XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 12 di Martedì 16 febbraio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 3 

Sostituzione di un componente della Commissione:
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI MINORI FUORI FAMIGLIA

Audizione del presidente dell'Associazione per la tutela dei minori e della persona vittima di violenza, l'avvocatessa Maria Carsana, e dell'avvocato Francesco Morcavallo, ex giudice del Tribunale per i minorenni di Bologna.
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 3 ,
Mattesini Donella  ... 3 ,
Carsana Maria , presidente dell'Associazione per la tutela dei minori e della persona vittima di violenza ... 3 ,
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 5 ,
Albano Donatella  ... 5 ,
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 5 ,
Albano Donatella  ... 5 ,
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 5 ,
Albano Donatella  ... 5 ,
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 5 ,
Morcavallo Francesco , ex giudice del Tribunale per i minorenni di Bologna ... 5 ,
Carsana Maria , presidente dell'Associazione per la tutela dei minori e della persona vittima di violenza ... 9 ,
Morcavallo Francesco , ex giudice del Tribunale per i minorenni di Bologna ... 9 ,
Carsana Maria  ... 9 ,
Morcavallo Francesco , ex giudice del Tribunale per i minorenni di Bologna ... 9 ,
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 11 

ALLEGATO: Documentazione presentata dall'Associazione per la tutela dei minori e della persona vittima di violenza ... 12

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE
ROSETTA ENZA BLUNDO

  La seduta comincia alle 13.15.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

Sostituzione di un componente della Commissione.

  PRESIDENTE. Comunico che la Presidente della Camera, in data 15 febbraio 2016, ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza la deputata Valentina Vezzali, in sostituzione del deputato Antimo Cesaro, dimissionario.

(La Commissione prende atto).

Audizione del presidente dell'Associazione per la tutela dei minori e della persona vittima di violenza, l'avvocatessa Maria Carsana, e dell'avvocato Francesco Morcavallo, ex giudice del Tribunale per i minorenni di Bologna.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui minori fuori famiglia, l'audizione del presidente dell'Associazione per la tutela dei minori e della persona vittima di violenza, l'avvocatessa Maria Carsana, e dell'avvocato Francesco Morcavallo, ex giudice del Tribunale per i minorenni di Bologna.
  Do la parola all'avvocato Maria Carsana.

  DONELLA MATTESINI. Intervengo, Presidente, sull'ordine dei lavori. Chiedo scusa anche a nome suo – e speravo che lo facesse – perché non si arriva, rispetto alla convocazione, con 40 minuti di ritardo, senza neanche scusarsi.
  Chiedo scusa ai nostri auditi anche del fatto che, dovendo votare, tra dieci minuti noi rappresentanti del Partito democratico dovremo assentarci. Vi chiedo scusa perché ritengo sia davvero molto serio e molto importante il contenuto dell'audizione, ma anche i lavori della Commissione permanente ai quali dobbiamo partecipare.

  MARIA CARSANA, presidente dell'Associazione per la tutela dei minori e della persona vittima di violenza. Buongiorno. Ho visto che nelle precedenti audizioni sono stati sentiti dei rappresentanti di case famiglia e di autorità che si occupano dei problemi dei bambini che troviamo in istituto.
  Abbiamo visto anche che non ci sono numeri certi, il che è già un primo fatto gravissimo. Nell'analisi fatta dall'associazione che presiedo e che ho consegnato questa mattina, si parla di circa 30.000 bambini in istituto. Teniamo presente che, secondo il nostro studio, che è orientato a capire i motivi per cui questi bambini si trovano negli istituti, il 63 per cento di questi bambini, come motivo primario o secondario, ha un problema di indigenza economica, abitativa e lavorativa dei genitori.
  Io, come avvocato, mi sono occupata di tantissimi casi di bambini allontanati dalle Pag. 4loro famiglie e spesso ho dovuto notare che questi allontanamenti avvengono, a seguito della richiesta di aiuto di queste famiglie, da parte di chi è preposto ad aiutarle. Questo è un primo dato che mi fa riflettere perché, in qualche modo, onestamente io, prima di consigliare ad una famiglia di rivolgersi allo Stato per chiedere aiuto, ci penso due volte, se non tre.
  In più, abbiamo i fenomeni dell'allontanamento, ex articolo 403 del codice civile. Ho visto che in precedenti audizioni vi siete domandati quanti di questi provvedimenti d'urgenza vengano convalidati. Al riguardo, io vi posso dire, per quanto riguarda la mia esperienza, che non c'è una sola volta in cui non ci sia stata la convalida. Questo è un altro dato che ci dovrebbe far riflettere, anche perché questi provvedimenti sono emessi se c'è un sospetto di disagio o comunque di inidoneità delle famiglie ad accudire i propri figli.
  Io, come vi dicevo, mi sono occupata di tantissimi casi, ma il più eclatante a mio avviso è quello avvenuto recentemente dei sei bambini di una famiglia povera di Anzio messi in un istituto ecclesiastico gestito dalle suore. Il comune di Anzio versava 18.000 euro al mese per mantenerli in istituto.
  Sono riuscita a risolvere questo problema grazie ad una puntata di Presa diretta che si è occupata di questo caso; altrimenti probabilmente questi bambini stavano ancora in istituto. Prima di risolverlo, il comune di Anzio ha speso 700.000-800.000 euro per mantenere questi bambini in istituto. Mi domando se non sarebbe stato più facile dare un alloggio a questa famiglia o fornire un aiuto economico, ovviamente con una progettualità. L'aiuto economico non deve essere considerato un obolo che è fine a se stesso, perché poi i soldi finiscono e i problemi restano, ma ci dovrebbe essere appunto una progettualità che al momento onestamente, per quanto riguarda la mia esperienza, manca.
  C'è un altro problema che voglio sollevare. A proposito del caso di questi sei bambini, io andai a parlare ripetutamente con l'assessore ai servizi sociali del comune di Anzio per chiedere che venisse loro data una casa, perché la prima cosa che mancava a queste persone era un alloggio idoneo. L'assessore mi rispondeva: «Se lo chiede il tribunale, io darò questa casa».
  In quel periodo è stato approvato il decreto legislativo n. 154 del 2013, che ha regolamentato in parte la riforma che c'è stata nel 2012, con la legge 219, in materia di diritto di famiglia. Questo decreto legislativo ha aggiunto alla legge n. 184 del 1983, cioè quella sulle adozioni, l'articolo 79-bis che prevede espressamente che i tribunali debbano sollecitare i comuni di residenza dei minori in difficoltà economica per avere degli interventi.
  L'assessore mi disse: «Se il tribunale mi dice questo, io ho la possibilità di far saltare le liste d'attesa per le case popolari e quant'altro e dare una casa a questa famiglia».
  Io ho fatto ripetutamente, non soltanto in questo caso, ma anche in molti altri, la richiesta al Tribunale per i minorenni, in base all'articolo 79-bis della legge n. 184 del 1983, di dare questo input e di ordinare ai comuni di intervenire. Tuttavia, non ho mai ricevuto risposta, neanche una risposta di diniego. Sono stata sempre completamente ignorata, quindi io sono qui per rappresentare che cosa vuol dire per una famiglia il fatto che, come vi ho detto, nella maggior parte dei casi per motivi economici vengano tolti i bambini.
  Queste famiglie entrano in una sorta di inferno dantesco dove abbiamo operatori spesso oberati di lavoro, che si devono occupare dei minori, dell'anziano in difficoltà e del disabile e che spesso sono molto volenterosi e molto bravi.
  Tuttavia, capita anche il caso in cui l'assistente sociale che deve relazionare al tribunale non è competente o ha delle presunzioni o ha una visione del tutto personale sul concetto, assolutamente non codificato, di capacità genitoriale. In effetti, dovremmo anche interrogarci su che cos'è la capacità genitoriale perché non è scritto da nessuna parte e ognuno lo interpreta a modo proprio.
  Ci troviamo nella situazione in cui i Tribunali per i minorenni prendono per oro colato queste relazioni, per cui abbiamo Pag. 5 bambini che nel 42 per cento dei casi, secondo il nostro studio, restano collocati oltre 48 mesi in istituto e nel 22 per cento dei casi da 24 a 48 mesi.
  Parliamo del 64 per cento degli affidamenti in istituti e in case famiglia o in famiglie che si offrono di tenere questi bambini che si protraggono nel tempo, anche se noi sappiamo che, tranne in casi eccezionali, questa permanenza non deve superare i due anni.
  In merito, dobbiamo fare l'esame del perché non ci siano questi aiuti alle famiglie e del perché gli interventi da parte dei comuni, ormai ridotti all'osso economicamente, siano assistenziali e senza una progettualità dietro.
  Io vi devo ricordare sia il dissolvimento degli interventi finanziari della legge n. 216 del 1991, che interveniva nella prevenzione della devianza minorile e sulle sue cause, sia il dissolvimento degli interventi in termini di servizi, dopo la decisione della riduzione dei finanziamenti per la legge n. 285 del 1997 avvenuta in forma forse criticabile nel 2003, quando ancora non c'era tutta questa crisi che c'è ora. È stata fatta la scelta di spostare l'interesse sulla famiglia piuttosto che sul minore.
  Io prego e invoco questa Commissione di fare qualcosa per ridare fondi alla progettualità, al fine di assistere appunto questi minori nella situazione problematica che in questo momento è anche peggiorata con l'arrivo dei minori migranti non accompagnati.
  In ultimo, vista l'ora, vorrei – il mio intervento è stato molto breve perché ho saltato alcune parti – ricordare che le convenzioni internazionali e la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea citano espressamente l'obbligo di considerare il minore non come oggetto di tutela, ma come soggetto di diritto. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei che è stata abbastanza sintetica, ma, nello stesso tempo, incisiva. Io non ho voluto prolungarmi, per non togliere tempo, nel discorso di scuse che farò alla fine.

  DONATELLA ALBANO. Sull'ordine dei lavori, Presidente, siccome ci dobbiamo assentare e riteniamo che l'audizione dell'avvocato Morcavallo sia molto interessante, le chiedo se fosse possibile proporre un'altra audizione, in modo che possiamo presenziare e fare le domande direttamente.

  PRESIDENTE. Mi sembrava che i colleghi avessero detto di rimanere almeno fino alla conclusione dell'audizione prevista.

  DONATELLA ALBANO. L'audizione era prevista alle 12.45. Io ho fatto il «giro dell'oca» per essere puntuale, pensando di audire l'avvocato Morcavallo e la dottoressa Carsana. Io ho un'altra Commissione alle 13.30, per cui non è una questione di tempo, ma di rispetto.

  PRESIDENTE. Al Senato, comunque, votiamo alle 16.30.

  DONATELLA ALBANO. Io ho altre Commissioni. Si vota anche in Commissione, con presenza del numero legale. Le chiediamo di riferire questa richiesta al Presidente.

  PRESIDENTE. Mi dispiace. Riferirò la vostra richiesta.
  Do la parola all'avvocato Morcavallo.

  FRANCESCO MORCAVALLO, ex giudice del Tribunale per i minorenni di Bologna. Cercherò di essere sintetico e schematico, anche perché non ho potuto preparare un compendio scritto, che, se sarà necessario, mi riserverò di comunicare in altro modo.
  Intendo, peraltro, essere piuttosto schematico perché anche io ho avuto modo di esaminare le precedenti audizioni e ho notato che sono emersi contenuti specifici piuttosto omogenei, per quanto riguarda gli aspetti di sostanziale criticità del sistema di protezione del minore mediante l'allontanamento dalla famiglia.
  Nell'apparente dicotomia – forse dovuta anche a particolari appartenenze che poi coincidono con un coinvolgimento nella gestione degli istituti privati che svolgono l'assistenza ai minori mediante ricovero – mi pare che ci sia un aspetto di sostanziale Pag. 6omogeneità, cioè non è possibile svolgere una generalizzazione secondo cui la critica al sistema di protezione, di cui fa parte l'allontanamento dei minori dalla famiglia, sia una critica all'intervento di allontanamento in assoluto.
  Nessuno nega che ci siano delle situazioni – peraltro, le statistiche ci dicono essere di assoluto margine – in cui può essere necessario un intervento così radicale. Nessuno vuole escludere che un bambino o un ragazzo in pericolo possa fruire di un pronto intervento, anche cautelativo. Il problema, però, è di evitare che il rimedio diventi più dannoso del male, cioè che, per garantire protezione a queste situazioni di margine, si crei un sistema monstrum che sostanzialmente fa poi dell'allontanamento del bambino o del ragazzo dalla famiglia l'intervento normale e più frequente.
  Le statistiche, per quanto in qualche modo disomogenee – forse lo sono necessariamente, non essendovi, come è noto e come è stato ricordato, dei registri specifici o degli elenchi specifici dei minori allontanati – dimostrano che l'intervento di allontanamento sia il più frequente nell'ambito del sistema di protezione, sia amministrativo sia giurisdizionale del minore. Tale intervento non è solo il più frequente, ma è anche quello che più frequentemente manifesta una divergenza rispetto alla finalità normativa.
  Per essere schematici, mi sto riferendo, nell'ambito di tre questioni – an, quomodo e quantum – che individuo sul macrotema di cui ci occupiamo, cioè l'allontanamento inteso in termini temporali, al primo di questi aspetti (an), cioè se disporre o meno l'allontanamento.
  I riferimenti normativi e il sistema normativo che riguarda questo aspetto, cioè se occorra dar luogo all'allontanamento del minore dalla famiglia, sono ormai noti, se non altro perché, a più riprese e anche in epoca recentissima, è stato ribadito non solo dalla giurisprudenza interna ma anche dalla giurisprudenza sovranazionale, cioè quella la Corte europea dei diritti dell'uomo, con pronunce anche severe, quanto al contenuto e alla materia, cioè pronunce di condanna che hanno riguardato addirittura procedimenti di adottabilità definiti con sentenze passate in giudicato.
  Siamo al limite dell'errore irrimediabile o forse oltre il limite, visto che ancora nell'ordinamento italiano non vi è un sistema per adeguare gli effetti dell'ordinamento interno, a fronte di un giudicato già formato, alla statuizione di condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo.
  In merito, sono chiari i riferimenti sistematici, nel senso che l'allontanamento, secondo la giurisprudenza sovranazionale cui è conforme in modo assoluto la normativa e anche la giurisprudenza costituzionale di legittimità interna, occorre che sia, com'è scontato, l’extrema ratio, non una soluzione immediata, e che venga applicato soltanto allorché si manifesti l'immediata impossibilità di soluzioni alternative, prima di tipo assistenziale (articoli 30 e 31 della Costituzione e articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo), poi eventualmente di tipo autoritativo, e comunque non riguardanti l'allontanamento. Una volta rimasti inattuabili questi rimedi, solo se è constatata la permanenza di un pericolo grave, concreto e provato di permanenza del bambino o del ragazzo nell'ambito della propria famiglia, è consentito ricorrere all'allontanamento.
  Questa graduazione di criteri in ambito giurisdizionale, come in ambito amministrativo, comporta anche una graduazione dei momenti di accertamento, cioè su cosa succede, su quali rimedi si possono porre in essere, su quali rimedi diventano inattuabili e se permane il pericolo. Tuttavia, questa graduazione di accertamenti – sono d'accordo con quanto si diceva poc'anzi – sostanzialmente non viene compiuta mai.
  L'esperienza ci dice – credo che non sia prospettabile in alcun modo una smentita – che l'allontanamento viene disposto inaudita altera parte, quindi come primo provvedimento del procedimento giurisdizionale, se non addirittura in via preprocessuale ai sensi dell'obsoleto, salva l'auspicata riforma, articolo 403 del codice civile. Si può trattare anche di un rimedio che, se non attuato immediatamente, in alcuni casi, anche se statisticamente più rari, viene Pag. 7attuato in corso di giudizio, ma senza una motivazione specifica sulla impossibilità di dare séguito in modo efficace agli interventi svolti precedentemente.
  Io direi che ciò accade perché – non c'è neanche bisogno di studi – nel 100 per cento dei casi questa motivazione si rinviene in valutazioni assolutamente generiche e addirittura in certi casi di incidenti sulle opinioni personali degli interessati.
  Sono reduce da una difficile udienza in un procedimento di adottabilità dinanzi al Tribunale per i minorenni di Cagliari. Tale procedimento di adottabilità si è aperto con la seguente ipotesi di quello che potremmo definire uno stato di abbandono: i genitori della bambina collocata in comunità, nel chiedere che gli interventi fossero svolti previo rientro della bambina in casa, mostrano di non condividere gli interventi dell'assistenza sociale, del tribunale e della casa famiglia, per cui manifestano un'opinione divergente rispetto al progetto assistenziale, di guisa che non è prevedibile un recupero delle attitudini familiari in tempi idonei a evitare addirittura lo stato di adottabilità, quindi la dichiarazione dello stato di abbandono della bambina.
  Questa bambina, tra parentesi, come regalo di Natale ha chiesto di poter tornare a casa dopo un anno e mezzo di comunità e praticamente tutti i giorni si butta per terra chiedendo di incontrare i genitori. Nel provvedimento di apertura dello stato di adottabilità, in limine processus, cioè con il primo provvedimento che è quello di apertura, sono stati interrotti i rapporti tra la bambina e i genitori.
  Mi chiedo se sia il caso di indugiare sul corto circuito logico che è contenuto in questo tipo di motivazione, cioè quando viene disposto un intervento autoritativo con la collocazione della bambina in comunità e si rivela possibile – non entro nel dettaglio del procedimento – la prosecuzione di un intervento, eventualmente anche mediante assistenza e controllo nella casa famigliare. Il più delle volte i genitori o i famigliari del minore si rendono anche disponibili a questo tipo di intervento. Vi ripeto, se ce ne fosse bisogno, che concordo con quanto è stato detto, cioè che quello nella famiglia è molto meno costoso di un intervento di permanenza residenziale in una casa famiglia. Inoltre, tale intervento è più virtuoso perché garantisce il diritto primario del minore a crescere nell'ambito della propria famiglia.
  Il corto circuito logico sta in questo: venuta meno, se ve n'è stata mai qualcuna, la ragione originaria di allontanamento del minore, ne è stata trovata un'altra. I familiari hanno osato contrapporre un proprio dissenso rispetto all'intervento autoritativo, come se l'intervento autoritativo dovesse incidere non solo sullo status iuris familiare, ma addirittura sulla mentalità, sulle opinioni stesse e sul carattere delle persone, cioè come se dovesse indurre addirittura un ravvedimento interiore tale da portare le persone da un paradigma di supposta anormalità a uno di normalità, nel senso di adesione all'intervento autoritativo quale che sia, anche se è stato accertato che era sbagliato. In questo caso è certo che un allontanamento di un anno e mezzo, potendo essere surrogato da un intervento di assistenza domiciliare, è sbagliato perché l'allontanamento, per principio ordinamentale consolidato, deve essere l’extrema ratio, come dicevamo all'inizio.
  Vorrei collegarmi al secondo aspetto del problema, ripromettendomi di essere addirittura più sintetico. Mi riferisco al quomodo, cioè a come si svolge questo periodo di allontanamento e come si svolgono gli accertamenti per vedere come va questo periodo di allontanamento, cioè come incide sul benessere del minore, che è l'aspetto prioritario, e sulle dinamiche famigliari.
  Certo, è sottinteso che questo secondo passaggio, cioè lo svolgimento di attività idonee a recuperare una situazione familiare e che escludano il pericolo che ha determinato l'allontanamento, ossia – se esiste – il pericolo di permanenza in famiglia, dovrebbe essere attuato specificamente nell'ambito delle situazioni di pericolo vero.
  Nelle situazioni che non sono di pericolo vero, l'allontanamento non ci dovrebbe essere. Lo dico non per il fatto che fa guadagnare denaro alla struttura privata, Pag. 8 che è un altro argomento, forse secondario e collaterale, ma perché l'allontanamento è dannoso. L'allontanamento per un bambino o per un ragazzo è un danno e si può praticare solo quando il danno sia considerato minore del pericolo che si dovrebbe affrontare. Questo è un passaggio logico che l'ordinamento e la giurisprudenza interna e sovranazionale danno assolutamente per assodato. Tuttavia, la giurisprudenza di merito, cioè i Tribunali per i minorenni e le Sezioni minorili delle Corti d'appello, misteriosamente non lo fanno.
  Su questo voglio aggiungere un'altra cosa, aprendo e chiudendo una piccola parentesi. Questi casi marginali di pericolo impeditivo della permanenza del bambino nella famiglia ci sono, anche se sono statisticamente marginali perché sto parlando dei casi di pericolo comprovato, non di indicatori di pericolo genericamente intesi nelle linee-guida di alcune associazioni o comitati di associazioni che poi sono, guarda caso, gestori di istituti di ricovero di minori.
  Sto parlando di pericoli comprovati perché il processo, anche minorile, si basa su fatti e prove. Inoltre, non è altrimenti configurabile una vicenda processuale, se non in questo modo. Questi casi di pericolo vero vengono offuscati dal mare magnum di allontanamenti indebiti, perché svolgere interventi su decine di migliaia di casi in cui quello specifico intervento è indebito ed è conseguentemente inefficiente dal punto di vista dell'assistenza alla famiglia, comporta altresì una dispersione di risorse che, invece, potrebbero essere canalizzate su quei pochi ma importantissimi casi di pericolo vero e comprovato.
  Certo, tali casi sono pochi, ma esistono. Inoltre, anche se ce ne fosse uno solo, dovrebbe essere garantito un rimedio assistenziale o autoritativo rispetto ai casi di pericolo comprovato, ma con una canalizzazione di risorse assolutamente impedita dalla generalizzazione del rimedio dell'allontanamento a ipotesi – sono la stragrande maggioranza – che con l'allontanamento non c'entrano nulla, cioè che non costituiscono un presupposto normativo idoneo all'allontanamento; tanto più, dove la motivazione, riguardi – vi ripeto – una valutazione personologica o generica sull'idoneità ad essere genitori.
  Tale concetto non solo, come giustamente diceva l'avvocato Carsana poc'anzi e come è stato detto da molti in questa sede, è difficilmente individuabile, ma è anche concettualmente e linguisticamente vuoto perché la congruità, o l'idoneità, presuppone un termine di paragone: congruità a qualche cosa, in base ad un parametro.
  Tuttavia, non c'è un parametro di idoneità genitoriale. Chiunque, a fronte di un'accusa generica di inidoneità a essere il migliore dei genitori o un buon genitore, non avrebbe modo di difendersi perché il processo è fatto in modo che ci si possa difendere solo dai fatti.
  Le norme del codice civile di riferimento, cioè gli articoli 130 e 333 del codice civile stesso, sono carenti su questo punto. Inoltre, è evidente che tali norme facciano riferimento a fatti, cioè a condotte violative dei doveri parentali. Tuttavia, è così indeterminata la proposizione normativa che, nella giurisprudenza di merito (Tribunale dei minori e Sezione per i minorenni dalla Corte d'appello), si è ricondotta questa fattispecie, cioè delle condotte di violazione dei doveri parentali, ad una generica sintomatologia di inidoneità ad essere genitori normali, anche se non si sa cosa voglia dire essere un genitore normale perché non esiste un parametro normativo o scientifico che lo definisca.
  Come si svolge l'allontanamento, giustificato o ingiustificato? Me lo chiedo perché è un nuovo aspetto del problema. La previsione normativa specifica è contenuta nella legge sull'affido e sull'adozione, cioè la legge n. 184 del 1983, e nelle successive modificazioni e integrazioni, in particolare agli articoli 2, 4 e 5, per cui l'allontanamento si dovrebbe svolgere mediante l'organizzazione di ogni intervento idoneo a rendere questo periodo di permanenza del minore lontano dalla famiglia il più breve possibile. Tali interventi dovrebbero essere congrui al fine di determinare il pronto rientro del bambino in famiglia.
  Per quanto riguarda l'attuazione pratica, nella stragrande maggioranza dei casi Pag. 9la frequentazione tra i genitori e un bambino, anche in tenera età, è ridotta, quando tutto va bene, a un'ora a settimana. Certo, per un bambino di un anno o di due anni, vedere i genitori o i nonni o i fratelli per un'ora a settimana significa perdere la cognizione stessa del proprio ambito familiare, ma è dannoso anche per i bambini di altre età.

  MARIA CARSANA, presidente dell'Associazione per la tutela dei minori e della persona vittima di violenza. Con casi anche di autolesionismo grave.

  FRANCESCO MORCAVALLO, ex giudice del Tribunale per i minorenni di Bologna. Anche per gli adolescenti è estremamente dannoso perché si perdono dei riferimenti.
  Forse non nella stessa quantità della collega Carsana, ma penso di aver analizzato, prima come giudice delegato o come giudice relatore, oggi come avvocato, qualche decina di migliaia di casi.
  In nessuno di essi ho potuto constatare che, a fronte dell'allontanamento, vi fosse un solo beneficio o anche solo la predisposizione di quello che lei chiamava «progetto di riavvicinamento», cioè di quegli interventi che la legge impone e che il dettato normativo impone per sollecitare il pronto rientro del bambino in famiglia.
  A questo si sovrappone quello che definirei un ulteriore dramma, oltre che una disfunzione, e che non riguarda una disapplicazione normativa, ma un difetto di controlli.
  Vi ripeto che in tutti i casi esaminati non c'è stata una sola ipotesi in cui io abbia constatato che l'istituto – li chiamo ancora così – venisse fatto oggetto di quei controlli che sono oggetto del potere e della funzione di soggetti ben determinati dell'ordinamento. Si tratta, prima di tutto, delle amministrazioni locali, cioè degli assessori alle politiche sociali o comunque si chiamino e siano qualificati, inoltre dei procuratori minorili, anche se io non ho mai visto un procuratore minorile che facesse accesso ad una comunità, infine dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza che peraltro – mi pare di aver capito – ritiene di non avere questo tipo di potere, anche se, nell'ultima relazione al Parlamento, dice di averlo esercitato.
  C'è anche qui un corto circuito logico: o si ha il potere o non lo si ha, per cui, se non lo si ha, non lo si esercita e, se lo si esercita, lo si ha. Di questi controlli forse ci sarebbe bisogno, non solo a fronte delle ipotesi patologiche più gravi cui la collega ha fatto riferimento, ma anche a fronte di aspetti che riguardano anche la sensibilità soprattutto di un minorenne nella vita quotidiana.
  È di questi giorni la vicenda relativa a una cosiddetta «casa famiglia» – in realtà, è un agglomerato di case famiglia – a Rocca di Papa, in violazione del disposto normativo sulla separazione delle case famiglia per il superamento appunto degli istituti. Si tratta di un vero e proprio istituto, quindi forse non sbaglio se continuo a utilizzare questo termine. Le immagini di questo istituto sono state oggetto di riprese televisive.
  Sono rimasto sconcertato, quando ho visto le sbarre alle finestre e alle porte. Questo non vale solo per l'agglomerato di Rocca di Papa, perché a Roma ne abbiamo anche altri; basta andare sulla via della Pineta Sacchetti per avere un'idea. Questi agglomerati sembrano strutture carcerarie e me ne chiedo il perché.

  MARIA CARSANA, presidente dell'Associazione per la tutela dei minori e della persona vittima di violenza. Si tratta di ex istituti mascherati da casa famiglia.

  FRANCESCO MORCAVALLO, ex giudice del Tribunale per i minorenni di Bologna. Si tratta di tutti gli ex istituti cui, invece di un nome solo, si danno quattro nomi, cioè invece di chiamarsi «istituto delle suore» eccetera si chiamano con quattro nomi, come «Casa L'armonia» o «Casa Letizia» eccetera, anche se si tratta di un'unica struttura.
  Io non ho mai visto controllare e sorvegliare le modalità di organizzazione di un istituto, nemmeno da parte delle istituzioni amministrative o delle istituzioni private che li finanziano. Pag. 10
  Tuttavia, in questi meccanismi di finanziamento si creano delle disfunzioni.
  La collega faceva riferimento a dei termini di durata, non solo previsti dalla legge, ma anche di durata prevedibile da indicare nel provvedimento, come da qualche tempo avrebbe prescritto la Corte europea dei diritti dell'uomo, ma, evidentemente, con statuizione rimasta costantemente inattuata, anche in questo caso.
  Addirittura, per ricevere finanziamenti privati, alcune strutture, tra cui quella cui facevo riferimento, indicano alla fondazione privata finanziatrice la durata prevedibile, esprimendola in anni (un anno, due anni o un anno e sei mesi), anche se non si sa sulla base di quale criterio, e sostituendosi al giudice. Succede che, quando l'accertamento sulla opportunità o meno e sulla necessità o meno che la collocazione in istituto debba proseguire, si basa su quanto riferiscono i gestori o gli operatori di quella struttura.
  Tuttavia, si potrà essere sicuri che i gestori e gli operatori di quella struttura riferiscano secondo il criterio del diritto soggettivo nell'interesse del minorenne o vi può essere il dubbio che, nella ponderazione, in qualche modo, possa assumere rilievo, se non addirittura prevalenza, il dato del gestore?
  Certo, il principio di trasparenza vorrebbe, se si cerca la prospettiva di una modifica normativa, che sull’an – l'esempio è quello della riforma dell'articolo 403 – venga individuata la fattispecie di riferimento, pericolo comprovato alla salute e alla vita del minore derivante dalla permanenza nella famiglia. Sul quomodo e sull'accertamento del quantum temporis, cioè della durata dell'allontanamento, trasparenza vorrebbe che venga previsto che la prova dei dati di fatto su cui si deve basare l'apprezzamento circa la valutazione e la durata della collocazione fuori dalla famiglia venga formata nel contraddittorio processuale e non possa essere limitata soltanto a quanto riferito dai gestori dell'istituto; altrimenti si crea una commistione di ruoli in cui gli operatori diventano anche giudicanti, invece bisogna separare le funzioni.
  L'importante funzione di ospitare e di accogliere un bambino non può coincidere con la funzione di dire se quel bambino deve essere ospitato e accolto, perché invece lo deve dire qualcun altro; altrimenti si creano dinamiche di sovrapposizione logica che poi confinano con il conflitto di interesse, anche a prescindere dal coinvolgimento di giudici onorari nella gestione di case famiglia che pure è abbastanza diffuso, come avete avuto modo di constatare.
  Questa possibile prospettiva di riforma di tipo processuale porterebbe a superare un dato ormai obsoleto, cioè la collocazione del processo minorile, anche in quei casi delicatissimi che portano all'allontanamento dalla famiglia o addirittura alla dichiarazione dello stato di adottabilità e soprattutto in quelli de potestate, nell'alveo della volontaria giurisdizione. Ancora adesso, dimenticando e pretermettendo un secolo e mezzo di riflessione processuale civilistica, la volontaria giurisdizione viene intesa come una sorta di arbitrium iudicis, in cui il giudice fa quello che vuole e l'occhio del giudice è l'assistente sociale o l'operatore della casa famiglia. Sostanzialmente, non c'è possibilità di difesa in giudizio e la volontaria giurisdizione diventa sinonimo di arbitrium iudicis, cioè di decisione del giudice sulla base di un dato impressionistico costruito sul riferito altrui.
  Questi mi sembrano, anche al di là dei dati statistici, dei punti di criticità assolutamente rimediabili. Riguardo l’an, la riforma è all'esame del legislatore e c'è un'indicazione determinata della fattispecie normativa, mentre per il quomodo basterebbe poco, cioè basterebbe introdurre una norma di una riga sulla formazione della prova e dare, sul piano amministrativo, attuazione ai poteri di sorveglianza e controllo sulle strutture e attuazione alle norme che tendono a impedire che queste strutture divengano o continuino ad essere, perché non hanno mai smesso, degli istituti.
  Certo, è una questione di politica amministrativa quella di distribuire le risorse in modo diverso, cioè nell'assistenza alla famiglia o con il finanziamento di lontani surrogati della famiglia. Tuttavia, è una questione politico-amministrativa che sarebbe Pag. 11 consequenziale a queste riforme normative perché, se fosse chiaro e se fosse ineludibile un dettato stringente, tale da rendere necessariamente marginale, come lo è nella realtà sociale, il rimedio dell'allontanamento, sarebbe consequenziale indirizzare le risorse e gli sforzi anche di organizzazione verso la famiglia.

  PRESIDENTE. La ringrazio perché è molto interessante quello che lei è venuto a riferirci. È importante che noi raccogliamo questi allarmi.
  In realtà, ci ha dichiarato delle cose davvero gravi, come il fatto di non tener conto delle condizioni dei genitori che possono, giustamente, contestare, anche se dal punto di vista di un autoritarismo eccessivo, una scelta che tra l'altro elude le tutele della Costituzione e, come ci ha detto, le sollecitazioni dell'Europa.
  Vi porgo le scuse anche a nome della Presidente che, purtroppo, ha avuto un problema di salute e non ha potuto essere presente.
  Raccolgo la sollecitazione della collega di chiedere la sua disponibilità per una successiva audizione al fine di dar la possibilità ai colleghi di interagire con le domande.
  La Commissione sta portando avanti questa indagine conoscitiva che serve appunto a raccogliere le vostre sollecitazioni che, in parte, sono anche denunce. Stanno arrivando anche delle proposte fattive per migliorare, visto che è nell'interesse di tutti – della Commissione e di voi auditi – portare avanti al meglio la tutela dei minori.
  In effetti, come dicevamo prima, è pericoloso considerare che la capacità genitoriale sia un criterio così discrezionale e poco oggettivo da lasciare eccessivi margini all'allontanamento.
  Sull'articolo 403, personalmente ho presentato un disegno di legge che è incardinato nella Commissione Giustizia al Senato.
  Purtroppo, adesso dobbiamo interrompere perché abbiamo le votazioni alla Camera, quindi dobbiamo consentire ai colleghi di poter andare a votare. Grazie ancora.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.50.

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ALLEGATO

DOCUMENTAZIONE PRESENTATA DALL'ASSOCIAZIONE PER LA TUTELA DEI MINORI E DELLA PERSONA VITTIMA DI VIOLENZA

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