XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 22 di Martedì 17 maggio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori.
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI MINORI FUORI FAMIGLIA

Audizione della Presidente del Coordinamento delle associazioni familiari affidatarie ed adottive in rete (CARE) e dei rappresentanti del Coordinamento associativo «Ubi minor».
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 3 
Columbu Annamaria , rappresentante del Coordinamento associativo «Ubi Minor» ... 3 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 8 
Ferritti Monya , Presidente del Coordinamento delle associazioni familiari affidatarie ed adottive in rete (CARE) ... 8 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 10 
Bechis Eleonora (Misto-AL-P)  ... 10 
Columbu Annamaria , rappresentante del Coordinamento associativo «Ubi Minor» ... 10 
Bechis Eleonora (Misto-AL-P)  ... 10 
Columbu Annamaria , rappresentante del Coordinamento associativo «Ubi Minor» ... 11 
Ferritti Monya , Presidente del Coordinamento delle associazioni familiari affidatarie ed adottive in rete (CARE) ... 11 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 11 

(La seduta termina alle 15) ... 11 

ALLEGATO: Intervento integrale della presidente del Coordinamento delle associazioni familiari affidatarie ed adottive in rete (CARE) ... 13

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MICHELA VITTORIA BRAMBILLA

  La seduta comincia alle 14.20.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione della Presidente del Coordinamento delle associazioni familiari affidatarie ed adottive in rete (CARE) e dei rappresentanti del Coordinamento associativo «Ubi minor».

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui minori fuori famiglia, l'audizione della Presidente del Coordinamento delle associazioni famigliari affidatarie ed adottive in rete (CARE), la dottoressa Monya Ferritti, che è accompagnata dalla responsabile per gli affidi per la regione Lazio del CARE, la dottoressa Maria Teresa Berliri, e l'audizione dei rappresentanti del Coordinamento associativo «Ubi minor», la dottoressa Raffaella Nardini e la dottoressa Annamaria Columbu.
  Io, quindi, ringrazio intanto la dottoressa Columbu, rappresentante del Coordinamento associativo «Ubi minor», per la sua disponibilità e le cedo la parola. Lei, se vuole, può fare una sua relazione che immagino abbia preparato, così la registriamo.

  ANNAMARIA COLUMBU, rappresentante del Coordinamento associativo «Ubi Minor». Ringrazio la presidente dell'invito e anche gli onorevoli presenti.
  Io sono presidente di un'associazione di Pisa, Famiglia Aperta, che, da più di vent'anni, si occupa di affidamento di minori. L'associazione partecipa al Coordinamento regionale «Ubi minor» che è un coordinamento associativo per la tutela e la promozione dei diritti dei bambini, formato da associazioni toscane attive nel campo della tutela e della promozione dei diritti dei bambini; nasce, come coordinamento informale, da un gruppo di associazioni del territorio che avevano lavorato insieme per preparare la Conferenza regionale toscana di novembre del 1997.
  Il nome che il coordinamento si è dato, parafrasando il motto latino ubi maior minor cessat, vuole proporre un ribaltamento di prospettiva, in materia di tutela dei diritti dei minori, e significare che il diritto dell'adulto deve cedere, comunque, il passo di fronte al preminente interesse del bambino e che, dove vi è un minore in difficoltà, è necessario che si sviluppi un coordinamento di interventi a sua difesa: ubi minor ibi tutor.
  Attualmente, le associazioni che partecipano a questo coordinamento sono dislocate nelle principali città della Toscana. Due sono a Firenze e le altre sono a Prato, Lucca, Pisa, Pontedera, Staggia Senese, Siena e Arezzo. Siamo molto vicini anche a gruppi informali di Livorno e a due associazioni di Grosseto, che, essendo un po’ dislocate, difficilmente riescono a partecipare agli incontri.
  Nel corso degli anni, sono state assunte dal coordinamento molte iniziative a tutela dei minori e sono stati mantenuti stabili rapporti con persone ed enti, investiti del Pag. 4potere pubblico e operanti nel settore minorile. Sono stati segnalati i necessari interventi a favore dei singoli minori, coerenti con la legge n. 184 del 1983.
  Il tema che è stato sempre a cuore a «Ubi minor» è il progetto per l'affido famigliare di neonati e bambini piccolissimi perché si vuole evitare, a questi minori a rischio, il prolungamento di ospedalizzazioni e la permanenza in strutture.
  Il Coordinamento associativo «Ubi minor» si fa innanzitutto portavoce delle istanze delle famiglie affidatarie, ma ritiene suo compito prioritario la promozione della cultura dell'affido, come strumento per venire adeguatamente incontro alle esigenze dei bambini e per una reale applicazione dell'articolo 1 della legge n. 184 ovvero il diritto del minore ad avere una famiglia adeguata alle sue esigenze di cura e di crescita.
  Come premessa generale, a proposito dei dati oggettivi e della loro lettura, diciamo che condividiamo quanto ha già detto, in questa sede, Liviana Marelli del CNCA, nell'audizione del 19 aprile, quindi riteniamo inutile ripetere l'analisi dettagliata e completa dei dati numerici e statistici.
  Con il nostro intervento, invece, vogliamo soprattutto dar voce alle famiglie affidatarie, risorsa e ricchezza della società. La loro è una voce che la prassi applicativa delle leggi spesso ignora o sminuisce. È ovviamente nostra convinzione che sia sempre necessario rivisitare teorie e pratiche della relazione con le famiglie fragili, per la prevenzione dell'allontanamento dei bambini dalle famiglie naturali. L'ideale sarebbe poter tempestivamente intervenire per diminuire il numero dei bambini in collocamento esterno alla famiglia e migliorare l'efficacia di quegli interventi di allontanamento che sono irrinunciabili.
  A questo proposito, l'istituto dell'affido part-time e soprattutto dell'affido consensuale rappresentano ottimi strumenti di prevenzione che, tuttavia, sono tanto efficaci quanto troppo spesso misconosciuti dalla pratica e dai protocolli.
  Nei confronti dei bambini allontanati, sentiamo forte il mandato di tutela, di protezione del legame e di aiuto anche alla famiglia naturale per il recupero delle competenze genitoriali. Nel nostro modo di concepire le relazioni complesse che entrano in gioco con l'affido eterofamigliare, non si recidono i legami e non si cancellano le relazioni, ma si integrano, piuttosto, e si compensano, quindi si arricchiscono e si affiancano.
  L'anello debole dell'affidamento famigliare è l'abbandono della famiglia naturale nonché la carenza o la discontinuità dei progetti di sostegno, di recupero e di promozione. In questa ottica, l'allontanamento del minore dovrebbe essere uno degli strumenti, l'ultimo esperibile, per il sostegno alla fragilità genitoriale.
  Riteniamo assolutamente indispensabile la relazione con la famiglia d'origine, allo scopo di: ascoltare i desideri, le aspettative e le paure; sospendere il giudizio; supportare con interventi diversi (educativi, psicologici, sociali, economici) e in differenti luoghi (a casa, nell'ambiente di vita, a scuola); sperimentare soluzioni creative; favorire un processo di riunificazione famigliare; ridurre i tempi dei collocamenti esterni.
  Segnaliamo, inoltre, la problematica impostazione adultocentrica, riscontrata in parte nella legislazione, ma – soprattutto e purtroppo – nella prassi, di tutti gli interventi relativi ai minori. Si tende a tutelare eccessivamente la potestà genitoriale, che somiglia piuttosto a un diritto di proprietà sul figlio. Non si dichiara facilmente la decadenza della potestà sui figli e, al contempo, inefficaci sono spesso gli interventi perché questa possa tornare a esprimersi pienamente e adeguatamente.
  Ribadiamo la nostra convinzione sul tema: il bambino deve essere soggetto e mai oggetto di diritti. I suoi tempi, che la pedagogia e la psicologia ampiamente definiscono e analizzano, sono tempi contratti, brevi e densi, e non meritano e mal sopportano i tempi decisionali degli adulti.
  Le linee guida per la prevenzione del maltrattamento all'infanzia, elaborate dall'Organizzazione mondiale della sanità, mettono in evidenza la centralità della prevenzione. Tra le strategie che vengono individuate come prioritarie, vi sono le visite Pag. 5domiciliari per la conoscenza diretta della famiglia.
  La risoluzione ONU 64/142, sulle linee guide dell'accoglienza famigliare dei bambini, raccomanda il ricorso all'affidamento famigliare, come strumento giuridico da incentivare, nei casi in cui il minore non possa rimanere nell'ambito del proprio nucleo famigliare, mentre, per restare in ambito nazionale, ci limitiamo a ricordare la modifica del Titolo V della Costituzione, che ha imposto allo Stato e alle regioni di impegnarsi alla costruzione di uno strumento che sensibilizzi all'utilizzo dell'affidamento famigliare.
  È in questo modo che, al termine di un complesso iter, si è giunti all'adozione da parte della Conferenza Stato-regioni delle linee d'indirizzo per l'affidamento famigliare che, dal 2012, completano l'indicazione normativa della legge n. 184, declinata in una pluralità di forme in base all'intensità del bisogno e dei tempi di accoglienza dei bambini e delle loro famiglie.
  Per l'attuazione di un programma d'intervento corretto e completo, sarebbe necessario l'intervento di un'apposita équipe del Centro affidi, di un lavoro integrato e condiviso tra le diverse figure professionali e soprattutto di interventi tempestivi con una scadenza di verifiche che rispetti i tempi dei bambini. Il tempo di un bambino non è mai quello della burocrazia. Un mese di tempo per un neonato è una vita intera di esperienze sofferte o negate. Un anno per un bambino di tre anni non è certo lo stesso tempo di vita e di esperienze che per un ragazzino adolescente.
  La Toscana indubbiamente si distingue per una certa attenzione di interventi. Per esempio, con la delibera del Consiglio regionale n. 348 del 1994, sono stati costituiti i Centri affidi. Noi abbiamo partecipato spesso a convegni della regione e abbiamo, ogni volta, fatto presente quelle che secondo noi sono le criticità.
  I Centri affidi non sono presenti ovunque sul territorio della regione. Inoltre, hanno spesso un organico insufficiente, orari molto limitati, équipe incomplete; a volte manca la psicologia. Negli ultimi anni, abbiamo assistito a ulteriori e costanti riduzioni di organico e di orari.
  Pochi o nulli sono stati gli interventi efficaci sulla famiglia d'origine, per costruire davvero il rientro del bambino. La famiglia affidataria non ha ruolo di risorsa e di soggetto attivo nel progetto. La rete sociosanitaria (neuropsichiatria, psichiatria, servizi per il bambino, per la famiglia d'origine e per la famiglia affidataria) che dovrebbe sostenere le famiglie è spesso carente o mancante. Inoltre, è troppo lunga l'attesa delle famiglie, ma soprattutto dei bambini in attesa, dalla disponibilità all'abbinamento eventuale.
  L'affido protratto sine die, fino al compimento della maggiore età del ragazzo e senza che un'idea progettuale accompagni o monitori questo percorso, è ancora troppo frequente nelle comunità per i neonati. Noi ci siamo posti questi interrogativi: i Centri affidi sono servizi essenziali? Non ci ha ancora risposto nessuno.
  In base ai compiti obbligatori o meno dei servizi essenziali, vengono distribuite le risorse e suddivise le competenze sociali e sanitarie. Per i servizi sociali, il compito obbligatorio è la valutazione delle famiglie naturali, la diagnosi di recuperabilità. La famiglia naturale deve essere seguita e valutata sulle risorse e sulle fragilità che ha, ma ci sono risorse per questo lavoro? La mancanza della valutazione realistica e attenta della famiglia naturale e soprattutto la mancanza del sostegno costituiscono l'anello debole dell'affidamento.
  Ci si chiede se non sia considerata ormai normale e accettabile la durata sine die dell'affido eterofamigliare perché, in mancanza di queste risorse, ne consegue l'impossibilità di gestire correttamente gli affidi da parte dei servizi, di considerare le famiglie affidatarie partner reali e reali risorse nel singolo progetto di affido e di attuare gli interventi per un reale cambiamento della situazione di fragilità delle famiglie naturali.
  Ci domandiamo anche: è possibile gestire la conflittualità tra gli affidatari e la famiglia naturale? Siamo consapevoli che la relazione, soprattutto in caso di affidi giudiziari che vedono una forte opposizione Pag. 6 della famiglia naturale, crei un conflitto interno alla famiglia affidataria perché spesso genera un sentimento di fallimento e una perdita di motivazione che ovviamente non vanno a vantaggio dei minori accolti. Inoltre, riteniamo che sia moralmente non corretto che gli affidatari siano lasciati da soli nella gestione di queste relazioni, soprattutto nei casi più difficili.
  Abbiamo sempre proposto come irrinunciabili questi punti: incremento di persone e di risorse nei Centri affidi esistenti, ma anche creazione dei Centri affidi nei luoghi che non ne hanno e coordinamento reale, anche con l'ausilio di strumenti informatici, tra i vari Centri affidi.
  La prassi è che non si scambiano le risorse e che, temendo di non averne in caso di bisogno, si tengono piuttosto in attesa famiglie pronte e motivate. La nostra esperienza è che una famiglia affidataria che lavora utilmente per una famiglia e un bambino in difficoltà e che sia sostenuta dal Centro affidi genera, per modellamento, per passaparola e per testimonianza, altre famiglie affidatarie.
  Noi chiediamo l'obbligatorietà del progetto di affido e delle sue costanti verifiche, ma anche il monitoraggio del progetto. Spesso ci sono dichiarazioni di intenti fatte a voce o soltanto i calendari degli incontri.
  Chiediamo l'ascolto del minore, per quanto è possibile, cioè sempre, perché, secondo le sue capacità, si senta importante in questo progetto.
  Vogliamo una tenuta del registro degli affidi perché non si perda la memoria e si possa ricostruire una storia nonché le linee guida sull'affidamento famigliare che vincolino i comuni, le ASL e le società della salute. Vogliamo pratiche uniformi anche per i contributi dell'affido, che spesso sono molto difformi a seconda dei territori.
  È impegno della regione emanare linee d'indirizzo per l'affidamento – a dir la verità, a Firenze qualcosa sta nascendo – di neonati e bambini piccoli, per facilitare le situazioni di un servizio specifico per l'affidamento temporaneo eterofamigliare, sul modello di Torino e di Genova, che funzionano egregiamente già da tantissimo tempo e sono stati per molti anni il nostro riferimento e il desiderio di poter riprodurre qualcosa che gli assomigli.
  Vorremmo che fosse garantito un reale sostegno, anche economico, a favore dei percorsi di avvio all'autonomia per i ragazzi in affido famigliare, dopo il raggiungimento della maggiore età. Vorremmo che fosse anche garantita una reale integrazione sociosanitaria nonché priorità e gratuità di accesso per i servizi e le risorse dei comuni e delle ASL, con particolare riferimento alle prestazioni di natura psicologica, nel caso anche della psicoterapia.
  Si dovrebbe facilitare l'accesso dei bambini in affidamento ai nidi e prevedere la gratuità per le mense e magari per i libri scolastici, ma anche facilitare i permessi di soggiorno per i bambini affidati extracomunitari.
  Noi vorremmo anche fare, se ne abbiamo il tempo, una breve appendice sui soggetti dell'affido e i loro principali vissuti. Vorremmo tratteggiare per flash quello che vediamo come associazioni, negli incontri a sostegno delle famiglie affidatarie e nella frequentazione dei servizi.
  Tra i soggetti, c'è la famiglia affidataria che dà disponibilità all'affido, frequenta il corso di preparazione presso il Centro affidi e coinvolge, nel percorso e nel suo impegno, i figli e l'intera famiglia.
  I figli naturali devono essere considerati con maggiore attenzione nei percorsi di affidamento alle famiglie. La famiglia non ha capacità illimitate, per cui, se viene lasciata sola, si può causare la presunzione di essere il salvatore del mondo, il che è molto pericoloso.
  La famiglia affidataria offre un'ampia disponibilità e può essere flessibile per andare incontro ai bisogni dei bambini, oltre che delle famiglie d'origine. Alla famiglia affidataria, viene chiesto di essere rispettosa della privacy della famiglia d'origine e, difatti, questa chiede di sapere quanto è necessario per gestire la relazione con l'affidato.
  Qualche volta, c'è un vissuto delle madri che provano lo spiacevole sentimento di aver rubato un figlio alla madre naturale. Il bambino affidato, da parte sua, rimuove Pag. 7gran parte del vissuto con la famiglia d'origine e spesso vuol fare lui il genitore, in uno scambio drammatico dei ruoli. Il bambino è sempre protettivo nei confronti della sua famiglia, con atteggiamenti anche omertosi, perché non riferisce mai aspetti negativi della sua famiglia d'origine, ed è cauto nell'avvicinarsi. Tuttavia, spesso l'attaccamento alla famiglia affidataria è veramente importante per la sua crescita e forte nel suo vissuto.
  Soggetti importanti sono anche i figli naturali delle famiglie affidatarie. Loro fanno domande dirette e non hanno schermature e mediazioni culturali e diplomatiche, per cui, se sono piccoli, devono conoscere una storia vera da poter raccontare, per socializzare con gli amichetti che fanno parte della rete, mentre, se sono grandi, sono protettivi e possono essere un valido aiuto, oltre che modelli utili e ciambelle di salvataggio.
  La famiglia naturale può essere altalenante, tra il desiderio di delegare totalmente e il bisogno di controllo su quello che succede. Tale famiglia ha bisogno di gestire anche la sua rabbia e spesso fantastica di essere, a sua volta, presa in affido insieme al proprio figlio e di formare un'unica famiglia perché da sola non ce la fa.
  La famiglia naturale sa offrire un'immagine di sé adeguata, quando si sente sotto esame, ma, sotto l'atteggiamento compiacente, spesso emerge la rabbia e il desiderio di rivalsa. Inoltre, questa famiglia talvolta è affettiva nei riguardi del figlio, ma spesso non risponde alle consegne precise e legittime dei servizi, così come fa fatica, a sua volta, a far emergere che ha messo in atto un cambiamento positivo. È difficile vedere che una famiglia sgangherata, invece, stava facendo un cammino di cambiamento.
  Che dire della vita reale di questo sistema che è complesso? Il quotidiano è sempre un compromesso, tra le aspettative di guarigione e l'accettazione di sfide, ed è tutela dal dolore per le condizioni precarie dei genitori naturali, ma anche gestione della rabbia scaricata sugli affidatari tra le loro promesse mancate. Inoltre, il quotidiano è paura per atteggiamenti di deriva famigliare e speranza che nasca una nuova storia, ma è anche spinta alla separazione da un contesto pericoloso e desiderio di salvare la parte buona delle radici del bambino. Infine, il quotidiano è volontà di costruire atteggiamenti di accettazione e timore del fascino dell'imitazione e della trasgressione, ma è anche desiderio di riprendere il figlio e fatica a risalire la china, scoraggiati dai preconcetti con cui si è osservati.
  Le famiglie affidatarie che vissuto hanno rispetto ai servizi sociali? Le loro parole espresse sono: non abbiamo diritti; siamo solo gli affidatari, un contenitore, un parcheggio; dobbiamo stare al nostro posto; non siamo noi la risorsa centrale del progetto; dobbiamo essere sempre a disposizione; non abbiamo riconoscimenti; se l'affido finisce, entriamo in un buco nero; non siamo più nessuno. Non si devono promettere cose che non si possono mantenere.
  Il progetto non è unitario e chi si occupa degli adulti vede il bambino spesso come terapia per i genitori e non condivide il progetto educativo sul bambino. Non c'è raccordo tra i vari servizi e le istituzioni, che si muovono alla giornata e navigano a vista. Talvolta, i servizi appaiono a muoversi in modo punitivo nei confronti dei genitori naturali.
  Le valutazioni di inadeguatezza sono vissute come abbandono al destino e non stimolo per la famiglia naturale, stimolo a riappropriarsi del ruolo genitoriale. I bambini devono sempre aspettare le lungaggini burocratiche degli adulti.
  La famiglia affidataria deve sapere cosa sa il bambino, cosa gli è stato detto, cosa ha vissuto, cosa ha subito nella sua storia precedente. I servizi spesso omettono affermazioni importanti, ma non si preoccupano del fatto che la famiglia affidataria possa poi decidere di interrompere il progetto perché si svelano scenari famigliari.
  Le aspettative, quindi, sono ovvie: chiarezza; pari livello di collaborazione tra servizi sociali e famiglie; progetto condiviso, quindi anche flessibile: se cambiano le condizioni, cambia parte del progetto; sostegno psicologico per la famiglia affidataria nel suo complesso; accordo su una Pag. 8storia vera da raccontare al bambino, condivisa e comprensibile; supporto e sostegno alla famiglia di origine; nei casi di irrecuperabilità devono seguire azioni chiare per tutti, compreso il figlio in affido. I bisogni e i tempi del bambino devono essere prioritari ed è chiaro che ci deve essere un adeguato riconoscimento del ruolo sociale e del lavoro degli affidatari.
  Noi ci fermiamo qua.

  PRESIDENTE. Grazie mille. Abbiamo acquisito questo testo, quindi comunque sarà facile veicolarlo. La ringrazio e le faccio i complimenti.
  Do la parola alla presidente del CARE, la dottoressa Monya Ferritti.

  MONYA FERRITTI, Presidente del Coordinamento delle associazioni familiari affidatarie ed adottive in rete (CARE). Grazie, Presidente. Il CARE è un Coordinamento di 33 associazioni famigliari adottive e affidatarie.
  Per quanto riguarda quest'audizione, abbiamo individuato quattro urgenze sui minori che sono fuori famiglia. Ovviamente, condividiamo molte di queste urgenze con chi ci ha preceduto, anche con il Coordinamento «Ubi minor» e con tutte le associazioni perché, quando il tema è questo e le associazioni vi lavorano su, è evidente che c'è una sovrapposizione, ma io la ritengo una sovrapposizione positiva. Si vede che stiamo individuando bene quali possono essere le emergenze.
  Le quattro urgenze del Coordinamento CARE, di cui vi vorrei parlare, sono il sostegno alle adozioni e agli affidamenti difficili, cioè agli affidamenti sine die, alle adozioni interrotte e agli affidamenti dei piccolissimi.
  Per quanto riguarda il sostegno all'adozione e all'affido difficili, riteniamo che questi siano i bambini più fragili e che hanno più bisogno perché sono i bambini che hanno handicap oppure sono gravemente malati.
  Ieri, il ministro Orlando ha individuato in 300 il numero dei bambini o dei ragazzi che sono adottabili, ma non sono adottati, ovviamente per motivazioni di particolare delicatezza che possono essere le condizioni di salute psicofisica oppure per patologie irreversibili.
  A volte, questi sono ragazzi che hanno almeno 15-16 anni e che sono refrattari all'accettazione di nuovi legami famigliari, dopo quelli che hanno avuto, quindi sono dei bambini e dei ragazzi su cui è difficile investire.
  Nonostante ciò, noi pensiamo che si debba promuovere ogni tipo di intervento per superare l'istituzionalizzazione di questi bambini, benché si tratti di case-famiglia, attraverso un maggiore sostegno professionale e una maggiore rete, quindi attraverso un'interazione di questa rete, nonché un maggiore investimento economico, soprattutto verso le famiglie che si fanno carico di questo tipo di adozioni o di affidamenti.
  Le famiglie vanno formate perché non ci si può improvvisare nuovi genitori affidatari o nuovi genitori adottivi di bambini con tali esigenze. Troppo spesso, abbiamo visto gli abbinamenti fallire, sia per quanto riguarda gli affidi sia per quanto riguarda l'adozione. Io sono di Roma e ho visto molti casi accadere qua, con il Tribunale di Roma. Si trattava magari di ragazzini di undici o dodici o tredici anni, sani in questo caso, però comunque con un'età fra l'adolescenza e la preadolescenza, che sono stati in famiglia pochi mesi e poi sono rientrati nelle case-famiglia.
  Queste sono cose che vanno seguite con particolare cura perché si tratta di passaggi che non devono accadere. Una volta che viene individuata la famiglia, questa deve essere stata preventivamente formata, per il vissuto di quel ragazzo e di quel bambino, e deve essere accompagnata in una rete sociale attenta.
  Per quanto riguarda gli affidi sine die che citava prima anche «Ubi minor», ormai la metà degli affidi che avvengono in Italia di tipo eterofamigliare hanno un carattere di definitività, cioè si tratta di affidi di bambini e di ragazzi per i quali, per nessun motivo, c'è un progetto di rientro in famiglia perché le famiglie non sono, in qualche modo, recuperabili. Nonostante questo, Pag. 9 non si interrompono i legami famigliari.
  Che cosa manca in questo caso? Mancano gli strumenti adatti a gestire affidi di lunga o definitiva durata che in questo momento vengono, invece, gestiti come se fossero degli affidamenti provvisori di due anni più due, ma non è così, perché deve essere ben chiaro al legislatore il fatto che si tratterà di una famiglia prevalente. C'è la famiglia prevalente e poi c'è la famiglia di origine che in questo caso deve stare più sullo sfondo perché il bambino e il ragazzo hanno bisogno di legami più stabili e solamente la famiglia prevalente glieli può dare.
  Devono essere conservati ovviamente i legami con la famiglia di origine, altrimenti il bambino sarebbe dichiarato adottabile. In questo caso non è così, però è importante appunto che ci siano dei legami stabili nonché la capacità e l'autorità da parte della famiglia di poter prendere delle decisioni su questo bambino o su questo ragazzo con nuovi strumenti che in questo momento non ci sono.
  Bisogna, quindi, colmare il gap che esiste fra la teoria e la realtà. La teoria è che i bambini restano in affido due anni, mentre la realtà è che ci restano ben oltre il diciottesimo anno di età.
  Bisogna ripensare l'affido famigliare secondo le diverse tipologie di affido. Quello temporaneo va trattato come un affido temporaneo, che è l'unico che la legislazione riconosce. Poi, ci sono gli affidi di vicinanza, dove i bambini restano nelle proprie famiglie, e ci sono le famiglie del quartiere che si occupano di questi bambini, magari nel doposcuola o prestando delle attività ricreative.
  Ci sono poi gli affidi a lungo termine, quando c'è un progetto a lungo termine su una famiglia che si pensa recuperabile. Infine, ci sono gli affidi sine die di cui vi ho parlato ora e quelli a rischio giuridico e ad esito incerto che vanno a sbocciare magari in un'adozione. Anche questi vanno particolarmente seguiti perché nel passaggio, dall'affido all'adozione, la famiglia va accompagnata, cioè vanno date tutte le informazioni e va curata una fase delicata appunto che è quella del rischio giudiziario o dell'esito incerto.
  Devono essere fatte anche delle ipotesi per quanto riguarda l'adozione aperta, che in questo momento in Italia non esiste, però potrebbe essere pensata come un modo per dare continuità affettiva e una famiglia stabile ai tanti bambini che sono in comunità e che hanno, invece, dei legami con la famiglia di origine, in qualche modo stabili e presenti e che non devono essere interrotti.
  Per quanto riguarda il ripensare l'affido, vanno pensati dei tempi certi, appunto due anni, che non significa molti anni, e vanno stabiliti dei criteri valutativi su quale è la tipologia di affido e il recupero della famiglia di origine. Vanno regolamentati i rapporti e va offerto un sostegno alla famiglia affidataria. Inoltre, vanno stabiliti dei tempi certi per quanto riguarda l’iter in appello.
  Vorrei spendere una parola anche sulle adozioni interrotte, cioè quando i bambini e i ragazzi tornano in comunità, dopo aver vissuto un periodo di adozione più o meno lungo. Questi sono bambini e ragazzi che possono avere o non avere rapporti con la propria famiglia adottiva rescissi. A volte, si tratta di passaggi in comunità che sono in qualche modo curativi e necessari, specialmente per quanto riguarda l'adolescenza. A volte, questi ragazzi non tornano più con la propria famiglia. Si tratta di ragazzi fragilissimi perché provengono già da un vissuto fatto di abbandoni, a volte più abbandoni, e di traumi sicuramente subiti.
  La prima cosa da fare, secondo noi, è una mappatura di questo fenomeno, cioè una mappatura delle dimensioni per individuare successivamente quanti possono essere i fattori di rischio di questa situazione.
  Per prevenire tutte le possibili criticità riguardanti l'adozione, vanno fatte, molto accuratamente, le analisi delle risorse delle coppie. L'adozione è cambiata e l'età media è sempre più alta. Inoltre, arrivano bambini con caratteristiche psicofisiche molto complesse e non tutte le famiglie sono in grado di far fronte alla gestione di questa tipologia di bambini e di ragazzi, quindi le famiglie vanno preparate e serve maggiore Pag. 10formazione. Inoltre, vanno curati gli abbinamenti, il che significa dare tutte le informazioni possibili alla famiglia adottiva anche sulla famiglia d'origine, se esistono, o sulle condizioni di salute di questo bambino o su tutti i passaggi che ha dovuto fare prima di arrivare alla famiglia adottiva.
  Vanno costruite delle reti polifunzionali di sostegno perché la famiglia adottiva non può stare da sola, ma deve avere una rete attorno, fatta di operatori formati, soprattutto sull'adozione.
  Serve un progetto di recupero e di accompagnamento all'autonomia, come diceva prima anche «Ubi minor», di quei ragazzi che restano in comunità fino ai 18-21 anni. Poi, serve un investimento per questi ragazzi che, quando escono, non sanno cosa fare e dove andare, con chi stare e non hanno persone di riferimento della propria famiglia a cui rivolgersi, e si trovano sostanzialmente da soli.
  Sulla tutela dei bambini piccolissimi, vorrei dire solo due parole perché se ne è già parlato. In merito, è evidente che c'è una polarizzazione del ricovero in comunità, sia per quanto riguarda la fascia 0-2 sia per quanto riguarda gli adolescenti. Queste sono le due classi di età in cui molto più spesso i bambini, invece di stare in affido famigliare, finiscono nelle case-famiglia.
  Per quanto riguarda i bambini 0-2, si tratta di due bambini su tre. Questi sono davvero troppi e non dovrebbe essercene nemmeno uno. Chi più dei bambini così piccoli ha bisogno di legami di attaccamento stabile? Non si capisce perché la maggior parte di questi bambini finisca, invece, nelle case-famiglia. C'è, quindi, una vera emergenza per quanto riguarda questo.
  Chiediamo che per tutti i bambini che hanno meno di otto anni sia sempre preferibile comunque l'affidamento famigliare e per quanto riguarda i bambini piccoli e piccolissimi, di 0-2 e 0-3 anni, lo sia sempre, in maniera esclusiva.
  Certo, serviranno le famiglie ponte. Ci sono tante esperienze che sono state dette prima. Va fatta una migliore selezione delle famiglie per quanto riguarda l'affidamento di questi bambini piccolissimi, ovviamente, con dei protocolli. L'affidamento famigliare, riguardante bambini così piccoli, deve essere assolutamente incentivato, anzi va fatto solo quello. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ELEONORA BECHIS. Ci sono dei passaggi che mi sfuggono, come gli ultimi esempi che ci ha fatto sulle famiglie ponte.
  Sono rimasta colpita dalla frase della Presidente Columbu, quando parlava di figli affidatari, non di bambini affidatari, ma di figli affidatari, quindi capisco qual è il vostro sentimento nell'esporci questi dati che ci presentate.
  Mi piacerebbe approfondire questo discorso perché poco abbiamo parlato di affidi, piuttosto abbiamo parlato di allontanamenti, per i quali è diversa la prospettiva.
  Mi hanno colpito le ultime battute sulla fascia 0-2 e 0-3 anni. Effettivamente la continuità affettiva per questi bambini è veramente importante, perché è il periodo di vita dove un giorno vale anni, non vale neanche mesi. Grazie.

  ANNAMARIA COLUMBU, rappresentante del Coordinamento associativo «Ubi Minor». Non so se posso rispondere. La domanda sui figli affidatari forse merita una precisazione.
  Io ho parlato di figli naturali degli affidatari che devono stare nel progetto e sono una risorsa indubbiamente importante. Forse, c'è l'equivoco che i bambini che vengono dati in affidamento siano considerati figli. Bene, questi sono considerati senz'altro alla stregua di figli e tutte le famiglie affidatarie non fanno la distinzione, però da parte delle associazioni è forte la raccomandazione di pensare soprattutto alla famiglia naturale del bambino e averla sempre presente. Quella deve restare lì, insieme a loro, e loro non possono veramente appropriarsi di un bambino e considerarlo un figlio proprio, nel senso del diritto ad avere il figlio. Non so se c'è stato questo equivoco. Forse non ho inteso bene la sua domanda.

  ELEONORA BECHIS. La mia è una riflessione più da mamma.

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  ANNAMARIA COLUMBU, rappresentante del Coordinamento associativo «Ubi Minor». Sulle famiglie ponte poi dirà meglio anche la rappresentante del CARE, ma vorrei dire che noi ci crediamo moltissimo, cioè i bambini piccoli devono essere dati assolutamente a una famiglia. Un bambino deve trovare, la notte, quando si sveglia, lo stesso abbraccio che ha avuto il giorno.
  Nelle migliori comunità, gli educatori ovviamente turnano e sono assolutamente competenti professionalmente ed è chiaro che «fanno le bucce» a tutte le mamme di questo mondo, però i bambini non hanno bisogno di professionisti, perché hanno bisogno di un affetto.
  Certo, i professionisti possono orientare, aiutare eccetera, però c'è bisogno di un progetto, come si diceva giustamente, perché, più ancora che per i bambini un po’ più grandi in affidamento, per i piccoli ci vuole un progetto dedicato, in cui s'investono più risorse per l'accompagnamento e le famiglie ponte devono essere pronte a ridarlo nelle braccia della famiglia affidataria oppure della mamma che lo riprende.
  Ci dice la psicologia che il bambino piccolo percepisce, sente ed è competente dei linguaggi emotivi, quindi, se io ti tengo in braccio perché voglio che tu sia mio figlio e non ti voglio dare a nessuno, il bambino lo sente. D'altronde, se io ti curo e sono la zia o la tata o la nonna, e aspetto la mamma, il bambino lo avverte. Il passaggio ad un'altra famiglia non è banale e non si può, come noi diciamo sempre, togliere un bambino piccolo da una famiglia e poi si presentano i carabinieri a dirgli «lo dovete dare in adozione a un'altra famiglia». Lo dico perché è successo.
  Forse la dottoressa Ferritti vuole aggiungere qualcosa.

  MONYA FERRITTI, Presidente del Coordinamento delle associazioni familiari affidatarie ed adottive in rete (CARE). Con la legge sulla continuità degli affetti, questa situazione si è risolta, tranne che per i single, dove invece questo passaggio è stato purtroppo stralciato.
  Si costituiscono, in questo modo, due categorie diverse di bambini, quelli che sono in affidamento alle coppie, per cui può accadere che il bambino diventi adottabile e la famiglia lo può adottare in virtù della continuità degli affetti. Questo, però, non accade per quanto riguarda i single.
  Le famiglie ponte sono le famiglie che tengono per un periodo limitato i bambini e, a volte, sono le famiglie dell'emergenza. Accade che, quando i bambini vengono tolti da situazioni abusanti e hanno bisogno di un ricovero immediato, invece di portarli in una comunità, si portano in una famiglia. Solitamente si tratta di famiglie che devono essere particolarmente formate perché portano bambini di tre o di sei mesi, piccolissimi, che tu tieni qualche mese finché poi magari, se adottabile, visto che tu non hai l'età oppure non vuoi o per qualsiasi altro motivo, lo darai alla famiglia che lo adotterà.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio a nome di tutti i commissari. Alle 15 inizia l'Aula per cui noi dobbiamo concludere.
  Sicuramente, quando presenteremo quest'indagine conoscitiva, vi chiederemo di venire all'evento di presentazione, in modo da riproporre il vostro intervento.
  Noi ci crediamo molto in questa indagine conoscitiva. C'è la necessità di fare luce su tanti aspetti che magari non sono chiari o di richiamare a un diverso coinvolgimento le istituzioni, perché abbiamo visto che abbiamo dati del 2011, come ultimi dati ufficiali. Dunque, se si conosce il perimetro di una questione, magari si riesce anche a risolverla, ma, se non la conosci, è difficile arrivare a fare qualcosa di buono, quindi ci crediamo molto.
  Vi ringrazio per la vostra partecipazione e ci rivediamo la prossima volta.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.

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ALLEGATO

Intervento integrale della presidente del Coordinamento delle associazioni familiari affidatarie ed adottive in rete (CARE).

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