XVII Legislatura

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 30 di Mercoledì 6 luglio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ravetto Laura , Presidente ... 1 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEL FENOMENO MIGRATORIO NELL'AREA SCHENGEN, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLE POLITICHE DEI PAESI ADERENTI RELATIVE AL CONTROLLO DELLE FRONTIERE ESTERNE E DEI CONFINI INTERNI

Audizione del Presidente di Amnesty
International Italia, Antonio Marchesi.

Ravetto Laura , Presidente ... 2 
Marchesi Antonio , Presidente di Amnesty International Italia ... 3 
Ravetto Laura , Presidente ... 4 
Marchesi Antonio , Presidente di Amnesty International Italia ... 4 
Ravetto Laura , Presidente ... 4 
Marchesi Antonio , Presidente di Amnesty International Italia ... 4 
Ravetto Laura , Presidente ... 4 
Marchesi Antonio , Presidente di Amnesty International Italia ... 4 
Ravetto Laura , Presidente ... 6 
Marchesi Antonio , Presidente di Amnesty International Italia ... 6 
Ravetto Laura , Presidente ... 6 
Marchesi Antonio , Presidente di Amnesty International Italia ... 6 
Ravetto Laura , Presidente ... 7 
Marchesi Antonio , Presidente di Amnesty International Italia ... 7 
Ravetto Laura , Presidente ... 7 
Mazzoni Riccardo  ... 7 
Ravetto Laura , Presidente ... 8 
Fasiolo Laura  ... 8 
Ravetto Laura , Presidente ... 8 
Marchesi Antonio , Presidente di Amnesty International Italia ... 8 
Mazzoni Riccardo  ... 9 
Marchesi Antonio , Presidente di Amnesty International Italia ... 9 
Ravetto Laura , Presidente ... 9 
Marchesi Antonio , Presidente di Amnesty International Italia ... 9 
Ravetto Laura , Presidente ... 10 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 10 
Ravetto Laura , Presidente ... 10 
Campana Micaela (PD)  ... 10 
Marchesi Antonio , Presidente di Amnesty International Italia ... 10 
Ravetto Laura , Presidente ... 11 
Marchesi Antonio , Presidente di Amnesty International Italia ... 11 
Ravetto Laura , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA RAVETTO

  La seduta comincia alle 8.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTEPag. 2. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la trasmissione attraverso il circuito chiuso della Camera dei deputati. Non essendovi obiezioni ne dispongo l'attivazione.

  (Così rimane stabilito).

Audizione del Presidente di Amnesty
International Italia, Antonio Marchesi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente di Amnesty International Italia, il dottor Antonio Marchesi, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione del fenomeno migratorio nell'area Schengen, con particolare riferimento alle politiche dei Paesi aderenti relative al controllo delle frontiere esterne e dei confini interni. Buongiorno, presidente, e grazie di essere qui. Lei sa tutto del Comitato Schengen, quindi io non mi dilungherò, anche perché, dovendo lasciare la parola ai colleghi, soprattutto ai senatori che devono poi correre in Aula, preferisco dare spazio alle loro domande. Io toccherò alcuni punti velocemente e, se lei vorrà, potrà replicare su questi o fare le sue osservazioni. In ogni caso, naturalmente ascolteremo la sua relazione.
  Un primo punto che interesserebbe al Comitato è quello relativo alle condizioni dei migranti in Libia. Tra l'altro, abbiamo avuto recentemente anche alcune indiscrezioni relativamente a un'importante attività giudiziaria in questo ambito. Ci sono state operazioni di polizia e anche attività giudiziarie e incontri di vertice sul traffico di esseri umani. Naturalmente, voi avevate già fatto, come Amnesty International, una sorta di rapporto. In particolare, sappiamo che un collaboratore avrebbe denunciato la vendita di essere umani e dei loro organi. A noi risulterebbe da notizie stampa, (agenzia Nova del 14 giugno 2016) che già Amnesty International aveva presentato un rapporto sulle violenze e sugli abusi, cui sarebbero sottoposti migranti rifugiati in Libia, per cui le chiediamo se su questo punto ci può fornire degli elementi di conoscenza.
  Il secondo punto riguarderebbe il sistema dei cosiddetti hotspot in Italia. Noi siamo il Comitato Schengen, quindi noi non entriamo certamente nel dettaglio di quelle che probabilmente sono tematiche che riguardano di più la Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattamento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate. Tuttavia, siamo nati anche per occuparci di migrazione e siamo stati i primi a sollevare il tema degli hotspot anche col Ministero dell'interno. In audizioni svolte anche presso la Commissione che si occupa dei migranti, alcuni interlocutori hanno espresso notevoli perplessità sugli hotspot. Come Comitato, avevamo espresso delle perplessità ab origine, sul fatto di prevedere gli hotspot senza, a latere, prevedere le ricollocazioni e i rimpatri. In generale, a lei chiediamo, visto che sono emerse indiscrezioni sulla tutela dei diritti, ma anche sul funzionamento degli hotspot, se Amnesty ha, in questo senso, fatto delle analisi e delle verifiche e se può darci degli elementi. Pag. 3
  Il terzo punto riguarda la dichiarazione comune di 104 organizzazioni per i diritti umani sul nuovo quadro di partenariato dell'Unione europea sull'immigrazione. Parliamo del cosiddetto migration compact. Sappiamo che 104 organizzazioni umanitarie, tra cui anche Amnesty International, hanno sottoscritto un documento in cui invitano i Capi di Stato e di Governo dei Paesi dell'Unione europea a respingere la proposta della Commissione in materia. Inoltre, secondo il vostro documento, nella proposta in discussione, l'Europa rischierebbe di distruggere la sua politica estera sui diritti umani, quindi le chiediamo se anche su questo può dirci qualche cosa.
  Un altro punto di interesse del Comitato è la valutazione sull'accordo tra Turchia e Unione Europea e sui reinsediamenti dell'UE, quindi le chiediamo se anche su questo può dirci qualcosa.
  Da ultimo, c'è un tema, su cui noi siamo molto sensibili attualmente e stiamo cercando anche di essere propositivi, in modo da verificare se possiamo collaborare, non dico per la stesura, perché se ne stanno occupando a livello europeo, quindi, probabilmente, a livello più importante del nostro, però fornendo un contributo culturale, anche nel nostro Paese, alla cosiddetta «lista dei Paesi sicuri o non sicuri». Vorremmo sapere se è d'accordo sul fatto di stilare, perlomeno a livello europeo, una lista dei cosiddetti «Paesi sicuri», dove rimpatriare, o «non sicuri», per i quali effettivamente bisognerà riconoscere, ai soggetti che arrivano in Europa, il titolo per permanere sui nostri territori. Le chiediamo, quindi, se è d'accordo sul farlo e, se si trova d'accordo, quali sono questi criteri, cioè secondo Amnesty – non pretendiamo un elenco – quali dovrebbero essere i criteri. Nel ringraziarla, cedo la parola al Presidente di Amnesty International Italia, Antonio Marchesi.

  ANTONIO MARCHESI, Presidente di Amnesty International Italia. Grazie. Spero di riuscire a contribuire adeguatamente alla vostra indagine conoscitiva. I temi che avevo in mente di affrontare sono grosso modo quelli che lei ha elencato e comincerei appunto dalla questione della recente comunicazione della Commissione europea sulla partnership framework con i Paesi terzi. Devo dire, senza mezzi termini, che Amnesty International, non da oggi, ma oggi in modo particolare, è preoccupata perché ritiene che le intese e gli accordi con i Paesi terzi, relativi alla gestione delle frontiere e alla riammissione degli immigrati nei Paesi terzi, non tengono in sufficiente considerazione il problema delle violazioni dei diritti umani, che avvengono all'interno di quei Paesi, e che l'attuazione di questi accordi rischi di portare a violazioni anche molto gravi del diritto internazionale, dei diritti umani e del diritto dei rifugiati. La nostra valutazione è molto critica e siamo ulteriormente preoccupati che il Consiglio europeo dell'altro giorno abbia sostanzialmente accolto l'impostazione della Commissione. Riteniamo, in particolare, che ci sia una sorta di retorica della solidarietà, cui si accompagna un'impostazione che va in una direzione sostanzialmente opposta.
  Il modello che noi abbiamo già criticato e che riteniamo discutibile è quello dell'accordo tra l'Unione europea e la Turchia, da adattare, di volta in volta, alla situazione dei Paesi specifici dell'Africa e del Medioriente, che rientrano appunto in questa lista di Paesi con cui stipulare degli accordi. Il rischio è innanzitutto di ingenerare una specie di corsa al ribasso, inducendo i Paesi ricchi a venire meno ai loro obblighi internazionali in materia di diritti umani, in cambio di assistenza finanziaria, e, allo stesso tempo, di peggiorare la crisi globale dei rifugiati, dal momento che l'effetto sui fattori-spinta non può che essere, a nostro avviso, negativo.
  L'essenza della proposta è che le relazioni tra l'Unione europea e i Paesi terzi inclusi nella lista siano guidate dalla capacità e disponibilità di questi ultimi a prevenire le migrazioni irregolari. C'è un sistema di incentivi e di strumenti che possono essere messi in atto e che sono alla base, come lei giustamente diceva, di un nuovo orientamento complessivo della politica estera europea, intorno ad un imperativo primario, che è quello di prevenire l'immigrazione, anche a scapito, quindi con Pag. 4una mancanza di equilibrio, di altri obiettivi storici e caratterizzanti, come la promozione dei diritti umani ovunque nel mondo.
  In concreto, noi vediamo in questa impostazione quattro difetti principali.
  Il primo è che il condizionamento dell'assistenza finanziaria dipende essenzialmente dalla cooperazione dei Paesi terzi, in materia di riammissioni. Riteniamo che sia importante che la condivisione di responsabilità per la crisi globale dei rifugiati veda i Paesi ricchi fornire un sostegno finanziario adeguato a quei Paesi...

  PRESIDENTE. Mi scusi se la interrompo. Quando dice «Paesi ricchi», cosa intende? Lo chiedo perché, altrimenti, siamo sempre sul centro di responsabilità europeo, ma io penso, per esempio, che anche nella Lega araba ci sia qualche Paese ricco, quindi le chiedo se può...

  ANTONIO MARCHESI, Presidente di Amnesty International Italia. Mi sto riferendo ai Paesi europei evidentemente, però non vi è dubbio che ci siano altri Paesi ricchi. Da questo punto di vista, bisogna anche tenere conto delle circostanze. Non è vero, nonostante quello che la stessa comunicazione della Commissione sembra implicare, che i Paesi europei stiano sopportando un costo più che proporzionale della crisi globale dei rifugiati. Ci sono tutta una serie di Paesi, dal Libano alla Giordania, che sono i Paesi vicini alla crisi più acuta e che sopportano in misura enormemente maggiore il costo di questa crisi.
  Occorre anche dire che è vero che l'Europa è investita forse della crisi più di altri Paesi ricchi in altre regioni del mondo, però non sopporta un costo particolarmente elevato, rispetto a quello che sopportano i Paesi in via di sviluppo. Attualmente, l'86 per cento dei rifugiati si trova nei Paesi in via di sviluppo, che non possono o non vogliono fornire loro l'assistenza minima, che garantirebbe la loro dignità e i loro diritti.

  PRESIDENTE. Questo è un primo difetto, mentre il secondo qual è?

  ANTONIO MARCHESI, Presidente di Amnesty International Italia. Un secondo difetto riguarda l'assenza di un piano credibile per il reinsediamento o altri percorsi legali di ammissione nell'Unione europea. Si dice, nella Commissione, che devono essere individuati percorsi di ingresso legale nell'Unione europea, prospettive reali di insediamento e così via, ma non ci sono proposte concrete e quantificabili.
  Un terzo limite – accelero un po’ la mia esposizione perché so che avete poco tempo – è costituito dall'assenza di un meccanismo di monitoraggio del rispetto degli obblighi internazionali, in materia di diritti umani, nell'attuazione delle misure previste dai vari accordi. Il rischio è elevato perché, nel momento in cui i Paesi individuati lo sono in quanto Paesi di origine o Paesi ospitanti di gruppi definiti inclini all'immigrazione, ma non c'è la condizione del rispetto minimo dei diritti umani. Inoltre, essendo alcuni di questi, come l'Afghanistan, l'Eritrea e il Sudan, Paesi in cui le violazioni dei diritti umani sono gravi, diffuse e sistematiche, il timore è che l'attuazione di questi compact possa risultare, di fatto, in una oggettiva complicità dell'Unione europea nel violare i diritti umani in questione. Il diritto internazionale prevede appunto che, laddove vi sia una forma di assistenza o di aiuto o di contributo alla violazione dei diritti umani, il Paese che offre quel contributo o dà quell'assistenza sia responsabile per la sua parte, sul piano internazionale, del risultato che si provoca.

  PRESIDENTE. Scusi se insisto. Quindi, per esempio, relativamente alla Turchia, Amnesty cosa ravvisa?

  ANTONIO MARCHESI, Presidente di Amnesty International Italia. Relativamente alla Turchia, a cui, se non le dispiace, arrivo tra un minuto, posso dire che l'impostazione è la stessa.
  Vorrei aggiungere solo l'ultimo e quarto problema che riguarda l'impatto sul contrabbando di esseri umani. Secondo i nostri dati, dal 2014 al 2015 il numero di arrivi, soprattutto via mare, è aumentato vertiginosamente, nel momento in cui si Pag. 5metteva in atto tutta una serie di barriere e sistemi di sorveglianza alle frontiere e via dicendo. Secondo uno studio recente, anche di fonti non di parte, come l'Interpol o l'Europol, il contrabbando di esseri umani tende a crescere, nel momento in cui vengono rafforzate queste barriere, quindi evidentemente la ricetta non è giusta o, quanto meno, è incompleta perché manca di alcuni elementi fondamentali.
  Faccio un cenno specifico, adesso, alla Libia, per poi arrivare alla Turchia. La Libia è uno dei Paesi prioritari tra quelli indicati nella proposta della Commissione europea. Ci sono vari progetti per proseguire nel sostegno finanziario e politico, per assicurare un governo stabile, unitario e via dicendo. Poi, c'è un progetto di formazione specifica che riguarda la Guardia costiera e la Marina libica. Noi abbiamo pubblicato, pochissimi giorni fa, un nuovo rapporto sulla Libia, sulla base di testimonianze raccolte nei centri di accoglienza, soprattutto in Puglia e in Sicilia. Si tratta di testimonianze che dimostrano la dimensione degli abusi dei diritti umani che avvengono in Libia. I testimoni hanno raccontato di rapimenti, detenzioni in carceri sotterranee per mesi, violenza sessuale, pestaggi, sfruttamento e uccisioni. Da un lato, c'è l'illegalità diffusa, che ha reso possibile questo redditizio traffico di esseri umani da parte di bande criminali, però, dall'altra parte, c'è una significativa presenza di violenza e brutalità da parte della stessa Guardia costiera e da parte delle autorità responsabili dei centri di detenzione in Libia.
  Tra l'altro, si aggiunga che, oltre alle persone che transitano in Libia, sono arrivate in Italia, per fuggire dalla violenza, anche numerose persone che erano in Libia da anni e che si sono trovate nella necessità di fuggire a causa della violenza, sia delle bande criminali che della Polizia. Questa violenza prosegue anche nelle fasi dell'imbarco. Molte donne sono trattenute a parte, in abitazioni private o in fabbriche abbandonate lungo la costa, prima di essere imbarcate, e lì subiscono spesso degli abusi. L'ultimo aspetto è quello dei rapimenti a scopo di estorsione di migranti e rifugiati, che sono diffusissimi. I prigionieri devono pagare un riscatto e chi non può pagare il riscatto spesso è costretto a svolgere dell'attività, quindi a lavorare, fino a che non raggiunge la somma per essere rilasciato e per potersi imbarcare.
  Sull'accordo tra Unione europea e Turchia e sul modello della nuova comunicazione a portata generale della Commissione europea, posso dire che, nonostante il linguaggio, anche qui c'è un problema costante che riguarda l'impostazione generale e i singoli accordi. Il linguaggio è ammantato di retorica perché si fa riferimento comunque all'esigenza di rispettare i diritti umani e di porre fine a una serie di abusi, dalle detenzioni illegali ai rimpatri verso la Siria, però, di fatto, la Turchia – è oggettivo dal nostro punto di vista – non è un Paese sicuro per i rifugiati. I rimpatri in Turchia sono, per definizione, arbitrari, almeno a nostro modo di vedere, nonostante qualsiasi fantomatica garanzia. Recentemente la Commissione europea ha parlato dei risultati che starebbe dando nella sua prima fase di attuazione di questo accordo con la Turchia. Secondo noi, i risultati potranno essere anche efficienti, ma sono disastrosi dal punto di vista del rispetto dei diritti umani, perché abbiamo documentato ulteriori rimpatri illegali, dalla Turchia verso la Siria, e condizioni disastrose in Siria.
  L'altro tema che lei ha segnalato riguarda la lista dei Paesi sicuri. Amnesty si aggiunge a coloro che ritengono che tale lista non sia accettabile. Il problema non è tanto il metodo, ma è il fatto in sé della lista dei Paesi sicuri. Il diritto d'asilo e il diritto alla protezione internazionale sono diritti fondamentali individuali, riconosciuti dagli strumenti internazionali, quindi l'accesso a una procedura d'asilo deve essere garantito a chiunque. Il fatto di provenire da un Paese sicuro non esclude il godimento di quel diritto fondamentale. Potrà essere accertato più rapidamente e con più semplicità che non vi sono i presupposti, di fatto, per ottenere protezione internazionale o asilo, però la procedura deve essere in esistenza e secondo certi standard minimi per chiunque, quale che sia il Paese da cui proviene.

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  PRESIDENTE. Scusi, ma non ritiene che sia possibile contemperare sia l'esigenza dell'individualità che quella della comunità internazionale, che potrebbe fare lo sforzo di fare una lista di Paesi sicuri e insicuri. Questo non esonererebbe un giudizio individuale del soggetto, però almeno si porrebbe fine a innumerevoli discussioni. Dov'è il problema nello sforzo di individuare se il Sudan lo è o non lo o se la Nigeria lo è del tutto o meno? La costituzione di questa lista non escluderebbe il giudizio individuale delle commissioni territoriali o dei giudici.

  ANTONIO MARCHESI, Presidente di Amnesty International Italia. Posso dirle che, se non viene esclusa una procedura equa di accesso alla procedura d'asilo, non c'è nessun problema, ma lo scopo della lista dei Paesi sicuri normalmente è quello di creare una procedura distinta, per cui, nel momento in cui la procedura è distinta, evidentemente la conseguenza non è accettabile. Dal nostro punto di vista, la valutazione che può fare un Governo sulla sicurezza o meno di un altro Paese è una valutazione assolutamente legittima. Tuttavia, se questo porta a una procedura sbrigativa, in deroga alle condizioni minime di una procedura di richiesta d'asilo, evidentemente questo non è accettabile, dal nostro punto di vista.

  PRESIDENTE. Visto che le discussioni anche a livello europeo sono avanti, Amnesty International entrerà nel processo oppure, in nome del fatto che siete contrari, non ci sarà questo tipo di collaborazione, secondo lei?

  ANTONIO MARCHESI, Presidente di Amnesty International Italia. Amnesty International può apparire, a volte, intransigente, ma noi siamo un'organizzazione non governativa che ha delle posizioni di principio, su cui continuiamo a insistere. Non ci sentiamo attori del processo politico europeo, che deve trovare una soluzione a questo problema. Questa è una questione che riguarda altri soggetti. Noi abbiamo, come organizzazione non governativa, il ruolo di segnalare le violazioni dei diritti umani e gli effetti di possibili misure in programma, su future violazione dei diritti umani. Poi, saranno le istituzioni italiane ed europee a tenerne conto.
  Non so se può essere interessante, ma avevo pensato di dire qualcosa anche sulla rotta balcanica. Lo dico in estrema sintesi perché forse è più un elemento informativo generale. Il problema è che, nel 2014-2015, lungo la rotta balcanica si è concretizzata una vera e propria crisi umanitaria. Ognuno dei passaggi, dalla frontiera marittima della Turchia con la Grecia fino alle frontiere dell'Ungheria e dell'Austria, è stato accompagnato da violenze, mancato accesso alla procedura di richiesta d'asilo, detenzioni illegali, respingimenti sistematici e via dicendo. Questo ha prodotto, tra l'altro, la crisi greca, che è tuttora in corso, perché, nonostante tutto, la situazione della Grecia è ancora abbastanza drammatica.
  In particolare, di recente due Paesi, cioè l'Ungheria e l'Austria, hanno introdotto delle nuove normative. La normativa austriaca dovrà essere eventualmente attuata, secondo un meccanismo che per il momento non è ancora stato realizzato, però soprattutto quella ungherese costituisce sostanzialmente un volersi isolare completamente dall'Europa, per quanto riguarda la gestione dei rifugiati e dei migranti e la gestione di questa crisi europea e globale, in violazione dei propri obblighi internazionali. Di fatto, non esiste più un sistema di riconoscimento del diritto di asilo e del diritto alla protezione internazionale in Ungheria. In Austria, la legge c'è perché è stata promulgata, per cui, se dovesse essere attuata in base al meccanismo che la stessa prevede, si arriverebbe a un risultato sostanzialmente analogo.
  Nel frattempo, sia nella Grecia continentale che ancora nelle isole greche, alcune decine di migliaia di persone si trovano in condizioni disastrose. Recentemente, l'insediamento di Idomeni è stato sgomberato dalle autorità greche, che hanno spostato le persone in capannoni e fabbriche dismesse nella zona di Salonicco. Solo circa la metà, delle quasi 50.000 persone che si trovavano a Idomeni, è finita in Pag. 7questi nuovi campi, mentre l'altra metà è fuggita e si trova in altri insediamenti informali più piccoli e vicino alla frontiera, che, a loro volta, sono stati sgomberati. Secondo l'UNHCR, quindi si tratta della valutazione dell'agenzia delle Nazioni Unite e non soltanto di Amnesty, nei campi istituiti dalle autorità greche ci sono condizioni abbastanza disastrose, dal punto di vista igienico sanitario, dal punto di vista delle scorte di cibo e via dicendo, quindi la Grecia continua a vivere una crisi umanitaria dei rifugiati. Anche sulle isole, ci sono ancora più di 8.000 persone che non sono ancora arrivate neppure nella Grecia continentale e che probabilmente non ci arriveranno perché l'accordo con la Turchia prevede la possibilità che siano rimandate in Turchia, con le conseguenze che noi stiamo mettendo in evidenza.
  Vorrei rispondere molto brevemente sugli hotspot. Abbiamo in corso una ricerca e una valutazione. Anche su questo, siamo critici per vari ordini di motivi. Il primo è che il sistema degli hotspot presuppone la ricollocazione. Tuttavia, la ricollocazione non sta funzionando perché riguarda un numero infinitamente basso di persone. Alcuni Paesi non hanno aderito e quelli che hanno aderito hanno dato disponibilità per numeri estremamente ridotti, quindi, anche nel momento in cui il sistema greco di richieste di ricollocazione sta funzionando meglio e stanno aumentando il numero di richieste, non aumenta il numero di posti disponibili per la ricollocazione. Il sistema, man mano che passa il tempo, rischia di dimostrare la sua tragica inagibilità e impossibilità di funzionare. Dunque, per gli hotspot posso dire che, in qualche modo, la loro stessa esistenza è legata a quell'altro elemento che non sta funzionando.
  Per quanto riguarda gli hotspot italiani, abbiamo delle preoccupazioni circa le modalità dello screening, nel senso che, nel giro di pochissime ore dall'arrivo, persone in condizioni psicofisiche inadeguate sono costrette a riempire i fogli-notizie, che rappresentano, in qualche modo, una scelta che avrà un impatto, forse definitivo, sulla loro vita. Abbiamo anche notizia di svariati abusi, di correzioni fatte da parte della polizia sui fogli-notizie, richieste respinte, informazioni legali del tutto insufficienti o date in maniera diversa a seconda della provenienza o della presunta provenienza della persona.
  C'è poi il problema dei cosiddetti «respingimenti differiti», che rappresentano la misura adottata nei confronti delle persone che si ritiene non siano idonee a ricevere protezione internazionale. Tuttavia, tali respingimenti lasciano le persone senza assistenza. Ci sono casi di persone lasciate, in numeri significativi, addirittura in aree rurali e senza cibo e acqua, quindi c'è un problema che non riguarda evidentemente il riconoscimento dell'asilo o della protezione internazionale, ma i diritti fondamentali di persone che eventualmente saranno respinte, ma che nel frattempo non possono essere lasciate nelle condizioni in cui vengono abbandonate.
  Su questo, se lo ritenete, potremmo nelle prossime settimane fornirvi anche un contributo scritto più dettagliato...

  PRESIDENTE. Da allegare al verbale di questa seduta o vuole che il documento sia secretato?

  ANTONIO MARCHESI, Presidente di Amnesty International Italia. In realtà, se posso non dirvelo subito, vorrei valutarlo. Dovremmo essere nelle condizioni anche di darvi un documento pubblico, ma lo devo confermare, altrimenti ne forniremo uno riservato. Io ho affrettato un po’ la mia esposizione perché so che avete poco tempo, però sono disponibile ad approfondire questi temi. La ringrazio.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Lascio la parola ai colleghi per porre quesiti o formulare domande. Si è iscritto a parlare l'onorevole Mazzoni.

  RICCARDO MAZZONI. La prima domanda è sul migration compact. Lei ha già detto che ci sono dei rischi forti a puntare tutto su questo. A parte che il migration compact darà i suoi effetti, a essere ottimisti, nel medio termine, quindi non può essere una soluzione immediata, ma l'esperienza Pag. 8 insegna che gli aiuti dati a pioggia ai Paesi del Terzo Mondo sono spesso o quasi sempre finiti in mano ai governanti, quindi ai regimi, e non sono mai arrivati alle popolazioni. C'è il rischio che si ripresenti lo stesso problema. Faccio un esempio. L'Europa ha stanziato 100 milioni per il Sudan, anche nell'ottica di scongiurare i flussi migratori. Questi fondi sono stati dati a un regime che tiene ancora il Darfur come una grande prigione e un grande lager, quindi bisogna calibrare molto bene anche il migration compact, per non aggravare la situazione, anziché migliorarla dal punto di vista dei diritti umani.
  Ho una seconda domanda da porre. Secondo Frontex, nel 2016 arriveranno 300.000 migranti dalla Libia. Risulta anche a voi questo numero? Voi ritenete che l'Italia sia pronta, visto che le ricollocazioni non stanno funzionando e che il clima in Europa è di totale chiusura? L'Ungheria a ottobre farà addirittura un referendum contro l'arrivo dei migranti e c'è da scommettere che sarà un plebiscito contro questi. La Brexit ha avuto, come una delle cause fondamentali, appunto la crisi dei migranti. Ecco, mi chiedo se l'Italia può riuscirci, tenuto conto che il sistema SPRAR è ormai, per usare un eufemismo, saturo e che si stanno moltiplicando i centri di accoglienza improvvisati, su cui alcuni fanno esclusivamente un business senza tenere in nessun conto la tutela dei diritti umani.
  Ho un'ultima osservazione da fare. Mi sembra che l'Europa stia scaricando le proprie responsabilità, dando la patente di Paese terzo sicuro a Paesi come la Turchia, in cui l'opposizione, costituita dal partito curdo, ha detto la scorsa settimana, in un incontro della Commissione dei diritti umani, che, dei 2 milioni di migranti accolti in Turchia, almeno 1 milione 800 mila non sono in campi di accoglienza, ma sparsi per le città e dediti all'accattonaggio. Con questo voglio dire quanto l'Unione europea abbia ormai disatteso la sua funzione e il rispetto dei diritti umani e del diritto di asilo. Come ultimo esempio, posso dirvi che il responsabile per l'asilo della Germania, la settimana scorsa, incontrando una Commissione parlamentare, ha detto che è riuscito a ridurre i tempi di accoglienza delle domande da 60 giorni a 8 ore, quindi c'è da chiedersi come si riesca in 8 ore a valutare la posizione di un migrante per capire se ha diritto o meno all'asilo. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola alla senatrice Fasiolo.

  LAURA FASIOLO. La ringrazio per la sua relazione e vorrei soltanto farle una domanda, uscendo un po’ dal tema specifico. L'impegno è notorio. Mi riferisco al vostro impegno e alle vostre proposte educative, rivolte anche alle istituzioni scolastiche, per l'educazione ai diritti umani e per la sensibilizzazione sul tema. Vorrei chiederle se, vista l'entrata a pieno regime della Buona scuola, ci siano stati ulteriori richieste di intensificazione da parte delle istituzioni scolastiche, soprattutto di quelle che io ritengo essere in prima linea, cioè quelle in cui ci sono presenze di bambini o di giovani immigrati oltre il 50 per cento e che non sono assolutamente poche. Ecco, ritengo che forse si debba partire da lì, cioè da un'attività formativa.
  Vorrei, eventualmente in sintesi, che mi enunciasse le attività che si intendono fare e se c'è la volontà di intensificarle anche in questa prospettiva. Grazie.

  PRESIDENTE. Le chiedo di rispondere alle domande dei senatori. Poi lascerò la parola all'onorevole Brandolin e all'onorevole Campana perché loro si possono trattenere un po’ di più.

  ANTONIO MARCHESI, Presidente di Amnesty International Italia. Senatore Mazzoni, condivido molte delle affermazioni che lei ha fatto, sugli aiuti a pioggia. In particolare, ci domandiamo che fine abbia fatto la condizionalità legata al rispetto dei diritti umani, che è un pilastro della politica estera dell'Unione europea da decenni. Non so dire se arriveranno 300.000 persone dalla Libia perché non abbiamo dati previsionali. Noi siamo nelle condizioni di fare ricerca e fornire dati assolutamente affidabili per quanto riguarda le violazioni dei diritti umani. Sulla previsione, quello che Pag. 9posso dire è che i fattori di spinta continuano a esserci. Evidentemente gli ostacoli non rappresentano un deterrente significativo, laddove il fattore di spinta è la povertà o il conflitto. Semplicemente, il risultato sarà che si seguirà una rotta più lunga e meno sicura e ci sarà un problema di salvare vite umane più grave, quindi in qualche modo è tutta l'impostazione che noi critichiamo. Siamo un po’ forse – non so come definirci – integralisti da questo punto di vista, ma siamo un'organizzazione che da quasi 60 anni si occupa di diritti umani. Questo è il nostro mestiere e noi lo facciamo.
  Ci chiediamo se l'Italia sarà pronta, ma il problema è che deve essere pronta l'Europa. Da questo punto di vista, ci troviamo spesso in sintonia con le istituzioni italiane, cosa che non è consueta per Amnesty International, nel lamentare il fatto che Grecia e Italia, cioè Paesi più esposti, Paesi imbuto e al confine meridionale dell'Unione europea, siano lasciati soli. Tutto lo sforzo di Amnesty, non tanto della sezione italiana quanto di Amnesty International a Bruxelles, è finalizzato a modificare l'atteggiamento dell'Unione europea e dei suoi Stati membri più ricchi e più egoisti, allo stesso tempo.

  RICCARDO MAZZONI. A proposito di questo, vorrei dire che negli Stati più significativi, parliamo della Germania, Schauble, che è il Ministro delle finanze, ma che dà la linea spesso, appunto ieri, in un'intervista al Corriere della Sera ha detto che per i migranti che arrivano dalla Libia deve essere usato lo stesso schema utilizzato per la Turchia, cioè devono essere rimandati indietro. Questo è l'atteggiamento europeo, quindi il dato reale è che l'Italia dovrà cavarsela da sola. Per questo motivo le chiedevo se ci riusciremo.

  ANTONIO MARCHESI, Presidente di Amnesty International Italia. Sono d'accordo con lei. Quello che noi facciamo è denunciare. Il rapporto sulla Libia è di quattro o cinque giorni fa. Inoltre, lo facciamo in tutte le sedi possibili e immaginabili. Le assicuro che il mio collega della sezione tedesca di Amnesty International ha un atteggiamento forse ancora più intransigente e più duro di quello che posso avere io, nel momento in cui interloquisco con le istituzioni italiane, e lo stesso avviene a Bruxelles. In effetti, sarebbe evidentemente inaccettabile – per questo motivo critichiamo anche il Migration compact – estendere il modello usato per la Turchia alla situazione della Libia. Già è grave, anzi gravissima, la situazione in Turchia, per le condizioni in cui versa e perché i migranti vengono rimandati verso zone di guerra, ma in Libia attualmente non ci sono le condizioni per stabilire una cooperazione di questo tipo.
  Sulla patente di Paese sicuro alla Turchia, ho già risposto. Si tratta di una patente che non è accettabile. Tra l'altro, segnalo che in questo periodo noi stiamo denunciando anche tutta una serie di violazioni dei diritti umani in Turchia, che nulla hanno a che vedere con la situazione dei rifugiati, ma riguardano cittadini turchi e la libertà di espressione, di associazione e via dicendo, e riguardano i giornalisti, quindi categorie di persone diverse da quelle di cui stiamo parlando oggi.
  Sulla scuola, noi abbiamo un programma di educazione ai diritti umani che cerchiamo di accrescere. Noi siamo, nonostante la notorietà, una piccola organizzazione, quindi siamo anche un po’ una goccia nel mare, rispetto al sistema...

  PRESIDENTE. Quanti siete in tutto, più o meno?

  ANTONIO MARCHESI, Presidente di Amnesty International Italia. Noi abbiamo circa 70.000 persone che sono iscritte ad Amnesty e ci sostengono. Poi, ce ne sono circa 2.000, che sono attive quasi quotidianamente o comunque sono attivisti, e uno staff di circa 50 di persone. Dal nostro punto di vista, questo è già tanto perché ci autofinanziamo. Inoltre, riceviamo pochissimi finanziamenti su progetti europei per quanto riguarda l'educazione ai diritti umani, ma rappresentano veramente una percentuale minima delle nostre entrate, che, per il resto, sono quote di iscrizione di Pag. 10quelle 70.000 persone. Abbiamo un programma che può vedere sul nostro sito e, se vuole, possiamo rimanere in contatto per offrirle informazioni più dettagliate. Si tratta di programmi che riguardano la non discriminazione, ma anche altri fenomeni che non c'entrano nulla, perché riguardano la prevenzione del bullismo, l'omofobia e altri temi.

  PRESIDENTE. Se vorrà tornare con il suo collega di Bruxelles, ci farebbe una grande cortesia. Potrebbe portarlo qui, passando dall'Italia, così testiamo l’overstressing in Europa.
  Do la parola al vicepresidente Brandolin.

  GIORGIO BRANDOLIN. Nell'ascoltarla, condividendo sinceramente le cose che lei sta dicendo, pensavo alla gente che incontro. Pensavo, per esempio, banalmente che, nella città di Udine, ci sono 400 rifugiati in un'ex caserma, dove c'è stato un intervento della Polizia per una baruffa tra etnie, perché durante il Ramadan alcuni mangiavano. La gente nei dintorni di quella città non li sopporta più. Mi riferisco al Friuli-Venezia Giulia. Ci è stato domandato che cosa facciamo per risolvere il problema della libertà delle donne che vivono lì attorno e il problema della sicurezza per i bambini e per quelle persone. Parlo di persone nostre, presidente, cioè persone vicine alla mia parte politica. In tal senso, mi domandavo come riusciamo a mettere insieme tutto ciò.
  Poi, clamorosamente la Brexit, come è stato già detto prima, credo che abbia dato una spinta importante al problema della migrazione e sta mettendo in crisi completamente il sistema europeo. Quello che sta avvenendo poi in Ungheria è scandaloso. Capisco che la vostra è un'associazione che, giustamente, si occupa di denunciare la mancanza di diritti eccetera, ma una riflessione su come questo nostro continente, cioè questa nostra Europa, che sta arretrando, da questo punto di vista, concretamente, nelle persone, debba affrontare questo problema. Lo dico perché ci viene rinfacciato che non abbiamo e non diamo risposte e che lasciamo sole queste persone di fronte ai problemi di altre persone che hanno ovviamente enormi problemi, molto più grandi dei nostri. Questo arretramento culturale e valoriale mi spaventa molto, per cui una riflessione su questo; l'avete fatta anche voi? Capisco – e lei lo ha già detto tre volte – che questo non è un compito vostro e che, trattandosi di politica, sono le istituzioni che devono fare questa riflessione, ma, questa mattina, mi sento di chiedere questa riflessione anche a lei. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Campana.

  MICAELA CAMPANA. Io mi scuso se non ho ascoltato tutta la prima parte, ma seguo spesso l'attività della sua associazione. Ho una domanda da farle. So che voi siete impegnati in prima fila anche su una rivisitazione della lista dei Paesi sicuri e mi sembra che l'abbia detto all'inizio. Vorrei capire in questo senso come, anche dal punto di vista parlamentare italiano e soprattutto europeo, noi possiamo dare un'indicazione precisa per una modifica sostanziale della lista dei Paesi sicuri e insicuri. Lo dico perché, da qui, nasce anche una valutazione, che, come Parlamento italiano e come Governo, stiamo facendo sul tema dell'asilo politico internazionale, sul superamento dei regolamenti attuali, come quello di Dublino e altri, e sul tema dei corridoi umanitari. Grazie.

  ANTONIO MARCHESI, Presidente di Amnesty International Italia. C'è un enorme problema culturale di comunicazione, evidentemente. Il nostro punto di vista può essere riassunto in uno slogan «più diritti, più sicurezza» o «più accoglienza, più sicurezza» e non dallo slogan «meno diritti, più sicurezza» o «meno accoglienza, più sicurezza». L'Europa dovrebbe fare la sua parte ed essere in grado di distinguere coloro che dispongono del diritto fondamentale all'asilo e alla protezione umanitaria da chi non lo ha. Lo dico perché un migrante economico, dal punto di vista morale, ha evidentemente piena libertà di Pag. 11scegliere e di provare a costruire una vita migliore per sé e per la propria famiglia, però – la mia non è una critica – non ha un diritto, internazionalmente riconosciuto, ad entrare. Coloro che hanno, invece, diritto d'asilo devono essere protetti e tutelati perché lasciarli in queste condizioni e respingerli, quando i fattori di spinta sono tali da superare qualsiasi ostacolo, significa anche antagonizzare le persone, privarle di diritti e costringerle a vivere in condizioni, che sono innanzitutto un problema per le comunità vicine.
  Noi facciamo un discorso, che in qualche misura è analogo, anche rispetto alla lotta al terrorismo, nel senso che riteniamo che a colpire nel mucchio e privare di diritti fondamentali si finisca col creare intere fasce di popolazione, che evidentemente sono in condizioni di essere poi antagonizzate, per cui questa condizione diventa un terreno fertile per chi vuole reclutare nuovi terroristi. Confondere coloro che vengono con i barconi con coloro che sono nati in Belgio e che si collegano all'ISIS, senza tenere conto che quelli che vengono con i barconi probabilmente fuggono da questi, è un clamoroso equivoco, che si cerca, come si può, cioè con difficoltà e poche forze a disposizione, di contrastare.
  Sono d'accordo con lei sul fatto che si tratta di un grosso problema di comunicazione, per cui è comprensibile che la società civile reagisca in questo modo, ma c'è chi ha la responsabilità, a cominciare dai media, di mandare un messaggio diverso. Noi siamo un'organizzazione un po’ utopistica, ma facciamo quello che possiamo. Ora, non vorrei adesso fare discorsi troppo generici, però, più o meno, questa è la situazione.
  Della questione dei Paesi sicuri abbiamo già parlato brevemente prima. Noi riteniamo che un elenco dei Paesi sicuri, nella misura in cui questo significa differenziare delle procedure per l'accesso a un diritto fondamentale, non sia accettabile in alcun caso. Lo dico perché, nel momento in cui il Paese di provenienza è sicuro, effettivamente quella procedura potrà essere svolta in tempi molto più certi e molto più brevi, visto che sarà facile accertare che non ci sono le condizioni per concedere l'asilo. Tuttavia, riteniamo che le procedure sommarie non siano accettabili di fronte a un diritto individuale fondamentale. Dopodiché, nell'ambito delle relazioni internazionali, un Governo è libero di vaglio valutare come crede le condizioni di sicurezza in un altro Stato, però la procedura legale di accertamento del diritto d'asilo deve essere una procedura conforme a delle garanzie minime, che non possono essere messe da parte, sulla base di una valutazione di politica estera, sostanzialmente. Sulla riforma generale del sistema dell'asilo, magari possiamo fornire dei documenti scritti. Sulla riforma del sistema di Dublino, noi riteniamo che si debba andare nella direzione più lontana possibile da quella attuale. I piccoli correttivi al sistema del Paese di primo arrivo non sono sufficienti, per cui riteniamo che si debba cambiare il criterio, valorizzando altri aspetti, dalla riunificazione familiare a tutta una serie di altri criteri.

  PRESIDENTE. Su questo, oltre al dato di fatto da lei anche sottolineato, cioè che le ricollocazioni non stanno funzionando, Amnesty ha preso una posizione, per esempio, sulle ricollocazioni effettuate senza sentire il migrante sul suo desiderio per la destinazione, cioè ha fatto un'analisi sul fatto che un Paese di arrivo possa arrogarsi il diritto di decidere in quale Stato andrà quel migrante, che magari voleva andare in un altro Stato?

  ANTONIO MARCHESI, Presidente di Amnesty International Italia. Questo è un altro limite del sistema di ricollocazione. Poi, evidentemente si possono fare delle valutazioni che sono leggermente diverse nella gestione dell'emergenza, rispetto al sistema di asilo a regime, però il fatto di ascoltare la persona interessata dovrebbe essere un requisito fondamentale. Soprattutto riteniamo che il concetto della riunificazione familiare debba essere esteso notevolmente, nel senso che, se c'è, in un determinato Paese, una prospettiva reale di integrazione nell'ambito di una comunità o di una famiglia Pag. 12 allargata, anche se è riscontrata l'assenza di un parente stretto, non significa necessariamente che quello non sia, in realtà, il Paese migliore in cui collocare la persona.

  PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi e ringrazio il Presidente di Amnesty International Italia, il professore Antonio Marchesi, e anche chi lo accompagna, che è la dottoressa Elena Santiemma, responsabile dell'Ufficio Policy e Lobby di Amnesty International Italia.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.25.