XVII Legislatura

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Resoconto stenografico



Seduta antimeridiana n. 19 di Mercoledì 28 gennaio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ravetto Laura , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI FLUSSI MIGRATORI IN EUROPA ATTRAVERSO L'ITALIA, NELLA PROSPETTIVA DELLA RIFORMA DEL SISTEMA EUROPEO COMUNE D'ASILO E DELLA REVISIONE DEI MODELLI DI ACCOGLIENZA

Audizione del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, senatore Marco Minniti.
Ravetto Laura , Presidente ... 3 
Minniti Marco , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica ... 4 
Ravetto Laura , Presidente ... 5 
Minniti Marco , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica ... 5 
Ravetto Laura , Presidente ... 7 
Minniti Marco , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica ... 7 
Ravetto Laura , Presidente ... 8 
Minniti Marco , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica ... 8 
Ravetto Laura , Presidente ... 10 
Minniti Marco , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica ... 10 
Ravetto Laura , Presidente ... 13 
Minniti Marco , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica ... 13 
Ravetto Laura , Presidente ... 14 
Mazzoni Riccardo  ... 14 
Ravetto Laura , Presidente ... 15 
Arrigoni Paolo  ... 15 
Artini Massimo (Misto)  ... 16 
Conti Riccardo  ... 18 
Ravetto Laura , Presidente ... 18 
Conti Riccardo  ... 18 
Ravetto Laura , Presidente ... 19 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 19 
Ravetto Laura , Presidente ... 20 
Minniti Marco , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica ... 20 
Mazzoni Riccardo  ... 22 
Minniti Marco , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica ... 22 
Ravetto Laura , Presidente ... 26

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LAURA RAVETTO

  La seduta comincia alle 8.35.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che se non vi sono obiezioni la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, senatore Marco Minniti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui flussi migratori in Europa attraverso l'Italia, nella prospettiva della riforma del Sistema europeo comune d'asilo e della revisione dei modelli di accoglienza, l'audizione del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri e autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, senatore Marco Minniti.
  Ringrazio molto il sottosegretario Minniti, che oggi abbiamo l'onore di avere qui presso il Comitato, della possibilità di quest'audizione.
  Noi abbiamo chiesto la sua presenza perché il Comitato sta attualmente svolgendo due indagini conoscitive, una più specifica, relativa alla situazione di Prato, e una più generale, che ci accingiamo peraltro a concludere tra pochi mesi, relativa ai flussi migratori e che, naturalmente, ha contemplato un'attenzione del Comitato soprattutto con riguardo al passaggio da Mare Nostrum a Triton.
  Purtuttavia, tale indagine ha affrontato, durante questi mesi, anche il tema della potenzialità delle infiltrazioni di soggetti che potrebbero essere tacciati di connessioni con il terrorismo nell'ambito dei flussi migratori. Il nostro è un Comitato da cui è nato anche un dibattito, probabilmente anche prima dei fatti di Parigi, relativamente ai foreign fighters, tant’è che abbiamo un componente del Comitato, segnatamente il collega Artini, che a tale riguardo ha presentato una proposta di legge come primo firmatario.
  Sappiamo che ora il Governo si sta occupando della materia e quindi, probabilmente, il collega si dovrà coordinare con l'attività governativa. Dico questo per segnalare che il nostro è un Comitato che presta da sempre attenzione a queste tematiche. Oggi, quindi, siamo qui per chiederle una breve disamina, di cui mi permetto di tracciare alcuni punti. Successivamente, i colleghi le faranno delle domande, alle quali lei, sottosegretario, potrà decidere se rispondere già in questa sede, o se mediante l'invio di risposte scritte.
  Naturalmente, se nei punti che toccherò, o tra le domande che le faranno i colleghi, ci saranno aspetti che effettivamente esulano dai perimetri della sua delega, non si faccia scrupolo a segnalarcelo. Noi tendiamo a fare delle domande piuttosto generali, che però potrebbero, magari, non toccare materie di sua competenza.
  Il primo quesito è relativo al rilascio di permessi di soggiorno ai cosiddetti immigrati collaboranti. Ci risulta che ciò sia Pag. 4stato prospettato all'indomani dei fatti di Parigi, dopo le varie discussioni sulla sospensione o meno degli accordi di Schengen. Mi pare che abbiamo preso tutti una posizione chiara e netta in merito alla non opportunità di tale sospensione, così come anche sulla non efficacia rispetto ai fini che vogliono essere perseguiti relativamente all'antiterrorismo. Su questo, naturalmente, chiederemo anche una sua posizione. Ci consta, però, che il Governo stia predisponendo alcune misure antiterrorismo e, in particolare, alcune misure relative al rilascio di permessi di soggiorno a immigrati che decidano di collaborare con le autorità, fornendo informazioni utili a prevenire o a reprimere la minaccia terroristica. Se lei ci può dare conferma o comunque se ci può, in generale, illustrare su quali temi il Governo effettivamente sta ponendo l'attenzione, gliene saremmo grati.
  Per ciò che riguarda, invece, l'attività di prevenzione e di contrasto al terrorismo, le ho detto prima che il Comitato ha maturato una discussione sui foreign fighters. C’è un progetto di legge, il n.2820 del collega Artini, in cui effettivamente si introduce una specifica fattispecie di reato.
  Vorremmo sapere se lei ha qualche notizia relativamente, invece, al decreto che il Governo sta predisponendo, in particolare – come immaginiamo – anche su questo tema. Abbiamo ascoltato alcune dichiarazioni del Ministro Alfano, laddove si interverrebbe introducendo una fattispecie di reato specifica. Le chiediamo, inoltre, se effettivamente sono toccati temi quali, per esempio, i bambini portati in teatri di guerra.
  Abbiamo ascoltato il vicedirettore di Europol, il quale ci ha riferito come, secondo lui, sia necessaria una normativa specifica nel panorama italiano che si incentri su questo tema, che è invece trattato – così pare – in altri Paesi europei.
  Vorremmo, poi, un suo commento sui rischi di infiltrazione connessi ai flussi migratori. Noi abbiamo ascoltato sia le parole del Ministro Gentiloni, sia alcune repliche da parte di alcuni partiti di opposizione. Penso alla Lega e immagino che il collega Arrigoni le vorrà chiedere qualche cosa in merito. Le chiediamo se può dirci qualcosa al riguardo. Più specificamente, se anche non può fornirci delle percentuali, vorremmo sapere se, secondo lei, esiste questa connessione. Sappiamo che alcune procure – almeno così dicono i rumors – avevano aperto dei fascicoli di indagine relativi a questa possibilità. Le chiediamo se lei ha qualche indicazione in merito.
  Infine, l'ultima domanda è sul cosiddetto PNR. È in atto una discussione sulla creazione di un database europeo. Anche su questo il vicedirettore di Europol ci ha riferito – non vorrei forzare le sue parole, ma questo è ciò che io ho compreso – che servirebbe un PNR europeo, alla stregua di quello americano.
  Sappiamo che è in corso un dibattito, perché in passato i garanti della privacy dei Paesi europei si sono opposti a questa prospettiva, in seno alla stessa Commissione. In realtà, più precisamente, il Comitato per le libertà civili in seno al Parlamento europeo bocciò una proposta di direttiva che nel 2011 tentava di creare questo database dei passeggeri, perlomeno dell'area europea. Ora si parla addirittura di area Schengen: che cosa ne pensa lei ? Che cosa pensa di questo bilanciamento necessario tra privacy e sicurezza ? Secondo lei, i tempi sono maturi per farlo, probabilmente con dei limiti di conservazione dei dati, che mi pare si ritiene debbano essere di tre anni ?
  Noi sappiamo che il premier Manuel Valls ha trattato questo tema dinanzi al Parlamento francese all'indomani dei fatti di Parigi. A che punto sono le discussioni ? È previsto un incontro a Riga il 29 tra i Ministri dell'interno e i Ministri della giustizia, al cui ordine del giorno c’è anche il PNR. Se lei ha delle anticipazioni da farci o un suo commento, l'ascoltiamo. Do quindi la parola al sottosegretario Minniti.

  MARCO MINNITI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Autorità delegata per la sicurezza Pag. 5della Repubblica. Grazie innanzitutto dell'invito. Mi fa molto piacere poter interloquire con questa Commissione sui temi che la presidente ha voluto tracciare. Sono questioni piuttosto cruciali. Più si discute di questa tematica, a mio avviso, meglio è.
  Tuttavia, se mi è consentito, prima di entrare nello specifico delle risposte e per cercare di imprimere, se ci riesco, un minimo di organicità alla risposta, forse conviene – lo farò brevissimamente, presidente, per non sottrarre tempo – avere chiaro che tipo di minacce abbiamo di fronte. Naturalmente, le risposte ai quesiti posti e ai quesiti che i colleghi vorranno qui proporre, sono collegate al tipo di minaccia che noi abbiamo di fronte.
  Com’è noto, circa un anno fa è cambiato il quadro della minaccia in maniera molto importante, non perché il mondo non abbia vissuto per un lungo periodo – sicuramente dall'11 settembre del 2001 – una sfida e una minaccia di terrorismo internazionale di matrice estremista religiosa, ma perché un anno fa c’è stato un cambio di fase e uno straordinario salto di qualità.
  Questo è avvenuto con l'avvento di ISIS, ossia dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante, che ha portato ad un cambiamento sostanziale del quadro della minaccia, perché per la prima volta noi abbiamo di fronte un'organizzazione terroristica che è capace di fare due cose contemporaneamente. Innanzitutto, è capace di avere un'iniziativa classica di campagna militare sul terreno, e quindi di conquista dei territori. Nel giro di poche settimane, infatti, abbiamo visto un'organizzazione terroristica che si è fatta Stato, conquistando un pezzo di controllo della Siria e un pezzo di controllo significativo dell'Iraq. Noi siamo bravissimi a confezionare acronimi e da quel momento in poi l'abbiamo chiamato «Siraq». Forse, però, non siamo stati altrettanto bravi nel comprendere il quadro della minaccia che era in gestazione.
  L'altro aspetto è, invece, quello di coniugare una cosiddetta capacità asimmetrica. La prima, quella della campagna militare, è una capacità simmetrica. La seconda è una capacità asimmetrica, cioè quella di essere capaci di minacciare con atti terroristici che si compiono ben oltre i confini del territorio della campagna militare in corso. È la prima volta che questo succede. Non è mai successo questo, nemmeno nel momento massimo della sfida di Al-Qaeda. La sfida di Al-Qaeda evocava la costruzione, anche in quel caso, di un califfato internazionale, ma non c'era un territorio che fosse, in nuce, il nucleo di partenza del califfato.
  Il secondo aspetto è che abbiamo un esercito, quello di ISIS, composto in gran parte di volontari che vengono fuori dal territorio. Se dovessimo valutare le diverse componenti, dovremmo dire che c’è una significativa componente esterna, cioè di volontari che giungono da tutto il mondo per combattere per ISIS nello scenario siro-iracheno.
  Anche questa non è una questione di piccolissimo conto, perché è storicamente noto che, nel momento in cui si va a combattere per un'organizzazione terroristica in un territorio, si è potenzialmente agenti di un ritorno nei territori di partenza, o di un ritorno da altre parti. Questo è il cosiddetto fenomeno, su cui lei, presidente, si intratteneva, dei foreign fighters.
  Questa è una componente non banale, perché stiamo parlando di diverse migliaia di persone, non di poche unità. I numeri sono particolarmente significativi, con un contributo dell'Europa che è valutato, a seconda delle stime più o meno ottimistiche, tra 3.000 e 5.000 unità. Sono numeri particolarmente rilevanti, sia se si sceglie il segmento più basso, sia se si dovesse scegliere il segmento più alto.

  PRESIDENTE. Lei, che è anche un tecnico, ci aiuta a dare loro un nome in italiano ? Il termine «combattenti» sembra quasi valoriale. Tecnicamente questi foreign fighters in italiano come li dobbiamo chiamare ?

  MARCO MINNITI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Autorità delegata per la sicurezza Pag. 6della Repubblica. Forse la traduzione classica è la più semplice. Intendiamoci, il meccanismo dei combattenti che lasciano il proprio Paese per combattere in altri Paesi non è del tutto nuovo. Noi abbiamo già avuto un'esperienza nei Balcani. Non è un caso, per esempio, che una componente europea significativa che va a combattere in Siraq, venga dai Balcani.
  Come voi ricorderete, nel momento in cui ci fu il conflitto balcanico, si costituì una cosiddetta «Brigata verde», una brigata islamica, ma che non c'entra nulla con i colori italiani della politica. Una piccolissima parte di questi combattenti, finite le ostilità nei Balcani, non tornarono a casa e costituirono il nucleo fondamentale su cui poi agì, anche dal punto vista operativo, Al-Qaeda.
  Questi non sono, quindi, fenomeni del tutto originali e nuovi. Qui abbiamo di fronte un numero significativo e il problema rilevante è rappresentato dai numeri, che sono numeri non banali. In questa capacità di tenere insieme l'aspetto simmetrico e l'aspetto asimmetrico sta l'assoluta originalità della situazione di oggi. In quest'ambito, che tipo di minaccia terroristica abbiamo nel resto del mondo (non parliamo del teatro siro-iracheno) ?
  La valutazione che si può fare, alla luce di quello che è avvenuto (in questi casi c’è sempre un approfondimento in corso d'opera, posto che questi fenomeni non si conoscono mai a sufficienza e c’è sempre bisogno di approfondirli), è che noi abbiamo di fronte due potenziali caratteristiche: quella dei combattenti di ritorno e quella dei cosiddetti lupi solitari, i lone wolves, ossia il «terrorista fatto in casa», per usare un termine più preciso.
  Queste due configurazioni si uniscono, secondo me, in un unico elemento di valutazione, cioè in un terrorismo molecolare. Noi non abbiamo di fronte una direzione strategica del terrorismo. Non c’è ISIS che, a un certo punto, si riunisce e decide di mandare un messaggio per fare un attentato in Italia, in Francia, in Australia o in Nuova Zelanda: non c’è una direzione strategica.
  C’è, invece, un rapporto molto forte, di carattere politico, culturale e ideale tra persone che si riferiscono a quel tipo di prospettiva, che è appunto la prospettiva della costruzione di un califfato mondiale. Tuttavia, esse non hanno un cordone ombelicale, ma si muovono come un elemento fortemente spontaneo. Tutto ciò rende molto più complicata l'azione di prevenzione e di contrasto, per ovvie ragioni.
  Aggiungo che, a un certo punto, c’è stato un cambiamento di acronimo. Infatti, d'ora in poi io non lo chiamerò più ISIS, ma IS. ISIS vuol dire «Stato islamico dell'Iraq e del Levante». A un certo punto, ISIS cambia nome e si chiama IS, ossia soltanto Islamic State (Stato Islamico).
  Perché ? Si tratta soltanto della caduta fonetica di due lettere dell'alfabeto ? Non è soltanto una caduta fonetica, bensì un segnale di cambiamento ulteriore di prospettiva. Mentre prima ISIS era lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante, e quindi aveva una configurazione precisa dal punto di vista territoriale (ambizione non piccola, posto che l'Iraq e il Levante ricordano la Mezzaluna fertile, cioè territori che nella storia dell'umanità hanno avuto un ruolo particolarmente importante), ora si toglie la dimensione territoriale per dire che la sfida di IS è una sfida che non ha confine. Il califfato in sé non ha confini: dipenderà da dove saranno capaci di arrivare.
  Da questo punto di vista, nel passaggio da ISIS a IS si rende ancora più evidente il fatto che la sfida sia una sfida irriducibile. Non è una sfida diplomaticamente gestibile, è una sfida di quelle che tecnicamente si chiamano «irriducibili».
  In quest'ambito, che attività di prevenzione si può svolgere ? Naturalmente, non è il tema di questa Commissione. Io mi limiterò soltanto a utilizzare questo aspetto per prendere degli spunti e parlare del tema dei flussi migratori e dell'azione di prevenzione e di contrasto che anche il Governo intende mettere in campo, anzi, ha già messo in campo. Questa introduzione mi serve, però, per farvi un quadro. Il punto è questo: di fronte a questo sistema, di fronte a questa caratteristica Pag. 7del terrorismo, l'azione di prevenzione non può che essere particolarmente dettagliata. Ci vuole un lavoro paziente e minuzioso. Non si può trascurare alcun particolare.
  Naturalmente, non bastano i meccanismi classici, quelli più sperimentati, come, per esempio, l'uso delle tecnologie più complicate. Senza meno, servono anche le tecnologie per combattere questo tipo di terrorismo, ma non sono sufficienti, perché nel momento in cui c’è un piccolo gruppo o un singolo individuo che si attiva, la tecnologia è difficilmente utilizzabile in questi casi. C’è bisogno di quello che chiamiamo tecnicamente «il fattore umano», cioè la capacità di conoscere quello che avviene dentro singoli gruppi o singole persone: non è una cosa semplicissima.
  Come voi sapete, io sono molto convinto che su questo aspetto si debba creare una collaborazione attiva, chiedendo una collaborazione attiva dei cittadini (questo, naturalmente, sarebbe molto importante). Parlo dei cittadini in generale, dei cittadini che magari hanno un'appartenenza religiosa e che, tuttavia, non condividono le forme dell'integralismo islamico. Questo sarebbe molto importante, perché consentirebbe di poter avere un punto di comunicazione.
  In questo ambito, dopo Parigi, che naturalmente segna un salto di qualità per l'Europa, mi sembra che si possano fare due considerazioni. In primo luogo, Parigi è molto diversa, naturalmente, dall'Australia, dal Canada, da Boston e da Bruxelles, con l'attacco al museo ebraico. Tuttavia, c’è un filo che congiunge tutti questi attentati ed è il filo del tipo di iniziativa. In alcuni casi sono singoli soggetti, in altri casi sono piccolissimi gruppi.
  A Boston si trattava di un piccolissimo gruppo, due fratelli ceceni; a Parigi si è visto che il gruppo era un po’ più largo, ma in ogni caso intrafamiliare o intra-amicale; in altri casi si è trattato di singoli soggetti.
  Si può dire – io penso che lo si possa dire – che nel momento in cui si è colpito Parigi, l'obiettivo fosse, più in generale, l'Europa ? Secondo me, si può dire. A mio avviso, dall'organizzazione terroristica e dai singoli soggetti, l'Europa viene percepita più unitariamente di come magari, nei fatti, viene percepita, ossia, se mi consentite, un grande soggetto di carattere storico-culturale e politico-democratico.

  PRESIDENTE. Secondo lei, quindi, era un messaggio all'Europa ? Un po’ ce lo sta dicendo. Era, però, anche un messaggio all'Islam internamente ? Era un messaggio interno ? Non c’è una differenza rispetto al 2011 negli Stati Uniti, in cui si trattava di un messaggio all'Occidente ? Parigi, più che un messaggio all'Occidente, non è un messaggio al mondo islamico ?

  MARCO MINNITI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica. Chiariamoci: in questi casi, dentro la vicenda di ISIS, e in ogni caso del terrorismo islamico, c’è sempre un doppio messaggio, c’è sempre, cioè, un doppio canale. Vi è un canale di sfida alle grandi democrazie del pianeta e una partita interna all'Islam: c’è una partita durissima tra una componente di carattere estremistico e un'altra parte. Spesso il conflitto è più duro all'interno, di quanto non possa magari essere manifestato all'esterno.
  Questo binario di doppio livello del conflitto, ci accompagnerà per lunghissimo tempo. Per questo è importantissimo e strategicamente fondamentale che, nella coalizione antiterrorismo che in questo momento è impegnata in Siraq, la coalizione sia la più ampia possibile e che ci siano Paesi chiaramente «ispirati» all'Islam.
  È altrettanto importante che nei nostri Paesi si conquistino positivamente il cuore e la testa di quelle persone di religione musulmana che non condividono assolutamente questo tipo di metodi. Sono importanti entrambi le cose.
  Perché ho voluto fare questo riferimento all'Europa ? Qui siamo nel Comitato Schengen. L'Europa, di fronte a questa sfida, deve reagire il più possibile Pag. 8unitariamente, appunto perché la sfida investe il continente. Come si reagisce a tutto ciò ? Si reagisce – su questo condivido molto le parole del presidente difendendo l'identità europea – sia sul terreno democratico, sia sul terreno valoriale.
  È evidente che noi dobbiamo porci un interrogativo: perché migliaia di giovani europei, di prima e di seconda generazione, a un certo punto decidono di lasciare il proprio Paese per andare a combattere in Siraq ? È un interrogativo non banale, su cui bisognerebbe seriamente riflettere.
  È chiaro che c’è un problema. È chiaro che noi abbiamo un problema evidente di valori sui quali costruire – o ricostruire – e rilanciare un progetto europeo. Proprio perché c’è tutto ciò sullo sfondo, la reazione peggiore dell'Europa di fronte alla sfida terroristica, secondo me, è quella di rinunciare alla costruzione europea per ritornare agli Stati nazionali.
  Se ci pensate bene, perché questa è una sfida all'Europa ? Perché se la risposta a tutto ciò da parte dell'Europa, è quella di dire «Fermiamoci un attimo, lasciamo tutto quello che abbiamo conquistato di positivo e torniamo a come eravamo prima», questo, naturalmente, non è un atto di collaborazione con il nemico – per carità di Dio, mi guardo bene dal dire questo – ma, in ogni caso, consente a quella sfida di avere un primo successo (mi riferisco al ritornare indietro).
  Noi, allora, dobbiamo «conciliare» gli spazi di libertà. La mia opinione su questo aspetto è molto radicale. Noi dobbiamo dimostrare che quello che i terroristi considerano un punto di fragilità delle democrazie, cioè l'opinione pubblica, non lo è.
  I terroristi considerano l'opinione pubblica un punto di fragilità di una democrazia, perché si dice che l'opinione pubblica sia condizionabile. Tutto il meccanismo delle decapitazioni pubbliche ha l'obiettivo e la finalità di indebolire le opinioni pubbliche dei Paesi democratici, di metterle sotto stress e di utilizzare un'arma barbarica come quella per indebolirli. Il problema è: perché si fa questo ? Perché si considera l'opinione pubblica un elemento di fragilità, di debolezza.
  La mia opinione è radicalmente opposta: le opinioni pubbliche sono un punto di forza della democrazia anche nella lotta contro il terrorismo, soprattutto nella lotta contro il terrorismo. È per questo che la mia opinione è che dobbiamo combattere il terrorismo con le armi e gli strumenti della democrazia.
  Schengen va salvaguardato perché è il cuore dell'Europa, anche in un'Europa che ha le sue fragilità. La libera circolazione degli uomini e delle merci è il cuore dell'Europa. Se togliamo ciò, perdiamo questo cuore.
  Come può essere salvaguardato lo spazio di libera circolazione con le esigenze di sicurezza ? Dobbiamo pensare di ragionare insieme in Europa su questo tema. È evidente che, nel momento in cui vogliamo mantenere – io sono uno di quelli che vuole ciò – Schengen e la libera circolazione delle merci, abbiamo di fronte un problema.
  Il problema è: se c’è la libera circolazione, quali sono gli elementi di garanzia che ogni singolo Paese ha nel rapporto con l'altro ? Da questo punto di vista, è classica la vicenda di Nemmouche, che ha compiuto l'attentato al museo ebraico di Bruxelles. In pochi giorni, lui si è spostato in autobus da Bruxelles a Marsiglia, dove è stato arrestato.

  PRESIDENTE. A questo proposito, se lei potesse spiegarci anche come ciò sia stato possibile, gliene sarei grata (anzi, temo di saperlo). Per esempio, è proprio perché non abbiamo una conservazione dei dati che la fidanzata di uno degli attentatori, che probabilmente partecipò addirittura al commando, è andata via dalla Francia dopo i fatti di Parigi e, in un aeroporto internazionale quale quello di Madrid, è riuscita a prendere un aereo e ad andare via, quando aveva tutta la polizia francese addosso !

  MARCO MINNITI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri Pag. 9– Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica. Arriviamo anche a questo fra un minuto, se me lo consente. Forse la farò un po’ più lunga del necessario, ma se lei stessa ritiene che a un certo punto debba chiudere, io chiudo. Non ci sono problemi.
  Il problema è questo. Gli spostamenti sono velocissimi. In una settimana Nemmouche arriva da Bruxelles a Marsiglia, dove viene arrestato. La risposta non può che essere questa: noi dobbiamo avere un quadro che consenta ad ogni Paese di potersi «reciprocamente rapportare» con l'altro. Userei un termine un po’ impegnativo, ossia «reciprocamente fidarsi» dell'altro. Questo è fondamentale, soprattutto se si vuole costruire qualcosa insieme.
  Abbiamo due possibilità di risposta. La prima è di carattere preventivo, strutturale. Noi dobbiamo, sempre di più, mettere in connessione tra i Paesi europei gli elementi conoscitivi. Si è detto, in maniera piuttosto sbrigativa ma ne capisco il senso, che noi dobbiamo avere un’intelligence europea. Naturalmente, è un termine sbrigativo. Capisco, però, il significato e, se me lo consente, ritorno su questo punto un attimo.
  Questo significa mettere rapidamente in rete tutte le informazioni. Noi, in Italia, abbiamo un piccolo gioiellino del quale io parlo spessissimo. L'Italia dovrebbe essere orgogliosa delle cose positive che fa, mentre parliamo spesso delle cose molto negative. D'altro canto, questa iniziativa l'ha attuata un Governo di cui io non facevo parte, poiché in quel momento ero all'opposizione. Mi riferisco al CASA (Comitato di analisi strategica antiterrorismo). Per spiegarvi, intorno ad un unico tavolo sono sedute le forze di polizia che si occupano del terrorismo e tutte le agenzie di intelligence. In tempo reale ci si scambiano le informazioni e in tempo reale si fanno le valutazioni sugli elementi di pericolosità su un dato. Questo è fondamentale, vorrei che l'aveste chiaro. Lo scambio delle informazioni e la valutazione comune sulle informazioni (perché non basta soltanto lo scambio delle informazioni), sono elementi cruciali nella lotta al terrorismo, soprattutto se il terrorismo ha le caratteristiche che ho cercato precedentemente di spiegare.
  Il mio sogno è quello di arrivare ad avere un CASA europeo, cioè un luogo in cui ci sono insieme le forze di polizia europee e le intelligence europee che si scambiano informazioni in tempo reale. Naturalmente, non è un'iniziativa che si realizza in cinque minuti perché, come voi sapete perfettamente, l’intelligence, il sistema informativo, è il cuore degli Stati nazionali. È evidente che ci sia una non enorme disponibilità a mettere in comune il proprio patrimonio informativo, per ovvie ragioni. Tuttavia, questo è l'orizzonte verso il quale dobbiamo tendere. Dobbiamo correre su questo, perché questo è l'orizzonte che ci consente di avere una sufficiente capacità di prevenzione.
  Come secondo aspetto, dobbiamo vedere tutte le cose che si possono fare senza entrare in conflitto con le principali regole fondative di una democrazia. Si è parlato qui del passenger name record. Quello è un punto cruciale e, se il presidente mi consente di dirlo con molta chiarezza, quello è un punto che ci consente di mantenere Schengen.
  Sono due facce della stessa medaglia: proprio perché io voglio mantenere la libera circolazione, devo consentire all'Europa di avere degli strumenti per poter fare delle azioni di conoscenza comune. Sarebbe assai singolare se volessimo mantenere spazi di libera circolazione senza avere misure preventive prese in comune. Questo è cruciale, per una ragione semplicissima. Può succedere – cerco di spiegarlo in trenta secondi con un esempio pratico – che io viaggi da Parigi (parliamo di Parigi perché lì c’è stato l'attentato) a Istanbul, in Siria o in Iraq e che io faccia ciò più volte. Bene, quello non è un segnale di colpevolezza, ma è un indizio, cioè un elemento informativo importante. Io, italiano, devo sapere che c’è qualcuno che da Parigi ha viaggiato più volte su quella tratta, per una ragione semplicissima: perché nel momento in cui quel Pag. 10soggetto ritorna a Parigi, può arrivare facilmente anche a Roma, o può andare facilmente a Londra o a Madrid.
  Sto parlando di Parigi, ma la questione potrebbe essere rovesciata (possiamo cioè immaginare che il volo decolli da Roma, ma non è questo il tema). Il tema è comprendere che la possibilità di avere la conoscenza comune di questi dati, risulta un elemento fondamentale, appunto perché c’è la libera circolazione degli uomini e delle merci. È fondamentale avere informazioni su come viene prenotato il volo, su come viene pagato e se qualcuno chiede di stare vicino ad un altro (voi comprendete il perché). A volte può capitare che si tratti di persone che viaggiano seguendo meccanismi di «segretezza», per cui essendo propense a compiere un atto criminale, possono magari fare finta di non conoscersi. Magari, però, esse chiedono il posto insieme e si parlano mentre sono sedute in aereo, o pensano di poter fare qualcosa sull'aereo, quindi, hanno necessità di stare sedute vicine. Tutte queste cose sono significative.
  Secondo me, questo tipo d'iniziativa non confligge drammaticamente con princìpi della privacy e penso che debba essere assunta positivamente la valutazione dei Governi europei di «spingere» molto in tal senso sul Parlamento europeo, il quale, naturalmente, ha la sua autonomia, perché la direttiva PNR è una direttiva che deve passare dal Parlamento europeo.
  Il Parlamento europeo ha una sua autonomia di spingere, ma io penso che sia giusta la decisione, assunta all'unanimità dai Governi europei, di chiedere che questa direttiva venga approvata, naturalmente con tutte le correzioni del caso. Si era parlato prima di cinque anni, mentre adesso si parla di tre per la conservazione dei dati. Su questo aspetto si può ragionare. L'importante, però, è procedere veloci, perché veramente vi è una sfida contro il tempo.

  PRESIDENTE. Questo è un punto interessantissimo che lei ha toccato. Peraltro, io mi trovo assolutamente d'accordo con lei, considerato anche che molti Paesi europei hanno già dei PNR interni. Si tratterebbe semplicemente di mettere in rete informazioni che ci sono già. Non si capisce perché la violazione della privacy sia teoricamente possibile a livello nazionale e poi, quando si tratta di scambiare informazioni, non lo sia. Eppure, già ora, i cittadini europei devono fornire dei dati al sistema PNR americano. Si tratterebbe, probabilmente, di fare un coordinamento.
  Oggi lei ci ha fornito uno spunto importante. Chiederò, quindi, agli uffici di chiamare in audizione il Garante della privacy in Italia. Lui si è pronunciato su questo tema e, al di là degli elementi della privacy, ha detto un'altra cosa, su cui io le chiedo un commento. Il Garante ha invitato a fare attenzione, perché la creazione di un database così ampio, se da una parte sarebbe necessario per prendere informazioni, dall'altra potrebbe addirittura diventare una piattaforma a cui potrebbero accedere i terroristi, e quindi potrebbe addirittura produrre un effetto contrario. Ci sarebbe l'eterogenesi dei fini rispetto alla finalità dello scambio di informazioni per la lotta al terrorismo. Questo io ho capito da alcune sue interviste (poi lo chiameremo in audizione). Ha un commento su questo ?

  MARCO MINNITI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica. Bisognerebbe capire bene. Dovremmo parlare con il Presidente Soro. Io posso dire che con il Garante della privacy in Italia, noi come intelligence italiana, abbiamo fatto una cosa che non ha precedenti, guardando in giro per il mondo: abbiamo firmato un protocollo con il Garante stesso sul tema del rapporto tra garanzie ed esigenze di sicurezza.
  L'abbiamo fatto in maniera organica e penso che ciò sia molto importante. L'abbiamo fatto dopo la vicenda Snowden, quando c'era il massimo di tensione intorno a questi temi. La risposta che abbiamo fornito, come intelligence italiana, non è stata quella di chiuderci in noi stessi, ma addirittura di stipulare un protocollo Pag. 11d'intesa con il Garante della privacy per avere un rapporto di reciproco impegno, naturalmente, ferma restando la distinzione profonda dei ruoli.
  Penso che anche su questo tema ci possano essere una cooperazione e una collaborazione. Non mi convince l'impostazione, che non penso sia quella del Presidente Soro, di chi mette in contrasto le due cose, ossia l'esigenza di garantire elementari elementi di conoscenza per la sicurezza nel Paese e quella di tutelare la privacy. Sul primo punto penso di aver esaurito il quadro delle cose che volevo dire.
  Passo alla seconda questione: i flussi migratori e i rischi di infiltrazione. Su questo dobbiamo intenderci. Naturalmente, non voglio dare suggerimenti a nessuno, perché non è mio compito. Tuttavia, dobbiamo affrontare il tema del terrorismo, che è un tema maledettamente serio, con il quale probabilmente ci dovremo misurare non per mesi, bensì per anni. Sarà questa, infatti, una delle grandi questioni che impatteranno sulla vita del pianeta per i prossimi anni.
  Dobbiamo affrontare questi temi con il massimo del rigore, sapendoci reciprocamente ascoltare. Su queste questioni nessuno ha la verità in tasca. Tuttavia – lo dico da tutte le parti – dobbiamo evitare le fughe di carattere propagandistico. Diversamente questo ci porta in una situazione di confusione dalla quale non usciamo.
  Il quadro è questo. Abbiamo due principali flussi migratori verso l'Europa, quindi, anche verso il nostro Paese. Ricordiamoci che il nostro Paese è frontiera esterna dell'Europa. Dei due principali flussi migratori, uno è la cosiddetta rotta africana, che ha un terminale in Libia. Negli ultimi mesi abbiamo avuto circa il 94-95 per cento dei flussi migratori dal continente africano verso l'Europa – transitando per l'Italia – e verso l'Italia provenienti dalla Libia. Peraltro, proprio ieri c’è stato l'attentato a Tripoli, che ci ha trasmesso ulteriore inquietudine sull'abbassamento dei livelli di sicurezza in quel Paese (se volete parliamo a parte della Libia in un'altra circostanza, perché la Libia soltanto richiederebbe un'audizione e mezza). La rotta libica è principalmente via mare, nel senso che ha canali interni all'Africa e poi si realizza via mare. L'altra rotta è quella anatolico-balcanica, che invece si sviluppa via mare e via terra. Le due rotte, però, non sono drasticamente separate: a volte si incrociano.
  In tale ambito si muovono importanti organizzazioni criminali gestite da grandi trafficanti di Paesi nordafricani, nonché da grandi trafficanti di origine turca.
  Si tratta di traffici gestiti da mercanti di uomini, da trafficanti di uomini. Naturalmente, come è evidente, ci possono essere rapporti tra organizzazione terroristica e trafficanti di uomini, ma noi non abbiamo un'evidenza che ci indica che il traffico di esseri umani sia gestito dall'organizzazione terroristica.
  Ci possono essere rapporti ? Naturalmente sì, ma è un'altra cosa dire che i traffici sono gestiti direttamente.
  Faccio un esempio. Uno dei canali di finanziamento di IS è il contrabbando di petrolio; il contrabbando di petrolio. Tale attività non la fa direttamente IS, ma si avvale di organizzazioni criminali che si occupano di questo traffico (c’è un rapporto, naturalmente, ma IS non fa direttamente il contrabbando del petrolio). Sapete che spesso è così: c’è una connessione tra organizzazioni terroristiche e, per esempio, organizzazioni che svolgono il traffico internazionale di stupefacenti.
  Stiamo attenti a non far diventare un'organizzazione terroristica «il tutto», perché se facciamo ciò, alla fine non comprendiamo la specificità di come poterla contrastare e combattere: se è il tutto, diventa difficile far ciò.
  In quest'ambito è evidente che i flussi migratori possano essere utilizzati per infiltrare terroristi, ma è altrettanto evidente, però, che attraverso i flussi migratori possono ritornare parte dei foreign fighters. Da questo punto di vista l'attenzione è massima.
  Se mi è consentito – anche qui, senza fare polemica, poiché non voglio entrare nel dettaglio di Mare Nostrum, non essendo Pag. 12questioni che sono all'oggetto di questa nostra discussione – vorrei fare una piccolissima osservazione. Si può giudicare Mare Nostrum in modo positivo o meno (voi però sapete che l'orientamento del Governo italiano è di giudicarlo in modo positivo), tuttavia c’è un punto da rilevare. Nel momento in cui l'azione di aiuto in mare veniva svolta dalla Marina militare, tutto ciò costituiva, obiettivamente e a prescindere, un piccolo deterrente per quanto riguardava l'infiltrazione. Questo perché, nel momento in cui gli immigrati passavano sulla nave della Marina militare, risultava un po’ più ardito per loro pensare di infiltrarsi. Poi, naturalmente, tutto può succedere e la nostra capacità deve essere quella di prevedere anche ciò che è difficilmente prevedibile.
  Il quadro, però, a mio avviso, va inteso così: può essere quello il canale di infiltrazione ? Noi abbiamo gli occhi molto aperti su questo punto, ma non c’è un segnale specifico che ci dica che questo sta avvenendo. Passo alla seconda questione, i CIE (Centri di identificazione ed espulsione): questi possono essere un centro di reclutamento ? Teoricamente sì e anche su questo c’è molta attenzione. Io vorrei che fosse evidente che su questo terreno, nel momento in cui si dice «questo non c’è», non significa che si sottovaluta il problema, ma che si fa una fotografia del problema. Si fa una fotografia, sapendo che le fotografie possono cambiare nel tempo. Questo è lo stato dell'arte, al momento.
  Infine, svolgo due ultime considerazioni (poi mi taccio e rispondo alle vostre domande, se sarete tanto cortesi da volermene fare). Il Governo ha allo studio – il presidente li richiamava – dei provvedimenti ? Sì, il Governo ha allo studio dei provvedimenti, che saranno messi in campo piuttosto rapidamente. Il Consiglio dei ministri di oggi è stato spostato perché c'erano le consultazioni per il Quirinale. Obiettivamente, c’è anche un problema di profilo quasi costituzionale. Fare un decreto su questi temi mentre domani parte l'elezione del Presidente della Repubblica ha suggerito di avere un attimo di cautela. Su questo punto voglio essere chiaro: non ci sono divisioni all'interno del Governo. C’è stato veramente un approccio rispettoso. Si tratta di temi, però, che vengono affrontati nel momento in cui domani comincia l'elezione del Presidente della Repubblica. Tutto questo raccomanda un certo tipo di prudenza.
  I provvedimenti del Governo vanno nella direzione cui il presidente ha parlato e sono stati ampiamente discussi, a volte anche pubblicamente. Non posso anticiparveli, per ovvie ragioni, per un fatto di rispetto istituzionale. Vanno, però, in questa direzione e posso anche dirvi che saranno caratterizzati da una capacità di prevenzione il più possibile elevata. Tendere al massimo l'arco della prevenzione nel rispetto delle garanzie costituzionali del nostro Paese: questo è l'indirizzo fondamentale che guida l'atteggiamento del Governo.
  Infine, aggiungo un'ultimissima considerazione. È molto importante comprendere che noi abbiamo a che fare con organizzazioni terroristiche – sia essa IS, sia essa Al-Qaeda nella penisola arabica, sia essa Al-Qaeda – che hanno molta attenzione agli elementi comunicativi e «propagandistici».
  Anche questo è un elemento con il quale misurarsi: c’è una rivista di IS, c’è una rivista di Al Qaeda nella penisola arabica, c’è una rivista di Al Qaeda, Resurgence (Rinascita). In quest'ultima rivista, Resurgence, c’è un articolo secondo cui si deve operare per un'azione che viene chiamata di choke point, cioè di punti choc. I punti choc sarebbero i grandi stretti del mondo: Hormuz, Malacca, Bosforo, Gibilterra, Suez, Golfo di Aden.
  Perché vi dico questo ? È una questione immaginifica: l'intenzione è di fare un'azione terroristica che bloccherà gli stretti del mondo, soffocando il mondo. Da qui il termine choke, cioè soffocare. Questo la dice lunga sul fatto che l'obiettivo è quello di soffocare il mondo. Appunto perché qui siamo nella Commissione Schengen, dobbiamo comprendere che la Pag. 13reazione non può essere quella di farsi soffocare, ma deve essere quella di tenere aperti gli spazi di libertà.
  La rivista è recentissima. Io mi sono permesso di fare questa citazione, che c'entra poco con il dibattito in cui mi è stato chiesto di relazionare, ma serve per dare plasticamente il senso che su queste questioni c’è una battaglia. È una battaglia, naturalmente, di carattere preventivo e repressivo, ma è anche una battaglia di immagini forti.

  PRESIDENTE. Io oggi sto approfittando della sua presenza, ma se potesse dirci ancora una piccola cosa, gliene sarei grata. Poi lascerò spazio ai colleghi per le domande. Quando abbiamo ascoltato il rappresentante di Europol, abbiamo toccato il tema dell'approvvigionamento delle armi sul territorio. Ci è stato spiegato che, per operare gli attentati, bisogna approvvigionare le armi in loco. Ci può dire se in Italia c’è un accordo, o comunque una qualche forma di scambio delle informazioni, ovvero una collaborazione tra i servizi antimafia e tutte le forze di polizia che prestano attenzione su questo ? Immaginiamo di sì.
  Senza polemiche, nella legge di stabilità abbiamo avuto dei tagli alla polizia informatica. Lei, giustamente, ci ha parlato di propaganda e delle riviste. Noi abbiamo visto che anche in rete si fa recruiting di adepti. Il quesito non è polemico, ma secondo lei, comunque, questi tagli hanno avuto un'influenza ? Dobbiamo impegnarci noi – il quesito è propositivo – per far comprendere che, invece, è importante ripristinare le risorse ?

  MARCO MINNITI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica. Al Ministero dell'interno, la valutazione che ha fatto il Ministro Alfano è che nella legge di stabilità non solo non c’è una contrazione per le capacità operative del Ministero dell'interno, ma addirittura c’è un'espansione. Questa è la valutazione fatta dal Ministro Alfano, che qui mi limito a riferire, per ovvie ragioni, ossia perché la questione è di competenza del suo Ministero.
  È chiaro che noi abbiamo bisogno di avere una massima attenzione al web – questo è chiarissimo – per una ragione semplicissima: abbiamo di fronte un canale che ha un doppio valore funzionale per il terrorismo, con le caratteristiche di cui abbiamo precedentemente parlato.
  Il primo è quello della conversione. Ci troviamo di fronte, sia per quanto riguarda i foreign fighters, sia per quanto riguarda i lupi solitari, a una caratteristica per cui spesso la conversione all'Islam radicale non avviene attraverso forme di rito collettivo, bensì attraverso rapporti che avvengono sul web. È sul web che gli Imam fanno le prediche più estreme ed è sul web che spesso il singolo decide di aderire a quel tipo di profilo che viene prospettato.
  Naturalmente, voi comprendete che una conversione che avviene sul web è una conversione il più possibile solipsistica: uno che si converte a una religione o addirittura a una cultura di morte attraverso il web compie un'azione fortemente solipsistica.
  In secondo luogo, è chiaro che tutto ciò comporta il fatto che si debba avere la possibilità di controllare. L'altro aspetto è che sul web spesso si veicola il percorso della costruzione degli strumenti dell'atto terroristico – e vengo al secondo aspetto – cioè si configura in senso lato il quadro di possibili potenziali obiettivi. Faccio un esempio. Charlie Hebdo era sicuramente un obiettivo sensibile e del fatto che fosse un obiettivo sensibile c'era traccia. Per ultima, la rivista Inspire, la rivista di Al Qaeda nella penisola arabica, citava Charlie Hebdo come un possibile obiettivo da punire.
  Se si guarda il web, tra milioni di cose che non servono a nulla, si può pescare il pesciolino giusto, cioè si può pescare il segno che consente di comprendere ciò che può avvenire. Naturalmente, questo si deve fare in un rapporto positivo con i provider, senza pensare di limitare le libertà del web, ma è un punto fondamentale.Pag. 14
  Per questo motivo è importante che ci sia una cooperazione con i provider. Per questo motivo ritengo importante che si sia fatto quel protocollo di intesa tra l’intelligence italiana e il Garante della privacy. Sono cose che, se mi si consente, testimoniano che c’è un pizzico di strategia.
  Spesso noi siamo portati a pensare che tutto avvenga per caso. Nelle modalità di reazione, di risposta, di prevenzione ci può anche essere una strategia: non tutto avviene per caso.
  Come seconda questione, questo lavoro lo fanno le forze di polizia e l’intelligence, naturalmente, perché si tratta di compiti precipui che la legge assegna sia alle une, sia all'altra. Sul traffico di armi c’è una collaborazione ? Assolutamente sì. Io prima ho citato il CASA. In quel Comitato di analisi strategica antiterrorismo passano tutte le informazioni possibili e, naturalmente, il tema del traffico di armi è un punto cruciale, per ovvie ragioni.
  Sappiamo che l'Italia è crocevia di traffici di vario tipo, e quindi tutto questo è importantissimo nell'azione di prevenzione e di contrasto al terrorismo. Il tema del traffico di armi è un tema importante, ma non c’è nulla che in questo momento ci possa dire che ci sia un rapporto tra criminalità organizzata e terrorismo. Non c’è nulla che in questo momento ci possa dire questo. Tuttavia, le antenne rimangono molto vigili, anche da questo punto di vista. Non si può sottovalutare nulla. Vorrei trasmettere un messaggio, ma lo faccio veramente con uno spirito positivo. Siamo in una fase in cui non si può sottovalutare nulla. Nessuno può dire a cuor leggero che una data cosa non c'entra nulla, perché, come si è visto, anche aspetti più di dettaglio finiscono per diventare molto importanti.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  RICCARDO MAZZONI. Grazie, presidente. Grazie, sottosegretario, per l'esauriente relazione. Gli spunti sono molti. Se mi consente, non sarò brevissimo. La Rinascita islamica – questo è il titolo di questa rivista – nasce nell'82, dopo la strage di Beirut, e viene sottovalutata dall'Occidente nonostante i tanti campanelli d'allarme di scrittori come Huntington in opere quali Lo scontro delle civiltà, Eurabia, ed Oriana Fallaci. Quindi, noi siamo arrivati dalla teorizzazione del califfato alla realizzazione del califfato nell'assoluta impotenza dell'Occidente. Io credo che, almeno attraverso i satelliti, si sarebbe dovuto vedere che cosa stava succedendo tra Iraq e Siria. I ripetuti appelli dei curdi, che da soli non ce la facevano, sono stati all'inizio totalmente inascoltati. Il mio timore – l'accenno alle Brigate verdi dei Balcani è assolutamente opportuno – è che, così come l'attentato di Sarajevo spezzò il Novecento, l'attentato a Charlie Hebdo segnerà questo nuovo secolo. Il secolo scorso è stato il secolo del totalitarismo rosso, che divideva il mondo, con la guerra per classi, e del totalitarismo nazista, che invece faceva la guerra fra le razze. Ora c’è il totalitarismo verde, appunto quello della guerra fra le religioni. Fatto questo cappello ideologico, passo ad alcune domande piuttosto precise.
  Nei giorni scorsi il presidente dell'Assemblea costituente della Libia, Ali Tarhouni, in un'intervista al Corriere della Sera, ha detto che gli sbarchi sulle coste italiane di migranti provenienti dalla Libia sono gestiti direttamente dall'ISIS.
  È chiaro che in Libia non ci sono autorità e non ci sono punti di riferimento. Lei ha detto che Mare Nostrum da questo punto di vista non è stato un pericolo, perché l'intervento della Marina ha fatto da deterrente allo sbarco di terroristi. Ci sono, però, almeno 50.000 migranti che sono diventati dei fantasmi, perché dopo lo sbarco sono fuggiti. Non si può dire per certo che tra questi non ci fosse alcun terrorista. Voglio segnalare che l'altro giorno c’è stata l'audizione del Commissario straordinario del Governo per le persone scomparse, che ha una competenza vastissima, con un apparato di sei persone, ma è tagliato fuori dai terminali. Questo potrebbe essere uno strumento Pag. 15importantissimo, in questo momento, in cui potrebbero sguinzagliarsi dei terroristi attraverso gli sbarchi, ma lo strumento ad hoc non ha alcun tipo di mezzo.
  Il suo riferimento ai CIE come possibili centri di reclutamento, credo debba aprire una riflessione sul fatto che i centri di detenzione amministrativa costano tanto e servono già poco. Se poi devono servire anche ai centri di reclutamento, forse è meglio fare un ripensamento globale.
  Quanto alle domande, nel decreto che il Governo sta per varare c’è il problema della Procura nazionale antiterrorismo. È giusto integrare le competenze della Direzione nazionale antimafia, o non è più opportuno creare una Procura nazionale antiterrorismo ad hoc ?
  Come secondo punto, lei ha detto che la minaccia terroristica e il reclutamento non avvengono tanto nelle moschee, quanto sul web. C’è un monitoraggio costante delle moschee. La Consulta islamica, che fu creata nel 2005 dall'allora Ministro Pisanu grazie a un accordo con la parte dell'Islam che si rifà ai Fratelli musulmani (perché quello è), che risultati sta dando dal punto di vista della collaborazione ?
  Passando al terzo punto, nel decreto che il Governo si appresta a varare, da quanto si legge, non saranno più puniti solo i reclutatori, ma anche i combattenti stessi. Io mi chiedo – è una provocazione – se non sia giusto attenzionare dal punto di vista penale anche chi organizza – parlo delle Onlus – viaggi pericolosi nelle zone a rischio, laddove si mandano allo sbaraglio giovani donne e giovani uomini inconsapevoli, per i quali lo Stato è costretto poi a pagare i riscatti. Lei ritiene giusto pagare riscatti in questi casi ?
  L'ultima domanda riguarda Schengen. È giusto non recedere di un passo rispetto al fatto di tornare indietro, perché sarebbe come dare ragione ai terroristi. Tuttavia, sia dalla Francia oggi, sia dal Belgio due anni fa, dopo l'attentato al museo ebraico di Bruxelles, ci fu la richiesta di effettuare una revisione di Schengen. Basta la misura a cui lei ha accennato sui controlli aerei più stretti, o ci vuole ancora altro per rendere più sicura la fortezza Europa, che fortezza più non è ? Grazie.

  PRESIDENTE. Do ora la parola al senatore Arrigoni della Lega Nord, anche per ragioni di equilibrio politico.

  PAOLO ARRIGONI. Sottosegretario, lei prima ha accennato all'inopportunità di varare il decreto in questi giorni, che ci avvicinano alle elezioni della Presidenza della Repubblica. Io, però, voglio ricordarle che il 9 settembre, all'indomani o comunque pochi giorni dopo la seconda decapitazione a opera dell'ISIS, il Ministro Alfano, con un'informativa al Senato, aveva parlato della necessità immediata di una legislazione speciale. Sono parole che ha ripetuto il 9 gennaio, il giorno dopo l'attentato di Parigi.
  Visto che il Governo è preso dal varo di un sacco di decreti che non hanno caratteristiche di necessità e urgenza, io mi domando e le domando quanto tempo dobbiamo aspettare ancora prima del varo di questo decreto, visto che c’è un allarme terrorismo internazionale. Il 9 di gennaio è indietro di venti giorni ! Noi stigmatizziamo questo ritardo da parte del Governo, che aveva parlato di un varo nel Consiglio dei ministri odierno e che invece ha rinviato, con la conseguenza, quindi, che non sappiamo quando questo decreto verrà varato.
  Per entrare nel merito dei contenuti, al di là dell'osservazione che ha fatto la presidente su questa ipotesi di riconoscere dei permessi di soggiorno a stranieri che possono collaborare con l’intelligence, io le chiedo se non sia il caso – e se ci stiate pensando – di conferire più potere ai servizi segreti in ordine alla possibilità di commettere ulteriori condotte, previste dalla legge come reato, al fine dell'espletamento dell'attività formativa.
  Vorrei sapere se state pensando di consentire al personale dei servizi deputato all'informazione di deporre nei processi mantenendo la copertura ? Se state pensando di aumentare l'organico del personale Pag. 16dei servizi segreti e di erogare più risorse ai servizi segreti stessi, visto che, per esempio, la Francia ha stanziato notevoli risorse ? Se state pensando a un ruolo particolare dei servizi segreti, per esempio, nelle carceri, che rappresentano un'altra sede di arruolamento, oltre ai CIE, come ha detto lei ?
  Passando al secondo punto, sottolineo anch'io quanto detto prima dal collega Mazzone. Senatore Minniti, nel 2014, attraverso il canale della Libia, sono arrivati 170.000 immigrati, decine di migliaia dei quali hanno fatto perdere le loro tracce perché – questo l'ha detto anche il Ministro Alfano – queste persone, una volta giunte in Italia, non vengono controllate e quindi possono abbandonare tranquillamente i luoghi di accoglienza in cui vengono poste.
  Le faccio una domanda precisa: lei pensa che l'immigrazione non rappresenti un pericolo per il compimento di attività di matrice terroristica sul territorio italiano ed europeo ? Cito un'agenzia di ieri, laddove i siti libici avrebbero riportato un rapporto dello Stato islamico – la cui autenticità è tutta da verificare – in cui si afferma che attraverso i migranti i terroristi arriveranno in Europa.
  Noi, come Gruppo della Lega Nord, siamo convinti che la Marina militare non abbia rappresentato un deterrente in tal senso. Pertanto, per venire al tema di Schengen, riteniamo che i controlli esterni alla frontiera Schengen debbano essere assolutamente potenziati, anche attraverso lo stop di Mare Nostrum/Triton; riteniamo altresì che debbano essere fatti dei controlli più serrati alle moschee e che debbano essere attuate delle moratorie per la realizzazione delle moschee stesse.
  Come terzo punto, lei non ritiene che le rimesse di denaro all'estero debbano essere tracciate ? Le chiedo ciò perché gran parte di queste vengono attuate attraverso operazioni con i money transfer, i quali non garantiscono assolutamente la tracciabilità. Dunque, miliardi di soldi vanno all'estero e sfuggono alle normative finalizzate al contrasto del fenomeno del riciclaggio e soprattutto al finanziamento di attività di terrorismo.
  Infine, l'ultimo punto – anche se non è di stretta sua competenza, se ne è parlato – riguarda le forze dell'ordine. Lei ha citato una riflessione di Alfano, il quale dice che, contrariamente a ciò che si pensa, la legge di stabilità va sostanzialmente a potenziare le forze di polizia. Tuttavia, le forze di polizia stesse, perlomeno attraverso i loro sindacati, dicono che è stata confermata la chiusura di oltre 250 presìdi di polizia, tra cui uffici di polizia di frontiera, uffici di polizia ferroviaria, nonché 70 presìdi di polizia postale e delle comunicazioni. Mi domando se questa sia una corretta azione di prevenzione nei confronti del terrorismo.
  Le domando se non sia il caso di agire attraverso l'organico della polizia – che è sottorganico anche per il mancato turnover – e se non sia il caso di stanziare da parte del Governo delle risorse per arrivare alla formazione del personale delle forze di polizia che si occupano del controllo del territorio, per far fronte in modo efficiente ed efficace alle operazioni di terrorismo. Grazie.

  MASSIMO ARTINI. Sorvolo sulle domande, che tendenzialmente hanno già coperto gran parte della materia e alle quali lei ha già dato risposta in modo abbastanza ampio. Io mi volevo concentrare, invece, sulla parte informatica del problema. Al netto di una serie di discorsi di indirizzo, cioè il discorso dell'accesso ai dati, a preoccuparmi – così come evidenziato nello spunto appena sollevato dal senatore Arrigoni – è tutta la parte che riguarda l'armonizzazione, anche a livello europeo, della capacità di richiedere accessi a provider, che non sono tipicamente italiani. È abbastanza risaputo che spesso non vengono utilizzati canali nascosti o segreti. Tendenzialmente, Facebook è uno dei canali maggiori per lo scambio di messaggi anche per il reclutamento.
  A fronte di questo, quale tipo di algoritmo viene utilizzato – o viene chiesto di implementare – ai provider di questi servizi Pag. 17social, in corrispondenza dell'esigenza di tutelare la privacy di chi li usa per divertimento o per lavoro ?
  Dov’è il punto ? Il punto è che l'ultima volta, in sede di audizione con il vicedirettore di Europol, è emerso in modo piuttosto chiaro il fatto che anche tale soggetto (Europol), nell'accesso a dati sensibili, era soggetto ad un controllo da parte di terzi. Su questo tema, mi può fornire una visione di quello che sta facendo l'Italia, ossia riferire se c’è un ente terzo che verifica quali sono e come vengono trattati i dati da parte delle forze di polizia e dei servizi e che tipo di controllo si opera su di essi ?
  Lei faceva inizialmente un discorso sull’intelligence che è fondamentale come sovranità nazionale. È naturale che il fatto di avere delle informazioni sia una delle caratteristiche di ogni singola nazione. Io mi chiedo – non lo so e glielo chiedo per eventuali conoscenze future – se ci sia un'armonizzazione dei livelli di classifica. Mi spiego. Nel dover rendere alcuni documenti condivisi in Europa, esiste la possibilità di dire che il livello di classifica di riservatezza di un documento è analogo – o comunque prevede procedure analoghe – in Francia piuttosto che in Belgio o in Italia, in modo da poter elevare il livello di riservatezza a un determinato tipo di strutture ?
  Sempre per quanto riguarda la parte dell'estensione dei decreti (questa è una domanda un po’ più tecnica, ma è fondamentale per la discussione che potrà seguire sia alla Camera, sia al Senato), a quanto ho capito, purtroppo, tutta la parte antiterrorismo dovrebbe esser parte del decreto missioni. Mi viene da pensare, quale unica motivazione, che se avete bisogno di fondi, l'unico fondo disponibile potrebbe essere quello del fondo missioni, che è già abbondantemente finanziato. Le do quindi un suggerimento: purtroppo non è ancora stato fatto, ma il decreto missioni può attendere anche qualche giorno. Il decreto antiterrorismo, invece, potrebbe essere un decreto a parte, da far trattare a Commissioni più specifiche. Volerlo trattare prevalentemente presso le sedi delle Commissioni affari esteri e difesa, ma non coerentemente presso le Commissioni giustizia e affari costituzionali, sarebbe probabilmente uno sbaglio, nell'ottica di trattare la materia in maniera corretta. Questo è uno spunto che vorrei darle, nella volontà collaborativa di cui si diceva prima.
  Infine, sempre per quanto riguarda la parte informatica, spero che nel decreto non ci siano norme che favoriscano l'oscuramento dei siti. Per me, anche da tecnico – ma non è tanto quello il motivo, bensì una valutazione generale – oscurare qualcosa sul web provocherebbe una moltiplicazione delle forze da parte di chi ha realizzato precedentemente quel tipo di sito. Sarebbe più opportuno definire sistemi di tracciamento, anche grazie a collaborazioni con provider di hardware e servizi, e soprattutto protocolli di sicurezza. Mi spiego. I protocolli di verifica, come dicevo prima, implicano che un ente terzo abbia la sicurezza di poter verificare quali tipi di accesso sono fatti. Questo ci mette a rischio di un controllo granulare e polverizzato di qualsiasi tipo di valutazione.
  Lei diceva prima che sarebbe importante valutare se qualcuno ha scelto di mettersi accanto una persona o un'altra in aereo. Posto che non so se ciò viene tracciato direttamente da chi costruisce i siti di prenotazione online, questa è una modalità di analisi, un data mining effettivamente impressionante, da un punto di vista sia delle risorse in termini di hardware che ci vogliono per fare questo tipo di ricerche, sia della capacità da parte di organi preposti da un punto di vista informatico a valutarle. Personalmente, intendo chi monitora, sia come software, sia come persone.
  In ultimo, sulla parte di polizia postale, non dico che non sia necessario avere più uffici vicini ai cittadini. Il punto è: quali strumenti ha la polizia postale ? Io ho avuto, nelle settimane scorse, degli attacchi robusti a server di mia proprietà e, parlando con gli ispettori di polizia postale, nessuno mi ha riferito di avere strumenti reali per poter contrastare attacchi denial Pag. 18of service, o comunque che inficiavano l'utilizzo da parte di altri di servizi che avevano a disposizione.
  Vorrei sapere se anche nel decreto c’è la volontà di istituire una task force – mi passi il termine – di contro-hacker, cioè di soggetti che effettivamente non siano meri ispettori con una formazione di polizia di sicurezza, ma che abbiano determinate caratteristiche e che vadano a lavorare su questo fronte.
  Se ora la vediamo in un dato modo, notiamo che di qui ai prossimi anni le forze che hanno la disponibilità di fondi e di finanziamenti, come l'ISIS, hanno anche la capacità di acquisire persone da un punto di vista informatico. Hanno delle capacità che permettono di eludere determinati tipi di controlli. Pertanto, quel rischio che citava lei, cioè di potere accedere a dati sensibili (quali il PNR) di Europol, è reale. Grazie.

  RICCARDO CONTI. Non svolgerò un ragionamento tecnico come quello del collega, perché non sono così preparato, ma nemmeno un intervento dotto come quello dell'amico e collega Mazzoni. Io faccio, sottosegretario e presidente, delle brevi considerazioni in maniera molto semplice, perché sono una persona semplice e ho bisogno di capire.
  Innanzitutto, mi meraviglio sempre che ci sia qualcuno che si meraviglia che ci siano in giro per l'Europa alcune migliaia di persone che sono pronte a fare atti di terrorismo o cose del genere. Considerato che in giro ci sono un po’ di matti e che c’è un po’ di gente sbandata, che non ha né arte né parte, ci saranno tra loro quelli che, per ragioni valoriali, politiche o di altro genere, possono pensare di arruolarsi in organizzazioni di questo genere.
  Io penso che dovremmo abituarci a ritenere che si possa sempre più ampliare questa base di gente disponibile ad azioni del genere, di cui stiamo parlando. Penso anche che, se è vero che il terrorismo è considerato molecolare, tuttavia il reperimento dei fondi e l'addestramento delle persone non lo sono. Io non credo che quelli che ricorrono al money transfer si dedichino al terrorismo. Bisogna capire di cosa parliamo. Io credo che la gran parte della gente che trasmette soldi all'estero, li trasferisca per ragioni personali, magari in maniera più o meno legale dal punto di vista delle nostre normative fiscali, ma in realtà non hanno a che fare con il terrorismo.
  Io penso che i veri trasferimenti di soldi per il terrorismo non vengano fatti in quel modo. Penso che ci siano modi meno artigianali per trasferire fondi di questo genere. Penso anche che, al di là del fatto che ci possa essere qualche mercante di armi di basso livello o qualcuno proveniente dalla manovalanza della nostra criminalità organizzata, non si fermi solo a quello il reperimento di armamenti e di armi particolari per eventuali atti terroristici.

  PRESIDENTE. È vero, ma mi permetto di osservare che negli attentati di Parigi si è visto che l'approvvigionamento proveniva – mi pare – dal Belgio. La cosa fondamentale – su questo il sottosegretario ci ha risposto ed è importante – è che coloro che li hanno riforniti, come il vicepresidente di Europol ci ha detto, si sono spaventati quando hanno capito a chi avevano dato tali armi. Paradossalmente, l'organizzazione territoriale viene allertata sul rischio ancor più grande che ha nel trasferimento.

  RICCARDO CONTI. In effetti, io volevo fare al sottosegretario una domanda. Si sviluppa un ragionamento per capire se la nostra criminalità organizzata e il terrorismo possono avere delle convergenze, non a basso livello ma ad alto livello ? La criminalità organizzata italiana, come quella di qualsiasi altro Paese, ha interesse a dare spazio al terrorismo o non ce l'ha ? Vorrei sapere se c’è un ragionamento di questo genere, che non riguardi i piccoli e i singoli fatti.
  Come penultima considerazione, continuo a sentire parlare di aerei, ma nessuno parla di treni o di droni: uno che va da Parigi a Londra in treno, si sposta e magari andrebbe controllato a sua volta Pag. 19(credo che anche lì ci sarà un controllo). Mi interesserebbe sapere se è in atto un lavoro di normativa sui droni, perché penso che in poco tempo potrebbero avere una grande diffusione. Io mi sono informato per sentire se qualcuno si interessa di questa tematica, ma non ho trovato colleghi o persone esperte che la seguono.
  Infine, sottosegretario, le voglio dire una cosa. Poiché io sono democristiano da lunga data – ormai sono anche vecchio – ci tengo a ribadire un fatto. Io sono un grande amante della libertà, ed essendo anche amico di Cossiga (si immagini lei come), penso davvero che più che mai, oggi, vada ribadito il concetto per cui la mia libertà si ferma dove comincia quella dell'amico Mazzoni.
  A me sta bene che ci sia la libertà di stampa, che ci sia la libertà dei siti, ma non mi sta bene che qualcuno, per esercitare quella che intende come la propria libertà di stampa, di Internet o di altro, metta a repentaglio la mia pelle e la pelle dei miei figli. Questo vorrei ribadirlo, perché non vorrei cedere alla moda del politicamente corretto in questo senso.

  PRESIDENTE. Mi pare che il sottosegretario su questo sia stato molto chiaro.

  GIORGIO BRANDOLIN. Mi scuso se, insieme alla collega Gadda, siamo arrivati in ritardo. Mi ero anche giustificato con la presidente per la riunione di questa mattina del Gruppo del PD in merito al tema della Presidenza della Repubblica. Abbiamo avuto una comunicazione in tal senso e, francamente, mi sembra una questione importante, che stiamo vivendo come «grandi elettori». È la seconda volta che facciamo questa esperienza di legislatura. Forse, fatta due volte, è una cosa normale, ma a me non sembra proprio normale avere questa opportunità in due anni.
  Ciò premesso, ringrazio il sottosegretario e mi scuso se abbiamo perso la prima parte del suo intervento. La ringrazio delle informazioni che ci ha fornito, anche con chiarezza e precisione, pur nell'articolazione e nella responsabilità del suo impegno. Faccio solo alcune riflessioni. Innanzitutto, noi condividiamo pienamente la sua impostazione rispetto a questo problema: una minore libertà nel territorio Schengen sarebbe, ovviamente, una sconfitta per noi. Anzi, avere più libertà e più possibilità di movimento nel territorio di Schengen è una risposta assolutamente indispensabile a coloro i quali ci stanno facendo questo attacco.
  La prima domanda che le faccio a questo proposito, che ho fatto anche al vicedirettore di Europol, tende a cercare di capire (parlo di controllo delle frontiere esterne, anche per potenziare questo controllo) se ci può essere una possibilità di avere, in particolare sulla rotta balcanica e quindi su quel confine esterno terrestre, una collaborazione tra le polizie, oltre che tra i servizi, per non lasciare esclusivamente il Paese posto alla frontiera esterna come unico responsabile di questa sicurezza.
  Passo alla seconda domanda. Lei ci ha detto prima che, a volere parlare della Libia, bisognerebbe stare qui per un'altra audizione o forse due. Le chiedo se ci può fornire qualche elemento di speranza rispetto ai colloqui che le varie fazioni libiche hanno fatto in questo momento, in queste ultime settimane, per trovare una soluzione anche politica al problema. La domanda è se c’è una tempistica attraverso la quale arrivare a una collaborazione con quel Paese e anche con i Paesi subsahariani. Si sta parlando, per esempio, di attrezzare le ambasciate europee per espletare la pratica di domande eventuali di asilo politico, evitando, quindi, l'arrivo in Europa. Le chiedo se questa può essere anche un'azione da sviluppare per fermare questo traffico.
  Ho un'ultima domanda sui CIE. Io ho un'esperienza territoriale di presenza nei CIE. Mi sembra di avere capito e di poter dire che su 11-12 CIE che erano a disposizione, ne siano attualmente utilizzati 4-5. Ci può fornire una risposta anche sul superamento probabile di quello strumento, che si è dimostrato, mi sembra di poter dire, non troppo efficace, visto che lo si sta gradualmente abbandonando ? Inoltre, Pag. 20all'interno della logica che pervade le misure che state predisponendo, c’è anche questa soluzione ?
  Infine, condivido la decisione presa: avete fatto bene a «bloccare» il decreto questa mattina. Se queste misure si faranno tra dieci giorni, non cambierà nulla, anzi, quando vengono prese delle misure in emergenza, secondo me si fanno anche dei danni. Se riflettete una settimana in più su questo problema, va bene.
  Vorrei sapere, però, se sul problema delle strutture CIE avete fatto una riflessione per il loro superamento e anche per la loro validità. Mi sembra di avere capito che abbiano dimostrato ampi momenti di inefficienza e inefficacia.

  PRESIDENTE. Sottosegretario, mi aggancio ai CIE. Probabilmente, oltre che a quello dei CIE, c’è anche il tema dei CARA, dove mi risulta che ci sia più libertà di circolazione. Eventualmente, quindi, c’è meno controllo da questo punto di vista. Do la parola al sottosegretario Minniti per la sua replica.

  MARCO MINNITI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica. Cercherò di rispondere a tutte le domande. Se dovessi dimenticarne qualcuna, fatemi cenno e risponderò molto volentieri. Mi sia consentito, prima di rispondere nel dettaglio, di fare una piccola riflessione di carattere generale, partendo dall'intervento del senatore Conti.
  Noi siamo della stessa età. Mi ha fatto un certo piacere il fatto che il senatore abbia potuto richiamare il mio atteggiamento, in senso lato, ad un approccio «buonista». Mi ha fatto piacere perché solitamente vengo accusato di avere un altro tipo di approccio. Da questo punto di vista, questo vuol dire che qualche passo avanti l'ho fatto anch'io. Tuttavia, mi sembra giusto adesso, al di là della battuta, richiamare un principio fondamentale che lei ha qui richiamato, ossia che la libertà di ciascuno di noi ha un limite oggettivo nella libertà dell'altro. Questi sono princìpi fondativi, non dico di ogni democrazia, ma di ogni comunità umana. Da questo punto di vista, quindi, consentitemi di condividere e di richiamarmi alle osservazioni che sono state fatte.
  Rispetto alle questioni poste dall'onorevole Mazzoni, dobbiamo sempre distinguere il grano dal loglio. Dobbiamo, cioè, guardare i fenomeni per quello che sono e stare attenti al fatto che su tali fenomeni ci può essere anche un elemento di propaganda. È chiaro che è proprio di ogni organizzazione terroristica trasmettere un senso di onnipotenza, sapendo che spesso il senso di onnipotenza significa appiccicare a posteriori la propria etichetta su un fatto che avviene. Tutto ciò è classico.
  Faccio un esempio. Prendiamo i tre soggetti principali che hanno agito a Parigi, ossia i due fratelli Kouachi e Coulibaly; si sono richiamati ad Al Qaeda nella penisola arabica e ad IS.
  È lecito ragionare, in questo momento – naturalmente poi avremo le indagini in corso e avremo ulteriori elementi – sul fatto che i due fratelli Kouachi e Coulibaly non hanno preso una tessera, ma vi è un meccanismo. Si sono dichiarati dentro un orizzonte, un orizzonte ideologico, a mio avviso aberrante, ma comunque un orizzonte ideologico. A posteriori, un'organizzazione che forse non sa nemmeno di loro, li riconosce, perché tenta di attribuirsi il fatto avvenuto. Questo è un elemento classico di ogni organizzazione terroristica.
  Personalmente – mi si consenta – sarei un po’ prudente sul fatto che gli sbarchi e i traffici di esseri umani siano gestiti da IS. Io continuo a pensarla in maniera diversa, ma vorrei, in ogni caso, chiarire che il traffico di esseri umani non è una cosa «accettabile». Io lo considero un crimine contro l'umanità. Come tale, per me, nell'azione di contrasto non c’è grande differenza tra i terroristi e i trafficanti di uomini: li considero entrambi «nemici dell'umanità». Da questo punto di vista, l'azione è uguale.
  Il punto qual è ? Il punto è comprendere che noi faremmo un errore – questo sì, sarebbe veramente un errore – dal punto di vista strategico nel pensare di Pag. 21stabilire, a un certo punto, un meccanismo per cui immigrazione e terrorismo sono due affluenti che convergono in un unico fiume.
  Questo è un errore strategico che porta a una fragilità assoluta da parte nostra, perché nella lotta al terrorismo, la questione fondamentale è sapere distinguere. La cosa peggiore che si può fare nella lotta al terrorismo, è fare di tutta l'erba un fascio. Questo significa «regalare» al nemico un vantaggio tattico e strategico assolutamente straordinario.
  La seconda questione riguarda la procura antiterrorismo. Personalmente sono d'accordo, nel senso che la considero un elemento importante. Il Governo come ha approcciato questa questione ? L'ha approcciata secondo due profili. In primo luogo, c’è un'iniziativa parlamentare in corso; in questo momento c’è un testo licenziato dalla Commissione giustizia della Camera che è in procinto di arrivare in Assemblea. Non conosco il calendario, ma il meccanismo è questo.
  In secondo luogo, il Ministero dell'interno e il Ministero della giustizia hanno fatto una riunione con i capi delle procure distrettuali italiane, perché la cosa importante nell'azione di contrasto al terrorismo è pensare a misure che siano insieme mirate, e che soprattutto consentano di implementare l'azione di prevenzione e di contrasto, ma non di indebolirla.
  Da questo punto di vista, quella riunione è servita, perché da quanto ho letto anch'io sui giornali, da parte dei capi di tutte le procure distrettuali italiane è venuto un elemento positivo per questo tipo di iniziativa.
  Mi pare – esprimo un'opinione personale – che in questo momento la cosa migliore da fare sia quella di considerare una sezione specializzata della Direzione nazionale antimafia. Questa è la mia valutazione. Questo consente di avere un elemento di forte coordinamento nazionale, di forte specializzazione e, tuttavia, si misura con una struttura che già esiste e che ha già i suoi collegamenti con le varie procure distrettuali. Ciò consente di non partire da zero, perché la cosa più importante, in questa circostanza, è non partire da zero.
  Sulla questione delle moschee vorrei che facessimo tra di noi un ragionamento di verità, naturalmente con tutta la prudenza del caso. Ho già detto che una parte significativa delle conversioni o dell'opera di radicalizzazione avviene attraverso il web. Le moschee sono luogo di rito collettivo e, appunto perché sono luogo di rito collettivo, devono essere trasparenti (come tali, consentono di avere una trasparenza, appunto perché sono luoghi di rito collettivo). In questo momento penso che il pericolo dal quale noi dobbiamo soprattutto guardarci deve essere quello della conversione individuale. Naturalmente, è del tutto evidente che sia importante il fatto che questi luoghi siano il più possibile trasparenti.
  Io ho apprezzato il fatto che da parte di alcune organizzazioni e associazioni dell'Islam italiano sia venuta la richiesta secondo cui, quando si fanno le prediche, si devono fare insieme in arabo e in italiano. È importante che ciò non lo dica l'Italia, che non lo dica il Governo italiano, ma che lo dicano le associazioni islamiche. Ciò è molto importante.
  Come voi comprendete, c’è un approccio diverso. Da questo punto di vista, il ragionamento fatto sul coinvolgimento delle comunità islamiche italiane a me sembra un ragionamento molto giusto e molto saggio. Sulla questione dei riscatti la posizione del Governo è stata quella espressa dal Ministro Gentiloni nell'immediatezza della liberazione di Greta e Vanessa alla Camera dei deputati: quella è la posizione del Governo. Pertanto, mi consentirete di non tornarci, perché la ripeterei soltanto. Essendo quell'atto pubblico, non c’è bisogno di tornarci.
  Tuttavia, io toglierei di mezzo un'idea: le Onlus fanno un lavoro straordinario, di assistenza, di aiuto e di sostegno, quindi, penso che debba essere chiaro che in quella direzione va la riconoscenza del Paese. Naturalmente, poiché penso che vi sia un problema più generale, che riguarda il Paese, porrei il tema di avere delle Pag. 22regole che consentano di verificare i flussi e gli accessi in aree di crisi particolarmente delicate. Questo si deve fare in un rapporto che non metta in discussione l'atteggiamento, l'azione e il contributo fondamentale delle Onlus che lavorano in questo campo, ma che tuttavia permetta di evitare iniziative di carattere individuale in teatri particolarmente difficili. Su questo c’è bisogno di avere una forte capacità di cooperazione. Penso anche che forse non sarebbe male incominciare a porre delle regole in proposito.

  RICCARDO MAZZONI. Non pensavo a sanzioni penali. Anch'io pensavo a un'organizzazione preventiva.

  MARCO MINNITI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica. Senatore, la mia non era una polemica nei suoi confronti: mi serviva stabilire il ruolo delle Onlus, che io considero positivo, evitando di cadere in una situazione di approccio non regolato, a fronte di teatri di crisi particolarmente delicati, innanzitutto perché ciò mette a rischio la vita delle singole persone che vi si recano. Non è soltanto un problema del Governo: si mette in discussione la sicurezza e la vita delle singole persone che vi si recano.
  La quinta domanda era sul PNR. È sufficiente ed è un passo importante: io incomincerei a farlo. Se mi è consentito, su questo è importante che ci sia un contributo delle forze politiche italiane nel rapporto con i propri parlamentari europei. Ognuno deve fare la sua parte su questo fronte. Bisogna compiere un'azione per cui nel Parlamento europeo tale questione sia affrontata.
  A mio avviso, questo sarebbe un segnale importante. Sinceramente, penso che poi ci sarà anche la direttiva sulla privacy, che potrà essere coordinata, ma stabilirei che la direttiva PNR vada fatta subito: poi vedremo come coordinarla. Tuttavia, credo che non possiamo permetterci di rovesciare il campo e fare prima la direttiva sulla privacy e poi il PNR, perché non siamo nella situazione in cui possiamo aspettare tanto tempo.
  Onorevole Arrigoni, lei, rappresentando legittimamente una forza di opposizione, segnala e incalza il Governo, come è giusto che sia. Io penso che su questi temi la questione importante sia intervenire con un progetto organico e insieme con un immediato aumento della capacità di prevenzione del Paese. Noi non siamo, per essere molto chiari, in questo momento un Paese indifeso. Questo è il punto cruciale: noi non siamo un Paese che deve correre rapidamente per «rispondere con misure emergenziali a una situazione fuori controllo». Se così fosse, avremmo dovuto intervenire l'altro ieri. Noi siamo nelle condizioni, oggi, di avere un Paese che riflette su come implementare, migliorare e avere una capacità sempre più pronta. Preciso ciò perché il nostro Paese, nella sua storia, è un Paese che su questi temi si è storicamente misurato. Non è un caso che noi siamo il Paese che, con il Comitato di analisi strategica antiterrorismo, ha fatto un unicum europeo. Perché questo ? Non perché siamo particolarmente intelligenti, ma perché abbiamo una storia, perché il Paese si è misurato per lungo tempo con un drammatico terrorismo interno, e che ora, dopo l'11 settembre 2001, si deve misurare con un drammatico terrorismo esterno.
  Se mi è consentito, noi non siamo all'anno zero della lotta contro il terrorismo. Dobbiamo migliorare delle capacità, ma non siamo all'anno zero. Io penso che sia un errore trasmettere il messaggio che siamo all'anno zero.
  Come seconda questione, lei mi consentirà, per il rispetto che ho nei confronti del Governo di cui faccio parte, ma anche per ovvie ragioni di riservatezza, di non entrare nel dettaglio delle richieste che lei mi fa, non perché non sia in grado di rispondere – non è un modo per evitare la risposta – ma perché non posso qui anticipare le misure che il Governo varerà. Tutto è legittimo: ci sarà un Consiglio dei ministri su quelle misure. Io, peraltro, non faccio nemmeno parte del Consiglio dei ministri. Da parte mia sarebbe particolarmente Pag. 23presuntuoso volere escludere che in Consiglio possa esservi una discussione in cui una cosa può cambiare e un'altra può essere migliorata (farebbe ciò, peraltro, un soggetto che è assente e che, dal punto di vista costitutivo, non vi partecipa). Pertanto, non posso nemmeno dire in questa sede che verificherò queste questioni. Tuttavia, le sottolineature che lei ha fatto vanno, se posso permettermi, nella giusta direzione sul terreno dell’intelligence. Noi abbiamo fatto una riunione del Comitato parlamentare di controllo sull’intelligence. In quella sede è emersa una questione che considero rilevante per il Paese. In un Paese in cui è difficile prendere orientamenti all'unanimità, il COPASIR ha chiesto all'unanimità di puntare sull’intelligence nella risposta contro il terrorismo. Naturalmente, quello è il Comitato parlamentare di controllo sull’intelligence, quindi si potrebbe dire Cicero pro domo sua. Tuttavia, il Comitato parlamentare di controllo è presieduto da un esponente dell'opposizione, non dal Presidente del Consiglio.
  In quella sede, secondo le modalità di riservatezza che contraddistinguono il COPASIR, abbiamo presentato un piano di intervento. Nel momento in cui l'abbiamo presentato all'organo parlamentare, è del tutto evidente che quel piano di intervento è arrivato anche all'attenzione del Governo. Mi limito a questo e ribadisco quanto già detto: non siamo all'anno zero.
  Degli immigrati ho detto prima, rispondendo all'onorevole Mazzoni. Tuttavia, mi si consenta un'ulteriore considerazione. Il tema secondo cui una parte del flusso migratorio, anche significativa, vede l'Italia come luogo di passaggio verso altri Paesi europei, non è un tema nuovissimo. È un tema ricorrente nella storia dell'Europa e dell'Italia. Come voi ricorderete, a ridosso della precipitazione della crisi libica, cioè post-intervento militare della comunità internazionale in Libia, a un certo punto si arrivò ad un momento di fortissima tensione tra il Governo dell'epoca e la Francia, perché si lamentava il flusso di immigrati attraverso il confine francese. Si arrivò a un passo dal mettere in discussione la questione che dà il nome a questa Commissione, come sapete perfettamente.
  Il nostro è un Paese che mantiene una memoria e che ha chiari gli anni che passano. È un Paese che ha anche l'orgoglio di affrontare queste questioni, che sono strategiche, con l'idea di essere un sistema Paese, di non essere soltanto un complesso di forze politiche che si rimpallano e si ribaltano le responsabilità, bensì un sistema Paese, capace di saper guardare queste questioni con la prospettiva di un orizzonte un po’ più lungo di quelle che possono essere le legittime posizioni delle singole forze politiche.
  Mare Nostrum è conclusa: stiamo parlando di un'operazione che si è conclusa. Io mi limitavo soltanto a fare un ragionamento – chiedo scusa – veramente molto empirico: niente di più e niente di meno. Il mio era veramente un ragionamento empirico: quale ? Noi abbiamo di fronte migliaia di foreign fighters. Teoricamente questi foreign fighters hanno il passaporto europeo, perché se sono partiti dall'Europa, hanno il passaporto europeo. Empiricamente, viene una domanda: io, che ho un passaporto europeo e che posso rientrare per altre vie, perché devo decidere di arrivare in Italia imbarcandomi su una nave della Marina militare italiana per essere identificato ? Mi sembra, sinceramente, una via più complicata. Non escludo nemmeno questo: per avere il massimo di copertura, si può anche passare sulla nave della Marina militare, ma è un evento per avere il massimo di copertura. In realtà, è un evento piuttosto improbabile.
  Tuttavia, Mare Nostrum è conclusa. Oggi non c’è più Mare Nostrum, oggi c’è una missione – lo dico anche ai colleghi che hanno parlato successivamente – che si chiama Triton. È una missione dell'Unione europea: non è più una missione italiana. Anche questo è un successo dell'Italia, perché mi pare che tutte le forze politiche, nel momento in cui c'era Mare Nostrum, abbiano detto con grande nettezza che bisognava passare dal controllo italiano al controllo europeo: ora c’è Triton.Pag. 24
  Triton ha una doppia funzione, una doppia missione: ha la missione di controllo delle frontiere esterne dell'Europa – quindi, dell'Italia – e di soccorso in mare; tuttavia, la funzione principale di Triton è il controllo delle frontiere esterne dell'Europa.
  Infine, vengo alle ultime due questioni poste dall'onorevole Arrigoni. Quanto ai money transfer, è chiaro che c’è attenzione anche su quelli. Tuttavia, dobbiamo comprendere che in questo utilizzo – penso alle cose dette dal senatore Conti – i canali di finanziamento sono molto più complessi.
  I money transfer sono oggetto giustissimo dell'attenzione, tant’è che una delle questioni, per esempio, in discussione nel pacchetto di misure antiterrorismo di cui sta discutendo il Governo, è come poter utilizzare al meglio le informazioni della Banca d'Italia sulle operazioni sospette.
  Come lei sa, una delle questioni di cui si sta discutendo – poi vedremo come sarà il testo, non voglio anticipare nulla – è come le informazioni della Banca d'Italia sulle operazioni sospette vengono condivise con altri segmenti dell'apparato di prevenzione. Come tali informazioni vengono condivise con le forze di polizia e con l’intelligence è un punto, a mio avviso, molto importante. Naturalmente è chiaro che i canali di finanziamento sono, per loro natura, molto variegati. Voi mi consentirete in questa sede di non tornarci, perché non era questo l'intento dell'onorevole Arrigoni, il quale, invece, giustamente, voleva sottolineare un punto di controllo su questo tema. Vi ho detto qual è stata la risposta.
  Infine, sulle forze di polizia vorrei che ci intendessimo. Il punto è questo: ci può essere un'operazione anche di razionalizzazione per aumentarne l'efficienza, ma dobbiamo fare attenzione. Non è vero che qualunque cosa si chiuda in questo Paese sia testimonianza di abbandono di una posizione e propedeutico a un'inefficienza. Storicamente è dimostrato che si può razionalizzare per aumentarne le capacità. Faccio un esempio. Si è parlato della polizia postale: può anche essere. Non è compito mio e non mi occupo di queste cose, come è noto. In questo caso ne parlo come cultore della materia, ma non è compito mio. Di queste cose dovreste chiedere ad altri miei colleghi di Governo. Tuttavia può succedere che uno decida di chiudere tre uffici periferici per rafforzare l'ufficio centrale: Dio sa quanto ci sia bisogno di rafforzare le sedi centrali. Queste hanno una funzione molto importante sul terreno della prevenzione, quella prevenzione di cui parlava prima e su cui si è intrattenuto lodevolmente, con una capacità di intervento di merito, l'onorevole Artini, che ringrazio anche per i suggerimenti tecnici che ci ha fornito.
  Come seconda questione, questo Governo – lo dico sempre in punta di piedi – nella legge di stabilità ha fatto un'operazione sulle Forze armate e sulle forze di polizia non banale, nel senso che ha tolto i tetti salariali per le Forze armate e per le forze di polizia: è un miliardo di investimento che va negli stipendi dei dipendenti delle Forze armate e delle forze di polizia.
  Non è una questione di piccolissimo conto, perché dopo quattro anni viene sbloccato il tetto salariale. Naturalmente, questo non risolve il problema, ma le condizioni di vita delle operatrici e degli operatori delle forze di polizia e delle Forze armate costituiscono una condizione non banale nella capacità di prevenzione e di contrasto. Mi scuso, presidente, se per rispondere a tutte le domande che mi vengono fatte, forse, perdo un po’ di tempo.
  Sui dati della privacy abbiamo due guide fondamentali. La prima è la legge istitutiva dell’intelligence, n. 124 del 2007. Noi abbiamo una legge molto attenta da questo punto di vista, tant’è che, come sapete, nel post-Snowden, nel momento cioè in cui vari Paesi, grandi democrazie del pianeta, si sono interrogati sul rapporto tra privacy e intelligence, hanno guardato alla nostra legge n. 124 come ad un piccolo esempio forse da tenere in conto.
  Se voi guardate le reazioni dei grandi Paesi dopo la vicenda Snowden, notate che Pag. 25le proposte avanzate sono proposte che, in rapporto alla legge n. 124, o tentano di eguagliarla, o sono addirittura un tantino più in basso.
  La legge n. 124, che è nata anch'essa attraverso una miracolosa convergenza parlamentare di tutte le forze politiche, è un piccolo esempio di come si possa tenere insieme una capacità di contrasto, di prevenzione e una capacità di attenzione ai princìpi fondamentali di una democrazia.
  Noi abbiamo un criterio fondamentale che applichiamo in ogni questione. Naturalmente è chiaro che l’intelligence non può non avere «poteri straordinari». Se non ha poteri straordinari, non si capisce che ci stia a fare. Se deve avere poteri ordinari, ci sono già le forze di polizia che fanno benissimo il loro mestiere.
  Se l’intelligence deve avere poteri straordinari, l'Italia ha fatto una cosa fondamentale. In primo luogo, i poteri straordinari hanno una doppia chiave. La doppia chiave è nelle mani del Governo, che deve ordinare tali poteri e se ne deve assumere la responsabilità politica: c’è un soggetto che dice quello che bisogna fare e, nel momento in cui firma, si assume la responsabilità politica.
  Questo, però, da solo non basterebbe, perché un potere del Governo sarebbe un potere «unilaterale», anche dentro la democrazia dell'alternanza, come è ormai quella di un Paese come l'Italia. C’è poi l'altro potere, l'altra chiave, che sta nelle mani della magistratura. Qualunque atto autorizzato del Governo deve essere contro-autorizzato dalla procura generale presso la Corte d'appello di Roma. C’è, quindi, un magistrato.
  Infine, oltre alla doppia chiave, c’è la verifica. In un principio elementare di checks and balances, più poteri ha l’intelligence, più potere ha il Comitato parlamentare che controlla l'azione dell’intelligence.
  Il Comitato parlamentare di controllo italiano ha poteri notevoli. È tra i primi in Europa e il nostro è uno dei pochi Paesi, giustamente, in Europa e forse nel mondo, la cui presidenza è data per legge a un rappresentante dell'opposizione. Questo non per convenzione – in alcuni casi viene fatto per convenzione, per consuetudine – bensì per legge ed è giusto che sia così.
  Abbiamo fatto quella convenzione con il Garante della privacy di cui vi parlavo prima. L'onorevole Artini è molto attento a queste cose: se la guardi, se può. Purtroppo, sono cose che non fanno notizia. Invece, in una grande democrazia dovrebbero essere cose che dovrebbero essere più attentamente valutate, perché sono quelle che io considero buone notizie.
  Infine, svolgo due ultime considerazioni. Una riguarda il livello di segretezza. Abbiamo un livello di equiparazione. Aggiungo un'altra cosa. Il punto fondamentale è che addirittura – questa è una regola non scritta, ma fondamentale nei servizi di intelligence di tutto il mondo – se io ricevo un'informazione da un altro Paese, sono vincolato a non rivelarla: non posso rivelare non soltanto la fonte, ma nemmeno il contenuto. Faccio un esempio. Nelle settimane scorse, sono stato convocato – forse in questa stessa stanza – dalla Commissione Moro, la quale mi ha chiesto di avere i documenti relativi al caso Moro, documenti che, come sapete, l'allora Presidente del Consiglio Prodi aveva declassificato.
  Naturalmente, abbiamo prestato piena collaborazione e abbiamo già trasferito tutto. Io ho spiegato, però, in quella sede, che c’è un vincolo. L'unico vincolo che noi abbiamo è che se quei documenti sono originati da informative che ci vengono da servizi segreti con i quali siamo collegati e con i quali abbiamo rapporti, non possiamo trasferirli in alcuna Commissione parlamentare. Dobbiamo chiedere l'autorizzazione all'ente originante. Non so se è chiaro. Questo è un principio di reciprocità: vale per noi nel momento in cui siamo il soggetto diffusore e vale per noi qualora fossimo il soggetto originante.
  Infine, quanto al decreto è del tutto evidente che se lo stesso avrà un impatto più ampio e si parlerà per esempio di procura nazionale antiterrorismo, andrà discusso anche in Commissione giustizia. Al di là del contenitore, il contenuto Pag. 26ovviamente ha bisogno di una discussione che, nei tempi previsti dalla legge, sia tuttavia il più possibile coinvolgente e il più possibile ampia.
  La mia opinione è la seguente: l'obiettivo che il Governo si pone su questi temi è quello di parlare al complesso delle forze parlamentari, non soltanto alla propria maggioranza. Su questi temi è essenziale – vi ringrazio anche per la cortesia che avete avuto nel farmi le domande e nel rispetto reciproco che c’è stato – che ci sia una larghissima convergenza parlamentare.
  Infine, ho risposto all'onorevole Brandolin sull'armonizzazione europea e sulla Libia. Vedo che il presidente mi dice di stringere, ma vorrei fornire due risposte veloci, una all'onorevole Brandolin, un'altra al senatore Conti. Il problema riguarda il rapporto criminalità organizzata e terrorismo.
  Non c’è niente che ci dica che esiste un rapporto in tal senso. Naturalmente, sono nemici entrambi della democrazia: la criminalità organizzata e il terrorismo sono due nemici della democrazia, ma non c’è nulla che ci indichi che ci sia un rapporto di questa natura.
  Mi consenta, vicepresidente Brandolin, ma rispondo solo sulla Libia, perché sui CIE ho già risposto. In questo momento è in corso l'ultimo round dei negoziati di Ginevra, che sono una cosa molto importante perché per la prima volta ci sono segmenti delle due alleanze politiche e militari che si confrontano sul teatro libico. È molto importante che ciò avvenga. Noi auspichiamo che ci possa essere un esito positivo. È importante anche che ieri la reazione dei partecipanti a Ginevra, rispetto all'attentato di Tripoli, sia stata di rispondere aumentando la voglia di confrontarsi e di trovare una soluzione. Io considero questo molto importante e politicamente rilevante.
  Naturalmente, è chiaro che la comunità internazionale e le Nazioni Unite investono molto su quel tipo di negoziati: ci investe molto anche l'Italia. Come voi sapete, la Libia è un player importantissimo, anzi, se mi è consentito – mi è capitato altre volte di dirlo ma mi fa piacere poterlo ripetere in questa sede – direi che la Libia è uno specchio per l'Italia e per l'Europa. Se in Libia le cose vanno male, quando ci specchiamo, l'immagine dell'Italia e dell'Europa comincia ad essere un po’ meno tranquilla e serena. Se le cose vanno bene in Libia, l'immagine specchiata dell'Italia e dell'Europa è molto più rilassata e serena.
  In questo momento l'immagine, come vedete, è molto corrucciata. Speriamo di poter rapidamente toglierci l'aspetto corrucciato, perché, peraltro, alla fine, rimanere a lungo corrucciati produce le rughe ed è una conseguenza che vogliamo evitare.

  PRESIDENTE. Grazie ai qualificatissimi colleghi. Grazie al sottosegretario. Faccio presente che questo è un Comitato particolarmente attivo. Abbiamo avuto tutti i Ministri possibili in audizione. Probabilmente è anche successo ai precedenti Comitati Schengen, ma non è mai successo nella storia del Comitato Schengen che il sottosegretario con la delega alla sicurezza venisse in audizione presso il Comitato. Gli rivolgo, quindi, un ringraziamento particolare. Sappia che la richiameremo sul tema libico, perché ce l'ha proposto lei. Ricordo che alle 13.30 abbiamo in audizione il Prefetto Tronca. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 10.40.