XVII Legislatura

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Mercoledì 23 settembre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ravetto Laura , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEL FENOMENO MIGRATORIO NELL'AREA SCHENGEN, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLE POLITICHE DEI PAESI ADERENTI RELATIVE AL CONTROLLO DELLE FRONTIERE ESTERNE E DEI CONFINI INTERNI

Audizione dell'ambasciatore d'Ungheria a Roma, S.E. Peter Paczolay.
Ravetto Laura , Presidente ... 3 
Paczolay Peter , Ambasciatore d'Ungheria a Roma ... 4 
Ravetto Laura , Presidente ... 8 
Fasiolo Laura  ... 8 
Orellana Luis Alberto  ... 9 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 9 
Orellana Luis Alberto  ... 9 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 9 
Scibona Marco  ... 10 
Campana Micaela (PD)  ... 10 
Ravetto Laura , Presidente ... 11 
Paczolay Peter , Ambasciatore d'Ungheria a Roma ... 11 
Ravetto Laura , Presidente ... 12 
Paczolay Peter , Ambasciatore d'Ungheria ... 12 
Ravetto Laura , Presidente ... 14 
Paczolay Peter , Ambasciatore d'Ungheria ... 14 
Ravetto Laura , Presidente ... 14

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LAURA RAVETTO

  La seduta comincia alle 8.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
  (Così rimane stabilito).

Audizione dell'ambasciatore d'Ungheria a Roma, S.E. Peter Paczolay.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dell'ambasciatore d'Ungheria a Roma, Peter Paczolay.
  Buongiorno, ambasciatore. Siamo lieti di averla qui. Come lei sa, questo è un Comitato bicamerale che vigila sull'attuazione di Schengen, formato da senatori e deputati. Abbiamo svolto delle indagini conoscitive generali sui flussi migratori.
  Adesso avviamo questa nuova indagine. La chiamiamo perché il suo Paese in queste ore ha ravvisato delle problematiche o comunque delle tematiche a livello dei suoi confini.
  In particolare, noi abbiamo già avviato una serie di audizioni per analizzare le problematiche che hanno visto acuirsi negli ultimi giorni crescenti tensioni in relazione ai massicci afflussi di migranti che utilizzano la cosiddetta «rotta dei Balcani occidentali» per raggiungere l'Unione europea. Giovedì scorso abbiamo audito l'ambasciatrice di Germania e domani abbiamo in programma l'audizione dell'ambasciatore d'Austria.
  La decisione di ripristinare i controlli alle frontiere interne da parte di un numero crescente di Stati membri desta naturalmente l'attenzione di questo Comitato, per la tenuta complessiva del sistema Schengen.
  Risulta al Comitato, anche da notizie di stampa (agenzia ANSA del 19 settembre 2015), che l'Ungheria abbia realizzato una barriera di filo spinato lungo i confini con la Serbia per un tracciato di circa 175 chilometri, e una di 41 chilometri ai confini con la Croazia.
  Risulta, inoltre, al Comitato che l'Ungheria abbia intenzione di costruire un'analoga barriera anche ai confini con la Romania (agenzia ANSA del 16 settembre 2015). Il Governo rumeno avrebbe convocato l'ambasciatore ungherese al riguardo.
  In proposito, risulta al Comitato che il 17 settembre scorso, anche secondo l'agenzia LaPresse/Reuters, il Commissario europeo per l'immigrazione e gli affari interni, Avramopoulos, nel corso di una conferenza stampa congiunta con i ministri ungheresi degli esteri e dell'interno, abbia affermato che le barriere come quella costruita dall'Ungheria al confine con la Serbia rappresentano una soluzione temporanea e hanno il solo effetto di modificare i percorsi dei migranti verso altri Paesi e d'incrementare le tensioni.
  Le chiediamo, quindi, un suo commento su queste affermazioni di Avramopoulos e su quello che sta succedendo. Le chiediamo se questo rappresenta una messa in discussione del Trattato Schengen, oppure una messa in discussione del regolamento di Dublino, e se lei ritiene che questa situazione possa essere superata eventualmente con una modifica di Dublino o con un potenziamento di Schengen. Abbiamo Pag. 4sentito parlare anche dalla stessa Merkel di rafforzamento delle frontiere esterne. Le chiediamo una sua valutazione in merito.
  Le saremmo grati se, oltre a riportarci dei fatti concreti avvenuti in Ungheria, ci illustrasse anche una posizione giuridica del suo Paese.
  L'altro tema su cui avrei piacere che desse al Comitato delucidazioni è quello relativo alla decisione presa ieri in seno al Consiglio dei ministri degli interni dell'Unione. Mi riferisco alla distribuzione di 120.000 migranti. Le chiedo di riferirci la posizione del suo Paese, che, se non sbaglio, ha votato contro la deliberazione. Tuttavia, il suo Governo ha dichiarato di volerla comunque mettere in atto, essendo passata a maggioranza. Vorrei sapere se questo è vero e qual è la posizione.
  L'ambasciatore è disponibile a fare il suo speech direttamente, senza interprete. Invece, per precisione, chiederò all'interprete di tradurre in contemporanea le domande dei colleghi.
  Ambasciatore, la seduta è a circuito pubblico. Se lei riterrà di avere argomentazioni e dichiarazioni che ha necessità di secretare, ce lo dica e noi sospenderemo la pubblicità dei lavori.

  PETER PACZOLAY, Ambasciatore d'Ungheria a Roma. Gentilissima signora Presidente, onorevoli deputati e senatori, innanzitutto vi ringrazio per il cortese invito e per l'opportunità che mi avete concesso di illustrare la situazione abbastanza complessa dell'Ungheria e anche la posizione del Governo ungherese riguardo alla crisi dell'immigrazione, che ormai attraversa tutta l'Europa e che sta prendendo, secondo noi, una svolta drammatica.
  Condividere con voi le informazioni di prima mano è molto importante per noi, anche perché la stampa, come è logico, dando importanza al valore informativo della notizia, purtroppo punta sugli episodi che avvengono sulla frontiera ungherese e che superano la soglia di sensibilità del pubblico, e non si concentra sulle motivazioni delle parti interessate, perlomeno non con gli stessi accenti e commenti.
  Ritengo molto importante il dialogo tra i Governi, i Parlamenti e la sfera civile, in una situazione in cui non esistono strade già prestabilite, esempi da seguire o best practice da condividere.
  Per risolvere il problema dell'immigrazione clandestina, l'Italia e l'Ungheria incontrano le stesse problematiche, anche se non nello stesso tempo, le stesse difficoltà e le stesse frustrazioni.
  Pertanto, è auspicabile mantenere aperti i canali di comunicazione, anche nelle situazioni più drammatiche, rispettando nella maniera più assoluta la posizione di ciascun Paese.
  Riguardo al primo tema, ossia alla situazione attuale dell'immigrazione, vi riporto alcuni dati. Fino al 21 settembre in Ungheria sono arrivati 224.000 immigrati clandestini. Quasi il 90 per cento di essi sono arrivati dal confine serbo, e quasi tutti i restanti (oltre 21.000 persone) sono arrivati nei giorni scorsi dalla Croazia.
  Per avere un confronto, nell'anno 2010 il numero degli immigrati clandestini era 3.150; l'anno scorso, nel 2014, hanno raggiunto la quota di 44.000; mentre oggi, come abbiamo detto, sono 224.000.
  Finora, il numero dei richiedenti asilo ha superato le 173.000 persone. Poco più di un terzo di essi ha dichiarato di essere di nazionalità siriana. Un ulteriore quarto ha dichiarato di essere afgano, mentre i restanti arrivano da altri Paesi, come il Bangladesh e diversi Paesi africani. È abbastanza alta la percentuale dei kosovari: 14 per cento, che equivale a oltre 24.000 persone.
  Se il flusso migratorio dei clandestini continuasse con lo stesso ritmo e l'Ungheria non prendesse delle misure severe, il numero degli immigrati entro la fine dell'anno potrebbe raggiungere le 400.000-500.000 persone, una sfida molto grave e pericolosa per un Paese di 10 milioni di abitanti.
  Come si evince chiaramente dai numeri, non si tratta di un'ondata migratoria, Pag. 5bensì di una migrazione di grandi parti di popolazioni, di cui dobbiamo tener conto a più lungo termine.
  È da considerare anche un altro fattore: in quest'ultimo periodo, rispetto alla popolazione e al prodotto interno lordo, il numero degli immigrati clandestini arrivati in Ungheria è stato il più alto all'interno dell'Unione europea, come riportato nel settimo numero dei Migration policy debate dell'OCSE, pubblicato ieri e intitolato «Is this humanitarian migration crisis different ?».
  La notevole pressione migratoria ha causato in Ungheria gravi difficoltà, sia tecniche che logistiche. Le autorità ungheresi si stanno impegnando ben oltre le loro forze.
  Allo stesso tempo, è ammirevole e impressionante come si stanno muovendo la società civile, la gente comune e le comunità religiose, per assistere in ogni modo i profughi. Senza la loro disponibilità e il loro aiuto, la situazione sarebbe molto più difficile.
  Crediamo nella soluzione europea, ma la presente situazione straordinaria richiede soluzioni altrettanto straordinarie e reazioni immediate. Non c’è tempo per affidare la sorte di centinaia di migliaia di persone alla lentezza della burocrazia, che in tanti casi potrebbe condurre solo a soluzioni superficiali e inappropriate.
  Decidere se sia più importante rispettare le regole oppure difendere l'immagine di una nazione è una responsabilità enorme per qualsiasi Governo.
  Signor presidente, lei mi ha chiesto di illustrare la situazione alle frontiere ungheresi e lo scopo del filo spinato: canalizzare il flusso o difendere la frontiera, sia quella ungherese che quella di Schengen.
  Parlando di immigrati fuggiti per motivi politici, l'Ungheria conosce molto bene le difficoltà di questo genere. Nel 1956 ai richiedenti asilo magiari sono stati destinati dei campi di accoglienza, dove dovevano aspettare, farsi registrare, presentare la loro domanda al Paese di destinazione, aspettare l'autorizzazione del Paese straniero che avevano scelto, in primo luogo Stati Uniti e Canada, e, soltanto una volta arrivata l'autorizzazione, potevano proseguire. Non era un flusso senza regole.
  Tuttavia, la situazione attuale è completamente diversa da quella del 1956. Gli immigrati clandestini, prima di arrivare nel nostro Paese, hanno già attraversato diversi Paesi che possiamo considerare sicuri.
  Qual è il problema ? La maggior parte di loro, salvo qualche eccezione sempre degna di nota, non vuole semplicemente lo status di rifugiato, ma vuole lo status di profugo in Germania. Questa è un'altra storia. Non siamo fermamente convinti che si debba distinguere tra i richiedenti asilo e gli immigrati per ragioni puramente economiche ?
  L'Ungheria ha sempre accolto e continuerà ad accogliere persone che scappano per motivi politici. Le nostre frontiere sono aperte davanti a tutti coloro che entrano legalmente e vogliono farsi registrare come richiedenti asilo. Il nostro impegno è determinato a rispettare le norme internazionali, i princìpi e i valori europei.
  La solidarietà è pertanto fondamentale anche per noi, ma siamo convinti che si debba cercare la vera soluzione al di fuori dell'Europa. Dobbiamo creare le condizioni per una vita degna nei Paesi in cui queste persone sono nate e aiutarli a non dover lasciare la loro terra. Con la politica di sviluppo dell'UE, dobbiamo aiutare le persone a non avere dei motivi per lasciare le loro case. Dobbiamo inoltre cercare di dare più finanziamenti ai campi profughi nelle regioni interessate.
  In questo, anche l'Ungheria è pronta a fare la sua parte. Queste saranno le proposte del Governo ungherese stasera a Bruxelles.
  L'Ungheria comprende le persone che partono per avere una vita migliore, ma non è in grado di aiutare tutti. Il Governo ungherese ha il compito di dare lavoro agli ungheresi, ma non può garantire agli immigrati un posto di lavoro fisso.
  Già l'anno scorso il Governo ungherese aveva attirato l'attenzione dell'opinione pubblica europea sul fatto che la sfida più Pag. 6impegnativa a cui l'Europa avrebbe dovuto far fronte nel 2015 sarebbe stata l'immigrazione economica.
  Fin dall'inizio la posizione dell'Ungheria è stata chiara e univoca: non è facile gestire bene i flussi migratori, bisogna pertanto fermarli. Il nostro Paese accoglie tutte le persone che hanno bisogno d'asilo – lo ripeto – come ha fatto durante la crisi balcanica vent'anni fa. Tuttavia, il Governo ungherese sostiene fermamente che l'attuale migrazione per motivi economici sia dannosa per i nostri Paesi. Noi possiamo garantire l'asilo politico soltanto alle persone che scappano per salvare la loro vita e che devono lasciare le loro case in ragione della loro razza, religione o nazionalità.
  Devo porre l'attenzione anche su un altro fatto. Il Governo ungherese non è antislamico. Noi riteniamo che la religione musulmana abbia dei meriti innegabili: una base spirituale e intellettuale che ha creato delle importanti civiltà in tutto il mondo. Noi lo sappiamo, grazie ai 150 anni di convivenza con gli ottomani.
  Ci tengo, infatti, a sottolineare che non critichiamo la religione musulmana come civiltà e che vogliamo rafforzare i nostri rapporti con i Paesi edificati su questa fede. Consideriamo le comunità islamiche ungheresi come un valore, e non abbiamo alcuna intenzione di metterle in una situazione di imbarazzo.
  Passo ora all'area Schengen e alla sua chiusura. Negli ultimi due mesi sono arrivati in Ungheria immigrati clandestini in un numero mai visto in precedenza. Sono false e totalmente da rigettare le dichiarazioni secondo le quali l'assistenza data agli immigrati non era o non è all'altezza.
  L'Ungheria, rispetto alla situazione economica, si carica di una parte consistente della solidarietà che grava sull'Europa. Il numero delle persone che arrivano da noi e che presentano richiesta di asilo è doppio rispetto al numero accolto, per esempio, dall'Italia e dalla Grecia messe insieme.
  Questi immigrati sono arrivati sul territorio del nostro Paese attraverso il confine verde, evitando i valichi di frontiera ufficiali. Durante il loro viaggio, l'Ungheria è il primo Stato che assicura loro una reale assistenza e non si limita a mandarli in altri Stati.
  Lo Stato eroga circa 13-14 euro per l'assistenza giornaliera di ciascun migrante irregolare. Il salario minimo in Ungheria attualmente è di 330 euro, che corrisponde a 10-11 euro giornalieri. I migranti illegali che si trovano nelle stazioni di accoglienza, oltre ai tre pasti giornalieri, dal trentesimo giorno di permanenza ricevono anche una piccola somma di denaro da utilizzare liberamente.
  L'Ungheria adempie al suo compito nella crisi della migrazione dei popoli dell'età moderna in una misura che supera di molto le sue possibilità economiche e le sue risorse.
  In molti casi, però, il lavoro delle autorità e dei soccorritori è reso più difficile a causa della mancanza di collaborazione da parte degli stessi immigrati. Lo Stato ungherese non può dare assistenza ai profughi che si rifiutano di collaborare, aggrediscono gli agenti delle forze dell'ordine e non sono disposti a entrare nelle strutture indicate e a sottoporsi alla registrazione.
  Possiamo, infatti, affermare con fierezza che nei mesi scorsi è stata proprio l'Ungheria a impedire il verificarsi di una catastrofe umanitaria al confine dell'Unione europea.
  L'Ungheria tuttora si impegna a proteggere i suoi confini, continua a insistere su quanto stabilito nell'accordo di Schengen e rispetterà il trattato.
  In questi ultimi giorni e settimane sono tutti diventati esperti di diritto internazionale e specialmente del Codice Schengen. Nel Codice Schengen io leggo che le frontiere esterne possono essere attraversate soltanto ai valichi di frontiera e durante gli orari di apertura stabiliti. Quando attraversano una frontiera esterna, i cittadini dell'UE sono sottoposti a una verifica minima. I cittadini di Paesi terzi sono sottoposti a verifiche approfondite. Non voglio leggervi tutto il Codice Schengen, perché lo conosciamo tutti e lo leggiamo tutti i giorni.Pag. 7
  La situazione ai confini di Schengen è assolutamente diversa da quella che ci aspettavamo noi cittadini europei.
  L'Ungheria – lo ripeto – rispetterà il trattato. L'accordo stabilisce che le frontiere di Schengen possono essere varcate solo attraverso valichi di frontiera. Se il Governo ungherese rinunciasse ad adempiere ai suoi obblighi derivanti dall'accordo, ne conseguirebbe automaticamente che l'Ungheria resterebbe al di fuori di Schengen, violando il trattato. Pertanto, i suoi cittadini perderebbero uno dei diritti europei più pratici ed essenziali, quello della libera circolazione.
  L'Ungheria, in quanto Paese di confine dell'Unione, è obbligata a proteggere le frontiere. È il caso di precisare, però, che, nonostante tutte le voci, il Governo ungherese non ha chiuso le frontiere, ma ha costruito una cosiddetta «barriera fisica provvisoria» lungo il confine con la Serbia, per diminuire in questo modo il numero record verificatosi nell'attraversamento illegale delle frontiere e per dirigere il flusso dei migranti che arrivano dal Sud, controllando e legalizzando il loro ingresso sul territorio dell'Unione europea, come previsto appunto dal Trattato di Schengen.
  Nel caso in cui fosse necessario allo scopo di proteggere il confine verde, l'Ungheria è pronta a costruire ulteriori barriere provvisorie su altri confini, come quelli con la Romania e la Croazia.
  Queste sono mosse forzate, con cui, però, l'Ungheria protegge gli interessi di tutti gli Stati membri e di tutti i cittadini dell'Unione europea, come ha sottolineato proprio ieri l'ex commissario Verhofstadt, il quale ha affermato che l'Ungheria fa il lavoro sporco al posto dei tedeschi.
  L'Ungheria non gode assolutamente di questa situazione, che è molto spiacevole. Il Governo certamente auspica che, una volta fermato o almeno canalizzato verso i valichi legali il flusso, le barriere provvisorie possano essere smantellate immediatamente.
  Per l'Ungheria, quindi, l'aspetto più importante da salvaguardare e la priorità principale è la protezione dei confini esterni dell'Unione europea.
  Sin dall'inizio, non siamo stati d'accordo con il sistema delle quote. Ieri quattro Paesi membri hanno votato contro: Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania. C’è una coerenza fra questi Paesi quasi mai vista nella storia dell'Europa centrale. Dal primo momento noi non siano stati d'accordo con il sistema delle quote.
  Non siamo fondamentalmente contrari alla ripartizione dei migranti per quote, ma riteniamo che non sia ancora giunto il momento di discuterne. La questione è ancora prematura. Se entrano decine di migliaia di persone ogni giorno, riallocare 120.000 migranti non risolve il problema, anzi lo nasconde.
  Questa riallocazione secondo noi significherebbe anche mandare un messaggio a questi profughi: l'illusione di poter accedere al continente liberamente. Parlare oggi di quote significa incoraggiare la migrazione irregolare.
  Se, invece, si riesce a organizzare la protezione dei confini, si può cominciare a discutere dell'introduzione di un sistema equo concernente la ridistribuzione dei migranti, sempre che questo prenda in considerazione che fra certi Stati membri ci sono serie disparità per quanto riguarda il sostenimento degli oneri.
  Infatti, desidero, sottolineare di nuovo che l'Ungheria non rifiuta il comune ragionamento sul sistema delle quote, nella forma di una discussione razionale e priva di emozioni, ma ritiene che prima di adottarlo ci siano delle decisioni urgenti da prendere su molte altre questioni.
  Rappresentiamo la nostra posizione in modo sistematico e coerente nei forum dell'Unione, così come lo fanno tutti gli Stati membri.
  Se riusciamo ad armonizzare i nostri interessi e ad accordarci, ciò significa il successo di tutta l'Europa. Se, invece, si prende una decisione in una questione con voto maggioritario, in assenza del consenso unanime, e sulla quale l'Ungheria ha un parere contrario, ne prenderemo atto e la rispetteremo.
  Tuttavia, allo stesso tempo, cerchiamo di provvedere alle misure nazionali che Pag. 8possano contribuire al fatto che l'Ungheria, così come ci si aspetta da ciascun Paese membro, possa adempiere ai doveri che la riguardano sulla base delle convenzioni di Schengen e di Dublino: protezione delle frontiere, registrazione dei rifugiati e svolgimento dei procedimenti relativi ai rifugiati, per i quali anche in futuro aspettiamo da parte dell'UE un contributo equo, adeguato e proporzionato.
  Vorrei menzionare che, una volta confrontatisi con il peso del problema e con la realtà, alla fine tutti gli Stati membri riconosceranno la logica delle nostre argomentazioni. I segnali di ciò si possono già avvertire con la chiusura delle frontiere, secondo il ben noto effetto domino.
  All'interno dell'area Schengen, la libera circolazione è determinata dal controllo efficiente dei confini esterni. Senza quest'ultimo, purtroppo, c’è il rischio che i confini possano tornare anche all'interno dell'Europa, come purtroppo vediamo già.
  Assistendo in queste settimane al ripristino dei controlli al confine di diversi Paesi europei, bisogna ammettere che si tratta di un pericolo reale, che mette a rischio il risultato migliore e più tangibile dell'integrazione europea: la libera circolazione dei nostri cittadini.
  Confidiamo che, sulla base dei valori europei condivisi e nell'interesse dei comuni obiettivi e del nostro futuro comune, potranno finalmente nascere decisioni, anche se talvolta dolorose.
  Le proposte ungheresi attuali sono state illustrate il 17 settembre scorso al Commissario Dimitris Avramopoulos dai ministri degli affari esteri e dell'interno ungheresi, e saranno ripetute stasera al summit. Le proposte sono le seguenti.
  In primo luogo, l'Unione europea dovrebbe introdurre una guardia di frontiera speciale per difendere la frontiera della Grecia, che non può essere lasciata sola. A questo l'Ungheria potrebbe contribuire sia con forze militari sia con risorse finanziarie. Secondo noi, una quota obbligatoria avrebbe senso, non nella riallocazione dei migranti, ma nella riallocazione degli aiuti finanziari per la difesa della frontiera greca.
  La seconda proposta è la modifica del bilancio attuale per finanziare i campi profughi in Turchia, Giordania e Libano e per costruire nuovi campi in questi Paesi.
  La terza proposta è già in processo. Il Governo ungherese sta preparando, sotto l'auspicio della Commissione europea, una conferenza che avrà luogo agli inizi di ottobre sul flusso migratorio nei Balcani, con la partecipazione anche dei Paesi dei Balcani e della Turchia.
  Speriamo e crediamo nella soluzione europea comune. Vi ringrazio per la vostra attenzione a questa introduzione.

  PRESIDENTE. Grazie, ambasciatore.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  LAURA FASIOLO. Buongiorno, ambasciatore. La ringrazio per la sua esauriente illustrazione. Peraltro, mi sembrano avere una certa prospettiva significativa le proposte conclusive che lei ha enunciato.
  Tuttavia, vorrei rimarcare un concetto, anche in nome di una tradizionale e forte amicizia e collaborazione tra i nostri Paesi, che sento profondamente per una serie di ragioni e che mi pare doveroso evidenziare.
  Qualsiasi Paese che intenda aderire all'Unione europea ovviamente deve rispettare i criteri di adesione e i criteri di Copenaghen. Si tratta di criteri politici di rispetto delle garanzie di democrazia, dello stato di diritto e dei diritti dell'uomo. Evidentemente, l'ingresso di un Paese nell'Unione è il culmine di un percorso e, quindi, comporta l'assunzione di questi impegni solenni, che vanno condivisi.
  Lei ha affermato che non ci sono best practices, ovvero pratiche da imitare. Alcuni Paesi, il nostro in particolare, hanno tante buone pratiche che possono essere di spunto e d'interesse anche per il vostro Paese. Credo che sia gli SPRAR che l'organizzazione di hot spots siano una possibilità.
  Le domando se nel vostro Paese c’è l'intenzione di creare un'organizzazione interna e a che punto siete.Pag. 9
  In secondo luogo, intendete prendere dei provvedimenti nei confronti di quelle forze di polizia che hanno dato un'immagine così pesante di accoglienza all'Europa e al mondo ?

  LUIS ALBERTO ORELLANA. Grazie, ambasciatore, per la sua lunga illustrazione della situazione dal punto di vista ungherese.
  Io saluto con piacere l'indicazione che, qualsiasi sarà la decisione, questa sarà comunque rispettata dall'Ungheria. Ormai non diamo più niente per scontato in questa Europa.
  Vorrei porle qualche domanda puntuale. La prima concerne il tema degli hot spots, che anche la settimana scorsa è emerso con l'ambasciatrice della Germania. All'Italia è stato chiesto di instaurarne cinque o sei, essendo un Paese di frontiera esterna. Anche l'Ungheria lo è, quindi vorrei sapere cosa ne pensate.
  Inoltre, vorrei sapere quali sono i tempi medi di esame delle domande di asilo. Ci ha detto che ne avete tante. Quante ne accettate ? Esiste la possibilità di ricorso ? Questa procedura per l'Italia è un problema, soprattutto relativamente ai tempi. Vorrei sapere qual è la situazione in Ungheria.
  In alcuni casi, c’è la necessità di un rimpatrio. Vorrei sapere anche su questo qual è la vostra posizione e se anche in quest'ambito vi aspettate un aiuto da parte dell'Unione europea.
  Le chiedo un commento sulle notizie di stampa secondo le quali ci sarebbero iniziative da parte di vari Paesi, forse anche dell'Ungheria, per inserire pubblicità nei giornali, soprattutto quelli arabi e mediorientali, al fine di scoraggiare l'arrivo di persone e di suggerire loro di rimanere e di non venire in Europa. Vorrei sapere se questo è effettivamente vero e quante risorse ha impegnato. Visto che parliamo tutti di risorse limitate, occorre pensare all'efficacia di queste iniziative.
  Infine, lei ha parlato di barriere fisiche provvisorie in Ungheria, anche al confine con la Croazia e con la Romania, che però sono frontiere interne. Io mi domando se questo corrisponda, oltre al Trattato, allo spirito di Schengen. La Serbia non è ancora membro e, quindi, si tratta di una frontiera esterna...

  GIORGIO BRANDOLIN. Neanche la Croazia e la Romania sono membri di Schengen.

  LUIS ALBERTO ORELLANA. Tuttavia, sono membri dell'Unione europea. Pertanto, mi chiedo se sia opportuno continuare su questa strada.

  GIORGIO BRANDOLIN. Ringrazio l'ambasciatore, anche perché ci ha dato contezza dei numeri, che a volte sfuggono. Ogni Paese ha le sue problematiche e mette in evidenza i suoi numeri. Sono numeri importanti.
  Io passo subito alle domande che voglio porre a proposito delle proposte da lei enunciate. Lei ha parlato di una guardia di frontiera comune in Grecia. Non ritiene che sia necessario aiutare anche il vostro Paese, la Slovenia e la Polonia, che controllano i confini esterni dell'Europa verso il Centro-Est Europa, ad affrontare questo problema e a rafforzare il controllo esterno ?
  So che quando l'Ungheria è entrata in Schengen ha dimostrato la capacità di rispettare i codici del Trattato di Schengen. Tuttavia, credo che rispetto a questa problematica non occorra aiutare solo la Grecia, ma coinvolgere anche gli altri Paesi che hanno la frontiera terrestre nel Centro-Est Europa.
  Allo stesso modo, l'Italia ha chiesto aiuto per affrontare le «frontiere» esterne nel Mar Mediterraneo, tant’è vero che nell'esperienza di Mare nostrum, in quella di Triton e adesso in quella di EUNAVFOR Med sono coinvolti 19 Paesi europei e non soltanto l'Italia, perché si è capito che il nostro Paese non poteva far fronte da solo a un'emergenza di quel tipo.
  Le chiedo se ritiene che l'Ungheria possa chiedere «aiuto» a un coordinamento europeo e ad altre polizie.
  La seconda domanda concerne la conferenza sui Balcani che lei ha annunciato Pag. 10come terza proposta. Si tratterebbe di una conferenza specifica sul discorso dei migranti, oppure dovrebbero essere inseriti tanti altri problemi ?
  La terza domanda riguarda la richiesta di modificare il bilancio europeo per la creazione di nuovi campi profughi. Lei ha parlato specificatamente di Libano, Giordania e Turchia. Mi collego ai ragionamenti dei miei colleghi sugli hot spots. Vorrei sapere se l'Ungheria non intende ragionare in termini finanziari per aiutare altri Paesi, tipo l'Italia, a cui viene chiesto di realizzarne cinque.
  Mi è sembrato che la vostra idea fosse concentrata sul flusso di immigrati provenienti dal Medioriente, ma sappiamo che questi immigrati non provengono soltanto dal Medioriente. Ci sono vari canali. Adesso parliamo dei siriani, ma fino a qualche tempo fa abbiamo parlato di centinaia di migliaia di profughi provenienti da altri Paesi, in particolare attraverso la rotta del Mediterraneo.
  Pertanto, mi chiedo se sia il caso di ragionare complessivamente e non soltanto specificatamente sull'argomento dei siriani.

  MARCO SCIBONA. La ringrazio per la spiegazione e la relazione che ci ha fornito. Le domande dei colleghi sono abbastanza ampie ed esaustive. Ho solo una domanda.
  Ho avuto notizia di trasferimenti verso l'interno dell'Ungheria. Quali sono le modalità di questi trasferimenti ? Ho letto anche di vagoni ferroviari sigillati, con dentro migranti.

  MICAELA CAMPANA. Anch'io mi associo ai ringraziamenti dei colleghi, sapendo bene che quella oggi espressa è una posizione difficile.
  Parto da un dato, che probabilmente lei ha ricordato poc'anzi. Mi scuso di essere arrivata in ritardo. Attualmente, nel secondo trimestre del 2015, secondo i dati Eurostat, il record di domande di protezione spetta alla Germania, con il 38 per cento delle candidature, mentre al secondo posto c’è l'Ungheria, con 32.700 candidature (quasi il 15 per cento). L'Ungheria, rispetto a Francia, Italia e altri Paesi, ha il primato delle candidature in rapporto alla popolazione locale: 3.317 domande per milione di abitanti.
  Detto questo e, quindi, considerando la condizione di partenza, le pongo alcune domande sui confini esterni.
  Lei ha affermato che i confini esterni vanno protetti e c’è il tema del rispetto delle regole complessive che ci si è dati. Tuttavia, come ho detto anche all'ambasciatrice tedesca, io sono convinta che, se i confini esterni sono di tutti, questi devono essere a carico di tutti. Ciò comporta il rispetto, non di alcune regole, ma di tutte le regole, comprese quelle della Convenzione sui diritti umanitari, per quanto riguarda chi arriva in Paesi sicuri da Paesi insicuri.
  Peraltro, questa Commissione si è fatta carico congiuntamente di esplicitare che già dentro al Regolamento di Dublino esiste una possibilità, laddove gli esodi siano particolarmente massicci. In questo momento, tutti gli indicatori ci mostrano che la strada non è quella di un ritorno indietro, ma è quella di un avanzamento, in quanto le condizioni di partenza dei migranti stanno peggiorando, quindi probabilmente avremo a che fare con numeri maggiori e non minori. Rispetto a Dublino, esiste già la possibilità da parte degli Stati membri di arrivare a un sistema di quote vincolante e, quindi, a un asilo politico europeo, attraverso il mutuo riconoscimento. Questo è già dentro Dublino, visto che parliamo di regole condivise.
  Mi chiedo se lei pensa che l'Italia avrebbe dovuto anch'essa creare delle barriere fisiche nei mesi scorsi, essendo anche l'Italia un Paese di confine esterno. Io penso che, se l'Italia avesse creato delle barriere, la rotta balcanica sarebbe aumentata da subito nei mesi scorsi e, quindi, sarebbero arrivati milioni di profughi da quella via.
  Lei ha affermato che parlare di quote vincolanti è prematuro. Vorrei capire in che senso, visto che oggi c’è una discussione importante sulla ricollocazione di 120.000 profughi.Pag. 11
  Io sono convinta che non bisogna immaginare quote fisse. Se i Paesi di confine si attestano sull'idea dell'Agenda europea di creare degli hot spots, assolutamente utili e necessari nell'identificazione dei migranti che arrivano, sono altrettanto necessarie delle quote vincolanti, attraverso il mutuo riconoscimento di tutti i Paesi. Altrimenti, si arriva a uno scarico e a un isolamento dei Paesi esterni.
  Un'altra questione concerne i campi profughi. Nell'Agenda europea non si parla soltanto di ricollocazione dei migranti arrivati sul territorio europeo, ma anche di ricollocazione dei migranti che sono già presenti nei campi profughi da lei citati. Le immagini e le organizzazioni internazionali ci dicono che ci sono già milioni di migranti in quelle aree. Mi chiedo come è possibile immaginare di far pesare ulteriormente su questi Paesi la presenza dei profughi.
  L'ultima domanda riguarda la posizione del suo Paese nel Consiglio straordinario di oggi. Vorrei sapere se, anche rispetto alle immagini che abbiamo visto, ci sarà una presa di posizione da parte del suo Paese.

  PRESIDENTE. Do la parola all'ambasciatore Peter Paczolay per la replica.

  PETER PACZOLAY, Ambasciatore d'Ungheria a Roma. Grazie per l'interesse e per le domande. Cerco di rispondere in modo sintetico, seguendo l'ordine delle domande.
  Ci sono diverse domande sulla problematica degli hot spots. L'Ungheria non ha chiesto all'Unione europea di aiutarla nell'instaurazione degli hot spots e non c’è neanche una volontà da parte dell'Unione Europea di creare hot spots in Ungheria.
  In verità, per noi il problema essenziale è stabilire che cosa significa hot spot, perché ancora non c’è una risposta. La maggioranza della gente pensa che l’hot spot sia un valico sulla frontiera o una stanza dove entra il rifugiato, viene registrato e così via.
  La scorsa settimana io ero a Malta a visitare l'Ufficio europeo di sostegno all'asilo (EASO), e ho domandato che cos’è ufficialmente un hot spot. La risposta è stata che ci sono vari concetti di hot spot. Secondo loro, l’hot spot non è uno stabilimento, non è un posto d'entrata, non è un valico. L’hot spot significa che quando qualcuno entra nell'Unione c’è una cooperazione fra tutti i player che sono interessati in questo processo (organizzazioni e autorità). Vengono avvisati Frontex, EASO e così via. C’è un coordinamento fra uffici, organizzazioni per le migrazioni e alcuni Paesi. Questa cooperazione esiste e funziona molto bene.
  Il comitato esecutivo dell'EASO proprio questa settimana è in meeting a Malta. La presidente dell'ufficio migratorio ungherese è membro di questo comitato esecutivo.
  La posizione dell'Ungheria è applicare i criteri di Schengen, aspettando un aiuto dell'Unione. L'Ungheria non è interessata a queste richieste sugli hot spots, come l'Italia e la Grecia. Tuttavia, anche per quanto riguarda questi Paesi c’è una posizione controversa da parte delle autorità ufficiali, sull'esigenza di stabilire, per esempio, hot spots in Italia o meno.
  C'erano alcune domande sui tempi del processo di immigrazione. Ho a disposizione tutte le possibili statistiche, ma naturalmente non sono un esperto di immigrazione. Se può esservi utile, possiamo fare un riassunto scritto in italiano.
  Per quanto riguarda i campi di accoglienza, abbiamo due istituzioni differenti: una è l'area dove entrano i rifugiati ancora non identificati. In seguito, quando sono registrati o si sono in qualche modo confrontati con le autorità, sono trasferiti in un campo di accoglienza, dove esistono le regole delle quali ho già parlato.
  Al momento noi abbiamo cinque campi di accoglienza. Gli ultimi dati che ho ricevuto sono aggiornati al 9 settembre. Ci sono 2.236 persone. A luglio ne abbiamo avute 3.746.
  Questi numeri ci dicono che la maggioranza dei migranti che si sono registrati hanno proseguito la loro strada verso altri Paesi. Comparando questa cifra ai numeri che ho citato all'inizio, appare che la maggioranza dei profughi non sono entrati Pag. 12in questi campi d'accoglienza e non si sono registrati, ma sono scappati sulle strade.
  Abbiamo visto le foto e i filmati drammatici di questi profughi non registrati. Ciò non avviene solo in Ungheria. Vediamo le stesse cose sulle strade di Austria e Germania.
  Gli ufficiali che sono impegnati nell'immigrazione sono circa 12.000, di cui 3.600 sono poliziotti. L'Ufficio per l'immigrazione ungherese ha un personale di 1.000 persone. Adesso ha avuto la possibilità di domandarne altri 500. Pertanto, ci sarà una crescita del personale di quasi il 50 per cento.
  Questo ufficio, fino a settembre, ha esaminato 2.093 richieste di asilo e accoglienza. Nella maggioranza dei casi (quasi 1.700) l'asilo è stato negato, mentre 264 migranti sono stati accolti per cause di necessità e 88 hanno ricevuto lo status di profugo. È stato accolto il 35 per cento.
  Per il processo ci sono dei tempi fissati di quattro settimane, che con questi numeri si possono mantenere. Il problema non è l'accoglienza normale di coloro che rispettano la legge e le regole di Schengen. Il problema riguarda gli altri 2.000 che non le rispettano. È questo che ha creato una crisi migratoria in Ungheria.

  PRESIDENTE. Coloro a cui è rifiutato lo status possono presentare ricorso ?

  PETER PACZOLAY, Ambasciatore d'Ungheria. Sì. Adesso c’è una nuova legislazione, che prevede una via straordinaria e accelerata per il ricorso in via giudiziaria. Per questo c’è uno stato di emergenza nella città di Szeged, dove i rifugiati sono mandati da altre parti del Paese, affinché si possa rispondere in alcuni giorni alle loro domande.
  Tutto questo processo è straordinario. Quando i migranti entrano, c’è una procedura amministrativa, dopo la quale ci si può rivolgere con un ricorso al tribunale. I numeri sono enormi, rispetto a ciò che può fare un'organizzazione, sia amministrativa sia giudiziaria, in tempi ordinari.
  C’è il problema dei rimpatri. Normalmente il processo finirebbe con il rimpatrio verso la Serbia. Il rimpatrio, secondo me, è il punto debole di tutto il sistema, sia in Ungheria che in Europa in generale. Personalmente non vedo un metodo umanitario o un metodo qualunque per rimpatriare centinaia o migliaia di persone verso il Paese di confine, come nel caso dell'Ungheria verso la Serbia, o verso i Paesi d'origine. Non ho visto un progetto di rimpatrio, né per via aerea né per altre vie.
  Riguardo ai filmati drammatici che abbiamo visto, naturalmente c’è un'inchiesta sugli eventi avvenuti alla frontiera e sulla responsabilità delle forze dell'ordine in questo contesto. Non vorrei entrare nel merito dell'episodio avvenuto alla frontiera di Röszke, dove le forze dell'ordine ungheresi hanno subìto un attacco da parte dei migranti e hanno reagito come abbiamo visto, con acqua, lacrimogeni e così via. Questo episodio è sotto inchiesta e sarà chiarito.
  Per quanto riguarda le visioni drammatiche dei treni che abbiamo visto alla stazione di Budapest Keleti, i treni sono stati invasi quando la polizia, dopo la risposta positiva delle autorità austriache, ne ha autorizzato la partenza. Questi treni si sono affollati in pochi minuti. I migranti non erano costretti a essere chiusi nei vagoni. D'altra parte, coloro che avevano il biglietto, cioè le famiglie che volevano tornare in Germania per riiniziare la scuola, non potevano salire sul treno, perché non c'erano posti per gli altri viaggiatori.
  Questa è una questione molto drammatica: se l'Ungheria non lascia partire i migranti, è dura; se li lascia partire, è debole perché non ferma i rifugiati che passano in altri Paesi. È molto difficile agire, perché gli altri Paesi e gli altri Governi stanno prendendo posizioni non molto coerenti. Per questo, il Governo ungherese ha assunto e segue una filosofia abbastanza chiara.
  In alcune domande si è menzionata una tensione fra la difesa delle frontiere e il rispetto assoluto dei diritti umani e della dignità dell'uomo, che naturalmente devono essere ambedue realizzati.Pag. 13
  Forse una volta l'equilibrio era un po’ più a favore della difesa e della forza più che dei diritti.
  Secondo me, questa non è solo una questione pratica e politica che riguarda le frontiere, ma è anche una questione morale che concerne in generale il flusso migratorio: come i diritti umani e la dignità di ogni uomo proveniente da qualunque territorio per qualunque scopo sono rispettati in Europa e quanto l'obbligo di difendere l'area Schengen per le forze dell'ordine è in prima linea.
  Naturalmente tutti i Paesi hanno pratiche differenti. Vediamo filmati drammatici che arrivano anche da altri Paesi.
  C’è una cosa molto interessante riguardo alla dinamica drammatica di questi eventi. Nel marzo scorso, sono stato presso il Comitato parlamentare per gli affari esteri in Ungheria, prima di occupare questa posizione qui in Italia, e ho parlato del problema dell'immigrazione, che era considerato anche a marzo un problema italiano.
  Io avevo detto che quello non poteva essere solo un problema italiano, perché già si vedevano le prime tracce di un'immigrazione dinamica dai Balcani. Mi hanno detto: «È molto interessante che lei abbia l'idea che dobbiamo cooperare con l'Italia su questo livello».
  Il mare naturalmente è una situazione molto più difficile. Non si può cementare il mare. Adesso siamo molto d'accordo e possiamo capire le necessità e le problematiche dell'Italia, che si confronta sia con i flussi di migranti sul mare sia con i profughi che stanno circolando fra Serbia, Slovenia, Croazia e Ungheria, e che poi entrano anche nel vostro Paese.
  Già a marzo avevo letto un articolo in cui Gorizia veniva definita «la seconda Lampedusa». Già allora il campo per i rifugiati di Gorizia era pieno, ma l'opinione pubblica europea non se ne rendeva conto.
  C'era una domanda sulle pattuglie miste. Come ha inizio questa situazione in Ungheria ? C'era già un flusso abbastanza piccolo di migranti, che erano ospitati nei campi di accoglienza. Alcuni sparivano in Europa, quasi come viaggiatori e non come migranti di massa.
  A un certo punto, la polizia austriaca e credo anche quella tedesca hanno cominciato a controllare severamente l'entrata di questi viaggiatori in Austria. Pertanto, abbiamo iniziato ad assistere a certe scene nelle stazioni ferroviarie ungheresi, specialmente vicino alla frontiera austriaca.
  In seguito, queste pattuglie miste sono arrivate anche alla frontiera ungherese, perché la polizia ungherese ha domandato aiuto ai tedeschi e agli austriaci, in modo che verificassero che l'Ungheria non lascia passare i migranti senza controllo e senza registrazione.
  Queste pattuglie miste sono arrivate ai confini della Serbia, perché in quel momento c'era un flusso di migranti dal Kosovo. Siccome la frontiera non c’è, poiché la Serbia considera il Kosovo come territorio proprio, c'erano delle pattuglie tedesche, austriache, ungheresi e serbe sulla frontiera Sud della Serbia.
  Io ho parlato con il Ministero degli interni e con gli alti ufficiali. Loro affermano che a livello tecnico c’è una cooperazione molto buona, per esempio, fra Ungheria e Italia, per quanto riguarda il controllo dei migranti, le pattuglie, i servizi segreti contro il terrorismo e così via.
  C’è una buona cooperazione anche tra l'ufficio profughi ungherese, quello italiano e gli altri europei e le organizzazioni internazionali.
  Avendo visitato queste organizzazioni internazionali, anche la scorsa settimana, ho un quadro molto più ottimistico di quello politico e di quello mediatico. Speriamo che questo lavoro tecnico, del quale io non ho molte informazioni, aiuti a confrontarsi su questi problemi.
  Rispetto al problema morale, ci viene in mente quello che disse Virgilio per bocca di Didone: «La dura realtà è la novità del mio regno. Mi costringono ad avere questi modi e a custodire i confini tutto intorno». Lo dice Virgilio, che è citato da Macchiavelli nel capitolo de Il principe sulla crudeltà.

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  PRESIDENTE. Grazie, ambasciatore. L'onorevole Gadda le chiede se può ripetere la risposta sugli hot spots. Noi li chiamiamo «centri di accoglienza», perché il termine «campi» rimanda a dei periodi piuttosto bui della nostra storia. Non abbiamo capito se lei è d'accordo o meno sugli hot spots.
  In Italia c’è un dibattito sulla necessità di crearli nei Paesi di partenza oppure nei Paesi di destinazione.
  Laddove non ci fosse contrarietà, le chiediamo se lei ritiene che possano essere finanziati anche in Italia. In realtà, mi pare che il Governo italiano abbia già deciso di farne cinque o sei. Le chiediamo di comunicarci la sua posizione, se vuole dircelo.

  PETER PACZOLAY, Ambasciatore d'Ungheria. Io vorrei evitare le discussioni che ci sono tra alcuni Paesi dell'Unione europea su dove è la frontiera dell'Europa, dove entrano i profughi e così via.
  Io ho fatto solo un accenno molto diplomatico all'inizio. Coloro che arrivano in Ungheria hanno attraversato alcuni Paesi sicuri.
  Il Governo è un po’ più deciso sul problema greco. Avendo capito che la Grecia non ha le possibilità e la forza di fare di più in questo senso, il Governo ha compreso che solo una guardia di frontiera comune europea potrebbe risolvere il problema relativo a coloro che entrano in Grecia come primo Paese dell'Unione europea.
  In questo senso, l'Ungheria è favorevole a creare hot spots in Grecia, per canalizzare il problema in questo Paese. Se arrivano in Ungheria, il nostro Paese non fa altro che proteggere le frontiere di Schengen. Noi non abbiamo domandato gli hot spots e neanche l'UE ci ha forzato per crearne in Ungheria. Se devo dare una risposta chiara, il Governo ungherese non vuole gli hot spots in Ungheria, ma li vuole in Grecia.
  Per questo, la Grecia deve essere aiutata, sia con finanziamenti sia con forze militari, che l'Ungheria può mettere a disposizione del Governo greco.

  PRESIDENTE. Grazie infinite, ambasciatore. Saluto i suoi accompagnatori: Tamas Torok, il suo primo consigliere, e Laszlo Galantai, segretario d'ambasciata. Naturalmente ringraziamo anche l'interprete Anna Toth.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.15.