XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 19 di Mercoledì 27 aprile 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI MINORI FUORI FAMIGLIA

Audizione del presidente dell'Unione nazionale Camere minorili e del presidente della Società cooperativa sociale «Utopia 2000 Onlus», Massimiliano Porcelli.
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 3 
Lettere Carla , Componente del Direttivo dell'Unione nazionale Camere minorili ... 3 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 5 
Porcelli Massimiliano , Presidente della Società cooperativa sociale «Utopia 2000 Onlus» ... 5 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 7 
Mattesini Donella  ... 7 
Lettere Carla , Componente del direttivo dell'Unione nazionale Camere minorili ... 8 
Porcelli Massimiliano , Presidente della Società cooperativa sociale «Utopia 2000 Onlus» ... 8 
Bertorotta Ornella  ... 10 
Lupo Loredana (M5S)  ... 10 
Lettere Carla , Componente del Direttivo dell'Unione nazionale Camere minorili ... 11 
Bertorotta Ornella  ... 12 
Lettere Carla , Componente del Direttivo dell'Unione nazionale Camere minorili ... 12 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MICHELA VITTORIA BRAMBILLA

  La seduta comincia alle 14.10.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente)

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito)

Audizione del presidente dell'Unione nazionale Camere minorili e del presidente della Società cooperativa sociale «Utopia 2000 Onlus», Massimiliano Porcelli.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui minori fuori famiglia, l'audizione della presidente dell'Unione nazionale Camere minorili, e del presidente della Società cooperativa sociale «Utopia 2000 Onlus», Massimiliano Porcelli, che è accompagnato dal dottor Paolo Repetto, responsabile della Segreteria generale e relazioni esterne, e dalla dottoressa Michela Corbi, responsabile della formazione. Avverto che, tuttavia, in rappresentanza dell'Unione nazionale Camere Minorili è presente all'odierna audizione, in sostituzione della presidente, la componente del direttivo, avv.ssa Carla Lettere.
  Darei subito la parola all'avvocatessa Carla Lettere.

  CARLA LETTERE, Componente del Direttivo dell'Unione nazionale Camere minorili. Grazie, presidente, grazie per questo invito e per averci dato modo di relazionare su un tema a cui naturalmente teniamo tantissimo.
  L'Unione nazionale delle Camere minorili è l'associazione di avvocati per i minori e la famiglia che promuove lo studio e il monitoraggio degli istituti giuridici inerenti l'infanzia, e in questo ruolo partecipa ai lavori interistituzionali nei quali fornisce il proprio contributo scientifico ed esperienziale.
  In riferimento al tema dei minori fuori famiglia dobbiamo immediatamente dire che è stata sempre complessa la valutazione del fenomeno, stante l'assenza di dati ufficiali concordati ed univoci. L'Unione partecipa anche al Gruppo CRC (Convention on the Rights of the Child), per cui ha anche redatto l'8° Rapporto, mentre sta per uscire il 9° Rapporto di aggiornamento da parte del Gruppo, che è rivolto al monitoraggio della Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza.
  Fin dallo scorso anno e anche nell'ambito delle ricerche che stanno andando avanti nel 2016 il rapporto pone l'attenzione delle istituzioni sulla necessità di creare un Osservatorio rispetto al fenomeno, per avere delle metodologie omogenee rispetto alla raccolta dei dati, che diventa il primo elemento importante. Parliamo di dati che vengono forniti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dall'Istat e dall'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza.
  In riferimento ai dati riportati, possiamo constatare che abbiamo tendenzialmente un'equivalenza tra i minori affidati a parenti, per cui l'affido è intrafamigliare, e in affidamento a terzi. Non abbiamo Pag. 4invece rilevazioni rispetto alla percentuale dei minori sotto i sei anni collocati fuori famiglia, con o senza genitore, mentre i minori di età compresa tra zero e tre anni continuano ad essere collocati prevalentemente in comunità invece di preferire quasi esclusivamente, come è nostra tendenza, delle famiglie affidatarie. Appare elevata la durata degli affidamenti famigliari.
  Questa non omogeneità di dati rende complessi gli interventi istituzionali che devono essere organici e possono dare soluzione ad una serie di problemi.
  L'Unione nazionale delle Camere minorili ha inoltre partecipato ad un tavolo istituzionale promosso dal Consiglio nazionale dell'Ordine degli assistenti sociali (CNOAS), che ha portato alla stesura delle «Linee guida sui processi di sostegno e di tutela dei minorenni e delle loro famiglie», pubblicate nel novembre del 2015, a cui facciamo riferimento sollecitando le istituzioni e anche tutte le professionalità coinvolte nell'applicazione delle linee guida per la tutela del minore.
  Sono state previste azioni diverse e differenziate a seconda del momento dell'intervento per l'allontanamento, per cui quattro punti sono stati individuati come centrali rispetto all'allontanamento dei minori, uno rivolto ai famigliari, uno al minore e naturalmente alla casa-famiglia ed a coloro che devono intervenire in questo momento.
  Per la tutela della famiglia è necessaria una corretta comunicazione e informazione rispetto alla situazione che si sta determinando, proprio per evitare una esecuzione coatta con il trauma che ne deriva. Il minore deve essere ascoltato e deve essere comunicato correttamente anche a lui l'evento che si sta per determinare, sempre con una modalità che deve impedire quanto più possibile il trauma, evitando anche la pubblicità rispetto a questi avvenimenti, le riprese, la pubblicazione e divulgazione.
  Le linee guida continuano rispetto al giusto processo e all'applicazione dei principi nazionali e internazionali che sul territorio riguardano il processo inerente i minori e la famiglia, dando dei riferimenti precisi rispetto alla sollecitudine degli interventi e di conseguenza ad un obbligo di informazione rispetto al minore, il suo ascolto e, ove sia necessario, la nomina di un curatore speciale in caso di contrasti tra gli interessi del minore e la famiglia di origine, ed eventualmente anche la nomina dell'avvocato del minore quale conseguenza da costruire nell'ambito del processo e delle necessità che si vengono a determinare, con un'adeguata assistenza nei processi anche nei riguardi dei genitori e della famiglia, e ricerca del consenso dei minori e della famiglia prima di prendere determinate decisioni, sempre per evitare traumi, come la ricerca della partecipazione e del consenso dei genitori rispetto all'intero percorso.
  L'Unione nazionale, oltre ad aderire a queste linee guida a cui facciamo riferimento anche per l'intero testo, sottolinea l'attenzione nel momento dell'allontanamento e anche in questi procedimenti per la tutela dei diritti che riguardano tutte le parti coinvolte nell'ambito della procedura de quo.
  In particolare ha evidenziato dei punti salienti. Il primo consiste nel garantire il diritto alla continuità affettiva del minore con le figure di riferimento, cioè l'allontanamento non deve essere pregiudizievole rispetto alle relazioni emotive del minore, bisogna cercare di mantenerle il più possibile anche se il bambino o il minore viene allontanato (si dovrebbe anche distinguere in riferimento all'età del minore, se in tenera età o adolescente, perché si vengono a creare traumi importanti che possono essere evitati).
  Bisogna inoltre cercare di evitare l'allontanamento e lasciarlo sempre come ultimo intervento, tentare di prevedere una progettualità personalizzata rispetto alla famiglia, per cui la presa in carico da parte delle istituzioni dovrebbe essere rivolta da un lato alla tutela del minore – con la comunicazione e anche un intervento di sostegno psicologico ed emotivo del minore stesso – e contemporaneamente ad un intervento sulla famiglia, per cercare di comprendere le criticità ed attivarsi per un superamento delle criticità anche con un sostegno alla capacità genitoriale con una serie di interventi mirati. Pag. 5
  Privilegiare decisamente l'istituto dell'affido parentale e solo in via residuale scegliere l'affido eterofamigliare, comunicare nell'immediato, subito dopo l'allontanamento, le modalità di incontro tra il minore e i genitori, e, ove non sia possibile, garantire il mantenimento delle relazioni tra fratelli, a volte trascurate a causa del collocamento di un minore all'interno di una struttura e di altri fratelli presso altri parenti, con ulteriori traumi.
  Garantire il mantenimento delle relazioni tra i parenti, se presenti, anche se non in grado di chiedere l'affido dei minori, sempre se le relazioni sono significative per i minori. Abbiamo spesso parenti anziani o troppo giovani non in grado di determinarsi a un affido, ma fondamentali per lo sviluppo psico-fisico del minore.
  Garantire il diritto allo studio, perché a volte abbiamo potuto constatare come questi allontanamenti possano creare anche un vuoto, cioè ritenere che sia più importante seguire il minore e la famiglia, per cui a volte non viene ricollocato in una scuola idonea e può perdere l'anno. Questo crea tutta una svalutazione del sé da parte del minore che sappiamo dagli studi quanto possa essere negativo, per cui l'importante è che non sia interrotto il suo percorso didattico e/o formativo e, se questo dovesse accadere, che venga ripreso il più presto possibile.
  Garantire strutture e comunità anche terapeutiche. Si assiste a problemi per cui allontanamenti famigliari legati a problemi intrafamigliari per uso di sostanze da parte di adolescenti anche molto giovani, e questo può determinare anche l'allontanamento su richiesta addirittura della famiglia, dei genitori. Le comunità terapeutiche devono essere in grado di offrire un corretto intervento rispetto al minore allontanato, non solo di recupero da tossicodipendenze, ma anche da problemi psichiatrici.
  Chiediamo infine la corretta applicazione della nuova normativa, la legge n. 173 del 2015, per cui ritorniamo sempre alle relazioni importanti per il minore e alla garanzia di queste relazioni.
  I tempi continuano ad essere per noi importanti e naturalmente anche i tempi della giustizia devono considerare che si tratta di bambini, e la decisione dei tribunali e delle corti d'appello deve essere una decisione importante e anche veloce rispetto a provvedimenti di incontro tra il minore e i genitori, perché riattivare degli incontri dopo un anno può determinare un ulteriore trauma rispetto all'allontanamento iniziale o al divieto di incontro.

  PRESIDENTE. Grazie. Completerei con la relazione del dottor Porcelli e poi darei spazio alle domande per entrambi.

  MASSIMILIANO PORCELLI, Presidente della Società cooperativa sociale «Utopia 2000 Onlus». Grazie, presidente. Anch'io mi unisco ai ringraziamenti ai membri della Commissione per l'opportunità di essere ascoltati in questa sede; spendo poche parole per spiegare chi siamo e qual è l'esperienza che abbiamo fatto e che quindi giustifica il nostro coinvolgimento nel dibattito di oggi.
  «Utopia 2000» è un ente del privato sociale, precisamente una cooperativa sociale attiva fin dal 1999. Attualmente gestiamo in provincia di Latina un polo per l'infanzia costituito da un asilo nido, da una scuola dell'infanzia e da un gruppo appartamento per minori; in provincia di Perugia invece gestiamo tre comunità genitore con bambino e tre comunità educative per minori, a Bevagna gestiamo un agriturismo, un'azienda agricola con posti letto e produzione dell'olio, dove facciamo percorsi di formazione lavoro per i ragazzi che ospitiamo nelle strutture, ed infine un microbirrificio a Spello messo su con lo stesso intento.
  Organizziamo anche grandi eventi legati al mondo dello spettacolo e lo facciamo attraverso attività laboratoriale, con la quale coinvolgiamo i minori presenti nelle strutture nell'organizzazione, nella progettazione, nella scelta del cast e della logistica.
  L'esperienza che abbiamo accumulato in questi anni è un'esperienza che abbiamo fatto direttamente sul campo; io stesso prima di tornare a compiti prettamente gestionali e amministrativi ho vissuto per circa sei anni e mezzo all'interno di una delle nostre Pag. 6strutture ininterrottamente, compresi notturni e festivi, e l'ho fatto quando cercavo di coniugare la mia dimensione gestionale-amministrativa con quella più tecnico-operativa in uno dei nostri servizi maggiormente caratterizzanti.
  Abbiamo quindi seguito con molto interesse questa indagine conoscitiva della Commissione e con i colleghi che mi accompagnano ci siamo soffermati sui resoconti stenografici delle audizioni che ci hanno preceduto e abbiamo riscontrato che alcuni elementi sono comuni. Spesso chi fa il nostro mestiere si trova in una situazione di autoreferenzialità, per cui la particolarità del nostro mestiere ci induce a ritenere che non esistano luoghi di ascolto e di condivisione di queste problematiche, ma nelle audizioni che abbiamo potuto leggere abbiamo trovato motivi di condivisione.
  In particolare, ci ha colpito quella del procuratore dei minorenni presso il Tribunale di Palermo, la dottoressa Amalia Settineri, che si è soffermata sulle difficoltà del sistema dei controlli e di quanto accade in quella terra molto colpita dal fenomeno dell'immigrazione.
  La nostra esperienza si è quindi formata sul campo, e per quanto riguarda il nostro intervento di oggi ci siamo soffermati soprattutto sulla parte in cui la vostra indagine indaga i fenomeni che riguardano il finanziamento di queste strutture e l'efficacia del sistema dei controlli dal momento che sono pervenute molte segnalazioni a questa Commissione rispetto a disfunzioni e carenze.
  Se si riuscisse a fare una volta per tutte piena luce sul fenomeno dei minori collocati in comunità, saremmo tutti più contenti, in particolare chi pensa di lavorare in modo serio e sereno. Questo soprattutto rispetto ai due elementi fondamentali che avete segnalato. Il primo è il sistema di finanziamento, cioè dei costi, laddove non sfugge a nessuno che nei dibattiti televisivi si parla del business delle case famiglia, cosa che sottintende l'esistenza di un velo di mistero che avvolge il nostro lavoro, rispetto al quale ogni dubbio diventa legittimo.
  Saremmo quindi i primi ad essere contenti se questo velo potesse essere prontamente rimosso anche a tutela dell'onorabilità professionale di chi lavora all'interno di queste strutture, e anche per avere contezza del reale business di queste strutture.
  Non credo che ci vogliano grandi performance di ingegneria finanziaria per fare le pulci a una struttura con dieci utenti, calcolandone la redditività massima e scalando il costo di cinque o sei operatori professionali inquadrati con contratto collettivo nazionale di riferimento, due persone per le incombenze domestiche, vitto, alloggio, affitto, utenze, oneri assicurativi, per cui questo business verrebbe scannerizzato e compreso da tutti e il mistero sarebbe risolto. Noi qui potremmo farlo molto semplicemente con carta e penna in cinque minuti.
  Risolvere questo servirebbe anche a chi lavora seriamente e onestamente a reclamare a gran voce pagamenti più puntuali, un impiego delle risorse più razionale. Non nego che dentro alcuni fenomeni come quello dei minori stranieri non accompagnati vi siano vere e proprie sacche di spreco di denaro pubblico, e faccio un esempio pratico che viviamo sul campo. In una nostra struttura in provincia di Latina abbiamo un utente egiziano che pretende di fare quello che vuole, spaccare vetri, porte e finestre, uscire quando vuole, tornare quando vuole, costringendoci a continue segnalazioni di allontanamento alle forze dell'ordine, che costa al V Dipartimento del comune di Roma 90 euro al giorno.
  Nella stessa struttura abbiamo un utente con tratti autistici gravi, che è cresciuto da noi e che al compimento del diciottesimo anno è stato dimenticato da tutti, dal comune di appartenenza, dalle istituzioni, dai genitori e di fatto è rimasto da noi con dubbia legalità (lo dico francamente) in forma totalmente gratuita. Di questi esempi comparabili per paradosso credo ce ne siano migliaia sparsi nelle comunità e dimostrano che le risorse potrebbero essere impiegate in modo più razionale.
  Servirebbe fare piena luce anche per rendere più efficace il sistema dei controlli, Pag. 7che è la seconda parte della vostra indagine. Il procuratore di Palermo metteva in evidenza il fatto che spesso la polizia giudiziaria e la polizia municipale alla quale viene demandato il controllo non dimostrino le competenze necessarie ad effettuare questo tipo di controllo, ma il problema è il parametro, non è la competenza della polizia giudiziaria o dei vigili urbani.
  Spesso un controllo, in assenza di evidenti carenze strutturali o igienico-sanitarie di una struttura, non può cogliere gli elementi caratterizzanti della vita all'interno di una struttura. Dentro queste strutture passano pezzi di vita delle persone e non è possibile intercettarli con un controllo mattutino fatto dai NAS – che da noi sono venuti milioni di volte ma non hanno mai trovato nulla – ma non sanno se lavoriamo bene o male all'interno delle strutture, perché non è possibile cogliere gli aspetti peculiari.
  I NAS infatti non vanno a scuola a parlare con gli insegnanti, non vanno dai vicini di casa a valutare l'integrazione territoriale degli utenti, non vanno dall'istruttore di basket, volley o nuoto per vedere quanto il ragazzo si applichi o partecipi con i compagni di gioco o di scuola alle attività pomeridiane, non giocano alla playstation con il ragazzo, non siedono a tavola e non mangiano con lui, però magari vanno nella sua cameretta, vedono l'armadio sfondato dal ragazzo stesso il giorno prima in un momento di rabbia e sanzionano la struttura.
  È difficile che il controllo vada a cogliere la sostanza di quello che accade dentro queste strutture. Un controllo di questo tipo avrebbe la stessa efficacia di una visita domiciliare fatta nella mia stanza questa mattina, quando partendo presto l'ho lasciata a soqquadro, rappresentando la fotografia di un momento che nulla ha a che vedere con la vita di un minore dentro la struttura.
  Andrebbero costruiti dei protocolli operativi basati su reti territoriali, andrebbero coinvolti i sindaci, le forze dell'ordine, le associazioni sportive, i vicini di casa con protocolli operativi basati su un'esperienza che si fonda sui fatti, sul vissuto dentro le strutture, utilizzando anche qualche ex utente che ha potuto fare un percorso valido all'interno delle strutture, perché sono quelli che hanno le antenne più sensibili a questo tipo di situazioni.
  Mi permetto di consegnare uno studio fatto dalla dottoressa Michela Corbi, che poi che è diventata la sua tesi di laurea, sui fattori di rischio e di protezione dei minori in situazioni di allontanamento, perché credo possa essere utile alla Commissione. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. I commissari che non sono presenti oggi perché Camera e Senato hanno calendari molto fitti avranno comunque tutto il materiale.
  Lascio la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DONELLA MATTESINI. Grazie, presidente. Grazie davvero per averci dato un quadro conoscitivo importante, io sono un'assistente sociale, quindi conosco il lavoro fatto dal CNOAS, credo sia un punto di riferimento importante. Secondo lei quei contenuti potrebbero essere tradotti in una correzione di norme? Si tratta di procedure, però sono forse indicati alcuni passaggi, quindi le chiedo se abbiate ragionato anche su eventuali suggerimenti dal punto di vista legislativo e normativo.
  «Utopia 2000» ha attività in diverse regioni quali Lazio, Toscana e Umbria, quindi vorrei sapere se troviate tra regione e regione grandi differenziazioni e quali, e i punti su cui ragionare, perché avendo competenze specifiche e modalità diverse nell'applicazione della sanità o delle politiche sociali si creano differenziazioni, quindi vorrei capire quanto abbiate verificato l'elemento positivo o negativo in queste diversità.
  Sono incardinate sia alla Camera che al Senato alcune proposte di legge e l'indagine conoscitiva fornirà ulteriori elementi, però quando parliamo di comunità parliamo sempre di comunità per ragazzi fino ai diciotto anni. A me è capitato di trovare ragazzi che compiono diciotto anni e sono soli, quindi l'ipotesi su cui stiamo ragionando da un Pag. 8po'di tempo (anche contenuta nel lavoro fatto dal Garante per l'infanzia) è quella di pensare ad un proseguimento non in una comunità, ma in appartamenti-alloggi per gli ultradiciottenni.
  Ritenete che sia un percorso utile? Il problema si pone per i tanti ragazzi che rimangono in comunità, che non hanno famiglia o non possono tornare in famiglia. A me è capitato, come a voi con il ragazzino egiziano, di vedere comunità che a proprie spese trattengono ragazzi ultradiciottenni anche con le difficoltà relative alle differenziazioni di età.
  Il tema dei controlli si pone moltissimo in questo periodo, con tutte le notizie sulle violenze praticate nei confronti dei minori come degli anziani e dei disabili, ed è chiaro che quanto previsto fino ad oggi per quanto riguarda i controlli da parte dei soggetti responsabili, dei soggetti gestori o appaltanti è un tema vero.
  Lei parlava di protocolli, io sto pensando all'utilità di prevedere per ogni tipologia di minori eventi sentinella che in quella rete che va dalla ASL ad altro possano indicare cosa succede in quella comunità rispetto ai minori. Se siete d'accordo, quali sono gli eventi sentinella che possono testimoniare il non funzionamento, il malfunzionamento o comunque una situazione di difficoltà?

  CARLA LETTERE, Componente del direttivo dell'Unione nazionale Camere minorili. Grazie della domanda, decisamente le linee guida hanno tenuto conto di tutte le problematiche e hanno cercato di dare (questa è stata la ratio dello studio e del tavolo) una copresenza in un unico luogo delle diverse professionalità. Questo rimane sempre fuori dalla norma, la collaborazione tra le varie professionalità si deve auspicare, si deve chiedere, ma diventa difficile inserirlo in una norma di legge, invece altri passaggi possono essere inseriti all'interno della normativa anche se già esiste sulla carta una serie di garanzie riguardo ai minori.
  Mi permettevo di chiedere tempi brevi, veloci, perché per un bambino, che sta un anno in comunità ad aspettare che la mamma decida cosa fare, un anno è un tempo infinito, non è lo stesso anno percepito da un adulto: è un tempo che scorre in modo completamente diverso, e la velocità dipende dalle istituzioni, dai servizi sociali, dalle comunità, dall'interfaccia tra tutti e dagli avvocati, che sono coinvolti non solo come avvocati del minore, ma anche come avvocati della famiglia, e fanno parte di questa rete che deve assistere e sostenere il minore, però i tempi della giustizia potrebbero essere gestiti diversamente.
  Personalmente ho avuto un caso in cui, a fronte di un provvedimento del tribunale per i minorenni di divieto di incontro con la madre, la Corte ha risposto dopo un anno, dicendo che invece la bambina avrebbe dovuto incontrare la madre, solo che la bambina ormai non la riconosceva più. Quelli sono tempi troppo lunghi per una bambina di quattro anni e si tratta di elementi che dovrebbero essere rivisti, anche se normalmente il magistrato tiene conto della presenza di minori e cerca di dare risposte veloci.
  Rispondendo alla senatrice Mattesini, sicuramente alcuni passaggi potrebbero essere inseriti per migliorare l'intero sistema.

  MASSIMILIANO PORCELLI, Presidente della Società cooperativa sociale «Utopia 2000 Onlus». Ha fatto tre domande una più interessante dell'altra. Rispetto alle differenze tra i vari territori, tra regione e regione, ci sono non solo differenze tra quadri normativi di riferimento diversi, ma anche di disagio sociale diverso, e spesso il quadro normativo non si allinea a questo quadro sociale.
  Nel Lazio, ad esempio, abbiamo avuto il problema della periferia romana, dei Rom e quindi un certo tipo di disagio; in Umbria lavoriamo spesso con il penale, quindi con le misure alternative alla detenzione, il centro di giustizia minorile è quello di Firenze e quindi abbiamo un altro tipo di problematiche; sulla zona di Prato la crisi del tessile ha portato alla sostituzione delle aziende italiane con aziende cinesi, quindi minori cinesi; in Lombardia, dove stiamo per aprire delle strutture, c'è tutto il problema del disagio sociale legato alle baby gang minorili di origine sudamericana. Immagino che in Campania e in Sicilia ci sarà Pag. 9un'altra tipologia di problematiche, per cui i quadri normativi di riferimento, che spesso standardizzano le cose, non colgono la diversità del disagio sociale presente nel territorio italiano.
  Questo si riverbera anche nel pratico, perché ad esempio nel Lazio abbiamo le regole relative all'HACCP in cucina, mentre in Umbria il momento del pasto è considerato uno dei momenti più educativi della vita, ma per cucinare con un minore dentro una zona cucina certo non lascerai tutto in ordine con l'HACCP e il manuale dell'autocontrollo, quindi penso che mettere a posto questi aspetti non sarebbe difficile.
  Il problema di quello che accade dopo i diciotto anni: per quanto riguarda gli utenti inseriti in un contesto con un procedimento civile ci sono anche dei progetti cerniera fino ai ventun anni, per quanto riguarda i minori con misure alternative alla detenzione adesso è possibile, se il reato è stato commesso prima del diciottesimo anno, la permanenza sia in carcere minorile che in strutture come le nostre fino al venticinquesimo anno d'età, ma il problema non è consentire la permanenza, ma cosa fare dopo il compimento del diciottesimo anno d'età, perché abbiamo visto ragazzi che, non sapendo cosa fare, tornavano autonomamente da noi a chiedere di fargli fare qualcosa.
  Non nego che ne abbiamo anche assunto qualcuno, gli abbiamo trovato un lavoro: un ragazzo che faceva parte di una baby gang minorile della periferia milanese è rimasto a lavorare da noi, perché abbiamo trasformato il suo senso appartenenza alla banda in un senso di appartenenza alla cooperativa e alla comunità, con un lavoro molto lungo.
  È chiaro che le comunità stanno inventandosi di tutto, noi abbiamo messo su un'azienda agricola e delle attività di formazione lavoro proprio per questo, ma ci vorrebbe un tavolo comune in cui condividere problematiche di questo tipo. Pensavamo ad esempio a tutto un percorso di certificazione delle competenze non formali di questi utenti, che spesso perdono anni di scuola e non possono rientrare in un programma didattico; quindi pensavamo a scuole di formazione che potessero certificare le competenze e fornissero i prerequisiti per un inserimento nel mondo del lavoro.
  Lo stiamo facendo attraverso la predisposizione di attività che non rientrerebbero nelle nostre competenze, ma che realizziamo a tale scopo. Questo si dovrebbe allineare alla riforma dell'impresa sociale, perché alle cooperative dovrebbe essere data la possibilità di realizzare attività di carattere produttivo indipendentemente dalla cooperazione sociale, per consentire questi percorsi di formazione lavoro per gli utenti, ma sarebbe un discorso che andrebbe molto oltre.
  Rispetto al sistema dei controlli, invece, lei richiamava gli eventi sentinella, che sono moltissimi, però voglio ritenere che quanto vediamo in televisione (maltrattamenti, abusi) sia un'eccezione rispetto alla regola, altrimenti preferirei che fosse tutto chiuso e non parlassimo nemmeno di queste strutture.
  Mi preoccupano invece i falsi eventi sentinella, perché calandoci nella natura pratica del nostro lavoro che va vissuto, come utenti del circuito penale abbiamo gestito il caso del ragazzo che a Nettuno aveva bruciato un indiano sulla panchina o il pirata somalo della Montecristo che aveva assaltato la nostra petroliera in Somalia; utenti di questo tipo, laddove spesso il carcere tende a fare delle relazioni più leggere per consentirne l'ingresso in comunità d'accoglienza, non sono facili da gestire. Le denunce alle comunità con i contenuti più rilevanti vengono proprio da soggetti di questo tipo, che spesso non hanno nulla da perdere nel mettere in crisi il lavoro della comunità.
  Faccio un ultimo esempio che abbiamo preso come un caso studio proprio a proposito degli eventi sentinella falsi. Due anni fa, in Umbria, avevamo un utente, un ragazzino che era entrato da noi con la con la scabbia, con papà e mamma molto ricchi e una situazione famigliare molto agiata, uno dei pochi casi che abbiamo gestito di famiglie non problematiche.
  Il padre veniva a trovarlo, poi abbiamo scoperto che era un tossicomane ed è subito Pag. 10 entrato in conflitto con la struttura. Un giorno il ragazzino stava giocando a calcetto con gli altri ragazzi ospiti della struttura e rientrando portò lo sporco della terra del campo di calcetto dentro la struttura, il papà fece le foto al pavimento sporcato dalle scarpe del figlio e ci denunciò tutti alla Procura della Repubblica.
  Noi subimmo tutti i controlli del caso (NAS, procura dei minori, carabinieri), ma non trovarono nulla nella nostra struttura. Abbiamo fatto trascorrere il tempo e poi abbiamo provato a denunciare il papà per calunnia, ma non siamo riusciti perché il papà, essendo un delinquente noto, è irreperibile, è irrintracciabile.
  Bisogna capire cosa mettere in evidenza per valutare quando qualcosa non funzioni dentro la struttura. Lei è assistente sociale, quindi ha sicuramente strumenti migliori dei miei per capirlo nel corso dei colloqui con i ragazzi, ma sarebbe un discorso lunghissimo.

  ORNELLA BERTOROTTA. Sarò brevissima, volevo solo capire meglio – visto che ho perso l'inizio perché vengo dall'incontro con il popolo Sahrawi – cosa intendesse quando parlava della questione di affidare un avvocato ad ogni minore.
  La relazione di questo tavolo di lavoro promosso dal CNOAS: è possibile vedere questa relazione, è pubblica? Ho fatto varie ispezioni e vari colloqui, ho visto le relazioni che stilano gli assistenti sociali da nord a sud, ho visto che ci sono differenze, cioè ognuno le stila come vuole, c'è chi fa le relazioni per ogni singolo ragazzino accolto in comunità molto dettagliatamente, così come credo che dovrebbe essere, invece alcuni cambiano nome e data di nascita.
  Vorrei sapere se queste linee guida comprendano anche il tipo di intervento che devono fare i servizi sociali che più direttamente seguono i ragazzi.
  Per quanto riguarda i controlli ero presente quando è venuto il procuratore di Palermo, mi rendo conto che non ci si possa accorgere nell'immediato con una visita ispettiva di tutto quello che succede, però è anche vero che io sono andata in diverse strutture, dove ho trovato spesso una struttura meravigliosa, ma con il personale scritto in organigramma assente, una persona messa lì tanto per far vedere che c'era qualcuno, i ragazzi assenti, nessuna attività: tutto quello che era scritto nel regolamento della comunità, nello statuto e negli impegni veniva disatteso, quindi anche con le ispezioni si capisce qualcosa.
  Ho fatto l'educatrice e quindi mi rendo conto che la vita di comunità va ben oltre questi elementi, però i fatti eclatanti possono in ogni caso emergere; sono d'accordo con lei quando diceva che i controlli sanitari richiesti alle strutture stanno portando a prendere i pasti degli ospedali per dei ragazzi adolescenti, proprio per evitare denunce, e si perde tutto quell'aspetto educativo, comunitario e relazionale che invece si ha con i pasti preparati e consumati insieme.
  Lei ha accennato che basta fare quattro calcoli per valutare quanto dovrebbe costare un minore: anche di recente abbiamo visto in televisione che, mentre la Germania gestisce con 13 euro al giorno un minore straniero non accompagnato, l'Italia non trova sufficiente una cifra di 70-80 euro o forse anche di più. Quale potrebbe essere la media di una struttura medio-piccola? È chiaro che bisogna confrontare le tipologie, perché più utenti ci sono e più si ammortizzano i costi fissi del personale, però è anche vero che c'è un rapporto utente/operatore per cui un calcolo medio si potrebbe fare per cogliere immediatamente eventuali disfunzioni o spese esagerate.

  LOREDANA LUPO. La mia è più che altro una curiosità, cioè un passaggio che mi manca e che vorrei capire. Quando il minore arriva al diciottesimo anno di età, voi dite che spesso ritorna all'interno della comunità perché non riesce ad adattarsi nel substrato sociale in cui si viene a trovare.
  La comunità in cui si entra per una problematica di distacco famigliare che può essere di natura violenta o causato dall'impossibilità del genitore di occuparsene, rappresenta l’extrema ratio perché non è la famiglia, ma tende a creare non un ambiente identico a quello della famiglia, perché Pag. 11 è impossibile ipotizzare una cosa del genere all'interno della comunità, ma a creare una nuova persona, a farla crescere e portarla a uno sviluppo tale che si possa autogestire, perché io cresco un bambino all'interno della famiglia ma lo cresco per renderlo autonomo, non per renderlo per sempre dipendente da me.
  A me manca sempre questo passaggio, non capisco dove sbagliamo, qual è l'errore per cui non si arriva ad un percorso di vita formativo, in grado di rendere quel ragazzo, che si forma all'interno di queste case-famiglia, un adulto consapevole che affronta la società, mentre invece tende a tornare all'interno della comunità e addirittura la comunità si riorganizza per dare un lavoro alternativo a un cittadino ormai cresciuto, in teoria autonomo, forte, che dovrebbe avere un substrato sociale identico al bambino cresciuto all'interno di una famiglia.
  A me manca questa parte: cosa succede, dove falliamo, dov'è il problema per cui non siamo in grado di fornire a questi ragazzi la possibilità di una vita nuova, di crearsi una vita di famiglia o da single, vorrei capire dove è l'errore. Grazie per le informazioni che ci saranno molto utili.

  CARLA LETTERE, Componente del Direttivo dell'Unione nazionale Camere minorili. Per quanto riguarda le linee guida non le ho fornite perché sono disponibili, sono pubbliche, sono sul sito dell'Ordine nazionale degli assistenti sociali, per cui sono reperibili, e devo dire che c'è stato un grande lavoro di collaborazione.
  Per quanto riguarda invece la domanda che mi faceva la senatrice Bertorotta rispetto al curatore speciale del minore e all'avvocato del minore – assolutamente non in tutti i procedimenti, ma solo quando è necessario – l'ordinamento italiano prevede la possibilità di nominare un curatore speciale ad acta nell'ambito del procedimento di allontanamento del minore, specialmente nei casi di dichiarazione di stato d'abbandono o di valutazione dello stato di abbandono, se esiste naturalmente un contrasto tra i genitori e l'interesse del minore.
  In questi casi la nomina del curatore diventa importante, perché è lui che segue il percorso del minore ed il suo interesse, che a volte non coincide con quello del genitore. Il curatore non può costituirsi in giudizio se non a mezzo di un avvocato, nel momento in cui avesse tale necessità.
  Noi sollecitiamo in questi casi la nomina del curatore – non in tutte le procedure di allontanamento – però è sempre il giudice che deve valutare se vi siano situazioni di contrasto, e in questi casi sollecitiamo la nomina del curatore e dell'avvocato del minore, ma anche del tutore, quando il minore rimane nella necessità di avere un tutore che si occupi delle sue problematiche; questo perché spesso il minore viene allontanato, rimane affidato al servizio sociale senza limitare la responsabilità genitoriale, per cui l'assistente sociale ha un ampliamento delle proprie competenze e responsabilità rispetto al minore, però non è il tutore, non può decidere, e dall'altro lato il genitore ha un affievolimento della propria posizione.
  Mettere queste figure intorno al minore diventa fondamentale, non tanto per la celerità del percorso, quanto per portare a compimento bene il percorso che deve essere compiuto per il minore, quindi non in tutti i casi, ma quando serve decisamente sì.
  Rispetto alla relazione dei servizi sociali mi permetto di fare un piccolo intervento. Si dovrebbe distinguere tra gli interventi operati a livello nazionale rispetto ai minori entrati nel circuito penale, perché la competenza è dei servizi sociali dell'Ufficio di servizio sociale per i minorenni (USSM), cioè del Ministero della giustizia, mentre per quanto riguarda i minori che sono allontanati dalla famiglia con un procedimento civile troviamo la competenza dei servizi sociali territoriali, per cui dei comuni, delle comunità montane, che sono i servizi sociali con cui parliamo quotidianamente. Hanno una preparazione diversa nel senso che hanno una competenza diversa, ma in particolare assistiamo a comuni che con contratti a tempo determinato e a progetto assumono assistenti sociali part-time, ma i contratti scadono e i minori non sono riassegnati a nessuno. Pag. 12
  Diventa problematico avere un referente e l'assistente sociale in quel momento potrebbe non esserci. Le linee guida parlano dell'allontanamento del minore e della tutela, ma i protocolli da utilizzare da parte dei servizi su come relazionare dipendono sempre dalla pubblica amministrazione, perché dipendono sempre da un dirigente dei servizi sociali rispetto al comune e alle comunità montane; non c'è un'unica modalità, e questo lo vediamo tutti i giorni, ma vediamo anche i servizi sociali che lavorano in condizioni veramente molto complesse e questo fa sì che si abbia difficoltà ad avere un intervento sul territorio perché sono sotto organico, con contratti part-time.
  Mi permettevo di fare questa differenza tra civile e penale, perché abbiamo minori che terminano il loro percorso e non hanno la possibilità di andare in adozione; i bambini piccoli trovano quasi sempre delle adozioni, mentre i bambini che hanno superato una certa età o hanno delle patologie sono a rischio adozione, perché è difficile trovare coppie che vogliano adottarli.
  Nell'ambito del penale ci sono delle progettualità diverse e forse anche maggiori fondi o possibilità, mentre per il minore che è stato in comunità, non ha più famiglia e non ha possibilità di essere accolto da nessuno, a diciotto anni si aprono le porte e si rischia di non avere alcuna risorsa da offrire. Sono pochi i casi, però ci sono.

  ORNELLA BERTOROTTA. Lei ritiene che i minori debbano essere ascoltati a qualsiasi età?

  CARLA LETTERE, Componente del Direttivo dell'Unione nazionale Camere minorili. No, bisogna vedere la capacità di discernimento. Il fatto di ascoltarlo è legato più che altro alla valutazione dei bisogni del minore, cioè alla valutazione del suo benessere o del malessere, per cui alla capacità di esprimere la propria emotività, quando parliamo di bambini piccoli. Al di sotto degli otto anni, se hanno questa capacità di discernimento, si può ascoltarlo o meno a seconda sempre delle situazioni, perché poi è il magistrato che decide.

  PRESIDENTE. La ringrazio, quando presenteremo questa indagine conoscitiva probabilmente vi inviteremo perché solitamente realizziamo una sorta di evento con approfondimenti, quindi il materiale del vostro intervento resterà agli atti dell'indagine conoscitiva, ma ci riserviamo di invitarvi anche di persona per dare un'ulteriore testimonianza.
  Nel ringraziare i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15,05.