XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 21 di Martedì 10 maggio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI MINORI FUORI FAMIGLIA

Audizione del Presidente del Consiglio nazionale dell'ordine degli assistenti sociali (CNOAS), Gianmario Gazzi.
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 2 
Gazzi Gianmario , Presidente del Consiglio nazionale dell'ordine degli assistenti sociali (CNOAS) ... 2 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 7 
Bertorotta Ornella  ... 7 
Gazzi Gianmario , Presidente del Consiglio nazionale dell'ordine degli assistenti sociali (CNOAS) ... 7 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 9 
Mattesini Donella  ... 9 
Zampa Sandra (PD)  ... 11 
Bechis Eleonora (Misto-AL-P)  ... 12 
Gazzi Gianmario , Presidente del Consiglio nazionale dell'ordine degli assistenti sociali (CNOAS) ... 12 
Bartolomei Annunziata , Vicepresidente del Consiglio nazionale dell'ordine degli assistenti sociali (CNOAS) ... 14 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 15 

ALLEGATO: La professione di assistente sociale e gli interventi con le famiglie con minori d'età ... 16

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MICHELA VITTORIA BRAMBILLA

  La seduta comincia alle 14.25.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione del Presidente del Consiglio nazionale dell'ordine degli assistenti sociali (CNOAS), Gianmario Gazzi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui minori fuori famiglia, l'audizione del Presidente del Consiglio nazionale dell'ordine degli assistenti sociali, il dottor Gianmario Gazzi, che è accompagnato dalla vicepresidente, la dottoressa Annunziata Bartolomei.
  Peraltro, noi cogliamo quest'occasione per complimentarci con entrambi per il recente incarico. Sono passati circa 70 giorni dal conferimento di questo prestigioso ruolo e ovviamente, a nome di tutta la Commissione, io vi auguro buon lavoro, certa che ci sarà grande collaborazione tra i nostri due organismi e mettendovi a disposizione, fin d'ora, tutto quello che potrà esservi d'aiuto nello svolgere il vostro ruolo. Considerate ovviamente questo luogo un po’ casa vostra, quindi anche quello che, come uffici, come indagine eccetera, possiamo fornirvi come contributo; ovviamente siamo ben lieti di darvelo.
  Do subito la parola al dottor Gazzi per lo svolgimento della relazione.

  GIANMARIO GAZZI, Presidente del Consiglio nazionale dell'ordine degli assistenti sociali (CNOAS). Grazie del caloroso augurio e del benvenuto.
  Come Presidente del Consiglio nazionale, in rappresentanza di tutti e 42.000 i professionisti iscritti all'albo, apprezzo molto la disponibilità appena ricordata della Commissione a collaborare sulle indagini, ma anche sulle analisi.
  Voglio ricordare che l'ultimo documento presentato nella scorsa legislatura, in materia appunto di sostegno e cura dei minori e delle loro famiglie, vede la partecipazione anche della stessa Commissione bicamerale. Ne ho purtroppo solo poche copie che abbiamo portato, ma è in ristampa. A breve, vi faremo avere anche questa documentazione.
  Rispetto al tema di oggi, quindi all'indagine conoscitiva sui minori fuori famiglia, anche per non rubare tempo magari a un dialogo e a domande e questioni che possono essere d'interesse della Commissione – poiché abbiamo visto anche i resoconti delle audizioni precedenti e sappiamo che è un tema molto sentito dalla Commissione – vorrei portare una breve sintesi di quello che abbiamo prodotto come documento e che lasciamo in deposito, qua agli atti, in modo tale che possa essere diffuso anche ai commissari assenti, e poi magari, rispetto ad alcuni temi, fare delle proposte.
  Crediamo che il ruolo di tutti noi, nei confronti in particolare dei minori e delle loro famiglie in difficoltà, o allontanati o collocati in affido, sia quello di provare a Pag. 3trovare delle soluzioni e non solo di provare a fare un mero esercizio di analisi.
  Partiamo da una considerazione importantissima: l'allontanamento è un evento doloroso e si attua solo in casi di assoluta necessità. Tutto quello che si può fare, date le risorse disponibili in un determinato contesto familiare di un determinato territorio, quindi in una comunità, deve essere assolutamente provato, prima di arrendersi eventualmente a questo che è un intervento – ripeto – doloroso, in primis per il bambino e la sua famiglia, ma è anche doloroso per chi lo deve eseguire. Penso ai colleghi, ma anche le Forze dell'ordine e ai giudici che devono deciderlo e quant'altro.
  Secondo noi, bisogna sempre ricordarsi che tutti gli interventi professionali dell'assistente sociale sono orientati, in primis, a prevenire, sostenere e ridurre i rischi e a valorizzare e rinforzare le reti primarie e la tutela del minore nelle sue relazioni primarie, quindi la famiglia è oggetto di intervento professionale assieme al minore; non si mira ad escludere e non si guarda mai solo il minore, a meno che questi non sia solo.
  Detto questo, cosa abbiamo prodotto per la Commissione? Abbiamo prodotto un documento veramente sintetico, in cui trovate alcune indicazioni specifiche rispetto al servizio sociale professionale, cioè cos'è il servizio sociale professionale e qual è l'attività professionale degli assistenti sociali in Italia e anche nel resto del pianeta. Trovate la definizione data a livello mondiale di cos'è il servizio sociale professionale.
  Poi, abbiamo fatto una breve sintesi della normativa. In Italia, c'è una normativa di riferimento, ma ci sono anche, come spesso accade, una serie di altre normative, che non sono propriamente in conflitto, ma sicuramente, alle volte, creano delle difficoltà di comprensione o confusione anche sui mandati.
  Poi, ci siamo soffermati sulle alternative alla famiglia, quindi anche intervenendo nel cercare di spiegare brevemente quali tipi di strutture ci sono in Italia, perché spesso si parla, anche impropriamente, di case–famiglia, quando sappiamo che ci sono case–famiglia e ci sono comunità socioeducative e comunità sociosanitarie che hanno obiettivi, personale e strutturazione organizzativa completamente differenti, oltre che professionalità specifiche.
  Approfitto per ribadire, anche agli organi di stampa, che in Italia gli orfanotrofi sono chiusi da un po’ di anni e che la figura professionale degli assistenti sociali dagli anni Settanta è impegnata, anche più di recente, rispetto ad altre strutture rivolte alla psichiatria, come gli ospedali psichiatrici giudiziari. Per noi, in primo luogo bisogna deistituzionalizzare, perché il nostro mandato è fuori dalle strutture, cioè cercare in tutti i mondi di mantenere le persone nell'ambiente d'origine e nei loro contesti di vita normale.
  Poi, abbiamo fatto un approfondimento. Sappiamo che il problema, spesso, è legato alle cifre. Tali cifre, oggi, sono ferme perché l'ultima indagine risale al 2012 e alcuni dati rispetto ai decreti sono del 2013. Successivamente, bisogna andare regione per regione, sperando ci siano dati più attendibili e più recenti, per vedere qual è la situazione dei minori fuori famiglia.
  Quello che emerge e su cui vorremmo fare una sottolineatura è che, al 2013, il numero dei decreti di allontanamento è in diminuzione rispetto al 2000. C'è un trend che dimostra che i decreti di affido fuori dal proprio nucleo famigliare siano in costante diminuzione, mentre sono in aumento i decreti per affidamento famigliare, quindi l'idea che si ricorra alle strutture in modo prioritario è smentita dai dati, almeno fino al 2013.
  Siamo anche certi che i dati confermino una diminuzione costante dei minori stranieri non accompagnati. Siamo certi che c'è una diminuzione del ricorso alle strutture e alle comunità rispetto ad altri strumenti. Sarebbe auspicabile – lo sottolineo perché veramente lo lancio come ipotesi – e ci trova molto concordi l'idea che si trovino soluzioni di affidamento anche per i minori stranieri soli, non accompagnati, magari pensando ad un affidamento cosiddetto «omoculturale».
  Inoltre, se consideriamo che, al 2012, comunque per il 15 per cento dei minori Pag. 4presso strutture erano collocati, secondo i dati, minori stranieri non accompagnati, rendiamoci conto di che numero sia. Complessivamente i minori, al 2012, presso le strutture erano poco più di 17.000, dei 30.000 fuori famiglia. Questi che voi trovate sono i dati del Ministero ri–elaborati e incrociati con quelli dell'Istat. In realtà, spesso vengono forniti, anche sui mezzi di stampa, dati che mal si conciliano con la realtà. Vengono classificati minori fuori famiglia, dando l'idea che siano tutti presso strutture, quando, in realtà, la metà dei minorenni è collocata in affido e, dei 17.000 presenti, un 15 per cento, come ho detto, sono minori stranieri soli sul suolo italiano.
  Io posso solo immaginare che, negli ultimi anni, questo numero sia aumentato considerevolmente. Come dicevo prima, è necessario intervenire con una legislazione che faciliti l'affidamento per poter, poi, anche costruire dei progetti di tutela e di futuro per questi ragazzini che scappano – ricordiamolo – da guerre, da miseria e da situazioni spesso di sfruttamento. Ricordo, sempre per tutti noi, che, secondo alcuni dati dell'Europol, in Europa sono scomparsi in un anno, o comunque non si trovano più, qualcosa come 10.000 minori, quindi stiamo parlando di cifre importanti e che interrogano la coscienza degli adulti e dei decisori, a livello europeo.
  Dopo questo quadro di dati, abbiamo pensato appunto di fare anche uno zoom regionale per dare l'idea di come, purtroppo, nel nostro Paese ci sia una differenza poco tollerabile dal nostro punto di vista. Non si può pensare che un bambino nato in un paesino del sud Italia sia differente, nei suoi diritti e nelle sue opportunità, da un bambino nato – lo dico a scapito mio – in una provincia autonoma del nord Italia. Noi sappiamo che la spesa sociale per interventi di welfare è molto diversificata e arriva ad essere dieci volte tanto in province come Trento o Bolzano o della regione Valle d'Aosta rispetto, per esempio, alla Calabria, alla Sicilia o al sud Italia.
  Noi pensiamo che ci debba essere il coraggio, da parte del Parlamento e dei ministeri, di porre finalmente almeno alcuni livelli essenziali di assistenza sociale (LIVEAS), se non i livelli essenziali di prestazione (LEP), per i minori. C'è un lavoro portato avanti dall'Autorità garante – e pensiamo che venga anche ripreso e riportato all'attenzione dei decisori – che prende appunto in considerazione i livelli essenziali per le persone minorenni, quindi quelli che devono essere i diritti garantiti e minimi per tutti i bambini in questo Paese. Penso che, anche qui, ognuno di noi sarà, poi, libero di fare i conti con sé e con le sue scelte.
  Abbiamo voluto, in conclusione del documento depositato, prendere in considerazione quelli che possono essere gli interventi di sostegno a favore delle famiglie perché, al di là dei minori collocati all'esterno del proprio nucleo famigliare, ricordiamoci che, in Italia, si allontana meno che nel resto d'Europa, quindi noi abbiamo anche delle buone pratiche.
  Qui, potrei citare il progetto Programma di intervento per la prevenzione dell'istituzionalizzazione (PIPPI) o altri progetti, come le ricerche portate avanti nel nostro Paese, dove si dimostra che interventi di prevenzione, di sostegno e di coesione, con e per la comunità locale, favoriscano la permanenza e la prevenzione eventuale di rischi per i minorenni, in situazioni di fragilità personali o di nuclei famigliari fragili.
  Questo significa che lo spunto vero dovrebbe essere quello di investire in forma preventiva rispetto ai minori, non eludendo, però, neanche un aspetto importantissimo, cioè che non si può prevenire tutto.
  Ci sono anche situazioni di disagio o di fragilità personale dei genitori o per patologie specifiche, ma anche – ricordiamolo – di maltrattamento o di abuso e quant'altro, in cui dobbiamo prima di tutto salvaguardare il minore e, poi, possiamo iniziare a discutere di terapie, di cure e di nuove opportunità, perché comunque l'approccio della nostra professione, rispetto all'affido o al collocamento in struttura, è quello di un rientro del minore nel proprio ambiente famigliare.
  Questo è un suo diritto, sancito dalla legge e dalle convenzioni internazionali, per cui bisogna fare in modo che i minori Pag. 5ritornino nei loro contesti, laddove è possibile. Per farlo, quello che io posso dire – non penso di parlare solo per gli assistenti sociali, ma anche per tutte le altre categorie professionali – è che bisogna investire in strumenti che ci permettano di lavorare con queste famiglie. Infatti, nelle conclusioni potrete trovare un insieme di proposte e di ragionamenti che vi elenco brevemente.
  Il primo punto è: la necessaria integrazione e la creazione di filiere che possano permettere interventi ad hoc per ogni persona. Ogni persona è diversa, ogni bambino è diverso e ogni famiglia è diversa. Noi dobbiamo riuscire a costruire delle filiere. Vi assicuro che sappiamo anche che gli interventi di natura sociale, educativa e psicologica tendenzialmente costino anche meno di interventi riparativi di natura sanitaria. Non possiamo lamentarci, poi, di giovani adulti che ricorrono magari a stili di vita particolarmente dannosi, su cui dover intervenire con il sistema sanitario, quando in precedenza abbiamo – permettetemi di dire – chiuso gli occhi rispetto a quello che stava succedendo.
  È, quindi, importantissimo ricordare che un'integrazione che parta dagli asili e dalle scuole, con i servizi sanitari e sociali del territorio, sia fondamentale per prevenire, ma soprattutto per accompagnare anche le famiglie più fragili ad un miglioramento delle loro condizioni. Creeremo ciclicamente situazioni di disagio, se non riusciamo ad intervenire precocemente.
  Aggiungiamo che serve investire sulle infrastrutture e sulle professioni. Lo dicevo: non è solo una questione di assistenti sociali, ma è una questione di diritti delle persone. Noi siamo di fronte a una situazione, nel nostro Paese, in cui da anni non si riescono più a sostituire i colleghi negli enti locali, per via del blocco delle assunzioni e delle risorse che sono state tagliate.
  Il risultato è che abbiamo di fronte a noi un panorama, dove per alcuni comuni – pensate alle situazioni di cui stavamo parlando, rispetto agli allontanamenti, per patologie importanti o anche per maltrattamenti, e al collocamento in strutture o in affido – il professionista cambia ogni quattro mesi, perché al massimo si riesce a fare un contratto a progetto. Denuncio pubblicamente che alcuni comuni sono riusciti a fare dei bandi di selezione per assistente sociale a titolo gratuito. Questi, chiaramente, sono stati contestati subito.
  Non si trattava di uno scherzo; questo bando è stato ritirato immediatamente, ma noi siamo di fronte a comuni di 20.000–30.000 abitanti con un unico assistente sociale, magari part–time, che non solo si occupa di minori, ma anche di disabilità, di anziani e di psichiatria. È come se, tra un attimo, ci chiedessero anche di camminare sull'acqua, e un pochino, ci stiamo provando. Ci stiamo specializzando anche in quello.
  Vi ripeto che non è una questione solo di assistenti sociali, soprattutto se proviamo a pensare a quello che sta succedendo. Ho letto alcuni resoconti di questa Commissione, dove si diceva: il numero di minori in alcune strutture è eccessivo rispetto al numero di educatori presenti.
  Ora, se continuiamo a fare bandi al massimo ribasso per questo tipo di strutture, come in alcune situazioni avviene, o addirittura arriviamo alla voucherizzazione del personale dentro le strutture, io credo che non stiamo dando un buon servizio alle nuove generazioni e ai bambini che dovremmo tutelare. Poi, lascio alle parti sindacali contrattare, però io non posso esimermi dal denunciare una situazione che è a danno delle persone che hanno dei diritti e soprattutto di persone minori d'età che non possono reclamarli da sole.
  Un altro punto, legato a quello precedente, è l'implementazione delle risorse. Va detto che nell'ultima legge di stabilità, così come in altri provvedimenti, sono stati stanziati dei fondi, sicuramente anche buoni, per affrontare almeno la situazione e per non arretrare ulteriormente. Certo, noi stiamo sperando ancora in una piena realizzazione della legge n. 328 del 2000 e stiamo sperando che tornino i fondi per la prevenzione. Pensiamo alla legge n. 285 del 1997 o ad altri interventi lungimiranti che investivano in servizi per i minori.
  Questo sarà valido fintanto che non si riesce a fare un piano organico che – lo Pag. 6ripeto – sia uguale su tutto il territorio nazionale, dopo di che piena autonomia verrà data alle regioni nell'individuare le priorità sul loro territorio perché sappiamo appunto che l'Italia è molto estesa e differenziata, ma un livello minimo deve essere garantito dappertutto.
  Un altro punto sicuramente è quello cui accennavo, cioè la perequazione. Ripeto che abbiamo territori in Italia, dove ci sono filiere di servizi e specializzazione di professionisti che possono anche avere una formazione continua permanente, e altri territori dove, invece che avere un professionista, si sfruttano – lasciatemelo dire – anche i volontari e il loro buon cuore. C'è una differenza tra una presa in carico professionale o multiprofessionale e il volontariato e di questo dobbiamo essere tutti consapevoli.
  Spesso all'esterno, per logiche di mercato e di risparmio, c'è un assistente sociale per quindici operatori o un educatore per quindici operatori, che non hanno il titolo. Questa è una situazione su cui, in Italia – visto che siamo una potenza a livello mondiale e ci riteniamo uno Stato capace di creare una cultura dei diritti – forse un ragionamento più approfondito dovrebbe essere fatto.
  In questo senso, arrivo anche alla necessità di avere una formazione più adeguata per le figure professionali, per i professionisti che sono assistenti sociali in particolare.
  Ricordo che, oggi, noi abbiamo una situazione di formazione universitaria per gli assistenti sociali che è composta da una laurea triennale e una laurea magistrale. In questo momento, servirebbe, a nostro avviso, intervenire per garantire un accesso alla professione dopo i cinque anni, e non dopo i tre. L'abbiamo richiesto in più occasioni perché siamo convinti che situazioni multiproblematiche richiedano una formazione di alto livello, non solo per gli assistenti sociali.
  Questo accade, per esempio, per altri tipi di professionisti, per i quali l'accesso pieno all'esercizio professionale è dopo i cinque anni. Oggi, invece, per gli assistenti sociali molto spesso, per i meccanismi che citavo prima, dai concorsi alle gare d'appalto eccetera, avviene questo paradosso. Spesso e volentieri, chi accetta delle sostituzioni di un mese o due mesi e i voucher? Si tratta dei neolaureati, cioè dei neolaureati triennali, che giustamente dovrebbero aver garantito un minimo di futuro, quindi devono fare anche un minimo di esperienza.
  Nelle situazioni più complesse, spesso nei servizi d'accesso per minori, troviamo colleghe e colleghi con laurea triennale, neolaureati e con pochissima esperienza. Noi vorremmo – e da anni lo chiediamo – una laurea quinquennale o una triennale in sequenza con una magistrale, per poter esercitare la professione di assistente sociale. Questo non vuol dire che gli assistenti sociali attuali non abbiano le competenze, ma che se le sono dovute fare, perché, dopo tre anni di università, spesso i colleghi, sacrificando vita privata e anche con i loro soldi, hanno dovuto fare o la magistrale o ancora dei master ultramagistrali o dei corsi di perfezionamento.
  Forse vale la pena fermarsi a pensare se sia preferibile investire due anni in più di università subito. I dati ci dicono che, in questo momento, per le nuove generazioni di colleghi, più del 70 per cento dei ragazzi fa la triennale e poi la magistrale, anche perché, giacché sono sui banchi dell'università, ne approfittano.
  Chiudo sul punto più importante, forse, per affrontare anche in una visione di sistema tutto il tema dei minori fuori famiglia, cioè un sistema nazionale di rilevazione. Questo permetterebbe di affrontare con più tranquillità i dati perché appunto, a seconda di chi viene qui a relazionare o in altri contesti di audizione, qualcuno può strumentalmente dire che i minori sono 30.000, mentre altri potrebbero dire che sono 17.000, oppure qualcuno potrebbe dire che sono 14.000 e qualcuno che sono più di 40.000.
  Serve sicuramente investire in una infrastruttura informatica e di rilevazione dei dati che permetta di avere un monitoraggio costante. Ripeto: bisogna capire quanti sono i minori stranieri soli sul territorio nazionale perché, quando parliamo, Pag. 7come dicevo prima, dei 30.000 fuori famiglia, sono compresi anche loro.
  Noi riteniamo che, per affrontare seriamente un fenomeno, bisogna conoscerlo. Oggi, se noi vediamo i dati, regione per regione, osserviamo che non c'è omogeneità nella rilevazione del dato, quindi io posso dire che in una regione ce ne sono 100 e in un'altra 200, però magari, in quella dove ce ne sono 100, non si contano appunto i minori o i minori stranieri o nell'altra magari si contano gli affidi e in questa non si contano. È importantissimo, per tutti noi, investire da una parte sulla prevenzione con dei servizi e sulla formazione di chi lavora e, dall'altra, sulla conoscenza del tema.
  Ho cercato di essere breve, anche alla luce degli impegni che tutti voi avete, e ho preferito essere sintetico e presentare un po’ i contenuti di questa relazione e il nostro pensiero, lasciandovi anche uno spazio eventuale per domande o quesiti in merito.
  Mi fermo qui per il momento.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ORNELLA BERTOROTTA. Mi sono venute in mente delle domande estemporanee.
  Intanto, la ringrazio per l'intervento e anche per il documento che lasciato e che, come ho visto, è molto chiaro ed esaustivo.
  Mi aspettavo che ci dicesse anche quanti sono gli assistenti sociali in Italia, come sono distribuiti sul territorio nazionale, quanti lavorano in équipe socio–psicopedagogica, se ci sono delle differenze nell'intervento in équipe rispetto a quello che fa un assistente sociale da solo, quanti uomini e quante donne ci sono.
  Mi stupisce e mi è venuto da sorridere perché di solito uno pensa all'assistente sociale donna, però il Presidente – ahimè! – è un uomo. Questa è una cosa che ho notato e che volevo far rilevare: ancora con l'eguaglianza di genere non ci siamo.
  Poi, secondo voi, chi dovrebbe supervisionare l'operato degli assistenti sociali? In questi anni di Commissione per l'infanzia e l'adolescenza, mi sono arrivate tante segnalazioni. In alcuni casi, è emersa la grande professionalità e disponibilità, nonché lo spirito di sacrificio di questi assistenti sociali che lavorano in condizioni veramente disagiate, senza fondi, senza orari e con una mole di lavoro, secondo me, di gran lunga superiore a quella delle possibilità umane.
  Tuttavia, mi sono stati segnalati anche dei casi in cui qualche punto interrogativo sul buon operato di queste persone, in effetti, mi è rimasto, quindi mi chiedo come si debba fare. La figura dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza già è qualcosa e noi abbiamo fatto riferimento a loro, o almeno io personalmente fino a questo momento, a livello nazionale o regionale, però mi chiedo come avvenga la verifica, visto che si parla di casi molto delicati. Chi deve intervenire? Chi deve supervisionare?

  GIANMARIO GAZZI, Presidente del Consiglio nazionale dell'ordine degli assistenti sociali (CNOAS). Inizio, come è il mio solito, con una battuta e poi diventerò subito molto serio.
  La categoria è, al 98 per cento circa, femminile, ma è talmente avanti che ha eletto un uomo. Io spero che, prima o poi, vengano elette più donne, nelle altre istituzioni. Il principio è, come ha scritto un collega blogger che cura alcune realtà virtuali dedicate al servizio sociale, che la mia elezione è merito di un Consiglio veramente capace e soprattutto coraggioso che ha eletto non solo un uomo, ma ha eletto un uomo sotto i cinquant'anni che non è dipendente pubblico e che, anzi, era dipendente pubblico e ha scelto il terzo settore per lavorare. Credo di descrivere l'antitesi della rappresentazione tipica dell'assistente sociale. Questo non significa che non abbia lavorato nel pubblico; l'ho fatto per un paio d'anni in un consorzio di comuni, appunto sulla tutela minori e sull'accompagnamento della famiglia, in passato.
  In un documento che abbiamo lasciato, di quelli ancora in ristampa, abbiamo inserito i dati. Io posso dire, sulla professione, Pag. 8 com'è articolata nel Paese in questo momento.
  Noi abbiamo una professione che è prevalentemente ancora legata agli enti locali, all'incirca per un 30 per cento. Abbiamo, a seguire, la sanità e, poco sotto la sanità, abbiamo ormai il terzo settore. Iniziamo a vedere anche un numero abbastanza consistente che per il nostro Paese è una quasi novità – dico «quasi» perché è un percorso che parte dagli anni Novanta – di liberi professionisti che cominciano ad affacciarsi nel mondo dei servizi.
  In merito, cosa dire? Chi sovrintende l'attività? L'attività di vigilanza sull'azione professionale dei colleghi è innanzitutto, se parliamo di professione, di competenza dell'Ordine, che ha questo compito: è un ente pubblico non economico che interviene sulla gestione che potremmo definire «domestica», cioè sulla disciplina, sull'etica.
  In particolare sulla disciplina, noi abbiamo già attuato, perché siamo ormai quasi al terzo anno di esecuzione, quanto previsto dal DPR n. 137 del 2012. Abbiamo dei consigli di disciplina, ormai in tutte le regioni, e abbiamo dato indicazioni precise agli ordini ed ai consigli regionali in merito all'apertura dei procedimenti.
  Voi sapete che per effetto del DPR n. 137 è stata separata la funzione, per cui i consigli nazionali e regionali degli ordini hanno le funzioni amministrative, di indirizzo e di rappresentanza, mentre i consigli di disciplina sono nominati dai tribunali, su indicazione di un numero doppio di componenti da parte del consiglio regionale. Il tribunale istituisce e nomina il consiglio territoriale di disciplina che ha il compito di eseguire e di procedere, in completa autonomia, rispetto al consiglio dell'ordine regionale, quindi è, di fatto, un tribunale composto da colleghi, ma che ha solo quel compito e non ha neanche un conflitto d'interesse legato alla nomina.
  Lo dico perché un consigliere regionale viene eletto dagli iscritti, quindi, in passato, si diceva «negli ordini non si faranno mai del male tra di loro perché, alla fine, tra iscritti si devono anche votare», mentre, nel consiglio di disciplina, il collega viene valutato a fronte di eventuali segnalazioni da parte di persone o di enti o della procura o del pubblico ministero, per cui c'è un procedimento e i colleghi che giudicano l'iscritto vengono nominati dal tribunale.
  Non c'è nessun tipo di elezione diretta da parte degli altri professionisti, ma c'è una nomina. Inoltre, vi ripeto che, se il consiglio di disciplina deve essere composto da quindici persone, come nel caso della Sicilia, il consiglio regionale della Sicilia deve mandare, al presidente del tribunale di Palermo, 30 nominativi. Poi, il tribunale, in completa autonomia, sceglie quindici nominativi da inserire all'interno del consiglio di disciplina. Questa è la funzione disciplinare.
  Noi abbiamo anche un organismo di vigilanza che è il Ministero della giustizia, quindi viene vagliata, come per tutti gli atti degli ordini, da parte del ministero ogni nostra azione.
  Su un'altra questione posta, quella delle situazioni di cattivo esercizio della professione, noi, come Consiglio nazionale e come consigli territoriali, abbiamo sempre detto «vanno segnalate». Noi, negli anni, abbiamo visto un incremento dei procedimenti disciplinari appunto perché stiamo lavorando per far sapere a tutte le persone che si rivolgono ai professionisti che hanno diritto ad accedere ad una valutazione da parte dell'ordine professionale, rispetto all'azione che ha messo in campo un collega.
  Quello di cui noi siamo preoccupati è, come dicevo prima, l'effettiva capacità del collega di intervenire in situazioni, come descritte precedentemente, dove è da solo, con un part–time e senza risorse e servizi.
  Quando dico «senza risorse» non intendo dire che sia senza soldi, il che già sarebbe qualcosa, ma stiamo parlando di territori dove, per esempio, non vi è assistenza educativa domiciliare e non ci sono servizi domiciliari. Non sto parlando di educatori a domicilio, ma anche solo di operatori socio–sanitari che possano, se non altro, intervenire nella tenuta del domicilio. Posso pensare al classico servizio domiciliare, con cui l'operatore aiuta e sostiene la famiglia, laddove magari ci sono delle limitate capacità. Pag. 9
  L'ultima volta che sono intervenuto in questa Commissione, accompagnando la precedente Presidente Mordeglia, un vostro collega ha detto: «è come se voi foste in trincea tutti i giorni». Io ribadisco un concetto che abbiamo detto in quell'occasione. Noi siamo la linea Maginot, cioè noi stiamo contenendo, facendo veramente i salti mortali, come altri professionisti, e lo dico perché non è che vogliamo essere autoreferenziali. Noi con altri professionisti, oggi, in Italia stiamo facendo i salti mortali per evitare che ci sia un arretramento ulteriore nella società italiana, partendo appunto dai più piccoli.
  Rispetto a questo, prima è stata citata l'Autorità garante. Abbiamo sottoscritto un anno fa – adesso, stiamo avviando i contatti con la nuova Autorità garante nazionale – un protocollo, come Consiglio nazionale e Autorità garante, che vuole andare nella direzione in cui ogni azione venga integrata a livello nazionale ed a livello regionale. Stiamo cercando di promuovere anche con i consigli regionali dei protocolli similari per ogni territorio, perché ormai è il tempo di costruire ponti e non solo istituzioni di controllo. Ognuna di queste istituzioni deve collaborare con l'altra per migliorare, alla fine, i servizi e le opportunità per l'infanzia e l'adolescenza, ma soprattutto lo penso per gli adulti che sono i genitori di questa infanzia.
  Non so se ho risposto.

  PRESIDENTE. Direi di sentire ora le altre domande e di dare una risposta unica, per non andare in là col tempo.

  DONELLA MATTESINI. Ringrazio per questa audizione e per il bel lavoro approfondito che ci ha rappresentato e che ci ha lasciato il Presidente nonché la vicepresidente.
  La collega chiedeva «perché non ha portato il quadro della situazione?». Ora, è chiaro che non era questo l'oggetto dell'audizione, però io approfitto per chiedere alla Presidente, prima di chiudere l'indagine conoscitiva, di fare un'audizione nella quale sia possibile raccontarci la mappa delle presenze degli assistenti sociali.
  Questo aiuterebbe anche a capire in modo chiaro quello che lei ci ha detto oggi, nel senso che sono pochissimi i servizi che lavorano in rete e sono pochissimi gli assistenti sociali che lavorano anche in équipe perché, in gran parte, sono persone che lavorano da sole.
  C'è anche un tema che segnalo a questa Commissione, parlando di minori, cioè che quella dell'assistente sociale è una delle professioni a grande rischio. In merito, le faccio una domanda. Rispetto soprattutto alla questione di quella che viene chiamata «sottrazione dei minori», io credo che già in questo termine è implicito un giudizio, cioè il fatto che gli assistenti sociali siano giudicati come quelli cattivi che, non si capisce il perché, portano via i bambini.
  Poi, ci può essere qualcuno, per carità, come in tutte le professioni, che ha qualche problema, però credo che sia utile che voi ci raccontiate anche questo. Lo dico anche per capire effettivamente qual è il dato.
  Lo vedo, pur essendo in un territorio – parlo della Toscana – che per i servizi sociali ha sicuramente un'attenzione molto superiore ad altri, ed è vero che ci sono comuni che hanno una o due assistenti sociali, per un numero enorme di abitanti. Ora, avendo in carico contemporaneamente il bambino disabile e tutta la questione, per esempio, delle persone senza fissa dimora o delle persone sotto sfratto, si tratta di un lavoro enorme, per cui non si può che andare in burn-out e in difficoltà, nel senso che non ce la fai ad avere il tempo materiale per seguirli, altrimenti diventi un impiegato che fa le pratiche.
  Naturalmente, non lo ripeto per sottolineare che ci potrebbero essere anche atteggiamenti non positivi, ma per tornare su questo aspetto del rappresentare e del darci gli strumenti, anche numerici, per capire, perché forse potrebbe aiutare la Commissione.
  Anche qui, durante quest'indagine, c'è stata una dichiarazione esplicita nel dire «voi siete colpevoli perché sottraete i bambini». Certo, qualcuno lo può anche fare ed è naturalmente legato al fatto che c'è anche chi sostiene – anche su questo, se così fosse, sarebbe bene che qualcuno indagasse Pag. 10perché compete alla magistratura e non a noi – che ci sia un interesse nel portare i bambini fuori dalla famiglia per metterli nelle comunità.
  Detto questo, rimanendo a quello che è il ruolo di questa professione, vorrei dire che si tratta di una professione importante che credo paghi per due, anzi tre aspetti.
  Uno di questi è relativo alla questione della formazione universitaria. Io penso che voi abbiate ragione e, tra l'altro, sono anche firmataria di una proposta di legge che prevede la laurea quinquennale perché è esattamente così: ci si ritrova a occuparsi di una quantità di situazioni diverse, e di fronte alla complessità delle stesse – perché, per occuparsi di minori non basta la stessa preparazione di dieci fa – quando ti devi occupare di tutto, è bene avere un bagaglio di base corposo.
  Uno, quindi, è l'aspetto della formazione, mentre l'altro riguarda il fatto che nel corso del tempo, comunque sia, gli altri professionisti, che operano nel sociale e che hanno la laurea quinquennale, si sono, spesso, rapportati a loro come se si trattasse di una professione minore.
  In più, l'ultima cosa che mi colpisce molto è il fatto che, ogni volta che in un servizio sociale c'è il problema di una persona, viene automaticamente, anche dalla stampa, ma soprattutto dalla televisione, utilizzato e individuato l'assistente sociale come colpevole, per cui la domanda è: questa rappresentazione, che viene fatta, indebolisce o meno l'azione?
  Io ho una cara amica che ha subito un attacco pesante da un genitore a cui erano stati allontanati i figli perché individuata, tra l'altro, come persona che usava violenza nei confronti dei figli e dei loro amici. Questo episodio è stato rappresentato come «tu mi hai tolto i figli e sei colpevole». Si trattava di una situazione in cui questa persona era da sola e si era verificata a fronte del fatto che qualche giorno prima c'era stata una delle tante trasmissioni della domenica pomeriggio, in cui, quando si affronta il tema dei minori fuori famiglia o comunque ogni volta che c'è un caso di minore, si verifica quest'atteggiamento – lo ripeto – colpevolizzante, anche in modo scandalistico.
  Io domando a voi se anche quest'elemento di come viene rappresentato l'intervento dell'assistente sociale crei o meno difficoltà rispetto al poter esplicitare la propria professione in un ambito che ha bisogno di credibilità, perché quel bambino o quella bambina che viene allontanato ha bisogno che la sua famiglia si fidi di quel servizio.
  In merito, vi ho già fatto la domanda e mi permetto solo una valutazione perché, occupandoci un po’ di minori, tutti noi ci siamo resi conto che il tema non sono loro e spesso non sono i professionisti, ma sono gli adulti intesi come genitori. Insomma, i casi di bullismo, in cui i genitori vanno a difendere i figli di fronte al dirigente scolastico – ma potremmo riportare un migliaio di altri casi – ci rimandano esattamente a quella complessità sociale a cui, forse, dovremmo tutti far riferimento, quando cerchiamo di occuparci in modo mirato di alcune professioni, con le quali io penso noi dovremmo provare ad avere un po’ di alleanza in più.
  La domanda era: quanto hanno pesato e quanto pesano i messaggi che passano? Inoltre, vorrei sapere se siete disponibili, se il Presidente è d'accordo, a tornare per fornirci i dati. Mi sto chiedendo, sul caso di Caivano, gli assistenti sociali di quante persone si occupano, cioè quante ne hanno in carico? Dieci, venti o trenta? All'interno di quanta popolazione? Lo chiedo perché anche questo fa la differenza, insomma essere in pochi professionisti e avere un territorio enorme che non ti permette di agire.
  Penso che questo sia un punto importante perché noi abbiamo bisogno di credere, in modo consapevole e sulla base dei fatti, che abbiamo a che fare con una rete integrata, anche di professionisti, che possa permettere – ripeto – di aiutarci ad andare avanti.
  C'è un'ultima domanda che mi è venuta in mente. Spesso viene chiesto agli assistenti sociali di fare quello che non fanno le istituzioni? Voi siete una professione che si occupa di persone che hanno necessità di interventi integrati. Siete voi che tessete il Pag. 11filo, un po’ come avviene per le donne, affinché si facciano tante cose oppure la questione, invece, dell'integrazione, non è sulle vostre spalle?

  SANDRA ZAMPA. Sarò telegrafica perché si sta facendo tardi.
  Vorrei ringraziarvi soprattutto di questa esposizione. Il documento merita una lettura attenta e una riflessione e vedo anche che è molto ricco.
  Stavo guardando la parte finale, dove accennate ai risultati e descrivete risultati di alcune sperimentazioni, come il progetto PIPPI, anche per capire quali sono le alternative e come si potrebbe lavorare.
  Mi colpisce molto, come sempre d'altra parte, che dove ci sarebbe più bisogno, in realtà, nel nostro Paese si è più assenti. L'Osservatorio regionale per l'infanzia e l'adolescenza fornisce i dati, ma sta in Lombardia, Piemonte, Toscana e Emilia-Romagna. Poi, c'è il Friuli-Venezia Giulia che, pur non avendo l'Osservatorio, possiede i dati. Questo mi sembra uno dei problemi che continua a trascinarsi, cioè questa incapacità e impossibilità del nostro Paese di avere una rilevazione dei dati.
  Il vostro è stato un grandissimo sforzo, visto che siete andati fino al Ministero della giustizia, cioè avete utilizzato tutte le fonti possibili, quindi, ogni volta, c'è stata la fatica di una ricostruzione che, però, continua e che è stata aiutata, in questi anni, certamente dal lavoro dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza che ha contribuito non poco con i dati o comunque a far conoscere di più la situazione e lo stato dell'infanzia e dell'adolescenza.
  Anch'io penso, come la collega Mattesini che mi ha preceduta, che uno dei temi sia quello di come si affronta e si parla di questo aspetto in Italia. Credo che sarebbe bene che l'ordine promuovesse anche degli incontri coi giornalisti e con i professionisti dell'informazione perché questo tema e gli altri che riguardano l'infanzia vengano affrontati finalmente in un altro modo, non solo con la ricerca dello scoop sul caso più tragico che la cronaca ci propone o sul caso singolare o curioso o con appunto questa contrapposizione tra il vostro lavoro e quello dei tribunali per i minorenni con le famiglie, come se ci fosse un atteggiamento anti–famiglia.
  Non so se non li avete riportati per qualche ragione, ma ci sono anche i raffronti in sede europea che sono molto significativi, perché ci confermano che l'Italia, in realtà, è molto in basso nella graduatoria.
  Questo conferma ciò che lei, presidente, ha detto in apertura della sua relazione, cioè che oggettivamente, salvo una percentuale di errore che immagino faccia parte della realtà e dell'inevitabilità, la disposizione per l'uscita temporanea di un minore dalla sua famiglia è residuale e avviene soltanto in casi veramente estremi, dove, per ragioni temporanee o permanenti, il nucleo familiare originario non è in grado in alcun modo di affrontare la situazione.
  C'è anche il tema, però, degli affidi che durano troppo, quindi noi, per esempio, nella lettura di questi dati non riusciamo a distinguere se, nella permanenza fuori famiglia, c'è anche il bambino che potrebbe tranquillamente già essere stato adottato o adottabile, perché in realtà gli affidi durano molto di più di quello che la legge prevede. Occorrerebbe forse, anche su questo, che noi rivedessimo gli strumenti normativi e legislativi.
  Torno sul punto della formazione che lei ha richiamato in questa sede. Io credo che questa Commissione, pur non avendo una competenza specifica, probabilmente farebbe bene ad unirsi alla richiesta ed alla proposta, cioè alla linea che lei ha indicato di aprire davvero la questione con il ministero. Voi siete i migliori alleati di quelli che stanno dentro questa Commissione, nel senso che è necessario per noi il vostro intervento, che in questi anni è diventato sempre più complicato e anche solitario, come temo, in molti posti e in molti luoghi, perché ci sono assistenti sociali che lavorano troppo soli, anche rispetto alla comunità, e comunque in contesti di una difficoltà sempre più grande.
  Pensiamo solo alla complessità del problema che ci viene consegnato dall'aumento di una presenza di nuove etnie nelle nostre città, anche in positivo naturalmente, Pag. 12 però che richiede un grande lavoro, quindi anche una grande presenza.
  Come dicevo, il mio auspicio è che questa Commissione si unisca alla vostra richiesta. Non so se la Presidente Brambilla lo ritenga opportuno, però potremmo noi stessi forse, da qui, anche indirizzare al ministero una richiesta perché venga seriamente presa in esame. Davvero, sono anni che noi parliamo e non si capisce perché stiamo riformando molte professioni, compresa quella dell'educatore, ma non pensiamo che sia venuto il momento che, anche per voi, si proceda a riconoscere tra l'altro, in questo modo, l'enorme difficoltà e la complessità del vostro lavoro che richiedono anche una formazione più intensa e certamente un'alta qualificazione.
  Mi piacerebbe fare un approfondimento sulla questione appunto degli affidi dei minori stranieri non accompagnati e anche avere i numeri assoluti di quanti sono quelli presenti. Certo, nelle strutture di accoglienza, in questo momento penso che siano sicuramente prevalenti, ma vorrei anche capire se sono misti e dove sono, perché a me non risulta, o ci sono presenze miste di minori stranieri non accompagnati insieme ad altri? Inoltre, vorrei sapere quanti sono diventati in questo momento e quanti sono i numeri assoluti dei minori stranieri non accompagnati perché anche questo è un altro dei dati che mi interessa. Lo dico perché, quando si ha a che fare coi dati in Italia, accade qualcosa di veramente straordinario: sembra di essere in balia della cabala.

  ELEONORA BECHIS. Intanto vi ringrazio della vostra presenza. Vorrei dire che, dando un'occhiata veloce, ho notato che ci sono tante notizie che ovviamente possono essere soltanto sommarie.
  Quello che mi interessava, senza accavallarmi con gli interventi delle colleghe che condivido, riguarda il progetto PIPPI. Vorrei sapere se c'è una relazione un po’ più ampia dove si capiscono i percorsi che sono stati fatti e quali sono stati i risultati ottenuti. Si nota appunto che, dal 2011 al 2015, c'è stato un crescendo di adozione del progetto nelle varie località, quindi è un progetto che sta avendo degli ottimi risultati. So che addirittura ci sono dei comuni che hanno chiesto di inserirlo all'interno della normativa del comune stesso o che a livello regionale, adesso, stanno cercando di capire come poterlo fare.
  Riguardo al sistema di rilevazione dei dati e soprattutto dell'elaborazione degli stessi, mi chiedevo se voi avevate in mente qualche organismo o qualche ente che potesse in qualche modo avere l'autorevolezza, oltre agli osservatori regionali che, a loro discrezione, vi rilasciano i dati, come li rilasciano a noi, o non li rilasciano del tutto. Mi chiedevo se c'era appunto un ente o un organo e mi viene da pensare alla magistratura che comunque segue la maggior parte dei casi, per cui vorrei sapere se si riesce in qualche modo ad avere, secondo voi, un'idea soprattutto per la programmazione.
  Poi, sono contenta di sentire che appoggiate, in qualche modo, una rinascita o comunque un ampliamento del fondo della legge n. 285 perché ha dato e sta ancora dando, per le città riservatarie, un po’ di ossigeno e forse sarebbe il caso di ripensarlo e di ampliare anche le località. Grazie.

  GIANMARIO GAZZI, Presidente del Consiglio nazionale dell'ordine degli assistenti sociali (CNOAS). Il tempo è tiranno, quindi darò delle risposte sintetiche.
  Vi dico subito che, se ce ne date il tempo, perché, come dicevo, sono 70 giorni che siamo insediati, più che volentieri verremmo a presentare tutti i dati possibili sulla professione in Italia, in questa sede, magari anche approfondendo.
  Procedendo con ordine, quella sul rischio professionale è una priorità. Io ricordo, dopo due settimane o un mese al massimo dal primo insediamento, quindi parlo di cinque anni fa, di aver dovuto telefonare ad una collega in rianimazione perché era stata aggredita. Ormai la violenza, nei servizi sociali del territorio, non è per forza solo fisica, ma a Pavia una collega è stata salvata in extremis da un'aggressione ed è stata lanciata una Molotov, come altre in provincia di Bari.
  Spesso la comunicazione, sui giornali e nelle televisioni locali e nazionali, dipinge Pag. 13la figura professionale come un nemico, quando si parla di minori. Inoltre, c'è anche una responsabilità, che mi sento di dire alle volte ricade su chi ha ruoli amministrativi o politici, di promettere degli interventi che non sono realizzabili, dopo di che la gente si crea l'aspettativa di aver diritto a qualcosa e chi è costretto a dire di no ne fa le spese. Lo dico perché, se io prometto che avrai il bonus dal comune, anche se i soldi in realtà non ci sono, non ti viene dato il bonus, però intanto io te l'ho promesso. Poi, quando l'assistente sociale dice «no, la sua domanda è stata rifiutata», l'aggressione, se non altro verbale, che vi assicuro non è mai piacevole, è perlomeno scontata.
  Rispetto a queste rappresentazioni della figura professionale, io do una notizia. Noi abbiamo già avviato le pratiche per querelare almeno una trasmissione, se non più di una trasmissione, dove la figura professionale non solo è stata dipinta come cattiva, ma addirittura ci hanno definito in altri modi. Adesso, non ricordo il termine esatto, però insomma, se non ci hanno detto che eravamo incapaci, perlomeno ci avranno detto che eravamo ignoranti. Questo era il succo, però vi ripeto che non ricordo bene i termini della questione.
  Comunque, ricordo anche che rappresentazioni sbagliate, non solo della professione, ma dei servizi, creano anche una fuga dai diritti. Io ricordo situazioni anche sui giornali, raccontate da alcuni cronisti onesti intellettualmente, di donne che, pur vittime di violenza, non si rivolgevano ai servizi sociali per paura che venissero allontanati i figli, quindi sappiamo benissimo che rappresentare nel modo scorretto può portare a situazioni ben peggiori di quelle che già si realizzano.
  Non entro sulla questione di Caivano perché sarebbe troppo lungo. Io penso e condivido quello che ha detto l'onorevole Zampa rispetto alla disparità e al circuito vizioso che si sta creando nel Paese, per cui chi ha meno avrà sempre meno. Sto parlando di regioni, quindi, laddove sarebbe più opportuno – e qui vedi Caivano – intervenire con maggiore lungimiranza, ci sono appunto i luoghi dove c'è meno investimento. Questo è stato denunciato anche dal magistrato Cavallone del tribunale di Napoli con un articolo in cui diceva «qui, il problema non è l'esercito, ma il fatto che mancano le assistenti sociali», quindi non lo dico io, come Presidente dell'ordine, ma lo dice chi lavora in quei territori.
  Vorrei, giacché parlo di tribunale, aggiungere che siamo vigili e attenti e che condividiamo alcune preoccupazioni espresse sulla riforma dei Tribunali per i minorenni, non tanto perché non la riteniamo giusta, anzi appoggiamo l'idea di un tribunale per la persona e per la famiglia che ri-accentri e si faccia carico di tutto quello che riguarda il minore, la famiglia e la persona. La nostra preoccupazione è legata all'autonomia e alle risorse, rispetto alla specifica dei minori. Riguardo al modello previsto attualmente, mi risulta essere, al vaglio del Senato, la riforma. Non siamo sicuri che il modello della DDA per la Procura per i minori, una volta rientrato nell'ordinario, possa garantire non solo la specificità, ma anche le risorse.
  Noi sappiamo che molte volte, anche oggi, col Tribunale per i minorenni alcuni ritardi si realizzano per la lunghezza delle indagini proprio perché non c'è personale. In futuro, se il procuratore che si dovrà occupare dell'indagine sui minori dovesse essere distratto anche da altre funzioni, noi siamo molto preoccupati della possibilità effettiva di specializzarsi rispetto a quella situazione che deve seguire, perché chiaramente è chiamato ad altro, rientrando nella Procura generale.
  Sull'adozione e sull'affido, quando vogliamo, possiamo partire. Siamo convinti anche noi che, per molte delle questioni concernenti l'adozione e l'affido dei minori stranieri sia opportuna la sperimentazione dell'affido omoculturale dei minori stranieri che oggi sono in struttura. Parliamo di migliaia di minori stranieri soli che arrivano sulle nostre coste e non solo, perché ci sono anche a Tarvisio. Io vengo da un posto vicino al Brennero e posso dirvi che ve ne renderete conto, se venite a fare un giro, come dicevo alla Presidente, magari in agosto. La seduta di agosto si potrebbe fare al Brennero che è un po’ più fresco. Pag. 14
  Chiudo sulla richiesta dell'onorevole Bechis in materia di chi dovrebbe raccogliere i dati. Io penso che, in tal senso, autorevoli possano essere sia il ministero che cura il welfare che il Ministero della giustizia, come istituzioni neutre, perché penso che sia all'interno dei loro compiti istituzionali. Sicuramente, potrebbe esserci anche l'Istat.
  Confermo la disponibilità nostra, come Consiglio nazionale, anche per la neo-costituita Fondazione dell'ordine, a contribuire più che volentieri con i dati in nostro possesso.
  Nel chiudere, vorrei precisare che, su PIPPI, è tutto disponibile e che adesso è stato presentato. La vicepresidente è esperta perché era delegata, per noi, rispetto a questo progetto, quindi, a margine e senza rubare troppo tempo, le chiedo di integrare.

  ANNUNZIATA BARTOLOMEI, Vicepresidente del Consiglio nazionale dell'ordine degli assistenti sociali (CNOAS). Integro rapidamente dicendo che quello di PIPPI è un modello organizzativo e di intervento che noi condividiamo perché si ispira peraltro alla cultura e alla metodologia che noi seguiamo. Noi auspichiamo che, da sperimentazione, diventi modello che funzioni esattamente perché mette in campo risorse.
  Tra l'altro, vorrei dire che, se passiamo dalla sperimentazione all'istituzione del modello, nell'organizzazione delle istituzioni che noi abbiamo a disposizione, forse superiamo anche un aspetto un po’ inquietante che riguarda il fatto che, per monitorare la sperimentazione, ci sono i gruppi di controllo, cioè ci sono delle famiglie che vengono escluse da questa sperimentazione, quindi dal sostegno, attraverso risorse professionali e di servizi.
  Vorrei dire anche, rispetto al discorso della legge n. 285, che molti aspetti del modello PIPPI si rifanno anche alla logica promozionale e preventiva di sostegno che ha mosso la progettazione della legge, che ha lasciato sicuramente anche delle risorse, benché assolutamente irrisorie, ma ha appunto lasciato una cultura dei servizi.
  Il discorso dell'integrazione, in questo momento, soffre – lo dico anche rispondendo all'onorevole Zampa – esattamente delle carenze, che esistono, di risorse. Prima il Presidente faceva riferimento alla necessità dell'integrazione fra i comparti e posso dirvi che quello che si sta producendo è che ogni settore, in sofferenza di risorse, vive il rapportarsi con altre istituzioni come una perdita di tempo. Inoltre, integrarsi su situazioni, come quella dei minori e della famiglia, richiede per forza il lavoro dell'ente locale e del servizio sanitario. Ne vedrete delle belle con la prossima indagine sulla salute, anche per la salute mentale dei bambini. Ci sono liste d'attesa che riguardano bambini che non frequentano la scuola, ma ci sono anche tutti i servizi per gli adulti.
  Come faccio io a lavorare mantenendo il bambino all'interno delle relazioni familiari, quando in famiglia c'è un problema psichiatrico o di dipendenza, se non riesco a rapportarmi con il servizio che segue l'adulto?
  Allora, quello che sta succedendo è che c'è un rigurgito difensivo rispetto all'integrazione appunto perché mancano le risorse. Noi, come assistenti sociali, siamo gli operatori che di più cercano di legarsi e tentiamo di fare da cordone e da rete per unire e per integrare le questioni.
  Poi, come abbiamo scritto, il modo di affrontare integrato significherebbe un risparmio incredibile. Io lavoro nella sanità, nel campo dei minori, per cui, se io faccio risparmiare il comune perché non inserisco un bambino in casa-famiglia – nella mia storia ne ho inseriti veramente pochi – risparmia solo il comune e la mia ASL di questo si disinteressa perché i finanziamenti sono separati. Questo è uno degli aspetti per cui dobbiamo integrare.
  A proposito della procura, c'è un aspetto che ci preoccupa un po’. Rispetto ai controlli delle strutture, noi non abbiamo, al di là dei controlli amministrativi che sono sempre un onere in più per i comuni e per il servizio sociale del comune, la possibilità di valutare l'impatto dei modelli educativi che, invece, noi osserviamo direttamente perché, quando inserisco un bambino in casa-famiglia, poi il mio monitoraggio chiaramente Pag. 15 riguarda la sua vita lì, in relazione alla partenza e all'esito.
  Un altro dato sulla riforma del Tribunale per i minorenni è: dove andrà a finire la competenza delle procure sui controlli? Lo chiedo rispetto al tema della specializzazione, anche se è vero che è previsto l'ingresso preferibile di giudici e magistrati che hanno esperienza in questo campo. Devo dire che, poi, ci sono anche molti giudici che transitano nelle procure perché sono tematiche che non sono d'impatto soltanto per noi ovviamente.
  A proposito della formazione, l'aspetto della dimensione emotiva, quindi la possibilità di reggere un carico di questa natura nell'affrontare non solo le aggressioni, ma anche la decisione di allontanare un bambino e di intervenire in qualche modo, richiede ancora maturità, cioè richiede una rete e più professioni, ma richiede anche un percorso di maturazione.
  Oggi, mentre nei momenti più favorevoli di risorse professionali e di servizi c'è la possibilità di immaginare un inserimento graduale in certi ambiti di lavoro, questo non è più possibile, se all'unica assistente sociale di un comune arriva tutto addosso. Non c'è più la situazione in cui il Ministero della giustizia faceva i sei mesi di formazione sul campo e di inserimento e si poteva scegliere su una rosa di professionisti.
  Su PIPPI, vi ripeto che, se lo mandano a regime, noi siamo molto felici. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Come dicevo al Presidente, gli atti della vostra audizione ovviamente andranno a tutti i commissari, cui uniremo anche l'allegato del vostro documento, così che possa essere materia di approfondimento per tutti.
  Inoltre, se siete d'accordo, nell'ambito della prossima indagine conoscitiva, quindi a fine giugno o ai primi di luglio, come dicevamo, noi vi chiederemmo di nuovo di intervenire perché chiaramente il vostro ruolo e la vostra competenza, anche in quel caso, diventeranno preziosi per i risultati dell'indagine conoscitiva.
  Vi ringrazio a nome di tutti i commissari e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.40.

Pag. 16

ALLEGATO

La professione di assistente sociale e gli interventi con le famiglie con minori d'età

Pag. 17

Pag. 18

Pag. 19

Pag. 20

Pag. 21

Pag. 22

Pag. 23

Pag. 24

Pag. 25

Pag. 26

Pag. 27

Pag. 28

Pag. 29

Pag. 30

Pag. 31

Pag. 32

Pag. 33

Pag. 34

Pag. 35

Pag. 36

Pag. 37

Pag. 38

Pag. 39

Pag. 40