XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 13 di Martedì 7 febbraio 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Zampa Sandra , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SALUTE PSICOFISICA DEI MINORI

Audizione della professoressa Giovanna Russo, direttore U.O.C. Emato-Oncologia pediatrica, Azienda Policlinico-Vittorio Emanuele, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Catania, e del dottor Paolo D'Angelo, Direttore U.O. di Oncoematologia pediatrica ARNAS, Civico di Cristina e Benfratelli di Palermo.
Zampa Sandra , Presidente ... 3 
Russo Giovanna , direttore U.O.C. Emato-Oncologia pediatrica, Azienda Policlinico-Vittorio Emanuele, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Catania ... 3 
Zampa Sandra , Presidente ... 7 
D'Angelo Paolo , direttore U.O. di Oncoematologia pediatrica ARNAS, Civico di Cristina e Benfratelli di Palermo ... 7 
Zampa Sandra , Presidente ... 10 
D'Angelo Paolo , direttore U.O. di Oncoematologia pediatrica ARNAS, Civico di Cristina e Benfratelli di Palermo ... 10 
Zampa Sandra , Presidente ... 10 
D'Angelo Paolo , Direttore U.O. di Oncoematologia pediatrica ARNAS, Civico di Cristina e Benfratelli di Palermo ... 10 
Zampa Sandra , Presidente ... 11 
D'Angelo Paolo , Direttore U.O. di Oncoematologia pediatrica ARNAS, Civico di Cristina e Benfratelli di Palermo ... 11 
Zampa Sandra , Presidente ... 11 
D'Angelo Paolo , Direttore U.O. di Oncoematologia pediatrica ARNAS, Civico di Cristina e Benfratelli di Palermo ... 11 
Zampa Sandra , Presidente ... 12 
D'Angelo Paolo , direttore U.O. di Oncoematologia pediatrica ARNAS, Civico di Cristina e Benfratelli di Palermo ... 12 
Zampa Sandra , Presidente ... 13 
Prina Francesco (PD)  ... 13 
D'Angelo Paolo , Direttore U.O. di Oncoematologia pediatrica ARNAS, Civico di Cristina e Benfratelli di Palermo ... 13 
Russo Giovanna , Direttore U.O.C. Emato-Oncologia pediatrica, Azienda Policlinico-Vittorio Emanuele, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Catania ... 13 
Bertorotta Ornella  ... 13 
Russo Giovanna , direttore U.O.C. Emato-Oncologia pediatrica, Azienda Policlinico-Vittorio Emanuele, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Catania ... 14 
Bertorotta Ornella  ... 14 
Antezza Maria (PD)  ... 14 
Russo Giovanna , direttore U.O.C. Emato-Oncologia pediatrica, Azienda Policlinico-Vittorio Emanuele, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Catania ... 14 
Zampa Sandra , Presidente ... 15 
D'Angelo Paolo , direttore U.O. di Oncoematologia pediatrica ARNAS, Civico di Cristina e Benfratelli di Palermo ... 15 
Zampa Sandra , Presidente ... 15 

ALLEGATO 1: Documentazione presentata dalla professoressa Giovanna Russo ... 16 

ALLEGATO 2: Documentazione presentata dal dottor Paolo D'Angelo ... 31

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE
SANDRA ZAMPA

  La seduta comincia alle 12.40.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione della professoressa Giovanna Russo, direttore U.O.C. Emato-Oncologia pediatrica, Azienda Policlinico-Vittorio Emanuele, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Catania, e del dottor Paolo D'Angelo, Direttore U.O. di Oncoematologia pediatrica ARNAS, Civico di Cristina e Benfratelli di Palermo.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione della professoressa Giovanna Russo, direttore U.O.C. Emato-Oncologia pediatrica, Azienda Policlinico-Vittorio Emanuele, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Catania, e del dottor Paolo D'Angelo, direttore U.O. di Oncoematologia pediatrica ARNAS, Civico di Cristina e Benfratelli di Palermo.
  Ricordo ai colleghi che l'audizione di oggi fa parte dell'importante indagine sulla tutela della salute psicofisica dei minori. Credo sia bene focalizzare il fatto che stiamo, al momento, concentrandoci su una parte, quella che riguarda l'oncoematologia, in modo tale da poter chiudere l'indagine per segmenti.
  Credo che inizi la dottoressa Russo, che aveva anche del materiale, ma non ci siamo ancora attrezzati per poterlo visionare su schermo. In ogni caso, le chiediamo di consegnarlo, in modo che venga eventualmente allegato alle trascrizioni degli interventi. Comunque è a disposizione di chi vuole consultarlo.
  Sperando di riuscire ad attrezzarci, professoressa Russo, le lascio la parola.

  GIOVANNA RUSSO, direttore U.O.C. Emato-Oncologia pediatrica, Azienda Policlinico-Vittorio Emanuele, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Catania. Grazie per questo invito. Buongiorno a tutti. Ho portato una piccola presentazione, che ovviamente vi lascerò disposizione.
  Con il dottor D'Angelo ci siamo messi d'accordo per cercare di presentare, perché abbiamo interpretato che questo è quanto ci è stato chiesto, quali sono le esigenze e i bisogni psicofisici rivolti soprattutto ai pazienti oncologici pediatrici, nella fattispecie, nella nostra regione, la Sicilia.
  Abbiamo letto le audizioni precedenti e ci siamo resi conto che un quadro generale dell'oncologia pediatrica vi è stato già presentato sotto vari aspetti e varie sfaccettature. Quindi, abbiamo preferito focalizzare l'attenzione sulle peculiarità proprie della nostra regione. Per questo motivo mi scuso se le nostre presentazioni non saranno né complete, né esaustive. Abbiamo voluto focalizzare solo gli aspetti più rilevanti.
  È inutile sottolineare – credo che quest'aspetto sia sicuramente a voi ben presente – che un bambino con una malattia oncologica è un bambino particolarmente bisognoso, perché assomma due fragilità: l'essere bambino e la malattia oncologica o Pag. 4la ematooncologica, che è una malattia grave, con prognosi spesso infausta o comunque difficile.
  Il percorso tipo di un paziente pediatrico con malattia oncologica è un percorso molto complicato, con un impatto emotivo fortissimo in tutte le fasi della malattia: nel momento in cui si pone un sospetto diagnostico, quando viene formulata la diagnosi, nel momento in cui il bambino affronta un iter terapeutico complesso, pesante e gravato sempre di complicazioni. Non esiste bambino che affronti una malattia oncologica che non abbia almeno una complicazione o una difficoltà.
  A questo si aggiungono le difficoltà di chi esce dalla malattia oncologica, di quelli che noi chiamiamo off therapy, cioè quelli che hanno completato il percorso, che devono fare i conti con gli effetti collaterali a lungo termine, con il reinserimento in un percorso di vita normale, che sia scolastico, lavorativo o sociale e, ancora di più, quelli per cui, invece, la prognosi è infausta, che devono fare i conti con una terapia di seconda linea per una recidiva di tumore e complicazioni e, peggio ancora, per quelli ai quali le cure non possono più garantire una guarigione, per cui è previsto un periodo di vita di terminalità, con tutte le conseguenze che da questo derivano.
  È inutile sottolineare che tutti noi non siamo programmati per perdere i nostri figli. La morte dei giovani e dei bambini è una cosa che va contro il normale scorrere della vita. Quindi, un evento come questo è un evento devastante per l'intero nucleo familiare e comporta delle difficoltà di gestione soprattutto sul piano emotivo, psicologico, sociale e familiare veramente di grande impatto.
  Vorrei parlare delle cure domiciliari, intese secondo due modalità differenti. Possiamo pensare a delle cure domiciliari rivolte ai pazienti che compiono un normale percorso di cura con cui vogliamo garantire al paziente la possibilità di ricevere le cure al proprio domicilio, limitando il più possibile i periodi di ospedalizzazione. In questo modo il paziente che deve fare una terapia, una trasfusione, che deve avere un supporto nutrizionale, anziché ricoverarsi in ospedale, potrebbe ricevere quelle cure, o almeno una parte, al proprio domicilio, mantenendo così l'integrità della vita familiare e sociale, che è qualcosa che salvaguarda molto il bambino e la sua famiglia.
  Un altro percorso, invece, riguarda i pazienti terminali, cioè quelli per cui le prospettive di guarigione non esistono più. Si tratta, quindi, di programmare un percorso che accompagni il paziente e la sua famiglia verso l'esito inevitabile. Questi due aspetti possono camminare paralleli, ma richiedono anche caratteristiche assistenziali e organizzative differenti.
  L'assistenza domiciliare rivolta al paziente in cura serve soprattutto a migliorare la qualità di vita del bambino, che può ricevere le cure al proprio domicilio. Serve a ridurre i ricoveri in ospedale, sia per migliorare la qualità di vita del bambino, sia per decongestionare i centri di ricovero, che quindi potrebbero ricoverare o assistere nel proprio centro solo quei pazienti che hanno un'intensità di cura che non è gestibile a domicilio. Ridurrebbe le liste d'attesa e potrebbe modulare meglio l'erogazione delle attività assistenziali. Potrebbe anche contenere i costi, che per un ricovero in ospedale sono molto ingenti. Se si riuscisse a stornare parte di queste attività verso attività domiciliari, chiaramente i costi sanitari sarebbero più contenuti.
  L'altro percorso, invece, riguarda soprattutto le cure palliative. Pensiamo, per quanto riguarda le cure palliative, a quei pazienti che sono colpiti da una malattia che non risponde più alle cure volte alla guarigione. Le cure palliative servono a sostenere i pazienti e la loro famiglia attraverso questo percorso di fine della vita.
  L'ideale sarebbe riuscire ad organizzare dei servizi assistenziali in cui l'ospedale e il domicilio possano interscambiarsi, perché il paziente, cioè il bambino, con una malattia è al centro delle nostre attenzioni e, come tale, dovrebbe ricevere, in un'organizzazione perfetta, le migliori cure nel setting assistenziale più idoneo, momento per momento, per le sue necessità di un dato momento. Occorre, quindi, una grande e continua integrazione tra il centro di ricovero, il centro ospedaliero per intenderci, Pag. 5 e il domicilio del paziente, dove parte delle cure può essere sicuramente garantita.
  Ho portato dei dati relativi alla Sicilia, che troverete nella presentazione che ho lasciato, per dare un'idea di quali siano i bisogni della nostra regione. Abbiamo fatto un calcolo approssimativo per cui ogni anno in tutta la nostra regione vengono diagnosticate tra le 150 e le 160 nuove malattie oncologiche in bambini. Considerando che in Sicilia esistono solo due centri di oncologia pediatrica, che sono qui rappresentati dalla sottoscritta e dal dottor D'Angelo, di fatto ci dividiamo geograficamente il carico delle nuove diagnosi di questi bambini.
  Solo qualcuno di loro migra direttamente verso qualche altro centro del Nord Italia. Qualcuno ancora nel sospetto diagnostico viene direttamente condotto presso altri centri, ma direi che il 90-95 per cento dei casi afferiscono a uno dei nostri due centri. Grosso modo, quindi, ognuno di noi, a Catania e Palermo – ci dividiamo abbastanza equamente su base geografica i bisogni dell'isola – effettua 70-80 nuove diagnosi di malattie ematooncologiche all'anno.
  Non abbiamo, però, solo le nuove diagnosi. Abbiamo i pazienti in terapia, abbiamo i pazienti lungo-sopravviventi, quelli a cui facevo riferimento, e gli off therapy. Ognuno dei due centri ha nel proprio follow-up circa 700-800 pazienti, molti dei quali sono fuori terapia e, quindi, naturalmente, vengono visti poche volte e non costituiscono un grosso carico di lavoro.
  Un centinaio almeno di pazienti è in terapia. Di questi calcoliamo circa 15-20 pazienti con prognosi infausta per ognuno dei due centri. Ogni anno, quindi, ci dobbiamo fare carico di assistere fino alla terminalità almeno 15-20 pazienti.
  Qual è la realtà dei nostri due centri? Io ho preferito non presentarvi quello che facciamo, quello in cui siamo bravi e le diverse attività che si svolgono, perché ho interpretato che non volete sentire questo. Non volete sentire quanto siamo bravi. Volete sapere, invece, quali sono i bisogni, cioè quello che c'è da fare.
  Il centro di Catania è molto bello, ristrutturato recentemente grazie a una Onlus che ci supporta, ed è un luogo molto accogliente, strutturalmente adeguato per questo volume di attività. Abbiamo un laboratorio di ricerca e un'unità di trapianto di cellule staminali. Quindi, è un centro efficiente.
  La dotazione organica che abbiamo è, per alcuni versi, appena sufficiente. Per altri non lo è per niente, perché disponiamo al momento di otto medici strutturati, cioè assunti col Sistema sanitario nazionale, e di alcuni volontari. Vorrei dire, però, che molti di questi medici strutturati, in realtà, fanno una parte di lavoro secondo il loro compito, il loro monte orario, e una parte di lavoro come volontari, nel senso che ognuno dei medici fa molto di più del proprio orario di lavoro e ha una dedizione che va molto oltre il proprio dovere ed i compiti istituzionali.
  Quello che emerge dalla nostra dotazione organica è la mancanza di psicologi strutturati – ne abbiamo solo due volontari – la mancanza di amministrativi – ne abbiamo uno, anche questo su base volontaristica – e di quelle figure che ho indicato come data manager. Sono figure importantissime, perché oggi la sanità è molto burocratizzata. È una sanità in cui, a parte il classico lavoro del medico, che tutti immaginate (visitare i pazienti e fare le terapie), c'è tutto un lavoro di rendicontazione, di tenuta dei dati, di aderenza ai protocolli nazionali e internazionali. Queste figure sarebbero, quindi, molto utili, ma è difficile poterne disporre.
  Perché questo? Vorrei dire – questa è una cosa a cui tengo particolarmente – che questi sono dati non miei, ma dati nazionali ottenuti dall'AIEOP, che voi conoscete, ossia l'Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica, un grande network dentro cui tutti lavoriamo.
  L'AIEOP ha fatto un'analisi di sopravvivenza dei pazienti, dividendoli secondo la zona di residenza o anche secondo la distribuzione geografica del centro di cura. Queste curve dimostrano che non ci sono differenze di sopravvivenza tra le varie aree di residenza tra Nord, Centro, Sud e Pag. 6isole e che non c'è differenza di sopravvivenza neanche secondo la collocazione geografica del centro. In altre parole, i pazienti curati da noi hanno le stesse probabilità di sopravvivenza dei pazienti curati al Centro e al Nord Italia. Questo è un dato importante, perché dice che tutti i pazienti vengono curati egualmente bene in tutta Italia.
  Quali sono le criticità nostre, sia di Catania, sia, in parte, di Palermo? Poi il dottor D'Angelo vi dirà delle cose più peculiari della sua città. È inutile dire che la sanità italiana in generale e quella siciliana in particolare ha delle difficoltà oggettive note a tutti. La nostra è ancora una regione cosiddetta in Piano di rientro. Le risorse sono, in genere, limitate in tutta Italia, ma in particolare in Sicilia, dove ancora abbiamo gli effetti pesanti del blocco delle assunzioni e dell'obbligo di rientrare nei costi. Quindi, abbiamo delle difficoltà oggettive che ci penalizzano gravemente.
  In più, aggiungiamo che, a differenza di altri centri che operano in strutture ospedaliere interamente pediatriche – mi riferisco al Gaslini di Genova, al Meyer di Firenze e a Torino – noi operiamo in ambienti ospedalieri misti. Quindi, non abbiamo le specificità e le specialità dedicate al bambino. Per noi è molto faticoso disporre di un’équipe anestesiologica, intensivistica o specialistica secondo le varie specialità che si richiedono, di volta in volta, interamente dedicate ai bambini.
  Un'altra differenza rispetto a quello che avviene al centro e al nord è che molti di noi, così come fanno al nord Italia, lavorano grazie al supporto di alcune associazioni Onlus, di associazioni di genitori e Onlus specifiche che ci supportano. Potete immaginare, però, che il budget a loro disposizione e, quindi, il contributo economico che possono fornire a noi centri del sud, molto diverso da quello che avviene nei centri del nord.
  Ci sono Onlus che sono state in grado di costruire e gestire interi ospedali. Da noi, naturalmente, i numeri sono molto più limitati. Per esempio, quelle figure a cui facevo riferimento poco fa, come il data manager o altre, che potrebbero in altre realtà essere supportate col contributo delle Onlus, da noi si fa fatica ad averle. Abbiamo, sì, dei biologi e degli psicologi supportati dalle Onlus, ma ovviamente non si tratta di una risorsa così ingente da poter realizzare tutto quello che ci serve.
  Infine, noi abbiamo un'altra grande difficoltà, che è un po’ difficile da raccontare a parole, anche perché non ci sono i numeri. Fa riferimento al fatto che, in generale, c'è una sfiducia nei confronti della sanità siciliana e della sanità meridionale, ragion per cui, in genere, per il paziente, bambino o adulto che sia, quando fronteggia una malattia grave e importante come può essere quella oncologica, il primo pensiero è quello di cercare un luogo di cura migliore, dove possa ricevere, nel pregiudizio generalizzato, cure più adeguate.
  Facciamo una gran fatica per tenere agganciati a noi i pazienti. C'è un impegno costante per mantenere un rapporto di fiducia con queste famiglie e per convincerle che possono ricevere le stesse cure da noi in Sicilia, così come in altri centri. Tutto questo, che in larga misura avviene ogni giorno, comporta però un grande impegno, una grande dedizione ed una grande fatica. Quindi, lavoriamo sempre controcorrente. Quei risultati di cui vi ho detto, cioè le percentuali di sopravvivenza sovrapponibili a quelle del nord e a quelle del centro, si realizzano grazie ad un impegno continuo e costante, ragion per cui noi facciamo una fatica che è doppia e tripla di quella dei nostri colleghi del nord Italia.
  Per quanto riguarda l'assistenza domiciliare, a cui ho fatto cenno, in Sicilia siamo molto indietro. Sono state realizzate delle reti di assistenza domiciliare per i pazienti adulti che, per lo più, si affidano a delle organizzazioni locali. Nella maggior parte dei casi, le singole aziende sanitarie hanno istituito o trovato delle convenzioni con delle Onlus specifiche che si occupano poi di erogare quest'assistenza domiciliare, ma non esistono Onlus dedicate al bambino, né una rete pediatrica. Pertanto, non c'è personale dedicato, formato per un'assistenza domiciliare pediatrica. Quindi, non esiste la possibilità di erogare in maniera compiuta e formalmente organizzata un'assistenza Pag. 7 domiciliare pediatrica né al bambino in cura, né al bambino terminale.
  Quello che facciamo è che, di fatto, noi singoli centri – Catania e credo anche Palermo – eroghiamo l'assistenza ai bambini in cura e ai bambini anche terminali che risiedono vicino alle nostre sedi. Cerchiamo di volta in volta un contatto con le Onlus che si occupano di assistenza domiciliare per i bambini terminali che hanno il domicilio o la residenza molto lontani dal nostro centro. Pensate che in Sicilia, essendoci solo i due centri di Catania e Palermo, ci sono comuni che distano da noi anche 100 e più chilometri, più di due ore di percorrenza in macchina.
  Naturalmente, a volte si trova un'associazione con cui si riesce a dialogare o ad organizzare l'intervento, ma questo non sempre succede. Quindi, si tratta di un'organizzazione che non esiste, ragion per cui, di volta in volta, ci si inventa una soluzione da adattare al singolo caso ed alla singola famiglia.
  Quello che vorremmo è la creazione di una rete pediatrica con personale dedicato. Ho visto che il dottor Garaventa, in un'audizione precedente, vi ha illustrato come presso i nostri centri occorrano dai 5 ai 7 anni di frequenza perché un giovane possa dirsi formato in oncologia pediatrica. Noi vorremmo una rete domiciliare pediatrica dedicata che, sotto la nostra supervisione, sotto il nostro coordinamento di Catania e Palermo, possa farsi garante di erogare l'assistenza ai bambini secondo le loro necessità.
  Concludo il mio intervento auspicando che l'ospedale e il domicilio possano essere fra di loro perfettamente integrati e coordinati, perché solo così, condividendo ed integrando le cure, si può assicurare ad ogni bambino e ad ogni famiglia quella continuità ed intensità di cure che è necessaria per ognuno di loro.

  PRESIDENTE. La ringrazio molto, professoressa Russo. Gli auditi chiedevano, al loro arrivo, se ci fossero tra i presenti esponenti siciliani. È presente una collega che viene dalla Sicilia, la senatrice Bertorotta.
  Dottor D'Angelo, passerei a lei la parola e le chiederei di restare nei quindici minuti, in modo che ci sia il tempo per fare domande e sentire le vostre risposte. Grazie.

  PAOLO D'ANGELO, direttore U.O. di Oncoematologia pediatrica ARNAS, Civico di Cristina e Benfratelli di Palermo. Vi ringrazio per l'interesse e per questo invito, che ci permette anche di fare il punto sulla situazione della nostra regione, che sicuramente ha dei risvolti e delle capacità che possono essere differenti da altre regioni italiane.
  Abbiamo cercato di non ripeterci con la professoressa Russo, ragion per cui abbiamo tentato di svolgere una trattazione che fosse complementare, anche perché alcune delle criticità magari sono diverse a Palermo rispetto a Catania.
  A noi piacerebbe avere un centro strutturalmente bello, come quello della professoressa Russo, ma stiamo ancora soffrendo per una certa latitanza dell'edilizia ospedaliera quantomeno nella Sicilia occidentale. Ci dividiamo fondamentalmente la Sicilia in due parti, perché da noi arrivano più che altro i pazienti di Trapani, Agrigento e, ovviamente, Palermo. Caltanissetta annovera persone indecise, che cercano di vedere quale sia il percorso più breve.
  Io ho cominciato a lavorare quando la migrazione sanitaria era intorno al 70 per cento. L'aneddoto era che il miglior centro di oncoematologia pediatrica in Sicilia fosse l'aeroporto. Per noi era il Punta Raisi, adesso Falcone e Borsellino, ma fondamentalmente era veramente così. La maggior parte dei pazienti si recavano, già al momento del sospetto diagnostico, presso un altro centro, oppure andavano via, magari dopo che la diagnosi era stata effettuata, per una mancanza di fiducia, per un substrato culturale che ha sempre avuto questo tipo di background.
  Non è un discorso che riguarda soltanto l'oncologia. Conosco bambini o ragazzi che sono partiti per operare una cataratta. Lo stesso problema interessa anche l'oftalmologia pediatrica o l'ortopedia pediatrica. Non parlo soltanto di chirurgia ricostruttiva di altissimo livello, quale può essere la Pag. 8chirurgia ricostruttiva che si deve impiegare nella cura di un sarcoma dell'osso. Parlo anche di interventi sui legamenti, «semplici» ricostruzioni che sono alla portata di molti ortopedici. Fondamentalmente c'è la tendenza a recarsi fuori anche per alcune malattie cardiologiche. Alcuni casi sono più che giustificati, altri un po’ meno.
  Rispetto a quanto diceva la professoressa Russo, noi soffriamo ancora di una discreta migrazione per bambini che si ammalano di tumori dell'osso e del sistema nervoso centrale. In Sicilia è abbastanza «carente» l'offerta sanitaria che riguarda la chirurgia ortopedica per il bambino e, direi, per taluni versi, anche per l'adulto, ma anche la neurochirurgia.
  Non esiste una neurochirurgia infantile al di sotto di Roma. C'è una buona neurochirurgia a Napoli, al Santobono Pausilipon, ma per alcune situazioni, per alcune patologie, in fin dei conti, può essere anche giustificata la migrazione.
  Onestamente, se tratto un sarcoma dell'osso, al momento della chirurgia differita, poiché mi comporto come se fosse mio figlio, sono io stesso a trasferire il paziente presso un centro dove l’expertise è nettamente superiore e dove, chiaramente, quel tipo di intervento richiesto, in particolare un autotrapianto di osso con innesto vascolare, viene eseguito 50-60 volte all'anno, mentre questo tipo di operazione non viene affrontata mai alle nostre latitudini.
  Sfatiamo, quindi, il fatto che tutto debba essere curato in regione. Soprattutto per alcune patologie e per alcune malattie rare, non è così. Anzi, è bene che ci siano pochi centri attrezzati e specializzati nella cura di determinate patologie. Bisogna sempre perseguire il bene del paziente.
  La situazione è questa: noi abbiamo sofferto di un incremento dell'incidenza delle patologie oncologiche nel decennio a cavallo tra il Novecento e del Duemila. Sostanzialmente, abbiamo avuto un incremento dell'incidenza per patologie neoplastiche anche nel bambino negli ultimi anni Novanta e all'inizio del Duemila. Poi questa tendenza si è ridotta, appiattita. Addirittura c'è stato un decremento.
  Probabilmente questo è stato legato anche al miglioramento delle nostre capacità diagnostiche. Siamo riusciti a fare diagnosi anche di alcuni tumori magari perinatali o prenatali. Questo ha, quindi, aumentato una certa incidenza. Il dato che crea un po’ di ansia, però, è che in Europa abbiamo l'incidenza per tumori nella fascia pediatrica e adolescenziale più alta rispetto ad altri Paesi industrializzati che, bene o male, si possono confrontare, come la Francia e la Germania, per esempio. Arriviamo anche a un tasso di 167-170 casi di bambini per milione all'anno. Sono cifre superiori anche all'incidenza che viene registrata in Nord America.
  Quando ho cominciato a studiare oncologia, si parlava di 120 casi – forse la collega se lo ricorda – per milione all'anno. Adesso si parla di 150-160, o anche di più. Sicuramente una maggiore incidenza del tumore in età infantile potrebbe anche essere legata a fattori ambientali. Certo, non è che abbiamo fatto granché per rispettare il nostro pianeta nell'ultimo secolo, negli ultimi cinquant'anni.
  Negli anni Settanta-Ottanta, però, si guariva in circa il 40 per cento dei casi, mentre adesso abbiamo raggiunto un tasso di guarigione, di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi, che si attesta intorno all'80-82 per cento, sia per i bambini, sia per gli adolescenti. Mi riferisco ad adolescenti curati in centri pediatrici. Vedremo ancora in seguito tale aspetto.
  Tra l'altro, la malattia tumorale nel bambino e nel ragazzo, nell'adolescente, è una patologia abbastanza rara, perché tenete presente che i tumori dei bambini sono circa il 3 per cento di tutti i tumori che investono la nostra popolazione, ma è una patologia devastante dal punto di vista emotivo, perché coinvolge tutto il nucleo familiare, sia quello ristretto che quello più esteso, con implicazioni anche sociali e socioeconomiche particolarmente rilevanti.
  Nella maturazione e nella crescita dei centri di oncoematologia pediatrica possiamo dire che almeno i nostri centri accreditati sono delle isole felici all'interno degli ospedali. Una delle iniziative più importanti è stata la costituzione di una rete. Pag. 9Il lavoro in rete, attraverso la costituzione dell'Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica, della quale sicuramente già avete sentito parlare, attraverso la condivisione dei casi e dell'esperienza, ha portato alla formazione di una classe di pediatri che poi, di fatto, hanno, per taluni versi, «colonizzato» i vari centri, perché poi, magari, sono ritornati a casa. Anch'io sono stato migrante, borsista, e per tre anni ho fatto la mia esperienza in altri centri. Poi, ritornando a Palermo, ho preso in pugno la situazione.
  Il lavoro nella rete ha comportato la possibilità di creare delle condizioni similari, uguali o sovrapponibili in tutti i centri che ne fanno parte. Questo è stato importante, perché ha permesso di offrire uguali possibilità di cura, ed anche uguali possibilità diagnostiche, con l'utilizzo di protocolli assolutamente sovrapponibili, estesi a tutto il territorio nazionale, e talvolta sono a diffusione internazionale, che partono fin dal momento dell'accoglienza. Fin da quando il paziente viene ricoverato per la prima volta e vi è ancora solo un sospetto di malattia neoplastica, tutti i bambini e le loro famiglie vengono accolti allo stesso modo all'interno dei nostri centri.
  Il percorso diagnostico che si innesca dal momento del sospetto segue delle linee-guida o dei protocolli che ci permettono comunque di arrivare alla diagnosi con gli stessi strumenti e gli stessi metodi. Tutto il percorso è condiviso in tutti i centri.
  Un altro aspetto importante della rete è la possibilità di un'accuratezza della diagnosi, perché all'interno della rete dell'AIEOP vi sono tanti laboratori che sono accreditati e che offrono la revisione, la centralizzazione, lo studio di una determinata patologia, a seconda del tipo di tumore, e che vengono fruiti dagli altri centri più piccoli, che magari non hanno risorse, e possono essere utilizzati nel percorso diagnostico in maniera certificata e assolutamente gratuita.
  Questo è anche un notevole risparmio di risorse, perché è inutile che ci mettiamo a fare tutti un po’ di tutto. La centralizzazione in maniera selettiva di alcuni tumori in particolari siti della nostra rete ci mette nelle condizioni di avere una maggiore accuratezza diagnostica, utilizzando risorse che si possono ricavare anche dal risparmio sull'istituzione di centri o laboratori per tutte le patologie. Questa è una delle caratteristiche più importanti della rete.
  Il miglioramento ulteriore dell'accuratezza diagnostica e della sopravvivenza trova la sua giustificazione anche nella diffusione e nell'inserimento di tutti i pazienti che afferiscono alle nostre aree in trial multicentrici, ossia protocolli clinici osservazionali di terza o quarta fase, e talvolta anche di prima o seconda fase, in cui tutti i bambini o i ragazzi vengono trattati allo stesso modo.
  Questa è garanzia di accuratezza sia nella fase iniziale diagnostica, sia nella terapia e nel follow-up. L'adesione ai trial multicentrici, infatti, per alcune patologie è estesa anche oltre l'età pediatrica. Anzi, una delle iniziative più importanti che bisognerebbe attuare per cercare di uniformare il territorio, perché attualmente la situazione è a macchia di leopardo, è l'estensione obbligatoria dell'età pediatrica fino a 18 anni.
  Abbiamo visto da studi non soltanto europei, ma anche nordamericani, che i pazienti adolescenti, che già soffrono di un distacco dalla realtà, che vivono un po’ per conto loro, non si fanno controllare dal medico curante, interrompono il rapporto con i loro genitori, costituiscono un mondo a parte, proprio per la difficoltà che si ha nella relazione con loro. Gli adolescenti talvolta sono colpiti da patologie a cavallo tra la malattia del bambino e quella dell'adulto. Se l'adolescente viene curato all'interno di trial pediatrici, ha una percentuale di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi del 30 per cento maggiore rispetto alla stessa fascia di età trattata in centri dell'adulto; non dico con i protocolli dell'adulto perché alcune malattie non hanno un corrispettivo in forma di trial o protocolli quando vengono prese in carico dalle oncologie dell'adulto.
  Di questo si sono rese benissimo conto la Società italiana di ematologia e l'Associazione italiana di oncologia medica, che per alcune patologie alla fine hanno cominciato Pag. 10 a utilizzare i protocolli pediatrici, che sono più intensi; infatti arruolano soltanto soggetti al di sotto dei 30 anni, perché probabilmente al di sopra di quell'età sarebbero dei protocolli terapeutici troppo devastanti, pur nella loro efficacia. Ci si è resi conto quindi che la prognosi è nettamente migliore se il paziente viene trattato all'interno di un protocollo pediatrico.
  Dal momento che, come avete già sentito nelle precedenti audizioni, ci sono dei centri che riescono a ricoverare e a trattare pazienti giovani e adulti, noi non abbiamo nessuna limitazione da questo punto di vista, perché anche noi ci troviamo nella stessa condizione della professoressa Russo, cioè fondamentalmente ci troviamo in un ospedale per adulti. Noi eravamo all'Ospedale dei bambini, che è un ospedale soltanto pediatrico, però per vicende legate alla ristrutturazione dell'ospedale siamo stati temporaneamente trasferiti, affinché ultimassero i lavori di ristrutturazione che talvolta si accompagnano anche a delle epidemie di funghi o altri batteri, legati alla presenza della cantieristica. Soltanto che il temporaneo dura già da sei anni e non abbiamo neanche idea di quando potremo rientrare nella nostra realtà pediatrica.
  Grande importanza della malattia, quindi, e grande sofferenza soprattutto al momento della diagnosi. Uno degli aspetti più importanti che si cerca di perfezionare è la comunicazione, e, come diceva bene la professoressa Russo, bisogna perderci tantissimo tempo perché, oltre a parlare con i genitori, si deve parlare con tutta la famiglia allargata, che specialmente in Sicilia, quando si tratta di queste problematiche, accorre numerosa, quindi ripeti la comunicazione un'infinità di volte, perché c'è un passaparola che porta tante persone in ospedale.
  Questo però è uno degli aspetti più importanti, una comunicazione chiara, trasparente, e la presentazione di un disegno diagnostico-terapeutico fin dall'inizio, che deve contemplare purtroppo anche la trattazione del caso che le cose possano andare male, perché quello è uno degli aspetti che, anche se non lo chiedono, è bene che faccia parte della comunicazione iniziale: perché secondo me anche la presa in carico come sotto l'aspetto della palliazione deve cominciare fin dalla diagnosi e non deve essere un momento che si realizza soltanto nell'ultimo mese di vita.
  Esiste l'AIEOP distribuita su tutto il territorio. Ci sono centri più o meno importanti, al momento sono 53 sulla carta, però si sta lavorando per una riduzione dei centri di riferimento, che dovrebbero essere pressoché dimezzati, e probabilmente alcuni aspetti della rete potranno essere organizzati attraverso l'identificazione di hub & spoke.

  PRESIDENTE. Intanto vi ringrazio molto. Dicevo con la professoressa Russo che c'è una dose di eroismo in queste testimonianze. È così dappertutto, nel senso che abbiamo sentito racconti e testimonianze, e anche la presenza del volontariato in questo campo segna molto la differenza, ma si coglie che in questo caso senza la volontà, la determinazione e l'impegno personale non si costruisce proprio. Altra cosa è lavorare in regioni dove c'è la capacità di lavorare insieme a delle istituzioni e si arriva a predisporre dei programmi da mettere a disposizione della società.

  PAOLO D'ANGELO, direttore U.O. di Oncoematologia pediatrica ARNAS, Civico di Cristina e Benfratelli di Palermo. Vi ho spiegato il ruolo di AIEOP nel cercare di determinare le migliori condizioni all'interno di tutti i centri della rete, e questo ha determinato una riduzione drastica anche della migrazione sanitaria, che è stato uno degli aspetti più importanti, oltre a determinare una formazione continua.

  PRESIDENTE. Ma l'AIEOP è regionale?

  PAOLO D'ANGELO, Direttore U.O. di Oncoematologia pediatrica ARNAS, Civico di Cristina e Benfratelli di Palermo. No, è un'associazione nazionale, lavoriamo tutti insieme. Fondamentalmente vengono costituiti dei gruppi di lavoro per ogni singola patologia, le persone che fanno parte dei gruppi di lavoro si riuniscono periodicamente. Per alcune patologie i gruppi di Pag. 11lavoro sono internazionali: per esempio per la leucemia linfoblastica acuta il protocollo è sovra-europeo; per i sarcomi delle parti molli, in cui l'Italia di fatto recita una parte da coordinatore principale, partecipano quasi tutti i Paesi europei e anche Australia e Nuova Zelanda. Per alcune patologie invece si rimane a livello nazionale.
  Quasi il 50 per cento dei centri si trova al nord, e alcuni onestamente non hanno neanche motivo di essere, perché trattano pochi casi, e questa è una delle motivazioni per cui è stata rivista la distribuzione dei centri AIEOP: non ha senso che il 50 per cento sia nel nord e il restante 50 per cento al centro, sud e isole. Ci sono regioni come la Basilicata e il Molise che non hanno centri AIEOP, mentre nella Puglia ce ne sono quattro abbastanza piccoli, che si contendono i pazienti. Questa è una cosa che andrà sicuramente riesaminata.

  PRESIDENTE. Una domanda su un punto. Lei ha detto che c'è stato un aumento dei casi.

  PAOLO D'ANGELO, Direttore U.O. di Oncoematologia pediatrica ARNAS, Civico di Cristina e Benfratelli di Palermo. Sì, nel decennio precedente.

  PRESIDENTE. Lei esclude che ci siano nuove tecnologie in grado di fare diagnosi più correttamente adesso rispetto al passato? Che molti non fossero proprio diagnosticati, quindi la rilevazione tiene conto del fatto che ora le diagnosi sono più accurate.

  PAOLO D'ANGELO, Direttore U.O. di Oncoematologia pediatrica ARNAS, Civico di Cristina e Benfratelli di Palermo. Nell'ultimo ventennio sicuramente abbiamo allargato la capacità di fare diagnosi e abbiamo utilizzato strumenti diagnostici anche nell'ultimo periodo della gravidanza. Per esempio, un tumore che ha la caratteristica biologica di regredire spontaneamente spesso viene diagnosticato durante l'epoca prenatale o nei primi mesi di vita, e probabilmente la diffusione dell'ecografia programmata durante la gravidanza – o anche nei primi tre mesi di vita, perché sono in corso screening di valenza regionale – può comportare l'esecuzione di diagnosi che magari non si sarebbero fatte in un altro periodo, quindi sicuramente abbiamo migliorato su quel versante. Ci sono delle patologie che prima portavano a morte i bambini e non si sapeva neanche perché, quindi abbiamo migliorato sicuramente la nostra capacità di diagnosi.
  Sicuramente è uno dei fattori più importanti che ha influenzato l'aumento dell'incidenza.
  Vi dicevo quindi che fin dai primi passi la rete AIEOP ha creato le condizioni per uniformare il più possibile sia l'approccio iniziale al bambino, sia la diagnostica, ma anche il trattamento, attraverso quello strumento che vi ho indicato precedentemente, il protocollo e le linee guida, in maniera che tutti fossero trattati alla stessa maniera. È importante che il bambino abbia la possibilità di ricevere diagnosi e cura allo stesso modo in tutti i centri della rete, senza che questo possa discriminare all'interno di un percorso.
  Per quanto riguarda il Centro di Oncoematologia di Palermo, è da anni una delle strutture di riferimento regionale e nazionale per la diagnosi e il trattamento delle leucemie e dei tumori dell'età pediatrica. Fa parte, oltre che dell'AIEOP, anche della SIOP, la Società internazionale di oncologia pediatrica, e all'interno del nostro centro vengono seguiti anche i pazienti con immunodeficienze primitive, quindi facciamo parte del percorso del Network per la diagnosi e la terapia delle immunodeficienze primitive (IPINET).
  Abbiamo quindi fondamentalmente 50-60 nuovi casi all'anno, senza contare il fatto che, essendo centro di riferimento per le malattie rare e per le immunodeficienze, abbiamo un'altra ottantina di pazienti in carico che sono invece affetti da immunodeficienze primitive, e ci occupiamo per mancanza di specialisti in loco anche della patologia ematologica non oncologica, quindi citopenie, aplasie di Fanconi, anemie di Blackfan, che talvolta hanno delle caratteristiche di gravità che sono anche superiori e più impegnative rispetto a quelle di una Pag. 12leucemia o di un tumore, perché magari il percorso conduce alla realizzazione di un trapianto di cellule staminali, altrimenti non c'è possibilità di guarire il soggetto.
  Alcune patologie non prettamente oncologiche possono quindi essere altrettanto impegnative, anche perché talvolta insorgono nel bambino nei primi mesi di vita, quindi possono essere congenite, connatali o comunque svilupparsi nel corso dei primi mesi di vita.
  Tra le criticità del centro di Palermo sulle quali volevo attirare l'attenzione, c'è innanzitutto la latitanza dell'edilizia ospedaliera, perché non si costruiscono ospedali pubblici, almeno nella Sicilia occidentale, da tantissimi anni; siamo ancora in attesa che si realizzi l'ospedale pediatrico, il Centro di eccellenza materno infantile, il CEMI, per il quale il primo mattone è stato posto nel 2009, quindi la prima pietra è stata posata, ma poi ci siamo bloccati.
  Sicuramente avremmo necessità di un reparto più moderno sia per la degenza che per il Day Hospital, ma soprattutto di locali più adeguati anche per la gestione dell'adolescente e del giovane adulto, visto che per alcune patologie, come per esempio i sarcomi delle parti molli, il nostro protocollo arruola fino ai 25 anni e per l'osteosarcoma e il sarcoma di Ewing, per il quale sono i centri pediatrici che si occupano del giovane adulto, l'arruolamento prevede che si arrivi fino ai 40 anni. Talvolta all'interno di un reparto di oncologia pediatrica possono coesistere soggetti adulti che magari hanno figli, e contemporaneamente nella stanza accanto neonati di pochi mesi che vengono allattati al seno.
  Bisognerebbe creare dal punto di vista logistico le condizioni per prendere in carico entrambi i gruppi, sia l'infanzia che l'adolescenza, anche perché per alcune patologie abbiamo una grossa difficoltà a creare le condizioni per la transizione, cioè il passaggio dallo specialista del bambino allo specialista dell'adulto. In Sicilia non esistono dei centri che si occupino di immunodeficienza dell'adulto, per cui vengono da noi in Day Hospital anche soggetti di 40-50 anni a fare la terapia sostitutiva.
  Un aspetto importante è che noi in oncoematologia pediatrica abbiamo un parametro di intensività che è 0,30, che è inferiore a quello della neuropsichiatria infantile e della pediatria generale, e attraverso questo parametro vengono poi definite le necessità di personale dei vari reparti. Questa è una cosa molto importante. Non viene riconosciuta alcuna correzione di questo coefficiente per il fatto che ospitiamo due centri di riferimento regionale e abbiamo anche una struttura semplice di trapianto di midollo osseo; non ci viene riconosciuto il fatto che siamo costretti ad applicare dei protocolli di terapia semintensiva soprattutto nei bambini che vanno incontro a una sepsi neutropenia, e talvolta si creano delle condizioni di criticità clinica che ci impongono di essere quasi un reparto di terapia semintensiva.
  Non esistendo un hospice pediatrico almeno nella Sicilia occidentale (ma che io sappia in tutta la regione è così), siamo costretti ad assicurare delle prestazioni da hospice quando non si creano le condizioni per una presa in carico domiciliare da parte del territorio.

  PRESIDENTE. Le volevo dire che può consegnarci parte del materiale, ma sono costretta a chiederle di concludere il prima possibile.

  PAOLO D'ANGELO, direttore U.O. di Oncoematologia pediatrica ARNAS, Civico di Cristina e Benfratelli di Palermo. Quello che possiamo chiedere ai nostri governanti è l'adeguamento dei Diagnosis Related Group che riguardano la patologia oncoematologica, nettamente penalizzata rispetto alla corrispondente situazione dell'adulto.
  Una cosa che chiediamo da tanto tempo è che magari potrebbero essere sostenuti a livello governativo quantomeno i costi della cura standard, non protocolli sperimentali, ma la cura di base che potrebbe essere considerata un Livello essenziale di assistenza (LEA).
  Altra cosa che ci occorre assolutamente è lo sblocco dei concorsi, perché abbiamo bisogno di un turnover. Noi cominciamo a invecchiare all'interno dei reparti di oncoematologia Pag. 13 pediatrica e purtroppo non ci sono giovani pronti a sostituirci; tra qualche anno si creerà la condizione per cui questi reparti non avranno neanche i numeri per realizzare le stesse condizioni precedenti.
  Sostenere la cultura dell'ospedale del territorio senza dolore e delle cure palliative anche in età pediatrica: questa è sicuramente una delle mancanze. Dovrebbero inoltre essere istituiti dei corsi di specializzazione o dei master di oncoematologia pediatrica, nonché di terapia del dolore e cure palliative anche in età pediatrica, perché spesso da questo punto di vista siamo in grossa difficoltà. Bisognerebbe portare l'età pediatrica fino a 18 anni, perché trattati all'interno dei protocolli pediatrici vanno nettamente meglio; imporre una riduzione dei centri specializzati; pretendere il miglioramento dei parametri residenziali. La personalizzazione dei trattamenti è una delle cose che hanno un maggior costo in assoluto, e questo deve essere sostenuto con grande forza.
  Poi sarebbe opportuno intervenire quanto possibile sulle aziende del farmaco, per incentivare la ricerca in età pediatrica, che è veramente carente. Noi abbiamo calcolato infatti che soltanto il 10 per cento dei pazienti può arrivare a esser trattato con farmaci biologici target, non essendoci alcun interesse ad attivare la ricerca perché i casi sono pochi. Sarebbe necessario sostenere l'attività psicosociale: una delle conquiste importanti sarebbe la figura di almeno uno psicologo in ogni Centro di oncoematologia pediatrica perché, come avete visto, anche a Catania non è riconosciuta la presenza di uno psicologo all'interno della pianta organica.

  PRESIDENTE. Grazie. Lascio la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FRANCESCO PRINA. La rete l'ha già spiegata molto bene e abbiamo capito. Per quanto riguarda l'aspetto non sanitario, di diagnosi e di terapia, ma quello ambientale e socio-assistenziale, qual è il comportamento della struttura rispetto al gruppo di amicizia? Il bambino o la bambina, l'infante o l'adolescente, oltre alla famiglia, ha una vita sociale; quando entra in cura, questa vita sociale viene spezzata o la terapia socio-ambientale assistenziale tiene presente l'ambiente, compresa la scuola?

  PAOLO D'ANGELO, Direttore U.O. di Oncoematologia pediatrica ARNAS, Civico di Cristina e Benfratelli di Palermo. Sì, compresa la scuola, che è una delle maggiori conquiste all'interno dei centri di oncoematologia pediatrica: hanno la possibilità di continuare qualsiasi grado di istruzione, dalla scuola primaria alla secondaria, e viene presa in carico da uno staff socio-sanitario che realizza da subito tutte le pratiche burocratiche più importanti per allineare i ragazzi ospedalizzati con gli altri. Sicuramente modifichiamo lo stile e la qualità di vita in alcune fasi del trattamento; in alcune patologie siamo purtroppo costretti ad imporre anche un certo isolamento rispetto allo standard di un ragazzino di quell'età.
  Continuano la scuola anche all'interno del reparto sia in regime di degenza che di day hospital. Non li mettiamo sotto vetro, però cerchiamo, a seconda delle fasi in cui si trovano, di limitare i contatti, i luoghi affollati, ma continuiamo a rispettare le amicizie in maniera assoluta, perché dobbiamo cercare di modificare il meno possibile la loro qualità di vita.

  GIOVANNA RUSSO, Direttore U.O.C. Emato-Oncologia pediatrica, Azienda Policlinico-Vittorio Emanuele, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Catania. C'è da dire però che non siamo attrezzati per accogliere i giovani adulti. Ci è capitato di avere delle ragazzine di 17-18 anni sposate o quasi, ma non avevamo la possibilità di far entrare in pianta stabile il marito o il compagno, perché siamo abituati ad avere i bambini e i genitori, quindi, nel momento in cui la ragazzina ricoverata nel letto con un'altra paziente chiedeva di stare con il suo compagno, avevamo delle difficoltà strutturali.

  ORNELLA BERTOROTTA. Volevo solo salutare e rendere onore alla nostra regione. Pag. 14Condivido parecchie delle cose che ho sentito in merito al fatto che in Sicilia purtroppo ci si deve spesso inventare il lavoro, probabilmente questo esodo verso altre regioni è dovuto a motivi validi, non è solamente un pregiudizio immotivato. Ci sono passata per esperienza con l'oncologia di mia madre; all'epoca l'abbiamo portata a Parigi, a Villejuif, e anche se i protocolli erano europei o mondiali, una chemioterapia durava un'ora, mentre qui durava un giorno, sempre se trovavano l'ago adatto, quindi spesso si ha l'impressione di essere in buone mani fuori, da noi purtroppo a volte no, secondo la fortuna.
  Abbiamo tuttavia delle eccellenze. Per me è assurdo che nei vostri reparti in questa branca medica gli psicologi siano dei volontari, mi chiedo come si possa basare un reparto del genere su dei volontari. Mi chiedo anche in cosa consista il volontariato, se si tratti di persone che lavorano in altri centri, se siano retribuiti altrove.
  Credo di poter dire che questa latitanza edilizia nella Sicilia orientale non ci sia, anzi forse abbiamo una sovrabbondanza, ed è un altro aspetto vergognoso, perché abbiamo edifici che pian piano andranno deteriorandosi senza essere mai stati utilizzati; questo dispiace perché, se le risorse fossero state investite in personale, medici e strumentazioni, avremmo veramente dato una mano a voi e anche ai pazienti. Per il resto, le relazioni sono state molto interessanti. Dove si trova il vostro centro a Catania, al Policlinico?

  GIOVANNA RUSSO, direttore U.O.C. Emato-Oncologia pediatrica, Azienda Policlinico-Vittorio Emanuele, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Catania. Sì, al Policlinico.

  ORNELLA BERTOROTTA. Ho avuto l'esperienza di un ragazzino malato di leucemia che alla fine ha fatto il trapianto di midollo e si è salvato, e in effetti è un centro ben fatto, con i clown e la possibilità di far venire i compagni di classe. Complimenti per il lavoro che fate.

  MARIA ANTEZZA. Mi scuso con la professoressa Russo, ma la logistica per arrivare dalla mia città, Matera, ad un centro di ematooncologia pediatrica è un po’ complicata, speriamo nella prossima ferrovia. Mi piacerebbe ricevere questa documentazione e ragionarci anche con voi, perché Matera è Basilicata, quindi volevo capire perché non esista un centro nella mia realtà, che pure sul versante pediatrico ha fatto e sta facendo tanto; però forse nel settore specifico dei tumori in questo momento si dedica in particolare agli adulti.
  Volevo informarvi che esiste una proposta di legge a firma mia e di tanti altri colleghi, che è stata depositata all'inizio di questa legislatura, proprio sull'estensione dell'età pediatrica ai 18 anni. Non so se riusciremo a portarla a casa, ma intanto c'è una proposta in questo senso.
  Rispetto al tema della comunicazione, formazione e accoglienza, c'è un'attenzione e anche una formazione di tutta l’équipe curante rispetto alla comunicazione? Mi sembra di capire infatti che la vostra attività è molto attenta a mettere al centro non il paziente, ma il bambino, con tutte le sue relazioni affettive e quindi la famiglia allargata e gli amici. Esiste una formazione specifica dell’équipe curante tutta, dal medico all'infermiere, su questo versante?
  Viste le difficoltà attuali, l'assenza di una struttura ospedaliera pediatrica dedicata – mi sembra di aver compreso che i centri si trovino all'interno di una struttura ospedaliera – c'è un'attenzione dal punto di vista dell'edilizia sanitaria per adeguare gli spazi rispetto all'accoglienza tanto dei pazienti, bambini e adolescenti, quanto dei familiari?
  Volevo capire anche quale interazione ci sia tra l’équipe curante del centro e i pediatri di base, quindi se abbiate costruito una relazione e magari attività di formazione e di comunicazione con i pediatri di base.

  GIOVANNA RUSSO, direttore U.O.C. Emato-Oncologia pediatrica, Azienda Policlinico-Vittorio Emanuele, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Catania. Rispondo rapidamente. Perché non c'è un centro in Basilicata? Perché nessuno evidentemente in Basilicata si è innamorato di questo settore e con la propria volontà e la propria forza e determinazione ha lavorato per creare un centro, perché i nostri centri Pag. 15esistono grazie al lavoro indefesso nostro e di chi ci ha preceduto, contro ogni difficoltà.
  Per quanto riguarda la formazione, una formazione specifica sul campo della comunicazione, dell'accoglienza e dei bisogni psicologici non c'è, non è istituzionalizzata. Di fatto la facciamo sul campo, la facciamo ogni giorno, la facciamo perché anche nella rete AIEOP c'è un gruppo psicosociale di cui fanno parte i nostri psicologi.
  Per rispondere a quanto diceva poco fa la senatrice, gli psicologi sono dei volontari perché sono pagati da associazioni con borse assolutamente precarie, e la precarietà con cui lavorano è un grande problema, perché sono persone che lavorano, imparano, costruiscono e poi seguono un percorso di occupazione che li porta ad occuparsi meglio e più stabilmente altrove, e noi ricominciamo daccapo con un altro e poi con un altro ancora. Abbiamo avuto tantissimi giovani (medici, psicologi, biologi) bravissimi, che sono stati costretti ad andare via dopo che è stato investito sulla loro crescita professionale e umana.
  Il nostro rapporto con i pediatri di base è ottimo, perché prima ancora che oncologi siamo pediatri, proveniamo da una formazione pediatrica e continuiamo a collaborare con tutti i colleghi; ma anche in questo caso, non perché sia un rapporto istituzionalizzato, ma perché con la nostra e loro disponibilità, con la buona volontà, l'interesse, con tutti i mezzi che riusciamo a mettere in campo (i telefoni cellulari personali, gli incontri) si costituisce questa rete, quindi continuiamo a temerci in stretto contatto.
  Per quanto riguarda infine la logistica, c'è da dire che non ci sarebbe bisogno di chissà quali locali. L'essere inseriti in un ospedale che non è votato alla pediatria significa non che le specialità pediatriche non ci sono, ma che magari a volte il bambino passa in secondo piano, perché il radiologo ha più facilità a fare una TAC a un adulto che collabora rispetto a un bambino che richiede più tempo, quindi lo rinvia e poi al momento di fare l'esame il bambino non c'è.
  Noi facciamo una gran fatica, perché stiamo sempre a chiedere ai colleghi servizi per i nostri pazienti come se fossero i nostri familiari. Tutto avviene per favore personale, perché insistiamo talmente che alla fine ci accontentano, come se chiedessimo per noi stessi o per un nostro caro.

  PRESIDENTE. Come avevo detto all'inizio, penso che ci sia qualcosa di eroico, e mi sembra che l'ultima testimonianza lo confermi. Volevo però confermare che spesso la presenza dello psicologo è garantita dalle associazioni di volontariato, funziona così anche in moltissimi luoghi che conosco e frequento, e anche in questa indagine conoscitiva ne abbiamo avuto testimonianze.
  Normalmente è l'associazione di volontariato che accompagna il caso, mettendo a disposizione gli alloggi, lo psicologo, borse di studio per ricercatori, cioè il ruolo delle associazioni di volontariato è molto importante ovunque, e credo non soltanto in Italia. Tuttavia, una cosa è essere strutturati, sostenuti dalle istituzioni, altra cosa invece è essere lasciati a se stessi.

  PAOLO D'ANGELO, direttore U.O. di Oncoematologia pediatrica ARNAS, Civico di Cristina e Benfratelli di Palermo. Se non ci fossero le associazioni dei genitori che ci sostengono da sempre, i Centri di oncoematologia pediatrica non avrebbero avuto lo sviluppo che hanno avuto.

  PRESIDENTE. Conosco anche la realtà bolognese, che pure è una realtà all'avanguardia, ma devo dire che c'è anche qualcosa di simile. L'importante sarebbe che le istituzioni collaborassero, ma mancano ancora molti elementi.
  Per noi è stato molto importante audirvi. Il materiale verrà messo a disposizione anche di quanti non hanno potuto intervenire. Vi ringraziamo due volte, sia istituzionalmente che come cittadini molto generosi di questo Paese.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.55.

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ALLEGATO 1

Documentazione Presentata Dalla Prof.ssa Giovanna Russo

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ALLEGATO 2

Documentazione presentata dal dott. Paolo D'Angelo

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