XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 14 di Giovedì 12 giugno 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Zampa Sandra , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA POVERTÀ E IL DISAGIO MINORILE

Audizione di rappresentanti di Save the Children.
Zampa Sandra , Presidente ... 2 
Morabito Christian , responsabile scientifico del progetto sulle povertà educative di Save the Children ... 2 
Zampa Sandra , Presidente ... 7 
Zanin Giorgio (PD)  ... 7 
Mattesini Donella  ... 8 
Blundo Rosetta Enza  ... 9 
Zampa Sandra , Presidente ... 10 
Morabito Christian , responsabile scientifico del progetto sulle povertà educative di Save the Children ... 11 
Mattesini Donella  ... 11 
Morabito Christian , responsabile scientifico del progetto sulle povertà educative di Save the Children ... 11 
Zampa Sandra , Presidente ... 13 

ALLEGATO: La Lampada di Aladino. L'indice di Save the Children per misurare le povertà educative e illuminare il futuro dei bambini in Italia ... 14

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE SANDRA ZAMPA

  La seduta comincia alle 14.40.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che se non vi sono obiezioni la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di Save the Children.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti di Save the Children.
  Do il benvenuto a Christian Morabito, responsabile scientifico del progetto sulle povertà educative di Save the Children, e a Lucia Ghebreghiorges, di Save the Children.
  Prima di iniziare i nostri lavori, vorrei semplicemente dire due parole di introduzione. Christian Morabito ha portato a termine un'interessantissima e importante indagine per noi che in questa Commissione stiamo conducendo un'indagine conoscitiva sul tema della povertà e del disagio minorile. Sono due temi collegati.
  Questo rapporto è stato presentato di recente proprio qui a Roma ed è di grande rilievo, anche perché intreccia dati sulla povertà e sul piano educativo del sapere. Secondo me, ha in negativo elementi utili anche per l'altra indagine conoscitiva che abbiamo in corso, sulla fruizione da parte dei giovani dei beni culturali e artistici e del sapere.
  Do subito la parola a Christian Morabito per lo svolgimento della sua relazione.

  CHRISTIAN MORABITO, responsabile scientifico del progetto sulle povertà educative di Save the Children. Innanzitutto, vi ringrazio per l'invito a nome mio e dell'istituzione che rappresento, Save the Children.
  Vado dritto al punto. Credo che sia stato distribuito il nostro rapporto.
  Perché la povertà educativa ? La povertà economica dei minori, che conosciamo (sicuramente nell'ambito di questa indagine sono stati forniti dati e relazioni sul tema), ha proporzioni drammatiche: un milione di bambini e adolescenti vivono in povertà assoluta. Secondo i dati dell'Unione europea, tre milioni e mezzo di bambini e adolescenti vivono in povertà cosiddetta «relativa» (povertà ed esclusione sociale). Sono dati drammatici, anche perché l'Italia a livello europeo è tra i Paesi più colpiti dal punto di vista della povertà relativa.
  Si tratta di una povertà economica che, rispetto ai minori, è indiretta, perché noi guardiamo alla condizione economica e lavorativa della famiglia. Esiste una povertà altrettanto insidiosa ma un po’ sottovalutata, specifica dei minori, che è quella educativa. Noi abbiamo utilizzato questo termine per descrivere un contesto un po’ più ampio di quello semplicemente scolastico. Abbiamo definito la povertà educativa come la privazione per un bambino o un adolescente della possibilità di apprendere, di sperimentare le proprie capacità, di sviluppare e far fiorire il Pag. 3proprio talento. Ci riferiamo a tutto ciò che è cognitivo, ovvero alle competenze che sono necessarie a vivere in un mondo caratterizzato dall'economia della conoscenza, e all'innovazione, ma anche alla limitazione dell'opportunità di crescere dal punto di vista emotivo, alle relazioni con gli altri, alla socialità con se stesso, alla scoperta del mondo e allo sviluppo fisico. Il termine «educativo» è quindi inteso in senso largo.
  Questa povertà è importante, perché compromette il presente del bambino, ma anche il suo futuro. Un bambino che oggi è povero educativamente sarà probabilmente un adulto povero, in una situazione di svantaggio e di esclusione sociale e, quindi, si perpetuerà il ciclo della disuguaglianza e dello svantaggio. È quindi importante concentrarsi su questa povertà propria dei minori, che è la povertà educativa.
  Noi ci abbiamo provato, creando uno strumento: l'indice di povertà educativa. Abbiamo radunato un comitato scientifico composto da accademici italiani di livello, come Maurizio Ferrera, Chiara Saraceno e Daniela Del Boca. Hanno partecipato anche l'università di Oxford, Enrico Giovannini e Marco Rossi Doria dal punto di vista della loro esperienza istituzionale. Inoltre abbiamo avviato una consultazione a cui hanno partecipato 200 ragazzi, compresi tra i dodici e i diciotto anni di età In questo tipo di lavoro in genere non si chiede l'opinione dei ragazzi. Noi invece abbiamo voluto avere l'opinione dei ragazzi, per capire se quello che stavamo analizzando avesse un senso anche per loro. Ovviamente ci siamo basati sulla disponibilità dei dati (del Ministero dell'istruzione e dell'Istat) e, quindi, abbiamo selezionato quattordici indicatori ritenuti significativi per costruire un primo e sperimentale indice di povertà educativa, che si focalizza sull'offerta educativa a livello regionale.
  Noi partiamo da questo assunto: abbiamo una povertà materiale, che è quella dei genitori, che la trasmettono ai ragazzi. Questa povertà crea una povertà educativa e, nel futuro, uno svantaggio. Cerchiamo di capire se le regioni rispondono in qualche modo, ovvero offrono qualcosa in modo tale da spezzare quel ciclo dello svantaggio.
  Vi elenco gli indicatori. Abbiamo iniziato dall'infanzia, ovvero dalla copertura dei nidi e dei servizi integrativi. Per quanto riguarda la scuola, abbiamo guardato le classi a tempo pieno nella primaria e nella secondaria di primo grado, le istituzioni scolastiche con servizio mensa, le scuole con certificato di agibilità (quindi il tema della sicurezza), le aule connesse a internet e la dispersione scolastica.
  Abbiamo poi guardato anche l'educazione fuori dal contesto scolastico: bambini che sono andati a teatro, hanno visitato musei e monumenti archeologici, sono andati a concerti, hanno accesso a internet, praticano sport in modo continuativo e hanno letto libri. Come vedete, è un'idea di educazione vasta, che riguarda più che altro l'acquisizione di conoscenze dal punto di vista del minore.
  Abbiamo, quindi, fatto una classifica delle regioni rispetto alla povertà o ricchezza dell'offerta educativa. Come ha ricordato la presidente, questo indice è stato presentato lo scorso 12 maggio qui a Roma, nell'ambito di una campagna che abbiamo lanciato insieme a Illuminiamo il futuro.
  Vi espongo una breve sintesi dei risultati. La regione più povera educativamente, cioè dove ci sono meno servizi educativi, è la Campania, seguita ex aequo da Puglia e Calabria e poi dalla Sicilia. In queste regioni l'offerta di servizi educativi è inadeguata.
  Questo è un problema, perché sono anche le regioni che si caratterizzano per la maggior presenza di povertà materiale. C’è una povertà materiale e al tempo stesso non si danno opportunità per uscire dal circolo vizioso.
  Cito qualche dato sulla copertura nidi. Il 2,8 per cento dei bambini nella fascia d'età tra zero e due anni è preso a carico da asili pubblici campani. In Calabria siamo al 2,5 per cento, in Puglia al 4,5 per cento, in Basilicata al 7,3 per cento e in Abruzzo al 9,3 per cento.Pag. 4
  Il tempo pieno a scuola è garantito soltanto dal 6,5 delle scuole primarie della Campania e dal 15,3 per cento di quelle secondarie di primo grado. C’è una situazione molto critica anche in Puglia e in Sicilia.
  Ci sono alcuni dati in controtendenza. Per esempio, abbiamo riscontrato dati abbastanza positivi in Basilicata, dove garantiscono il tempo pieno il 43,5 delle scuole primarie e il 40 per cento delle secondarie di primo grado, e in Sardegna, dove lo garantiscono il 31 per cento delle scuole primarie e il 36 per cento delle secondarie di primo grado. Ci sono dati in controtendenza anche al Sud: non è tutto oscuro.
  Il dato della dispersione scolastica in queste regioni è evidente: 22 per cento in Campania e 25,8 per cento in Sicilia. Il dato della dispersione scolastica riguarda anche alcune regioni del Nord. In Val d'Aosta, per esempio, è molto alto, al 19,1 per cento. Nella provincia autonoma di Bolzano è al 16,7 per cento. Ricordiamo che l'obiettivo europeo è di scendere sotto il 10 per cento nel 2020. Siamo ben lontani.
  Chiaramente la deprivazione educativa non si limita soltanto al contesto scolastico. Abbiamo guardato anche agli indicatori fuori dalla scuola. Ancora nel Sud – ahimè – soltanto un quarto dei bambini fa sport in modo continuativo in Campania, il 31 per cento in Puglia, il 32 per cento in Calabria e in Sicilia. Ci sono regioni del Nord dove la pratica dello sport è molto più sviluppata. Riguarda, per esempio, il 69 per cento dei minori in Val d'Aosta.
  Quella che ho appena illustrato è la parte negativa. Ci sono invece regioni che potremmo definire «ricche» (poi spiegheremo il perché) dal punto di vista dell'offerta educativa rispetto al contesto italiano, il Friuli-Venezia Giulia in testa; Lombardia e Emilia-Romagna danno più servizi. Per esempio, in Friuli-Venezia Giulia il 75 per cento dei minori ha letto almeno un libro, il 56 per cento fa sport in modo continuativo e la dispersione scolastica è molto bassa (l'11 per cento, siamo praticamente a target raggiunto).
  Tuttavia, facciamo attenzione: parliamo di ricchezza relativa. Infatti, se le confrontiamo con la situazione europea, queste regioni, che sono ricche di offerta educativa in Italia, diventano povere a livello europeo. Questo è un aspetto da prendere in considerazione. Faccio un esempio: per la copertura nidi il target europeo è il 33 per cento, mentre in Italia la prima regione è l'Emilia Romagna con il 28 per cento e la media è sul 17 per cento. Anche le regioni che presentano una ricca offerta educativa sono comunque in una situazione di svantaggio rispetto ad altri Paesi europei.
  Faccio qualche raccomandazione, andando direttamente ai punti più importanti. Innanzitutto parliamo di dati. Non è proprio esaltante dal punto di vista politico fare una battaglia sui dati, però è fondamentale. Noi siamo riusciti a predisporre l'indice della povertà educativa con grandi difficoltà, perché i dati a disposizione sono pochi e la circolazione è scarsa.
  È stato fatto un buon lavoro dall'Istat con la misura del benessere equo e sostenibile. Probabilmente è il solo caso a livello europeo di un'indagine di questo tipo. Si tratta di un'indagine multiscopo per la quale l'ISTAT ha fatto veramente un ottimo lavoro. Non ci sono solo ombre.
  Anche il Ministero dell'istruzione è riuscito a progredire in determinate misurazioni, però l'anagrafe della scuola è ancora in ritardo. È fondamentale terminare l'anagrafe scolastica e aggiungere ad essa dati relativi al percorso educativo e familiare dei minori. Su questo avremo sicuramente resistenze da parte del Garante per la protezione dei dati personali, però è una cosa che va fatta. Io lo dico senza problemi. Se vogliamo veramente monitorare e valutare le nostre politiche e investire in modo efficiente, dobbiamo armonizzare le banche dati dei vari ministeri e avere più informazioni, chiaramente rispettando l'anonimato dei dati. Occorre eliminare resistenze, che ormai, secondo me, non hanno più ragione d'essere, da parte del Garante. In Danimarca lo fanno da trent'anni, monitorando le politiche quasi bambino per bambino. È fondamentale, Pag. 5perché se non abbiamo dati la nostra valutazione è lacunosa e mancante. Come possiamo valutare se i programmi funzionano ? Come facciamo a valutare dove e come allochiamo le risorse ?
  È fondamentale mitigare il discorso ideologico sull'INVALSI (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione): ormai è diventata quasi una battaglia ideologica. La valutazione è importante, ma è chiaro che l'INVALSI va migliorato, perché bisogna guardare ad altri tipi di competenze, bisogna avere più partecipazione da parte dei docenti e anche da parte delle famiglie e dei ragazzi, però la valutazione è fondamentale. Non possiamo limitarci a una battaglia per eliminare la valutazione o per effettuare solo un tipo di valutazione.
  La valutazione è importante innanzitutto per capire dove destinare risorse e dove sono i problemi, in modo da reagire e, quindi, fare in modo che le politiche riescano a contrastare determinate prestazioni, non necessariamente per puntare il dito e dire di chi è la colpa.
  Inoltre, noi chiediamo che nel piano per l'infanzia e l'adolescenza ci sia una linea specifica dedicata alle povertà educative e che si faccia qualcosa di strategico su questo, attraverso una serie di azioni.
  Con i nostri indicatori abbiamo individuato una serie di azioni. C’è il piano straordinario nidi (probabilmente non c’è bisogno che ve lo dica, perché sarà stato citato migliaia di volte). C’è la formazione continua dei docenti. Abbiamo già il decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104 che riguarda la formazione obbligatoria e personale. Sono state destinate delle risorse: aumentiamole e investiamoci ancora.
  Inoltre, c’è la questione dell'edilizia scolastica. Chiaramente noi siamo d'accordo con l'azione intrapresa dal Governo per la ristrutturazione delle scuole, però vorremmo che si operasse in modo intelligente, cercando di capire come ciò possa tradursi non soltanto nel mettere a posto un muro, ma anche nel ricreare nuovi spazi di scuola. Abbiamo problemi con i laboratori e con le attività. Utilizziamo questa situazione e i fondi che abbiamo anche per trasformare la scuola.
  Peraltro, la scuola dovrebbe aprirsi il pomeriggio e dovrebbe essere veramente un hub della comunità. Ieri c'era un articolo bellissimo su «La Repubblica» riguardo ad alcune scuole che già fanno ciò. A Roma ci sono esempi magnifici.
  Un esperienza simile è data dai «punti luce» che abbiamo in tutte le città italiane. Chiaramente, occorrono infrastrutture che permettano tutto questo; poi ci si può anche appoggiare sul volontariato. Per esempio, queste esperienze fatte dai genitori in modo volontario, noi le attuiamo nei nostri «punti luce» con la associazione di quartiere e di volontariato. Ci possiamo appoggiare a queste realtà per fare in modo che la scuola diventi un hub educativo a 360 gradi e un punto di riferimento per la comunità, anche per il welfare dei minori.
  Oltre a questo, c’è l'attività fisica e sportiva. I nostri ragazzi escono dal loro percorso scolastico con 500 ore di educazione fisica a scuola, mentre in Europa ne fanno 1.000. Qualcosa va fatto da questo punto di vista. Abbiamo visto che in alcune regioni sono pochissimi i ragazzi che fanno attività fisica. L'attività fisica non riguarda solo la salute, ma anche la socialità: lo sport crea legami ed è fondamentale dal punto di vista educativo.
  Un altro tema sono le mense scolastiche. Una cosa è avere una mensa scolastica e un'altra è avere una mensa scolastica che sia accessibile. Noi sappiamo oggi quante mense scolastiche ci sono negli istituti, ma non se siano accessibili a tutti. Alle famiglie e ai bambini in condizioni di povertà certificata dovremmo dare un servizio gratuito, magari pensando ad attività pedagogiche legate al servizio mensa, anche pomeridiane. Bisogna essere creativi e innovativi, e utilizzare tutto quello che può essere pedagogia, come la mensa, lo sport eccetera.
  Comunque, trovate tutto questo nel documento che vi lascio.
  La valorizzazione dell'espressione musicale e artistica è fondamentale. Siamo il Pag. 6Paese al mondo col più grande patrimonio artistico e culturale e, come avete visto dai dati, pochissimi minori ne usufruiscono. Iniziamo dalla scuola. La rapida calendarizzazione e discussione del disegno di legge n. 1365 del marzo 2014 sulla valorizzazione dell'espressione musicale e artistica nella scuola è veramente molto importante.
  C’è poi la questione dei new media. Sappiamo quanto sia importante il fenomeno del cyberbullismo. Dobbiamo fare in modo che i media rientrino nel curriculum scolastico, in modo tale che i ragazzi capiscano come utilizzarli. Questo può essere uno strumento pedagogico, con cui è possibile intervenire, ma occorre anche spiegare come questo strumento debba essere utilizzato al di fuori della scuola.
  Un'altra questione fondamentale è la promozione della lettura. Sempre nell'articolo su «La Repubblica» di ieri che ho già menzionato, si citava il fatto che alcune scuole aprono al pomeriggio e rendono accessibile la loro biblioteca alla comunità. In determinate comunità l'unica biblioteca esistente è quella della scuola. In alcune, non c’è neanche quella, perché coi tagli al personale non possiamo più mantenere biblioteche. Questo è un aspetto fondamentale. Dobbiamo fare in modo di valorizzare il network di biblioteche delle scuole, perché questo può diventare veramente un hub della lettura per la comunità.
  Infine c’è un aspetto che sembra forse un po’ marginale a noi che non siamo più piccoli. Nelle consultazioni che abbiamo avuto con i ragazzi, ci hanno detto quanto è importante per loro il campo estivo, cioè il fatto di avere un'attività da fare con gli altri durante il periodo non scolastico, perché spesso sono abbandonati a loro stessi e in zone difficili. Occorre cercare di fare programmi in tal senso con i comuni, per quei ragazzi che hanno più bisogno.
  Gli ultimi due punti riguardano l'Europa. Siamo ormai quasi nel semestre di presidenza italiana dell'Unione europea. È chiaro che determinati interventi che abbiamo cercato di elencare hanno un costo. Le risorse sono limitate. Inoltre, abbiamo il cappio del fiscal compact, questa durezza che non ci permette di investire nella scuola, nell'educazione eccetera. Noi, come Save the Children, proponiamo a livello europeo la golden rule di scorporo degli investimenti sull'istruzione e sull'educazione in senso largo dal patto di stabilità europeo.
  Stiamo facendo una battaglia – e speriamo di avervi al nostro fianco – per la revisione dei parametri sociali europei (questo è nell'agenda della nostra presidenza), perché essi oggi non considerano l'infanzia, ma sono parametri degli adulti.
  Noi chiediamo che ci sia un focus su questo, perché se otteniamo parametri sociali europei diversi, è chiaro che l'Europa inizia a guardare al tema in modo diverso e a valutare i Paesi anche rispetto a quanto progrediscono nei confronti dei loro bambini e adolescenti. Questo chiaramente ci apre la possibilità di fare investimenti e di pensare ad altri tipi di politiche che oggi non possono essere programmate.
  Sempre rispetto alla mancanza di fondi, proponiamo qualcosa di innovativo che in altri Paesi c’è già: l'istituzione delle aree ad alta densità educativa. Si tratta di scegliere aree dove ci sono più famiglie in povertà, più disagio da un punto di vista genitoriale (possiamo scegliere altri criteri) e dove minori sono le competenze – misurate in termini di INVALSI, PISA (Programme for international student assessment) o quello che vogliamo – e di concentrare le risorse lì con progetti innovativi dal punto di vista della pedagogia, della didattica, dello sport, delle mense e dell'alimentazione, aprendo la scuola il pomeriggio e mettendo in network le istituzioni che sono sul territorio. Si tratta, quindi, di creare un hub educativo, destinando risorse alle aree in cui maggiormente ce n’è bisogno e poi di valutarlo in modo molto accurato, anche con il concorso di istituzioni accademiche. Perché no ? Così potremmo anche dare uno sbocco a giovani ricercatori che vogliono impegnarsi in ricerche di questo tipo. Nel momento in cui le risorse sono limitate, magari proviamo a capire se riusciamo a Pag. 7concentrarle in modo efficace nelle zone in cui maggiormente ve ne è bisogno con un programma specifico ad hoc. Noi lo abbiamo chiamato «ad alta intensità educativa», ma lo possiamo chiamare in un altro modo. Questa è l'idea che abbiamo avuto.
  Vi ringrazio ancora per il sostegno e per l'ascolto. Sono stato abbastanza conciso. Grazie.

  PRESIDENTE. La ringrazio davvero. Credo che questa Commissione debba molti ringraziamenti a Save the Children per il lavoro sempre puntuale (e anche molto stimolante per chi ha scelto di stare in politica e di svolgere il proprio servizio al Paese in un'aula del Parlamento), per i suggerimenti e per le indicazioni.
  Sapevo che era un testo denso e importante. Credo che sicuramente i colleghi avranno domande e interventi a riguardo.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  GIORGIO ZANIN. Grazie, dottor Morabito. Il suo è uno spunto davvero a tutto campo. La mia provenienza dal mondo scolastico dal punto di vista professionale, ma a tutto campo, mi permette di gustare questi dati. Io non ho potuto essere presente all'atto della presentazione.
  La prima questione è proprio collegata alla scelta degli indicatori. Entro subito nello specifico. Osservo che non sono mappati (forse evidentemente per la difficoltà di raccogliere i dati) gli spazi di qualità a valore aggiunto.
  Lei nella parte terminale del suo intervento citava come esempio le esperienze di carattere estivo, che pure sono presenti in termini permanenti con le strutture associative più tradizionali del nostro Paese, dagli scout all'Azione cattolica per dirne alcune, ma evidentemente anche con quelle forme di attività estive che vengono messe in campo in tutti i luoghi, sia con iniziative di carattere privato, con riferimento tradizionalmente alle parrocchie, sia con i cosiddetti «centri estivi» promossi dai livelli istituzionali. Penso sia un aspetto su cui varrebbe la pena ragionare, perché di fatto queste attività funzionano come collettori, esattamente nella struttura a hub che voi avete immaginato. Mi riferisco alle esperienze estive, ma anche i riferimenti associativi lo sono di fatto, perché si pongono spesso come contenitore multiforme e multicontenuto, con orizzonte a integrazione.
  Mi sembrerebbe particolarmente stimolante se si potesse arrivare ad aggiungere, dunque, un quindicesimo indicatore. Io da insegnante rilevo che alla fine le eccellenze vengono fuori da là, proprio perché l'indice di povertà anche relazionale incide parecchio. Questo è un appunto.
  La seconda osservazione riguarda l'idea della scuola come hub. Ho letto attentamente l'articolo di ieri a pagina 23 su «La Repubblica». Ovviamente corrisponde in larga misura a cose che io stesso ho detto anche a distanza di anni, e in particolare è collegato anche al tema della forma famiglia, di cui abbiamo già avuto modo di parlare in altri termini.
  Si tratta di una povertà di rimbalzo, legata al fatto che la prevalenza di figli unici, o comunque di famiglie non più larghe come quelle che conoscevamo nella storia del nostro Paese, riduce anche gli aspetti in caduta rispetto al passaggio e alla trasmissione delle conoscenze e degli esempi, per cui induce la necessità di fornire dall'esterno del sistema gli stimoli, anche dal punto di vista culturale. Il ruolo del fratello maggiore e della sorella maggiore è inevitabilmente un elemento discriminante anche sotto il profilo della socializzazione dei valori culturali, teniamolo presente. Questo è un elemento abbastanza importante.
  Siccome ormai siete un network ascoltato, non soltanto in questa Commissione ma anche nel Paese, ritengo che la spinta che deriva da questa analisi debba chiaramente dare un indirizzo al ripensamento dell'istituzione scolastica, perché la chiave di lettura che ne esce è un profilo completamente diverso, e anche della funzione dell'insegnante. Infatti, un insegnante nell'epoca di internet evidentemente non è più una persona che spiega Pag. 8e racconta dei contenuti, ma è uno che apre delle porte, per cui ha una funzione completamente diversa.
  Io non mi dilungo, ma mi permetto di dare un indirizzo che potrebbe aiutarci anche nel corso di questa legislatura. Ritengo che l'orizzonte entro cui bisognerebbe riflettere, aldilà dell'educazione musicale e artistica, sia disegnare un profilo più ampio.
  Ci sono investimenti per la messa in sicurezza delle scuole. Dico banalmente che forse è la volta buona per ripensare gli edifici stessi secondo questa prospettiva. Il problema non è mettere in sicurezza, ma ripensare lo spazio educativo a tutto tondo; non costruire delle scuole-caserme, ma ricostruirle secondo altri approcci.
  Concludo con una sollecitazione anche in questa direzione. Forse è una domanda retorica: quanto potrebbe essere d'aiuto una sollecitazione al Governo e al Parlamento in ordine al tema del servizio civile ? Penso che l'esperienza del servizio civile per dei giovani che potrebbero fare un investimento prezioso, anche con orizzonti di questo tipo, potrebbe risultare assai preziosa.

  DONELLA MATTESINI. Io mi scuso per il ritardo, ma ero presente il 12 alla presentazione ufficiale, quindi avevo già avuto modo di conoscere questo importantissimo lavoro.
  Ho due riflessioni e due domande. Innanzitutto gli indicatori evidenziano in modo molto chiaro un approccio che condivido totalmente: si parla dell'intera vita dei bambini. Si parla dell'aspetto educativo in tutte le sue forme, proprio perché non si fanno singoli progetti. Ne emerge il principio della centralità della persona, che dovrebbe attraversare tutte le politiche sociali. Noi siamo persone e non dei pezzetti o dei progetti. L'approccio fondamentalmente giusto è questo, che indica alla politica la necessità di uscire da una logica degli approcci e dei progetti, per avere la capacità di una definizione programmatica a tutto tondo.
  La cosa non detta che emerge (io così l'ho capita e chiedo se è questo che si intende in modo sottinteso) è che in tutte le proposte in realtà non si parla del singolo bambino, ma si mette molto in evidenza la sperimentazione collettiva. Si parla di biblioteca: non dell'uso singolo del libro, ma dell'uso e della promozione di un luogo pubblico.
  Allo stesso modo, quando si parla delle mense (almeno io così l'ho colto) si fa riferimento a un atteggiamento che dovremmo avere noi adulti in tutti i ruoli che andiamo a esercitare. Troppo spesso con i nostri figli, o comunque nei confronti dei minori, noi abbiamo l'idea di una cura che denarosi inserisce nel rapporto con gli adulti. Siamo molto poco attenti a produrre un atteggiamento permanente che punti sulla relazione, cioè sulla crescita collettiva.
  Perché sto pensando a questo ? Lei diceva che nell'indagine è venuta fuori dai ragazzi la richiesta di avere momenti durante l'estate, perché se nel percorso normale scolastico c’è al mattino la scuola e al pomeriggio spesso la solitudine, nel periodo estivo rimane soltanto la solitudine. I ragazzi per primi ci dicono che vogliono stare con gli altri e crescere insieme e, nel loro linguaggio, che da soli si cresce male, nel senso dei contenuti e del benessere.
  Ci dicono poi un'altra cosa, anch'essa riguardante un profilo di povertà educativa: in realtà, a parte il percorso collettivo e istituzionale, il mondo degli adulti accompagna i ragazzi in un percorso, per esempio quello post-scuola, che è sì di frequentazione collettiva, ma è molto inserito in una logica non relazionale, di competizione e non di condivisione.
  Sto pensando, per esempio, a come li accompagniamo nell'attività sportiva. È molto poca quella fatta a scuola, ma anche quella fatta fuori spesso, non tanto per le famiglie ma per chi la promuove, è vissuta come competizione. I nostri ragazzi o sono soli o imparano a essere in competizione e, quindi, a non esprimere la capacità di condivisione, con tutti i vizi che questo comporta anche sul progetto educativo individuale e sull'idea di società che abbiamo insieme.Pag. 9
  Io ho letto questo dietro all'individuazione degli indicatori e all'indicazione di un'azione che deve essere sinergica e a tutto tondo.
  Giustamente lei parlava della necessità di avere uno specifico spazio nel piano nazionale per l'infanzia sulla povertà educativa. Prima, noi dobbiamo ancora pretendere e fare una battaglia tutti insieme perché venga predisposto il piano nazionale per l'infanzia, perché non c’è. Accanto a questo, c’è il tema delle risorse, perché altrimenti non ce la facciamo.
  Ieri ho avuto modo di parlare in modo abbastanza prolungato con il sottosegretario Delrio riguardo alla necessità che il tema dei minori diventi una priorità nel semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, perché è un tema che riguarda l'Italia.
  Io collego sempre il tema specifico di coloro che oggi sono bambini con il tema della grande denatalità. Se noi vogliamo tenere insieme le radici, il presente e il futuro, non possiamo che inserire il tema della cura dei minori con quello relativo a chi minore non lo diventerà mai. Le previsioni dicono che nell'arco di pochi anni avremo uno sbilanciamento tra nati e morti a sfavore della natalità.
  Ho capito bene sulla questione dello stimolare la politica e noi a ragionare più su un piano di attività educativa improntata fondamentalmente sul tema della relazionalità ?
  Le povertà educative certamente sono in gran parte concentrate in alcune aree del Paese, dove più forte è la povertà economica. Tuttavia, possiamo dire che la povertà educativa non ha soltanto a che fare con quella economica ? C’è qualcosa di più ? Siamo in un Paese nel quale da anni ci viene detto che con la cultura non si mangia. Vorrei sapere se anche questo è un tema che voi avete riscontrato.
  Gli indicatori e le analisi vi dicono che c’è una differenza di povertà educativa tra bambini e bambine e tra ragazzi e ragazze ? Siccome purtroppo ancora oggi c’è una grande differenza, anche nell'immaginario della famiglia, tra l'essere bambino e l'essere bambina, mi chiedo se lo avete riscontrato oppure no.

  ROSETTA ENZA BLUNDO. Io concordo moltissimo con l'analisi che è stata esposta e soprattutto con il fatto di dover valutare in maniera più complessiva, proprio per capire come agire e come indirizzare al meglio le risorse.
  Sono pienamente d'accordo con voi anche sulla valutazione dell'INVALSI, che va vista in modo diverso e con indicatori di altro tipo, che non siano prettamente quelli della prestazione di apprendimento pura e semplice, anche se sicuramente questa è una parte importante, perché comunque anche il livello culturale che dobbiamo garantire ai nostri ragazzi è una richiesta sacrosanta che ci viene avanzata dal resto d'Europa.
  È da notare che noi, anche nelle regioni ricche, siamo in una situazione di decadenza. Mi risulta che l'Italia non era in questa decadenza, anzi i nostri giovani che hanno oltre 25 anni vengono richiesti moltissimo all'estero, dove sanno bene che le nostre intelligenze sono state valorizzate al meglio.
  Noto questo aspetto: la differenza di dispersione scolastica non riguarda più soltanto le cosiddette «regioni del Sud». Io credo che questo sia un altro aspetto da valutare attentamente. Come diceva la collega Mattesini, non esiste solo la povertà economica, anzi forse le altre povertà possono essere peggiori. Senza dubbio è problematico garantire ai figli qualcosa quando non la si ha per se stessi, ma credo che quest'altro tipo di povertà sia molto più dannoso e insidioso.
  Penso che prima o poi bisognerà fare una riflessione nel valutare quanto l'evoluzione della società, la perdita dei valori e il cambiamento di schemi e di riferimenti anche per le famiglie abbiano inciso su questo aspetto.
  A tal proposito, ho voluto dar vita a un convegno, che avrà luogo domani, che metterà insieme queste due realtà: la povertà intesa come infanzia ferita, alla quale voi avete sempre posto attenzione Pag. 10(ho visto anche l'atlante, che mi sembra un ottimo riferimento per capire cosa sta capitando), e il mondo della scuola.
  Io sono un'insegnante di scuola elementare e rilevo che effettivamente abbiamo una scuola con potenzialità elevatissime. Ho lavorato fino a marzo dello scorso anno in un'area che ha subito un terremoto e ho potuto constatare personalmente come la nostra scuola sia stata un riferimento importantissimo, non solo per mantenere le famiglie nel territorio ed evitare ulteriori diaspore, ma anche per garantire loro quello che era venuto a mancare completamente dal sociale.
  Effettivamente nella mia scuola abbiamo una biblioteca che abbiamo sempre utilizzato con un'apertura, perché già prima del sisma il nostro era un cosiddetto «quartiere-dormitorio», dove c'era solo residenzialità. Abbiamo visto che questo è importantissimo, proprio per dare un supporto e una possibilità di coesione sociale all'intero bacino di utenza, che non riguarda solo i bambini.
  A mio avviso, un altro compito della scuola è fare da riferimento all'intero nucleo familiare. È in questo modo che noi possiamo recuperare la dispersione scolastica, non soltanto puntando al discorso sul singolo bambino.
  Sono pienamente d'accordo su tutto l'aspetto culturale e musicale che si vuole rivalorizzare, perché è fondamentale. Ritengo che dal punto di vista culturale abbiamo tantissimo da dare come Paese. Infatti, nell'ultimo incontro che abbiamo avuto col Ministro Franceschini, io stessa ho avanzato delle proposte in tal senso. Ho proposto di garantire giorni di apertura all'adulto che porta un minore, perché ciò permetterebbe una condivisione della fruizione del bene culturale e una possibilità di trasmettere al minore la passione che può avere l'adulto. Si tratterebbe, quindi, di una trasmissione di cultura più diretta e di una rivalutazione di tutti i nostri beni culturali. La musica ha una potenzialità altissima, sempre nella dimensione di creare coesione sociale e di far sì che la scuola diventi scuola della società intera. Da questo punto di vista, credo che l'investimento sull'infanzia e sulla scuola non sia sicuramente perduto.
  Adesso vengo alla domanda riguardo quello che lei proponeva, cioè di concentrare le risorse in aree a maggior rischio. Io ritengo che da questo punto di vista ci possa essere sicuramente una positività, che consiste nel fornire in tempi brevi risposte sull'investimento di queste risorse. Penso che incidere laddove ci sono maggiori lacune e maggiori problematicità di sicuro ci garantisca un risultato e, quindi, anche una conferma dei nostri presupposti per agire in tal modo. Tuttavia, anche dal quadro che voi fate di tutta la povertà, mi sembra difficile riuscire a individuare un'area ben determinata, per cui le lancio questo messaggio: forse si dovrebbe valutare come intervenire anche su più aree.
  Per quanto riguarda il discorso sul patto di stabilità, la ritengo forse una delle battaglie che dovremmo tutti immediatamente mettere in atto, perché c’è un problema capillare. Io so di realtà locali piccolissime, come, ad esempio, Poggio Picenze, dove il comune ha 200.000 euro (che non sono poi tantissimi) bloccati e la scuola ha i bagni non funzionanti. Arriviamo a paradossi assurdi e inaccettabili. Scusate se mi accaloro. Poi magari Save the Children o la Commissione per l'infanzia e l'adolescenza devono intervenire per cercare di «mettere una pezza».
  Francamente io credo che questa sia la battaglia delle battaglie, che va fatta fortemente e senza indugio.
  Mi sembra di aver concluso. I campi estivi sono certamente importantissimi. Grazie.

  PRESIDENTE. A proposito del piano, voglio precisare che la settimana prossima dovremmo avere finalmente l'incontro con il sottosegretario Biondelli e quella sarà certamente la sede in cui fare questa richiesta.
  Segnalo ai colleghi che proprio ieri su «Il Corriere della Sera», un autorevole giornale, una firma altrettanto autorevole quale quella di Stella ha dedicato al tema della povertà dei bambini in Italia un Pag. 11lungo intervento, documentato e molto allarmante. Devo dire che, con mia grande sorpresa, il silenzio assoluto che lo ha accompagnato è un dato altrettanto inquietante. Siamo consapevoli che la crisi ha messo davvero a dura prova il Paese e dà l'impressione che le priorità siano altrove, ma, per usare le parole con cui Stella concludeva il suo intervento, «se non investiamo sui nostri figli, su chi vogliamo investire ?»
  Credo che questa sia la domanda che ormai anche questa Commissione dovrà formulare in maniera più forte e più autorevole e portare all'attenzione del Governo e di tutte le istituzioni, anche dei sindaci. Per esempio, quella delle mense è una questione importante, su cui sta lavorando anche una parlamentare, ed è affidata, così come i nidi, alle regioni e alle istituzioni locali.
  Do la parola al dottor Morabito per la replica.

  CHRISTIAN MORABITO, responsabile scientifico del progetto sulle povertà educative di Save the Children. Grazie mille per gli interventi, tutti puntuali e interessanti.
  Inizio con la prima domanda dell'onorevole Zanin sugli indicatori riguardo alle attività estive e alla pedagogia rispetto a queste. Questo era il nostro quindicesimo indicatore. C’è un problema: non ci sono i dati. Qui ritorno a una delle nostre raccomandazioni. Ciò non significa necessariamente che i dati non esistono: magari sono da qualche parte, ma, siccome le banche dati non sono armonizzate, non li abbiamo. Magari non li hanno l'Istat e il Ministero dell'istruzione.
  La centralità del bambino parte anche dal modo in cui si concepiscono le politiche e dal grado di partecipazione dei beneficiari.
  Tra povertà economica e povertà educativa c’è una differenza. La povertà economica per un bambino, almeno rispetto agli strumenti che abbiamo per misurarla, è un po’ la condizione di partenza. Si parla infatti di disuguaglianza alla partenza. Il filosofo John Rawls parlava di questo. La lotteria della natura è: io nasco in una famiglia che non ho scelto (non è colpa mia, io sono un bimbo), la quale appartiene a una certa nazionalità; nasco bambina o bambino. È come una lotteria: posso nascere in una famiglia ricca o in una famiglia povera. La lotteria è qualcosa che deriva dalla fortuna. La povertà economica è questa condizione di partenza. Io ho una famiglia ricca, meno ricca, povera, mio papà lavora, mia mamma lavora o non lavorano. Io chiaramente parto con uno svantaggio. Durante il mio percorso di formazione educativa potrei recuperare in qualche modo questo svantaggio attraverso altre cose, perché nella vita ci può essere un carattere di resilienza. Abbiamo incontrato moltissimi casi di ragazzi che nascono in famiglie svantaggiate, ma che si impegnano e riescono. Posso citare un caso straziante di una bambina che abbiamo incontrato durante le nostre consultazioni. I genitori non vogliono che vada a scuola, mentre lei vuole a tutti i costi andare a scuola. Sarà una delle ragazze a cui daremo le opportunità educative, perché vuole a tutti costi andare a scuola, mentre i genitori glielo impediscono. Addirittura ci viene a dire che è quasi meglio che i suoi genitori non ci siano, perché vuole andare a scuola.
  Vedete la differenza ? La povertà economica delle famiglie non ha riflessi automatici sui bambini, che possono prendere anche altre direzioni. È chiaro che entrano in un mondo educativo (a scuola, in famiglia, tra gli amici o in società) e lì possono trovare un percorso. Sono due cose diverse.

  DONELLA MATTESINI. La domanda era: la povertà educativa si trova solo laddove c’è povertà economica oppure è qualcosa che prescinde dalla ricchezza della famiglia ?

  CHRISTIAN MORABITO, responsabile scientifico del progetto sulle povertà educative di Save the Children. Certamente c’è una correlazione molto forte tra la povertà economica e la povertà educativa, però ci sono anche casi inversi in entrambi i lati. Pag. 12Possiamo trovare una povertà educativa in minori che non sono necessariamente in situazione di povertà economica. Altrimenti basterebbe concentrarsi sulla povertà economica. La povertà educativa è qualcosa di chiaramente correlato, ma anche diverso. È per questo motivo che riteniamo che sia bene guardare a questa povertà che di solito trascuriamo. Infatti, quando analizziamo la povertà dei minori, la guardiamo rispetto alle condizioni degli adulti. Ci sono delle differenze che possono emergere. L'abbiamo chiamata «povertà educativa», perché la consideriamo come specifica dei minori.
  Sulla differenza tra bambini e bambine, c’è di nuovo il problema dei dati. Per alcuni indicatori abbiamo la disaggregazione maschi/femmine e fortunatamente non abbiamo trovato differenze, però questo non vuol dire che non ci siano, perché per altri indicatori non abbiamo questi dati.
  Peraltro sull'abbandono scolastico l'Unione europea ha un dato di media nazionale e di media regionale, mentre non abbiamo dati disaggregati rispetto alla condizione familiare. Se io voglio promuovere un'azione concreta per ridurre l'abbandono scolastico, devo sapere se, a parte il problema a scuola, c’è un problema a monte nella famiglia. Io non so se questi ragazzi che abbandonano vengono da famiglie povere o ricche, da genitori occupati o disoccupati, perché l'Unione europea non richiede questo dato, noi non lo raccogliamo e non lo abbiamo. Il problema dei dati ritorna anche per la questione legata al gender.
  Da ultimo, faccio alcune considerazioni sulla valutazione. A pagina 15 del rapporto c’è il dato sulla dispersione scolastica. Come potete ben vedere, abbiamo realizzato un grafico che cerca di far capire la distanza dall'obiettivo europeo. Ci sono territori del Nord, come la Valle d'Aosta, Bolzano, la Toscana e il Piemonte, che si trovano ai livelli delle regioni del Sud, anche per altri indicatori. Certamente nella somma degli indicatori ci sono alcune regioni del Sud e alcune regioni del Nord che si contraddistinguono come opposte, però se andiamo a vedere ogni singolo indicatore emergono delle storie un po’ a parte.
  L'Italia dal punto di vista delle competenze, misurate generalmente attraverso gli indicatori PISA (i dati sono a pagina 4), è in una situazione drammatica. Si trova in fondo alla classifica. Ci sono solo alcuni Paesi che sono in una situazione peggiore della nostra.
  Noi abbiamo presentato anche altri dati. Per esempio, rispetto all'indagine multiscopo che fa l'Istat, sono state considerate la soddisfazione dei ragazzi rispetto ai loro legami familiari e la loro fiducia verso gli altri. Vediamo che in un Paese dove i legami familiari sono ancora forti, questo dato è forte rispetto ad altri, ma abbiamo grande sfiducia nei confronti del prossimo. L'Italia è un Paese dove i minori hanno relativamente più sfiducia nei confronti degli altri rispetto ad altri Paesi.
  Come individuare le aree ad alta densità educativa è una questione annosa. Per tutti questi progetti ci vogliono criteri molto stringenti. Un criterio potrebbe essere individuare le aree dove l'ISEE delle famiglie è a un certo livello, oppure dove gli INVALSI o i PISA sono più bassi. Bisogna stabilire una serie di criteri stringenti, in modo tale da poter andare veramente nell'area critica.
  Qualcuno potrebbe domandarsi: se noi concentriamo le risorse in queste aree, cosa ne sarà del resto ? È chiaro che una strategia di questo genere non può indirizzare tutte le risorse in un'unica nicchia e dimenticare il resto, perché queste cose funzionano quando si garantisce comunque universalmente un servizio di media qualità. Altrimenti questi tipi di target non funzionano, come abbiamo già visto in tanti altri Paesi.
  Da ultimo, per quanto concerne il patto di stabilità, c’è un paradosso a livello europeo. Tutte le strategie fatte a livello europeo da dieci, quindici o venti anni a questa parte, che si chiamano social investment package, parlano dell'importanza dell'infanzia e dell'educazione, però al tempo stesso i parametri con i quali misuriamo Pag. 13i progressi dei Paesi non considerano tali fattori. L'Europa ci dice, certamente con uno sguardo puramente economico, che bisogna investire in questi ambiti, ma al tempo stesso ha dei parametri che restringono l'ambito di intervento e soprattutto non ci sono parametri di valutazione su questo. Non abbiamo neanche un focus e poi abbiamo altri parametri economici che chiudono la porta rispetto a questi investimenti. C’è questo paradosso.
  Abbiamo questa possibilità nel semestre di presidenza italiana dell'Unione europea. È un semestre di presidenza particolare, perché non c’è ancora la Commissione europea. Probabilmente, visto cosa sta succedendo, la Commissione arriverà molto tardi, però questa è un'opportunità, perché non abbiamo (lo dico in modo poco diplomatico) il fiato sul collo e, quindi, possiamo essere molto più creativi per cambiare le cose.
  Abbiamo, quindi, la grande opportunità di provarci e noi faremo una battaglia proprio sui parametri sociali. Vogliamo qualcosa che riguardi l'infanzia. Se ce la faremo, la prossima Commissione europea dovrà tenerne conto e, quindi, adottare il programma in mano e portarlo avanti.
  È chiaramente limitante, perché grandi decisioni non ci saranno, però comunque dal punto di vista della possibilità di essere un minimo creativi su queste cose ce la possiamo fare. Grazie.

  PRESIDENTE. La ringrazio davvero per l'esaustività ed ampiezza con cui sono state trattate le tematiche all'ordine del giorno. Inoltre, con riferimento alla documentazione che il dottor Morabito ci ha oggi illustrato, vista anche l'importanza della stessa, ne autorizzo, se non vi sono obiezioni, la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico. Dichiaro quindi conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.55.

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