo una liberatoria e dicendo che, se per caso il bambino dovesse avere una crisi, andava somministrato un clisterino di Micronoan Pag. 14 per fermarla o ridurne la gravità. Bisogna, però, trovare l'insegnante che è disposta a farlo, perché per legge può dire di no.

  ROSETTA ENZA BLUNDO. Non solo può dire di no, ma si deve assumere una grandissima responsabilità. Vi facevo questa domanda perché anche, da insegnante, so che questo è veramente frustrante per noi e crea dei disagi nelle famiglie.

  PRESIDENTE. Ringrazio moltissimo entrambi i nostri ospiti. Quando l'indagine sarà conclusa, sarà nostra cura darvene comunicazione. Come sapete, le indagini conoscitive si concludono, per quanto riguarda questa e le altre Commissioni bicamerali, con documenti che le riassumono e che dovrebbero essere utili a dare indicazioni al lavoro del legislatore. La finalità dell'audizione è stata questa.
  Nel ringraziare nuovamente gli auditi dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.10.

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ALLEGATO 1

Documentazione presentata dal professor Bernardo Dalla Bernardina

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ALLEGATO 2

Documentazione presentata dalla dottoressa Claudia Cervelli

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