XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Martedì 29 settembre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI MINORI FUORI FAMIGLIA

Audizione di Massimo Rosselli Del Turco, direttore dell'Istituto studi parlamentari (ISPA), dell'Associazione nazionale familiaristi italiani (ANFI) e di Giovanni Fulvi, Presidente del Coordinamento nazionale delle comunità per minori (CNCM).
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 3 
Rosselli Del Turco Massimo , Direttore dell'Istituto studi parlamentari (ISPA) dell'Associazione nazionale familiaristi italiani (ANFI) ... 3 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 8 
Rosselli Del Turco Massimo , Direttore dell'Istituto studi parlamentari (ISPA) dell'Associazione nazionale familiaristi italiani (ANFI) ... 8 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 8 
Rosselli Del Turco Massimo , Direttore dell'Istituto studi parlamentari (ISPA) dell'Associazione nazionale familiaristi italiani (ANFI) ... 8 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 8 
Fulvi Giovanni , Presidente del Coordinamento nazionale delle comunità per minori (CNCM) ... 8 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 14 

Allegato 1: Intervento integrale di Massimo Rosselli Del Turco, direttore dell'Istituto studi parlamentari (ISPA) dell'Associazione nazionale familiaristi italiani (ANFI) ... 15 

Allegato 2: Documentazione presentata dal Coordinamento nazionale delle comunità per minori (CNCM) ... 33

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE MICHELA VITTORIA BRAMBILLA

  La seduta comincia alle 14.05.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di Massimo Rosselli Del Turco, direttore dell'Istituto studi parlamentari (ISPA), dell'Associazione nazionale familiaristi italiani (ANFI) e di Giovanni Fulvi, Presidente del Coordinamento nazionale delle comunità per minori (CNCM).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui minori fuori famiglia, l'audizione del dottor Massimo Rosselli Del Turco, Direttore dell'Istituto studi parlamentari (ISPA), dell'Associazione nazionale familiaristi italiani (ANFI), e di Giovanni Fulvi, Presidente del Coordinamento nazionale delle comunità per minori (CNCM), che è accompagnato dal vicepresidente, dottor Paolo Carli.
  Questa audizione apre l'indagine conoscitiva, che abbiamo deliberato prima dell'estate, sui minori fuori famiglia. Vorremmo approfondire la conoscenza di questa realtà a tutto tondo, anche perché abbiamo verificato quanto siano carenti e datate le conoscenze e le informazioni che arrivano in questo ambito dal Ministero del lavoro e dalle altre istituzioni interessate.
  L'argomento è prioritario. Pertanto, attraverso la viva voce degli addetti ai lavori, stiamo cercando di aggiungere un bagaglio di conoscenze e di informazioni ulteriori, al fine di dare un migliore inquadramento a una realtà che ha diverse sfaccettature.
  Do la parola al dottor Massimo Rosselli Del Turco per lo svolgimento della sua relazione.

  MASSIMO ROSSELLI DEL TURCO, Direttore dell'Istituto studi parlamentari (ISPA) dell'Associazione nazionale familiaristi italiani (ANFI). Buongiorno. Io sono il portavoce parlamentare di 31 associazioni che tutelano i diritti dei minori. Il coordinamento tra queste associazioni si chiama Colibrì. Sono anche il direttore dell'Ufficio studi parlamentari dell'Associazione nazionale avvocati familiaristi italiani (ANFI).
  Il problema maggiore che incontriamo su questi temi è la carenza di informazione. Pensate che dal 2012 non si sa più niente. Io naturalmente parlo di informazioni istituzionali. La televisione e i giornali sono pieni di informazioni, che sono spot e non rappresentano sicuramente tutto il mondo delle comunità e degli affidamenti.
  Le uniche informazioni istituzionali che ci sono fino al 2012 provengono dal Ministero della giustizia e dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Per quanto riguarda quest'ultimo ministero, sono stati presentati gli ultimi tre quaderni: uno è riferito al 31 dicembre 2010, uno al 31 dicembre 2011 e uno al 31 Pag. 4dicembre 2012. Quest'ultimo è stato presentato nel dicembre 2014. Dopo di che non c’è più niente.
  Il problema è questo: come facciamo a ragionare, se non sappiamo qual è la situazione e quali sono i problemi ? Non si può decidere niente, perché tutto ciò che sappiamo di recente ce lo dicono le associazioni o qualcun altro, ma nessuna fonte istituzionale.
  Per esempio, si dice che per i bambini in comunità si spende dai 70 ai 400 euro. Secondo i dati ufficiali, si spende dai 70 ai 79 euro. Tuttavia, questi dati ufficiali sono del 2012. Forse per qualche bambino si spendono anche 400 euro, ma magari questo bambino ha una serie di problemi.
  La cosa importante è trovare un punto di incontro per poter avere queste informazioni valide e aggiornate.
  Io sono stato un imprenditore fino a qualche anno fa. Mi dedico a questi studi ormai da cinque anni. Come imprenditore, studiavo proprio l'informazione via computer. Abbiamo realizzato molti lavori per le università. Ho visto che l'informazione sugli affidamenti, per esempio, che è molto importante, non è così complicata. Infatti, io ho prodotto uno studio con un'Università di Roma in cui si illustra esattamente come può essere realizzata dal punto di vista tecnico un'informazione aggiornata in tempo reale. Si spinge il bottone e si ottiene l'informazione.
  Naturalmente l'informazione sui minori spesso è riservata, proprio perché si tratta di minori, perché ci sono i nomi, e per tanti altri motivi. Cercherò di spiegarlo in breve.
  C’è un database su internet in cui, quando un bambino entra in comunità, si inseriscono i dati. I dati possono essere inseriti dalle comunità, dagli assistenti sociali e da tutti coloro che lavorano intorno al tema degli affidamenti. In questo modo, chi di dovere, per esempio un Ministero, può entrare in questo database con una password riservata, ottenere le informazioni e fare delle elaborazioni. L'Istat può avere un'altra password per entrare in questo contenitore e prendere solo le informazioni riservate all'Istat. Ciò può essere esteso alla Commissione infanzia e a tutti coloro che hanno bisogno di conoscere le informazioni.
  Se non c’è questa informazione, possiamo fare tutti i tavoli di questo mondo, ma la loro efficacia è relativa. Anche il Garante per l'infanzia ha organizzato un tavolo ultimamente. Io sono andato a vedere le informazioni che riportano, e sono ancora quelle del 2012
  Ci sono delle situazioni veramente al limite. I quaderni sociali prodotti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero della giustizia riportano dati un po’ vecchi, che però fanno rabbrividire. Ci sono dei bambini che entrano in comunità con due o tre fratelli e perdono i contatti con loro, perché vengono messi in comunità diverse.
  I problemi sono tanti. Magari non c’è la comunità adatta, oppure non c’è una programmazione di queste comunità. Magari ho solo un bambino che deve essere messo in affidamento e ci sono cento case famiglia, oppure c’è una casa famiglia con cento bambini (esagero, naturalmente). Ci deve essere una programmazione integrata, però prima di tutto bisogna avere delle informazioni esaurienti.
  Un altro problema è dato dal modo in cui sono state effettuate le rilevazioni. Io ho studiato anche statistica, anche se sicuramente non sono uno statistico, tuttavia ci sono cose che risultano piuttosto evidenti. Per esempio, nel 2010 delle statistiche sono stati incaricati gli stessi educatori delle comunità: io, educatore, sono andato là, ho chiesto come andavano le cose, le ho annotate e le ho riportate. C’è sicuramente qualcosa che non va in questo modo di procedere.
  Io ho parlato con il presidente del Coordinamento nazionale delle comunità per minori (CNCM). Anche lui sostiene che c’è qualcosa che non va. Probabilmente queste rilevazioni non sono state effettuate come si doveva. Questa informazione può essere realizzata bene, però bisogna seguire certe regole.Pag. 5
  La presidente dell'Ordine nazionale degli assistenti sociali aveva scritto alla presidente della Commissione infanzia affinché si definisca un tavolo, non per risolvere i problemi, che non sappiamo ancora quali sono, ma per risolvere la questione dell'informazione. Andiamo a vedere come stanno le cose e poi discuteremo.
  Ci sono altre disfunzioni. Per esempio, la legge n. 184 del 1983 sugli affidamenti e le adozioni, al comma 4 dell'articolo 4, stabilisce che i minori dopo 24 mesi dall'affidamento devono ritornare a casa o andare in adozione: non possono sostare più di 24 mesi. C’è un'eccezione: se l'assistente sociale afferma che c’è un problema per cui il bambino deve rimanere, allora si chiede al giudice. Attualmente, oltre il 70 per cento dei bambini staziona ben più di 24 mesi, a volte fino a quattro, cinque o sei anni. C’è qualcosa che non va. Tuttavia, nessuno può dire niente, perché i dati sono vecchi. Adesso magari è tutto a posto, ma non si sa: un altro esempio di quanto l'informazione sia importante.
  Ci sono anche altre discrepanze, che ho letto in questi rapporti. Perché, per esempio, si chiede quasi sempre una proroga oltre i 24 mesi, che dovrebbe essere un'eccezione ? I bambini devono tornare a casa – su questo non c’è dubbio – a meno che la famiglia non sia assolutamente non idonea.
  Secondo le informazioni del Ministero, per esempio, il 36 per cento dei bambini non torna a casa per persistenza del disagio familiare. Cosa vuol dire «persistenza del disagio familiare» ? Se la famiglia ha dei problemi, va risolto il problema della famiglia, non va tenuto il bambino fin tanto che la famiglia non lo risolva. Non sempre bastano 24 mesi, si può anche chiedere una proroga, ma deve essere un'eccezione. Bisogna che il servizio sociale intervenga sulla famiglia in questo periodo.
  Dal 2006 i bambini non possono andare in comunità, ma devono andare presso una famiglia o una casa-famiglia. Molti bambini hanno da zero a due anni. Io conosco dei bambini che avevano 18 mesi e sono stati un anno e mezzo presso un istituto. Adesso sono tornati a casa, fortunatamente.
  Noi abbiamo realizzato degli studi a livello europeo in cui si illustra cosa succede ai bambini privati di uno o di entrambi i genitori. Oltre ai problemi psicologici, da grandi avranno anche dei problemi fisici. Questo è intuibile, perché tutti sappiamo che quando una persona sta male psicologicamente è molto più attaccabile dalle malattie.
  Con il dottor Vittorio Vezzetti, pediatra e responsabile scientifico dei familiaristi italiani, abbiamo realizzato uno studio. Siamo andati a vedere dove stavano meglio i bambini in Europa. Abbiamo valutato perché stavano meglio in alcuni Paesi rispetto ad altri, ed abbiamo riportato i dati nel nostro studio.
  Si tratta di dati importantissimi, e mi chiedo perché non siano tenuti nel debito conto. Vi è una carenza sul piano informativo. Si tratta dei nostri figli, del nostro futuro. Anche in quest'aula, voi siete dei legislatori e io sono uno studioso, ma, prima di tutto, siamo padri e madri.
  Io ho due bambine, una di quindici e una di sedici anni, e ho vissuto tutte queste esperienze anche con loro, perché sono un padre separato. Ho provato i problemi che possono sorgere.
  Un altro aspetto che è emerso da queste statistiche, seppure un po’ vecchie, riguarda l'allontanamento dei bambini in maniera urgente, che viene operato in base all'articolo 403 del Codice civile.
  Quando i servizi sociali operano un allontanamento, devono relazionare al pubblico ministero, il quale riferisce a sua volta al tribunale, che emette un'ordinanza di convalida oppure dice che hanno effettuato una valutazione errata.
  In questo studio si riporta quanti allontanamenti sono stati fatti in questa maniera. Tuttavia, a me interessa sapere quanti ne sono stati convalidati. Mettiamo caso che ne sono stati convalidati tre su cento. Ciò vorrebbe dire che c’è qualcosa che non va. Queste sono le cose che dobbiamo sapere.Pag. 6
  Le procure ogni sei mesi devono effettuare delle ispezioni, per cui dovrebbero avere questi dati. La relazione Cancellieri-Giovannini del 2013 (Doc. CV, n. 1), sullo stato di attuazione della legge su adozione e affidamento, ci dice che le procure probabilmente li hanno, però non riescono a comunicarceli, per mancanza di fondi, per mancanza di personale e per tanti altri motiviche conosciamo bene.
  Secondo me, non dobbiamo andare a chiedere queste informazioni, ma ci devono pervenire naturalmente attraverso internet. Ovviamente ci devono essere delle password, perché si tratta di dati molto riservati, però le informazioni devono essere date assolutamente in tempo reale.
  C’è un altro problema rilevante. La legge n. 184 stabilisce che, quando un bambino viene allontanato dalla famiglia, deve essere inserito in una comunità il più vicino possibile ai genitori, in modo che questi ultimi possano andare a trovarlo, seppure in maniera riservata. Le statistiche ci mostrano che nel 90-92 per cento dei casi – non ricordo esattamente – i bambini vengono collocati nella loro regione d'origine.
  Abbiamo però casi come quello di due gemelline di 18 mesi, che sono effettivamente rimaste nella regione di residenza dei genitori, ma a 220 chilometri di distanza. I genitori, quando avevano la possibilità di andarle a trovare, dovevano fare 220 chilometri all'andata e 220 al ritorno: si sono rovinati anche economicamente, e non hanno più la possibilità di andarle a trovare.
  Queste bambine sono rimaste un anno e mezzo in istituto. È stato applicato l'articolo 403, ovvero l'allontanamento veloce, che si opera solamente quando la famiglia è veramente pericolosa e questo pericolo persiste. Ciò non vuol dire che, se si dà uno scappellotto a un bambino, questo viene allontanato. Io ne ho presi tanti quando ero bambino. Tutti abbiamo dato uno scappellotto nel sedere ai nostri figli. Si deve trattare di un pericolo reale che persiste.
  Queste gemelline erano solo due dei cinque bambini. Per questi bambini è stato applicato un articolo 403 «a rate», per così dire: prima sono stati portati via tre bambini e dopo un mese gli altri due. Come è possibile ? Non si può lasciare per un altro mese i bambini insieme a questi genitori, che secondo il 403 erano pericolosi. Si è affermato – e il giudice lo ha convalidato, cosa molto strana – che i genitori non hanno voluto darglieli. In quel caso, ci si va con le forze dell'ordine.
  Qui sorge un altro problema molto rilevante: come si va a prendere questi bambini. Io ho pensato che non deve andare solo una persona con i carabinieri o con la polizia a prenderli. Ci vuole un'unità multiprofessionale, che deve essere specializzata, perché devi sapere come andare a prendere questi bambini. Non li puoi andare a prendere mentre dormono, e neppure a scuola. Questi sono traumi che rimangono per tutta la vita. Bisogna starci veramente molto attenti.
  Come sono state effettuate le ispezioni delle procure ? Le procure per legge ogni sei mesi devono fare un'ispezione. Possono fare anche delle ispezioni straordinarie. Nel rapporto che è stato fatto dai ministri Cancellieri e Giovannini è scritto che in linea di massima queste ispezioni sono state effettuate regolarmente, anche se non da tutte le procure, però non si dice che cosa è emerso. Probabilmente in alcune ispezioni è emerso un maltrattamento, un'incuria, oppure chissà che cosa. Se noi non lo sappiamo, come possiamo intervenire ?
  Tutte queste informazioni mi vanno bene, anche quelle vecchie, ma mi devono servire. Devo avere la possibilità di porvi rimedio. Che io sappia, si pone rimedio solo quando emerge il problema. Dobbiamo sapere prima di tutto come stanno le cose.
  Per quanto riguarda i bambini stranieri non accompagnati, c’è un altro problema molto rilevante. Il ministro Maroni nel 2009, parlando di bambini migranti non accompagnati alla prima assemblea pubblica dell'UNICEF, lanciò un grido d'allarme, sostenendo che in Italia Pag. 7esiste un traffico di organi. Il ministro affermò che «su 1.320 minori approdati a Lampedusa, ovviamente portati da qualcuno, circa 400 sono spariti». Magari sono andati con qualcuno o hanno raggiunto i genitori in Germania, resta il fatto che non si sa dove sono andati a finire questi bambini.
  Recentemente i parlamentari Nizzi, Palazzotto e Matarrelli hanno firmato un'interrogazione a risposta scritta rivolta ai Ministri dell'interno, del lavoro e delle politiche sociali, in relazione ai minori scomparsi dai centri di accoglienza.
  In tale interrogazione si affermava: «Il Ministro dell'interno, Angelino Alfano, nel corso della recente seduta della Commissione parlamentare antimafia in Sicilia ha affermato che sono 3.707 i minori stranieri scomparsi nel 2014 dai centri di accoglienza, su un totale di 14.243 sbarcati sulle nostre coste. Solo in Sicilia i minori stranieri non accompagnati scomparsi nell'anno successivo sono stati 1.882».
  «Come dichiarato da Carlotta Sami, portavoce dell'UNHCR per il Sud Europa, le cifre comunicate dal ministro rappresentano un dato allarmante, che si aggiunge a quello del numero clamoroso di minori stranieri non accompagnati arrivati in Italia l'anno scorso: quasi il 10 per cento del totale degli sbarchi».
  «Quello che preoccupa è la sorte di chi scompare dai centri. Questi minori hanno diritto a una protezione rafforzata, sia in base alla legge nazionale che in base a quella internazionale – spiega il presidente del Consiglio italiano dei rifugiati (CIR), Christopher Hein – lo Stato italiano nei loro confronti ha una grande responsabilità. È grave che ne scompaiano più di dieci al giorno». Anche se scomparisse solamente un bambino, sarebbe un problema molto grave.
  Vi riassumo tutte le criticità e chiudo, perché vorrei che qualcuno di voi, se avesse qualche domanda da farmi, me la ponesse.
  Dal 2012 non ci sono informazioni. I dati rilevati nelle statistiche e nel rapporto dei due ministri comunque sono tardivi e si riferiscono sempre a informazioni troppo vecchie.
  I dati sono rilevati al 31 dicembre di ogni anno, quindi scompaiano tutti i dati di quei bambini dal primo gennaio alla fine di novembre. Tutti i movimenti che ci sono stati nel mezzo non sono riportati. Questa è una fotografia al 31 dicembre. Qualcosa sarà anche possibile ricavare, ma su queste cose bisogna essere molto precisi, perché stiamo parlando della vita di molti bambini.
  Non si è dato seguito a soluzioni delle criticità rilevate. Infatti, dai quaderni del Ministero del lavoro e del Ministero delle politiche sociali si deducono fatti sconcertanti, che nessuno dopo le rivelazioni si è occupato di giustificare e risolvere.
  Non c’è omogeneità nell'informazione: un anno c’è una griglia, l'anno successivo c’è una parte di questa griglia, ma altre cose non ci sono. Per esempio, l'informazione sui bambini che non rivedono più i genitori o i fratelli c’è solamente nel 2010, mentre nel 2011 e nel 2012 non se ne parla più. Dal 2012 c’è il buio totale.
  Ad oggi, non si sa nemmeno quante siano le comunità. Noi dobbiamo stabilire bene quali sono le comunità. Ogni giorno ne nasce una. Ci vuole una programmazione di queste comunità. Se io ho un tot di bambini che devono andare in una comunità, devo averne una o due, a seconda di quelle che mi servono. Non possiamo farne nascere così tante senza sapere cosa ci facciamo.
  Inoltre, non viene riportato quanti allontanamenti sono stati applicati dal 31 dicembre 2011 al 31 dicembre 2012 in base all'articolo 403.
  Spesso si forniscono dati che servono a poco. Per esempio, si dice quali sono i gradimenti delle procure. Questo dato mi può interessare, ma c’è l'annoso problema dei giudici onorari, che il presidente conosce bene. Mi ricordo che si arrabbiò per questo e aveva ragione. Ci sono dei giudici onorari che hanno interessi nelle stesse strutture. Quante sono e quali sono le strutture ?Pag. 8
  Il presidente giustamente mi disse: «A noi arreca un grande danno una comunità che non lavora come deve, perché tutti noi ci andiamo di mezzo, non solo le comunità, ma anche i rappresentanti delle associazioni e le famiglie che sono al loro interno. Se noi non abbiamo l'aiuto delle comunità, dove mettiamo questi bambini quando hanno bisogno ?»
  Molte associazioni, secondo me, si spingono un po’ troppo avanti. Tuttavia, almeno per le associazioni che rappresento, posso affermare che, se le comunità e gli assistenti sociali non funzionano, non vanno bene o comunque vengono screditati, per noi è un autogol, perché ci servono come il pane.
  Io sollecito il presidente, che conosco e stimo, a cercare di lavorare insieme per risolvere questi problemi.
  Io avrei finito. Il problema maggiore, come ho ribadito più volte, è quello dell'informazione. Se non sappiamo come stanno le cose, non si può fare niente e non si può neanche cominciare a parlare. Tutti i tavoli che vengono organizzati, dove si parla di soluzioni, per me hanno poco senso, proprio perché non abbiamo le informazioni necessarie. Prima l'informazione, e dopo possiamo discutere di tutto.

  PRESIDENTE. Le faccio una precisazione, per aggiornare ulteriormente i suoi dati. Il ministro aveva parlato di oltre 3.000 minori scomparsi. Tuttavia, nel mese successivo, ai suoi dati si sono aggiunti quelli delle prefetture, che avevano in carico questi minori a livello locale, e di cui quindi il ministro non disponeva. In tutto, sono più di 5.000 su 13.000.

  MASSIMO ROSSELLI DEL TURCO, Direttore dell'Istituto studi parlamentari (ISPA) dell'Associazione nazionale familiaristi italiani (ANFI). Questi sono quindi i dati aggiornati.

  PRESIDENTE. Sì, sono stati aggiornati un mese dopo il discorso del Ministro degli interni, con l'arrivo dei dati dal territorio, cioè dalle prefetture. Pertanto, su 13.000 minori, sono più di 5.000 quelli scomparsi.

  MASSIMO ROSSELLI DEL TURCO, Direttore dell'Istituto studi parlamentari (ISPA) dell'Associazione nazionale familiaristi italiani (ANFI). Io ho scritto 22 quaderni su questi argomenti. Non li voglio pubblicare, ma solamente tenerli su internet, dove vanno aggiornati in continuazione.

  PRESIDENTE. Le chiedo di farci avere il suo intervento integrale per i commissari che non sono presenti oggi.
  Ora ascoltiamo il dottor Giovanni Fulvi, Presidente del Coordinamento nazionale delle comunità per i minori (CNCM), che è accompagnato dal vicepresidente, il dottor Paolo Carli.
  Lei non era presente nel corso dell'audizione del dottor Del Turco. Sono state toccate le più macroscopiche anomalie di questo sistema, che, come ha detto bene il dottor Del Turco, sono soprattutto legate alla presenza di dati molto vecchi che arrivano dal Ministero del lavoro e dalle varie istituzioni. La mancanza di informazioni aggiornate è il primo punto dal quale discende tutto il resto.
  Do la parola al dottor Fulvi per lo svolgimento della sua relazione.

  GIOVANNI FULVI, Presidente del Coordinamento nazionale delle comunità per minori (CNCM). Ricordo velocemente la storia del Coordinamento nazionale delle comunità per minori. Il CNCM ha sede in Firenze. Tra i soci fondatori c’è l'Istituto degli innocenti. È presente in quasi tutte le regioni d'Italia, con più o meno comunità (in alcune regioni solo con un ente). Nel maggio scorso abbiamo celebrato i 25 anni dall'istituzione del coordinamento.
  In questi anni uno dei lavori importanti che sono stati svolti è stato l'elaborazione di standard organizzativi delle comunità. Tutto questo avveniva quando era lontana la legge n. 149 del 2011, che poi avrebbe deciso la definitiva chiusura e il superamento degli istituti educativi.Pag. 9
  Il coordinamento, infatti, è nato riconoscendo come socio che poteva aderire solo l'ente che gestiva comunità con un massimo di otto minori presenti. Questo è stato da sempre il focus sul quale si è mosso il coordinamento.
  All'inizio erano presenti il comune di Torino, che gestiva comunità direttamente, il comune di Trieste e la provincia di Milano. Via via, questi enti pubblici hanno dismesso la gestione diretta delle comunità e, quindi, sono usciti dal coordinamento, ma mantenendo con esso un ottimo rapporto.
  I documenti che lascerò riporteranno il lavoro svolto insieme ad altri coordinamenti: il Coordinamento nazionale comunità d'accoglienza (CNCA); il Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l'abuso all'infanzia (CISMAI); l'associazione Agevolando, di cui è presidente Federico Zullo, formata da ex ospiti di comunità; la Rete dei villaggi SOS; e Progetto famiglia della provincia di Salerno. Ci siamo messi insieme inizialmente per contrastare la deriva di disinformazione che dal nostro punto di vista c’è stata in questi anni e anche per precisare alcuni fatti, fra cui anche i dati relativi ai minori accolti.
  Il lavoro che abbiamo svolto ci ha portato ad essere presenti al tavolo che si è costituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per l'elaborazione delle linee-guida nazionali per il mondo delle comunità d'accoglienza di tipo familiare, parallelamente a quelle che sono state redatte per l'affido familiare.
  Dopo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 308 del 2001, che ha declinato come devono essere realizzate le strutture d'accoglienza per i minori, stabilendo a livello nazionale un numero massimo di dodici minori, le regioni, come ben sapete, dovevano legiferare su questo modello organizzativo.
  Forse a causa dell'originalità dei consulenti regionali, ognuno ha chiamato la stessa cosa con nomi diversi. Col termine «casa famiglia» genericamente si intende quel luogo dove ci possono essere famiglie residenti o comunque adulti residenti. In Italia di case famiglia gestite da famiglie residenti ce ne sono molto poche.
  Stamattina con gli operatori contavamo le case famiglia nel Lazio. Di quelle gestite da famiglie residenti ce n’è una, di cui sono socio. Sappiamo anche che lavora bene. Altre gestite proprio da famiglie non ce ne sono. Ce n’è un'altra a Montopoli, ma non è molto definito se si tratta di affido o di comunità. Altre che erano presenti hanno chiuso. C’è n’è un'altra con una coppia residente, che però accoglie sia minori che mamme con bambini. Ci sono diversi tipologie di strutture. Ce ne sono molte con adulti residenti, come quelle gestite da religiosi o da religiose. Si tratta prevalentemente di religiose, coadiuvate da operatori professionisti laici.
  Quella che in alcune regioni è chiamata «casa famiglia», qui nel Lazio intesa in senso un po’ più esteso, in altre realtà è chiamata «comunità famigliare». Nel Lazio chiamiamo «gruppo appartamento» il luogo gestito da operatori turnanti, prevalentemente rivolto ad adolescenti. A Napoli, invece, è chiamato «gruppo appartamento» la struttura di uscita, quella che noi qui chiamiamo «semi-autonomia».
  L'idea del tavolo, all'interno del quale sono presenti le regioni, l'Autorità garante nazionale e noi delle associazioni, è quella di arrivare a delle linee guida con definizioni un po’ più omogenee e precise. Infatti, il trasferimento di un minore da una regione all'altra, che può accadere, in base alla necessità di allontanarlo dal proprio territorio, può creare difficoltà anche agli stessi enti locali che fanno l'invio, perché non sanno esattamente con che tipo di struttura hanno a che fare.
  Il Coordinamento nazionale ha gestito la segreteria della Federazione internazionale delle comunità educative (FICE). Da due anni abbiamo avviato un partenariato con l'Associazione francese delle case per l'infanzia a carattere sociale, che è un coordinamento simile al nostro. Abbiamo iniziato a fare degli scambi: loro erano presenti al nostro convegno e Pag. 10noi siamo andati due volte da loro. Stiamo iniziando a tessere delle relazioni più intense, cercando anche dei collegamenti con la Spagna.
  Siamo andati anche in Svizzera, ma ci siamo fatti solo del male nel vedere come sono pagati gli operatori e come sono gestite le comunità. Tuttavia, abbiamo visto che dal punto di vista organizzativo forse il nostro modello educativo di riferimento offre qualcosa in più. Loro su questo volevano appunto avere uno scambio di idee ed esperienze.
  Entrando nel merito delle criticità che ci sono nelle comunità per minori, nell'assemblea dei soci abbiamo approvato un'idea, sulla quale cercheremo di avere un riscontro formale da parte dei soci stessi. Mi riferisco alla sottoscrizione di un codice deontologico ed etico rispetto alla gestione delle comunità.
  Noi consideriamo che il rispetto delle normative locali debba essere il requisito minimo dell'organizzazione. La comunità deve tendere a superare questi standard minimi e cercare possibilità di miglioramento. Abbiamo cercato di individuare quelli che dovrebbero essere i comportamenti da tenere, riferibili sicuramente ai minori, ma anche ai rapporti con gli altri soggetti con i quali si interagisce, che sono i servizi sociali, gli uffici giudiziari e le altre comunità.
  Infatti, molto spesso assistiamo a passaggi di minori da comunità a comunità, durante i quali queste non si parlano e non si capisce perché quel minore abbia lasciato quel progetto.
  A volte accade anche che vengano scelte le comunità in base ai costi. C’è ancora una ricerca della risorsa al ribasso, e si inserisce il minore nella comunità che costa meno. Questo è dovuto, come ben sapete, alla restrizione economica che vivono gli enti locali, ma è chiaro che in questo caso il superiore interesse del minore non è molto considerato. Ovviamente, se in una comunità la retta costa la metà rispetto a un'altra, forse qualcosa manca. Ad esempio, un albergo a cinque stelle offrirà un servizio in più rispetto a uno a due stelle.
  Quello dei numeri è un problema da noi sempre rappresentato, perché circola ancora il dato – per quello che capiamo è abbastanza consolidato – dei circa 30.000 minori fuori famiglia, di cui circa la metà è in affido. Anche questo dato andrebbe chiarito meglio: c’è l'affido intra-famigliare, di cui forse non dovremmo parlare, perché è il diritto del minore di rimanere nell'ambito della propria famiglia intesa fino al quarto grado; e c’è l'affido famigliare, che è l'affidamento eterofamigliare. Pertanto, il dato dei 13.000-14.000 minori in affido varia, perché alcuni restano nella loro famiglia.
  Abbiamo poi l'altra metà, che sono i minori nelle comunità di tipo famigliare. Io ho visto che anche nel promemoria che avete inviato c’è qualche imprecisione – permettetemi di dirlo – perché la normativa a cui facciamo riferimento, ovvero la legge n. 149, definisce le strutture dove possono essere inseriti i minori «comunità di tipo famigliare con un'organizzazione analoga a quella di una famiglia». Anche tra i nostri colleghi alcuni hanno visto che nel promemoria si parla di comunità famigliari, mentre si dovrebbe parlare di «comunità di tipo famigliare», che comunemente vengono chiamate «case famiglia», e questa è una distinzione che va fatta.
  Per questo, noi la chiamiamo «comunità». L'organizzazione deve ricordare e rappresentare le relazioni famigliari, ma non necessariamente essere proprio come una famiglia.
  Vi segnalo un dato che andrebbe fatto oggetto di un approfondimento d'indagine. Molti dei minori che arrivano nelle comunità provengono da adozioni nazionali e internazionali o da affidi. Purtroppo, abbiamo delle situazioni che cominciano a essere numericamente importanti. Fra i preadolescenti e gli adolescenti parliamo di un 2 per cento, il che significa che in ogni comunità ne abbiamo almeno due o tre con queste situazioni, quindi con ripetuti abbandoni.
  È chiaro che questi soggetti sono un po’ arrabbiati con gli adulti e mettono in atto comportamenti di attacco verso la Pag. 11figura dell'adulto. Questi soggetti sono quelli che vanno direttamente nel mondo della psichiatria. Ci dovremmo interrogare su cosa è successo. La percentuale dei fallimenti può essere identica a quella dei figli naturali, però in questi casi purtroppo il fallimento si inserisce su una storia abbandonica già grave. Questo per noi è un dato importante, che andrebbe veramente indagato meglio.
  Infatti, per questi soggetti in particolare, il bisogno di recupero delle relazioni, il bisogno educativo, il bisogno di istruzione e il bisogno di accudimento diventano molto inferiori al bisogno di cura psicologica, se non addirittura psichiatrica.
  Io seguo direttamente più di una comunità. In quella in cui ero questa mattina sei minori su otto vanno in terapia psicologica. Non sono vittime di abuso o di violenza sessuale, ma sono semplicemente vittime di una carenza di relazione sufficientemente adeguata avuta nella fase primaria della loro vita. Infatti, il danno si concentra tutto in quei primi 1000 giorni importanti, che anche l'Organizzazione mondiale della sanità ormai ci indica.
  Il dato non è molto considerato, purtroppo, perché, al di là del censimento che fu fatto nel 1998 andando nelle singole comunità, a cui partecipammo come Coordinamento, sono stati fatti solo rilevamenti a campione.
  Tuttavia, c’è un luogo dove il dato è raccolto. Infatti, l'unico obbligo che abbiamo noi delle comunità sul quale c’è un riscontro sanzionatorio, previsto nella legge n. 149, è la segnalazione semestrale alla procura minorile. Pertanto, le procure minorili conoscono il numero delle comunità, i loro indirizzi e semestralmente i minori presenti con le loro situazioni.
  Nel Lazio è stato fatto un tentativo dall'allora garante (vi segnalo che questa regione attualmente non ha il garante per l'infanzia). È stato fatto un lavoro in cui noi comunità, in accordo, inviavamo le schede sia al garante che alla procura. Il garante ha fatto degli elaborati per due anni, andando a vedere alcuni dati.
  Per esempio, la permanenza media, che coincideva col dato nazionale, è di due anni. Non è, quindi, una permanenza così elevata, anche se chiaramente varia. Una permanenza di due anni per la fascia che va da zero a un anno sicuramente ci deve interrogare, mentre una permanenza di due anni per una fascia dai sedici ai diciotto anni non ci interroga, perché è quella naturale. A volte la permanenza è anche più lunga, perché sono proprio i minori dai quindici ai diciotto anni che restano in comunità. Se consideriamo la loro storia abbandonica, è chiaro che non riusciamo ad inserirli in un altro contesto familiare.
  La media di due anni fra la fascia più numerosa, che è quella dai sei agli undici anni, sicuramente può essere considerata abbastanza attinente rispetto alla media dei bisogni, considerato che nella legge n. 149 è previsto che il periodo di affido consensuale non deve superare i 24 mesi. Pertanto, si può dire che quello è un periodo nel quale si può lavorare adeguatamente ad un inserimento, un mantenimento ed un reinserimento nella famiglia naturale, in affido o in adozione. Questi possono essere dei tempi congrui, se consideriamo mediamente anche l'anno scolastico. A volte a noi arrivano con l'anno scolastico già avviato e, quindi, c’è da recuperare.
  Notiamo che i minori che permangono di più nelle comunità sono quelli con handicap gravi. Anche su questo non è facile dare una risposta. È difficile immaginare che una coppia adottiva, che ha una ferita narcisistica rispetto al fallimento della maternità, prenda un minore con handicap e vada tutto bene. Il problema diventa complesso. Sicuramente l'Associazione Giovanni XXIII è una risorsa, perché risponde molto spesso all'accoglienza di questi particolari minori. È chiaro che la permanenza di questi minori diventa lunga e molti di loro finiscono nelle strutture per adulti con disabilità gravi.
  Abbiamo esaminato il dato, sezionandolo. Io vi parlo del Lazio, che seguo di Pag. 12più, ma andando a confrontarci a livello regionale ritroviamo una certa omogeneità di situazioni.
  Per quanto riguarda il problema dei dati delle procure, come dicevo, nel Lazio siamo riusciti a esaminarli quando c'era il Garante. Sappiamo che l'Autorità garante nazionale ha avviato questo lavoro con i procuratori, visto che loro non ce la fanno. Ad esempio, a Firenze per circa un anno e mezzo il procuratore minorile, il dottor Floquet, era da solo nella procura e faceva processi e tutto il resto. Come poteva immaginare di elaborare anche questi dati ?
  Le caratteristiche delle strutture, come dicevo, differiscono a livello regionale. Tuttavia, mediamente le strutture accolgono non più di dieci minori. Ci era stato richiesto di andare in deroga rispetto all'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati e di accogliere un 25 per cento in più, però non era chiaro se dovevamo anche aumentare i metri quadri della casa e la proporzione degli operatori.
  Per quanto concerne i finanziamenti delle comunità, noi abbiamo sentito parlare di cifre che non ci tornano. Si parlava di rette di 400 euro al giorno. Noi conosciamo – è un nostro socio – il «Piccolo carro» di Bastia Umbra, che ha una retta di circa 300 euro, ma è una struttura di tipo sanitario e accoglie adolescenti con doppia diagnosi. Parliamo di una situazione particolare, dove la proporzione degli operatori e la presenza della parte sanitaria sono importanti.
  La retta media in Piemonte è di 105 euro, in Lombardia di 107 euro, in Veneto di 118 euro, in Emilia-Romagna di 108 euro, nelle Marche di 93 euro, in Toscana di 90 euro, in Campania di 115 euro, in Calabria di 92 euro, in Sicilia di 76 euro e a Milano di 78 euro. L'ultima in classifica è Roma, con una retta media che va dai 69 ai 75 euro.
  In Francia la retta media è di 200 euro al giorno e lo stipendio degli operatori è uguale al nostro. Ciò vuol dire che c’è qualcosa che qui manca. Visto che dobbiamo ricostruire la capacità di questi minori di intraprendere relazioni adeguate, la qualità delle strutture è data dalla qualità della presenza degli operatori, che devono essere capaci di entrare in relazione in maniera adatta con questi minori. Si tratta del concetto di cura. È chiaro che per poterlo fare bisogna mantenere stabilità e continuità nella relazione. Con cifre che non corrispondono realmente alle spese, noi non possiamo garantire questa stabilità e questa continuità, e la qualità viene meno. C’è una frustrazione da parte degli operatori, per il lavoro mal pagato, dove la gratificazione si vede dopo diversi anni.
  Due domeniche fa sono stato al matrimonio di uno dei primi ragazzi africani accolti e al battesimo del figlio di una ragazzina albanese costretta a prostituirsi a Roma a dodici anni e data in affidamento a una famiglia in Toscana. Tuttavia, ho dovuto aspettare quindici anni per vedere ciò. Molti degli operatori avevano già cambiato lavoro. Questo è un dato importante rispetto ai finanziamenti.
  Non vi nascondo che ci possa essere chi lucra su ciò. C’è chi non paga gli operatori. Questo elemento è parte del codice deontologico. Noi chiederemo ai nostri soci di avere visione dei contratti, perché vorremmo essere certi che ci sia un rapporto di lavoro, che le rette che entrano vadano a beneficio dei minori e che la ricerca dell'ente sia volta a migliorare il rapporto lavorativo e non ad accontentarsi. Chiaramente tutto questo è in progress. Tuttavia, la stragrande maggioranza delle comunità sono attestate su una sufficiente adeguatezza rispetto alla gestione.
  Vi riporto velocemente alcuni dati, visto che citavo altri Paesi. Vi lascerò tutti i dati. In Francia i minori fuori famiglia sono 183.000 (quattro volte di più rispetto ai nostri 30.000), in Germania sono 111.000, in Gran Bretagna sono 60.000 e in Spagna sono 37.000. Dopo arriva l'Italia. Io ho citato dei Paesi dove – voi lo saprete meglio di me – il welfare funziona un po’ meglio del nostro. Anche il Canton Ticino ha una presenza di minori fuori famiglia in proporzione più alta di quella dell'Italia.Pag. 13
  La domanda è: laddove funziona meglio il welfare, ci si allontana di più perché c’è più controllo da parte dello Stato o perché si intercetta di più il bisogno ?
  Se esaminiamo i dati degli allontanamenti fuori famiglia in Italia, vediamo che la Campania viene dopo il Piemonte. Non credo che in Piemonte ci siano più problemi relativi all'infanzia che in Campania. Forse in Piemonte funzionano di più i servizi, che intercettano di più il bisogno. Ritorniamo all'analisi dei dati, che forse ci fa capire meglio come dobbiamo intervenire.
  Riguardo ai minori stranieri non accompagnati, vorrei aggiungere una cosa sul dato relativo agli scomparsi. Da giugno mi sto occupando di un centro di accoglienza per minori stranieri non accompagnati. Poc'anzi parlavamo di questo con il collega, che viene da Pisa. In Toscana c’è una ripresa dei numeri relativi agli albanesi, che non avevamo più. A Roma i minori stranieri non accompagnati albanesi sono scomparsi, mentre abbiamo una forte presenza di ragazzi egiziani.
  Il dato relativo ai minori che scompaiono è un qualcosa che dovremmo analizzare meglio. La maggior parte dei ragazzi che arrivano vengono dalla Sicilia, dove sono stati censiti. In seguito, però, scopriamo che il nome con cui erano stati censiti al momento dell'accoglienza differisce (quello che era il nome diventa il cognome o altro). In tal caso, andiamo al consolato, che ci fa la certificazione dell'identità, che dobbiamo pagare.
  A questo proposito, c’è il problema dei rapporti con i consolati. Il console egiziano dovrebbe essere tutore per un suo cittadino minorenne. Invece, noi paghiamo la dichiarazione consolare e la richiesta del passaporto (30 euro più 140). Per il permesso di soggiorno per minorenni ci vogliono altri 160 euro e per quello per maggiorenni altri 170 euro, che vanno in capo alle associazioni che accolgono. Anche su questo dovremmo indagare.
  Per quanto riguarda il numero degli scomparsi, il problema è chiaro: se nel commissariato di Pozzallo o in quello di Palermo viene rilevata la scomparsa di un minore con un nome e un cognome, e non c'era stato tempo per la fotosegnalazione o l'identificazione, e noi dichiariamo l'accoglienza di un minore il cui nome differisce di due lettere, il primo rimane tra gli scomparsi e il secondo tra i comparsi, però stiamo parlando dello stesso soggetto.
  Questo non significa che non ci sia un numero importante di minori di cui perdiamo le tracce. Infatti, noi siamo certi che a Roma in questo momento ci sono minori stranieri egiziani che si prostituiscono e spacciano. Questo dato c’è e viene segnalato costantemente.
  È chiaro che, sia per il superiore interesse del minore di essere regolarizzato e avviato a percorsi di integrazione adeguata, sia per risparmiarci delinquenza minorile in strada, diventa veramente importante garantire servizi adeguati a questi minori.
  Ciò non toglie che il Governo e il Parlamento dovrebbero realizzare interventi maggiori nei confronti dei Paesi di provenienza. Occorre capire perché oggi dall'Egitto c’è questa generazione che viene via. Scopriamo che alcuni ragazzi non vengono da situazioni di forte povertà. In una comunità qui a Roma è stato accolto il figlio di uno scafista, che con un atteggiamento provocatorio diceva: «Se mi toccate, telefono alla polizia e vi faccio passare i guai».
  Altri, ai colleghi delle associazioni, che gli spiegano quali sono i loro diritti, ma non gli parlano dei loro doveri, dicono: «Voi ci dovete dare i vestiti, ci dovete dare da mangiare, ci dovete dare il telefono». Noi gli spieghiamo: «Tu hai diritto a sentirti con la tua famiglia, ma non è scritto che lo devi fare tutti i giorni. Se volevi sentire mamma tutti i giorni rimanevi a casa con lei».
  Vi dico questo per darvi un quadro della problematica che c’è nella gestione quotidiana di questi ragazzi, che hanno delle aspettative elevate e a volte sono viziati – permettetemi il termine non tanto scientifico – con risorse totalmente Pag. 14inadeguate. Questo è un altro discorso, che con le prefetture si è avviato, ma bisogna capire la progettualità.
  Io sono stato molto veloce, però vi lascio il materiale.

  PRESIDENTE. Questo materiale per noi è importantissimo. Lo fotocopiamo e lo forniamo ai colleghi.
  Purtroppo è iniziata la seduta in Assemblea alla Camera, con votazioni immediate. Questo, in base al regolamento, ci rende impossibile continuare. Dichiaro quindi conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.55.

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ALLEGATO 2

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