XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Martedì 9 giugno 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Zampa Sandra , Presidente ... 3 

Variazione nella composizione della Commissione:
Zampa Sandra , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUL DIRITTO DEI MINORI A FRUIRE DEL PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE NAZIONALE

Audizione di Lorenzo Bianconi, professore ordinario di drammaturgia musicale presso l'Università di Bologna, e di Ludovico Solima, professore associato presso la Facoltà di Economia della Seconda Università degli studi di Napoli e docente di Management delle imprese culturali.
Zampa Sandra , Presidente ... 3 
Bianconi Lorenzo , professore ordinario di drammaturgia musicale presso l'Università di Bologna ... 4 
Zampa Sandra , Presidente ... 7 
Solima Ludovico , professore associato presso la Facoltà di Economia della Seconda Università di Napoli ... 7 
Zampa Sandra , Presidente ... 10 
Cesaro Antimo (SCpI)  ... 11 
Zampa Sandra , Presidente ... 12 
Ferrara Elena  ... 12 
Zampa Sandra , Presidente ... 13 
Bianconi Lorenzo , professore ordinario di drammaturgia musicale presso l'Università di Bologna ... 13 
Zampa Sandra , Presidente ... 14 
Razzi Antonio  ... 14 
Zampa Sandra , Presidente ... 15

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE SANDRA ZAMPA

  La seduta comincia alle 14.05.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che se non vi sono obiezioni la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Variazione nella composizione della Commissione.

  PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Senato, in data 19 maggio 2015, ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza la senatrice Donatella Albano, in sostituzione della senatrice Stefania Giannini, componente del Governo.

Audizione di Lorenzo Bianconi, professore ordinario di drammaturgia musicale presso l'Università di Bologna, e di Ludovico Solima, professore associato presso la Facoltà di Economia della Seconda Università degli studi di Napoli e docente di Management delle imprese culturali.

  PRESIDENTE. Prima di cominciare l'audizione odierna vorrei dare ai colleghi una comunicazione in merito a una richiesta che, in qualità di vicepresidente di questa Commissione, mi è stata rivolta. Si tratta di partecipare al sesto meeting del Transatlantic Forum on inclusive early years, che si terrà a Washington, sul tema «Multilinguismo, identità, diversità nella prima infanzia». Da tempo seguo l'attività di questo gruppo, che ha fatto diverse tappe in giro per l'Italia. Si tratta di un gruppo di lavoro molto solido, che lavora intensamente. I costi di questa missione sono a carico dell'organizzazione che mi ha invitato a partecipare. Naturalmente, sarà cura mia richiedere agli organizzatori che il materiale finale sia inviato a tutti i componenti della Commissione (La Commissione consente).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul diritto dei minori a fruire del patrimonio artistico e culturale nazionale, l'audizione di Lorenzo Bianconi, professore ordinario di drammaturgia musicale presso l'Università degli studi di Bologna, e di Ludovico Solima, professore associato presso la Facoltà di economia della Seconda Università degli studi di Napoli e docente di Management delle imprese culturali, che ringrazio della presenza.
  Avverto che il professor Bianconi è accompagnato dalla professoressa Carla Cuomo, pianista e musicologa dell'Università di Bologna, e da Luca Aversano, professore associato di musicologia e storia della musica. Vorrei aggiungere che questa indagine conoscitiva, già in corso da qualche tempo, è stata fortemente richiesta da un collega oggi presente ai lavori. La nostra intenzione sarebbe quella di riuscire a capire se i nostri ragazzi riescono davvero ad accedere al grande patrimonio artistico e culturale che il Paese potrebbe – e dovrebbe – loro offrire Pag. 4come straordinaria opportunità di crescita. Vi ringrazio molto del contributo che potrete darci per fare un passo avanti in questa conoscenza. Do quindi la parola al professor Lorenzo Bianconi.

  LORENZO BIANCONI, professore ordinario di drammaturgia musicale presso l'Università di Bologna. Desidero ringraziare il presidente, la Commissione tutta e il senatore Ferrara che ha instradato questa audizione. Il ringraziamento è tanto più sentito in quanto, se mi debbo attenere al programma iniziale di questa indagine conoscitiva, in origine non erano previste audizioni che riguardassero il mondo dell'università. Sono musicologo e sono probabilmente il decano della disciplina; ho concorso alla stesura delle indicazioni nazionali per il primo ciclo di istruzione del Ministero dell'istruzione, nel 2007; ho fatto parte del gruppo di lavoro incaricato dal Ministero dell'istruzione di progettare il liceo musicale e di stilarne le indicazioni nazionali nel 2009-2010; siedo nel Comitato nazionale per l'apprendimento pratico della musica, il cosiddetto «Comitato Berlinguer».
  Il tema che insieme con i colleghi Aversano e Cuomo – ma, idealmente, a nome di molti altri musicologi dell'università italiana – voglio portare all'attenzione della Commissione, riguarda il diritto dei minori a fruire del patrimonio musicale e l'utilità e il beneficio che ne potrebbe derivare per loro. Devo, però, fare una premessa: il concetto di «patrimonio musicale» non è ovvio. L'Italia vanta – è evidente – un inestimabile tesoro di musica d'arte, dal Medioevo ai giorni nostri. Nel discorso corrente, tale patrimonio, al quale si aggiungono le musiche di tradizione orale delle diverse regioni italiane, nonché molti episodi importanti della musica leggera del passato recente, è pacificamente considerato un bene culturale; e tutti sono disposti a riconoscergli quel carattere di «testimonianza avente valore di civiltà» che connota i beni culturali, secondo la definizione del codice dei beni culturali del 2004. Sennonché, nel caso della musica, l'idea stessa di «bene culturale» incontra alcune non secondarie difficoltà.
  La prima difficoltà consiste nel fatto che il patrimonio musicale si configura come una entità immateriale: le opere dell'arte musicale non sono «cose» in senso stretto, ma esistono soltanto all'atto dell'esecuzione e dell'ascolto. Esistono – è vero – anche dei beni musicali concreti, come libri, manoscritti di musica, trattati, strumenti antichi e moderni, edifici per la musica, ma tale patrimonio materiale non necessita di una tutela in linea di principio diversa da quella che compete ai beni librari, artistici, monumentali. Il codice dei beni culturali, infatti, non cita mai la musica, se non a proposito degli spartiti musicali, insieme alle carte geografiche, perché pongono ai bibliotecari dei problemi particolari. Non sono previste, quindi, forme specifiche di tutela, protezione, conservazione e valorizzazione del patrimonio musicale immateriale, cioè dell'arte musicale propriamente detta.
  Come si tutelano e si valorizzano, dunque, le opere dell'arte musicale ? Essenzialmente attraverso la fruizione di tale patrimonio, ossia attraverso la concorrenza di due attività convergenti, entrambe necessarie perché si dia tutela e valorizzazione. Da un lato, occorre sempre rinnovare la riproduzione delle opere musicali attraverso l'esecuzione, l'interpretazione e la diffusione dal vivo e per mezzo dei media; dall'altro, occorre l'ascolto consapevole da parte di destinatari individuali e collettivi che all'arte musicale pongano un orecchio attento e avvertito. E non c’è alcuna ragione per la quale tale ascolto avvertito e attento non debba e non possa partire fin dalla più tenera età.
  Di fatto (qui sta la seconda difficoltà), per questa strana configurazione del bene culturale «musica», abbiamo a che fare con un fenomeno che, all'interno dello stesso Ministero dei beni e delle attività culturali, sta un po’ di qui e un po’ di là: poggia, da un lato, sul pilastro dello spettacolo dal vivo, mentre dall'altro lato, come insieme di beni materiali, ricade Pag. 5sotto le direzioni generali preposte ai beni librari, archivistici e artistico-monumentali.
  In realtà, per tutelare, proteggere, conservare, valorizzare e far fruire quel particolarissimo bene culturale che è la musica, un ruolo determinante spetta a un terzo ordine di fattori: la formazione, l'educazione impartita vuoi in ambiente formale, ossia a scuola, vuoi in ambiente informale, ossia nella società. Se non formiamo dei buoni musicisti, il patrimonio musicale deperisce; se non formiamo degli ascoltatori avvertiti, partecipi, interessati, attivi, critici, desiderosi della qualità – qualità dei programmi, qualità delle esecuzioni – e dotati di una consapevolezza storico-culturale, il patrimonio musicale, ancora una volta, deperisce.
  Su questo versante interviene, in aggiunta al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, un altro attore istituzionale, il MIUR, in particolare nella sua componente della istruzione scolastica. La premessa è abbastanza lunga, e me ne scuso, ma la natura del fenomeno lo richiede.
  Ora, si può dire che nella scuola italiana, in anni recenti, si è risvegliato un interesse più vivo per l'insegnamento della musica e che tale interesse si è concretato in iniziative di carattere legislativo e normativo. Senonché, il fulcro e il peso predominante e schiacciante di tali iniziative, anche per impulso del Comitato nazionale per l'apprendimento pratico della musica, si concentra quasi soltanto nell'idea che, per accostarsi alla musica, occorra in sostanza avvicinare i nostri ragazzi e le nostre ragazze all'esercizio della musica, all'esercizio strumentale o vocale. Qui, però, c’è un equivoco in agguato, un equivoco diffuso anche tra gli intellettuali, ossia l'idea che la musica la possa capire – qualunque cosa significhi il verbo ’capire’ in questo contesto – soltanto chi la musica la fa. Si tratta di un evidente corto circuito logico: come l'arte visiva, la pittura, la scultura e l'architettura hanno bisogno tanto di buoni artisti quanto di fruitori appassionati, così la musica ha bisogno tanto di buoni musicisti quanto di ascoltatori avvertiti.
  È ovvio che chi sa leggere uno spartito, chi sa diteggiare uno strumento, chi sa intonare quando canta, si trova avvantaggiato anche quando ascolta e fruisce di produzioni musicali; tuttavia, cantare e suonare non basta. L'ascolto musicale è un'attività che va coltivata in quanto tale, e che favorisce la graduale acquisizione di una consapevolezza di natura storica e culturale. Perché tale consapevolezza possa maturare e attecchire nell'individuo e possa diffondersi tra i giovani, bisogna intensificare le iniziative di avviamento all'ascolto. In tal senso, lo strumento primario è la didattica dell'ascolto, una didattica che nelle indicazioni nazionali per il primo ciclo d'istruzione appare sottovalutata e che, se si vuole puntare alla conoscenza del patrimonio musicale, italiano e non solo, da parte dei giovani, non può che alimentarsi attraverso l'accostamento alla storia della musica.
  I ministri dell'istruzione e dei beni culturali si sono pronunciati di recente a favore del potenziamento della storia dell'arte nella scuola italiana e si sono adoperati in tal senso: iniziativa lodevole e opportuna. Un impegno analogo – il parallelismo è del tutto ovvio – andrebbe, però, investito sul versante non soltanto della musica intesa come esercizio strumentale o vocale, bensì anche della storia della musica. Così come si insegna la storia dell'arte come disciplina distinta dall'insegnamento del disegno, occorre concepire una distinzione analoga tra il far musica e il comprendere, godere, apprezzare la musica. Soltanto così daremo impulso alla tutela e alla valorizzazione del nostro patrimonio musicale, cominciando dall'età infantile o quantomeno adolescenziale. Nei licei italiani, la storia della musica, che è l'esatto analogo della storia dell'arte per quanto concerne il patrimonio musicale, è entrata soltanto nel 2010 e soltanto nel liceo musicale, e lì si è fermata. Non è presente in alcun altro liceo, men che meno negli istituti tecnici e professionali. In altre parole, la storia Pag. 6della musica nel liceo italiano è considerata una disciplina specialistica, come se riguardasse soltanto chi studia musica, chi punta a diventare musicista. Addirittura, in un primo momento, nel progetto del liceo musicale era previsto un monte ore di storia della musica inferiore a quello di storia dell'arte, poi è stato possibile se non altro pareggiarlo. Il dato paradossale è che la storia dell'arte nel liceo musicale c’è, ma la storia della musica, nel liceo classico o scientifico o in qualsiasi altro istituto superiore, non c’è. Quindi, formiamo dei ragazzi che, se diventano musicisti, saranno stati stimolati a frequentare i musei – il che va ovviamente benissimo – mentre viceversa non stimoliamo i ragazzi che domani saranno professionisti, o praticheranno qualsiasi altra attività, a frequentare i concerti e i teatri.
  Le indicazioni nazionali del 2007-2012 per il primo ciclo di istruzione riconoscono sei funzioni formative esplicate dall'apprendimento della musica: funzione cognitivo-culturale; funzione linguistico-comunicativa; funzione emotivo-affettiva; funzione identitaria e interculturale, oggi importantissima; funzione relazionale; funzione critico-estetica. Perché queste sei funzioni formative si esplichino davvero, uno strumento primario e comunque indispensabile è la didattica dell'ascolto, cioè la capacità di condurre ragazzi e ragazze a concentrare l'attenzione sulla comprensione di un discorso sonoro articolato e formalizzato. Il campo disciplinare di riferimento è quello della storia della musica. Non pensiamo a una storia della musica basata su fatterelli estrinseci – non ci interessa il numero delle mogli e dei figli di Bach o delle amanti di Puccini – ma pensiamo a una storia della musica che connetta il sapere musicale con il sapere di discipline vicine e lontane, la letteratura, la storia civile, le arti visive, la filosofia e le scienze, e che insegni a distinguere e a discernere musica da musica per poterle valorizzare tutte.
  Ricordiamo che, nella raccomandazione del Parlamento europeo del Consiglio del 2006 (2006/962/CE), tra le otto competenze chiave per l'apprendimento permanente vi è la consapevolezza dell'espressione culturale, la quale si esplica in «un'ampia varietà di mezzi di comunicazione compresi la musica, le arti dello spettacolo, la letteratura e le arti visive».
  Infine, c’è chi sostiene che stiamo assistendo, soprattutto tra i giovani, a una preoccupante scomparsa del senso della storia: forse sì o forse no, si vedrà. Certo, se vogliamo rinvigorire la percezione della prospettiva storica e delle dinamiche storiche, del dialogo fecondo tra un passato e un presente proiettati verso un futuro consapevole, pochi mezzi si prestano bene allo scopo come la musica d'arte. Tra tutte le forme di espressione artistica, quella musicale forse è la più riccamente dotata del potere di rendere presente il passato, di farcelo sentire come se fosse nostro. La musica, infatti, è un'arte eminentemente temporale e lo è in due diverse accezioni del concetto di tempo: si fa e si consuma come un discorso svolto nel tempo, e in tal senso è un bene immateriale, imprendibile e inafferrabile, che riusciamo a comprendere soltanto attraverso l'ascolto; ma essa si incarna anche nel tempo storico, appartiene sia al proprio tempo sia, nel momento in cui risuona ed io l'ascolto, al mio tempo. Nell'ascoltare Bach sento il razionalismo, in Haydn l'illuminismo, in Schumann il romanticismo, in Strauss il modernismo e via dicendo, e potrei beninteso valermi di altrettanti nomi di musicisti italiani, Vivaldi, Rossini, Verdi, Puccini: li sento vivi e operanti come se fossero in me e io fossi in loro.
  La fase dell'età dello sviluppo in cui più fortemente si imprimono nella coscienza individuale le esperienze estetico-culturali fondanti per la nostra formazione è costituita proprio dagli anni del liceo. Perdere quel treno comporta un danno netto per la musica e per l'individuo, appunto il danno che gli storici dell'arte hanno denunziato dopo la riforma del 2010, con la riduzione complessiva del monte ore della storia dell'arte, e che noi storici della musica denunziamo a nostra volta partendo da più in basso, cioè da una situazione di carenza molto più grave. Se vogliamo irrobustire la coscienza civile Pag. 7delle ragazze e dei ragazzi del nostro Paese, dobbiamo moltiplicare e non diradare le occasioni di un incontro storicamente ed esteticamente forte con l'arte, tra i 14 e i 19 anni, a cominciare dalla musica d'arte.
  Per questa ragione chiediamo alla Commissione di contemplare e di assumere ogni utile iniziativa perché nel sistema scolastico italiano, segnatamente nella scuola secondaria di secondo grado, venga favorita la diffusione della storia della musica, vuoi in corsi curricolari – sappiamo benissimo che l'orario è rigido e non consente molte dilatazioni – vuoi in offerte formative complementari. Occorre, però, che ci sia un orientamento politico-culturale in questo senso, vòlto ad equilibrare e compensare l'accento oggi unilateralmente posto sulla musica intesa come esercizio pratico. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. Do ora la parola al professor Ludovico Solima.

  LUDOVICO SOLIMA, professore associato presso la Facoltà di Economia della Seconda Università di Napoli. Ringrazio lei, presidente, e la Commissione. Sono molto onorato di essere qui oggi e spero di poter dare un contributo ai lavori che sono stati svolti sinora.
  Mi presento brevemente. Insegno al dipartimento di economia della Seconda Università di Napoli; in particolare mi occupo, da circa vent'anni, di musei e di tutti gli aspetti legati alle problematiche di gestione e valorizzazione dei beni culturali. In questi venti anni, ho anche avuto modo di svolgere diverse attività di studio e di ricerca per conto del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo. Spero, dunque, di poter dare un contributo, avendo avuto la possibilità in questi anni di studiare un aspetto fondamentale nella gestione dei musei, quello dell'analisi della domanda. Da questo punto di vista, quindi nella prospettiva degli utenti, vorrei provare a sviluppare alcune riflessioni sotto il profilo dell'accessibilità del patrimonio culturale, in particolare da parte dei minori. La prima domanda alla quale occorrerebbe dare una risposta è se sussiste un problema giovanile di accesso al patrimonio culturale. La risposta dovrebbe essere tendenzialmente «no», però devo rispondere con il condizionale, perché di fatto, in Italia, mancano dati che consentano di formulare una risposta più precisa. Infatti, diversamente da quanto accade in altri Paesi, non siamo attenti osservatori di questi fenomeni e non c’è un osservatorio sui consumi culturali; le uniche informazioni che possiamo trarre sono quelle, per esempio, recuperabili dall'indagine multiscopo che fa l'ISTAT con cadenza annuale, che tuttavia ci consentono di estrapolare solamente delle informazioni molto particolari e specifiche. Sulla base di queste poche informazioni verrebbe da dire che, tutto sommato, apparentemente non c’è un problema di accesso da parte dei minori, perché, rispetto alla domanda che mira a valutare la frequenza di visite a musei e mostre nel corso dell'anno, le percentuali di risposta affermativa in termini di frequentazione per le classi minori di età sono tendenzialmente superiori rispetto alle classi più elevate. C’è, quindi, una progressione inversa: i più giovani apparentemente fruiscono con una frequenza maggiore di mostre e musei nel corso dell'anno rispetto a coloro che ricadono nelle classi successive.
  Ora, senza elencare tutti i dati, si può notare come, per esempio, nella classe 6-10 anni (scuola elementare) questa percentuale è del 37 per cento, in quella 11-14 anni (scuole medie) tale percentuale sale al 43 per cento e per quella 15-17 anni (scuole superiori) è circa il 37 per cento. Per gli over 65, poi, la percentuale è del 19 per cento. Il dato è singolare, in considerazione del fatto che c’è stata una recente riforma del ministro Franceschini sull'articolazione tariffaria in Italia, la quale ha eliminato la gratuità over 65 anni; tuttavia, fino a poco tempo fa, gli ultrasessantacinquenni potevano entrare gratuitamente all'interno dei musei. Vorrei ancora sottolineare, nella mia prospettiva di ricercatore e di analista, che i dati di cui disponiamo sono pochi ed episodici, perché frutto di indagini che a volte il Pag. 8Ministero realizza – o in alcuni casi altri soggetti promuovono spesso su base locale – per cui, effettivamente, dare una risposta alla domanda iniziale, cioè se esiste il problema di accessibilità, è possibile farlo ma tenendo conto della natura e delle caratteristiche del dato. Mi permetto, peraltro, di sottolineare un ulteriore elemento di riflessione sul quale occorrerebbe soffermarsi, ma so che non c’è il tempo per farlo oggi in questa sede. Il dato numerico sulla frequentazione dei giovani o dei minori ai musei non dice nulla dal punto di vista qualitativo, ossia sull'esito del processo di fruizione e in che cosa consista, se cioè ha innescato dei processi di apprendimento, se è migliorato il bagaglio di conoscenze culturali, estetiche e storiche. Tutto ciò rimane un enorme punto interrogativo, a meno che non venga indagato in maniera specifica, cosa che in Italia non viene fatta. È anche difficile, poiché c’è un problema di disomogeneità sotto il profilo metodologico, comparare la situazione dell'Italia con altri Paesi. Tanto per avere un'idea, la Francia, che è molto ben strutturata da questo punto di vista, ha un osservatorio permanente sui consumi culturali dell'infanzia, quindi c’è un organo specificamente preposto a un'attività di questo genere. Da tale osservatorio si evince che la percentuale a cui facevo riferimento prima, che in Italia varia tra il 37 e il 43 per cento, in Francia è del 50 per cento. Naturalmente, si tratta di un dato molto grezzo, che ovviamente andrebbe approfondito, però al momento è l'unico al quale è possibile fare utilmente riferimento. Fatta questa considerazione iniziale, l'ulteriore domanda, nell'approccio manageriale che mi caratterizza, è cosa si può fare comunque per migliorare l'accessibilità del patrimonio culturale da parte dei giovani. Si tratta di ragionare in termini di politiche culturali. In questa sede non ho molto tempo a disposizione, per cui mi limiterò ad accennare ad alcuni punti che ritengo possano essere importanti.
  Le tre parole chiave che io riterrei di sottoporre alla vostra attenzione sono: condivisione, coinvolgimento e partecipazione. La condivisione, anche se forse è un aspetto quasi un po’ scontato, è un tratto ormai caratterizzante la nostra società attuale. In tal senso, basti ricordare quello che è successo negli ultimi sette o otto anni sotto il profilo tecnologico. A volte lo ricordo anche ai miei studenti: l’iPhone, il primo dispositivo touch che si collegava a Internet, è stato immesso sul mercato nel 2007 – non trent'anni fa – e in questi otto anni, ovviamente, le cose sono cambiate a ritmi assolutamente vertiginosi. Abbiamo dispositivi sempre più performanti, possibilità di accedere a internet in mobilità, di essere sempre connessi, di avere accesso alla banda larga eccetera. Tutto ciò ha determinato, tra le altre cose, l'esplosione dei social media o social network. Sono due termini non equivalenti, ma credo che si possa intuire quello a cui sto facendo riferimento: Youtube, Facebook, Flickr, Twitter, Instagram e tutto quello che costantemente appare di nuovo, magari scalzando dei siti che prima svolgevano la stessa funzione.
  Per capire il livello di sensibilità che le nostre istituzioni culturali e in particolare i musei italiani hanno nei confronti di questi strumenti, che sono gratuiti, basta considerare dei semplici dati, che ho raccolto proprio in questa occasione. Il polo museale degli Uffizi, che comprende la Galleria degli Uffizi e un'altra serie di musei, ha 10.000 like, ovvero 10.000 persone che su Facebook hanno espresso il proprio gradimento; Palazzo Madama di Torino arriva a 8.000; il Museo delle scienze di Milano a 25.000; il Museo d'arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, che è uno degli esempi più interessanti a livello italiano, a 67.000; il Louvre a 1,7 milioni; il British Museum a 700.000; il Museum of modern art (MOMA) a 1,7 milioni. Si rileva che c’è una propensione tutta italiana a un utilizzo spasmodico, spropositato e compulsivo di questi dispositivi e di questi strumenti.
  Questo rende il quadro ancora più drammatico: i musei e le istituzioni culturali in genere avrebbero a disposizione uno strumento gratuito, non solo per comunicare Pag. 9meglio una serie di cose, ma anche per attivare un dialogo con i soggetti. Infatti, l'elemento caratterizzante i social media è che la comunicazione non è più unidirezionale, come avviene normalmente su internet. Se io creo un sito, trasmetto delle informazioni, rendendole disponibili ad altri. I social media, invece, permettono l'interazione e la condivisione in senso biunivoco. Comprenderete che anche su questo, naturalmente, si potrebbe fare un ragionamento molto esteso. Io mi limito ad accennare al punto e vado avanti con la seconda parola-chiave.
  La seconda parola-chiave è il coinvolgimento, che in termini anglosassoni viene definito engagement, cioè la capacità di un'istituzione di investire su una dimensione di apprendimento informale, su degli aspetti ludici connessi all'apprendimento e su dei processi legati alla scoperta di contenuti culturali. Da questo punto di vista, ci sono molte interessanti possibilità, offerte ancora una volta dalla tecnologia. Esistono una serie di soluzioni, da quelle più banali e più semplici a quelle più complesse, che possono aumentare il livello di coinvolgimento in particolare da parte dei nativi digitali, cioè le nuove generazioni che si muovono nell'utilizzo di questi strumenti con una straordinaria disinvoltura e facilità. Cito un paio di esempi. Ho avuto la possibilità di realizzare un piccolo progetto presso il Palazzo reale di Napoli. Era un progetto di cooperazione internazionale, finanziato dal Ministero degli affari esteri. Ho messo in comunicazione il Palazzo reale di Napoli con il Palazzo reale di Varsavia, per realizzare un percorso che utilizzasse i quick response code (QR code), che sono una specie di codice a barre bidimensionali, che possono essere fotografati attraverso uno smartphone e permettono di accedere a dei contenuti di vario genere: testi, immagini o multimedia.
  In questo caso, il livello di tecnologia è risibile, perché per stampare un QR code basta una stampante a getto di inchiostro. Il Palazzo reale di Napoli, che si è avvicinato con grande timore e sospetto a questa «modernizzazione», adesso sta investendo molto, perché riscontra un enorme apprezzamento da parte dei suoi utenti, in particolare di quelli più giovani. Potrei citare una serie di altri aspetti, quali la tecnologia radio-frequency identification (RFID), la possibilità di sviluppare delle app e la realtà aumentata. Per esempio, voi avrete sicuramente sentito parlare dei Google Glasses, un prodotto che non è stato ancora commercializzato, che però ha già avuto una serie di sperimentazioni molto interessanti in ambito museale, destinate, per esempio, a categorie di soggetti svantaggiati, come le persone non udenti. Infatti, la possibilità della realtà aumentata è quella di aggiungere degli strati informativi rispetto a quello che si vede. Per esempio, i non udenti, con il linguaggio dei segni, possono godere di una serie di informazioni sulle opere che vedono all'interno di un museo.
  Il terzo punto riguarda la partecipazione e l'ascolto. Questo, diversamente dai primi due, non è un aspetto tecnologico, ma impone un cambio di paradigma da parte delle istituzioni culturali.
  Mi riferisco a quella che viene chiamata «la progettazione partecipata», cioè la capacità di un museo o di un'altra istituzione culturale di mettersi in ascolto dei possibili utenti e destinatari dei propri servizi, coinvolgendoli, non solo nella fase di utilizzo dei servizi, ma anche nella fase di progettazione degli stessi.
  Io ho avuto la possibilità di seguire un piccolo progetto, finanziato dal Ministero dei beni e delle attività culturali, che ha coinvolto i due musei statali presenti a Lucca. Era un progetto destinato a realizzare dei laboratori per i bambini che sono cittadini italiani di adozione, ovvero i figli di persone immigrate. In provincia di Lucca c’è una comunità molto estesa di ragazzi di altre culture e di altre etnie, per cui ci si è posto un problema di integrazione sociale. Ci si è chiesto in che termini e in che misura un museo potesse dare un contributo per migliorare il livello di coesione sociale e di integrazione multiculturale.
  Non ho il tempo per raccontarvi questa esperienza, che ho seguito personalmente. La progettazione partecipata, in questo Pag. 10caso, è consistita nel fare una serie di incontri con i genitori di questi ragazzi, i mediatori culturali e gli insegnanti delle scuole, cioè tutte le persone che potevano essere a vario titolo coinvolte e dalle quali raccogliere informazioni. Ciò è servito per poi progettare e realizzare questi laboratori, che evidentemente hanno funzionato molto bene.
  Concludo, perché penso che il tempo a mia disposizione sia purtroppo quasi scaduto, provando a fare una riflessione di tipo sistematico. Io sono partito ragionando in termini di accessibilità e vorrei chiudere ragionando in termini di accessibilità. L'accessibilità al patrimonio culturale – vorrei potermi riallacciare a quanto diceva il collega – e finanche al patrimonio musicale, si declina, secondo me, su quattro elementi.
  Innanzitutto, c’è un'accessibilità fisica. Nel caso dei musei, apparentemente il primo punto è portare i ragazzi all'interno di questi luoghi. In primo luogo, bisogna andare oltre la scuola. Normalmente la frequentazione dei musei da parte dei ragazzi in età scolare è riconducibile all'attività della scuola, ma questo non è sufficiente. Occorrerebbe andare oltre e, quindi, immaginare altre modalità, altri approcci e altri luoghi per coinvolgere i ragazzi al di là dell'occasione offerta dal sistema scolastico. L'accessibilità, oltre a essere fisica, è economica. I consumi culturali costano. Sappiamo che per i ragazzi sotto i 18 anni nei musei statali l'accessibilità è gratuita, però non è così per i musei comunali. I musei statali sono una minoranza, anche se sono i più importanti, rispetto all'insieme dei musei che esistono in Italia.
  Occorre riflettere, per esempio, sulla possibilità di prevedere delle formule tariffarie che consentano alle famiglie di potersi recare più facilmente al museo, senza sostenere un onere eccessivo. Anche i nonni, cioè gli ultrasessantacinquenni, che nei musei statali sono stati riportati nella categoria degli utenti a pagamento, forse potrebbero essere reintegrati in questa prospettiva. L'accessibilità, oltre a essere fisica ed economica, è anche cognitiva. Se vogliamo avvicinare maggiormente i ragazzi ai musei, dobbiamo parlare un linguaggio comprensibile. Questo non è quello che accade nei musei italiani, che molto spesso sono totalmente incomprensibili anche per persone che hanno un livello di istruzione relativamente elevato. Questo è un enorme limite sotto il profilo della comunicazione.
  L'ultimo aspetto in termini di accessibilità è l'accessibilità digitale. Mi riallaccio a quello che dicevo poc'anzi: bisogna capire che il rapporto che si può creare tra i giovani e il patrimonio culturale non si deve immaginare esclusivamente attraverso una fruizione fisica. Infatti, anche la relazione che si può stabilire attraverso internet, nelle sue diverse modalità, può contribuire alla trasmissione di conoscenze da parte del museo, che può impattare sui processi di apprendimento del ragazzo e, quindi, accrescere anche la sua propensione ai consumi culturali quando sarà in età più adulta.

  PRESIDENTE. La ringrazio molto. L'intervento che lei ha svolto è stato davvero molto interessante.
  Penso anch'io che l'arte, la cultura e la musica siano straordinari elementi per lavorare sull'integrazione, perché ci si arriva in modo quasi naturale, senza grandi difficoltà od ostacoli. È una cosa che mette in comunicazione ognuno di noi in modo molto diretto e molto rapido, producendo, quindi, un risultato velocemente. L'altro elemento che mi colpisce – e che questa Commissione lamenta sempre – è che i dati in Italia sono spesso vecchi, confliggenti – sulla stessa questione si trovano numeri completamente diversi – oppure insufficienti. Anche per noi questo è davvero un problema. In particolare, temo per questa indagine conoscitiva, e mi rivolgo al collega Antimo Cesaro, che l'ha voluta fortemente. Credo che le cose che ci sono appena state dette ci confermino che dovremmo fare anche qualche missione esterna, per andare a vedere esperienze come quella di Lucca o altre di cui noi siamo a conoscenza. Do quindi la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

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  ANTIMO CESARO. Vorrei fare qualche riflessione a margine molto rapidamente. Io credo che la nostra indagine ci stia portando a una riflessione che io, da anni, conduco come studioso. Io sono collega di Ludovico Solima alla Seconda Università e mi occupo della cultura come prerequisito della democrazia, in quanto studioso di filosofia politica. Le cose che oggi abbiamo ascoltato mi danno nuovi spunti di grande riflessione, soprattutto in considerazione del fatto che molto spesso i dati che emergono e che noi possiamo registrare, nella migliore delle ipotesi, sono esclusivamente quantitativi. Questa è anche una metafora della nostra democrazia: nella migliore delle ipotesi noi possiamo registrare, non la qualità della vita democratica delle istituzioni – ci sarebbe molto da approfondire – ma, per esempio, il dato quantitativo di affluenza alle urne, come indice della democraticità, più o meno leggibile, di un sistema.
  Io mi soffermo su un avverbio pronunciato dal professor Solima. Lui ha affermato che i più giovani, apparentemente, fruiscono di più dei musei. L'avverbio «apparentemente» mi lascia molto perplesso e merita il giusto approfondimento, perché ritengo che il dato che emerge, fondato sulla gratuità dell'accesso, in fondo tradisca il significato di fruizione più forte che noi immaginiamo. Noi possiamo anche constatare che in un museo c’è un accesso di un pubblico numeroso di giovani, ma poi è molto più difficile dire che cosa si sedimenta nel vissuto di quei giovani dopo il percorso museale. Noi abbiamo una consuetudine di rapporti, soprattutto con il professor Solima ma anche con il professor Bianconi e gli altri gentili ospiti. Eventualmente ci potrebbe essere uno scambio di materiali. C’è un mio articolo, che è presente anche in rete, quindi è facilmente fruibile, dal titolo un po’ provocatorio «De homo et gallina». Il quesito che funge da incipit alla riflessione non è l'annosa questione dell'uovo e la gallina, bensì la differenziazione antropologica, e quindi il processo di ominazione che separa l'uomo dalla gallina. Mi ponevo provocatoriamente una domanda: cosa impedirebbe di avere una gallina tesserata di un partito, matricola all'università, deambulante in un museo, partecipe a una Commissione bicamerale e all'ascolto di un concerto ? Siamo deficitari sul dato quantitativo e qualitativo – ma non è il caso della nostra Commissione – ed è bene che questo resti agli atti come mia riflessione a margine. Il dato che emerge, nella migliore delle ipotesi, ahimè, ci lascia delle pseudocertezze su un aspetto esclusivamente quantitativo. Questo è il dramma e la pietra d'inciampo della nostra indagine, che è metafora della pietra d'inciampo della qualità della nostra vita culturale, che a mio modesto avviso è anche il prerequisito della nostra vita democratica. Il senso della nostra indagine conoscitiva è questo: noi vogliamo immaginare, attraverso l'arte e la fruizione del nostro straordinario patrimonio artistico, che è la cosa più evidente che abbiamo davanti agli occhi, quale cittadino, consapevole, informato e interiormente ricco, sarà il protagonista della vita del nostro Paese di qui a qualche anno. Emergono dati che ci fanno riflettere. È questo il senso della nostra indagine.
  Noi faremo tesoro dei materiali che vorrete gentilmente farci pervenire e riteniamo molto utile l'eventuale presenza della Commissione lì dove ci sono buone pratiche da valorizzare, anche andando sul posto, come suggeriva la vicepresidente Zampa. In seguito, daremo giusto risalto al dato complessivo della relazione che emergerà alla fine di queste audizioni, che molte volte ci fanno apprezzare gli sforzi che si fanno e contemporaneamente ci fanno un po’ incupire rispetto a quello che l'Italia potrebbe essere e che molto spesso non è. Infatti, si constata che effettivamente anche nei programmi didattici delle scuole di ogni ordine e grado mancano le giuste sensibilità. Devo dire che mi sorprende meno quando, aggirandomi per i meandri ministeriali, mi trovo molto spesso a interloquire con persone che hanno la responsabilità delle scelte, ma forse non hanno il bagaglio culturale adeguato Pag. 12– uso un'espressione difficile, che molto spesso è abusata – per la responsabilità di cui sono stati investiti. L'espressione «bagaglio culturale» è sempre ottimistica e presuppone la grandezza del vademecum. In questo caso, potremmo parlare della «24 ore culturale» adeguata per poter corrispondere a quelle responsabilità. Mi complimento per la chiarezza e per i dati. Aspetto veramente una riflessione scritta, che potrà arricchire i nostri lavori.

  PRESIDENTE. Prima di passare la parola agli altri colleghi che intendono intervenire, vi anticipo un'informazione che avrei dovuto comunicarvi in precedenza: lunedì 22 giugno, alle ore 11, a Palazzo Madama, si terrà la presentazione della relazione annuale al Parlamento del Garante nazionale dell'infanzia. Vorrei richiamare la vostra attenzione sul fatto che interverrà il Presidente del Senato Grasso. È la seconda volta che il Presidente Grasso presenta e introduce questo appuntamento, che è importante soprattutto per noi componenti di questa Commissione. Vi vorrei segnalare anche la delicatezza dell'evento, data dal fatto che è l'ultima relazione che fa il Garante in carica. Infatti, come voi sapete, a novembre ci sarà la nomina o la conferma del nuovo Garante dell'infanzia.

  ELENA FERRARA. Vorrei ringraziare la presidenza di questa Commissione per aver accolto una richiesta che avevo formulato all'epoca, per contribuire a un'indagine assegnata, che era già in corsa. Naturalmente, è stato per me un motivo di soddisfazione ricevere subito questo ascolto. Vorrei ringraziare voi tutti, che siete presenti e che avete messo a nostra disposizione le vostre relazioni. Io mi soffermo in modo particolare sul discorso musicale, sebbene esprima il massimo di apprezzamento per la restituzione di un'esperienza e di una riflessione importante anche in campo museale. Se noi dovessimo giudicare in base a quanto tempo i nostri ragazzi ascoltano la musica, quanto scaricano musica – più o meno in modo piratesco – e a quanto ne fanno un uso di comunicazione tra loro, rispetto al discorso dei musei potremmo dire che la musica la fa da padrona. Io sono un'insegnante di musica nella scuola media, pertanto la musica è una realtà che conosco abbastanza bene. Inoltre, sono stata presidente nazionale della Società italiana per l'educazione musicale (SIEM). Non possiamo affermare che non esista una pratica musicale che sta consolidandosi. Solo nell'ultimo mese nel novarese – non credo di rappresentare un territorio di punta, anche se è sicuramente molto dignitoso – ho sentito parlare di licei musicali e di scuole medie a indirizzo musicale che hanno suonato con Tullio De Piscopo, del conservatorio che ha fatto un concerto insieme all'orchestra di una importante fondazione locale e di ragazzi disabili che hanno suonato con il metodo Sequeri (c’è una scuola che ha preso piede da noi da diversi anni). Inoltre, ci sono una serie di scuole elementari in cui non si riesce a stare dietro ai saggi e alle offerte musicali. La percezione è che si fa musica e si ascolta musica. Tuttavia, quando si va ai concerti di musica colta, contemporanea, operistica e quant'altro, ci troviamo a cogliere un altro dato, che è quello da cui noi siamo partiti in Commissione cultura con un'indagine conoscitiva, che ha avuto una risoluzione votata all'unanimità ed è stata approvata poco tempo fa. Abbiamo sentito veramente molti soggetti. Sono contenta di sentire voi oggi, perché ci portate un tassello che forse era mancato. L'analisi è stata sufficiente. Tutti i soggetti, sia che venissero dal mondo della produzione musicale, sia che venissero dal mondo della formazione musicale, ci hanno rappresentato che la musica appartenente alla tradizione popolare o alla tradizione colta e la musica di qualità, anche extracolta ma non perfettamente inserita nei circuiti più commerciali – senza fraintendimenti rispetto alla musica leggera – sono seguite da un pubblico con un'età media molto alta oppure da un pubblico di nicchia. Pensiamo ai festival jazzistici e a cose di questo genere, che stanno comunque proliferando. Pag. 13Sappiamo che anche il ministro Franceschini ha dato un particolare ascolto a quel mondo. Tuttavia, quello che raccogliamo non è sufficiente. Ai concerti e alle opere lirico-sinfoniche, effettivamente, non troviamo un ricambio di pubblico. Dobbiamo semplicemente prendere coscienza che la carenza formativa, che purtroppo la nostra scuola ha sempre visto come punto di consolidamento nel tempo, ha portato a questo stato dell'arte. Che cosa si deve fare, dunque, perché l'Italia continui a essere quello che è stata nel tempo, anche in termini di nuove produzioni, di innovazioni, di consapevolezza critica e delle cose che voi avete citato ?
  Io condivido la necessità di rivolgere un'attenzione alla scuola e tutti i punti che sono stati delineati. C’è una carenza nella scuola dell'infanzia, che in qualche modo stiamo cercando di colmare con il decreto ministeriale n. 8 del 2011 e con la «Buona scuola». Occorre anche un'intensificazione della scuola media a indirizzo musicale. I licei non possono essere l'unico segmento in cui la scuola superiore dedica alcune ore alla musica. Sicuramente dobbiamo anche ripensare, come sta facendo il Ministero, all'alta formazione, sia nelle accademie sia nelle università. Io ritengo che ci sia banalmente un grande campo di sviluppo e di occupazione per l'Italia. Vi rivolgo un paio di domande. Come si diceva, probabilmente proprio a fronte di una carenza culturale e istituzionale, esiste un comitato, che è il Comitato Berlinguer.
  Considerando le professionalità e le rappresentanze che convengono in quel comitato, io penso che sia opportuno che questo diventi un comitato davvero scientifico su questo tema. Se vogliamo ricostruire un percorso in quel senso, siccome lì ci sono i saperi, che vengono anche dal Forum delle associazioni, io mi aspetterei che da lì arrivassero delle linee condivise. Infatti, questo mondo ha sempre vissuto di separatezze tra la pratica, la teoria, la cultura, la musicologia, l'extracolta e la colta. Ci sono una serie di discriminazioni interne che oggi dobbiamo superare. Io la penso così e vorrei sapere se voi siete d'accordo.
  In secondo luogo, non so se avete visto che nella «Buona scuola» c’è una delega, che deriva dalla risoluzione che abbiamo approvato in Commissione cultura, che se inizialmente era solo sulla musica, è stata invece ampliata anche alle arti. Mi riferisco alla lettera h) dell'articolo 22: vorrei sapere se l'avete letta. Nel caso vogliate approfondire, vi chiedo se potreste restituire un vostro punto di vista su questo.
  Banalmente, in una legge basta scegliere il plurale o il singolare per cambiarne il senso. Per esempio, si parla di «arte e storia dell'arte». Io, personalmente, avrei scritto «arte e storia delle arti» e vi ricomprenderei anche le arti minori. Sarebbe bello che nelle scuole superiori si desse spazio a delle arti minori di importante tradizione. Questo deve valere almeno per la musica. Non è possibile avere un liceo classico da cui si esce senza un minimo di formazione su questo: sanno chi è Bernini, ma non sanno chi sia Bellini e trovo ciò gravissimo ! È una lesione dei diritti fondamentali di istruzione dei nostri alunni. Vi ringrazio della vostra disponibilità.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  LORENZO BIANCONI, professore ordinario di drammaturgia musicale presso l'Università di Bologna. Io posso rispondere sul primo dei due quesiti. Il Comitato nazionale per l'apprendimento pratico della musica sarebbe la migliore delle iniziative, se si omettesse l'aggettivo «pratico», non certo perché la pratica non vada bene – la pratica della musica ci vuole ed è importante che si diffonda – ma perché quell'aggettivo in quella dicitura assume un valore esclusivo. Dico ciò non per un'interpretazione capziosa, ma perché so che questo è il convincimento da cui ha preso le mosse l'onorevole Berlinguer quando ha costituito nel 2006 questo Comitato nazionale per l'apprendimento pratico della musica. Dico ciò perché, dal 2007, discuto amabilmente con l'onorevole Berlinguer su questo punto. Posso parlare in prima persona, perché si tratta di una Pag. 14dialettica aperta, conclamata e manifestata anche pubblicamente. Questa dialettica è giunta se non altro al punto che l'onorevole Berlinguer ha riconosciuto che, accanto all'esercizio pratico della musica, esiste una dimensione, quella dell'ascolto e della comprensione della musica, che non esclude l'esercizio pratico della musica, semmai lo assorbe e lo arricchisce. Il vizio d'origine che i musicologi lamentano risiede appunto in questa unilateralità; da essa discendono la composizione, la formazione e la concezione stessa del Comitato. All'inizio non ne faceva parte alcun musicologo dell'università – il che è tanto più specioso se si tiene presente che l'onorevole Berlinguer è stato Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca in una fase cruciale, e dunque sa bene che, accanto all'alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM), c’è sul versante dell'università una disciplina riconosciuta nell'ordinamento delle classi di laurea, la 270/2004, denominata «musicologia», nell'ambito della quale si svolge un'importante attività di recupero, di conoscenza e di valorizzazione del patrimonio musicale della nazione.
  In seguito, l'onorevole Berlinguer ha avuto l'amabilità di chiamarmi a far parte di quel Comitato. Tuttavia, ero, sono e temo di continuare a essere l'unico esponente della musicologia universitaria in seno al Comitato, ovvero di una concezione della musica aperta sulla dimensione storico-culturale della musica, entro una composizione complessiva che, invece, è fortemente incentrata sull'esercizio pratico della musica, ossia sul mondo dei conservatori: il che è in una certa misura giusto e opportuno. Tuttavia, quando lo slogan diventa «un musicista in ogni scuola», è evidente che l'eco primaria è quella dell'esercizio musicale, data l'appetibile apertura su un mercato del lavoro che potrebbe assorbire forza docente. Ripeto: questo tema è oggetto di una dialettica frequente, costante e, alla fin fine, produttiva con l'onorevole Berlinguer.
  Non c’è dubbio che, se da un lato gli sforzi del ministro Giannini e del ministro Franceschini per potenziare la storia dell'arte hanno determinato qualche benefico effetto, sul fronte della musica questi effetti si fanno sentire e si manifestano in maniera più tenue e più esigua, proprio perché l'orizzonte di partenza è stato fortemente condizionato nel senso dell'esercizio pratico e di un tendenziale disinteresse per la dimensione storico-culturale dell'arte musicale.
  Posso concludere con una battuta. Dico spesso ai nostri studenti, che in molti casi arrivano al primo anno di università con scarsissime esperienze musicali: si può vivere bene anche senza il Don Giovanni e senza Il barbiere di Siviglia, però con il Don Giovanni e con Il barbiere di Siviglia si vive meglio.

  PRESIDENTE. Grazie. Il senatore Razzi vorrebbe esprimere una riflessione.

  ANTONIO RAZZI. Grazie, presidente. Mi qualifico: io ero operaio in Svizzera e mi trovo da nove anni in Parlamento, adesso al Senato, ma prima alla Camera. Giro tutto il mondo e in tutto il mondo ci invidiano per quello che possediamo e per le qualità che abbiamo. Cito un proverbio o, come si dice in tedesco, uno Sprichwort: «L'albero si raddrizza quando è piccolo». Con questo voglio dire che bisogna incominciare dai bambini, fin dall'asilo, anche laddove si gettano le carte per terra, come si fa in Svizzera, educandoli a camminare per la strada. Questo, ahimè, non si fa e non ne conosco la motivazione. Sono di ritorno da un viaggio nella Corea del Nord; lì hanno un palazzo, con grandi padiglioni, dove tutti i ragazzi, per quattro o cinque anni, studiano la musica (violino, organo, organetto). È una cosa impressionante: non ho mai visto questo in Italia.
  Non parliamo delle Americhe, che sono affascinate dalla nostra musica. In tutta l'Asia, incominciando dal Vietnam – dove sono stato – e dal Giappone, studiano la nostra lingua solo per capire l'opera di Verdi, di Paganini o di Puccini. Invece noi, a destra come a sinistra, non facciamo niente per mantenere la nostra cultura e la nostra arte. Mi collego a quanto diceva il professore di Napoli. Noi abbiamo tanta Pag. 15arte che è buttata nei sotterranei perché non si fa niente per metterla in mostra. Tutto il mondo si chiede: perché non ce la regalate, visto che voi ce l'avete in cantina. Non parliamo del nostro design o della nostra gastronomia. Nella gastronomia, dove ci copiano di tutto e di più, noi abbiamo una perdita di circa 60 miliardi all'anno di entrate: perdiamo quasi 100 miliardi all'anno ! Perdiamo 40 miliardi con il turismo e con l'arte e 60 miliardi con la gastronomia, perché da tutto il mondo ci copiano i nostri prodotti.
  Io ho fatto uno studio. Pensavo che la Cina fosse il primo Paese a copiarci l'alimentazione, invece, ahimè, è l'America, dove su otto prodotti, sette sono falsi e uno è italiano. Come vede, io non sono uno che fa giri di parole e non sono un professore, però vado alla sostanza: destra e sinistra, dobbiamo metterci una buona volta d'accordo per mantenere la nostra cultura, che ci viene invidiata in tutto il mondo ! Dobbiamo, inoltre, fare qualcosa di più per quanto riguarda il Ministero della cultura. Il Ministero della cultura non è un Ministero da quattro soldi: è un gran Ministero ! Bisogna portarlo avanti per mantenere la nostra cultura, in modo che ai nostri figli e nipoti lasciamo la cultura che ci hanno lasciato i predecessori.

  PRESIDENTE. Ringrazio il senatore Razzi per queste interessanti considerazioni. Purtroppo, stanno per iniziare le votazioni alla Camera, per cui dobbiamo chiudere i nostri lavori. Ringraziamo nuovamente i nostri ospiti. Speriamo di averli ancora con noi quando presenteremo i risultati dell'indagine conoscitiva. Attendiamo ulteriori approfondimenti, anche via e-mail. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.15.