XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 10 di Martedì 2 febbraio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI MINORI FUORI FAMIGLIA

Audizione del vicepresidente del Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l'abuso dell'infanzia (CISMAI), dottoressa Dora Artiaco, della responsabile dell'ufficio legale e legislativo dell'associazione Rete sociale (associazione di promozione sociale), avvocatessa Catia Pichierri, e del membro del comitato scientifico, professor Paolo Cioni.
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 3 ,
Pichierri Catia , Responsabile dell'ufficio legale e legislativo dell'associazione Rete sociale (associazione di promozione sociale) ... 3 ,
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 8 ,
Cioni Paolo , Membro del comitato scientifico dell'associazione Rete sociale ... 8 ,
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 11 ,
Artiaco Dora , Vicepresidente del Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l'abuso dell'infanzia (CISMAI) ... 11 ,
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 14 ,
Artiaco Dora , vicepresidente del Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l'abuso dell'infanzia – Cismai ... 14 ,
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 14 ,
Artiaco Dora , vicepresidente del Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l'abuso dell'infanzia – Cismai ... 15 ,
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 16 ,
Artiaco Dora , vicepresidente del Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l'abuso dell'infanzia – Cismai ... 16 ,
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 16 ,
Pichierri Catia , responsabile dell'Ufficio legale e legislativo dell'Associazione Rete Sociale ... 17 ,
Cioni Paolo , membro del Comitato scientifico dell'Associazione Rete Sociale ... 17 ,
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 18 

Allegato 1: Documentazione presentata dal Dottor Paolo Cioni: Tutela dei minori ... 19 

Allegato 2: Documentazione presentata dal Dottor Paolo Cioni: La CTU psicologica-psichiatrica: compiti e limiti dell'esperto ... 33

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE
ROSETTA ENZA BLUNDO

  La seduta comincia alle 13.50.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

Audizione del vicepresidente del Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l'abuso dell'infanzia (CISMAI), dottoressa Dora Artiaco, della responsabile dell'ufficio legale e legislativo dell'associazione Rete sociale (associazione di promozione sociale), avvocatessa Catia Pichierri, e del membro del comitato scientifico, professor Paolo Cioni.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui minori fuori famiglia, l'audizione del vicepresidente del Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l'abuso dell'infanzia (CISMAI), dottoressa Dora Artiaco, della responsabile dell'ufficio legale e legislativo dell'associazione Rete sociale (associazione di promozione sociale), avvocatessa Catia Pichierri, e del membro del comitato scientifico, professor Paolo Cioni.
  Do la parola all'avvocatessa Catia Pichierri per lo svolgimento della sua relazione.

  CATIA PICHIERRI, Responsabile dell'ufficio legale e legislativo dell'associazione Rete sociale (associazione di promozione sociale). Buongiorno a tutti. Questo nostro intervento è finalizzato a rappresentare la situazione in Italia rispetto a una disciplina legislativa che vede il minore formalmente al centro della tutela da parte della magistratura e da parte di tutti gli operatori del settore che sono chiamati a tutelare il minore medesimo.
  Come è noto, la legge n. 84 del 1983, riformata nel 2001 con la legge n. 149, sancisce un principio, che viene riconosciuto anche dalla nostra Carta costituzionale e, quindi, è un principio rilevante costituzionalmente: il diritto del minore di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia.
  Questo diritto viene estrinsecato nel comma 2 dello stesso articolo 1, in cui si prevedono dei compiti da parte dello Stato, delle regioni e degli enti locali: quello di aiutare i genitori qualora versino in uno stato di indigenza economica e quello di prevenire qualora la situazione non sia soltanto di indigenza economica.
  Questa legge obbliga lo Stato italiano e tutti coloro i quali si occupano di minori a consentire ai minori stessi di essere educati nell'ambito della propria famiglia e, quindi, a prevenire l'abbandono. Abbiamo la previsione della criticità, in quanto indigenza economica non può significare allontanamenti e inidoneità genitoriale. Nel caso in cui ci siano delle inidoneità e delle criticità, la legge dello Stato italiano ormai da diversi anni riconosce questo diritto da parte della famiglia.
  Abbiamo, quindi, il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia, ma anche lo speculare diritto del genitore a poter crescere il proprio figlio. Pag. 4Da parte dei genitori c'è un diritto-dovere, che riconosciamo nell'articolo 30 della nostra Costituzione.
  Come vediamo, lo Stato italiano dal punto di vista legislativo riconosce un diritto relazionale: non può esserci un diritto del minore a rimanere nella propria famiglia e, quindi, a essere educato e ricevere assistenza morale e materiale nella propria famiglia, senza riconoscere il corrispondente diritto del genitore a educare e a far crescere, garantendo assistenza morale e materiale al minore stesso.
  Non soltanto lo Stato italiano ha recepito questo, ma riconosciamo anche delle convenzioni, che ormai sono precettive, nel senso che sono delle convenzioni ratificate all'estero, ma ormai riconosciute direttamente in Italia come se fossero delle vere e proprie leggi dello Stato italiano.
  Per sintesi, nomino soltanto la Convenzione di New York del 1989, che all'articolo 3 stabilisce che tutti gli Stati, nel momento in cui è coinvolto un minore, devono assumere le proprie decisioni facendo riferimento all'interesse superiore di quest'ultimo, garantendolo.
  L'articolo 9 della stessa Convenzione, invece, stabilisce la protezione dell'unità familiare, statuendo che gli Stati devono fare in modo di controllare che il minore non venga separato dalla propria famiglia e imponendo questo obbligo a carico di tutti gli Stati.
  Anche nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea di Strasburgo (CEDU) si riconosce il diritto del minore a intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, ovviamente salvo che ci sia qualcosa in contrario.
  La Convenzione di New York regolamenta questo qualcosa in contrario, nel senso che individua la contrarietà all'interesse del minore a stare in famiglia nell'eventuale accertamento, concreto e determinato su fatti oggettivi, di maltrattamenti o di trascuratezza. Si vuole mettere l'accento sull'oggettività di un dato che deve essere comunque accertato.
  Anche l'articolo 8 della CEDU impone allo Stato italiano e a tutti gli Stati membri un'obbligazione negativa, che è quella di non ingerirsi nell'ambito della vita privata di ciascuna famiglia, ma anche un obbligo positivo, sempre di sostegno alle famiglie, che può essere di natura economica – lo ribadisco – ma anche di natura differente, ovvero un supporto nell'ambito delle criticità genitoriali.
  Abbiamo già sviscerato il diritto personalissimo e intangibile. Nella legge dello Stato italiano viene poi messo in evidenza che, nel caso in cui sussistano dei motivi per allontanare i minori, ci sono delle procedure che devono essere rispettate.
  La legge obbliga la magistratura ad emettere dei provvedimenti. Come devono essere questi provvedimenti? Devono esservi indicati motivazioni, tempi e modi dell'esercizio dei poteri riconosciuti all'affidatario, cioè a colui presso il quale viene collocato il minore, e le modalità attraverso cui i genitori possono mantenere rapporti con il minore.
  Inoltre, dà un incarico al servizio sociale, che è quello di elaborare un programma condiviso con la famiglia, in modo tale che il minore possa rientrare tempestivamente in famiglia, nonché un compito di vigilanza rispetto al programma stesso, alla famiglia affidataria e alla struttura di accoglienza. Il servizio sociale deve relazionare ogni sei mesi presso il tribunale per i minorenni per verificare l'andamento e l'esito del programma.
  C'è una durata temporale, quella di 24 mesi che credo tutti conosciamo, che è prorogabile, però dovrebbe esserlo solo in casi eccezionali.
  Questo è il quadro legislativo, quello che io definirei formale. Ci sono alcune criticità, come per esempio il noto articolo 403 del Codice civile, sull'intervento della pubblica autorità a favore dei minori, che andrebbe riformato. Ci sono alcuni autorevoli membri di questa Commissione, quali la vicepresidente Blundo e la presidente Brambilla, che hanno depositato due disegni di legge in merito, riconoscendo l'urgenza e la cogenza della riforma dell'articolo 403. Non è possibile che oggigiorno si parli ancora di allontanamenti determinati da insalubrità degli ambienti, perché questo Pag. 5 significa che c'è una manifestazione della povertà. Ormai, nel comune sentire, l'insalubrità dell'ambiente domestico non può essere riconosciuta come un presupposto che legittimi un allontanamento.
  Per ciò che concerne la definizione di pubblica amministrazione, il concetto del soggetto legittimato a operare l'allontanamento è troppo aleatorio, quindi è lasciato alla discrezione dei più stabilire chi sia la pubblica autorità.
  Peraltro, segnalo la mancata previsione di una procedura per l'allontanamento. Il meccanismo dell'allontanamento dovrebbe avere una procedura, che è prevista in tutti gli altri riti relativi alle materie trattate dall'ordinamento giuridico. Non si capisce perché rispetto a questa misura così grave che deve colpire la famiglia ci sia il nulla. Tutto è lasciato al buonsenso. La cosa importante da segnalare è proprio la mancanza di una regolamentazione delle procedure funzionali a garantire il diritto del contraddittorio e il diritto di difesa di ogni cittadino.
  Ci sono in questo senso alcune opinioni da parte di tanti magistrati minorili, i quali affermano che, essendo alcune procedure, tipo quella di cui all'articolo 403 ma anche altre, assunte in camera di consiglio, non dovrebbero essere sottoposte al contraddittorio. In realtà, sappiamo che il diritto al contraddittorio è invece regolamentato dall'articolo 111 della Costituzione, per cui è chiaro che ogni procedimento subisce l'applicazione di questa norma. Pertanto, dovrebbero essere comunque garantiti il diritto al contraddittorio e il diritto al giusto processo.
  Cerco di essere sintetica quanto più possibile. Nel comune sentire, si pensa che l'allontanamento venga determinato da una situazione di maltrattamento fisico o psicologico. Di conseguenza, la misura dell'allontanamento trova questo presupposto.
  Noi abbiamo dei dati scarni, che non sono raccolti nella maniera più adeguata, non certo perché il Ministero delle politiche sociali nel 2010 non si sia impegnato. I servizi sociali, durante il loro monitoraggio, dovrebbero elaborare delle relazioni semestrali e inviarle alla procura. Il problema è che, se non le inviano e la procura non chiede loro contezza di questo, chiaramente i dati non si avranno mai.
  Ci si augura che il Ministero delle politiche sociali possa obbligare in qualche modo queste istituzioni a raccogliere i dati, in modo tale da creare una banca dati adeguata per il monitoraggio. Infatti, finché non sappiamo quanti bambini effettivamente vivono fuori dalla famiglia, non riusciamo a garantire il loro benessere.
  Tuttavia, questi dati, seppur scarni e seppur molto vecchi (risalgono al 2010), ci dicono che l'allontanamento non è determinato nella gran parte dei casi dal maltrattamento. Il dato del Ministero delle politiche sociali ci dice che il 4 per cento dei minori allontanati che vivono nelle comunità hanno subìto dei maltrattamenti, mentre il 39 per cento di loro sono stati allontanati per il concetto di inadeguatezza genitoriale.
  L'inadeguatezza genitoriale è un concetto che personalmente non condivido, in primo luogo perché la disciplina legislativa che ho cercato di sintetizzare prevede il sostegno alla famiglia. Pertanto, se un genitore è inadeguato, dovrebbe essere semmai sostenuto. C'è questo obbligo.
  Inoltre, tale concetto apre le maglie a una catalogazione poco oggettivata, nel senso che la genitorialità e la competenza genitoriale sono costrutti strettamente connessi alla rappresentazione contestuale, ovvero agli elementi culturali, valoriali e psicosociali definiti in un certo periodo storico e in un certo contesto culturale.
  Pertanto, è assolutamente opinabile affermare che un genitore sia adeguato o meno, perché non ci sono dei criteri oggettivi da questo punto di vista, in quanto ciò dipende dalla cultura, da come una persona cresce, da come si relaziona agli altri e dalla sua esperienza. Ci sono troppi elementi variabili, che non possono garantire l'oggettività di una valutazione, che alla fine diventa opinabile, discrezionale e, quindi, altamente pericolosa.
  Peraltro, per quanto riguarda l'allontanamento in sé, si è sempre affermato che sia giusto, anche nel caso di maltrattamenti. Vorrei segnalarvi che alcuni esperti Pag. 6affermano che in realtà l'allontanamento ha una duplice sfaccettatura: da una parte tutela, però dall'altra sottrae dalle proprie radici questi bambini.
  Di conseguenza, alcuni autori, quali il professor Camerini e una persona di prestigio come il dottor Gustavo Sergio, ex presidente del tribunale per i minorenni di Napoli, affermano che forse bisognerebbe stare un po’ più attenti a equilibrare la misura, addirittura anche nel caso di un bambino vittima di abuso e di maltrattamento, per verificare se sarebbe meglio proteggere anziché separare.
  Infatti, recenti studi nordamericani tendono a dimostrare che l'intervento dell'allontanamento in sé favorisce esiti dissociali, come tossicodipendenza, gravidanza precoce e marginalità. C'è questo pensiero, che possiamo definire estremo, che afferma che anche nel caso di maltrattamenti bisognerebbe stare attenti e valutare di volta in volta se effettivamente questa è una misura da assumere oppure no.
  Ci richiamiamo agli articoli 24 e 111 della Costituzione e al principio del contraddittorio.
  Vediamo cosa avviene rispetto a questo principio presso il tribunale competente a valutare la misura dell'allontanamento e a verificare la responsabilità genitoriale, cioè l'adeguatezza genitoriale. Vorrei mettere in evidenza le brutture rispetto alla legge dello Stato italiano che purtroppo si verificano, perché ci sono queste prassi ormai invalse e incancrenite. Sappiamo che il tribunale per i minorenni ha origini antiche e purtroppo a oggi non si è adeguato alla norma costituzionale del principio del contraddittorio e del giusto processo.
  Come avviene il procedimento di valutazione da cui consegue l'allontanamento? C'è una segnalazione da parte dei servizi sociali alla procura, e il procuratore legge l'elaborato. Ci sono sicuramente elaborati validi da parte dei servizi sociali e ci sono tante assistenti sociali e operatrici che mettono in evidenza i dati oggettivi che il pubblico ministero possa valutare.
  Purtroppo, però, come ho visto da avvocato familiarista che si occupa di questi casi, ci sono situazioni in cui la relazione dei servizi sociali è scarna e soprattutto è opinabile, nel senso che non conferisce dei dati oggettivi, quindi non aiuta il pubblico ministero a valutare.
  Il pubblico ministero, nella prassi o almeno nelle occasioni che io ho potuto constatare, acquisisce tout court la valutazione del servizio sociale e non l'oggettività che da questa dovrebbe emergere, proprio perché il servizio sociale non dovrebbe esprimere un giudizio, ma dovrebbe allertare con dati oggettivi la procura.
  La procura fa la segnalazione al tribunale, chiedendo il provvedimento di tutela, ovvero, a seconda della gravità, sospensione della responsabilità oppure addirittura allontanamento.
  Usualmente il tribunale – questa è la cosa a mio avviso molto grave – emette un decreto inaudita altera parte, nel senso che non c'è la possibilità per il genitore di difendersi. Il tribunale riceve l'istanza da parte della procura della Repubblica ed emette il decreto di allontanamento. In caso di necessità, si può anche chiedere la forza pubblica.
  Abbiamo visto che la legge stabilisce dei paletti: il tribunale dovrebbe indicare la durata dell'allontanamento e la misura di protezione e dare degli incarichi ai servizi sociali. Invece, emette un provvedimento tout court, senza null'altro dire.
  L'attuazione del provvedimento viene lasciata allo stesso operatore sociale che ha effettuato la segnalazione. Dunque, da questo punto di vista c'è una promiscuità di funzioni. Chi opera un allontanamento non dovrebbe essere lo stesso soggetto che dovrebbe curare il reinserimento del minore nella propria famiglia.
  Una delle criticità del procedimento davanti al tribunale dei minorenni è rappresentata dagli irragionevoli tempi. Per allontanare il tribunale per i minorenni ci impiega pochissimo, ma poi per valutare la fondatezza di quel provvedimento dallo stesso assunto purtroppo i tempi si allungano. Il decreto di allontanamento è sine die, nel senso che viene definito provvisorio, però lo è solo formalmente, perché di fatto, non avendo un tempo determinato di efficacia, può durare tutta una vita. Pag. 7
  Dico questo perché mi è capitato che alcuni bambini precettati da un provvedimento del tribunale quando avevano sei mesi si sono ritrovati a diciassette anni – io ho gestito la situazione quando ormai avevano diciassette anni – sempre nelle comunità. Diciassette anni per elaborare un progetto mi sembrano alquanto eccessivi.
  Ci sono, dunque, una carenza di istruttoria e un appiattimento dei giudici alle relazioni dei servizi sociali. Ripeto che ci sono relazioni dei servizi sociali buone, cioè con dati oggettivi, su cui non si può dir nulla, ma ci sono anche quelle meno oggettive. In quei casi, sono i giudici che dovrebbero svolgere il loro ruolo e assumersi delle responsabilità, per esempio rigettando.
  Il presidente del tribunale di Bologna mi riferisce che ogni tanto deve respingere delle relazioni perché sono eccessivamente opinabili e, quindi, non danno nulla di concreto perché il giudice possa valutare.
  Vorrei essere il più sintetica possibile. Abbiamo parlato del giusto processo, ma vorrei andare avanti. Ci sono delle convenzioni europee che stabiliscono anche il diritto del minore a essere ascoltato. Ci sono una serie di diritti affinché il minore possa avere un ruolo centrale all'interno del procedimento, ovviamente a seconda della fascia di età.
  Anche questi diritti vengono palesemente violati. Il tribunale cosa fa? Se la legge dice che deve essere nominato un tutore provvisorio a rappresentanza del minore e il tutore nominato è il responsabile del servizio sociale che ha elaborato la relazione in forza della quale il bambino è stato allontanato, è chiaro che c'è una sorta di conflitto d'interesse o comunque d'incompatibilità, perché il tutore provvisorio mai sconfesserà la relazione che lui stesso ha elaborato.
  Se andiamo ancora oltre, il minore ha diritto ad avere un avvocato. Tuttavia, se l'avvocato del minore viene nominato dallo stesso tutore provvisorio, è evidente che l'avvocato nominato dal responsabile del servizio sociale che ha elaborato la relazione mai sconfesserà la relazione stessa.
  A me capita sempre di difendere le famiglie in alcune situazioni dove è evidente l'errore, che io definisco errore giudiziario, più che errore dei servizi sociali.
  Infatti, i servizi sociali non sono dei legali. Mi piacerebbe che la formazione fosse più a 360 gradi. Così come l'avvocato dovrebbe essere un po’ psicologo se si occupa di diritto di famiglia e, quindi, di mediazione familiare, i servizi sociali dovrebbero conoscere meglio le maglie in cui devono muoversi, anche perché sono dei pubblici ufficiali e, quindi, hanno delle responsabilità penali. L'esimente non può essere la mancata conoscenza della legge perché non si è avvocati.
  Al di là di questa osservazione, che può essere polemica, un magistrato dovrebbe rendersi conto dell'incompatibilità, quindi non dovrebbe nominare come tutore provvisorio il responsabile del servizio.
  Peraltro, quest'ultimo dovrebbe avere il coraggio di declinare l'invito. Se c'è un discorso di buona fede, allora dovrebbe declinare questo incarico, proprio perché oggettivamente incompatibile.
  Gli avvocati dei minori non approfondiscono nulla e si appiattiscono sempre esclusivamente sulle relazioni dei servizi sociali, perché, come dicevo, l'avvocato del minore viene nominato dallo stesso responsabile del servizio, per cui, se non vuole perdere l'incarico o non vuole che quello sia l'ultimo incarico della sua vita, è ovvio che si appiattirà su quello.
  Vediamo che da una parte ci sono delle convenzioni che riconoscono dei diritti, ma dal punto di vista pratico ci sono queste criticità.
  Tutti dovremmo assumercene le responsabilità, avvocati, magistratura e operatori, per creare quella che io chiamo «rivoluzione copernicana», dove ci sia un welfare familiare reale e delle risorse economiche che vengano destinate ai progetti di reinserimento.
  Mi è capitata una cosa molto curiosa in un procedimento che sto seguendo e che peraltro stava andando benissimo. Mi sono recata presso il servizio sociale con cui sto collaborando, perché dovevamo fare un incontro di équipe.Pag. 8
  Sappiamo che ci sono le linee guida del Consiglio nazionale dell'ordine degli assistenti sociali (CNOAS), peraltro fatte molto bene, in cui si mette in evidenza la necessità di un’équipe multidisciplinare per valutare tutte le situazioni, il progetto e quant'altro.
  Io sono andata presso il servizio. Doveva essere un lavoro di équipe, ma la psicologa non c'era. Alla mia domanda rivolta all'assistente sociale: «Come mai la psicologa non c'è?», questa mi ha risposto: «È finito il contratto della psicologa, che è un contratto a tempo determinato, e quindi purtroppo sono da sola». La psicologa in realtà fa così tutti gli anni. Questa è la cosa brutta da dire. Non era un contratto a tempo determinato non previsto. La psicologa in questione in realtà lavora lì da circa dieci anni, se non quindici.

  PRESIDENTE. Le cose da dire sono davvero tante. Ringraziamo l'avvocato Pichierri per questa illustrazione delle criticità che ci sono attualmente in merito agli allontanamenti dei minori.
  Do la parola al professor Paolo Cioni, se vuole integrare.

  PAOLO CIONI, Membro del comitato scientifico dell'associazione Rete sociale. Sì, penso che un'integrazione sia molto appropriata. Come Catia ha fatto presente, l'opinabilità della genitorialità e delle relazioni dei servizi sociali, io, essendo psichiatra e avendo una lunga esperienza come consulente tecnico del tribunale, vorrei porre l'attenzione su quanto sia opinabile, purtroppo, il parere dell'esperto.
  Questa opinabilità, che è più o meno presente in certe categorie professionali, porta delle conseguenze drammatiche. Se il bambino dipinge la coda del cavallino che guarda verso l'alto, il bambino non viene allontanato dalla madre. Se la dipinge che guarda verso il basso, viene allontanato dalla madre. Questo è il punto.
  Siccome so che avete migliaia di cose da fare, vorrei mostrarvi solo questa diapositiva, che dovreste prendere in considerazione. Prendiamo tante cose brutte dagli Stati Uniti. Questa forse è una delle cose migliori che si dovrebbero prendere in considerazione.
  Negli Stati Uniti, per decreto della Corte suprema del 1993, io non posso portare a nessun tribunale federale nessun elemento come prova che non abbia queste quattro caratteristiche. Questo è il pronunciamento della Corte suprema degli Stati Uniti sui criteri Daubert. Era una causa fra Daubert e una casa farmaceutica. Ci sono quattro criteri per vedere se un elemento può essere portato come prova.
  Perché non utilizzarli soprattutto in campo psicologico-psichiatrico? Proprio per evitare che la coda del cavallino determini l'allontanamento dalla madre, vediamo se riusciamo a imporre dei criteri per cui quello che viene portato abbia una parvenza di oggettività. Questo è il punto fondamentale.
  Il primo punto è il test dell'ipotesi: l'ipotesi deve essere soggetta a verifica. Se io dico che qualcosa può essere utile a valutare un elemento, devo poter addurre prove che questa ipotesi ha avuto delle verifiche sperimentali.
  Il secondo criterio forse è il più importante: tutto quello che è frutto semplicemente di un parere personale non può essere sottoposto al contraddittorio. Qualunque cosa che io possa proporre ha un margine d'errore. Questo è fondamentale. Quello che portano molti psicanalisti non ha nessun margine d'errore, perché lo dicono loro.
  Dicono di non fare diagnosi, ma poi fanno la diagnosi di madre non sufficientemente buona di Winnicott. Questa è una diagnosi, che purtroppo porta un'etichetta negativa; è molto peggiore di una fredda etichetta di tipo medico, che non dà una connotazione negativa. In questo caso, io squalifico la madre, affermando che è una madre non sufficientemente buona.
  Io devo dare delle stime di errore, perché qualunque procedura non avrà mai il 100 per cento di affidabilità. Devo dire quanta affidabilità ha rispetto a varie situazioni in cui io l'ho sottoposta a prova.
  Il terzo criterio è la possibilità che i metodi che utilizzo per la valutazione abbiano avuto una risonanza scientifica, nel Pag. 9senso che siano state pubblicate delle review da persone esperte nel settore di competenza.
  Il quarto elemento, che secondo me è quello meno stringente, è che ci sia un'accettazione generalizzata. L'accettazione generalizzata in un campo come la psicologia e la psichiatria è praticamente impossibile, perché purtroppo c'è ancora qualcosa di un po’ medievale, ovvero un frazionamento in scuole che sono l'una contro l'altra armate.
  Il Italia si può fare tranquillamente un test di Rorschach per valutare, per esempio, la personalità della madre o del padre. Si tratta di un test proiettivo fatto di immagini, dove ognuno vede quello che gli pare; è già stato rilevato che la sua validità è vicina allo zero. Se io utilizzo un test di Rorschach, i criteri di Daubert non sono minimamente coperti, tant'è vero che nei tribunali americani il test di Rorschach è stato considerato non valido per motivi giuridici. Degli psicologi che utilizzano il test di Rorschach per delle valutazioni giuridiche sono stati addirittura segnalati all'ordine di competenza e sospesi. Invece, in Italia questo è uno dei test più impiegati per quanto riguarda la valutazione della personalità, in particolare quella dei genitori.
  Ho portato delle diapositive; magari ne posso mostrare qualcuna. Per esempio, leggiamo queste frasi relative a un test di Rorschach eseguito su una persona che non aveva assolutamente niente: «Ciò che lo caratterizza è la presenza di una semeiotica persecutoria, rintracciabile in quasi tutte le tavole. Si riconosce cioè un oggetto persecutorio, poco definito ma presente, che suscita un'angoscia corporea notevole, in quanto presente nella concezione identitaria del soggetto, prendendo talora, a scopo difensivo, la strada della scissione dell'io per non angosciarsi troppo. Infine, troviamo la sua presenza nell'immaginario del soggetto, che esprime un'ambivalenza di fondo tra la ricerca di una sua conoscenza e l'esigenza difensiva di rimanere a distanza, in un gioco di nascondimento. Il soggetto ne percepisce solo vagamente la pericolosità».
  È come se io andassi al pronto soccorso con una ferita in un dito (non sarei neanche un codice verde) e mi facessero una descrizione di questo tipo: «Viene con un traumatismo che riguarda gli strati superficiali e intermedi fra il derma e le strutture sottostanti, avendo leso vasi necessari per garantire l'ossigenazione di tutto il distretto di competenza...». Questa è esattamente la stessa cosa.
  Se parlo di persecutorietà, parlo di paranoia. Questo soggetto sembrerebbe un paranoico, un grave disturbato psichico, secondo quello che si studiava in passato. Ora non so più cosa si studia, ma comunque questa definizione non è certamente relativa al caso in oggetto, che è un soggetto normale. Se per dire che un soggetto è normale devo impiegare queste parole, già siamo su un altro pianeta. Purtroppo, siamo in un campo dove l'oggettività è sempre più una chimera. È questo il punto.
  Ho citato l'esempio della madre non sufficientemente buona di Winnicott, che rischia di favorire a sua volta il sorgere nei figli di problematiche analoghe del tipo «falso sé». Anche questo è basato sul nulla.
  Io finora ho stigmatizzato più che altro la categoria psicodinamica. Ora parliamo di coloro che invece vanno sul versante relazionale-sistemico. C'è stato un caso molto grave, che io ho seguito, dove una bambina autistica, che aveva dei contatti col mondo estremamente labili, è stata sottratta ai genitori, perché si è attribuita a questi ultimi la colpa del suo stato autistico. Questa è una cosa che non ha né arte né parte, non ha nessun supporto scientifico, non ha nessuna validità da nessun punto di vista.
  C'è stata una tragedia ulteriore. Nel periodo in cui la figlia è stata ingiustamente sottratta, la madre protestava troppo, andava dai servizi e rompeva loro le scatole tutti i giorni, dicendo: «Dovete fare qualcosa al di là della logopedia». Infatti, la logopedia c'entrava veramente poco in questo caso. Visto che era una rompiscatole, gliel'hanno tolta.
  È successo quello che diceva poc'anzi l'avvocato Pichierri: è bastato che il direttore del servizio di neuropsichiatria infantile facesse un colpo di telefono al capo dei Pag. 10servizi sociali e che inviassero insieme una lettera al tribunale dei minori affinché il giorno dopo la bambina fosse prelevata dalla forza pubblica alla famiglia.
  Il padre è morto di crepacuore nel corso della perizia. Il perito, che era di formazione psicodinamica, nonostante io lo tampinassi continuamente, stava facendo slittare i tempi. Questo slittamento di tempi ha portato a questo disastro.
  Il primo aspetto di cui ho parlato è la patologizzazione del normale, del quotidiano. C'è poi il contrario: situazioni altamente patologiche che sfuggono completamente. Questi sono dei casi psichiatrici. Secondo me, gli psicologi in particolare mancano di una formazione adeguata. Lo dico in senso propositivo, non certo in senso critico o denigratorio. Semplicemente manca una preparazione adeguata per riconoscere almeno questi due grossi settori della patologia in cui gli psichiatri sono sempre stati competenti, anche se neanche in quel caso è scontato che si possano avere degli ottimi risultati.
  Mi riferisco in primo luogo alla bipolarità. Io ho visto il caso di una bambina il cui padre la portava come minimo a 300 chilometri di distanza e le preparava un piatto completamente diverso ogni volta che l'aveva lui (un giorno il pesce, un giorno la carne, il giorno dopo un piatto cinese), perché era un bipolare. La portava in cima al monte e la faceva scivolare dalla cima del monte.
  Lo psicologo riteneva tutto normale, perché non riusciva a cogliere gli aspetti di bipolarità. Quando l'umore non è stabile, ma tende ad andare troppo in alto, verso un eccitamento, oppure verso il basso, bisognerebbe essere in grado di vedere queste oscillazioni molto spiccate dell'umore. Questo è stato definito un padre normale e, quindi, per l'affidamento non è stato valutato il rischio estremamente elevato che quest'ultimo comportava per la bambina.
  Vediamo come si esprimono: «Francamente, devo dire che mancano le basi clinico-oggettive che possano giustificare una diagnosi di tipo bipolare». Questo è avvenuto in un caso in cui vari psichiatri avevano già fatto questa diagnosi e c'erano stati numerosi fatti bizzarri, tipo aver bruciato l'albero del giardino di casa. Questo non scombinava minimamente l'impostazione molto rigida dello psicologo di turno, che stava facendo la consulenza.
  Poteva essere anche uno psichiatra. Io non faccio assolutamente discorsi di casta, perché non ci credo minimamente; penso che ogni persona risponda di quello che ha imparato, di quello che sa fare e dell'esperienza che ha accumulato.
  Invece, il termine «bipolare» viene utilizzato in questo senso: secondo la psicologa della USL «la piccola di sei anni è in stato di eccitamento maniacale, cioè volevo dire che è esuberante e molto attiva». Si impiegano termini che vogliono dire una certa cosa in una maniera completamente diversa, e questo è permesso perché si può scrivere tutto e il contrario di tutto.
  Un altro elemento è la sottovalutazione della paranoia. La paranoia è una condizione estremamente difficile da identificare anche da uno psichiatra esperto, perché praticamente sono soggetti molto coperti, che riescono addirittura a fare bene i test psicodiagnostici; è difficile che possano dare delle alterazioni nei test che normalmente vengono usati. Sono tenaci, carismatici, riescono ad avere un supporto in varie persone dell’entourage, che chiedono: «Perché state dando noie a questa povera vittima?» Invece, sono delle persone che hanno dei deliri cronici importanti, che possono essere anche pericolose.
  Sui bambini chiaramente un padre o una madre che ha queste caratteristiche può comportare un rischio notevole. I bambini diventano come dei soldatini, vanno benissimo a scuola, hanno delle pagelle meravigliose. Un padre mi ha detto una volta: «Mio figlio è stato derubato dell'infanzia», cioè non ha la possibilità di avere uno sbocco emotivo. Sono casi che andrebbero individuati. «La parte emotiva è appiattita e infantilizzata e sono stati privati dell'infanzia». Questo è ciò che scrivo nel mio libro sulla paranoia, dove do una visione assolutamente diversa della situazione.
  Il centro della paranoia non è il delirio, ma l'incapacità di leggere i sentimenti degli Pag. 11altri. Mentre un delirio è estremamente difficile da curare, questi soggetti mancano della possibilità di leggere il mondo degli altri, ovvero di empatia, e si può fare molto per riabilitarli. Le neuroscienze hanno dato delle conferme molto importanti su questo fatto.
  Nella tendenza attuale, quando le consulenze tecniche d'ufficio non vanno bene e non rispondono a quello che una delle parti vorrebbe, c'è un eccesso di contraddittorio, che porta a screditare la figura del consulente tecnico d'ufficio (CTU), porta ad una critica della metodologia impiegata a posteriori e ad uno sconfinamento nel penale, che spesso viene utilizzato. Se vedo che va male la perizia in cui deve essere definito il regime di gestione fra padre e madre, allora comincio ad accusare il padre di essere pedofilo. Oggi è molto frequente.
  Oggi esistono delle modalità molto oggettive con cui si può valutare il danno nel minore, per esempio l'elettroencefalogramma quantitativo, che è una tecnica assolutamente recente che fa una mappa cerebrale a seconda del funzionamento delle varie aree cerebrali in relazione a delle situazioni di normalizzazione, avendo come confronto la popolazione generale oppure alcune popolazioni particolari.
  Attraverso queste tecniche, soprattutto l'elettroencefalogramma quantitativo, si possono avere dei dati oggettivi sul maltrattamento, per esempio vedendo nelle immagini le variabili psico-fisiologiche che sono alterate.
  Concludo con questa diapositiva, che mostra che la paranoia di cui parlavo poc'anzi, che non è evidenziabile col colloquio psichiatrico o con dei test, potrebbe essere evidenziata. C'è uno studio fatto da dei neuroscienziati romani, che ha avuto una grande risonanza scientifica. Praticamente, se io metto un ago in un pomodoro o lo metto in una mano, normalmente c'è una reazione molto differente. Se una persona è normale, vedendo che si conficca un ago nella mano di un altro, si mette nei panni dell'altro e soffre come se lo mettessero a lei, mentre se si mette l'ago nel pomodoro non succede niente. Nei paranoici si ha la stessa reazione; se si mette l'ago nel pomodoro o nella mano non cambia nulla.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Paolo Cioni. È sicuramente una tematica molto vasta da trattare e purtroppo i tempi che noi abbiamo per le audizioni sono un po’ ristretti. Peraltro, abbiamo dovuto iniziare in ritardo.
  Do la parola alla dottoressa Dora Artiaco del CISMAI.

  DORA ARTIACO, Vicepresidente del Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l'abuso dell'infanzia (CISMAI). Ringrazio per essere stata convocata. Porto i saluti della presidente, Gloria Soavi, che non poteva intervenire in questa giornata.
  Cerco di entrare molto velocemente nell'argomento della giornata, che mi sembra quello di chiedersi: «Chi sono i bambini che vengono allontanati e perché oggi ci interessiamo a loro in questa maniera così forte e importante?» Credo che sia importante mettere al centro questo tema.
  Io penso che la cosa importante sia mettere a fuoco realisticamente chi sono i bambini allontanati e sfatare due miti molto importanti. Il primo mito è che sono i bambini poveri ad andare in struttura. Non sono i bambini poveri. Ho visto che in una precedente audizione era presente Save the Children, con cui noi collaboriamo da tantissimo tempo. Sicuramente i dati di Save the Children sulla povertà minorile smentiscono grandemente il tema dell'allontanamento, che riguarda una percentuale bassissima, composta da bambini che vengono gravemente, reiteratamente e quotidianamente maltrattati.
  Per ritornare all'articolo 403, che immagino abbia bisogno di una revisione, esso ha un valore importante perché la sua applicabilità avviene nel momento in cui vi è un rischio imminente psicofisico per il minore.
  Per quanto riguarda i collocamenti posso farvi degli esempi, necessari per comprendere meglio la questione. Ci è capitato di trovare un bambino che per strada alle due Pag. 12di notte è entrato in una pizzeria e ha chiesto da bere al signore della pizzeria. In quel caso, è stata chiamata l'autorità competente e messo il minore in protezione in una struttura, dopo aver chiesto il numero di telefono al minore, che ha negato di saperlo. I racconti che seguono questa vicenda sono molto complessi perché è emerso che il bambino veniva picchiato con un tubo dalla madre e c'erano delle cose molto pesanti. In quel caso, l'articolo 403 ha il valore di mettere in protezione il minore in imminente stato di pericolo.
  Un altro esempio riguarda una minore di due mesi ricoverata in ospedale per la frattura del femore da un lato e la frattura non della testa del femore ma della parte più bassa del femore dall'altro lato. Dopo il primo ricovero, accade che l'ospedale intenda fare delle verifiche su una possibile patologia genetica per capire se c'era una fragilità ossea. Tuttavia, nel secondo ricovero la bambina porta una ferita alla testa a soli quattro mesi, per cui è chiaro che anche in quel caso l'applicazione dell'articolo 403 è necessaria.
  Noi parliamo di questi bambini. Naturalmente vi devo citare i bambini che oggettivamente si trovano in tale condizione, perché è chiaro che l'oggettività ci fa sentire meglio. Io penso che ognuno di noi senta con maggiore appropriatezza l'utilizzo di una decisione così importante, quando ci sono degli elementi oggettivi.
  A volte ci è capitato, se facciamo la percentuale tra bambini collocati e bambini morti nelle sale degli ospedali, che l'articolo 403 non è stato applicato in tempo. In merito, io voglio dire che ci stiamo interessando di una fascia molto specifica e molto ristretta, infatti, se consideriamo le grandi città, i minori collocati in una città come Napoli saranno in questo momento circa 450, cioè un numero veramente esiguo che sicuramente non è dettato dalla povertà e dalle situazioni di indigenza della città. Questo è per dare un panorama oggettivo.
  Bisogna assolutamente sfatare il mito della povertà e sfatare i grandi temi dei conflitti di coppia, perché il conflitto di coppia oggi offusca il reale benessere dei minori. Penso che noi non possiamo, quando ci interessiamo della tutela che richiede un intervento così importante come l'allontanamento, farci offuscare dal conflitto di coppia. I conflitti di coppia molto esacerbati che portano all'ingresso di servizi sociali, di tribunali, di psichiatri e di psicologi ci danno l'idea che forse non è tanto il conflitto di coppia quanto «l'incompetenza genitoriale» e la difficoltà del genitore a mettere al centro il bambino piuttosto che la relazione conflittuale.
  Credo che, per poter fare un'innovazione, dobbiamo anche dare il senso corretto alle parole che utilizziamo, altrimenti rischiamo di immettere in un gran calderone troppe problematiche. È come se io accoratamente, perché è il mio modo di fare questo lavoro, e passionalmente, ma anche con i dati alla mano, vi invitassi a fare anche una pulizia e un distinguo, altrimenti rischiamo di voler contenere troppe problematiche in una sola ipotesi di legge.
  Quello che voglio dire ancora è che l'altro grande mito che forse dobbiamo sfatare è quello della famiglia «a tutti i costi», cioè la famiglia o le famiglie, perché non discutiamo della tipologia di famiglia. Un adulto che sia un adulto di riferimento per il minore rimane l'aspetto fondamentale. Anche che ci sia continuità nella vita di questa minore da quando nasce e per sempre è un aspetto fondamentale. La miglior cura per un bambino è poter stare con la sua mamma e col suo papà, anche curati, cioè poter tornare con loro. Sicuramente il diritto alla famiglia è questo, non perché lo sancisce la legge, ma perché lo sancisce l'integrità che noi vediamo in questi bambini, quando possono recuperare le figure di riferimento parentali principali.
  Ci interessiamo naturalmente in questa Commissione di bambini che spesso non hanno queste figure di riferimento o che sono troppo fragili, quindi l'allontanamento arriva solo lì.
  La famiglia «a tutti i costi» a volte è un rischio per lo sviluppo psicofisico del minore, in quanto a volte si arriva a degli allontanamenti in momenti troppo avanzati, cioè quando il minore non è più contenuto da nessuno. Pag. 13
  Conosciamo minori che vengono espulsi dai contesti scolastici, dai contesti sociali e dai contesti amicali perché portatori di problematiche troppo gravi. Certo, tali problematiche andavano curate e non si doveva arrivare necessariamente all'allontanamento perché sicuramente si è intervenuto troppo tardi.
  A volte, l'allontanamento viene utilizzato come strumento per riparare un danno troppo grande. Anche su questo ci dobbiamo interrogare, cioè quando usare questo strumento e con quale intensità e con quale capacità. A volte lasciamo correre su bambini troppo piccoli con genitori molto problematici e poi solamente dopo andiamo incontro al riconoscimento del fatto che quel genitore era così problematico da aver prodotto danni permanenti.
  Io sono d'accordo sul fatto che esistono le TAC e che il maltrattamento adesso è possibile rilevarlo anche attraverso degli strumenti oggettivi, ma si può fare quando il danno è conclamato, quindi anche gli strumenti di prevenzione devono essere meglio strutturati.
  Superato questo tema di quali sono i bambini che vengono collocati e quali sono i miti che dobbiamo sfatare, cioè la famiglia «a tutti i costi» e «i bambini poveri vanno in comunità», passerei all'appropriatezza della scelta.
  Io penso che l'audizione riguardi i «minori fuori famiglia», quindi una ricerca di appropriatezza di scelta di collocamento del minore in un'adeguata situazione di protezione, sia essa una struttura di accoglienza o una famiglia affidataria. La famiglia adottiva, invece, viene dopo, perché c'è bisogno generalmente di un collocamento o di altri discorsi prima di arrivare alla famiglia adottiva.
  Ora, volendoci fermare su questo tema che riguarda le strutture di collocamento e le famiglie affidatarie, vorrei dire che anche qui va forse chiarito questo concetto: è necessario arrivare a una valutazione corretta della situazione del minore. Ci sono minori gravemente maltrattati che non tollerano la possibilità di un ricollocamento famigliare, almeno non subito, ma richiedono necessariamente un intervento che li porti verso il collocamento in una struttura, quindi in una comunità di accoglienza, che possa rispondere nella maniera più corretta all'esigenza di quel momento.
  Ci interroghiamo a questo punto su come sia possibile scegliere il miglior collocamento e quali siano le dinamiche da tenere in conto, come l'età del minore o le sue problematiche acclarate. Tutto questo ci rende decisamente difficile il momento della valutazione. Inoltre, su questo penso che dobbiamo investire delle risorse.
  Certo, io sono d'accordo sull'idea investire delle risorse per arrivare ad avere degli operatori preparati che siano «capaci di» e naturalmente esistono molti operatori «capaci di». Tuttavia, è necessario che della tutela dei minori si interessino degli operatori specializzati. Questo che io dico va anche contro la riforma che vorrebbe portare alla soppressione del Tribunale per i minorenni.
  Voglio dire che il Cismai ritiene che ci sia una norma carente su vari punti e anche «antica»: i minori adolescenti definiti «con comportamento antisociale» vengono trattati ex articolo 25 del regio decreto 20 luglio 1934, n. 1404, rivisitato dalla legge 25 luglio 1956, n. 888; quindi sono minori che si pensava che andassero «istituzionalizzati» perché con comportamenti antisociali.
  Utilizziamo in questo momento questo articolo del regio decreto, non tenendo in conto le conoscenze finora acquisite, ovvero che un genitore o alcune situazioni che hanno provocato delle esperienze sfavorevoli infantili hanno danneggiato quel minore che intorno ai quattordici anni arriva a dei comportamenti così gravi da dover essere collocato. Quel minore viene collocato per richiesta stessa dei genitori e degli operatori perché nessuno lo vuole più, anzi lo vogliono collocare e lo si colloca con un intervento punitivo che generalmente lo porterà a una lunga degenza. In effetti, se io vengo collocato a tredici o quattordici anni e, come vi assicuro a volte accade, non c'è nessuno nemmeno nel raggio della famiglia allargata che vuole intervenire, rimarrò in struttura non per 24 mesi, ma Pag. 14sine die perché non c'è progetto e non c'è legge che tenga.
  Lo dico per esperienza, ma anche grazie ai dati. Ho visto con molto interesse che sono stati forniti dei dati dall'Istituto degli Innocenti che ne possiede moltissimi altri anche sulle permanenze. Inoltre, contrariamente a quello che è stato detto, esiste un modo di monitorare. I Comuni vengono monitorati, almeno i grandi Comuni, e l'Istituto degli Innocenti ogni anno stila dei rapporti circa la percentuale di minori inseriti, circa le motivazioni per cui sono stati inseriti e circa la loro permanenza, quindi i dati ci sono.
  Inoltre, la legge n. 149 del 28 marzo 2001 prevede che le Procure di ciascun tribunale per i minorenni debbano monitorare tutte le strutture esistenti in cui sono collocati i minori.
  I dati in questo Paese ci sono, ma si tratta di utilizzarli in maniera corretta. È come se fosse necessario in questo momento il mio intervento per esortarvi a dire: «mettiamo ordine». Inoltre, quando avremo messo ordine, io penso che andranno aperte varie finestre. Possiamo pensare alla collaborazione degli enti, anche perché gli enti hanno un'esperienza sul campo molto forte. Certo, ognuno di noi sarà partigiano e con le sue posizioni, però è bene che queste esperienze possano dialogare tra di loro per arrivare a un pensiero normativo più corretto. Questa è la proposta che il Cismai oggi si sente di fare.
  L'appropriatezza della scelta dipende da una buona valutazione. Una buona valutazione può essere fatta da buoni operatori con una competenza adeguata e deve essere fatta sicuramente in una forma in cui si tenga conto di quello che sarà. Lo dico perché a volte corriamo il rischio che, nella scelta, ci appiattiamo sul presente e non guardiamo al futuro.
  Il Cismai in questi anni si è interessato, con una ricerca fatta con la Bocconi, di capire quanto costa risparmiare, cioè quanto sui collocamenti o sulle spese da investire per operatori, per monitoraggi e per valutazioni, oggi viene risparmiato e quanto ci costerà un minore con esiti sfavorevoli infantili molto gravi che non sono – mi dispiace e lo voglio sottolineare – gli allontanamenti, ma sono i maltrattamenti che portano a esiti quali tossicodipendenza, comportamenti sessuali errati, modalità tali da portare poi a incarcerazione, malattie psichiatriche e malattie sessuali molto gravi.

  PRESIDENTE. Abbiamo fatto molto tardi. Vorrei fare almeno qualche domanda. Purtroppo non ho potuto partecipare ai lavori della Commissione permanente ai quali dovevo essere presente, ma il discorso è talmente importante che non potevo non restare. Prego, vuole fare un'aggiunta?

  DORA ARTIACO, vicepresidente del Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l'abuso dell'infanzia – Cismai. L'ultima aggiunta è questa: nella linea della Convenzione di Lanzarote, ma anche in seguito di Istanbul, è necessario garantire i livelli essenziali minimi di prestazione per questi minori ovvero la cura. Certo, abbiamo molto da dire sulla modalità e sullo strumento allontanamento, il che ci pone tante gravi questioni. Tuttavia, è necessario che venga immesso nel nostro sistema la presa in carico per il maltrattamento e l'abuso perché, in assenza di questo, rischiamo di non curare questi minori che poi si trovano in situazioni sfavorevoli adulte. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei e grazie a tutti i relatori di oggi e agli auditi. Vi ringrazio anche a nome di tutta la Commissione per l'infanzia e l'adolescenza perché siete venuti a portare le vostre esperienze in maniera molto esaustiva nella vostra illustrazione che è un arricchimento prezioso per la nostra indagine.
  Io vorrei fare alcune domande. Una domanda riguarda il fatto che si diceva – mi riallaccio all'ultima cosa che ha detto la dottoressa Dora Artiaco – che bisogna attenzionare assolutamente i casi di maltrattamento serio verso i minori con interventi tempestivi. Questo è giustissimo. Io ho presentato un disegno di legge che non va a cancellare l'articolo 403, ma va a modificarlo, cioè va a modificarne quelle parti Pag. 15che attualmente si prestano a interpretazioni ambigue che potrebbero mettere in atto degli allontanamenti non rispondenti ai casi che lei ci ha illustrato.
  Sicuramente è importantissimo anche il discorso dello sfatare questa idea di allontanamento per povertà perché non deve esistere e siamo noi i primi a dire che non deve esistere.
  In tal senso, la domanda che le pongo è se l'operatore sociale, quindi l'assistente sociale che ha in carico il minore, può fare una richiesta diversa da quella che è la collocazione del minore in una struttura e richiedere un intervento economico, qualora lo ritenga necessario per una famiglia che ha un disagio economico. Certo, i disagi economici hanno dei risvolti di altro tipo, con carenze sotto tutti gli altri aspetti che sono di cura, di igiene e di rendimento scolastico, quindi possono essere anche fonte di altre condizioni che poi non vengono riconosciute come una causa di povertà, ma come altro, anche se potrebbero avere alla radice questa.
  Io sottoscrivo in pieno quello che diceva la dottoressa, perché la valutazione va fatta correttamente con normative adeguate e in una modalità appunto attenta e ben condotta. Bene, se c'è una valutazione di questo tipo, io chiedo se è possibile che l'operatore del servizio sociale indirizzi delle scelte di altro tipo, quindi a serio supporto della famiglia. Lo chiedo perché spesso ci si dice che non esistono capitoli di spesa per supportare le famiglie che hanno difficoltà economica.
  L'altra domanda che vorrei fare è: se esiste questa realtà che mi sembra sia anche all'interno dell'Istituto degli Innocenti che stila, come mi diceva, un rapporto, come mai i dati attuali sono fermi al 2012? Lo domando perché questa è una cosa che io ho già chiesto da tempo e la stessa Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza ha dovuto dichiarare in più sedi, non ultima anche nell'audizione che abbiamo fatto qui, che effettivamente i dati sono fermi a un anno un po’ troppo indietro rispetto all'attuale. Come si può venire a conoscenza dei dati più attuali che vanno oltre quelli che sono pubblicati e che sono al momento disponibili?
  L'ultima domanda che voglio fare è se ritenete voi che ci sia una maggiore possibilità di intervento diverso dall'allontanamento, come ci facevano presente nella scorsa audizione, in cui abbiamo ascoltato il dottor Fabio Gerosa, direttore della Consulta diocesana di Genova, e il responsabile dell'area minori della Caritas ambrosiana, Matteo Zappa.
  Per gli interventi a supporto delle famiglie che abbiamo detto a rischio, perché i genitori possono avere condizioni psicologiche e anche a volte fisiche o di vario genere e non essere in grado di poter accudire al meglio i propri figli, vorrei chiedervi come possono avere una valenza positiva i centri diurni e se voi li ritenete positivi per intervenire prima che le cose precipitino e, come diceva lei, portino a degli esiti gravi per i minori.
  Inoltre, vorrei sapere quale tipo di intervento deve essere fatto nelle condizioni di una conflittualità, come diceva lei, esacerbata, che fa pensare che ci sia una difficoltà a mettere al centro il bambino. Certo, sappiamo bene che la relazione affettiva coniugale di persone che investono tutta la loro vita in un progetto matrimoniale o di unione che coinvolge la sfera affettiva, psichica ed emotiva delle persone, purtroppo può portare temporaneamente i genitori a trascurare i figli; senza voler per questo giustificare il loro comportamento, perché il minore deve essere sempre riconosciuto come prioritario, però può esserci una temporanea difficoltà di valutazione.
  Questa temporanea difficoltà a valutare, da quello che hanno detto l'avvocato Catia Pichierri e il professor Paolo Cioni, può portare a situazioni psicologiche alterate che vengono poi valutate da interventi di CTU o di verifica sul momento. Tali verifiche possono non basarsi su test oggettivi che rispondono a chi sono queste persone in condizioni normali, perché vengono affrontate quando hanno subito difficoltà emotive di separazioni e di interventi del sociale. Grazie.

  DORA ARTIACO, vicepresidente del Coordinamento italiano dei servizi contro il Pag. 16maltrattamento e l'abuso dell'infanzia – Cismai. Posso rispondere sicuramente alla domanda sugli interventi dell'ente locale e dire che non esistono a oggi dei fondi specifici da poter destinare alle famiglie concretamente indigenti.
  Anche qui andrebbe molto riguardata la lettura – in alcuni casi – dell'indigenza, perché spesso sono persone che hanno tali difficoltà da non riuscire a gestire le loro risorse economiche in maniera da garantire ai minori un adeguato sostegno.
  Questa è una situazione che si verifica e non elimina il problema della povertà. Tuttavia, esistono degli strumenti a sostegno di queste famiglie ed esistono interventi educativi sia territoriali che di semiconvittualità, anzi di semiresidenzialità perché ormai non si usa più la convittualità.
  Il problema è sempre lo stesso: quella piccola fetta viene allontanata perché, a fronte della proposta di una serie di interventi, la famiglia si rende incapace di utilizzarla.
  Questo è valido quando guardiamo la tipologia che ci fa dire che il collocamento avviene per la povertà, perché chiaramente il collocamento avviene per tanti motivi, ma, quando guardiamo queste famiglie che ci sembrano in bilico, e si guardano bene le relazioni, di solito viene scritto che c'è stata l'offerta educativa e il tutoraggio – c'è anche un tutor che va a casa e quindi aiuta – e che è stata proposta la permanenza a scuola dalla mattina fino alle cinque del pomeriggio con il pulmino che accompagna e preleva. Tuttavia, è la famiglia che non fa trovare il bambino vestito o non fa entrare il tutor.
  Ci sono situazioni famigliari che vanno oltre, infatti i collocamenti sono una percentuale molto bassa, per lo più vengono accolte, come testimoniano anche altri, poi vengono curate e accompagnate. Certo, un bambino che nasce molto intelligente in una situazione molto disagiata non potrà mai fare l'ingegnere, ma potrà essere un adulto sufficientemente buono all'interno della sua famiglia un po’ disagiata, quindi l'allontanamento non ne cambia la sorte, e vuole esserci solo quando non c'è risposta dalla famiglia.
  L'altro discorso, quello delle coppie conflittuali, è molto più complesso. Forse, se adesso noi facessimo una ricerca in Italia, troveremmo che i bambini collocati per conflittualità di coppia probabilmente sono forse lo 0,001 per cento, il che vuol dire probabilmente che quella coppia è particolarmente complessa.
  Tutto ciò fa particolarmente scalpore. Sono tre anni che parliamo del minore allontanato nella scuola, quindi si tratta di un caso raro, anche se forse ci dobbiamo chiedere se non era un caso di follia particolare. Certo, io non posso giudicare, ma su questo anche andrebbero ci si dovrebbe interrogare, perché a volte un evento ci colpisce a fronte di mille bambini che invece hanno situazioni di particolare disagio.

  PRESIDENTE. Grazie. Anche per questo, effettivamente, se ci fossero i dati, sarebbe tutto più facile.

  DORA ARTIACO, vicepresidente del Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l'abuso dell'infanzia – Cismai. Vorrei aggiungere un'ultima cosa sui dati.
  Certo, il tempo di elaborazione dei dati ha dei problemi, perché è chiaro che se io a febbraio del 2016 comincio l'elaborazione dei dati del 2015 e poi li pubblico, voi li avrete nel 2017, e solo i dati del 2015, quindi c'è un problema anche di elaborazione. Sicuramente andrebbero fatte delle schede a carattere nazionale che tutti i Comuni dovrebbero condividere, in maniera tale da poter attingere a un unico sistema. Lo dico anche perché, siccome i minori collocati non sono tanti, non sarebbe un grande lavoro. Inoltre, questo ci farebbe avere un database centrale. È chiaro che, se bisogna raccogliere e ognuno ha una modalità diversa di raccolta, questo crea una lentezza poi nell'elaborazione finale.

  PRESIDENTE. Grazie. Raccogliamo questo suggerimento, anche perché questa indagine conoscitiva mirerà poi a predisporre una relazione al Governo. Io sono anche Pag. 17relatrice dell'indagine, quindi raccolgo il suggerimento.

  CATIA PICHIERRI, responsabile dell'Ufficio legale e legislativo dell'Associazione Rete Sociale. Noi parliamo ovviamente della nostra esperienza che si allinea in realtà ai dati che ci sono, cioè quelli ufficiali.
  I dati, benché vecchi e scarni, parlano appunto di un 39 per cento di inadeguatezza genitoriale come motivo di allontanamento.
  Nella mia esperienza di avvocato familiarista, verifico che l'inadeguatezza viene poi valutata molto spesso nell'ambito della conflittualità.
  Io ho un caso e il 4 febbraio sarò in Tribunale a verificare che cosa succederà. In questo caso c'è una conflittualità coniugale, quindi uno scioglimento di matrimonio con un divorzio. I CTU ci dicono di fare attenzione ai due genitori perché la bambina verrà collocata. Il nostro indirizzo è la collocazione della bambina a uno dei due genitori, però ci dicono i CTU: «qualora voi confliggeste ulteriormente, in realtà noi valuteremo anche un'ipotesi alternativa che è quella della comunità». Sotto la «spada di Damocle» del tribunale, ho avuto questi due genitori.
  Ora, in quel caso, sulla conflittualità c'era una storia molto lunga perché c'era una perizia psicodiagnostica, quindi altri problemi. Tuttavia, sta di fatto che l'inadeguatezza genitoriale e la conflittualità genitoriale molto spesso coincidono. C'è un momento di stress da parte appunto dei genitori, entrambi o uno dei due, che comporta purtroppo anche la minaccia e che a volte, come accade per il 39 per cento contro il 4 per cento, è abbastanza macroscopico.
  Vorrei mettere in evidenza un altro aspetto, cioè dove vengono poi collocati questi minori. Lo dico perché dalla mia esperienza in realtà progetti a sostegno delle famiglie io non ne ho mai visti, se non in alcuni casi in qualche centro in qualche città, tra l'altro neanche tanto grande, dove ci sono dei centri psico-sociali.
  Molto spesso questi centri mancano e mancano le risorse perché gli enti comunali scelgono appunto di distribuire queste risorse in maniera sperequata, cioè c'è una preponderanza a erogare questi finanziamenti alle strutture di accoglienza, non meglio definite. Questo accade perché in realtà le comunità familiari e le strutture residenziali sono molto spesso promiscue, nel senso che questo bambino che viene allontanato per la presunta inadeguatezza genitoriale – ripeto e stigmatizzo questo concetto perché non è scientifico e non è provabile – in realtà poi viene collocato in strutture dove c'è di tutto.
  Molto spesso la struttura riceve gli immigrati che sono arrivati da Frontex o bambini adolescenti con problematiche di natura penale, insieme a donne con bambini piccoli e insieme ad altri bambini più piccoli.
  La legge stabilisce un limite che è quello dei sei anni, al di sotto del quale il bambino non può essere collocato in una struttura, ma deve andare in una famiglia.
  In realtà, vi ripeto che l'esperienza di rete sociale può attestare che i bambini si trovano in queste situazioni. Sto gestendo una situazione in cui un bambino è in una struttura assolutamente promiscua e inadeguata e ha due anni e mezzo o un altro bambino di sei che è anche lui collocato in queste strutture.
  Il problema delle risorse a nostro avviso è quello della distribuzione soprattutto delle risorse, cioè la preferenza a erogare quel poco che c'è a un progetto fuori dalla famiglia rispetto a un progetto all'interno della famiglia, come per esempio può essere anche una educativa domiciliare perché ci sono questi centri, e ci sono operatori validi che potrebbero anche andare a casa.
  L'assistente sociale mi diceva: «Avvocato, non ci sono i soldi per questi suoi progetti e queste sue idee». Anch'io cerco di aiutare e di collaborare. Tuttavia, di fatto, se le risorse mancano, dobbiamo cambiare la gestione da questo punto di vista. Grazie.

  PAOLO CIONI, membro del Comitato scientifico dell'Associazione Rete Sociale. Vorrei fare anch'io un'aggiunta rapidissima sul concetto di conflittualità, che secondo me attualmente è una parola abusata, perché Pag. 18la vedo utilizzata praticamente sempre, anche dal giudice, e perché si parla sempre di conflittualità. Bisognerebbe definirla meglio, perché c'è un grande calderone dove vanno a finire tantissime altre cose e stabilire se sia litigiosità per cattiveria o per tratti temperamentali o altro, oppure se sia motivata, per esempio da patologia grave da parte di uno dei due componenti della coppia che non è stata magari evidenziata. Si tratta in quel caso di conflittualità di tipo completamente diverso da quello di persone che hanno semplicemente desiderio di farsi del male e di fare del male ai minori in particolare.

  PRESIDENTE. Grazie di nuovo.
  Vi assicuro che tutto quello che è stato detto in questa audizione e anche nelle precedenti è da noi considerato con molta attenzione e sicuramente sarà riportato nella nostra relazione che poi cercherà di tener presente tutti i punti di vista.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.15.

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ALLEGATO 1

DOCUMENTAZIONE PRESENTATA DAL DOTTOR PAOLO CIONI, MEMBRO DEL COMITATO SCIENTIFICO DELL'ASSOCIAZIONE RETE SOCIALE TUTELA DEI MINORI E INADEGUATEZZA GENITORIALE: DISFUNZIONI E CONTRADDIZIONI DEL SISTEMA IN ITALIA

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ALLEGATO 2

DOCUMENTAZIONE PRESENTATA DAL DOTTOR PAOLO CIONI, MEMBRO DEL COMITATO SCIENTIFICO DELL'ASSOCIAZIONE RETE SOCIALE LA CTU PSICOLOGICA-PSICHIATRICA: COMPITI E LIMITI DELL'ESPERTO

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