XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Martedì 4 ottobre 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SALUTE PSICOFISICA DEI MINORI

Audizione di rappresentanti della Fondazione Ariel «Centro disabilità neuromotorie infantili» e dell'Associazione nazionale per la promozione e la difesa dei diritti delle persone disabili (ANIEP).
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 3 ,
Portinaro Nicola , Direttore scientifico della Fondazione Ariel «Centro disabilità neuromotorie infantili» ... 3 ,
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 5 ,
Portinaro Nicola , Direttore scientifico della Fondazione Ariel «Centro disabilità neuromotorie infantili» ... 6 ,
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 6 ,
Blundo Rosetta Enza  ... 6 ,
Portinaro Nicola , Direttore scientifico della Fondazione Ariel «Centro disabilità neuromotorie infantili» ... 6 ,
Blundo Rosetta Enza  ... 7 ,
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 7 ,
Eugeni Augusto , Vicepresidente dell'Associazione nazionale per la promozione e la difesa dei diritti delle persone disabili (ANIEP) ... 7 ,
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 10 ,
Vezzali Maria Valentina (Misto)  ... 10 ,
Eugeni Augusto , Vicepresidente dell'Associazione nazionale per la promozione e la difesa dei diritti delle persone disabili (ANIEP) ... 10 ,
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 11

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MICHELA VITTORIA BRAMBILLA

  La seduta comincia alle 13.20.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti della Fondazione Ariel «Centro disabilità neuromotorie infantili» e dell'Associazione nazionale per la promozione e la difesa dei diritti delle persone disabili (ANIEP).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla tutela della salute psicofisica dei minori, l'audizione di rappresentanti della Fondazione Ariel «Centro disabilità neuromotorie infantili», e dell'Associazione nazionale per la promozione e la difesa dei diritti delle persone disabili (ANIEP). Cominciamo con il direttore scientifico della Fondazione Ariel, il professor Nicola Portinaro.
  Professore, noi l'abbiamo invitata nell'ambito dell'indagine conoscitiva che abbiamo deliberato sulla tutela della salute psicofisica dei minori. Essendo questo un tema molto ampio, lo abbiamo diviso in sei focus. Voi siete entrambi invitati a dare la vostra testimonianza sul tema minori e disabilità.
  Ora, qual è il punto? Quello che vorremmo capire oggi, e nel corso dell'indagine conoscitiva rispetto a questo focus, è quanto il nostro Paese, quanto questo Stato, quanto in Italia si faccia per i minori che hanno disabilità; meglio, è sufficiente, è tanto, è poco? La risposta l'abbiamo già un po’ compresa in audizioni precedenti: è molto poco, è diverso da regione a regione, il sistema sanitario quindi non interviene sempre come dovrebbe.
  Noi ci occupiamo di bambini, che normalmente sono veramente gli ultimi, oggi. I bambini malati disabili sono gli ultimi degli ultimi. Vorremmo sentire da lei del lavoro che svolgete e, sulla base della vostra esperienza – dico queste cose anche per il dottor Eugeni, che parlerà dopo di lei – quali sono le maggiori carenze. Questa è un po’ l'opportunità che avete voi, che di quest'ambito avete fatto la vostra professione, per denunciare le carenze su cui bisognerebbe intervenire perché questo strumento, la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, possa aiutarvi a veicolare il vostro messaggio.
  Tenete presente che i commissari che vedete sono solo una parte della Bicamerale. Tutti gli altri riceveranno gli atti, anche quelli che non sono presenti oggi.

  NICOLA PORTINARO, Direttore scientifico della Fondazione Ariel «Centro disabilità neuromotorie infantili». Sono chirurgo e mi occupo di bambini disabili. Ringrazio il presidente per l'invito. È sempre un grande onore. Sono emozionato senza esserlo troppo, ma venire qua a parlare è sempre un'emozione. Di solito, parlo a gentaglia tipo i medici come me, per cui diciamo che almeno l’audience è diversa, e anche l’ambient.
  La Fondazione Ariel nasce tredici anni fa da una mia idea basata sul mondo Pag. 4anglosassone, in cui, e già rispondo parzialmente ribaltando un po’ la domanda, il bambino era gestito sano, quindi ancor di più il bambino malato, a 360 gradi. Questo voleva dire una multidisciplinarità, che però spesso è una bella parola di cui ci riempiamo la bocca. La multidisciplinarietà deve essere anche intersecata, correlata, deve essere una multidisciplinarità che si parla, altrimenti abbiamo tanti specialisti che intervengono su un bambino e questo bambino, però, di fatto ha tante figure separate, che invece devono essere «interdigitate» una con l'altra.
  L'idea di questa Fondazione era quella di avere un core, cioè un nucleo, che potesse mettere insieme tutte queste diverse specialità, e poter aiutare soprattutto quello che ritengo sia fondamentale nella vita, da neonato fino all'età adulta, per questi bambini con patologie neuromotorie gravi (si parla di solito di paralisi cerebrale spastica, perché è la più frequente, ma io mi occupo anche di distrofie muscolari e altro). Questo nucleo fondamentale è il nucleo familiare.
  Perché parliamo di nucleo familiare? Perché il nucleo familiare si trova davvero un lutto che non è capace di gestire, con un bambino gravissimamente ammalato, che non si aspettava. Ha visto altre esperienze di famiglie con bambini normali, per cui è un grossissimo impatto. Si trova, quindi, a non saper gestire non solo il neonato in rianimazione, ma a dover gestire un neonato che molto probabilmente non crescerà, che non avrà i suoi milestone, i suoi sviluppi normali, che diventerà adulto restando sempre bambino.
  Si tenga presente che non è detto che un bambino sia malato al 100 per cento. Può darsi che abbia un problema motorio e non psicologico o viceversa. Noi ci occupiamo delle patologie neuromotorie, ma perché fondamentalmente sono un po’ schizofrenico: da una parte, gestisco una fondazione che non fa attività sanitaria; dall'altra, faccio il chirurgo, che fa solo attività sanitaria, curando i problemi motori di questi bambini.
  L'idea che la famiglia fosse il core mi è venuta dall'Inghilterra, ed anche vedendo che c'era una necessità di coesione delle figure professionali che seguissero questo bambino, ma con una famiglia che fosse coscienza della storia di questo bambino, altrimenti ci si ritrova con gente che si presenta come fisioterapista, fisiatra, chirurgo, e la famiglia è sotto schiaffo, nel senso che dice a se stessa che un momento tocca al fisiatra, un altro al chirurgo, ma di fatto mancava un'istruzione, che doveva essere il guardiano del traffico – concedetemi la metafora – per questi bambini.
  La Fondazione Ariel si occupa, fondamentalmente, del benessere delle famiglie, inizialmente marito e moglie – poi dirò però quanto secondo noi, e secondo me in particolare, debba essere allargato questo concetto di famiglia – che devono avere un supporto e di una salute mentale tali da garantire lo stesso supporto e salute mentale e sviluppo del benessere psicofisico del proprio bambino.
  Paradossalmente, questo dovrebbe essere vero anche nel bambino sano. Non perché il bambino è sano, allora lo lasciamo a se stesso. Sentivo parlare di malattie a trasmissione sessuale, cyberbullismo: io ho tre figlie, che non sono molto sane di testa, ma non fa niente – questo è un mio commento paterno personale –, che vanno gestite. La non erudizione mia e di mia moglie – sto facendo un esempio personale, ma è esattamente quello in cui credo e che credo avvenga in tutte le famiglie – la nostra mancanza di esperienza, fa sì che continuiamo a fare una serie di errori, nella gestione del telefonino, delle amicizie e così via.
  Questo si triplica, si moltiplica esponenzialmente, se ci si trova ad avere a che fare non con una ragazzina di diciassette anni che ha il fidanzatino e forse fuma, sempre esempio strettamente personale – ogni riferimento non è casuale – ma con un bambino che ha dei problemi gravissimi, che non si svilupperà normalmente, che ha una sua dignità, un suo diritto, una sua affettività, identica, e in questo credo fermamente, a quella delle mie figlie.
  L'idea è la gestione, l'istruzione delle famiglie, perché queste possano a loro volta sopperire in maniera non anarchica ma Pag. 5coordinata (multidisciplinarietà) anche tra i due genitori allo sviluppo di questo bambino.
  La Fondazione Ariel, che segue quasi 2.000 famiglie, si occupa del supporto genitoriale per quello che riguarda la solitudine delle famiglie al momento del lutto, famiglie dicevo prima estese. Non c'è solo la famiglia mononucleare. Ci sono i nonni, i parenti, i fratelli. Noi aiutiamo la famiglia nel percorso psicologico di gestione, accettazione e sviluppo di questi bambini; aiutiamo da un punto di vista sociale queste famiglie, ad esempio, con un vademecum con tutte le leggi della Lombardia (l'abbiamo fatto per la questa regione, anche se in materia abbiamo svolto corsi in tutta Italia).
  Aiutiamo la famiglia a conoscere la storia della malattia, in modo che sarà pronta a tutte le evenienze, non cadrà – sempre pardon per la metafora – come una mela dall'albero e non si stupirà della necessità della chirurgia per il fatto che non glielo ha mai detto nessuno. Questo è un altro trauma nella famiglia. Noi cerchiamo di fare in modo che anche da un punto di vista medico le famiglie vengano istruite.
  Cerchiamo di dare un supporto anche legale. Le leggi regionali sono molto diverse, e mi permetto di dire che fortunatamente sono in Lombardia, perché spesso sono sbilanciate anche per questioni di disponibilità economica delle singole regioni. Noi diamo un supporto anche da questo punto di vista.
  Tutto questo fa in modo che l'obiettivo finale della nostra Fondazione sia quello di aiutare le famiglie, far capire ai nonni che un bambino con dei problemi è esattamente uguale ad un altro nipote, far capire e far digerire ai fratelli – direi la digestione più difficile – un bambino malato grave in famiglia. Pensate ad un bambino normale di dieci anni che nessuno porta a giocare, che bisogna imboccare, pulire, aiutare con la carrozzina, che si chiede perché è escluso.
  Siamo stati i primi, nel 2006, a tenere un corso con degli esperti internazionali, nel nostro caso una dottoressa australiana, che per la prima volta – adesso teniamo questi corsi autonomamente – ci ha spiegato tutte le dinamiche psicologiche dei fratelli e come, tornando sempre al punto d'origine, le famiglie vadano istruite anche sulla gestione del bambino sano che ha un fratello disabile. Diversamente, il bambino sano è abbandonato, escluso, cresce da solo, sicuramente non avrà una stabilità, una felicità psicologica, e quindi probabilmente in futuro neanche sociale, che invece dovrebbe avere e che si meriterebbe.
  Detto questo, aggiungo, per non dilungarmi, che la Fondazione nel fundraising e nello statuto ha anche la parte che a me come professore universitario interessa molto, che è quella della ricerca.
  La multidisciplinarietà, che parla quindi di interconnessione – la definizione non dovrebbe limitarsi al termine «multidisciplinarità», come ho detto, ma deve essere una multidisciplinarità integrata, coordinata – non può finire se non con una parte di ricerca a tutti i livelli, come quando abbiamo fatto i primi corsi sui fratelli. Io mi occupo di genomica e proteomica dei tendini e di biomeccanica del cammino di questi bambini e credo che il garante, se non primo, ma il garante di qualità verso queste famiglie sia anche un impegno a cercare di dare il meglio – ecco la schizofrenia del direttore scientifico, da una parte, e, dall'altra, del chirurgo – di quello che posso fare per migliorare le soluzioni terapeutiche o la scelta del momento di una certa terapia per questi bambini.
  La Fondazione Ariel ha, quindi, nello statuto anche una grossa parte sui fondi per la ricerca, che gestisco come direttore scientifico. Io nasco come ideatore, poi fondatore, poi direttore generale, poi non avevo più tempo e mi sono ritirato a fare il direttore scientifico.
  Direi che questo possa essere sufficiente. Se qualcuno ha domande sono a disposizione.

  PRESIDENTE. Le rivolgo io la prima domanda su un tema che lei ha sfiorato: che cosa fanno le regioni? Quanto riusciamo come sistema sanitario ad essere vicini alle famiglie, a sostenerle? Che cosa sperimentate? L'Italia è grande e differenziata e ci sono situazioni diverse.

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  NICOLA PORTINARO, Direttore scientifico della Fondazione Ariel «Centro disabilità neuromotorie infantili». Certo. Il vero problema è medico, inizialmente, e consta in questo: un bambino ogni quattro ha una disabilità – e non sto parlando di disabilità neuromotoria –, uno ogni quattro ha un problema di udito, di deambulazione, di autismo. Sono frequenti. Ovviamente, l'entità di questi problemi è diversa. C'è il bambino con un ditino più piccolo, e questo da un punto di vista sociale è ininfluente; l'autismo nel bambino da un punto di vista sociale è invece estremamente influente.
  Le regioni hanno un problema di gestione economica delle risorse. La gestione ideale di questi bambini dovrebbe prevedere degli investimenti enormi. In Lombardia, in alcune regioni – io ho l'esperienza di Firenze, di Milano e così via – si tende a fare il massimo e ad «investire» in questi bambini. Di fatto, è un investimento. Parlavo prima con la presidente: la gestione di questi bambini nei primi anni di vita dovrebbe essere un'aggressione riabilitativa, ed intendo psicologica, motoria, nutrizionale, cioè una riabilitazione in senso globale del bambino che ha avuto un problema e che nei primi anni di vita è estremamente recettivo.
  Negli anni successivi, l'intervento regionale potrebbe anche diminuire, se effettivamente integrato da persone competenti che potessero aiutare a gestire questi bambini come aiuto domestico, a scuola, anche volontari. C'è un sacco di volontariato che non è usato a fini specifici. Uno fa il volontario e gira per l'ospedale. Noi abbiamo i volontari, ci occupiamo di volontari, ma teniamo loro un corso per gestire le patologie, tutti i problemi psicologici, dei genitori, di queste famiglie. I nostri volontari, che lavorano gratuitamente, quindi non comportano un impegno economico, gestiscono le famiglie dopo essere stati istruiti, per cui conoscono esattamente le dinamiche, sanno come bisogna rivolgersi e come vanno gestite.

  PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ROSETTA ENZA BLUNDO. La ringrazio per quest'audizione che è venuto a svolgere, e per queste illustrazioni che ci ha offerto anche come riflessioni ad ampio raggio sui diritti dei bambini. Mi colpiva molto questo sottolineare che un bambino che ha delle difficoltà, che siano neuromotorie o di altro tipo, non deve essere considerato in modo diverso da come consideriamo gli altri bambini. Questa è una questione a mio avviso anche di cultura, cioè di modo di vedere in generale la difficoltà con un senso di paura.
  La domanda che io le faccio è in merito a quello che può essere fatto. Vedo che avete portato avanti una serie di iniziative di aiuto e di supporto alle famiglie, sul rapporto interno alle famiglie. In merito ad un atteggiamento generale a livello scolastico, di inserimento di questi bambini in una comunità sociale più ampia che non sia solo quella della famiglia, secondo voi quanto è importante aiutare chi opera all'interno di queste realtà, la scuola o anche delle associazioni che accolgono i bambini?
  Quanto è importante aiutare a superare le difese che abbiamo anche solo come tutela di questi bambini? A volte, li vediamo talmente fragili, talmente in difficoltà, talmente non capaci di, che siamo preoccupati di non poter offrire loro delle opportunità diverse: quanto è importante aiutarci, aiutare proprio chi opera in queste realtà, come dicevo, come la scuola innanzitutto, a capire che i nostri interventi devono essere anche in grado di valorizzare ciò che il bambino può dare sotto altri aspetti, a non bloccarci o a delegare tutto a chi se ne prende cura in maniera specifica?

  NICOLA PORTINARO, Direttore scientifico della Fondazione Ariel «Centro disabilità neuromotorie infantili». La ringrazio. Questo mi dà lo spunto per dire che tutti noi dovremmo per primi essere educati. L'obiettivo dalla Fondazione è, ovviamente, specifico, perché non posso tenere dei corsi Pag. 7alla RAI per tutti gli italiani che mi ascoltino. Lei ha citato un paio di cose che effettivamente sono un grosso problema.
  Il grande problema è che noi, non abituati, voi, facciamo molta fatica a capire come comportarci con questi bambini. Li guardiamo, non li guardiamo. Si immagini il problema che hanno quelli non del campo. Io so benissimo che cosa dire, quando ho fatto un intervento, che cosa devo dire ai genitori. So benissimo come gestire il rapporto.
  S'immagini quelli che si trovano, non competenti, non incompetenti, ma non ancora del tutto competenti. E si rimanda al ruolo della Fondazione ed al ruolo che dovrebbe avere anche una regione che sfrutti la Fondazione. È un peccato che siamo sfruttati troppo poco, secondo il mio modesto parere. In ogni caso, si immagini quelli che devono gestire questi bambini e non sanno niente.
  Quello delle regioni dovrebbe essere un obiettivo ulteriore a quello del livello del Sistema sanitario nazionale e di prestazione. Siamo carenti in tutt'Italia. È difficile stabilire un quantum ideale, ma ci sono delle riabilitazioni a pagamento negli Stati Uniti, che solo per 100.000 dollari offrono otto ore di fisioterapia al giorno, una fisioterapia però un po’ troppo finalistica. La terapia italiana ha delle grandi basi scientifiche proprio su come si deve riabilitare un bambino. Ovviamente, ci sono dei costi.
  La regione dovrebbe investire in una fondazione che lo faccia gratis, dando solo degli spazi, delle istituzioni, per permettere di insegnare a molte più persone – mi rifaccio ai volontari, ma anche a giovani ragazzi – come gestire questi ragazzi, senza quella paura che citava, quella insicurezza, che è la stessa di un genitore («Io adesso cosa faccio?»). Scusi, parlo poco diplomaticamente, ma più praticamente. Come gestisco un bambino con un problema di questo tipo? Fa la stessa cosa l'insegnante di sostegno a scuola. Se formo un insegnante di sostegno, che mi costa tot, potrei formarne dieci volte tanto gratis tramite i corsi di una fondazione come questa.

  ROSETTA ENZA BLUNDO. In effetti, questa è una cosa utilissima. Come già in altre audizioni, abbiamo scoperto che esistono delle realtà associative, come la Fondazione, che possono essere delle grandi, enormi, risorse per fronteggiare le problematiche che a volte ci troviamo dinanzi e non sappiamo come affrontare. Più volte l'abbiamo visto e l'abbiamo riconosciuto anche in altri incontri. La ringrazio moltissimo.

  PRESIDENTE. Darei ora la parola all'avvocato Augusto Eugeni, vicepresidente dell'ANIEP. So che ha preparato una relazione. Andremo poi avanti con le domande, ma intanto ascoltiamo anche l'avvocato.

  AUGUSTO EUGENI, Vicepresidente dell'Associazione nazionale per la promozione e la difesa dei diritti delle persone disabili (ANIEP). Rappresento qui l'ANIEP, l'Associazione nazionale per la promozione e la difesa dei diritti delle persone disabili, che opera in tutta Italia da oltre cinquant'anni, è una delle antiche associazioni, insieme all'ANFFAS, che avrete sentito nei vostri territori.
  L'ANIEP era originariamente l'Associazione nazionale invalidi esiti di poliomielite, poi la polio è stata, fortunatamente, debellata con il vaccino, e si è mantenuta l'associazione che tutela comunque i diritti dei disabili. Ovviamente, scopo precipuo di quest'associazione è quello della rappresentanza delle persone disabili nei loro diritti cosiddetti positivi e umani, ai fini dell'integrale attuazione dei princìpi costituzionali concernenti l'uguaglianza, l'assistenza sociale ed economica, il diritto alla salute, all'istruzione, e del principio della solidarietà sociale secondo le linee indicate dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone disabili. Io vengo dalla Conferenza nazionale che c'è stata a Firenze sulle politiche per la disabilità, una due giorni importante per fare il punto della situazione.
  Plaudo a quest'indagine conoscitiva promossa dalla vostra Commissione, perché è un momento importante, fondamentale, per avere prima di tutto una conoscenza di quello che succede, per poi attuare degli strumenti di intervento. Pag. 8
  Il tema è vastissimo, perché parliamo di tutela della salute psicofisica dei minori. Il mio intervento – lascerò agli atti i miei appunti – riguarda la tutela del minore disabile, ma che non è e non deve essere un discorso separato, altrimenti ci comportiamo come una figura delle istituzioni, di cui non posso citare il nome anche se agli atti della Conferenza nazionale di Firenze, che ha salutato con un caro saluto «al vostro mondo». Se parliamo di mondi separati, allora bisogna ricominciare dalla scuola elementare a capire di che cosa stiamo parlando.
  Secondo noi, un sano sviluppo psicofisico dei bambini e degli adolescenti, che è il tema della vostra indagine, per quanto riguarda appunto i bambini e gli adolescenti cosiddetti normodotati, passa inevitabilmente per la realizzazione della vera inclusione, di persone con disabilità che entrano in contatto e condividono la propria quotidianità, ad esempio, coi bambini con cui vanno a scuola e che hanno in classe.
  Per inciso, sono avvocato di professione e mi occupo da trent'anni di questi temi, da quando mi è nato un figlio con una patologia gravissima, è cerebroleso, ha l'agenesia del corpo calloso e l'atrofia del verme cerebellare. All'inizio, sembrava che dovesse essere un semi-vegetale, poi man mano è stata utile già solo un po’ di fisioterapia. Certo, non ha autonomia in nulla, e mi chiedo sempre come genitore, da quando mi sono occupato a livello legale e sociale di queste problematiche: se non avessi vissuto direttamente il problema, mi sarei occupato o preoccupato del mondo della disabilità? Mi sono fatto la domanda, non mi sono dato mai la risposta e continuerò a lavorare alacremente fino a che ne avrò le forze per cercare di realizzare quanto meglio possibile.
  All'inizio, mi sono preoccupato dell'ingresso a scuola di mio figlio, quando ancora non c'era la 104. Ho sempre sostenuto, però, in tutti questi anni, in convegni, seminari e conferenze, che comunque il mondo della scuola è il luogo migliore di integrazione per le leggi che ci sono. Se poi si trova l'insegnante che non è all'altezza o il genitore del bambino normodotato che va dal dirigente a dire che il bambino disabile disturba le lezioni, rallenta l'attuazione del programma, questo è un altro discorso.
  Molte famiglie di bambini che sono andati a scuola con mio figlio mi hanno ringraziato della presenza in classe di un bambino che presentava un problema grandissimo, perché è riuscito a far capire, a sensibilizzare, sin dall'asilo, fino alla scuola elementare e alla scuola media. Il contatto e la condivisione quotidiana con bambini disabili potranno, quindi, insegnare non solo la diversità e la sofferenza, ma soprattutto l'autentica solidarietà, la vera ed effettiva integrazione, che è scolastica, ma che poi è sociale.
  Solo osservando e condividendo quotidianamente i problemi e le difficoltà del bambino disabile che ha come vicino di banco o di casa, il minore normodotato può crescere sicuramente in una maggiore consapevolezza che il disagio vero è di chi lo vive 24 ore su 24 e per tutta la vita. Nel momento in cui si rende conto di questo, forse saranno in secondo piano il problema di avere l'ultimo smartphone da 64 giga o altre sciocchezze di questo genere.
  È un arricchimento culturale per tutti i bambini e gli adolescenti, che oggi vivono dei problemi gravissimi. Io ho un altro figlio, sono stato nei consigli di istituto della sua scuola media, poi del suo liceo scientifico, e il dramma vero è quello del bullismo, che fin dalla scuola media è un problema serio. E parlo da una città di provincia. L'associazione ha, infatti, sede a Bologna, ma io sono di Ascoli Piceno, quindi una città di provincia classica, nelle Marche, dove però sono stati registrati preoccupanti episodi. Immaginiamo in un grosso centro, in una grossa metropoli.
  È di fondamentale importanza, quindi, un serio intervento di sostegno, come diceva il professore, sociale, educativo e culturale verso le famiglie, che non riescono per una molteplicità di problemi a gestire fin da subito il disagio dei propri figli minori.
  Io mi sono trovato molte volte a dover supportare famiglie che non sapevano affrontare Pag. 9 la situazione, perché a volte non c'è l'accettazione del problema, proprio come primo impatto. La cattiva gestione di un disabile a scuola e nell'ambito dell'integrazione sociale diventa un doppio problema, perché la famiglia non è in grado di gestire questa realtà seria, grave. Bisogna farci fronte.
  Oltretutto, molto spesso le odiose discriminazioni nei confronti della disabilità e della diversità, che sono anche di carattere bullistico, se possiamo usare questo termine, nascono dall'ignoranza e dalla mancanza di solidi riferimenti culturali. Si dice – c'è un filmato di un'associazione francese molto interessante – che gli occhi dei bambini non hanno barriere. Bisognerebbe guardare le persone con disabilità in modo positivo e rispettando la loro dignità, come fa un bambino. I bambini a scuola non discriminano. Forse il genitore dice loro di non stare vicino a bambini disabili perché li può infettare. Parlo anche crudamente, ma sono realtà che viviamo da oltre trent'anni.
  Gli occhi dei bambini, come dicevo, vedono il mondo con l'innocenza che non fa distinzioni, non crea pregiudizi e non alza le barriere. Sono gli adulti, solo gli adulti, che possono discriminare ed offendere la dignità delle persone, con disabilità o senza. Non abbiamo mai assistito a discriminazioni da parte dei bambini, ma solo dagli adulti, cresciuti male.
  Non mi dilungherò. Dico solo, sulla disabilità nella scuola, che secondo i dati forniti dal MIUR il numero di studenti con disabilità sfiora i 250.000. Il problema è un incremento di certificazioni di disabilità, aumentate del 50 per cento negli ultimi quindici anni. Sono dati allarmanti, tenuto conto che, nonostante l'evoluzione della ricerca scientifica e una maggiore cosiddetta presa di coscienza della società civile sulle tematiche culturali della disabilità, si verifica un aggravamento anziché un miglioramento delle condizioni psicofisiche dei bambini e degli adolescenti.
  Ho letto nelle vostre relazioni e nel programma che la patologia più diffusa è, ovviamente, il ritardo mentale. Noi ci occupiamo da quasi quindici anni dell'autismo, che è stato definito la poliomielite degli anni Ottanta, per la diffusione e per l'aumento che c'è. Una volta era un bambino su mille e, nel corso di quindici anni, è diventato autistico un bambino su cento. In alcune zone, un bambino su cinquanta diventa autistico. Abbiamo fatto numerosi incontri e convegni per capire, ed è una patologia della quale ancora si sta studiando la genesi, perché non si capisce.
  Qui ci sono quasi tutte donne: una delle prime teorie psichiatriche, non del sociologo di turno, non so se la conoscete – quando me l'hanno riferito in un convegno, sono inorridito – era quella della mamma frigorifero. Sapete che cosa significa? Che questa forma di autismo, cioè di assenza di relazione del bambino, nasceva dall'anaffettività della madre. È pazzesco, oltre che avere il problema del bambino, colpevolizzare pure la madre! Parliamo degli anni Settanta, quando con una delle prime ricerche, forse di qualche psichiatra dell'università della California, si sostenne che potesse dipendere da quello. Vi furono casi di suicidi di mamme con bambini autistici.
  Vi segnalo alcune iniziative che l'Associazione, che è di volontariato, ha portato avanti. Una fondazione, una struttura che opera come una cooperativa sociale – quella che ho fondato trent'anni fa si chiamava PAGEFHA, acronimo per Associazione provinciale di genitori con figli handicappati – gestisce i servizi che dobbiamo dare ai nostri figli nella scuola, dopo la scuola e dopo di noi. Ho avuto modo di collaborare a dei tavoli per la legge sul «dopo di noi», un grosso passo avanti per la preoccupazione dei genitori che devono sapere che fine faranno i loro figli dopo di loro.
  Sul tema dell'autismo abbiamo fatto convegni. Noi siamo nelle Marche, quindi né a nord né a sud, ma al centro. Al nord, per un intervento efficace sull'autismo nella post-adolescenza, dai sedici anni in su – l'ambito scolastico non è per il ragazzo autistico l'ambiente più adatto – in provincia di Pavia, a Cascina Rossago, c'è una farm community, un centro diurno residenziale per i ragazzi autistici. Abbiamo invitato da noi la neuropsichiatra, che ha una Pag. 10figlia autistica, che si è occupata e preoccupata direttamente del problema.
  Abbiamo creato anche ad Ascoli Piceno una struttura diurna. Ci siamo rivolti alle amministrazioni. Qui c'è il problema. Ci rivolgiamo all'amministrazione comunale, che ci dice che non ha i fondi; la regione ci risponde che ha il fondo di solidarietà. C'è la legge sull'autismo, ma i fondi non ci sono. Ci rivolgiamo alla fondazione bancaria che fa il bando, ma ci dà i soldi col contagocce. Allora, abbiamo fatto un progetto diretto, con l'accreditamento regionale di una cooperativa sociale, e abbiamo aperto questo centro diurno socioriabilitativo per soggetti autistici, e comunque per i cosiddetti disturbi pervasivi dello sviluppo, con gravi problemi di comunicazione.
  C'è un terreno coltivabile sullo stile della farm community, si applica la pet therapy. Attraverso dei progetti sostenuti e finanziati dall'ANIEP per la gestione negli asili nido, sono cinque anni che abbiamo introdotto la pet therapy. Adesso è stata «stoppata» perché devono verificare bene il tipo di intervento necessario.
  Parlo della regione Marche, ma è un intervento che, nel loro piccolo, si può chiedere ai genitori che da tre anni frequentano questo centro diurno o che fanno l'attività di pet therapy negli asili nido, da tre mesi a tre anni, dove appunto attraverso un semplice contatto con l'animale c'è un'impostazione di crescita diversa da quella di altri ambiti.
  Vi ringrazio della disponibilità e vi invito a proseguire nell'indagine conoscitiva, per poi formulare delle proposte per gestire tutte queste situazioni e cercare di creare un'omogeneità. Quello che si fa in Lombardia si può fare nelle Marche, in Puglia, in Calabria. Io andrò nelle prossime settimane a Francavilla Fontana, in provincia di Brindisi, dove un gruppo di persone costituirà una sezione ANIEP. La preoccupazione è, infatti, che senza il marchio di un'associazione di carattere nazionale e l'esistenza di una cooperativa sociale o un'associazione, nessuno dà credito e non si può fare nessun tipo di progetto.
  Le parole chiave sono, quindi, conoscenza, riflessione e progettualità, per incidere sul problema.

  PRESIDENTE. La ringrazio, avvocato. Può produrre agli uffici la sua relazione, così la mettiamo agli atti.

  MARIA VALENTINA VEZZALI. La ringrazio per l'intervento, molto interessante. Io vengo dalla stessa regione, le Marche, Jesi. Tra i vari progetti che ha illustrato, non ho sentito il termine «sport».
  Io vengo dal mondo dello sport, e a giugno ho avuto l'opportunità, tramite l'associazione creata dai genitori di Bebe Vio, la ragazza che ha vinto le Paralimpiadi, che a diciotto anni si è ammalata gravemente di meningite acuta, si è svegliata senza gambe e a cui hanno tolto le braccia, di organizzare la manifestazione al Foro italico «Giochi senza barriere». Con persone normodotate, con persone con diverse disabilità, le più disparate, dai più giovani ai meno giovani, abbiamo fatto questi «Giochi senza barriere», insieme.
  Lei ha detto che i bambini parlano con gli occhi. Mio figlio Pietro aveva circa tre anni e mezzo o quattro quando conobbe Bebe Vio, con la quale mi esibii in carrozzina, lei senza le gambe, e le chiese perché non le avesse: lei rimase tranquillissima e gli rispose. Si tratta di educare i nostri bambini normodotati a vivere insieme ai disabili come gli altri.
  Inoltre, conosco un neuropsichiatra che lavora al Gemelli che ha fatto un progetto con bambini autistici. Li ha fatti stare in comunità estiva insieme a bambini normodotati, che hanno risposto in maniera positiva. Hanno fatto anche tirare di scherma i bambini autistici, che hanno dato risposte ottimali, al punto che è stato creato un progetto di collaborazione con la Federscherma, che ha portato alcuni di loro a vedere le Olimpiadi.
  Quello che chiedo è se la vostra associazione, se foste interessati, abbia mai pensato di cercare di convogliare questi bambini anche verso progetti collegati al mondo dello sport.

  AUGUSTO EUGENI, Vicepresidente dell'Associazione nazionale per la promozione e Pag. 11la difesa dei diritti delle persone disabili (ANIEP). Senz'altro. Non è stata un'omissione nel senso che abbiamo escluso lo sport. Occupandoci di patologie gravissime, chiaramente nella maggior parte dei casi che seguiamo è praticamente impossibile, tranne che per alcuni ragazzi autistici, per i quali ci sono dei progetti in corso, sempre nell'Orto di Paolo, nell'ambito della farm community.
  È più difficile, ma ad esempio a Firenze due settimane fa, durante la Conferenza, c'era qualcuno che tirava di scherma con dei ragazzi. Anche nelle Marche, ad Ascoli, l'Associazione Paraplegici delle Marche Onlus di Roberto Zazzetti ha organizzato per due volte in Piazza del Popolo delle partite di pallacanestro per disabili. Una società di Giulianova si occupa di questo, nella nostra zona. Lo sport, ovviamente per quanto possibile, per alcuni tipi di patologie, è senz'altro annoverato tra le attività. Mi sono limitato a questi due esempi, ma ci mancherebbe altro.

  PRESIDENTE. Avvocato, la ringraziamo. Ringraziamo anche il professor Portinaro. Vi anticipiamo che, al di là del fatto che gli atti delle vostre audizioni saranno distribuiti a tutti i commissari, presenteremo i focus che concluderemo. Contiamo di concludere il focus sulla disabilità e quello sull'oncologia pediatrica da qua a tre mesi circa. Poi realizzeremo un evento, nel vostro specifico caso, per presentare i risultati di quest'indagine conoscitiva.
  Un evento vuol dire un convegno, o qualcosa del genere, importante, ufficiale, alla Camera o al Senato, a cui inviteremo coloro che hanno dato, in qualità di relatori, un contributo significativo. Quello sarà un altro momento in cui parlare di questi temi. Vi ringraziamo e ci riaggiorniamo per quest'ambito.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.45.

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