XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 10 di Martedì 14 luglio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA FRUIZIONE DEL PATRIMONIO CULTURALE DA PARTE DEI MINORI

Audizione del presidente dell'Associazione bibliotecari ecclesiastici italiani (ABEI), S.E. Mons. Francesco Milito, e del vicepresidente, Francesco Failla, e della presidente dell'Associazione musei ecclesiastici italiani (AMEI), Domenica Primerano.
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 3 
Milito Francesco , presidente dell'Associazione bibliotecari ecclesiastici italiani (ABEI) ... 3 
Failla Francesco , vicepresidente dell'Associazione bibliotecari ecclesiastici italiani (ABEI) ... 5 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 7 
Scuvera Chiara (PD)  ... 7 
Cesaro Antimo (SCpI)  ... 8 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 10 
Primerano Domenica , presidente dell'Associazione dei musei ecclesiastici italiani (AMEI) ... 10 
Cesaro Antimo (SCpI)  ... 14 
Blundo Rosetta Enza  ... 14 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 15 
Primerano Domenica , presidente dell'Associazione musei ecclesiastici italiani (AMEI) ... 15 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 16 

ALLEGATO: Documentazione presentata dall'Associazione bibliotecari ecclesiastici italiani (ABEI) ... 17

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE MICHELA VITTORIA BRAMBILLA

  La seduta comincia alle 13.05.
  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del presidente dell'Associazione bibliotecari ecclesiastici italiani (ABEI), S.E. Mons. Francesco Milito, e del vicepresidente, Francesco Failla, e della presidente dell'Associazione musei ecclesiastici italiani (AMEI), Domenica Primerano.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul diritto dei minori a fruire del patrimonio artistico e culturale nazionale, l'audizione del presidente dell'Associazione bibliotecari ecclesiastici italiani (ABEI), Sua Eccellenza monsignor Francesco Milito, del suo vicepresidente, il dottor Francesco Failla, nonché della presidente dell'Associazione musei ecclesiastici italiani (AMEI), Domenica Primerano.
  Sua Eccellenza Monsignor Milito è il presidente di questa bella associazione: Monsignore, lei può illustrarci la relazione che ha preparato; al termine, i colleghi potranno chiederle maggiori delucidazioni e integrazioni, ovvero porle delle domande, magari dopo aver ascoltato anche il suo vicepresidente. Do quindi la parola al monsignor Milito per lo svolgimento della sua relazione.

  FRANCESCO MILITO, presidente dell'Associazione bibliotecari ecclesiastici italiani (ABEI). Il direttivo ABEI esprime preliminarmente, attraverso il suo presidente, un cordiale saluto e una viva riconoscenza al presidente e ai componenti della Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza per la convocazione dell'odierna audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul diritto dei minori a fruire del patrimonio artistico e culturale nazionale. L'invito è stato particolarmente apprezzato in quanto è la prima volta che ciò avviene nella quasi quarantennale storia dell'associazione; ciò nutre la speranza della nostra associazione che si tratti di un auspicio, se si riterrà opportuno, di crescenti future convinte collaborazioni. Grazie veramente di cuore. Ci presentiamo. L'ABEI, acronimo di Associazione bibliotecari ecclesiastici italiani, nasce nel 1978. Il primo presidente è stato monsignor Angelo Paredi. Tra le più importanti iniziative, subito attuate, ci sono i convegni, che annualmente rappresentano un importante appuntamento per la formazione dei bibliotecari ecclesiastici. Nel 1981 viene pubblicato il bollettino d'informazione, che da allora ha seguito passo passo lo sviluppo dell'Associazione e che dal 1992 ha avuto nuova veste e organizzazione. Nel 1990 lo statuto dell'ABEI è approvato per la prima volta nella Conferenza episcopale italiana (CEI), sicché l'Associazione non è «un fatto privato». Nel 1991 il nuovo presidente è monsignor Ferdinando Maggioni, nel 1993 sostituito da monsignor Ciriaco Scanzillo, di beata Pag. 4memoria. Nel 1995 vede la luce la seconda edizione dell'Annuario delle biblioteche ecclesiastiche italiane, un unicum nella letteratura in questo campo. Nel 1997 si apre una pagina internet che parla dell'ABEI, poi resa autonoma e rinnovata nel 2000 e nel 2007. Tra il 1998 e il 2010 viene pubblicata ACOLIT, una lista di autorità che si occupa del processo di controllo della forma di accesso a registrazione di autori e opere di argomento religioso. Anche questo è un fatto unico in Italia.
  Tra il 2002 e il 2003 si procede a una revisione dello statuto. Dal 2003 fino al 2013 il quarto presidente è monsignor Michele Pennisi, attuale arcivescovo della diocesi di Monreale. Nel giugno 2013 l'assemblea dei soci dell'ABEI ha eletto presidente monsignor Francesco Milito – che vi parla – vescovo di Oppido Mamertina-Palmi, tra i soci fondatori dell'ABEI nel 1978. Il consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana ha confermato tale nomina nel settembre dello scorso anno, a dimostrare quanto ci tiene che questa situazione abbia un riconoscimento con la nomina del presidente. L'attuale organigramma è composto dal presidente che vi parla, dal consiglio direttivo e dal collegio sindacale. Il consiglio direttivo è formato da: il vicepresidente, il dottor Francesco Failla, che sta alla mia destra, responsabile della Biblioteca diocesana Pio XI di Caltagirone, la patria di don Sturzo, che sarebbe stato certamente ben lieto di sapere che siamo stati invitati in quest'Aula; don Federico Gallo, uno dei cinque scrittori della Biblioteca ambrosiana, noto a livello mondiale; Salvatore Licari, tesoriere di Palmi; Stefano Malaspina, direttore della Biblioteca e Archivio del capitolo metropolitano di Milano; Luciano Osbat, già docente universitario a L'Aquila, attualmente direttore del Centro documentazione diocesano; Amalia Russo, responsabile della Biblioteca della pontificia Facoltà teologica dell'Italia meridionale di Napoli; Paola Sverzellati, rappresentante e responsabile della Biblioteca e del Seminario vescovile di Lodi, nonché professore a contratto alla Cattolica di Milano; Elisabetta Zucchini, della Biblioteca provinciale dei frati cappuccini di Bologna. Il collegio sindacale, invece, è composto da Orsola Foti, Antonio Navassa e Francesco Raffa.
  Qui è rappresentata tutta l'Italia: ci sono la Lombardia, l'Abruzzo, il Molise, la Campania, la Calabria e la Sicilia. È veramente una cosa molto bella sentirsi e vedersi con queste ricchezze. Passo a illustrare i nostri scopi sociali. Una recente revisione dello statuto, approvata dall'assemblea dei soci nel 2014, ha anzitutto mantenuto e rafforzato i princìpi fondamentali che hanno ispirato i soci fondatori nel 1978, con lo scopo di animare e coordinare il servizio svolto dalle biblioteche appartenenti alle istituzioni ecclesiastiche italiane, costituendo questa associazione a servizio della Chiesa.
  La Chiesa è intesa – è bene ribadirlo – come strumento pastorale di animazione culturale delle comunità cristiane e della società, in piena adesione ai princìpi e alle disposizioni canoniche e civili, con la bella collaborazione che c’è nell'intesa del 1984, come si sa, tra Santa sede, CEI e Stato italiano. Con la proposta di modifica statutaria si è voluto soprattutto consolidare e rendere esplicita l'azione d'informazione e aggiornamento da sempre svolta dall'ABEI, oltre che l'impegno a favorire la conservazione, la fruizione e la valorizzazione delle risorse librarie e culturali e la collaborazione con enti e organizzazioni associative, che per natura e finalità possono contribuire al raggiungimento degli scopi statutari dell'ABEI, oltre che ampliare la facoltà dell'associazione a operarsi per il perseguimento dei propri scopi, in osservanza alla normativa vigente, in un'ottica di progettualità e razionalità. Le attività sono: favorire la presenza e le iniziative delle biblioteche ecclesiastiche associate; promuovere azioni di formazione, aggiornamento e specializzazione degli addetti; attuare attività d'informazione, formazione e consulenza; divulgare studi e ricerche in ambito biblioteconomico e bibliografico; svolgere attività editoriali, sia periodiche sia monografiche; istituire borse di studio a favore di soggetti impegnati nel campo della biblioteconomia. Pag. 5Questo è un po’ il nostro sfondo. Adesso loro permetteranno che noi precisiamo bene qual è la figura del bibliotecario. C’è un dato che ritorna spesso negli incontri, nei convegni di studio e nelle assemblee dei soci dell'ABEI, ed è il seguente. Le funzioni svolte dal bibliotecario ecclesiastico vanno considerate come un servizio squisitamente ecclesiale, in ragione dell'intima natura pastorale che hanno tutti i beni culturali ecclesiastici (biblioteche, archivi e musei), testimonianza al contempo dell'opera culturale svolta dalla Chiesa nel passato e nel presente. In questa luce, il bibliotecario ecclesiastico svolge un vero e proprio ministero ecclesiale, alla pari di altri presenti e offerti nella comunità italiana (liturgia, catechesi, carità), per accompagnarne crescita e sviluppo.
  Per questo, il bibliotecario ecclesiastico, mentre avverte la necessità di curare in modo permanente e altamente specializzato la sua professionalità, anche in relazione alle nuove sfide tecnologiche che interessano la biblioteconomia, viene sollecitato a offrire il suo contributo fornendo idee, progettando iniziative e producendo opere scritte per il cammino della Chiesa in Italia. Potrebbe sembrare una specie di lettura di nicchia di sagrestia, ma non vi è in ciò alcuna autoconcentrazione o autoreferenzialità di hortus conclusus, perché – è importante per noi ricordarlo oggi – il mondo della cultura cattolica in Italia è parte imprescindibile dell'eredità storica millenaria della nazione e, per questo, strumento del vero sviluppo integrale del Paese. Noi sappiamo quanto ha contribuito e contribuisce in Italia la Chiesa, soprattutto per i beni culturali. D'altra parte, le biblioteche ecclesiastiche sono casa anche del sapere laico e, come quelle civili, ospitano preziosi strumenti del sapere teologico e delle varie discipline secondo cui questi si esplicano. Noi sappiamo che una biblioteca attrezzata in Italia ha sempre opere teologiche ed ecclesiali e, viceversa, nelle biblioteche ecclesiali ci sono sempre opere che interessano la cultura laica. Questo è bellissimo, perché c’è un'integrazione di studio, che dice anche come la cultura si è diffusa. Peraltro, come sapete, tante biblioteche degli ordini religiosi sono entrate a far parte un tempo delle biblioteche civili, per motivi legati alle vicende italiane. Questa è una realtà. Tutto ciò fonda e spiega il permanente rapporto di collaborazione intercorrente con la Conferenza episcopale italiana; le relazioni con le associazioni impegnate nella valorizzazione del patrimonio librario e della professionalità dei bibliotecari, come nel caso del tavolo interassociativo promosso dall'Associazione italiana biblioteche (AIB), a cui siamo stati invitati all'inizio di quest'anno; nonché il ben avviato dialogo con gli organi ministeriali e statali che sovrintendono la fruizione del patrimonio culturale in Italia. Per noi c’è un dialogo continuo con queste associazioni. Tale respiro nazionale, riconosciuto e accreditato, ha fatto sì che l'ABEI sia stata scelta come interlocutrice unica dell'associazione Bibliothèques européennes de théologie (BETH), che non è poco, perché l'Italia in Europa è uno dei tanti Paesi e non l'unico.
  Lascio ricordare al vicepresidente alcune esperienze bibliotecarie di ABEI per i minori in Italia, perché ne ha curato la raccolta e anche la sollecitazione. Passerei quindi la parola a lui in modo tale da fare un passaggio più specifico per quanto riguarda l'incontro di oggi.

  FRANCESCO FAILLA, vicepresidente dell'Associazione bibliotecari ecclesiastici italiani (ABEI). Grazie, Eccellenza. Ringrazio il presidente e i componenti della Commissione per questo invito, anche a nome dei colleghi del direttivo. Grazie per averci dato una mano a guardare con occhio accomodato la nostra associazione. Quello che abbiamo visto nella nostra associazione ci piace. Abbiamo attraversato l'Italia, dalla Liguria fino alla Sicilia, e abbiamo scoperto la resistenza e l'esistenza di azioni che, non solo coinvolgono i minori, ma, con un effetto a cascata e con una forte spinta aggregatrice, coinvolgono anche le famiglie, gli operatori culturali e soprattutto il mondo della scuola. In un quadro piuttosto ampio e generale, Pag. 6è difficile definire con un solo numero le biblioteche ecclesiastiche in Italia, innanzitutto perché l'aggettivo «ecclesiastico» si presta a diverse accezioni. Sono biblioteche ecclesiastiche quelle delle diocesi, sono biblioteche ecclesiastiche quelle dei seminari, sono biblioteche ecclesiastiche quelle degli ordini religiosi e delle facoltà teologiche e financo quelle delle parrocchie e di tutti i gruppi laici giovanili che operano all'interno della Chiesa. Siamo nell'ordine di alcune migliaia. Un numero così grande servirebbe a ben poco, se non ci consentisse di aprire una finestra con un occhio un po’ più attento. Nel dossier che abbiamo preparato per voi ci sono dati statistici un po’ più precisi, ma per avere un'idea del contributo scientifico che oggi le biblioteche ecclesiastiche danno all'Italia, basta fotografare il numero dei record catalografici che vengono inseriti nell'ambito del Servizio bibliotecario nazionale. Al giugno 2015, negli ultimi cinque o sei anni, 162 biblioteche ecclesiastiche hanno inserito oltre 500.000 record catalografici, che equivalgono a oltre un milione di volumi che sono stati resi disponibili alla comunità, non soltanto da un punto di vista scientifico, ma proprio da un punto di vista culturale. È un'azione straordinaria di emersione. Aggiungerei anche il fatto che, mediamente, 1,7 libri ogni dieci (circa 16-17 libri ogni cento inseriti nel Servizio bibliotecario nazionale) sono libri di cui non si conosceva l'esistenza, proprio perché l'utilizzo degli strumenti culturali che sono nelle biblioteche ecclesiastiche può contribuire significativamente a questa azione di emersione. Queste 162 sono soltanto le biblioteche censite nell'ambito di un progetto coordinato dall'Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici e dalla Conferenza episcopale italiana, che vede l'ABEI come un soggetto privilegiato, sia in termini di collaborazione sia in termini di formazione. Se a questa produttività aggiungiamo tutte quelle biblioteche ecclesiastiche che operano su altri poli a livello regionale e provinciale, non soltanto nel polo delle biblioteche ecclesiastiche promosso dalla Conferenza episcopale italiana, è facile capire qual è la portata di tale contributo.
  Parliamo di minori e di adolescenti. Gianni Rodari diceva che, se fosse possibile che tutti leggessero, ciò non si tradurrebbe soltanto nell'avere altri poeti o altri letterati ma, certamente, nell'avere meno schiavi. Detta in questo modo, la citazione può sembrare particolarmente ridondante ma, se pensassimo alle biblioteche ecclesiastiche e al loro bacino d'utenza, certamente non avremmo bisogno di alcun tipo di marketing culturale per arrivare ai ragazzi. Infatti, i ragazzi sono negli oratori, sono nei gruppi parrocchiali, sono lupetti e sono coccinelle che vivono all'interno di queste nostre comunità, in cui le biblioteche ecclesiastiche molto spesso sono biblioteche di confine, le cui frontiere ovviamente non sono geografiche, ma sono di carattere culturale e sociale. Molto spesso le biblioteche ecclesiastiche sono biblioteche di quartiere, che tentano di colmare lacune che si creano soprattutto nei centri più piccoli.
  Nella nostra indagine interna, per tentare di offrire un contributo all'indagine della Commissione bicamerale, scopriamo che i bibliotecari ecclesiastici non sono soltanto degli operatori, ma veri e propri animatori del territorio, che non tengono conto delle condizioni o delle contingenze più o meno favorevoli con cui di volta in volta si trovano a confrontarsi. Don Milani direbbe che ci troviamo a farci carico responsabilmente dei vissuti di questi ragazzi. Con il presidente, qualche minuto prima di cominciare, si osservava come molto spesso le buone notizie non hanno spazio. Noi tenteremo di dare qualche buona notizia, come per esempio quella della merenda letteraria nella biblioteca di Mazara del Vallo. La merenda letteraria è un momento specificamente dedicato ai bambini da zero a tre anni e dai sei agli otto anni. La stessa cosa, più o meno, succede a Caltagirone – mi scuso per l'autocitazione e ringrazio il vescovo per averlo ricordato – dove i ragazzi cominciano dal libro e finiscono col libro per fare esperienza dei beni culturali. Cominciano Pag. 7dal libro, tentando di scoprire i beni culturali della città, e poi finiscono nel libro ancora una volta in biblioteca, per poterne approfondire degli aspetti. Ci sono le esperienze di Sarzana, di Andria, di Palermo, ragazzi che diventano operatori volontari e ciceroni nelle giornate del FAI. Ci sono esperienze di straordinario interesse anche da un punto di vista artistico, come ragazzi che diventano illustratori dei libri che sono a essi stessi diretti. Le biblioteche ecclesiastiche non sono soltanto biblioteche di conservazione, ma sono luoghi di aggregazione. Sono luoghi in cui si stimola la curiosità. Alla parola «curiosità» noi dovremmo dare l'accezione più intima, con quella radice latina che ci ricorda come curiosità sia «prendersi cura dell'esistente».
  Abbiamo un compito come bibliotecari e in un modo particolare come bibliotecari ecclesiastici. I nostri figli sono nativi digitali. Questo è un gran bene per certi versi, però l'importante è che questa acquisizione di competenze e di conoscenze che avviene attraverso l'immersione non escluda l'acquisizione di conoscenze e competenze attraverso le relazioni.
  Lettura e ascolto sono due delle buone prassi e delle principali attività che vengono svolte nelle biblioteche ecclesiastiche a favore dei bambini. Perché parlo di lettura e ascolto ? Li cito perché non sono due punti di arrivo, ma due approcci. Oggi i ragazzi vivono con un touch screen costantemente nelle mani, hanno più sensi contemporaneamente coinvolti e a limitarsi all'ascolto o alla lettura, in questa mono-medialità si possono ritrovare piuttosto impreparati.
  Oggi sappiamo dalle statistiche che i nostri figli arrivano con una scolarizzazione alle primarie che non gli consente immediatamente di poter essere gratificati dalla loro capacità di produttività da un punto di vista scolastico, perché ascoltare l'insegnante non è la stessa cosa che essere immersi all'interno di un ambiente multimediale. Quello che si fa in biblioteca è sostanzialmente favorire l'atteggiamento positivo verso la lettura e verso l'ascolto. Se, da un lato, ci sono i luoghi deputati, come le biblioteche e la scuola, per favorire lettura e ascolto, allo stesso tempo anche le famiglie hanno un ruolo fondamentale. Spesso avere un libro in casa, leggere in casa e ascoltare una favola diventano un'abitudine che si radica nel bambino senza troppa fatica. Io vorrei lasciare lo spazio per delle osservazioni e per delle domande, ma mi preme condividere una considerazione con voi. Le biblioteche ecclesiastiche sono spesso l'unico presidio su territori fortemente penalizzati.
  I bibliotecari ecclesiastici, in coerenza con la ministerialità a cui accennava il nostro vescovo presidente, si fanno carico responsabilmente, non solo di soddisfare le legittime esigenze di conoscenza e accesso all'informazione, ma anche di rendere le biblioteche veri e propri luoghi di aggregazione, in cui riannodare fili di vita difficili, ricostruire le relazioni, facilitare l'integrazione umana e investire per una produzione di ricchezza sociale, culturale ed economica, che sappia guardare alla risorsa più preziosa per un Paese: i nostri figli.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  CHIARA SCUVERA. Ringrazio per questa audizione e condivido la sottolineatura che faceva Sua Eccellenza relativamente al ruolo dei cattolici nella storia d'Italia. Mi piace sottolineare questo ruolo da sinistra. Pensiamo al ruolo nella lotta di liberazione di figure come quella di don Primo Mazzolari e di don Sturzo. Sono state richiamate delle figure importanti. Io chiederei alla presidente di aprire la discussione anche rispetto a delle minoranze religiose. Per esempio, sarebbe interessante sentire su questo tema la comunità ebraica e riflettere sul dialogo interreligioso e su quale può essere la fruizione dei beni culturali da parte dei giovani per sconfiggere la strumentalizzazione della religione, nonché le derive che, purtroppo, attraversano il nostro tempo. Il collega Stefano Dambruoso ha promosso un'iniziativa Pag. 8importante sulla cultura come mezzo per sconfiggere il terrorismo, quindi, sull'educazione interculturale a scuola come politica di integrazione e strumento di lotta al terrorismo. Io penso che questo sia un tema veramente importante e che una collaborazione tra le religioni e lo Stato sia essenziale soprattutto in questo momento storico. Io mi permetto, se la presidente me lo consente, di fare riferimento a una vicenda locale del mio territorio, che ha a che fare con questa collaborazione. Mi chiedo se insieme, a partire da questa audizione – ringrazio il collega Cesaro per aver promosso l'iniziativa – si possa avviare una riflessione su una progettualità che possa consentire a tanti bambini e a tanti adolescenti di fruire di un bene come la Certosa di Pavia, che oggi, purtroppo, si trova al centro di una polemica politica e giornalistica relativamente alla fruibilità. Mi permetto di porvi un tema molto concreto. Si tratta di un bene statale su cui insiste una comunità monastica. Personalmente ritengo che questa comunità monastica debba continuare a vivere e a svolgere la propria vita all'interno di questo bene, ma c’è un problema di gestione legato agli orari della comunità monastica, che non consente a tanti cittadini e, quindi, a tanti bambini e adolescenti, di poter fruire di questo bene di altissimo valore culturale. Io mi rendo conto di uscire un po’ dal vostro oggetto statutario, ma mi chiedo se, attraverso uno dei percorsi che voi svolgete sul territorio, di racconto del bene, di libri e di visite, non si possano avviare delle progettualità che partano proprio dai cattolici, per riuscire davvero a risolvere questo problema, che rappresenta un danno molto serio anche per il turismo locale. Mi chiedo se, a partire da questo, non si possa intervenire in quelle situazioni in cui lo Stato cerca una collaborazione con la Chiesa, ma sembra che siano due mondi che non si possono parlare. Io credo che, sia culturalmente che da un punto di vista molto pragmatico, questo, da un lato, offuschi l'immagine della Chiesa – come potete immaginare, questa comunità è stata al centro di accuse di scarsa apertura verso la cittadinanza locale – e, dall'altro, escluda tanti cittadini dalla fruizione di un bene davvero straordinario.

  ANTIMO CESARO. Io vorrei fare qualche riflessione sulle cose che abbiamo ascoltato e poi magari porre una domanda. Il lavoro meritorio dell'ABEI è dimostrato dal dato dell'emersione di pubblicazioni sconosciute alle grandi banche dati. Oggi abbiamo appreso che è addirittura dell'ordine del 16-17 per cento rispetto al posseduto della nostra biblioteca nazionale nella più ampia accezione. Ciò avviene perché le biblioteche ecclesiastiche possiedono testi pressoché introvabili altrove, che attengono, non solo alla cultura religiosa, ma molto spesso alla storia degli ordini, alla geografia e così via, e che rappresentano un patrimonio estremamente significativo. Credo che l'attenzione posta sulla formazione della figura del bibliotecario sia un'attività altrettanto meritoria, perché abbiamo bisogno di professionalità adeguate, in un settore che, secondo me, è strategico e su cui si investe sempre di meno. Ben venga una sorta di sussidiarietà, cui corrispondono le buone pratiche di associazioni come l'ABEI. Detto questo, la domanda che io vorrei porre è preceduta da un piccolo ricordo liceale di un epigramma di Marziale, che recitava: «È come se non avesse scritto, colui i cui libri nessuno ha letto». In questo epigramma si nasconde il fatto che molto spesso noi siamo all'avanguardia nella conservazione, ma ci poniamo in posizione di retroguardia sulla fruizione. Io stesso ho avuto modo di visitare splendide biblioteche ecclesiastiche, tirate a lucido, ma non frequentate da nessuno: preferirei una biblioteca sporca e sudicia, piena di ragazzi che imbrattano anche le preziose cinquecentine. Non arrivo a questo, però una biblioteca è viva se ci sono persone che ne fruiscono, perché essa non serve ai libri, ma al capitale umano che su quei libri eventualmente va a formarsi. Io ho letto nelle vostre relazioni – ma è stata la mia interpretazione – una minore attenzione alle politiche di fruizione rispetto Pag. 9alle pur meritorie politiche di formazione professionale e di conservazione o recupero del posseduto delle diverse biblioteche. Su questo vorrei portare brevemente una mia esperienza personale, che risale a circa quindici anni fa e riguarda il centro storico di Napoli, in particolare Piazza San Gaetano, che si trova all'incrocio tra il Decumano maggiore e San Gregorio Armeno, nella famosa via dei Pastori. Lì, dove un tempo era l'agorà greco-romana, a me è capitato di incontrare un gruppo di scugnizzi napoletani che giocavano a pallone utilizzando come porta del loro campetto di calcio visionario un bellissimo portale del 1400 del complesso monumentale di San Lorenzo Maggiore dei frati minori conventuali. Davanti ai frati che si strappavano le vesti, per l'oltraggio che veniva praticato da questi scugnizzi napoletani al bene culturale magnificamente superstite, io mi permisi di dire all'allora padre priore del convento: «Se a questi ragazzi non offriamo un'alternativa, giocheranno sempre qua, perché non hanno un altro spazio fruibile per la loro attività sportiva, per il loro stare assieme, per il loro svago quotidiano».
  Ne nacque una riflessione attenta da parte dell'allora fate priore del convento e quello che era il giardino del convento, in breve tempo fu trasformato – e ancora oggi è così – in campi di calcetto per gli scugnizzi del quartiere. Alla stessa maniera, da quella riflessione nacque un'amicizia, che ha portato i frati minori conventuali di San Lorenzo Maggiore di Napoli a esternalizzare – è un termine per me importante – la gestione degli spazi della biblioteca. Quella biblioteca è stata affidata a una cooperativa di giovani, che in quindici anni ha salvaguardato il posseduto, digitalizzando i frontespizi e consegnandoli alla sovrintendenza bibliografica regionale, intercettando finanziamenti e provvedendo al restauro delle preziose cinquecentine e seicentine. Cosa voglio dire con questo ? Vengo alla conclusione e mi collego alla considerazione della collega Scuvera. Forse una delle linee-guida dell'ABEI e dell'AMEI – è una mia ipotesi di lavoro, che spero possa incontrare il vostro favore – dovrebbe essere quella di porsi il problema di condividere le gestioni di tanti spazi, che oggi rappresentano delle enormi potenzialità, ma rispetto ai quali la forza-lavoro – uso un'espressione del tutto impropria – è insufficiente. Stante, ahimè, il calo di vocazioni e l'impossibilità per i frati di un ordine o per i preti di una diocesi di provvedere a molteplici incombenze, tra cui anche quella dell'attenzione che deve essere riservata ai beni culturali, alla fine risulta impossibile valorizzare tanti straordinari, piccoli e grandi, attrattori culturali che noi abbiamo sparsi sul territorio. A ciò si aggiunga il grido di dolore, ma anche di sprone, che papa Francesco ha dato ultimamente, affermando: «Aprite questi benedetti conventi alla vita». Ciò si può realizzare attraverso l'accoglienza dell'immigrato o la messa a disposizione del giovane scugnizzo napoletano di uno spazio. Io credo che tutto questo sia per noi, per voi e per tutti gli altri interlocutori che questa Commissione ha audito, motivo di serissima riflessione. Ci sono spazi fruibili per i giovani e, in prospettiva, anche opportunità di crescita professionale e, dunque, di ricaduta occupazionale. Infatti, quello scugnizzo, fattosi adulto, sentendo come identitario quel bene, può magari immaginare di aprire un bed&breakfast, di fare la guida turistica, o di creare una piccola cooperativa di servizio.
  Ciò finora è stato vissuto come un grande problema, ma per me rappresenta un'enorme potenzialità. Se si trovassero i giusti interlocutori, si potrebbe trasformare la pietra d'inciampo in possibilità di sviluppo. Io so, perché spesso mi sono confrontato con padri provinciali di ordini religiosi, che tanti piccoli conventi, tante biblioteche e tanti beni rappresentano più un gravame che un'opportunità. Dovremmo trasformare quel gravame in opportunità, anche – questo è l'invito che rivolgo all'ABEI, ma anche all'AMEI – mettendoci attorno a un tavolo e immaginando di inserire, nelle linee-guida dei vostri convegni e delle vostre riflessioni in prospettiva, la possibilità di aprirsi a chi vuole dare una mano, ovviamente con Pag. 10tutte le garanzie che la delicatezza dei beni di cui noi parliamo richiede, al netto dei paradossi a cui ho fatto riferimento.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per la loro presenza. Passiamo adesso all'audizione della dottoressa Domenica Primerano, presidente dell'Associazione dei musei ecclesiastici italiani (AMEI). Noi, dottoressa, abbiamo già ascoltato la relazione di Sua Eccellenza monsignor Francesco Milito e del dottor Francesco Failla, che sono rispettivamente, come lei saprà, presidente e vicepresidente dell'Associazione bibliotecari ecclesiastici italiani. Con lei, vorremmo poter completare la visione d'insieme. Le do quindi la parola per lo svolgimento della sua relazione.

  DOMENICA PRIMERANO, presidente dell'Associazione dei musei ecclesiastici italiani (AMEI). Buongiorno a tutti. Vi chiedo scusa, ma il treno su cui viaggiavo è arrivato con un'ora e un quarto di ritardo. Anzitutto, vorrei ringraziare la Commissione per averci invitato. Devo dire che questo è un invito abbastanza anomalo, poiché, in genere, i nostri musei sono tagliati fuori da tutte le iniziative e da tutto ciò che avviene nel mondo della cultura. Infatti, noi amiamo definirci «musei invisibili» o «musei cancellati», nonostante siamo tanti (un migliaio, su 4.800 musei italiani), siamo in gran parte aperti e anche collocati in monumenti molto importanti, con collezioni di primario interesse. Nonostante questo, però, c’è attorno a noi una sorta di pregiudizio, che noi cerchiamo di superare, facendo capire che non siamo delle sacrestie polverose e ammuffite dove bisogna suonare il campanello per entrare, ma ci stiamo attrezzando anche noi per essere musei a tutti gli effetti. Io sono presidente di AMEI. Lo vorrei dire perché, da vent'anni, dalla costituzione di questa associazione museale, è la prima volta che un laico e una donna è alla presidenza di AMEI. Non dico ciò per togliere qualcosa ai sacerdoti, ma per sottolineare che, al di là della mia persona, l'elezione di un laico e di una donna riflette una situazione: i nostri musei sono sempre più diretti e hanno al loro interno laici e moltissime donne, che man mano stanno sostituendo i sacerdoti, proprio per i motivi che conosciamo. Credo che questo, da una parte, sia un vantaggio, perché si tratta di persone che hanno sempre più una formazione professionale, che magari molti sacerdoti non hanno. Non lo dico assolutamente per offendere i sacerdoti, ma per indicare che sempre più ci si sta orientando sulla necessita di gestire i musei con professionalità.
  AMEI si sta muovendo in questo senso, per dare delle linee guida che aiutino tutti coloro che lavorano in questi musei a operare con competenza. Noi diciamo sempre che riusciremo a dialogare con gli altri musei alla pari, solo se al nostro interno ci saranno le competenze necessarie. L'altro pregiudizio è quello secondo cui chi entra nei nostri musei, sente il dito minaccioso della catechesi: non è così. I nostri musei sicuramente conservano opere di arte sacra, come del resto avviene nella maggior parte dei musei esistenti. Perché entrando nei nostri musei si sente questo peso ? I musei diocesani sono nati alla fine del 1800, proprio nel momento in cui avanzava la secolarizzazione della società e, quindi, c'erano una sorta di atteggiamento di chiusura e l'idea di creare questi musei per affermare una verità.
  Io credo che oggi i nostri musei possano essere degli straordinari ponti, che possono mettere in relazione persone che la pensano diversamente. Chi crede, va già in chiesa. Noi dobbiamo accogliere proprio le persone che non credono, che sono i nuovi incolti, che di fronte a L'ultima cena non sanno che cosa sia. Abbiamo un compito molto importante, che è quello di far conoscere opere che in tempi passati erano note alla popolazione. Paolucci parla di un blackout semantico perché, oggi, non si è più in grado di leggere un'opera d'arte sacra e di conoscerne il significato. Noi possiamo aiutare il visitatore a conoscere le radici della nostra cultura, senza voler imporre qualcosa, ma piuttosto cercando di costruire, come dicevo, dei ponti. Per questo, l'azione educativa Pag. 11per noi è molto importante e cerchiamo di svolgerla al meglio. Nel 2011 a Trento abbiamo fatto un convegno, di cui vi ho portato gli atti, che è stato molto partecipato. Il titolo di questo convegno era: «L'azione educativa per un museo in ascolto». Credo che questo vi indirizzi già su quello che noi vogliamo fare. Un «museo in ascolto» è un museo che sa cogliere le istanze del contemporaneo, che sa dialogare con una società che ormai è multietnica, multiculturale e multireligiosa. È un museo che sa ascoltare i bisogni dei propri pubblici. Io ho letto le relazioni delle persone che mi hanno preceduto. Credo che abbiate chiaro il quadro di che cosa si debba intendere per educazione museale. L'accessibilità, che Solima ha declinato come economica, fisica e culturale, è l'obiettivo che noi stessi ci poniamo. Per preparare questo convegno, abbiamo svolto un'indagine sui nostri musei. Credo che il momento conoscitivo sia fondamentale e, quindi, che sia molto importante, anche a livello nazionale, avviare delle indagini, per capire la situazione, non solo dal punto di vista quantitativo (quanti ragazzi e bambini partecipano alle nostre attività), ma anche dal punto di vista qualitativo (cosa portano a casa una volta che escono dal museo). A noi i numeri non piacciono. Ad esempio, io dirigo il Museo diocesano di Trento e ci lavoro dal 1989, ormai da una vita. Ho creato la sezione didattica del mio museo e vi racconto un particolare: mandavo le lettere ai presidi e loro le giravano agli insegnanti di religione. Noi non vogliamo rivolgerci solo all'insegnante di religione: i nostri percorsi sono interdisciplinari. Quando pensiamo al nostro pubblico, dobbiamo capire che vogliamo costruire conoscenze e abilità. Talvolta ci vengono richieste visite per una stessa mattina da più classi. Noi preferiamo dire che non è possibile, perché vogliamo fare un buon lavoro. Purtroppo, spesso, il museo viene giudicato dai numeri. Oggi si dice che gli Uffizi non hanno i numeri del Louvre: per fortuna che è così. Gli Uffizi, infatti, non avrebbero gli spazi per avere i numeri del Louvre. Smettiamola di parlare di numeri e cerchiamo di capire qual è la qualità. Credo che questo sia un problema aperto. Se esistono meccanismi semplici per quantificare le cose, più difficile è poter capire la qualità del prodotto che viene offerto. Il nostro obiettivo è quello di offrire qualità, lavorando con le scuole. Da questa indagine, abbiamo visto che ormai moltissimi musei ecclesiastici – ho tutti i dati, ma non sto a riportarveli – lavorano con le scuole, partendo dalle materne. Ci rivolgiamo a un ampio spettro di bambini e adolescenti, fino alle scuole medie superiori.
  Tuttavia, questo è il pubblico «prigioniero», che viene in museo perché è condotto dagli insegnanti. L'esperienza che questi ragazzi vivono può essere interessante e generativa, solo se l'insegnante ha presente che la visita in museo è il momento centrale di un'attività che ha un prima e un dopo. Io parlo della mia esperienza, ma so che altri musei fanno lo stesso. Noi lavoriamo in partenariato con le scuole, elaborando dei progetti insieme, proprio per evitare, ad esempio, che nel nostro museo, dove abbiamo le testimonianze del Concilio di Trento, arrivino bambini che non hanno studiato a scuola il Concilio di Trento. In quel caso, perché l'insegnante li porta ? Noi non ci sostituiamo alla scuola e non vogliamo insegnare che cos’è il Concilio di Trento. Noi abbiamo dei dipinti, che possono completare la formazione dei ragazzi. È molto importante che la scuola capisca il ruolo dei nostri musei, che non è di sostituzione, ma di integrazione. Abbiamo svolto molte attività anche per far capire che cos’è un museo. Ve ne racconto una che a me è particolarmente cara, perché l'abbiamo organizzata nel nostro museo.
  Abbiamo lavorato tutto l'anno con una classe, mostrando prima le nostre collezioni, per far capire come nasce un museo. In seguito, abbiamo chiesto a questi ragazzi, che erano in seconda media, quindi persone che stavano abbandonando l'infanzia per entrare nell'adolescenza, di portare un giocattolo che rappresentasse l'abbandono dell'infanzia e di portare anche un gioco del proprio genitore. Ciascuno Pag. 12di questi bambini aveva un ruolo: c'erano gli schedatori, i fotografi eccetera. Tutti insieme hanno studiato questi giocattoli, hanno costruito un catalogo, hanno ideato un percorso selezionando le opere e poi hanno allestito un museo. C'erano il direttore, il conservatore e il fotografo. Nessuno voleva fare il custode, ma in un museo ci vuole anche quello. Cito questa esperienza per indicare che i nostri musei si aprono a iniziative che sono finalizzate anche a un coinvolgimento del bambino a livello del proprio quotidiano. Credo che questo sia molto importante, perché un museo non deve essere sentito come qualcosa di estraneo. Il museo è stato sempre vissuto come un luogo elitario, che incute timore nei visitatori, perché ci si sente inadeguati. Quello che noi dobbiamo fare non è semplicemente divulgare in modo banale, cercando di mettere nella testa dei bambini o adolescenti che ci frequentano delle nozioni. Si tratta di costruire insieme delle competenze, attraverso dei percorsi che siano interattivi e che facciano del discente il protagonista. Questo, però, richiede professionalità. Qui si apre un altro terreno minato, perché la professionalità significa fare un percorso di studi. Teniamo presente che nelle nostre università l'educazione museale, che pure è al centro di tutti i musei, non è praticata. Chi vuole occuparsi di questo settore deve fare un master post-universitario. Insegno museografia nel corso di conservazione dei beni culturali di Trento e, molte volte, ho detto ai miei colleghi che c’è veramente un vuoto da colmare, perché non possiamo pensare che una persona entri in un museo e si occupi di educazione museale senza avere le competenze necessarie. Bisogna lavorare molto anche a livello formativo, per avere professionisti che sappiano operare. Troppo spesso si pensa che l'educatore museale sia un fallito, una persona che, mentre cerca un lavoro vero, fa questa cosa: non è così. L'educatore museale è il mediatore, è la persona più importante, che mette in collegamento i saperi esperti con un pubblico non necessariamente esperto. Il suo ruolo è fondamentale e deve avere competenze multiple. Pertanto, bisogna riconoscere il lavoro di queste persone e ciò significa anche dare loro un compenso adeguato. Questo è l'altro grosso problema. I musei ancora aspettano il riconoscimento dallo Stato – voi siete i primi che ci interpellano – ma anche dalla Chiesa. È vero che la Chiesa sta aprendo molti musei. Nel 1980 i musei diocesani erano 37 e oggi sono 218, ma non basta aprire un museo e mettere le vetrine, se non si ha la possibilità di creare delle relazioni e di mettere il museo in condizione di collegarsi ai propri visitatori e alla società: per far ciò servono dei fondi. La Chiesa apre molti musei e pensa di aver svolto il proprio compito. Questo succede non solo in ambito ecclesiastico. Moltissimi musei nascono pensando che sia sufficiente avere i fondi per creare la struttura, che poi va avanti da sé. La struttura non va avanti da sé: bisogna avere personale e bisogna avere competenze e capacità di attivare il museo, perché altrimenti il museo è una vetrina vuota. Tutto questo ci porta a parlare delle relazioni con gli altri musei. Nella riforma Franceschini si parla della costituzione di reti museali. Noi vorremmo che i nostri musei fossero invitati a far parte di queste reti.
  Per tanti anni forse i musei ecclesiastici hanno peccato, perché, considerandoci diversi, abbiamo fatto troppo spesso di questa diversità un motivo di isolamento: tutto questo non deve più essere. Noi siamo diversi, ma ogni museo è diverso dall'alto e ogni tipologia museale è diversa. La diversità crea relazione, non chiusura; noi chiediamo – e chiederemo ciò anche al Ministro – di essere interpellati e di poter far parte delle reti museali che verranno attivate, anche perché è proprio dal confronto tra discipline e patrimoni diversi che può nascere un'interpretazione del territorio, che è quello che un museo deve fare. Un'altra cosa che ci dovrebbe caratterizzare è il ruolo sociale del museo. Noi pensiamo che i musei, quelli ecclesiastici in particolare, debbano tenere al centro proprio le esigenze dei pubblici disagiati. In alcuni musei, abbiamo già cominciato a lavorare con questi pubblici speciali. È Pag. 13una cosa sulla quale dovremmo lavorare a fondo. Io credo che in futuro nei nostri incontri di lavoro cercheremo di approfondire questo tema. Molti musei hanno già lavorato. Noi stessi a Trento abbiamo lavorato e stiamo lavorando con bambini autistici, con gli utenti del centro di salute mentale eccetera. Tuttavia, questo è un ambito molto delicato. Io credo che non si debba fare una cosa qualunque, perché qui stiamo parlando di persone. Non vogliamo metterci l'etichetta, per dire che siamo stati bravi e abbiamo lavorato con i pubblici disagiati. Vogliamo fare un lavoro serio. Un lavoro serio si fa creando alleanze. Noi, ad esempio, a questa associazione di bambini autistici abbiamo chiesto di essere formati, perché non possiamo lavorare con persone con disabilità se non conosciamo le caratteristiche di questo problema. Un'altra sfida nella quale ci vogliamo inserire è quella di lavorare con i migranti. Credo che sia molto importante anche questo. Noi, ad esempio, lavoriamo molto con l'Ufficio per il dialogo interreligioso e abbiamo attivato delle iniziative con persone che provengono da altre realtà e da altre culture.
  Anche questa è una sfida ed è un lavoro molto difficile; anche in questo ambito non si può sbagliare e non si può lavorare tanto per fare. Ci vogliono competenze e ci vuole relazione. Occorre stringere accordi e lavorare insieme a persone che si occupano di queste problematiche.
  Ci sono poi i giovani, che, come ho detto prima, sono il non-pubblico dei nostri musei. Sono coloro che, una volta finite le scuole dell'obbligo, non sono più il pubblico «prigioniero», e devono essere aiutati a capire che il museo è una risorsa. Io credo che non sia facendo l’happy hour in un museo che si raggiunge questo obiettivo. Sono molto perplessa quando all'interno di un museo si crea una discoteca. Non dico questo perché sia una bacchettona, ma perché penso che noi dobbiamo sforzarci di trovare altri modi per far capire ai giovani che anche i nostri musei possono dialogare con la loro vita e con il loro presente. Per far questo – questa è un'altra sfida dei nostri musei – dobbiamo aprirci all'arte contemporanea. Il prossimo convegno che faremo sarà proprio dedicato alla sfida del contemporaneo. Il contemporaneo, come sappiamo, è molto difficile da comprendere. È un percorso a ostacoli. Il contemporaneo nell'arte sacra è un problema molto grave. Sappiamo che monsignor Ravasi parla di connubio infranto tra arte e fede. Non a caso, la Santa Sede da due anni partecipa alla Biennale di Venezia. La nostra mission non è solo di tutela e di conservazione, ma è anche, come ho tentato di dire in tutto questo intervento, un confronto, talvolta aspro, col presente. Noi dobbiamo lavorare anche in questo settore. I musei devono diventare dei laboratori, nei quali anche i giovani si sentono invitati a partecipare. La musica è un'altra cosa importante, che non dobbiamo dimenticare. Nel nostro museo abbiamo festeggiato i vent'anni dalla riapertura con un concerto di un ragazzo che fa musica reggae. I miei collaboratori erano spaventatissimi e mi dicevano: «cosa stai facendo ? Arriveranno con le bottigliette di birra e ci distruggeranno tutto». Sono entrati 200 ragazzi, tatuati, con gli orecchini e con tutto quello che contraddistingue la loro età, ed erano incantati. Io all'inizio dicevo: «non raccontiamo niente del museo. Stiamo in silenzio e facciamo solo ascoltare la musica». Quando ho visto l'attenzione di questi ragazzi nei confronti delle opere, allora ho cominciato a raccontare loro alcune cose: vi giuro che alla fine si fermavano e chiedevano. I nostri ragazzi non sono delle menti vuote, siamo noi che non sappiamo relazionarci con loro. Io sono convinta che non ci sia generazione più sfortunata dei nostri figli. Ho un figlio di 25 anni e, quindi, vivo personalmente questa dimensione. Io vedo che quando ci si sa rapportare in modo giusto con loro, queste persone possono tirar fuori il meglio di sé. Anche questo è un lavoro importante e difficile, ma credo che i nostri musei, seppure ecclesiastici, non possono sottrarsene. Noi abbiamo un compito molto più difficile di quello degli altri musei. L'arte sacra non è proprio una cosa che interessi granché, quindi noi dobbiamo Pag. 14fare uno sforzo ancor più grande di quello degli altri musei. Io credo che questo sia il nostro compito. Se tutto fosse semplice, il nostro lavoro sarebbe noioso.
  Resto a disposizione per eventuali domande. Vi lascio gli atti del convegno che abbiamo organizzato, dove ci sono i risultati dell'indagine che abbiamo svolto presso i nostri musei. I nostri musei devono ancora crescere, non tutti sono a livelli buoni. AMEI vuole proprio fare questo: aiutare i musei più deboli, attraverso gli esempi dei musei più strutturati, a crescere.
  Faccio un'ultima considerazione. Non sempre la didattica è tale: è difficile distinguere. Se in altre professioni abbiamo dei criteri oggettivi, nell'educazione museale questo è molto più difficile. Io credo che non sia solo un intrattenimento, un gioco o una manipolazione. Ogni cosa deve avere una finalità, altrimenti è fine a se stessa. Io avrò fatto divertire per un'ora i bambini, ma questi non portano a casa nulla.
  Sull'esternalizzazione della didattica io sono molto perplessa, perché credo che l'educazione museale sia il ruolo istituzionale dei musei, che non si può delegare. Si può avere l'esternalizzazione per condurre i percorsi, ma la progettazione deve stare all'interno dei musei. Io sono convinta di questo. Chi esternalizza queste attività deve essere vigile. Talvolta ci sono cataloghi con centinaia di percorsi da proporre ai bambini, ma guardiamoci dentro, per vedere se effettivamente tutti questi percorsi raggiungono gli obiettivi che noi ci prefiggiamo, svolgendo un'azione educativa.

  ANTIMO CESARO. Vorrei intervenire per dare continuità alla nostra seduta di oggi. Ringrazio la presidente dell'AMEI. Credo che molte delle sue riflessioni siano perfettamente condivisibili e in linea con le cose che precedentemente alla sua venuta ci eravamo già detti.

  ROSETTA ENZA BLUNDO. Ho ascoltato davvero con piacere quello che lei è venuta oggi a dirci. Mi ha fatto piacere soprattutto sapere che c’è un'apertura, non solo una conservazione, dei musei diocesani ecclesiastici. Mi ha colpito la fine del suo intervento, quando ha parlato dei giovani che sono venuti nel museo e sono rimasti affascinati. Parto da lì per dire che, mio avviso, quelle opere parlano da sole. Ringrazio molto il collega Antimo Cesaro, che ci ha dato questa opportunità; trovo giustissimo il fatto che dobbiamo assolutamente avvicinare il mondo dell'infanzia e dei giovani al patrimonio che abbiamo e che già può parlare. Così come parlano le opere degli Uffizi, parlano le opere che si trovano nei musei diocesani: l'importante è creare il contatto. Apprezzo molto questa vostra apertura e soprattutto questi percorsi che vengono realizzati in modo da coinvolgere interattivamente chi viene al museo. Mi colpisce davvero e mi fa piacere il discorso sul museo in ascolto, che si offre a noi perché possiamo entrare in dialogo con esso, nonché la considerazione secondo cui i musei non devono essere lasciati a una visita puramente di sguardo su ciò che contengono, ma devono creare un insieme di relazioni e dare la possibilità di capire cosa ci sia dietro a un'opera, cosa essa vuole o voleva comunicare, oppure che storia ci sia dietro, dandoci indicazioni su cose accadute, che restano comunque nel nostro presente. Infatti, quello che c’è nei musei, è ancora vivo tutt'oggi. Dunque, il museo non è un qualcosa di fermo, statico, passato e ormai finito. È giustissimo sottolineare l'importanza dell'interdisciplinarità e non solo del collegamento con la disciplina educativa, che è l'educazione alla religione, quindi, con gli insegnanti di religione. È importante che ci sia una possibilità di approccio multidisciplinare, sia nel museo diocesano che in altri. Lo stesso approccio sarebbe utile per tutte le realtà.
  Vorrei sapere se, secondo voi, è auspicabile creare un collegamento di didattica tra i musei e le scuole, che adesso, con la «Buona scuola», entrano nel discorso dell'autonomia, piuttosto che indirizzare soltanto alle aziende l'interesse a entrare in queste modalità didattiche di gestione delle scuole. Vorrei sapere se, secondo voi, la possibilità dei musei di interagire con le scuole nell'ambito dell'autonomia può essere Pag. 15una ricchezza, nella dimensione che voi avete illustrato. Voi parlavate dell'esternalizzazione della didattica ad altre realtà: la prima realtà dovrebbe essere la scuola. A quel punto, gli insegnanti non si troverebbero a venire nel museo, senza aver prima affrontato il discorso del Concilio di Trento. Dico questo perché io stessa sono stata un'insegnante di scuola elementare, prima di arrivare al Senato dopo le elezioni: fino al 15 marzo 2013 ero nella scuola elementare. È importantissimo, a mio avviso, che i musei vengano inseriti in un percorso didattico ampio, dove il museo è la parte centrale, con una fase preparatoria didattica che abbia la capacità di dare ai ragazzi i prerequisiti per entrare in quel museo e, quindi, essere in grado di cogliere il meglio. Inoltre, occorre un lavoro successivo, perché la visita al museo non può assolutamente restare il punto finale, ma anzi deve essere il punto di un'ulteriore partenza, per raccogliere ciò che dal museo è arrivato e fare il quadro completo di ciò che si sapeva e di ciò che il museo ha dato. In questo senso, si potrebbe prevedere proprio nei musei un punto di dialogo ai fini della didattica con queste scuole dell'autonomia. Su questo chiedo un vostro parere. In secondo luogo, ho una domanda sul pubblico. Voi avete notato che il pubblico, sia con riferimento alla prima infanzia che ai giovani, ha dato dei buoni risultati. Vorrei capire se questo apprezzamento c’è maggiormente nel pubblico femminile o maschile, se avete notato una differenza di apprezzamento al riguardo, ovvero se ci sono stati da parte dei ragazzi che hanno visitato il museo sollecitazioni, consigli o proposte e se si è creata una sinergia con chi visita il museo. Grazie ancora per il vostro intervento.

  PRESIDENTE. Do la parola alla presidente Primerano per la replica.

  DOMENICA PRIMERANO, presidente dell'Associazione musei ecclesiastici italiani (AMEI). Innanzitutto, non dimentichiamo che i nostri musei sono musei territoriali. Forse non sapete che la CEI ha avviato e in gran parte ultimato la catalogazione di tutti i beni che esistono nelle nostre chiese. Ad esempio, nel nostro museo noi gestiamo una banca dati di 120.000 schede relativa alle opere presenti nelle chiese del Trentino. Dunque, abbiamo la possibilità di valorizzare, non solo le opere che stanno all'interno del museo, ma anche le opere che gravitano sul territorio. Pertanto, ai fini della conoscenza della storia locale, siamo sicuramente degli interlocutori molto importanti. Io parlo del Trentino, dove la storia locale è entrata con forza nei piani di studio. Abbiamo il riconoscimento del nostro ruolo, proprio perché gli insegnanti trovano nelle nostre collezioni, ma anche nelle attività che promuoviamo sul territorio, un punto di forza. La scuola comincia a comprendere che il patrimonio è molto importante, non solo per affermare un'identità e una diversità. Le opere sono lontane nel tempo e nello spazio, quindi sono una sorta di terreno di scambio, dove anche chi non appartiene alla nostra cultura ed è arrivato nella nostra città, attraverso il patrimonio, può comunque stabilire un contatto e una relazione. Ci sono già molte sperimentazioni in questo ambito e si è visto come il patrimonio sia fondamentale anche in questo senso. Penso che uno dei problemi più grossi delle nostre scuole sia proprio quello di integrare le persone che provengono da altre culture. Noi vediamo in continuazione classi che arrivano in museo e che sono, sempre più, frequentate da persone di culture diverse. Sicuramente il patrimonio è uno strumento utile per favorire questo dialogo. Abbiamo visto come l'interesse sulle problematiche della diversità sia molto elevato; abbiamo fatto una piccola mostra, con quattro opere provenienti dal territorio, dove veniva mostrato come, nell'arte cristiana, venisse raffigurato l'ebreo o la persona proveniente da Paesi lontani; vi era proprio un codice per identificare in modo molto negativo queste persone. Questo ci ha consentito di dialogare con i giovani, soprattutto con gli adolescenti, sulle tematiche della diversità. In un mese e mezzo abbiamo accolto 2.000 ragazzi, i quali hanno partecipato a questi percorsi, partendo da opere d'arte nelle Pag. 16quali si poneva questo problema. Credo che il museo possa dare moltissimi spunti alla scuola, sia a livello di conoscenza del proprio patrimonio, sia per poter affrontare tematiche che oggi sono veramente importanti e necessarie.
  Per quanto riguarda il momento della valutazione finale delle attività, questo è molto importante. Noi svolgiamo quest'ultima in molti musei attraverso dei questionari che vengono rivolti agli insegnanti. Abbiamo il polso della situazione più che altro dagli insegnanti che conoscono i ragazzi. Abbiamo anche provato a fare delle schede per gli alunni. Ad esempio, facendo un percorso sulla cattedrale di Trento, abbiamo fatto compilare le schede ai bambini delle elementari e, di fronte alla domanda «cosa ti è piaciuto di più ?», un bambino ha risposto «il prospetto settentrionale della cattedrale». Questo ci dice che non occorre semplificare e dare delle informazioni ridotte all'osso, ma bisogna anche insegnare una terminologia. Per me è stata una grande soddisfazione che un bambino mi dicesse «mi è piaciuto il prospetto settentrionale», perché ciò significava che aveva colto le cose che volevamo far passare. Sul pubblico scolastico, il ritorno viene dagli insegnanti. Molto spesso chiediamo che ci vengano riportati i lavori che vengono svolti una volta che i ragazzi ritornano in classe e discutono le opere. Come dicevo poc'anzi, l'ideale sarebbe poter lavorare in partenariato, ossia fare una progettazione condivisa. Un percorso educativo è tale se c’è una matrice progettuale, che va elaborata, sperimentata, modificata se le cose non funzionano, aggiornata e condivisa. Il percorso progettuale è fondamentale e poter far ciò insieme alle scuole è molto importante. Noi abbiamo fatto, ad esempio, delle attività che erano dei compiti di realtà. Ad esempio, una classe dell'istituto turistico ha elaborato per un comune vicino a Trento dei percorsi sul territorio e ha strutturato un sito internet che illustrasse questi percorsi. Si tratta di preparare i ragazzi al mondo del lavoro attraverso dei compiti di realtà. Credo che anche questo sia importante.
  Per quanto riguarda il pubblico adulto, noi cerchiamo sempre di monitorare le attività che facciamo, con questionari che ci possano dire dove abbiamo sbagliato e dove invece abbiamo centrato l'obiettivo. Il pubblico femminile, come sappiamo, è quello più attento nei confronti dei musei. Le nostre iniziative sono frequentate per lo più da persone di sesso femminile. Questa non è una novità: un po’ dovunque è così. Le donne sono le persone che accolgono anche le proposte meno ordinarie che si possono fare, come corsi particolari che cercano di mettere in relazione la storia dell'arte e altre discipline. L'interdisciplinarità è fondamentale, perché l'opera d'arte può essere letta con diverse chiavi di lettura. Privilegiarne solo una significherebbe non cogliere il significato complesso dell'opera d'arte. Noi cerchiamo di stabilire sempre degli incroci. Per questo, dicevo che lavorare insieme agli altri sarebbe fondamentale.

  PRESIDENTE. La ringrazio molto. Purtroppo essendo legati agli orari dell'Assemblea, i cui lavori cominciano fra meno di dieci minuti, mi trovo costretta a concludere questa seduta nonostante ci sarebbero ancora tante cose da dire. Preannuncio che, nel momento in cui verranno presentati i risultati di questa indagine conoscitiva, organizzeremo un evento ad hoc – tavole rotonde, dibattiti – per valorizzare al massimo questo lavoro. Se vorrete, saremo molto lieti di avervi ospiti in quella occasione. Vorremmo, infatti, che il lavoro svolto avesse trovasse un ampio riscontro anche al di fuori delle aule parlamentari. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.20.

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