XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 19 di Giovedì 11 settembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Zampa Sandra , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA POVERTÀ E SUL DISAGIO MINORILE

Audizione del Garante per l'infanzia e l'adolescenza della regione Emilia-Romagna, Luigi Fadiga.
Zampa Sandra , Presidente ... 3 
Fadiga Luigi , Garante per l'infanzia e l'adolescenza della regione Emilia-Romagna ... 3 
Zampa Sandra , Presidente ... 7 
Cesaro Antimo (SCpI)  ... 8 
Zampa Sandra , Presidente ... 9 
Puglisi Francesca  ... 9 
Zampa Sandra , Presidente ... 10 
D'Incecco Vittoria (PD)  ... 10 
Zampa Sandra , Presidente ... 10 
Fadiga Luigi , Garante per l'infanzia e l'adolescenza della regione Emilia-Romagna ... 10 
Zampa Sandra , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE SANDRA ZAMPA

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che se non vi sono obiezioni la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Garante per l'infanzia e l'adolescenza della regione Emilia-Romagna, Luigi Fadiga.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla povertà e sul disagio minorile, l'audizione del Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Emilia-Romagna, Luigi Fadiga.
  Oggi siamo in pochi, ma di certo fortemente interessati a questa audizione. In realtà alcune colleghe mi avevano preannunciato la loro impossibilità ad essere qui, poiché ci sono altre riunioni di Commissione e anche – come lei sa, signor Garante – le votazioni in corso per l'elezione dei membri del CSM e della Corte costituzionale.
  Il Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Emilia-Romagna Luigi Fadiga ha un passato dedicato ai temi della giustizia minorile e dell'infanzia, quindi ha un curriculum straordinario per quello che riguarda i temi di cui questa Commissione si occupa.
  Questa audizione ha luogo nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla povertà e il disagio minorile. Molte sono state le notizie, i dati e gli elementi che sono stati portati alla nostra attenzione e che ci hanno anche vivamente preoccupato, soprattutto con riguardo agli strumenti e alle politiche da adottare su questo versante (l'indagine si avvia a conclusione e ci sarà, alla fine, un documento che noi discuteremo insieme e dovremo approvare). Sarebbe nostra intenzione e desiderio portare tale documento all'attenzione dell'Assemblea, quindi alla Presidenza della Camera e del Senato, ma anche del Governo. Do la parola a Luigi Fadiga, che ascoltiamo con grande interesse.

  LUIGI FADIGA, Garante per l'infanzia e l'adolescenza della regione Emilia-Romagna. Grazie, presidente. Rivolgo un ringraziamento particolare perché la convocazione di oggi, in quanto Garante regionale, mi dimostra un'attenzione da parte della Commissione per queste nuove figure che è particolarmente rilevante.
  Si tratta di figure nuove, che stanno muovendo i primi passi, alcune volte con qualche incertezza, ma io penso che possano avere un ruolo estremamente importante nella promozione dei diritti del minore e nella tutela del minore stesso.
  Ho preparato una breve sintesi del mio intervento, che ho già consegnato agli uffici. Premetto che vorrei focalizzarmi su alcuni punti specifici, perché il tema è di grande importanza e di grande ampiezza. Ho avuto modo di guardare i resoconti stenografici on line e ho visto interventi di notevole spessore. Devo dire che la scelta del tema della povertà è molto qualificante, perché l'argomento della povertà minorile ha una sua specificità, che spesso viene ignorata; addirittura, il problema viene molte volte messo da parte, dietro altre questioni ritenute più urgenti.Pag. 4
  Circa la specifica condizione di povertà dell'età minore direi che noi dovremmo fare attenzione a questo aspetto, anche perché sull'argomento la Convenzione sui diritti del fanciullo è vincolante per il nostro Paese, che l'ha ratificata nel 1996. D'altra parte, la Convenzione stessa quest'anno celebra il suo venticinquesimo anno di vita. Giustamente il programma dell'indagine promossa dalla Commissione segnala le conseguenze del disagio economico e sociale sui minori. Non c’è dubbio che le conseguenze siano profonde e non si può nemmeno negare a priori una correlazione positiva tra povertà e disagio nelle sue varie forme, compreso il cyberbullismo, sul quale però andrei cauto, perché direi che sembrerebbe riguardare di più alcune fasce minorili non toccate da povertà materiale ma da altri aspetti. Il bullismo non deve essere necessariamente cibernetico, quindi, tolta forse la piccola parola iniziale, è comunque un tema che ha riflessi.
  La dimensione economica non basta a spiegare la povertà minorile, che si caratterizza principalmente sotto il profilo della povertà educativa. La povertà educativa è stata definita molto precisamente dalla ricerca di Save the Children, che so che la Commissione ha conosciuto. Ripeto la definizione: è povertà educativa «la privazione da parte dei bambini e degli adolescenti della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni».
  Se abbiamo presenti i primi articoli della Convenzione sui diritti del fanciullo, quelli che riguardano il diritto di esprimersi liberamente, il diritto di associarsi, il diritto di certe scelte, anche estremamente impegnative, come quelle religiose, tutte queste nuove situazioni giuridiche di diritto della persona minore possono essere esercitate intanto e in quanto il bambino, il minore, l'adolescente abbia potuto fruire di educazione adeguata, sia cioè capace di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire le sue capacità. Devono anche essere esigibili queste libertà nuove del minore. Per esigibilità dobbiamo pensare all'accessibilità, cioè alla possibilità di accedervi, ma qui si va un po’ più lontano dal tema. Vorrei dire che questo concetto di possibilità di apprendere, sperimentare e sviluppare i propri talenti era già presente nel nostro diritto fin dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, laddove nell'articolo 147 del vecchio testo del codice civile si diceva che i genitori dovevano rispettare le scelte dei figli in questo campo.
  Il nuovissimo articolo 315-bis è ancora più penetrante, perché parla del diritto del figlio e non più soltanto di dovere dei genitori. Però i destinatari del comando giuridico sono sempre e soltanto i genitori, non anche, invece, le istituzioni e la comunità. È chiaro che l'aspetto educativo non riguarda solamente il rapporto del figlio con i genitori, ma il rapporto della persona con l'ambiente circostante e la comunità. La persona di minore età, prima di essere figlio, è persona. Questo aspetto un po’ difficile da ricordare è molto evidente quando si consideri che ciascuno di noi è persona a prescindere dal proprio status di figlio, coniuge, parente e così via.
  Il nostro diritto, invece, si concentra sulle persone di minore età quasi soltanto sotto l'aspetto relazionale di figlio, perdendo la dimensione della singola persona. Io direi che è auspicabile che siano individuati strumenti normativi per porre a carico, anche delle istituzioni, quel comando volto a far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni. A questo proposito è opportuno citare l'articolo 18 della Convenzione sui diritti del fanciullo, che impegna gli Stati parti non solamente ad accordare aiuti appropriati ai genitori, ma anche a provvedere alla creazione di istituzioni e servizi aventi il compito di vigilare sul benessere del fanciullo.
  Direi che a questo proposito i Garanti regionali – anche io ovviamente – devono relazionarsi soprattutto con le istituzioni regionali. La modifica dell'articolo 117 della Costituzione ha dato alla competenza funzionale delle regioni una serie di materie, tra cui quella della protezione dei minori. Risulta abbastanza evidente ed è estremamente noto che c’è un fortissimo divario di opportunità educative tra le regioni italiane. Tra gli strumenti che mi Pag. 5sembrano di particolare urgenza c’è, quindi, quello dei livelli essenziali delle prestazioni per l'infanzia e l'adolescenza.
  Venendo più vicino alla situazione delle persone minorenni in Emilia-Romagna, sicuramente essa appare per certi versi privilegiata. Secondo i criteri indicati da Save the Children, la nostra regione si colloca al terzo posto tra quelle italiane, preceduta soltanto dal Friuli Venezia Giulia e dalla Lombardia. Più di 1.000 nidi d'infanzia dispongono di circa 38.000 posti e coprono il 33,7 per cento (questo è l'ultimo dato diffuso) del fabbisogno regionale, raggiungendo una percentuale che supera l'obiettivo indicato dal Consiglio europeo di Lisbona.
  Sarebbe però gravemente sbagliato fermarsi a questo aspetto. I nidi di infanzia riguardano la prima fascia della vita, sono di importanza determinante, ma non possiamo fermarci solo su quello. Alcuni settori di popolazione minorile e alcune situazioni particolari, anche in Emilia-Romagna, presentano un rischio di povertà sia materiale che educativa particolarmente elevato. All'interno della regione non ci sono grossi squilibri, benché sotto certi aspetti alcune zone siano inferiori alla media regionale e altre superiori, ma le categorie a cui facevo cenno sono categorie direttamente sottoposte al rischio di povertà. Si tratta di minori stranieri e di minori appartenenti a famiglie nomadi.
  Comincio da quest'ultima categoria che se dal punto di vista quantitativo è ridotta, dal punto di vista qualitativo è fortemente sfavorita fin dai primissimi anni di vita. Non è purtroppo infrequente il caso di neonati che perdono la vita a causa di incidenti domestici, come incendi nei campi nomadi. Non mi riferisco a casi particolari ma parlo in generale; la stampa nazionale ogni tanto riporta casi del genere.
  Ci sono situazioni in cui il neonato figlio di una donna nomade, in qualche maniera sparisce, o perché non viene fatta subito la dichiarazione di nascita e incautamente l'ospedale ha affidato il neonato alla madre, ovvero per altre ragioni, con gravi rischi di essere anche oggetto di compravendita; vi sono poi situazioni che toccano più da vicino la povertà educativa intesa come scolarizzazione. Molti fra i nomadi hanno cittadinanza europea, quindi hanno diritto di accedere e circolare liberamente nel nostro Paese, tuttavia, naturalmente, per fermarsi nel nostro Paese, per integrarsi nel nostro Paese occorrono certi requisiti, come ad esempio la residenza per la quale occorrono altri requisiti che queste famiglie di solito non hanno, perché non dispongono dell'abitazione con i requisiti necessari, ovvero – peggio – vivono in campi nomadi improvvisati, anche illegali, che periodicamente sono oggetto di sgombero, con la conseguenza dell'interruzione della scuola per ragazzi che hanno iniziato la scolarizzazione.
  Questo nomadismo pendolare accentua le difficoltà di integrazione, perché si tratta di bambini e ragazzi che, dopo diversi anni di permanenza in Italia, dove magari sono anche nati e hanno iniziato a integrarsi, tornano nel Paese d'origine dei genitori e perdono la possibilità di proseguire nella loro crescita.
  Tutto questo ha riflessi profondi sulla povertà materiale ed educativa. La mancanza di residenza può sembrare una cosa certamente rilevante ma non determinante, mentre invece la retta di iscrizione alla scuola per l'infanzia è legata, ovviamente, alle fasce di reddito e può essere addirittura gratuita o molto ridotta per chi dimostra la propria insufficienza economica; purtroppo, rilevo che l'insufficienza economica può essere dimostrata solamente in caso di residenza. Molti di quei bambini, che noi purtroppo vediamo ogni tanto mendicare con i genitori, potrebbero frequentare la scuola per l'infanzia o i nidi per l'infanzia, se solo fosse possibile dare loro accesso con un aiuto economico ai genitori, cosa che è impossibile.
  La Regione Emilia-Romagna, di recente, ha pubblicato un rapporto molto importante sulla popolazione rom e sinti, cercando un approccio diverso da quello tradizionale, notando, per esempio, che le ragazze, le bambine nomadi, sono quelle più disponibili per un'integrazione, per una scolarizzazione prolungata. Lascio agli atti della Commissione il file di questo Pag. 6rapporto alquanto voluminoso. La Giunta regionale dell'Emilia-Romagna, il 7 luglio scorso, aveva approvato il progetto di legge «Norme per l'inclusione sociale di rom e sinti», riformulando completamente la vecchia legge che risaliva al 1988, il che dimostra come sia poca l'attenzione per questa fascia di ragazzi e bambini. Il progetto di legge non è ancora approvato, ma spero che possa esserlo in tempi brevi.
  L'altra categoria che considero a rischio è quella dei minori stranieri residenti. Non parlo di minori stranieri non accompagnati per i quali il problema è diverso, ma parlo dei minori stranieri residenti che, in Emilia-Romagna, raggiungono valori molto elevati, con punte che in alcune zone superano il 20 per cento del totale della popolazione minorile residente, che nella regione è pari a 711.000 minorenni.
  Qui ci scontriamo con diversi fattori negativi: prima di tutto la mancanza di cittadinanza italiana, anche se si tratta di bambini nati e cresciuti in Italia; poi l'ambiente familiare, spesso povero di stimolazione o addirittura violento (e comunque, se non violento, trascurante nei confronti del figlio, non necessariamente perché si tratta di famiglie straniere, ma per il semplice fatto che sono famiglie che spesso vivono in situazioni marginali).
  Questa posizione di rischio della fascia di minori stranieri è rilevante dal punto di vista quantitativo, non solo qualitativo, a differenza di quella dei nomadi. Una valutazione della situazione con il metro del ritardo scolastico, a me sembra particolarmente significativa e preoccupante. Nella relazione sulle attività svolte nel 2013 dal mio ufficio di Garante, che consegno alla Commissione, emerge che nella scuola primaria e secondaria di primo grado, unitariamente considerate, gli alunni italiani in ritardo di uno o due anni sono il 7,6 per cento, mentre gli alunni stranieri in ritardo sono il 54,7 per cento. Se scomponiamo il dato, vediamo che nella scuola primaria, scuola elementare, il ritardo degli italiani è quasi insignificante (1,6 per cento), mentre è già preoccupante quello degli stranieri (13,6 per cento), il che significa che un numero abbastanza rilevante di alunni stranieri nella scuola elementare è in ritardo di uno o due anni. Nella secondaria di primo grado, la vecchia scuola media, gli italiani in ritardo sono appena il 6 per cento del totale, gli stranieri in ritardo sono il 41,1 per cento. Questo fotografa la situazione di gravissima povertà educativa dei bambini stranieri residenti, anche se nati e cresciuti in Italia.
  Per completezza, infine, si può notare che nella scuola secondaria di secondo grado alla quale accedono, purtroppo, pochi minori stranieri il ritardo degli stranieri raggiunge il 63,8, contro il 21,8 per cento degli italiani. Il problema della povertà educativa si concentra, a mio parere, soprattutto nella fascia preadolescenziale, che a mio giudizio è l'ultima occasione per poter intervenire contro il disagio e la devianza: dopo può essere tardi, non solo perché il minore a quattordici anni diventa penalmente imputabile e quindi può scontrarsi con il sistema penale, sia pure minorile, ma anche perché la personalità si è già in parte strutturata, quindi è meno facile per l'educatore proporre un modello di comportamento corretto.
  Cosa si potrebbe fare ? Credo che la prima considerazione sia quella di ampliare l'offerta educativa della scuola secondaria di primo grado, dove in Emilia-Romagna le classi a tempo pieno sono molto poche: secondo i dati del MIUR, riportati nella ricerca di Save the Children, in Emilia-Romagna sono appena il 7 per cento del totale.
  Mentre nella scuola primaria abbiamo quindi un 44 per cento di scuole a tempo pieno, nella scuola secondaria di primo grado, fra la quinta elementare e la prima media, questa percentuale crolla al 7 per cento. Mi rendo conto che ci possano essere ragioni molto concrete per questo aspetto, tutte legate ai problemi economici, però sono convinto che lì vada fatto uno sforzo maggiore, perché la povertà educativa nella fase della preadolescenza è quella che incide più profondamente sul disadattamento, sul disagio e anche sul bullismo, cibernetico o no.
  Cosa abbiamo cercato di fare per intervenire sulle situazioni di povertà educativa Pag. 7nei limiti delle competenze del Garante regionale, che sono competenze non certamente operative ? Abbiamo cercato di promuovere la conoscenza dei diritti, che credo che sia un mezzo da diffondere attraverso laboratori sui diritti nelle scuole e negli istituti professionali, illustrando i singoli diritti elencati nella Convenzione delle Nazioni Unite e facendo lavorare i ragazzi su questo aspetto mediante la preparazione di cartelloni e tabelle, concludendo questo lavoro con una manifestazione e un momento comunitario.
  Stiamo inoltre avviando un'esperienza di «Sentiero dei diritti» e vediamo che nelle scuole medie inferiori ciò può avere un significato. Si tratta di una specie di «Percorso natura» in cui, anziché attrezzi di ginnastica, ci sono momenti in cui vengono illustrati, anche dai ragazzi, i diritti. Ci siamo poi concentrati molto sull'ascolto, anche se le segnalazioni che arrivano al Garante – perlomeno a quello dell'Emilia-Romagna, ma gli altri colleghi vivono la stessa situazione – provengono quasi tutte da adulti, i quali sono frequentemente genitori separati in conflitto per l'affidamento (ma questa è una competenza della magistratura, quindi noi, cercando di svolgere ove possibile un po’ di mediazione, ci asteniamo dall'intervento), oppure segnalazioni relative a difficoltà del rapporto tra genitori e scuola.
  I genitori si pongono in modo molto critico contro le decisioni e le scelte della direzione dell'istituto o degli insegnanti; spesso svolgono un ruolo di protezione aprioristica del loro figlio e questo dato può essere preoccupante. In alcuni casi i genitori contrastavano scelte della direzione dell'istituto volte a favorire l'integrazione dei minori stranieri. Nel sistema attuale, dove un ragazzino o una ragazzina di 11-12 anni arriva in Italia senza conoscere una parola della nostra lingua e viene immediatamente inserito in una classe di scuola media, da un lato riceve il grande vantaggio di essere fin dall'inizio oggetto di attenzione educativa, dall'altro comporta uno shock per la comunità scolastica e per la classe.
  A Bologna è stato effettuato un esperimento che prevedeva di raggruppare i neo-arrivati stranieri: non credo che sia una cosa positiva, ma certamente un momento di preparazione all'inserimento in classe potrebbe essere utile. Queste sono le considerazioni che volevo fare; nella relazione si segnalano le altre azioni svolte e le ricerche effettuate, in particolare una ricerca sugli sportelli di ascolto nelle scuole e un'altra sull'affidamento al servizio sociale. Rimango comunque a disposizione per rispondere a eventuali domande. Grazie.

  PRESIDENTE. Esprimo un grande ringraziamento e un vivo apprezzamento sulla quantità di lavoro che si intravede dietro questa relazione, come anche l'interesse delle misure messe in atto dalla Regione Emilia-Romagna, cosa che ci fa una volta tanto percepire cosa significa avere il Garante dell'infanzia nelle regioni o non averlo, anche perché ogni tanto ci interroghiamo su quali sono gli strumenti e le istituzioni che possono mettere in moto qualcosa per intervenire e per promuovere politiche per l'infanzia.
  Prima di lasciare la parola ai colleghi, volevo informare i colleghi che la relazione è stata distribuita ma il dottor Fadiga ha anche provveduto a portarci copia del rapporto annuale del suo lavoro. Sono sorpresa da questi dati molto importanti sulla scolarizzazione e sul divario della scolarizzazione e dei risultati scolastici tra minori stranieri e non. Mi interessava anche che lei ritornasse un attimo – ha fatto solo un cenno al riguardo – su questa sperimentazione della famosa classe di soli alunni stranieri. Lei ha detto che non ha dato buoni risultati. Bisognerebbe immaginare, invece, anche degli interventi di preparazione e di integrazione, probabilmente aperti anche almeno alle madri. In realtà, uno dei problemi che scontano i minori stranieri è che vivono molto separati. Spessissimo i padri lavorano, sono occupati, mentre frequentemente le madri sono casalinghe, non trovando o non cercando occupazione; sono quindi fortemente emarginate a loro volta. Questa relazione stretta tra i ragazzi e le loro Pag. 8madri, molto separati e scarsamente capaci di integrarsi, probabilmente migliorerebbe se la scuola si aprisse anche alle famiglie, offrendo persino alle madri di questi ragazzi la possibilità, per esempio, di imparare la lingua italiana e di conoscersi reciprocamente. I nostri alunni potrebbero conoscere le abitudini – si è sempre detto che i cinesi sono straordinariamente bravi in matematica – ma anche le tradizioni e le religioni degli altri.
  Io credo che, peraltro, in questo momento in cui c’è la necessità di ricostruire dei ponti di relazione tra culture e religioni diverse, anche solo in ragione della necessità della pace nel mondo, cambiare radicalmente, o comunque migliorare notevolmente le politiche di integrazione, ci farebbe fare qualche passo avanti su più versanti, non solo su quello dell'apprendimento scolastico degli alunni.
  Per chi di voi ha l'interesse a intervenire e a chiedere chiarimenti, o supplementi di informazione, il dottor Fadiga è a disposizione. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni. Il primo ad intervenire è il collega Antimo Cesaro, che peraltro ha richiesto e ottenuto – quindi è in corso – un'indagine conoscitiva sulla fruizione dei beni culturali e artistici da parte dei minori. Una volta tanto abbiamo capovolto l'approccio: invece che porre il tema in termini problematici, abbiamo cercato di capire – l'indagine, però, è appena avviata – quanto i ragazzi frequentino, conoscano e possano fruire della bellezza e della cultura di questo Paese. Lascio molto volentieri la parola al collega.

  ANTIMO CESARO. Io non ho domande da fare, solo quale riflessione a margine. La prima è che, ovviamente, condivido l'impostazione che è stata data a questa relazione nel valutare il concetto di povertà, soprattutto – o anche – in termini di povertà culturale. Io credo che, tutto sommato, uno sforzo per soddisfare i cosiddetti bisogni primari si riesca a fare. Non sempre si riesce in ciò e, per carità, ci sono casi di povertà estrema: pensiamo agli stranieri che arrivano in Italia, ai minori non accompagnati, di cui la collega Zampa si sta occupando con una proposta di legge che ho avuto il piacere di sottoscrivere anch'io. Tuttavia, nei casi di normalità di stranieri residenti in Italia, o anche di italiani che versano in condizioni di indigenza, più che la soddisfazione dei bisogni primari – un piatto di pasta a tavola e un tetto – quello che emerge e che rappresenta un indice sul quale noi dobbiamo sempre più riflettere, è proprio l'aspetto della povertà culturale. Tale aspetto incide non solo sull'immediato, ma soprattutto sul futuro dei ragazzi, i quali, magari in una famiglia di bassa scolarizzazione, non si rendono conto di quanto sia compromessa la possibilità di successo nella vita di un giovane che non è messo in condizione di poter avere gli stessi strumenti di un suo compagno. Mi compiaccio veramente del fatto che, fin dalle premesse di questa sua relazione, si sia insistito in particolar modo su questo versante. L'altra questione su cui volevo spendere una riflessione a margine riguarda questi percorsi per illustrare sempre più ai nostri ragazzi il ventaglio dei loro diritti. Lei ha avviato dei percorsi di conoscenza nelle scuole per illustrare i diritti ai ragazzi e per renderli sempre più edotti sul riconoscimento giuridico di tutte le potenzialità del loro status.
  Io su questo sono alquanto critico, ma è una mia posizione teorica. Io ho insegnato per anni filosofia del diritto e arrivai a chiedere al mio preside – all'epoca c'era il preside e non il direttore di dipartimento – di cambiare il nome del mio insegnamento in «filosofia del dovere», perché in Italia abbiamo una proliferazione di diritti che è inversamente proporzionale al loro disconoscimento. Io mi chiedo se, più che illustrare la Repubblica ideale dei diritti ai nostri ragazzi, non sarebbe il caso – questa è una mia provocazione – di fare dei percorsi di dovere ai rappresentanti delle Istituzioni. Fare immaginare a questi ragazzi tutte le potenzialità connesse alla loro età, diventa un riconoscimento virtuale che se spesso nelle dichiarazioni internazionali dei diritti è previsto, molto spesso si traduce poi Pag. 9in una mortificazione sostanziale di quelle stesse belle parole che riempiono per tabulas i nostri trattati.
  Faccio una nota a margine per introdurre un po’ di umorismo. Io sono di origine napoletana e forse si capisce dall'accento. A proposito della questione sui diritti e i doveri, mi limito a ricordare che noi abbiamo due Dichiarazioni universali dei diritti dell'uomo. Oltre alla famosa classica Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, c’è anche una Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo nell'Islam. Detta così, la questione è piuttosto una contraddizione in termini, perché, se è universale, la dichiarazione non dovrebbe essere poi limitata all'Islam.
  Una volta, in una discussione cui io fui invitato a proposito delle declaratorie dei diritti universali, chiesi come fosse possibile che esistessero due Dichiarazioni dei diritti universali: se una è universale, non ne può esistere un'altra ! Giustamente chiesi come fosse possibile che due posizioni avessero entrambe ragione rispetto ai diritti sui quali si esprimevano. La risposta che mi fu data: «Hai ragione anche tu». Anch'io, cioè, che avevo sollevato la disposizione ossimorica, ebbi il riconoscimento di avere ragione. Con questo episodio che mi è capitato che cosa vorrei dire ? Molto spesso, dal punto di vista teorico, abbiamo tutti ragione. Io mi augurerei che, anche attraverso la presenza dei Garanti regionali, del Garante nazionale e di una Commissione bicamerale, smettessimo tutti di darci ragione reciprocamente e che, alla fine di questi nostri percorsi, si potessero raccontare una, due o tre iniziative concrete che sono state realizzate attraverso il nostro impegno.

  PRESIDENTE. Raccolgo la tua provocazione-stimolo. Sono stimoli che fanno molto bene a tutti noi. La senatrice Francesca Puglisi si occupa di scuola in maniera attivissima e sono sicura che avrà delle cose da dire.

  FRANCESCA PUGLISI. Innanzitutto, essendo di Bologna come la vicepresidente, volevo ringraziare il Garante dell'Emilia-Romagna per il lavoro straordinario che ha compiuto in questi anni nella nostra regione. Su questo punto, intenderei anche aggiornarlo visto che lui stesso, nella relazione resa in questa Commissione, parla dell'importanza di tracciare i livelli essenziali delle prestazioni per l'infanzia e l'adolescenza. Noi al Senato stiamo discutendo una proposta di legge che si occupa di un settore, quello dei servizi educativi e scolastici, che partendo anche dai modelli emiliano-romagnoli di buone pratiche che ci sono nella nostra regione, ma non solo, traccia i livelli essenziali delle prestazioni per i servizi educativi e scolastici da 0 a 6 anni, cerando soprattutto di sostenere i comuni.
  Oggi, parlando di povertà educativa dei minori, non possiamo tacere l'allarme per cui, anche in regioni come la nostra in cui gli asili nido ci sono e sono molto diffusi (abbiamo quasi raggiunto l'obiettivo del 33 per cento), a causa della crisi economica delle famiglie, questi bambini non li frequentano più. Famiglie intere sono costrette a ritirare i propri bambini dagli asili nido e c’è un calo nelle iscrizioni anche quest'anno.
  Questo significa far mancare ai bambini e alle bambine, anche laddove ci sono le opportunità di frequentarli, questi servizi, che sono occasioni fondamentali di socialità, di crescita e di apprendimento sin dalla tenera età. Come dimostrano tutte le ricerche, queste sono esperienze fondamentali per la crescita dei bambini e delle bambine, che hanno frutti, come anche nei gradi di scuola successivi, perché si cade meno nel fenomeno del drop-out scolastico e si raggiungono livelli di apprendimento più alti. Infatti, la proposta di legge – non voglio tediarvi su questa questione – cambia anche il rapporto di finanziamento, proprio per permettere in tutta Italia di raggiungere gli stessi livelli delle prestazioni, cofinanziando per quota capitaria attraverso un contributo dello Stato, delle regioni e degli enti locali.
  L'aspetto che a me interessa approfondire, se possibile, in una replica, è il dato, che non so se sia vero – chiedo al Garante magari di confermarlo, ma leggerò anche con piacere il suo rapporto – sul fatto che Pag. 10la regione Emilia-Romagna sia forse una di quelle che fanno più ricorso all'affido ai servizi sociali. C’è questa leggenda o forse verità: le chiedo le ragioni di questo dato e se, secondo lei, ci sono delle modifiche normative o delle pratiche che possono essere migliorate. Grazie davvero, ancora, di cuore. Io credo che il ruolo del Garante, oltre che quello di garantire appunto, come dice la parola stessa, i diritti dei bambini e degli adolescenti, sia anche quello di fare cultura dei diritti degli adolescenti. È un compito che, purtroppo, la politica si è dimenticata troppo spesso e che, invece, questa Commissione ha il compito di realizzare.
  L'altro aspetto che il Garante fa bene a evidenziare – questo era il terzo punto che volevo toccare – è la questione della povertà educativa degli adolescenti, di cui ci si dimentica ancora più spesso che di quella dell'infanzia. La mancanza del tempo pieno nella scuola secondaria di primo grado è grave. In tutta Italia, non solo in Emilia-Romagna, sono state tagliate quasi tutte le esperienze di tempo prolungato nella scuola media, quando i preadolescenti sono in un'età delicatissima, hanno bisogno di occasioni di socialità e probabilmente anche di un'innovazione didattica che andrebbe sperimentata in modo ampio.

  PRESIDENTE. Molte grazie alla senatrice Puglisi. Do la parola alla collega D'Incecco, che è un medico e si occupa, in particolare, di pediatria.

  VITTORIA D'INCECCO. Sarò velocissima perché il tempo è tiranno. Innanzitutto mi voglio scusare per essere arrivata in ritardo ma, purtroppo, avevo in concomitanza un'altra seduta di Commissione, quindi, non ho avuto il piacere di ascoltarla fin dall'inizio: leggerò il suo Rapporto. La ringrazio di essere venuto e di tutto quello che sta facendo. Volevo chiedere se ha previsto anche un progetto per i bambini Rom. Essendo medico, le porto la testimonianza di due bambine: una era intelligentissima ma, purtroppo, per via della cultura dei Rom, che non prevede questo impegno nella scuola, non ha potuto terminare gli studi; l'altra, avendo terminato gli studi, purtroppo non ha potuto lavorare, perché, venendo tacciata di essere una bambina «diversa», non riesce a trovare un collocamento.
  Quando io sono stata assessore alle politiche sociali nella città di Pescara, mi ero inventata un progetto sulla cultura a distanza: c'era una maestra che, a progetto, andava nelle case di questi bambini a insegnare. Era questo l'unico modo per poter far avere loro una continuità nell'apprendimento. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Fadiga per le risposte e le conclusioni.

  LUIGI FADIGA, Garante per l'infanzia e l'adolescenza della regione Emilia-Romagna. Comincio dall'ultima questione, perché essendo stato per dieci anni il presidente del Tribunale per i minorenni qui a Roma – dieci anni che ricordo come molto positivi – il problema dei Rom l'ho sentito e lo sento molto grave. Io li vedo: sono lì, a mendicare, con la madre; arrivano i vigili urbani e portano via tutti e due; oppure i vigili urbani fanno finta di niente, ma poi c’è chi va a chiamarli per chiedere perché stiano lì a mendicare; passano gli anni, succede un furtarello e i primi sospettati sono loro; cominciano quindi un percorso di contatti con la giustizia, anche penale, minorile. Questa è veramente una situazione penosa. D'altra parte, però, è numericamente tanto ridotta che è giusto domandarsi: se sono così pochi, perché non facciamo qualcosa ? Purtroppo, è un circolo vizioso: non facciamo qualcosa proprio perché sono così pochi. Dunque, io sono molto d'accordo con quello che lei ha detto. Premetto che io sono il Garante e, quindi, indipendente. Non sono qui per sostenere particolari tesi, tuttavia, devo dire che quel rapporto sui rom e i sinti fatto dalla Regione Emilia-Romagna è molto importante e fa capire tante cose, anche se è limitato a rom e sinti, quindi, a cittadini dell'Unione europea, con tutto ciò che questo comporta.
  Tornando alle prime domande, in particolare a quelle dell'onorevole Cesaro, Pag. 11sulla povertà culturale, è vero: ci sarebbe un'enorme ricchezza di stimoli culturali da far avere ai nostri bambini e ragazzi qui da noi. Quello che non riesco, invece, a condividere, non in quello che diceva lei ma nel sistema attuale, è il sistema delle gite scolastiche. Noi abbiamo avuto il caso di una scuola che aveva fatto una gita scolastica all'estero, escludendo un ragazzino di scuola media perché considerato un po’ turbolento. Abbiamo dovuto approfondire il caso perché tra genitori e scuola si era verificato un contrasto molto forte.
  Abbiamo notato una cosa: intanto i costi di questa gita erano tali per cui uno dei genitori ci diceva che lui, con due figli, non poteva permetterselo. Inoltre, abbiamo notato che questo ragazzino non era stato sentito, non era stato ascoltato dal consiglio di classe sulle ragioni della sua non partecipazione. Non era stato avvisato che si pensava di non prenderlo per determinati motivi: era stato completamente superato questo suo diritto all'ascolto.
  È vero, non basta parlare di diritto dei minor: occorre parlare anche dei doveri degli adulti e dei doveri degli stessi minori. Una delle frasi che noi abbiamo messo in testa ad alcuni interventi sui diritti dei ragazzi delle scuole medie e inferiori è questa: «Aiuto: ho dei diritti e, quindi, ho dei doveri». Giustamente, l'opinione pubblica può non comprendere un discorso tutto centrato sui diritti. Ci sono situazioni in cui, giustamente, il ragazzino va responsabilizzato a un comportamento che sia conforme non solo alla norma, ma anche al buonsenso. La povertà culturale, è vero, può essere molto colmata, ma le scuole hanno un'autonomia scolastica – non so quale sia lo spazio lasciato all'Ufficio scolastico regionale per influire su questo fenomeno scolastico – e hanno ormai anche un bilancio loro, ragion per cui possono dire che possono fare una cosa e non un'altra. Tuttavia, quando a Bologna vedo salire sull'autobus, magari dirette alla stessa regione dove sto andando io, un paio di classi di bambini con la giacchettina che vanno a visitare la regione, mi fa molto piacere. Non che la regione sia un capolavoro edilizio, ma comunque è un'istituzione e gli insegnanti vi portano i bambini. Mi è stato chiesto dalla senatrice Puglisi un chiarimento circa l'affidamento ai servizi sociali o l'affidamento familiare, posto che non necessariamente sono la stessa cosa. Cominciamo dall'affidamento familiare, che va confrontato anche con l'intervento del collocamento in comunità.
  Occorre dire che nella regione Emilia-Romagna i due aspetti sono più o meno bilanciati: è difficile quantificare il decimale della cifra o anche l'unità. Io ritengo che siano più numerosi i casi di collocamento in comunità. La cosa mi stupisce un po’, perché l'affidamento familiare è indicato dalla legge n. 149 del 2001 come l'intervento privilegiato, la comunità restando un elemento non dico di supplenza ma certamente da adottare per dei motivi.
  Perché questo ? La legge sulle politiche giovanili della Regione Emilia-Romagna ha un'espressione specifica su questo punto, che riguarda la ritenuta pari dignità tra l'affidamento e il collocamento in comunità. Posso capire le ragioni di quest'affermazione: dire che l'affidamento familiare è la cosa più bella del mondo è sbagliato, perché poi ci si scontra con la realtà. Ci sono dei casi per i quali un gruppetto, una piccola comunità, una piccola struttura è più indicata. Tuttavia, devo dire che questa parificazione, a parte il fatto che contrasta con la legge statale, non mi trova del tutto convinto: la trovo stridente. Prova ne sia il fatto che ci sono oltre 300 comunità in Emilia-Romagna, che ridurne il numero diventa un problema sociale e che, laddove c’è una comunità, poi si trovano i clienti.
  Questa considerazione deriva dalla mia vecchia esperienza di magistrato minorile. Laddove si chiedeva di fare un carcere minorile, si trovavano subito i ragazzi da metterci dentro. La comunità non è un carcere, questo è chiaro, ma ne va giustificata l'esistenza e, poiché è facilissimo farlo, il meccanismo diventa in discesa verso la comunità, anziché essere in discesa verso l'affidamento familiare. Questo è un fatto su cui bisognerebbe riflettere.Pag. 12
  Sull'affidamento ai servizi sociali ho depositato una ricerca svolta insieme ai Garanti del Veneto, della Toscana e del Lazio, quindi, anche per questo motivo particolarmente significativa. Io lo vedo con preoccupazione, perché la legge non lo disciplina con chiarezza. La vecchia legge del 1955 ne parlava e ne parla ancora per i casi di disagio giovanile, ma ormai questo è un tipo di intervento che viene applicato anche nei confronti dei piccolissimi, i quali non hanno alcun disagio di comportamento.
  Perché questo ? Perché purtroppo è un intervento che facilita il compito del giudice e tutte le cose in discesa si preferiscono a quelle in salita. Ciò ha avuto, quindi, una diffusione molto forte, anche perché gli stessi servizi a volte lo richiedono per vincere le resistenze del loro ente di appartenenza a corrispondere aiuti economici oppure interventi domiciliari. Se c’è l'affidamento al servizio sociale, l'assessore non dice niente; se non c’è, l'assessore dice che non ci sono soldi.
  Questo elemento è comodo per i giudici e a volte è necessario per i servizi, ragion per cui è in discesa, ma è pericoloso, perché diventa una sub-delega. Parlo forse un po’ a ruota libera, ma i giudici minorili hanno delegato troppo – i togati agli onorari – perché erano pochi. Se siamo in pochi, chiediamo un aumento degli organici: quattro onorari per un giudice, che senso hanno ? Certo, costano molto meno e anche il ministero non ha problemi, ma non hanno senso. Purtroppo, questo fenomeno, portato troppo avanti, sta portando a una situazione che mi preoccupa moltissimo, perché lo schema di legge delega sulle sezioni della famiglia ignora del tutto la dimensione dell'interazione con il servizio sociale, oppure vede i servizi sociali come dei consulenti: no, sono titolari di un loro ruolo. Forse dovrebbero avere un ruolo di legittimazione attiva nei confronti del tribunale, senza bisogno di passare dal pubblico ministero, che è diventato il monopolista dell'azione di protezione, trasformandosi quindi da pubblico ministero in giudice.
  È chiaro che se il pubblico ministero riceve una segnalazione e decide di non muoversi, giudica quella segnalazione non rilevante: ma allora fa un mestiere diverso ! Nel penale non è così: se il pubblico ministero riceve un rapporto di denuncia che ritiene infondato, chiederà al giudice l'archiviazione; non può metterlo nel cassetto. I giudici, semmai, potrebbero dirgli di tirarlo fuori da quel cassetto, perché vogliono vederci sotto. Forse sto uscendo un po’ dal seminato, ma quella ricerca di Veneto, Emilia-Romagna, Toscana e Lazio mi sembra dia dei risultati di un certo peso.

  PRESIDENTE. Molte grazie. Conoscevo questa ricerca ed effettivamente è di grandissimo interesse. Questo è un altro dei temi di cui dovremo occuparci. Intanto vi volevo preannunciare che questa indagine prevede ancora un'audizione con il Garante del Lazio, che era stata rinviata da luglio. Cominciamo, quindi, già a preparare il documento conclusivo (ne discuteremmo in sede di Ufficio di presidenza). È questa una materia molto estesa, che va dalla giustizia minorile al tema che la senatrice Puglisi ha sollevato, che peraltro interessa molto e molti perché riceviamo continue segnalazioni in proposito.
  La ringrazio davvero molto, dottor Fadiga. Sapevo che sarebbe stato interessante ascoltarla. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.15.