XVII Legislatura

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 8 di Mercoledì 18 novembre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ravetto Laura , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEL FENOMENO MIGRATORIO NELL'AREA SCHENGEN, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLE POLITICHE DEI PAESI ADERENTI RELATIVE AL CONTROLLO DELLE FRONTIERE ESTERNE E DEI CONFINI INTERNI

Audizione dell'Alto Rappresentante del Governo Regionale del Kurdistan in Italia, dottoressa Rezan Kader.
Ravetto Laura , Presidente ... 3 
Kader Rezan , Alto Rappresentante del Governo Regionale del Kurdistan in Italia ... 4 
Ravetto Laura , Presidente ... 8 
Kader Rezan , Alto Rappresentante del Governo Regionale del Kurdistan in Italia ... 8 
Ravetto Laura , Presidente ... 10 
Mazzoni Riccardo  ... 10 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 11 
Artini Massimo (Misto-AL-P)  ... 12 
Kader Rezan , Alto Rappresentante del Governo Regionale del Kurdistan in Italia ... 12 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 13 
Kader Rezan , Alto Rappresentante del Governo Regionale del Kurdistan in Italia ... 13 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 13 
Kader Rezan , Alto Rappresentante del Governo Regionale del Kurdistan in Italia ... 13 
Ravetto Laura , Presidente ... 14 
Mazzoni Riccardo  ... 14 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 14 
Ravetto Laura , Presidente ... 14 
Kader Rezan , Alto Rappresentante del Governo Regionale del Kurdistan in Italia ... 14 
Ravetto Laura , Presidente ... 14 
Kader Rezan , Alto Rappresentante del Governo Regionale del Kurdistan in Italia ... 14 
Ravetto Laura , Presidente ... 15 
Kader Rezan , Alto Rappresentante del Governo Regionale del Kurdistan in Italia ... 15 
Artini Massimo (Misto-AL-P)  ... 15 
Kader Rezan , Alto Rappresentante del Governo Regionale del Kurdistan in Italia ... 15 
Artini Massimo (Misto-AL-P)  ... 16 
Ravetto Laura , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LAURA RAVETTO

  La seduta comincia alle 8.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione dell'Alto Rappresentante del Governo Regionale del Kurdistan in Italia, dottoressa Rezan Kader.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione del fenomeno migratorio nell'area Schengen, l'audizione dell'Alto rappresentante del Governo regionale del Kurdistan in Italia, dottoressa Rezan Kader, che ringraziamo della presenza.
  La dottoressa conosce l'ambito di operatività di questo Comitato bicamerale, che, appunto, vigila sull'attuazione dell'accordo di Schengen, quindi è coinvolto in maniera diretta e intensa su questo tema, anche a seguito degli accadimenti tragici a cui stiamo assistendo, che portano a una discussione interna al nostro Paese sulla modalità di controllo delle frontiere e sulla libertà di circolazione dei cittadini europei. Tuttavia, noi l'abbiamo chiamata, in particolare, per conoscere la situazione degli iracheni sfollati e dei siriani che sono fuggiti dalla violenza dell'ISIS o Daesh, come si dice ora, e che si sono rifugiati nella regione del Kurdistan.
  Il Comitato sta svolgendo una serie di audizioni, con particolare riferimento alle politiche dei Paesi aderenti, relative al controllo delle frontiere esterne e dei confini interni. Inoltre, a fronte del massiccio afflusso, in questi ultimi mesi, di rifugiati provenienti prevalentemente dalla Siria e dalle aree varie limitrofe, risulta al Comitato (dati ONU del luglio 2015 riportati da un dossier del Servizio studi della Camera dell'ottobre 2015) che vi sono circa 12,2 milioni di siriani che hanno attualmente bisogno di assistenza umanitaria e si stima che 220.000 persone siano state uccise dall'inizio del conflitto nel 2011. Soltanto nel 2015, 8 milioni di persone hanno lasciato le loro case, aggiungendosi ai 7,6 milioni di sfollati interni già presenti nel Paese. Quanto ai rifugiati nei Paesi limitrofi (Turchia, Libano e Giordania) il numero ha ormai superato i 4 milioni, di cui il 2-3 per cento cerca rifugio in Europa, facendo registrare la più grande popolazione di rifugiati a causa di un unico conflitto da più di 25 anni. Risulta anche al Comitato che nel territorio del Governo regionale del Kurdistan siano stati realizzati dei centri profughi per gli iracheni sfollati e per i rifugiati siriani fuggiti dalla violenza dell'ISIS, con il supporto economico, logistico e militare della comunità internazionale. Quindi, nei limiti delle sue competenze, le chiediamo maggiori e dettagliate informazioni in proposito.
  Il secondo punto su cui la interpelliamo è il ruolo svolto dal governo regionale del Kurdistan nella lotta contro il terrorismo fondamentalista, anche circa la valutazione degli aiuti ricevuti dall'Italia e l'evoluzione delle strategie perseguite da ISIS o Daesh. La recente sequela di attentati culminata nella strage di Parigi ha confermato la grave minaccia rappresentata Pag. 4dall'ISIS per la sicurezza internazionale. Risulta al Comitato che proprio nell'ambito dello sforzo teso a contenere la minaccia, l'Italia si è impegnata a sostenere le forze militari del Governo regionale del Kurdistan, nella convinzione che le forze peshmerga svolgano un ruolo cruciale nello sforzo globale contro l'ISIS. A tale proposito, il Ministro degli esteri Paolo Gentiloni, nelle dichiarazioni rese in occasione dell'informativa urgente al Governo in relazione ai gravissimi attentati di Parigi, ha segnalato che 200 militari italiani sono impegnati nell'addestramento dei peshmerga in Kurdistan e il Ministro della difesa italiano Roberta Pinotti ha riferito, nel corso dell'audizione che è stata svolta proprio presso questo Comitato lo scorso 28 ottobre, che quello italiano è il contingente con più persone impegnate nell'addestramento delle forze peshmerga.
  Risulta, peraltro, al Comitato come sia attualmente in corso da parte delle forze curde e yazide un'offensiva per la riconquista di Sinjar, la città che ha subito l'eccidio della popolazione yazida da parte dei miliziani dell'ISIS. Le chiediamo, quindi, sempre nei limiti delle sue competenze, maggiori elementi sul ruolo svolto dal suo Governo.
  Nel ringraziarla nuovamente, le lascio la parola, dopodiché darò la parola ai commissari per eventuali domande. Le ricordo che la seduta è pubblica, quindi se ritiene di dover dire qualcosa che merita di essere segretato, la prego di annunciarlo, di modo che gli uffici possano togliere la pubblicità.

  REZAN KADER, Alto Rappresentante del Governo Regionale del Kurdistan in Italia. Buongiorno, vorrei ringraziare, in particolare, la presidente Laura Ravetto e il nostro caro amico Mazzoni per l'opportunità che mi viene data, in quanto Alto rappresentante del Governo regionale del Kurdistan e desidero esprimere, prima di tutto, i miei ringraziamenti al Governo, al Parlamento e a tutti gli italiani per quello che hanno fatto per noi, ovvero per l'aiuto umanitario e amichevole, nonché militare, destinato ai nostri peshmerga al fine di resistere davanti al tiranno di questo secolo, ISIS o Daesh.
  Ringrazio la presidente che ha già fornito un quadro molto ampio del ruolo dei peshmerga, del popolo curdo e del Governo regionale del Kurdistan nei confronti dei rifugiati. Del resto, il fenomeno dei rifugiati non è nuovo in Kurdistan. Dico sempre che noi del Kurdistan dell'Iraq, purtroppo, abbiamo cominciato ad essere rifugiati negli anni Settanta e Ottanta, quando siamo stati bombardati con le armi chimiche da parte di Saddam Hussein. Sappiamo, quindi, che cosa significa essere rifugiati, sfollati, cacciati fuori da casa propria e obbligati a lasciare il proprio territorio.
  Per questo, il mio Governo e il mio Presidente, quando sono cominciati i disordini in Siria, hanno aperto la porta del nostro territorio, senza guardare i colori, la razza, né chi erano quelli che entravano. L'unica priorità – come certamente sapete e come diceva a ragione la presidente – è stata coordinarsi per metterli non in un campo, ma in centri di accoglienza. La prima cosa è stata accogliere in Kurdistan qualsiasi persona (bambini, donne, uomini, anziani, giovani), senza fare distinzioni. Ci sono stati, però, dei casi particolari. Purtroppo per quanto è accaduto in Siria abbiamo avuto più di 750.000 siriani che si sono rifugiati in Kurdistan. Non era importante che fossero uomini, donne o bambini, né che fossero di razza araba o curda. La maggioranza era di cittadinanza siriana. Per quanto riguarda gli altri curdi, come sapete, non potendo godere della cittadinanza siriana non si conosceva la loro provenienza, ma siccome parlavano solo il curdo, sono stati accolti. La situazione è diventata ancora più grave quando, purtroppo, ancora prima dei siriani sono arrivate più di 9.000 famiglie cristiane provenienti dal resto dell'Iraq, nel giorno santo sono state fatte esplodere delle bombe in una delle chiese importanti di Baghdad. Abbiamo accolto i cristiani perché, in questo momento, per loro l'unica oasi di pace nel Medio Oriente è il Kurdistan. Infatti, Pag. 5l'affollamento e la presenza dei cristiani aumenta giorno dopo giorno sul nostro territorio.
  Peraltro, la terra del Kurdistan è nativa per i cristiani. Diciamo sempre che noi siamo ospiti, non loro, perché sono nella propria casa. Questa è la realtà perché il vero luogo in cui è nato il cristianesimo è il Kurdistan. I cristiani sono nati nel cuore del Kurdistan, quindi accoglierli di nuovo nella loro casa mentre sono stati sfollati dal resto dell'Iraq non era uno sforzo da parte nostra, ma un dovere. Dopo sono arrivati i siriani e poi tutti quelli della zona di Mosul, con i piedi nudi. Li abbiamo accolti, ma hanno avuto un'altra tipologia di trattamento. Infatti, dato che per il nostro Presidente il rischio per i cristiani era molto alto, non li abbiamo accolti alla frontiera, come abbiamo fatto con i nostri fratelli siriani, ma abbiamo mandato degli autobus per prenderli e sistemarli al centro di Arbil, che è la capitale del Kurdistan, perché dovevano essere tutelati al massimo. Per loro, quindi, c’è stata tutta un'altra procedura. Abbiamo aperto le scuole, gli alberghi in costruzione che ancora non erano finiti e le porte delle nostre case. Non c’è una famiglia curda alla frontiera che non abbia accolto due o tre famiglie di sfollati cristiani o siriani che arrivavano.
  Come sapete, il Kurdistan è una nuova democrazia e stiamo tentando di rimettere in sesto il Paese, quindi eravamo già occupati a ricostruire quello che Saddam Hussein aveva lasciato, ovvero un deserto, un territorio bombardato con il napalm e le armi chimiche. Il popolo era già impegnato a rimettere in piedi il Paese, con il dolore per coloro che hanno perso i figli, le famiglie, i fratelli. Purtroppo, il genocidio del 1988 per il cui riconoscimento stiamo ancora oggi lottando, sta ancora lì ed è un capitolo sempre aperto. Noi cerchiamo, tramite le Assemblee parlamentari del mondo, di chiedere il riconoscimento del genocidio del popolo curdo del 1988, ma non è finita lì la nostra sorte, che, come sapete, è sempre stata cruciale. Adesso siamo in presenza di un nuovo genocidio, per mano dell'ISIS, contro i fratelli di Shingal, ovvero dei fratelli yazidi.
  Il Kurdistan è un mosaico multietnico e multireligioso. Per noi è naturale avere diverse religioni all'interno di un Paese il cui popolo è unito nel dolore. Nel male e nel bene, siamo sempre stati uniti. Tuttavia, quello che è successo contro gli yazidi è veramente una cosa inaudita. Hanno diviso le donne e i bambini; si sono portati via le ragazze giovani. Come tutti sapete, da quando abbiamo ripreso Shingal, ogni mattina scopriamo delle fosse comuni. Alle sei e mezza di stamattina hanno scoperto altre due fosse comuni. L'altro ieri, quando ci sono stati gli attacchi di Parigi, abbiamo trovato una fossa comune con 80 ragazze, studentesse universitarie seppellite insieme. A Shingal hanno portato via le donne. Ad oggi, più di 2.500 ragazze vengono vendute nel loro mercato. Ormai usano anche internet per vendere le ragazze per 10 o 5 dollari. Questi sono i dolori profondi del mio popolo che tutto il mondo dovrebbe conoscere e cominciare a combattere per fare in modo che quello che è successo a Shingal sia riconosciuto come un genocidio. Non c’è più una casa in piedi; non c’è famiglia che non abbia perso la metà dei propri cari. Ci sono delle famiglie che non esistono più. L'accoglienza dei rifugiati o di chi scappa dal dolore o dalla paura è un dovere per noi perché, come dicevo, ieri eravamo rifugiati anche noi; chi meglio di noi capisce cosa significa ? Certamente, c'era bisogno di coordinarsi.
  In tutto questo scenario, il governo dell'Iraq è totalmente assente. Fino a oggi ce la siamo cavata da soli. Peraltro, l'Iraq ha messo di nuovo, come negli anni Ottanta, un altro embargo su di noi perché dovrebbe darci il 17 per cento del ricavato dalla vendita del petrolio che mandiamo a Baghdad, ma non ce lo dà. Dalla mattina alla sera abbiamo avuto un aumento del 30 per cento della nostra popolazione. Infatti, mentre parliamo abbiamo più di 1,7 milioni di rifugiati e sfollati.
  Come dicevo, gli sfollati interni dell'Iraq sono più di 600.000. Nella guerra civile della Siria sono più di 750.000, a cui si Pag. 6aggiungono tutti quelli degli Yazidi. La media di ingresso è di 80.000 rifugiati e sfollati al mese. Ora, il Kurdistan iracheno è un fazzolettino di terra. Siamo 5,5-6 milioni come popolazione. Attualmente arriviamo a quasi 7,5 milioni proprio per i rifugiati e gli sfollati. Queste persone hanno bisogno di essere curate. I bambini hanno bisogno di riprendere la scuola. Peraltro, anche i nostri figli dovevano rientrare nelle in un primo momento usate per l'accoglienza dei rifugiati. Dopo qualche mese abbiamo cercato di sistemarli in un altro modo. L'aiuto internazionale è stato molto efficace, ma non è mai stato adeguato al fabbisogno del Kurdistan e dei nostri rifugiati.
  L'Italia ha avuto un ruolo molto grande, così come la Santa Sede, nell'aiutare la popolazione. Prima di tutto è necessario sfamare queste persone, ma la cosa più importante è proteggerle. C’è una guerra che attraversa 1.050 chilometri lungo il confine del Kurdistan, che solo i nostri peshmerga stanno combattendo da soli. Certo, gli alleati (Italia, Francia, Germania, Stati uniti e Gran Bretegna) ci stanno aiutando con i raid aerei, ma chi versa il sangue siamo noi e i nostri peshmerga, che vengono feriti e uccisi. I peshmerga sono al fronte; le loro famiglie non percepiscono lo stipendio da tre mesi. Ciò nonostante, continuano a combattere.
  Vorrei mettere davanti alla coscienza mondiale il fatto che l'Iraq è totalmente assente. Non ci manda il budget. Noi, quindi, non solo dobbiamo mantenere noi stessi, ma anche i rifugiati, ovvero i nostri altri fratelli che, non per loro colpa, sono stati costretti a rifugiarsi in casa di altri.
  Il Kurdistan è una terra che accoglie tutti. Tuttavia, l'accoglienza ha un suo costo, quindi facciamo appello a tutti i Paesi del mondo per chiedere una mano ad accogliere e mantenere queste persone. Per noi è una perdita molto grave se i nostri fratelli cristiani perdono le loro radici e abbandonano il Kurdistan. È importante che restino e che siano aiutati nella loro terra. Lo abbiamo chiesto a tutto il mondo.
  Prima che nascesse l'ISIS, il mio Presidente è stato qui in Italia. Ha partecipato a una seduta del Parlamento, presso la Commissione esteri. Ha anche salutato il Santo Padre, che lo invitò in udienza presso la Santa Sede. All'epoca, abbiamo detto che esisteva un problema ai confini dell'Iraq e del Kurdistan, un qualcosa che stava bollendo e che poteva scoppiare, facendoci trovare nel mezzo. Dovevamo prevenire, ma purtroppo non ci è stato dato ascolto da nessuna parte. Il Presidente non era ancora ritornato in Kurdistan che già era scoppiato l'ISIS. Del resto, il problema dell'ISIS non è solo locale; non riguarda solo noi curdi che combattiamo sul nostro territorio, come avete visto. Insomma, doveva essere circoscritto in quell'area, ma purtroppo non l'hanno fatto. Abbiamo i nostri alleati, ma adesso devono ascoltare chi sta sul luogo e conosce la radice di questo problema, cioè noi curdi e i nostri comandanti peshmerga, che, appunto, conosciamo la situazione perché li affrontiamo tutti i giorni; siamo davanti a loro e loro sono davanti a noi. Noi abbiamo avuto le prime perdite e il primo contatto con loro.
  Come sapete, Al-Maliki ha fatto un grosso sbaglio. Oggi ci troviamo davanti a un problema che è stato creato dal Governo precedente dell'Iraq. Infatti, un Iraq multietnico e multi religioso doveva avere un presidente che doveva essere come il padre di questo popolo, quindi doveva accogliere tutti, senza discriminare i sunniti e tenere solo gli sciiti. I sunniti, dopo quaranta o cinquant'anni che hanno comandato, non potevano accettare di essere messi da parte. Per questo, sono spuntati come funghi tutti i membri dell'ISIS, che è nato quindi dalla rabbia della gente. Metà dei membri dell'ISIS sono ex soldati iracheni. L'ISIS è nato in mezzo all'Iraq. Ramadi è nel centro dell'Iraq, a neanche 300 chilometri da Baghdad. L'ISIS chi è ? Come dobbiamo fare ? Finché esiste il fenomeno dell'ISIS, esisterà l'immigrazione. Vorrei dire, però, che doveva essere fatta una no fly zone nella zona della Siria, come è stata fatta per noi all'epoca di Saddam Hussein. Certo, purtroppo per Pag. 7noi, facevamo la fame in uno dei Paesi più ricchi del Medio Oriente, perché la popolazione dell'Iraq era di 12-13 milioni nel 1988-1990. Quando è stata creata la no fly zone, noi ci siamo salvati. Tuttavia, c'era l'embargo sull'Iraq, l’oil for food. In sostanza, l'Iraq ha messo due volte l'embargo su di noi perché anche quel pezzo che doveva darci non ci veniva dato.
  Peraltro, c'era anche qualcun altro in mezzo. Non voglio dire l'Italia perché è sempre stata un Paese molto amico e molto importante per noi. Non ci ha mai danneggiato e, nel bene e nel male, è sempre stata accanto a noi. C’è un affetto bilaterale tra il popolo curdo e il popolo italiano. Tuttavia, al tempo dell’oil for food per quattro o cinque anni noi curdi abbiamo fatto la fame vera e propria. A ogni modo, per noi andava bene perché il fenomeno di Saddam Hussein era lontano da casa.
  Per questo, nel 1992 abbiamo formato il Governo regionale del Kurdistan, con il nostro Parlamento e il nostro Governo. Il popolo ha cominciato a riavere relazioni con i Paesi amici e quelli limitrofi. Ultimamente, prima dell'ISIS, il Kurdistan godeva di un'economia molto importante perché è un Paese che galleggia sul petrolio. Tuttavia, purtroppo, oggi la mia gente ricomincia a sgomitare per sopravvivere perché ha 1,8 milioni di rifugiati, oltre a 6 milioni di abitanti. Inoltre, c’è di nuovo l'embargo da parte dell'Iraq che non ci manda il budget.
  Oltre a questo c’è il fenomeno dell'immigrazione, con arrivi continui tutti i giorni. Questo pesa su di noi e sulla nostra economia, ma peserebbe di più sulla nostra coscienza se non aprissimo la porta. Purtroppo, non possiamo fare tutto per loro e questo ci rincresce. Abbiamo cercato di aprire la scuola per i loro bambini, di aiutare le donne. Abbiamo cercato di liberare alcuni yazidi. Purtroppo, quando ritornano a casa molti di loro tentano il suicidio o non vogliono più stare in mezzo alle loro famiglie perché secondo loro è una vergogna. Molti di loro non vogliono neanche essere riconosciuti dalla loro gente.
  Stiamo cercando in tutti i modi di rimettere tutto in piedi. In questo, c’è bisogno dell'aiuto dall'Italia. Uno dei nostri bisogni è il riconoscimento del genocidio del popolo curdo e dell'ultimo genocidio degli yazidi. C’è bisogno di aiuti umanitari anche da parte dell'Italia per rimettere in piedi queste donne e questi bambini che sono traumatizzati. A oggi, abbiamo 2.500 ragazze ancora lì nelle mani dell'ISIS. Purtroppo, è diventata routine. La gente e i giornali non ne parlano più. Non interessa più a nessuno. Abbiamo paura che queste persone vengano dimenticate. Per noi è importantissimo che siano liberati, come è importante che ci sia il riconoscimento del genocidio. Oggi abbiamo ripreso Shingal, ma è una città totalmente distrutta, minata. Abbiamo bisogno degli artificieri italiani, che sono famosissimi, per togliere tutte le mine antiuomo. Sono città completamente minate, in cui i nostri artificieri cercano di aprire delle vie, ma devono mettere i piedi proprio dove hanno aperto la strada, altrimenti saltano per aria tutti. Uno dei giornalisti presenti sul luogo diceva di aver già scritto cosa sarebbe dovuto accadere se fosse venuto a mancare perché stava andando in un posto totalmente minato. Pertanto, per noi è importante avere una mano anche nei casi umanitari.
  Oggi tutti affrontiamo il fenomeno dell'ISIS, ma nelle nostre piazze vengono fatti saltare in aria i civili. Non dovevamo arrivare a questo. Il fenomeno dei rifugiati continuerà. Con il terrore di quello che fa l'ISIS, la gente lascia la casa. I genitori portano i bambini piccoli sulle spalle. Anche qui, noi curdi abbiamo pagato il prezzo più alto. Avete visto il nostro piccolo Aylan, il bambino curdo che è stato trovato in riva al mare. Che colpa aveva quel bambino ? Scappiamo dalle mani dell'ISIS, quindi è un fenomeno globale, che riguarda tutti, non più solo noi curdi. Noi siamo davanti a loro; siamo un popolo che non accetta che sia fatto del male all'altro fratello dell'altra parte, quindi abbiamo aperto la porta e abbiamo accolto tutti.Pag. 8
  Grazie alla nostra intelligence, oggi il Kurdistan è una safety zone, in cui non ci sono fenomeni di bombe o simili. Certo, nessuna parte del mondo è sicura, dunque nessuno di noi può cantare vittoria finché esisterà l'ISIS. La comunità internazionale deve cominciare a pensare di eliminare radicalmente l'ISIS, altrimenti, come dicevo, avremo 80.000 rifugiati che arrivano in Kurdistan ogni mese e che dobbiamo accogliere. Arriveranno anche qui.

  PRESIDENTE. Scusi, quando dice «eliminare», visto che c’è una discussione in atto nel nostro Paese, in quanto non c’è una territorialità definita dello Stato islamico perché si tratta di una situazione diffusa, ha in mente degli obiettivi precisi ?

  REZAN KADER, Alto Rappresentante del Governo Regionale del Kurdistan in Italia. Prima di tutto, vorrei dire che per noi non esiste lo Stato islamico. Quando diciamo Stato islamico significa che lo abbiamo riconosciuto come Stato. Noi parliamo di terroristi dell'ISIS o di Daesh che hanno occupato il territorio di Mosul e un pezzettino della Siria. Ora, la mia domanda è questa. Non sono più forti dello scià di Persia o di Saddam Hussein, quindi è possibile che non riusciamo a combatterli ? È possibile che, con tutti questi Paesi del mondo, non riusciamo a criptare le comunicazioni che hanno con il mondo esterno attraverso alcuni satelliti ? È possibile che tutte queste intelligence mondiali non riescono ad annientare questo fenomeno nel giro di poco tempo ?
  Fin dal primo giorno noi abbiamo detto che l'ISIS ha potuto godere delle risorse lasciate dal Governo dell'Iraq. Parlo, in particolare, del Governo di Al-Maliki. Tutte le banche di Mosul erano piene di soldi. In quelle del Kurdistan non c'era un dollaro o un dinaro perché il nostro 17 per cento non arrivava, ma a Mosul i soldi arrivavano. Riguardo alle armi che sono state comprate da Al-Maliki, abbiamo chiesto agli americani e a tutti gli altri Paesi che le hanno vendute. Giustamente, rispondono che l'Iraq è un Paese sovrano, per cui possono venderle. Ma le comprano per fare cosa ? Bisognava indagare a cosa servissero ad un Paese che non aveva ancora una stabilità al 100 per cento e in cui non tutto il popolo, i partiti e quelli che dovevano si godevano la democrazia. Insomma, bisognava indagare prima.
  Per noi curdi era proibito avere un proiettile non per combattere, ma per difendere il nostro popolo. Invece, per l'Iraq era tutto consentito. Gli americani hanno venduto le armi più all'avanguardia del mondo, che sono finite tutte a Mosul. Quella mattina sono state consegnate le chiavi di Mosul all'ISIS. Qualcuno ha chiesto ad Al-Maliki perché lo ha fatto ? No. Oggi ha mandato un'altra squadra che si chiama Hashd al-Shaabi, tra le città di Kirkuk e Baghdad, che sta combattendo di nuovo i nostri pershmerga, ma non sappiamo per quale motivo. Noi abbiamo liberato la città, in cui ci sono turkmeni, curdi e arabi che vivono di nuovo insieme, nei dintorni di Kirkuk, ma lui ha mandato gli Hashd al-Shaabi che stanno combattendo contro i nostri peshmerga. È incredibile. Qualcuno dovrebbe dire che ci sono i regolamenti, per cui se io ti proteggo e verso il sangue, poi non devi venire contro di me. Invece, nessuno dice niente. Guardare all'Iraq come un Paese sovrano, ma chiudere gli occhi di fronte agli errori che il Governo dell'Iraq o certe persone nel Governo dell'Iraq stanno facendo è uno sbaglio colossale, che tutti noi stiamo pagando.
  Stamattina abbiamo avuto gente che si rifugia di nuovo nel Kurdistan, anche se si tratta di persone provenienti dalle zone contese tra noi e Baghdad, per la quale dobbiamo ancora decidere se fanno parte o meno del Kurdistan. Noi peshmerga abbiamo liberato Shingal proprio nel giorno della tragedia di Parigi. Il Governo dell'Iraq non ha partecipato nemmeno con un proiettile, ma ci ha obbligato a mettere la bandiera non solo del Kurdistan, ma anche dell'Iraq. Gli yazidi, però, dicono che se c’è la bandiera dall'Iraq non tornano perché proprio sotto l'Iraq è successo quello che è successo.
  Ci sono delle cose su cui dobbiamo cominciare ad aprire gli occhi. Il popolo Pag. 9curdo ha sempre teso la mano alla pace. Non abbiamo rancori nei confronti di chi ci ha fatto del male. Abbiamo avuto il Governo dell'Iraq, i cui soldati avevano ancora le mani piene di sangue dei nostri ragazzi curdi del 1988, ma quando abbiamo liberato le città abbiamo mandato a casa i loro soldati perché le loro madri o i loro fratelli non dovevano soffrire quello che hanno sofferto le nostre madri e i nostri fratelli. Abbiamo cercato di risistemare il Paese. L'ISIS non esiste solo in Kurdistan, ma solo i nostri peshmerga lo combattono in prima linea. Si tratta, però, di un fenomeno mondiale che è arrivato fino a questo punto. Noi abbiamo sempre proposto di combatterli sul luogo e di mantenere bene i nostri rifugiati, di modo che non debbano scappare per l'ennesima volta, ma purtroppo non ci è stato dato ascolto.
  Per questo vi trovate davanti a un fenomeno di immigrazione che io chiamo «immigrazione doppia». Il triangolino tra Kurdistan, Siria e Turchia non è sicuro; nessuno può vivere lì, a maggior ragione se è curdo. Nei primi giorni, all'inizio dell'estate, quando ho avuto l'occasione di parlare con la tv del Kurdistan sull'immigrazione, ho subito detto che dovevamo cercare di capire chi entra in Europa perché in mezzo a loro ci saranno sicuramente dei membri dell'ISIS. Infatti, avendo creato loro questo fenomeno, si mischiano in mezzo alla folla e arriveranno qui, com’è già successo. Non sappiamo ancora quanti ce ne sono in mezzo a noi. L'Italia è un territorio di transito, da qui arrivano e partono, ma sappiamo anche che qui c’è la Santa Sede e che si tratta di un Paese importante che sta combattendo l'ISIS in prima linea e che è un importante alleato che sta aiutando i nostri peshmerga curdi.
  A questo proposito, vorrei fare un appello. I peshmerga sono importanti, ma sono pochi. Personalmente, ho continuato a scrivere in questo senso. La Ministra Pinotti è anche venuta in Kurdistan. Ringrazio i soldati italiani che stanno sul luogo in questo momento, più di 220 persone che stanno aiutando i nostri peshmerga nell'addestramento. Sono persone eccellenti, bravissime, molto umili ed efficaci. Per noi sono molto importanti. All'inizio dell'anno scorso dieci nostri peshmerga sono venuti qui e hanno fatto addestramento al Poligono di Nettuno.
  Ecco, ringrazio l'Italia per quello che sta facendo, ma vorrei chiedervi ulteriori aiuti per i peshmerga. Purtroppo, ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo noi affrontiamo l'ISIS. Il fenomeno dell'ISIS esisterà finché non siamo uniti. Fino a quando non ci ascoltiamo l'uno con l'altro non ci possiamo fare niente. Servono i caschi Blu dell'Onu, una no fly zone e una zona recintata di sicurezza per questa gente, altrimenti continuerà l'emigrazione. Dobbiamo aiutare la gente direttamente sul proprio territorio perché non ci possiamo permettere una doppia immigrazione. Sono rifugiati in quei territori, ma quando lì fanno la fame, non possiamo farci niente e ce li ritroviamo in Europa.
  Allora, l'Europa dovrebbe cominciare a pensare come aiutarli sul territorio in cui, in questo momento, sono rifugiati. Abbiamo bisogno di aprire la scuola per i bambini. Lo stiamo facendo, ma non riusciamo a fare tutto da soli. Parlo a nome del Governo del Kurdistan che ospita la maggioranza dei rifugiati; 1,8 milioni non sono pochi, in confronto a una popolazione di 5-6 milioni che vive su un fazzolettino di terra. Aiutare i rifugiati sul posto è un dovere di tutti. La Santa Sede ha cominciato a fare delle belle cose, ma ancora non è sufficiente a completare il fabbisogno di tutti i rifugiati. I cristiani devono rimanere nel loro luogo di origine. È una risorsa importante per noi avere i nostri fratelli cristiani. È la loro casa. Sono stati accolti di nuovo nella loro casa, quindi non devono uscire.
  Io ringrazio i Paesi che accolgono i rifugiati perché anche io ho un passato da rifugiata. Negli anni Ottanta, quando avevo solo 16 anni sono stata arrestata sotto il regime di Saddam Hussein. Poi, quando mi hanno liberata ho dovuto lasciare il mio Paese e sono arrivata qui. A quell'età non sapevo neanche che dovessi chiedere lo status di rifugiato politico o l'asilo politico perché ero troppo giovane ed era Pag. 10una cosa nuova per me. Non sapevo neanche quali fossero le procedure da seguire. Successivamente, dopo 7 anni che ero in Italia, sono stata riconosciuta in Francia come rifugiata politica. Dopodiché, sono ritornata in Italia e ho cominciato a studiare e di nuovo ad unirmi con i miei fratelli peshmerga che erano in montagna a combattere il Governo di Saddam Hussein. Ho ricominciato, quindi, la mia attività politica nelle piazze, anche solamente con una ventina di persone, a fare le manifestazioni solo per dire che eravamo curdi o chiedendo se sapevano chi fossero i curdi. Oggi sono arrivata a rappresentare il mio Governo e il mio Paese, ma so cosa significa essere rifugiata, espropriata della propria terra, dei propri effetti personali e anche della dignità. So cosa significa rifugiarsi per l'ennesima volta. Allora, da questo nasce il mio appello di aiutare i rifugiati sul posto, sostenendo i nostri Governi e i nostri politici, segnalando loro la strada per eliminare e combattere l'ISIS come si deve, ma non in questo modo. Quattro bombe non fanno niente. Chi versa il sangue siamo noi. I nostri peshmerga sanno cosa significa combattere sotto la pioggia, sotto la neve e sotto il sole estivo a 45-50 gradi. Solo loro lo hanno fatto.
  Oggi, secondo noi, c’è bisogno che intervengano le Nazioni Unite e la NATO perché non è più possibile accettare quello che succede. Sono arrivati fino a qui. Stanno prendendo potere in tanti Paesi importanti come la Francia e la Germania. Purtroppo, alcune cose cerchiamo di nasconderle per non mettere paura alla nostra popolazione. Questo è giusto, ma lo è anche dire la verità, cioè ammettere di cosa abbiamo paura e di chi, purtroppo, i Paesi europei debbono prendere atto. Adesso bisogna dire di no ed essere uniti.
  Noi peshmerga siamo stati uniti. Abbiamo ripreso Kobane insieme. Per la prima volta i peshmerga del Kurdistan hanno attraversato il confine con il consenso dei Paesi alleati e della Turchia. Purtroppo dovevamo arrivare di là, altrimenti non c'era altra strada per poter liberare Kobane. Insomma, se non fosse per i peshmerga e per il mio Presidente che ha chiesto agli alleati di poter fare quello che stanno facendo nel Kurdistan dell'Iraq anche dentro il Kurdistan della Siria per poter liberare Kobane, questa città oggi non sarebbe libera. Dobbiamo cominciare ad ascoltare chi sta sul luogo e conosce bene il fenomeno dell'ISIS. Tuttavia, l'unità dell'Europa è importante in questo momento. Vogliamo che i caschi blu dell'ONU e la NATO possano essere tutti uniti e presenti sul luogo, creando una no fly zone per fermare il fenomeno dell'emigrazione.
  Vi ringrazio tantissimo. Se ci sono delle domande sono ben disponibile a rispondere.

  PRESIDENTE. La ringrazio di questo intervento. Lascio la parola ai colleghi che intendono intervenire per formulare osservazioni o porre dei quesiti.

  RICCARDO MAZZONI. Grazie, soprattutto alla dottoressa Kader. Credo che la lezione del suo intervento di stamani valga per tutti noi e per l'Europa. Il Kurdistan iracheno ha accolto 1,8 milioni di profughi in un fazzoletto di terra, come lei ha giustamente ricordato. La grande Europa per un numero minore di rifugiati è andata completamente in tilt. Solo questo dovrebbe bastarci come lezione anche di umanità che lei ci ha dato.
  Il Kurdistan iracheno è l'unico presidio democratico di quell'area cruciale del mondo di cui l'Occidente si può fidare. Va dato merito ai suoi governanti perché, invece di utilizzare la conquista della più grande regione curda mai liberata per costruire la nazione curda, il Presidente Barzani ha preferito far diventare quell'area un elemento di stabilità interna ed esterna, che in questo momento è l'unica luce nel buio di quel mondo. Vi va dato atto di quanto state facendo.
  Le vorrei fare, però, alcune domande perché credo sia utile per chiarirsi. Il popolo curdo è stato storicamente vittima del genocidio che lei ha ricordato e che ancora non è stato ufficialmente riconosciuto dalle Nazioni Unite, ma è stato Pag. 11anche sempre molto diviso al suo interno. Allora vorrei capire qual è la geografia in questo momento.
  Detto di Barzani e del Kurdistan iracheno, vorrei capire quali sono i vostri rapporti con la Turchia e con Erdogan, il quale in questa vicenda dell'ISIS ha tenuto una posizione molto ambigua, nel senso che ha bombardato più le basi del PKK che non quelle dell'ISIS. Peraltro, nel luglio scorso c’è stata una dichiarazione del vostro presidente Barzani che ha applaudito a questi bombardamenti. Ecco, vorrei capire il perché di questo comportamento. So che il PKK e il partito curdo siriano che combatte l'ISIS sono due movimenti marxisti leninisti molto settari, che hanno ben poco a che vedere con il democratico Kurdistan iracheno. Tuttavia, vorrei una sua spiegazione politica per avere ben chiaro come dobbiamo rapportarci alle varie componenti del Kurdistan.
  La seconda domanda che vorrei farle riguarda la liberazione di Sinjar, che è la città liberata di cui Shingal è un villaggio. Ecco, questo cosa significa dal punto di vista bellico, visto che si è interrotta la comunicazione fra la capitale dell'ISIS e la sua controparte siriana ?
  Peraltro, se non vogliamo chiamarlo Stato, neanche dobbiamo ignorare che hanno costituito qualcosa di molto simile, con un welfare e un tipo di economia che per ora regge, nel senso che non c’è solo il terrore e la pulizia etnica che avete tragicamente scoperto a Sinjar con le fosse comuni degli yazidi, ma anche il tentativo di mettere su un embrione di Stato per dare un conforto ideologico a chi è in cerca di identità e anche per sfamare la popolazione che l'Iraq non aveva più saputo nutrire. Ora, quando lei dice che l'Occidente deve fare di più, pensa a un intervento di terra ? Lo chiedo perché il grande dibattito di queste settimane è se continuare i bombardamenti o intervenire sul terreno per non lasciare soli i peshmerga curdi.
  Ho un'ultimissima curiosità. Lei ha detto che Al-Maliki, cioè il Governo sciita di Baghdad, è stato il primo che ha consentito ai sunniti dell'ISIS di avere finanziamenti. Può chiarire meglio questo aspetto ?

  GIORGIO BRANDOLIN. Anch'io ringrazio la dottoressa di quanto ci ha detto perché ci ha fatto ulteriormente capire quanto complesso sia il problema che stiamo vivendo anche nel nostro Paese e in Europa. Le semplificazioni sono sempre sbagliate, quindi passo subito ad alcune domande.
  Lei ha fatto un'affermazione importante che conferma una preoccupazione che qualcuno di noi aveva e che per il momento non abbiamo avuto elementi per comprovare, cioè che in mezzo ai migranti che arrivano in Europa attraverso i Balcani o la Grecia, la Libia e così via, ci sono probabilmente anche tanti militanti dell'ISIS. Ecco, questa è un'affermazione che per la prima volta sentiamo in modo preciso e puntuale, rispetto a funzionari, ambasciatori e ministri che ci hanno sempre detto di non aver l'evidenza di questo fenomeno. Le chiedo se ci può chiarire questo aspetto, in particolare se è una sua preoccupazione o ha dei numeri o qualche elemento da darci, perché questo è un punto delicatissimo anche per gli equilibri che stiamo cercando di capire e di tenere.
  La seconda domanda è simile a quella del collega. Che cosa intende per ulteriore aiuto dell'Italia ? Mi sembra di aver capito che abbiamo 220 militari già addestrati che vi aiutano ad addestrare i vostri e che c’è uno scambio per cui i vostri arrivano anche in Italia. Ora, le chiedo se la sua domanda di aiuto consiste nell'aumentare, potenziare, migliorare e strutturare meglio questo aiuto oppure se, invece, c’è bisogno – parlo sempre dal punto di vista militare – di un altro tipo di supporto. Inoltre, la no fly zone di cui lei parla, che dovrebbe essere ricreata o creata, quale parte geografica dovrebbe riguardare ? Come diceva il collega, pensa soltanto al vostro Kurdistan iracheno, per avere un cuscinetto o un territorio tale che vi possa permettere di vivere e di strutturare la vostra economia Pag. 12e la vostra vita in sicurezza, o anche ad altre zone ? Queste sono le domande, ma chi dovrebbe farle, secondo lei ?
  Come ultima domanda, ci sembra di capire che la Francia, dopo la tragedia che ha vissuto venerdì scorso, stia cercando di trovare un accordo con alcuni Paesi volenterosi per intervenire. Secondo voi, è un intervento che bisogna realizzare subito e che vi aiuterebbe a risolvere il problema o può complicare ulteriormente la situazione in Iraq e in Siria ?

  MASSIMO ARTINI. Grazie, ambasciatrice, per questo spaccato molto interessante. Avrei alcune domande. La prima riguarda i rapporti fra il Kurdistan iracheno e la parte curda siriana, cioè la parte del Rojava. Le zone sono indubbiamente contigue, ma immagino che nella parte che impatta sulla Siria arrivino le prime maggiori ondate.
  In secondo luogo, nell'attuale situazione per cui diversi Paesi si stanno mettendo attorno a un tavolo per confrontarsi, le chiedo (anche come spunto, se ha queste informazioni) se c’è la volontà che anche i curdi, come popolo, siano rappresentati. Questo sarebbe importante, quindi è fondamentale che anche l'Italia si impegni per una vostra inclusione nel processo politico per trovare una soluzione sulla Siria.
  L'ultima domanda è in merito alla no fly zone. Ora, che io sappia, l'ISIS non ha una forza aerea, quindi la no fly zone sarebbe a fronte di quale nemico ? Questo è un punto importante. Mi interessa molto questo passaggio.

  REZAN KADER, Alto Rappresentante del Governo Regionale del Kurdistan in Italia. Vi ringrazio tutti per le domande. Comincio con il caro amico Mazzoni, riguardo ai nostri rapporti con la Turchia. Purtroppo, il Kurdistan non è nato tra la Francia e la Germania. Purtroppo o per fortuna (da curda, devo dire purtroppo) i nostri vicini di casa sono la Turchia, l'Iran, l'Iraq e la Siria, quindi dobbiamo mantenere buoni rapporti con questi Paesi, a maggior ragione con la Turchia che è il nostro sbocco verso l'Europa. Il Kurdistan doveva ricostruirsi e rinascere. Il primo Paese che è venuto a darci una mano per la ricostruzione è stato proprio la Turchia. Noi, dunque, abbiamo cercato di mantenere buoni rapporti con la Turchia e, allo stesso tempo, abbiamo ricominciato a ricostruire il Paese. Siccome l'economia e la politica percorrono strade parallele, oggi è proprio tramite la Turchia che abbiamo quel poco di economia che riusciamo ad avere.
  Ciò, però, non significa che dobbiamo dimenticare i nostri fratelli curdi. Il mio Presidente ha cercato di essere come un ponte tra il Governo centrale della Turchia e i curdi. Abbiamo sempre cercato di dire ai nostri fratelli che ognuno di noi deve risolvere i problemi in casa propria, ma anche con il nostro aiuto, vista la stabilità e l'economia del Kurdistan e che, con il nostro Presidente, potevamo essere ascoltati dai Paesi limitrofi, quindi dall'Iran o dalla Turchia. Abbiamo cercato di fare da ponte fra loro, a partire dal cessate fuoco. Abbiamo portato il Presidente Erdogan a parlare alla festa del Nawroz, cosa che non era mai successa; abbiamo anche portato i nostri più famosi cantanti della liberazione del Kurdistan ad esibirsi nella piazza pubblica nella città di Diyarbakir. Insomma, abbiamo detto a tutti che dobbiamo cercare di risolvere i nostri problemi interni con il dialogo e la pace. In ogni caso, per noi non è più tempo di stare in montagna a combattere. Ieri non avevamo altre soluzioni perché solo la montagna era amica del popolo curdo. Oggi, invece, abbiamo degli amici, come voi e tanti altri Paesi, che possano far arrivare la nostra voce ai Governi limitrofi affinché non facciano più quello che facevano ieri. Insomma, abbiamo cercato di fare da ponte tra il Governo centrale della Turchia e il PKK.
  Credo che il mio Presidente non possa mai approvare atti di aggressione. Il Presidente Barzani è prima di tutto un peshmerga e come tale non potrebbe mai applaudire chi viene a bombardare a casa propria. Peraltro, senatore, io ero presente in Kurdistan in quel momento. Nel territorio del Kurdistan, in alta montagna non Pag. 13esiste un confine; è una terra unita, quindi non si riesce a capire se si sta bombardando la Turchia o meno. Loro sanno, ma noi no. Del resto, i nostri villaggi sono stati bombardati perché secondo loro c'erano persone del PKK. Ora, queste persone possono anche essere presenti in alta montagna nella nostra parte o in quella della Turchia. Insomma, questa frontiera che hanno messo fra di noi non esiste, né in Turchia, né in Iran. Il Kurdistan era un Paese unito; poi è stato diviso in quattro pezzi, come sapete meglio di me. Tuttavia, in quella occasione, il Presidente ha chiamato la Turchia per chiedere al Presidente Erdogan cosa fosse successo. Ha avuto risposta da parte dell'attuale Primo Ministro Davutoglu e ha capito cosa stessero facendo e per quale motivo.
  La nostra protesta c’è sempre stata. Se spostiamo i peshmerga per aiutare il Kurdistan della Siria, stia pur sicuro che aiutiamo anche i fratelli del Kurdistan della Turchia, anche se non approviamo quello che stanno facendo, perché per noi non è più il momento di combattere in montagna, ma dentro le Aule del Parlamento. Ieri, per esempio, in Parlamento Leyla Zana ha giurato in lingua curda, cosa che è sempre stata proibita, quindi le volevano far ripetere il giuramento, ma lei ha rifiutato, avendo fatto anni di galera per questa motivazione. Pertanto, qualcosa deve cominciare a cambiare anche in Turchia. Spero di averle risposto.
  Per quanto riguarda l'altra sua domanda sull'ISIS, tutti sappiamo chi sono. Voi lo sapete meglio di me. Chi viene sfollato dalla Siria viene accolto nel Kurdistan dell'Iraq senza guardare alla razza, né alla città di provenienza, né se siano curdi, cristiani o musulmani. Se un essere umano bussa alla porta, il Governo centrale dell'Iraq non apre e ha proibito anche al Presidente Barzani di aprire. Ciò nonostante, il Presidente ha aperto la porta perché ieri eravamo noi a bussare a quelle degli altri, che l'Iraq lo consenta o meno. Quindi, abbiamo accolto tutti. Non so se ho risposto a tutte le sue domande, ma spero di sì.
  Lei mi ha chiesto della no fly zone.

  GIORGIO BRANDOLIN. Perché una no fly zone, visto che l'Isis non ha ancora, fortunatamente per noi, una flotta aerea ?

  REZAN KADER, Alto Rappresentante del Governo Regionale del Kurdistan in Italia. Non lo sappiamo perché ci fosse ancora qualche aereo dell'Iraq all'aeroporto di Mosul, poi che i terroristi non sappiano usarli è un altro discorso. Comunque, hanno i droni per filmare quello che stanno facendo. In ogni caso, la no fly zone non vale solo quando qualcuno viene bombardato con raid aerei. Intendo un cuscinetto in cui la popolazione sia protetta dalle forze internazionali. Non deve essere tutelato solo chi viene bombardato.

  GIORGIO BRANDOLIN. Quindi, pensa a una forza di interposizione come quella dei caschi blu tra hezbollah e Israele o in Kosovo e così via...

  REZAN KADER, Alto Rappresentante del Governo Regionale del Kurdistan in Italia. Infatti, ho parlato proprio di caschi blu e della presenza di un cuscinetto in cui la gente possa essere protetta. Il primo giorno tutti i miei fratelli cristiani chiedevano questo. Lo hanno chiesto a tutti, anche al Presidente Renzi a cui abbiamo chiesto di creare un cuscinetto di sicurezza per noi.
  Riguardo all'altra sua domanda circa gli aiuti ulteriori ai peshmerga, li abbiamo chiesti perché i peshmerga sono gli unici a combattere sul territorio e a versare il sangue. Aiuti per loro significa non solo ricevere addestramento, cosa di cui vi ringraziamo perché è molto importante, ma, appunto, ulteriori aiuti militari. Ormai tutti sappiamo cosa ha l'ISIS. Peraltro, il Presidente Barzani ha informato il cardinale Filoni, quando era inviato speciale del Santo Padre sul territorio del Kurdistan; l'ho accompagnato io. Ultimamente lo ha detto anche alla Ministra Pinotti. Infatti, c'era una specie di carro armato che, in realtà, era una macchina che niente poteva distruggere e che poi è stata distrutta da un peshmerga ferito che si buttato sotto questo fuoristrada, si è alzato e ha sparato con un Pag. 14bazooka dal finestrino, uccidendo tutti e quattro gli occupanti che erano di quattro razze diverse. Il Presidente, allora, si domanda come uno yemenita, un ceceno, un altro straniero e un altro che, purtroppo, era tedesco, abbiano fatto a comunicare fra di loro e che cosa li convince ad arrivare sul territorio del Kurdistan per combattere i peshmerga. Ecco, ho fatto questo esempio per dire che hanno armi all'avanguardia, molto sofisticate. Pertanto, aiutare i peshmerga significa armarli meglio.
  Inoltre, purtroppo, abbiamo molti peshmerga feriti. La Germania, per esempio, sta continuando ad accogliere dei peshmerga per poterli curare. Quindi, abbiamo chiesto alla Ministra Pinotti di farlo anche qui, visto che ci sono ospedali di eccellenza in Italia. Tuttavia, ancora non vediamo l'esito di questa richiesta, quindi ho intenzione di invitare qui una delegazione di peshmerga, compreso il ministro, per parlare davanti alla Commissione difesa e incontrare la Ministra Pinotti, sia per chiedere ulteriori chiarimenti sulla situazione attuale, sia per discutere di quello che i pershmerga hanno bisogno.

  PRESIDENTE. Lascio la parola al collega Mazzoni, che aveva una domanda precisa.

  RICCARDO MAZZONI. L'unica domanda a cui non aveva risposto è se l'intervento di terra dell'Occidente è utile.

  GIORGIO BRANDOLIN. La mia prima domanda, invece, era sui flussi di terroristi.

  PRESIDENTE. Visto che stiamo parlando della questione delle armi ai peshmerga e visto che il collega Mazzoni ha fatto una domanda precisa su questo, proporrei di concludere per poi tornare ai flussi.

  REZAN KADER, Alto Rappresentante del Governo Regionale del Kurdistan in Italia. Come dicevo, l'aiuto ai peshmerga è armarli e addestrarli meglio, nonché curare quelli che ne hanno bisogno fuori dal Paese. Queste sono gli aspetti prioritari che ci stanno a cuore.
  Inoltre, lei mi domandava del fenomeno dell'ISIS. Noi siamo stati immigrati, nel senso di sfollati dal nostro territorio. All'epoca, ci siamo recati in Turchia e in Iran perché sotto i bombardamenti non si aspetta un aereo che viene a salvarti. Quindi, siamo dovuti scappare nei Paesi limitrofi, prima di tutto in Iran e Turchia. Peraltro, anche all'epoca, non per criticare, la Turchia ha aperto la sua frontiera dopo quattro giorni, mentre l'Iran lo ha fatto immediatamente, non perché il Governo dell'Iran sia migliore, ma perché tra i curdi dell'Iran e noi curdi dell'Iraq non è mai esistita la frontiera. Questo è quello che volevo dire. Per la Turchia, invece, la frontiera esisteva eccome, quindi non ci hanno fatto entrare.
  L'ISIS ha creato il fenomeno perché ha già creato la guerra, quindi l'immigrazione, con gli sfollati e i rifugiati. Allora, non è molto insensato pensare che in mezzo a questo flusso si siano inseriti loro militanti. Del resto, all'epoca – parlo degli anni Settanta e Ottanta – anche in mezzo a noi si mettevano dei membri del partito Ba'th per capire quale famiglia fosse più importante per influenzare i peshmerga.
  Anche in questo caso, anche se le porte non erano aperte, c'era un flusso incredibile di persone. C'erano delle strade che una semplice famiglia non poteva trovare da sola, ma sono stati quelli che hanno creato la guerra a creare l'emigrazione. Chi ha creato la guerra manda anche fuori le persone, allora non è difficile pensare che in mezzo a questi migranti vi possa essere anche qualche esponente dell'ISIS, cosa che abbiamo riscontrato in Francia.
  Come Kurdistan, però, non ne abbiamo evidenza.

  PRESIDENTE. È una sensazione.

  REZAN KADER, Alto Rappresentante del Governo Regionale del Kurdistan in Italia. È evidente che potrebbero esserci delle infiltrazioni, quindi abbiamo sempre detto che bisogna fare attenzione a chi entra e a chi Pag. 15esce. Noi, nel nostro piccolo, in Kurdistan facciamo accoglienza, ma provvediamo anche all'identificazione immediata delle persone con la nostra intelligence. Anzi, ringraziamo la nostra gente che ci aiuta tantissimo.

  PRESIDENTE. Anche da noi lo facciamo, ma c’è sempre il problema di chi non vuole farsi identificare, quindi dell'impossibilità della coercizione sul soggetto. Ecco, ci può spiegare come fate ?

  REZAN KADER, Alto Rappresentante del Governo Regionale del Kurdistan in Italia. Ho detto intelligence perché quando si arriva alla frontiera del Kurdistan, viene chiesto al soggetto chi è e quant'altro, ma non c’è solo una persona preposta al controllo, ma ci sono anche altre persone che collaborano con noi. Si tratta di persone del territorio della Siria, per cui se una persona araba si spaccia per curda, ci sono altri quattro curdi della stessa città o villaggio del Kurdistan di cui ci fidiamo che ci possono dire che, magari, quella persona non parla la loro lingua o il loro dialetto. La nostra intelligence funziona in questo modo. Non lo dico per vantarci. Purtroppo, si tratta di un fenomeno che abbiamo affrontato prima degli altri Paesi, fin dagli anni Cinquanta e Sessanta. Ecco, intendevo questo.
  Sulla no fly zone ho già risposto. Mi riferivo alla creazione di un cuscinetto di sicurezza, come il popolo curdo chiede. Noi sosteniamo l'idea di fare una cintura di sicurezza per la gente. Peraltro, se i cristiani avessero avuto una cintura di sicurezza stia sicuro che nessuna delle nostre chiese sarebbe potuta essere distrutta.

  MASSIMO ARTINI. Come precisazione le pongo un'altra domanda. Siccome le cinture di sicurezza, come quella del Libano, nascono da accordi tra Stati, il fatto che nel mezzo ci sia anche l'Iraq può creare una situazione di stallo, nel caso non lo volesse chiedere ? Cosa ci può dire, inoltre, sulla conferenza ?

  REZAN KADER, Alto Rappresentante del Governo Regionale del Kurdistan in Italia. Il problema dell'Europa con l'Iraq – ripeto – è che il Kurdistan Si comporta come uno Stato ma non lo è. Il popolo curdo rappresenta la stabilità della zona, quindi non riesco a capire perché ancora oggi tutti, compreso il Governo italiano, si riferiscono sempre al Governo sovrano dell'Iraq. Si sa che in questo momento l'Iraq non funziona, come non funzionava prima. Mi dispiace dirlo, ma glielo assicuro. Io faccio il diplomatico del mio Paese, ma non riesco a dire una bugia per il mio Paese. La realtà è che noi in Kurdistan stiamo combattendo da soli una guerra che tutto il mondo teme. Il Governo dell'Iraq è assente. Fino ad oggi non è arrivato nessun soldato dell'Iraq. Peraltro, l'Iraq non ha pagato un euro, né un dollaro, né un dinaro ai nostri peshmerga o alle loro famiglie. Anzi, c’è un embargo doppio su di noi. Ad oggi, non arriva neppure una pallottola. Quando mandate gli aiuti, devono essere prima consegnati e controllati a Baghdad, dopodiché arrivano da noi. Non abbiamo nemmeno il diritto di ricevere direttamente gli aiuti. Da parlamentari, dovreste combattere con il vostro Governo affinché gli aiuti arrivino direttamente in Kurdistan.
  La metà delle armi che arrivano a noi restano per mesi a Baghdad, da dove poi vengono smistate, per cui solo un quarto arriva a destinazione.
  Noi abbiamo parlato molto chiaro. Cerco di essere molto chiara proprio perché non riesco più a nascondermi sotto la bandiera dell'Iraq. Facciamo parte dell'Iraq. Siamo obbligati a far parte dell'Iraq, ma se l'Iraq non ci dà niente per quale motivo dobbiamo continuare a farne parte ?
  Questa, forse, non è la sede giusta per dirlo, ma lo dico a voi perché siete dei cari amici del popolo curdo, conoscete la situazione dei curdi, sapete chi siamo noi e cosa abbiamo fatto fino a oggi. Siamo stati l'unico strumento di stabilità, di pace e di accoglienza nella zona, quindi è arrivato il momento di non fare sempre riferimento alla bandiera e al Governo dell'Iraq, ma di cercare di dare una voce al popolo curdo.Pag. 16
  Se ci date un aiuto militare, non lo usiamo contro di voi o contro la Turchia, bensì contro l'ISIS per difendere la nostra gente che è multietnica e multi religiosa. L'ISIS è contro i nostri fratelli cristiani perché fanno parte del cristianesimo e hanno il crocifisso in mano; è contro i nostri fratelli yazidi perché sono, appunto, curdi yazidi, che non hanno nessuna colpa.
  È arrivato il momento che anche voi facciate pressione sui governi del mondo e specialmente sul vostro per farci arrivare direttamente gli aiuti. Anche gli aiuti umanitari vanno prima a Baghdad e poi arrivano a casa nostra. Non parliamo, poi, degli aiuti militari, che restano lì mesi o settimane. I nostri peshmerga combattono senza una pallottola. Ecco, vorrei chiedervi solo questo, cioè di fare la pressione sui vostri governi.

  MASSIMO ARTINI. Vorrei fare solo un appunto. La domanda che mi pongo, al netto delle valutazioni che la maggioranza dovrebbe fare in questa situazione, anche perché il Parlamento ha fatto queste richieste più volte, è se le persone formate dall'Italia direttamente a Baghdad siano utili a questo punto, visto che lei ci conferma che poi non svolgono questo ruolo. Al momento ci sono 750 persone in Iraq, di cui 250 in Kuwait nella parte a supporto degli aerei, mentre altri 125-130 (attualmente in aumento) sono direttamente a Baghdad per addestrare le forze irachene. Ora, siccome 140 persone sono un impegno economico non indifferente, mi ponevo questa domanda.

  PRESIDENTE. È una bella osservazione che ci ha stimolato, ma ovviamente non chiediamo il commento dell'Alto rappresentante, che ringraziamo.
  Come vede, i commissari sono molto preparati e al corrente della situazione, ma lei ci ha dato degli ulteriori spunti. Peraltro, ognuno di essi è anche membro di altre Commissioni inerenti, come quella della difesa. Come ha detto il vicepresidente Brandolin, non poteva essere più chiara, quindi ringraziamo la dottoressa Kader e salutiamo chi l'accompagna, ovvero Dizay Mamawandy, responsabile della segreteria curda, Arianna di Capua e Davide Callini, assistenti della dottoressa Kader, e la dottoressa Teresa Calabrò del Servizio dei rapporti internazionali della Camera.
  Ringrazio anche i colleghi presenti e ricordo loro che la prossima settimana, il 25 novembre alle 8.30, abbiamo il Ministro Padoan. Peraltro, è una notizia in sé perché non è mai venuto un Ministro dell'economia in questa sede.
  Inoltre, stiamo cercando di riavere l'ambasciatrice francese, che è già venuta e ha partecipato ad altri eventi della Camera. Infine, stiamo anche cercando un responsabile dei servizi dell’intelligence italiana che ci possa spiegare cosa sta accadendo dopo i fatti di Parigi.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.55.