XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 18 di Martedì 29 luglio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Zampa Sandra , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA POVERTÀ E IL DISAGIO MINORILE

Audizione del direttore della Fondazione Zancan, Tiziano Vecchiato.
Zampa Sandra , Presidente ... 3 
Vecchiato Tiziano , direttore della Fondazione Zancan ... 3 
Sica Marzia , rappresentante della Compagnia di San Paolo ... 6 
Zampa Sandra , Presidente ... 7 
Sica Marzia , rappresentante della Compagnia di San Paolo ... 7 
Zampa Sandra , Presidente ... 7 
Silvestro Annalisa  ... 7 
Mattesini Donella  ... 7 
Zampa Sandra , Presidente ... 8 
Iori Vanna (PD)  ... 9 
Zampa Sandra , Presidente ... 9 
Vecchiato Tiziano , direttore della Fondazione Zancan ... 10 
Sica Marzia , rappresentante della Compagnia di San Paolo ... 10 
Zampa Sandra , Presidente ... 10 

ALLEGATO: Povertà e infanzia, una sfida possibile con soluzioni di welfare generativo. ... 11

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE SANDRA ZAMPA

  La seduta comincia alle 14.10.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che se non vi sono obiezioni la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del direttore della Fondazione Zancan, Tiziano Vecchiato.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore della Fondazione Zancan Tiziano Vecchiato. Sono presenti anche la dottoressa Cinzia Canali, ricercatrice della fondazione, e la dottoressa Marzia Sica della Compagnia di San Paolo.
  Prima di dare la parola al dottor Vecchiato, la cui illustrazione siamo impazienti di ascoltare, ricordo che questa audizione ha luogo nell'ambito di una indagine conoscitiva sul tema della povertà minorile. Quest'ultimo, purtroppo, è un tema di grande attualità che ci preoccupa molto. La Commissione si sta accingendo a chiudere questa l'indagine e ci tenevo moltissimo che voi foste qui oggi, perché, fermo restando che da una vita vi occupate dei temi minorili, della povertà e della marginalità, ho visto che vi siete occupati in particolare del tema su cui noi abbiamo focalizzato la nostra attenzione. Pertanto, ci pareva indispensabile avervi qui oggi. Vi ringraziamo molto. Dal punto di vista dei nostri lavori, vi è un'enorme complicazione. Le senatrici presenti, infatti, dovranno lasciarci dieci minuti prima delle 15.00 per recarsi in Senato. Do, quindi, subito la parola al dottor Vecchiato per lo svolgimento della sua relazione.

  TIZIANO VECCHIATO, direttore della Fondazione Zancan. Vi ringrazio molto per quest'audizione, che ci dà la possibilità, non solo di presentare alcuni dei risultati dei lavori che stiamo facendo sulla povertà, ma anche di vedere come può essere affrontato il problema e a che condizioni può essere affrontato in modo efficace. Nel dossier che è stato fotocopiato e distribuito sono condensati sia i contenuti di proposta, sia i dati a supporto delle proposte.
  Il punto di partenza è questo: ormai, una delle evidenze incontrovertibili è che se non si investe sui primi anni di vita, in particolare dando delle opportunità ai bambini poveri e deprivati, l'effetto, poi, si legge lungo tutto l'arco della vita. Diversamente da altre età, infatti, gli aiuti che si danno ai bambini piccoli e ai loro genitori hanno molta più efficacia e molto più impatto rispetto a qualsiasi altra persona che viene aiutata. Queste, ormai, sono evidenze, che poi ritroveremo anche in alcune comparazioni a livello europeo.
  In secondo luogo, è difficile oggi in Italia poter ragionare su risposte per la prima infanzia che diano anche aiuto ai bambini più emarginati e più poveri, perché è difficile condividere una mappa di queste risposte che non sia troppo sezionata per categorie.
  Se prendiamo il punto di vista dei genitori, la mappa dovrebbe indicare delle Pag. 4risposte se, per esempio, il bambino ha problemi di salute, se il bambino ha problemi di educazione, di assistenza sociale eccetera, insomma, a 360 gradi.
  Nel documento che lasciamo agli atti c’è una proposta: un tentativo di una mappa globale che potrebbe aiutare a classificare i servizi per la prima infanzia, da zero ai sei anni, di area educativa, sociale e sanitaria, scomposti per modi di servizio. Più specificamente, ci sono tipi di servizio e di aiuto che possono essere portati a casa delle famiglie e dei bambini, e tipi di servizio che sono nella comunità ma a fruizione «diurna» intermedia, cioè tra la casa e altre modalità di risposte; ci sono, poi, tipi di servizio in cui i bambini sono accolti fuori dalla propria casa. Non sto pensando necessariamente alle comunità di accoglienza, perché anche stare in ospedale è un modo per stare lontano dalla propria casa, con tutta una serie di problemi.
  La classificazione che noi proponiamo potrebbe rappresentare una bussola per investire nei territori dove queste modalità di risposta sono scoperte, perché concorrono, non solo a rispondere a bisogni sociali, sanitari ed educativi, ma anche a lottare sostanzialmente contro la povertà.
  Un'altra questione, che a nostro giudizio andrebbe rimessa in discussione, riguarda il fatto che, da almeno vent'anni, tutela dell'infanzia, in particolare dell'infanzia deprivata, vuol dire approccio giuridico a questa tutela, ovvero: diritti, dichiarazione dei diritti, sottoscrizione dei diritti.
  Bisognerebbe passare da questo modo di lotta all'esclusione sociale dei bambini di tipo giuridico, che sfocia in certi casi in forme giuridiciste, cioè appagate di quello che si dichiara, a forme di misura reale e sostanziale dei benefici, del rendimento di questi diritti e dell'impatto sociale di questi diritti, a vantaggio dei bimbi, dei genitori e della comunità più allargata.
  Questa potrebbe essere un'innovazione importante, perché aiuterebbe i politici a livello locale, soprattutto i gestori di servizi, chi fa advocacy eccetera, a ragionare, non solo su cosa dobbiamo e chi deve fare, ma anche su come congegnare l'incontro tra diritti e doveri per dare maggiori opportunità all'infanzia e per far rendere molto di più le risorse che abbiamo a disposizione. Secondo me, questo è un punto chiave, culturale e anche di strategia politica, per un cambio di passo. Altrimenti, fra dieci anni saremo ancora a parlare di dichiarazioni di vario genere che riguardano la tutela dell'infanzia.
  Occorre ridefinire il concetto stesso di esigibilità, che non vuol dire soltanto riscossione di prestazioni e presenza di servizi formale, ma anche accessibilità sostanziale, soprattutto da parte di chi ne ha più bisogno. Misurare questo non è difficile. Certamente, prima di misurare bisogna aver finalizzato gli investimenti.
  Questo sarà un passaggio molto impegnativo per le professioni educative, sociali e sanitarie, perché questo vuol dire un cambio di mentalità: passare dall'idea di un'esigibilità prestazionale dei diritti, a un'idea di verifica di rendimento sostanziale e di beneficio sostanziale di quello che viene affermato come una necessità fondamentale per chi è in età evolutiva.
  I dati sono veramente sconvolgenti. Li conosciamo tutti, però, forse, leggerli in maniera un po’ diversa ci dice di più. Se per la popolazione, dal 2012 al 2013, siamo passati da 9,6 milioni di poveri a poco più di 10 milioni, per i bambini siamo passati da 4,8 milioni a 6 milioni.
  Se leggiamo i dati ancora diversamente, il numero di minori in povertà assoluta è aumentato in questi termini: nel 2011 erano 723.000, nel 2012 1.580.000 e, nel 2013, 1.434.000. Sono raddoppiati i bambini poveri, ma questo non è successo alla generalità della popolazione. Questo vuol dire che c’è proprio una specie di andamento oncologico che sta moltiplicando questa massa di sofferenza, che peraltro, nel confronto europeo, ci vede totalmente perdenti. Perché siamo perdenti ? Certamente investiamo meno risorse di altri Paesi, ma la capacità di ridurre la povertà con le risorse che mettiamo è assolutamente deficitaria. A pagina 14 del documento che lasciamo ci sono i numeri della disfatta.Pag. 5
  La chiave di lettura è questa (purtroppo non è una chiave di lettura consueta nel dibattito pubblico, nel dibattito scientifico e neanche nel dibattito politico): quanto i trasferimenti monetari aiutano le persone ? Ormai ne sappiamo abbastanza per dire che i trasferimenti con pochi servizi, praticamente, sono del tutto inefficaci e non aiutano chi ha bisogno. I numeri sono nella tabella a pagina 14.
  Quanti sono i minori (da zero a diciassette anni) a rischio di povertà, prima e dopo i trasferimenti sociali ? In Francia erano il 35,8 per cento prima e il 18,8 per cento dopo; in Germania erano il 33 per cento prima e il 15,6 per cento dopo; in Italia erano il 33 per cento prima e il 26,4 per cento dopo; in Spagna siamo sugli stessi livelli; nel Regno Unito erano il 42 per cento prima e il 18 per cento dopo.
  I trasferimenti, se associati a servizi e, quindi, a opportunità educative, di crescita, di alimentazione e di sviluppo, allora concorrono ad abbattere i tassi di povertà. Noi dedichiamo a questo scopo i due terzi della spesa assistenziale per trasferimenti se calcolata con i parametri Istat, e quattro quinti se calcolata con i parametri della Commissione Onofri di quindici anni fa. A questo punto, abbiamo la chiave di lettura per capire perché nel nostro Paese la lotta alla povertà è del tutto inefficiente.
  Queste sono le misure: la Francia riduce del 17 per cento la povertà dei minori, la Germania del 17,4 per cento, l'Italia del 6,7 per cento, il Regno Unito del 24,4 per cento, la Spagna del 7,6 per cento, la Svezia del 17,5 per cento e l'Unione europea a 27 Paesi del 14,2 per cento.
  È una constatazione elementare, che dovrebbe indicarci come fare a trasformare una parte considerevole di questi trasferimenti in servizi per i bambini e per le famiglie. Secondo noi, questo è il punto d'attacco al problema. Infatti, in uno studio comparato a livello europeo del 2007, abbiamo visto che in Italia, dove ci sono i servizi, l'abbattimento della povertà è del 74 per cento. Nella media europea è del 54 per cento. È ovvio che dove non ci sono i servizi, invece, non abbiamo la capacità di ridurre la povertà dei nostri bambini. Tra quelli che ricevono i servizi, i poveri sono dimezzati, mentre, in generale, nella popolazione, l'impatto è solo di un quarto. Se un soggetto non sa questo, non è responsabile di questa disfatta, ma se sa che è così, a quel punto cosa ne fa dei 6,5 miliardi di assegni familiari ? Cosa ne fa dei complessivi 50 miliardi di spesa assistenziale ? Cosa ne fa dei 7 miliardi abbondanti di spesa dei comuni ? Si dovrebbe investire in servizi per l'infanzia e per la famiglia !
  Abbiamo fatto una simulazione, che trovate da pagina 17 in poi. Ci siamo chiesti: se noi prendessimo l'equivalente degli assegni familiari che ricevono i genitori con bimbi piccoli (il trasferimento complessivo è di 6,5 miliardi e per coloro che hanno bambini piccoli da zero ai tre anni è di circa 1,5 miliardi) e li trasformassimo in servizi di accoglienza per quei bambini, cosa succederebbe ?
  Creeremmo 40.000 posti di lavoro e raddoppieremmo l'accesso di quei bambini ai servizi per la prima infanzia, dal 12 al 24 per cento. In più, avremmo un recupero fiscale e contributivo di più di 500 milioni di euro a saldi invariati.
  Stiamo parlando del rendimento delle risorse raccolte con la solidarietà fiscale per la tutela dei diritti sostanziali e la lotta alla povertà, misurabile con tutto l'impatto e i benefici di crescita cognitiva e di socializzazione che questi bambini avrebbero (tutta la simulazione è nella parte finale del documento).
  Una domanda che potremmo porci è: questo vorrebbe dire togliere ai genitori di quei bambini il diritto agli assegni familiari ? Assolutamente no. Vorrebbe dire condividere con i genitori la necessità di investire quel diritto, perché i loro figli abbiano un beneficio effettivo. I genitori non rinuncerebbero al diritto, ma diventerebbero azionisti di un fondo infanzia, costituito dallo Stato, dalla regione e dagli enti locali, in cui concorrono anche loro, rinunciando al vantaggio immediato del trasferimento e investendo, invece, nel beneficio sostanziale per loro e per i loro figli.Pag. 6
  Avremmo abbattuto la povertà anche degli adulti, perché ci sarebbero più di 40.000 persone, con famiglie alle spalle, che lavorerebbero, e il 12 per cento in più di bambini inseriti. Questi dati sono frutto di analisi, di studi e anche di approfondimenti sul campo.
  Contemporaneamente a questo, in Italia c’è un progetto, che adesso illustrerà sinteticamente la dottoressa Sica, che sta creando dei laboratori di innovazione nel territorio, per vedere su piccola scala come queste tesi e questi dati, che ci indicano la strada per essere all'altezza di altri Paesi europei, potrebbero essere tradotti in Italia con soluzioni innovative e anche con nuove forme di servizio.

  MARZIA SICA, rappresentante della Compagnia di San Paolo. Alcuni dei dati, molte delle analisi, questa simulazione e anche una serie di proposte innovative di cui parlava il dottor Vecchiato sono alla base di una riflessione che hanno condotto una serie di fondazioni, sia in Italia, sia in Europa, sia nel contesto internazionale, anche nordamericano, al fine di avviare un'iniziativa specifica: il Transatlantic forum on inclusive early years. Come si diceva, si tratta di un'iniziativa che intende creare dei laboratori di innovazione a livello italiano e internazionale con sperimentazioni locali.
  Questo progetto parte da due principali premesse. Innanzitutto, combattere la povertà dei bambini che appartengono a famiglie in particolare situazione di disagio e in ogni caso lavorare a favore degli investimenti per i bambini della prima fascia di età, da zero ai sei anni, può avvenire considerando delle soluzioni multidimensionali, nelle quali il bambino deve essere al centro. Si pensa a dei servizi che non siano esclusivamente educativi, sanitari o sociali. L'efficacia dell'investimento sul bambino si ottiene proprio laddove questi servizi sono multidimensionali e integrati tra loro. Ciò è dimostrato da una serie di evidenze, di politiche e di pratiche che sono state sperimentate a livello europeo e che sono state successivamente valutate, fino a fare emergere l'efficacia di questo tipo di investimenti.
  La seconda premessa è che per lottare contro la povertà infantile bisogna pensare a delle politiche e a delle pratiche d'investimento, ovvero di maggior efficacia dell'investimento, che guardino a tutti i bambini e che siano «targettizzate» non soltanto per i bambini poveri, ma per tutti i bambini, ovviamente con un'attenzione particolare rispetto a ciò di cui il dottor Vecchiato parlava, ovvero al rendimento che queste politiche e queste pratiche possono avere sui bambini poveri.
  È sulla base di queste premesse che abbiamo avviato questa iniziativa a livello internazionale, nazionale e locale, che in questo momento si sostanzia con un gruppo di operatori, di accademici, di decision makers e di politici che, in uno spazio che noi definiamo «libero», riflettono e portano le loro pratiche e le loro politiche, sulla base di tematiche ben precise, come l'accessibilità dei servizi, il coinvolgimento dei genitori, l'integrazione tra pubblico e privato, ma anche l'integrazione tra politiche e pratiche per i bambini tra zero e tre anni e quelle per bambini tra tre e sei anni.
  La valutazione delle politiche e delle pratiche avviene in uno spazio che noi definiamo «di innovazione», proprio perché questa capacità di essere multidimensionali e al tempo stesso universalistici sta portando all'individuazione di pratiche innovative. Per pratiche innovative non necessariamente intendiamo la necessità di nuovi investimenti, bensì l'utilizzo con maggiore efficacia delle risorse che già esistono, portando nuove risposte alla questione della povertà infantile. I dati italiani ci obbligano a questo tipo di laboratori. Stiamo facendo ciò a livello locale, ma anche a livello nazionale, con una serie di seminari e con una call per esperienze innovative. Questo ci permette di mappare ulteriormente ciò che in Italia sta avvenendo in fatto di politiche e di pratiche multidimensionali e integrate sulla prima infanzia.Pag. 7
  Questa mappatura, poi, è messa a disposizione a livello europeo, perché lavoriamo in un contesto che dal livello locale passa al livello europeo, anche grazie ad un'interlocuzione molto forte con la Commissione europea, in particolare con la Direzione generale Education (DG EAC), che per la prima volta dopo molti anni, con un documento sul quality framework e sulla prima infanzia, ha portato al centro delle proprie politiche educative la fascia di età da zero a sei anni, proprio perché questo cambio di passo di cui parlava il dottor Vecchiato, in realtà, è necessario a livello europeo.
  Il fatto di lavorare con il Transatlantic forum a livello nazionale e locale, avendo però una continua interlocuzione a livello europeo, ci permette, da una parte, di portare le nostre riflessioni e il nostro laboratorio innovativo a livello internazionale e, dall'altra, di accogliere e di comparare ciò che avviene a livello europeo, anche con le valutazioni e con analisi longitudinali molto consolidate sul territorio nazionale.
  Questo è un po’ il senso del Transatlantic forum, che abbiamo avviato da un anno e mezzo e che sta portando una serie di prodotti in fatto di analisi e di messa in comune di pratiche, contenute all'interno di quella che noi chiamiamo «la biblioteca del Transatlantico», che è sostanziata da una serie di documenti, quaderni e analisi, tra cui anche proposte innovative come quella di cui parlava il dottor Vecchiato, che sono a disposizione di tutti e in particolare di questo gruppo libero di operatori, accademici e decision makers che partecipa in maniera continuativa al gruppo di riflessione.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio molto, anche delle proposte puntuali. Magari ci terremo aggiornati su come prosegue la sperimentazione che la Compagnia di San Paolo conduce in Italia. Siete praticamente titolari di questa sperimentazione ?

  MARZIA SICA, rappresentante della Compagnia di San Paolo. L'iniziativa è coordinata dalla Compagnia di Sanpaolo con il supporto scientifico di Fondazione Zancan, ma anche con la collaborazione di Fondazione Cariplo, Fondazione Cariparo e Fondazione Con il Sud, proprio per dimostrare che interventi a livello locale possono portare sperimentazioni che poi producono una riflessione allargata a livello nazionale, sempre con un'interlocuzione con il livello internazionale.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANNALISA SILVESTRO. È una relazione molto chiara, direi anche esaustiva. Mentre relazionavate ho guardato un po’ i documenti, dove ancora più chiaramente vengono riportate le cose che ci avete detto. Vi ringrazio molto, perché questo permette di ragionare un po’ con i tempi e i modi di ognuno. Senza meno, sarebbe importante riuscire ad agire, così come veniva sottolineato. Credo che sarà opportuno fare una riflessione un po’ più approfondita e più ampia – mi rivolgo alle colleghe – e vedere di portare anche in altra sede queste istanze, perché altrimenti il rischio è sempre lo stesso, così come già evidenziato. C’è un accordo generale sull'importanza di andare in questa direzione, però, poi, il dato di fatto è che ci si scontra con mille difficoltà.
  Mi ha molto colpito quando parlavate della vostra idea relativa a un piano un po’ diverso per utilizzare dei denari, che non sono pochissimi ma che, probabilmente, sono troppo parcellizzati, frazionati e dispersi, con il risultato che alla fine non si porta a casa il risultato auspicato. Grazie. È stata una relazione molto interessante.

  DONELLA MATTESINI. Vi ringrazio molto. Condivido pienamente le riflessioni, ma anche le proposte che ci avete fatto, che tra l'altro colgono un bisogno di cambiamento che non riguarda solo i minori. Infatti, negli ultimi anni, il sistema della monetizzazione dei bisogni è una scelta politica e amministrativa fortemente negativa. Effettivamente, se andiamo a misurare l'aumento di risposte e la monetizzazione, Pag. 8vediamo che questo non riguarda solo i bambini (sto pensando alla fascia degli anziani). Effettivamente, tutto questo non aumenta la qualità dei servizi e nemmeno la qualità della vita.
  Condivido fino in fondo la riflessione che ci proponete, ovvero quella di ripensare una cultura che guardi alle persone, in questo caso ai minori, partendo dalla rete dei servizi, perché è nella rete dei servizi che ci sono quei vantaggi che dicevate, ma ci sono anche i vantaggi di una crescita culturale. I servizi si vedono, creano relazione e creano, per esempio, la comunità, che è un tema fondamentale. La moneta che arriva in casa diventa spesa momentanea e consumo di un bisogno, ma sicuramente non cambia le cose. Condivido tutto questo pienamente.
  Anch'io spero di potervi incontrare nuovamente, anche nei vostri seminari, di potervi seguire e di fare tesoro anche delle esperienze e delle proposte che seguiranno. Dico a noi stessi – in modo particolare alla presidente – che noi abbiamo un'occasione importante, quella del Piano nazionale per l'infanzia. Mi riferisco alla questione della valutazione dell'impatto delle risorse spese. Sui minori, a vario titolo, non dentro la voce «minori» in quanto tale, c’è una spesa enorme da parte di questo Stato. Infatti, da parte del Ministero dell'istruzione non si investono pochi soldi, nel Ministero della salute non si investono pochi soldi e potrei continuare con il welfare e così via. Tuttavia, molto spesso, si tratta di singoli progetti, perché, appunto, non c’è quell'ottica di cui ci avete detto.
  Penso che noi, facendo tesoro di questo lavoro, potremmo pensare, come Commissione infanzia, di chiedere un impegno al Governo affinché proceda al Piano, ma prima di fare questo, di ragionare con noi su come investire in tale Piano. Prima di chiedere nuovi soldi, che pure serviranno, in questo caso serve impegnare il Governo, tutti i suoi Ministeri, le regioni e gli enti locali a capire quanti soldi si investono e come si investono, uscendo dalla logica dei progetti e creando una sinergia.
  Voi parlate in modo molto chiaro di progetti multidimensionali integrati. Traduco ciò in questo modo: noi, di fatto, abbiamo situazioni che non vengono percepite nella loro grande capacità esplosiva di risultati positivi, perché vengono vissute in modo separato.
  Faccio un esempio: quando c’è stata la riforma – o controriforma – della scuola primaria, per cui, per esempio, si sono chiuse molte scuole a tempo pieno, si è pensato unicamente a un segmento, ma – lo ricordo – soprattutto nelle città, quelle scuole aperte o quelle attività integrative alle scuole non erano soltanto elementi appartenenti all'attività scolastica. Di fatto, questi erano e sarebbero elementi importanti per creare comunità e per dare ai ragazzi l'occasione di imparare, anche manualmente. Spero di essere stata chiara.
  Credo che possiamo fare tesoro di questa riflessione e di queste proposte fatte, se però le traduciamo subito in un'azione precisa. Dovremmo veramente ragionare con il Governo affinché si prenda l'impegno di ripartire, entro un determinato numero di mesi, con un Piano nazionale per l'infanzia e che si faccia ciò prevedendo, facendo il conteggio e la valutazione delle risorse spese e da spendere. Spesso, queste sono risorse che non vengono conosciute e che forse non vengono neanche riconosciute nella loro capacità di creare welfare generativo.

  PRESIDENTE. Grazie, senatrice. Credo anch'io che dovrà essere un nostro compito quello di fare in modo che il Governo conosca – perché è uno dei problemi che abbiamo riscontrato – la difficoltà di reperire davvero dei dati sull'infanzia. Fa impressione questo dato che voi avete citato: praticamente, i bambini poveri sono raddoppiati in tre anni. È una cosa veramente sconvolgente. Io credo che questo Paese si debba rendere conto di quello che sta avvenendo.
  Credo che, con tutti i modi e tutte le forme che avremo a disposizione, compresa la presentazione del documento che Pag. 9concluderà l'indagine, dovremo valutare come riuscire a trasmettere questa corresponsabilità.

  VANNA IORI. Mi scuso del ritardo, per cui ho perso la prima parte del discorso del dottor Vecchiato. Seguo da tempo i suoi scritti e ho apprezzato in particolare i suoi interventi sul welfare generativo, di cui ho letto anche recentemente sulla rivista Animazione sociale. Per me non sono temi del tutto nuovi, però li ritrovo approfonditi e soprattutto concretizzati e contestualizzati. Questa è la cosa che mi interessa di più.
  In particolare, per quanto riguarda la relazione della dottoressa Sica, trovo molto interessante il tema della neo-istituzionalizzazione mascherata. Credo che, in fondo, un vincolo che ha impedito il proliferare di servizi all'infanzia di qualità sia stato proprio il concepire i muri degli edifici come coincidenti con i servizi all'infanzia, mentre i servizi all'infanzia sono altro dai muri e dalla conseguente istituzionalizzazione.
  A me interessa molto questo discorso, perché credo nella necessità di allargare il concetto di educazione della prima infanzia oltre le logiche di adempimento, oltre gli aspetti organizzativi e burocratici, che spesso, anziché favorire, sono in qualche modo un freno per le esperienze educative più innovative. Non è un caso che nel nostro Paese, da decenni, non abbiamo esperienze educative innovative. Questo, secondo me, è un aspetto che andrebbe sottolineato nel Piano nazionale per l'infanzia.
  Condivido quello che ha detto poco fa l'onorevole Mattesini sulla necessità del Piano nazionale e quello che diceva la vicepresidente Zampa, perché credo che quel Piano debba farsi interprete non solo di una logica di servizi all'infanzia come welfare generativo, ma anche di una logica che sappia andare oltre le resistenze istituzionali, che sono diventate in alcuni casi delle incrostazioni che non favoriscono più la crescita del pensiero educativo e di un pensiero educativo adatto ai nostri giorni.
  Infatti, la legge n. 285 del 1997, per i tempi in cui è nata, era certamente molto innovativa, ma oggi avrebbe bisogno quantomeno di una manutenzione e comunque non ha ancora neppure realizzato quello che era contenuto allora come principio fondamentale.
  Per me le resistenze organizzative e gestionali, che diventano a volte ostacoli all'accoglienza e all'educazione, devono essere davvero un cardine prioritario. A maggior ragione, mi farebbe piacere – credo che farebbe piacere a tutta la Commissione – mantenere un contatto con voi relativamente agli aggiornamenti sui progressi in atto. Credo che se ci teneste al corrente dell'evoluzione e degli sviluppi delle vostre iniziative, per noi ci sarebbe davvero tanto da apprendere. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie alla collega, che è molto competente. È una studiosa della materia e questo si sente anche dai suoi interventi. Devo dire che questa audizione, come ci aspettavamo, è stata particolarmente importante e interessante, anche per l'approccio di grande livello, non solo in quanto a competenza, ma anche per la capacità di trasmetterci suggerimenti.
  Infatti, uno dei problemi – faccio riferimento a un saggio di Chiara Saraceno che ho letto – è proprio quello di riuscire a mettere in campo dei provvedimenti che davvero raggiungano i minori e non una generica platea di famiglie, che magari non sono in grado di utilizzarli davvero per intervenire sulla povertà minorile. Certamente, i servizi hanno la massima possibilità di raggiungere il destinatario vero, rispetto al trasferimento puramente monetario, magari verso una famiglia che non è in grado di impiegarli per quell'uso e compra il telefonino, la seconda o la terza televisione. In questo caso parliamo di famiglie molto povere e, quindi, probabilmente non è neanche così. Do ora la parola ai nostri ospiti per la replica, ricordando che le vostre testimonianze vengono raccolte e poi pubblicate nei resoconti di seduta, quindi anche se alcune colleghe si sono dovute assentare, avranno la possibilità di leggere il vostro intervento (come vedete, sul tavolo Pag. 10di fronte ci sono i documenti relativi ad altrettante audizioni).

  TIZIANO VECCHIATO, direttore della Fondazione Zancan. La ringrazio molto per quello che ha detto, perché ha messo a fuoco il cuore di una possibile ripartenza, dopo anni in cui siamo fermi, come lei e altri hanno già detto. A noi non mancano le idee sul piano intellettuale, però, poi, dalle idee alla pratica e alle soluzioni la strada non è facile.
  Cosa vuol dire approccio di welfare generativo ? Nell'esempio che abbiamo proposto, vuol dire che con la stessa spesa pubblica abbiamo 40.000 persone in più che lavorano. Non si tratta di lavori qualunque, ma di lavoro educativo con i bambini e con i genitori. Le 40.000 persone in più che lavorano, non sono solo 40.000 persone che non sono più a rischio di povertà, se prima erano disoccupate, perché ci sono le famiglie dietro a queste persone. Anche questa è lotta alla povertà, non solo quella relativa all'infanzia, ma anche quella complessiva.
  In secondo luogo, i bambini che accedono ai servizi per la prima infanzia con questa soluzione sono altri 200.000, che si aggiungono ai 200.000 che già frequentano. Queste sono misure di rendimento: sono misure di impatto sociale.
  Cominciare a chiedersi a quanto ammonta la spesa che abbiamo a disposizione, quanto rende questa spesa, a vantaggio di chi e come trasformarla da consumo privato individuale (a volte anche contraddittorio e che non va a buon fine) a consumo di diritti, a dividendo sociale e a rendimento sociale, dà speranza e non è solo un modo per affrontare positivamente i problemi. Per una società che non sa più se e come uscirà da tali problemi, ciò vuol dire dare speranza a molte persone e famiglie. Questo sarebbe anche un cambio di passo nel modo stesso di intendere le politiche di welfare e le politiche sociali. Le risorse non mancano: noi spendiamo tanto come Paese. Che poi qualcuno dica che è meno di altri Paesi in Europa non ha importanza, perché il punto chiave è il rendimento di quello che spendiamo. Cinquanta miliardi per l'assistenza sociale non sono pochi. L'esempio ci dice già con 1,5 miliardi quanto potremmo fare ed è una piccola percentuale della spesa complessiva di un settore di spesa, senza guardare all'educativo o anche ad altri ambiti di spesa.

  MARZIA SICA, rappresentante della Compagnia di San Paolo. Vorrei soltanto aggiungere che l'auspicio dell'onorevole Iori, ovviamente, è ben accetto da parte nostra. Le sperimentazioni, le riflessioni e i laboratori che stiamo portando avanti a livello locale e nazionale sono sicuramente di grande valore e contribuiscono a questa nuova cultura della cura e dell'educazione dei bambini da zero a sei anni, ma è importante un colloquio maggiore tra il livello politico nazionale e ciò che avviene a livello locale e regionale.
  Se questa collaborazione può essere mantenuta, se questo gruppo di pratiche che si sta creando all'interno del Transatlantic può condividere ciò che viene elaborato a livello della vostra Commissione, se la vostra Commissione può, al tempo stesso, intervenire e condividere ciò che sta avvenendo a livello politico nazionale durante i nostri seminari e in altri momenti d'incontro, sicuramente, tutto questo esercizio di riflessione e di dibattito verrà sostanziato con un'iniziativa di tipo politico, di cui effettivamente abbiamo bisogno.

  PRESIDENTE. Io non devo fare nient'altro che ringraziarvi molto e chiedervi di tenerci aggiornati. Mi scuso per coloro che non sono riusciti a venire e per coloro che sono dovuti andare via prima. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.55.

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ALLEGATO

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