XVII Legislatura

Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale

Resoconto stenografico



Seduta n. 29 di Mercoledì 2 luglio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Di Gioia Lello , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA FUNZIONALITÀ DEL SISTEMA PREVIDENZIALE PUBBLICO E PRIVATO, ALLA LUCE DELLA RECENTE EVOLUZIONE NORMATIVA ED ORGANIZZATIVA, ANCHE CON RIFERIMENTO ALLA STRUTTURAZIONE DELLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE

Audizione del professor Alberto Brambilla e del professor Giovanni Geroldi.
Di Gioia Lello , Presidente ... 3 
Brambilla Alberto , Professore ... 3 
Di Gioia Lello , Presidente ... 6 
Geroldi Giovanni , Professore ... 6 
Di Gioia Lello , Presidente ... 11 

ALLEGATO 1: Rapporto del comitato tecnico scientifico di «Itinerari previdenziali» ... 13 

ALLEGATO 2: Nota inviata dal professore Paolo Onofri ... 103

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LELLO DI GIOIA

  La seduta comincia alle 8.10.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del professor Alberto Brambilla e del professor Giovanni Geroldi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla funzionalità del sistema previdenziale pubblico e privato alla luce della recente evoluzione normativa e organizzativa, anche con riferimento alla strutturazione della previdenza complementare, del professor Alberto Brambilla e del professor Giovanni Geroldi.
  Anche il professor Onofri avrebbe dovuto essere alla nostra audizione odierna, ma, per impegni che aveva già assunto, non potrà essere presente. Acquisiamo comunque agli atti la nota che ci ha inviato.
  Darei subito la parola al professor Brambilla per la sua relazione introduttiva, che sarà sicuramente molto interessante e corposa. Prego.

  ALBERTO BRAMBILLA, Professore. Grazie, presidente. Buongiorno a tutti.
  Dividerei l'intervento, che peraltro è breve, su tre punti: alcune osservazioni preliminari sul sistema di base, un breve commento sulla situazione della previdenza complementare e poi alcune note sul tema degli investimenti e, quindi, dell'aiuto di questi investimenti allo sviluppo del Paese e all'occupazione.
  Per quanto riguarda il sistema di base, noi abbiamo recentemente presentato, con il Presidente Di Gioia, un rapporto che idealmente sarebbe quello che faceva il Nucleo di valutazione della spesa previdenziale. Dal 2012 il Nucleo non esiste più, ma noi siamo riusciti a recuperare tutta la base dati e ad avere un quadro della situazione complessiva di come sta andando il Paese sotto il profilo sia della previdenza, sia dell'assistenza, con tutto ciò che ne deriva.
  Trovate questi dati nel rapporto che abbiamo portato. Sostanzialmente, potremmo indicare la situazione come segue: la spesa pensionistica, al netto degli interventi assistenziali, è di 211 miliardi, le entrate contributive sono 190 miliardi e il disavanzo è di 20 miliardi.
  Il disavanzo di 20 miliardi, in realtà, sarebbe anche leggermente più alto e dovrebbe andare a oltre 30 miliardi, se non ci fossero l'attivo della gestione dei parasubordinati, che è di 7 miliardi, e l'attivo della gestione dei liberi professionisti, che è di 3,1 miliardi. Pertanto, il deficit arriverebbe a quel livello.
  Il numero delle prestazioni in pagamento è a sua volta un numero alto. Abbiamo un po’ un record a livello europeo: abbiamo 23.431.000 prestazioni in pagamento, escludendo peraltro da queste le cosiddette quattordicesime, che sono Pag. 4circa 800.000, e le altre opzioni assistenziali, che sono assegni molto piccoli, ma numerosi.
  I pensionati, invece, sono 16,5 milioni, ragion per cui noi abbiamo circa 1,4 pensioni per ogni pensionato. Questo ci porta ad avere il numero che indica la pensione media non al di sotto dei 1.000 euro, come solitamente si dice, ma, compattando questo numero, un po’ sopra, a 16.600 euro lordi l'anno come pensione media.
  Infine, anche il numero delle prestazioni è alto. Abbiamo una prestazione pensionistica o assistenziale ogni 2,52 abitanti e, quindi, mediamente una prestazione per ogni famiglia.
  L'altra osservazione che è utile fare è che noi abbiamo una fiscalità sulle pensioni, che peraltro grava su poco meno del 40 per cento delle pensioni (perché le prime sono di natura prevalentemente assistenziale e quindi non sono tassate) che ha un carico fiscale totale di 46 miliardi. Pertanto, la spesa pensionistica reale – i 46 miliardi sono una partita di giro per lo Stato, perché li mette al lordo, ma paga al netto e, quindi, di fatto questi soldi se li tiene – è di 165 miliardi.
  Finisco con i dati e svolgo due osservazioni. La prima riguarda chi contribuisce di più al deficit previdenziale: in questo caso abbiamo la gestione dei dipendenti pubblici, con circa 24 miliardi, la gestione delle ex Ferrovie dello Stato – tutta la ristrutturazione delle Ferrovie ha portato a un rapporto tra attivi e pensionati praticamente pari a uno – con circa 4 miliardi di disavanzo, il settore agricolo nel suo complesso con 6 miliardi e poi tutti i fondi speciali.
  L'ultima osservazione è: quanto pesa, quindi, in tutto il sistema, se volessimo separare l'assistenza dalla previdenza ? Tenuto conto del disavanzo, della quota degli interventi assistenziali, delle prestazioni tipo invalidità, accompagnamento, pensioni sociali e assegni sociali e di tutte le altre prestazioni nel complesso a carico della fiscalità generale, extra i 190 miliardi di contributi, abbiamo 83,6 miliardi, corrispondenti a 5,5 punti di PIL. Questo è un dato che dovrebbe fare un po’ riflettere tutti, perché è una forte componente.
  L'altro dato che altrettanto dovrebbe fare riflettere, soprattutto in vista delle generazioni future – molte di queste prestazioni tutti coloro che hanno cominciato a lavorare dall'1 gennaio del 1996 non le avranno – è il numero delle pensioni assistite. Noi abbiamo in totale, sui 16,5 milioni di pensionati, 8,6 milioni di pensioni assistite, che sono le integrazioni al minimo, le prestazioni assistenziali, le prestazioni sociali e via elencando, sulle quali non grava, ovviamente, alcun carico fiscale. Queste, però, rappresentano il 52 per cento del totale delle prestazioni in pagamento.
  Per quanto riguarda poi l'annotazione più complessiva sulla spesa di welfare, in questo caso tenendo dentro anche la sanità e le sue varie voci e il disavanzo degli ammortizzatori sociali, per il 2012, ultimo anno di bilancio consolidato, abbiamo che su circa 801 miliardi di spesa complessiva da parte dello Stato ci sono 390 miliardi di spesa assistenziale. Siamo intorno al 48 per cento di spese.
  L'ultima annotazione, sempre del 2012, serve a completare il quadro, che a noi interessa, ovviamente, perché, quando facciamo il monitoraggio di chi versa l'IRPEF, automaticamente è come se facessimo un monitoraggio di chi versa i contributi sociali, essendo un unico tipo di versamento.
  Purtroppo, ci troviamo in una situazione in cui una grossa fetta della popolazione, 20 milioni su 41 milioni di contribuenti – scusate se vi riferisco un po’ di numeri, ma questo è il quadro complessivo che ci consente di fare un po’ di ragionamenti – non versano tasse e, quindi, non versano contributi.
  Il problema grosso si evidenzierà quando non ci saranno più le integrazioni al minimo e le maggiorazioni sociali, perché la normativa, la riforma Dini, non le prevede più già dal 1996. Bisognerà cominciare a educare queste giovani generazioni Pag. 5al fatto che, se non c’è un minimo di versamento contributivo, avranno pensioni non coperte.
  La seconda parte della relazione, che è molto più breve, è sulla previdenza complementare. La previdenza complementare stenta un po’ a girare nel nostro Paese. Noi abbiamo circa 6 milioni di iscritti, nonostante la previdenza complementare abbia reso bene. Se prendiamo come parametro di riferimento il TFR, che è dato dal 75 per cento dell'inflazione più 1,5 punti, vediamo che tutti i fondi di qualsiasi natura hanno battuto il TFR abbondantemente, sia nelle performance a un anno, sia in quella a tre, a cinque e a dieci. Sostanzialmente, il discorso è positivo.
  Si rileva, però, che manca un'informazione. La prima e ultima informazione corretta, con il Ministro Damiano, è stata l'unica informativa possibile. Noi ci troviamo dei Paesi davanti a noi, come la Repubblica della Slovacchia, l'Estonia, il Cile e Israele, nonché tanti altri Paesi che non hanno il nostro tenore di vita, che hanno una penetrazione della previdenza complementare molto più ampia. Per dirla tutta, la media dei Paesi OCSE ha un rapporto patrimonio-fondi pensione sul prodotto interno lordo, che è un denominatore omogeneo, di 70, mentre l'Italia ne ha uno di 7. Bisognerà fare qualche cosa per poter migliorare.
  Per poter migliorare il tutto occorrono tante azioni. La prima è sicuramente continuare un'informativa molto diffusa, perché è molto utile. Nell'indagine che abbiamo fatto due anni fa risulta che meno del 10 per cento dei giovani sappia che cosa sia, in linea di massima, un sistema previdenziale. Immaginate quanto poco possono sapere i giovani di previdenza complementare.
  Noi abbiamo mandato nelle scuole una serie di diapositive per gli studenti, che sono state anche molto cliccate e molto viste, ma il problema è che il corpo insegnanti poi non è in grado di illustrare l'argomento o di rispondere alle domande di questi studenti.
  Dal punto di vista proprio della conoscenza dei sistemi gestionali e dei sistemi di welfare che accompagnano la nostra intera vita, perché tutti rimaniamo ammalati e tutti abbiamo bisogno di qualche cosa, bisogna proprio rafforzare questa tematica.
  Dall'altra parte, occorre – e qui entriamo nel tema ultimo e specifico della Commissione – che anche questi soggetti, pur non avendo dei patrimoni sterminati, si attivino. Viene in mente che il fondo pensione della Norvegia ha circa 500 miliardi di euro, l'ATP olandese ha circa 200 miliardi di euro, mentre noi, mettendo insieme tutte le casse privatizzate dei liberi professionisti, tutti i fondi pensione e tutte le fondazioni bancarie, arriviamo a 215 miliardi.
  Sono 215 miliardi, però, che rappresentano un peso robusto nell'economia. Ogni anno vanno in scadenza 8 miliardi di titoli e arrivano circa 7-8 miliardi di nuovi flussi, ragion per cui non è impensabile che questi soggetti possano investire all'incirca 5 miliardi l'anno anche per una decina d'anni, creando un fondo di rotazione e, quindi, creando leva. Questo genererebbe molto sviluppo.
  Cosa fare ? Uno dei problemi più grossi per il nostro Paese è che il 97 per cento delle imprese ha meno di 15 dipendenti e che, quindi, è difficile per le parti sociali, per i sindacati, entrare in queste aziende. Lo possono fare soltanto le reti commerciali, che normalmente non fanno questo tipo di lavoro.
  Una delle determinanti, però, è che il datore di lavoro il TFR lo vorrebbe usare come circolante interno e non darlo ai fondi pensione, perché di fatto le banche non prestano. Una delle opzioni che noi potremmo suggerire, oltre a tutte le altre che tendono a mettere in condizione questi fondi di investire nel sistema complessivo del Paese e, quindi, nello sviluppo, per creare occupazione – alla fine, creare occupazione significa creare più lavoratori che lavorano e, quindi, più contributi che entrano e rafforzare il sistema nel suo complesso – è quella di ripristinare un po’ Pag. 6quello che avevamo previsto e che io avevo riportato nella norma n. 252, cioè il Fondo di garanzia per il TFR.
  Si trattava di un accordo che era stato fatto con il Tesoro e con il sistema bancario per far sì che tutte le microimprese che non avevano credito da parte delle banche e che, però, versavano il TFR ai fondi pensione potessero avere un finanziamento di medio-lungo termine. Con questi quattrini noi andremmo a riprendere proprio al cuore l'essenza dello sviluppo e, quindi, potremmo sicuramente garantire qualcosa almeno a quelle imprese che hanno meno di 15 dipendenti, ma che occupano più di 4 milioni di addetti.
  L'ultima osservazione riguarda il trattamento fiscale. Il trattamento fiscale del welfare in Italia in generale è fermo al 1997. Il buono pasto, anzi, è un po’ regredito.
  Sulla previdenza complementare abbiamo la forte agevolazione di 5.164 euro, sull'assistenza sanitaria integrativa c’è ancora la differenziazione tra una tipologia di fondi che ha 3.600 euro di deducibilità e altri che hanno i vecchi 2,5 milioni e, quindi, bisognerà sistemarla, ma quello che ha scioccato un po’ il sistema è l'aumento di imposte dall'11 all'11,5 per cento. Di fatto non è il mezzo punto che tocca più o meno la situazione, ma sostanzialmente è il senso, la gravità.
  Io ho avuto un incontro con i chimici, con gli iscritti al Fonchim. Le loro preoccupazioni sono due. In primo luogo, chiedono se sia vero che poi l'anno venturo andrà al 16 per cento e, in secondo luogo, lamentano che, per la prima volta nel nostro Paese, non si può uscire dal fondo pensione. Mentre, se uno aumenta le imposte in un fondo comune di investimento, si può dire: «Esco da lì, vado a prendermi un titolo di Stato e ho risolto il problema», nel fondo pensione loro dicono: «Ci avete tirato dentro e adesso non possiamo più uscire, perché potremmo uscire soltanto o se rimaniamo disoccupati, o se andiamo in pensione. Farci entrare per poi tassarci è ingiusto.»
  Su questo fronte bisognerebbe fare un'importante considerazione con il Governo, perché un Paese come il nostro, che poi si dovrà adattare più o meno al Fiscal Compact, senza una forte previdenza complementare mette a rischio l'intero sistema.

  PRESIDENTE. Grazie, professore Brambilla.
  Do ora la parola al professor Geroldi.

  GIOVANNI GEROLDI, Professore. Tornando al sistema obbligatorio, al primo pilastro, visto che Brambilla vi ha sintetizzato le questioni fondamentali del quadro passato e attuale, io vi illustro un'altra parte del rapporto che riguarda, invece, la proiezione sul futuro, al 2060. È piuttosto importante, proprio nella sintesi, cogliere gli elementi chiave.
  Distinguo subito le proiezioni che sono fatte col modello della Ragioneria generale, che ormai funziona da anni ed è un modello che ha avuto un vaglio anche di rigore e di accuratezza in sede europea. Tali proiezioni sono fatte su due possibili scenari.
  Uno è lo scenario che utilizza fondamentalmente le proiezioni demografiche ISTAT, scenario nazionale cosiddetto base o centrale, come si definisce. Non ve le sto a declinare tutte, ma comunque c’è un tasso di fecondità che sale gradualmente di uno 0,1-0,2, non molto di più di adesso e, quindi, è all'1,4 per cento. Poi ci sono delle ipotesi sui flussi migratori che nel tempo si stabilizzerebbero sui 180.000 ingressi annui, che non sono pochi, ma che di fatto si sono rivelati piuttosto veritieri. Lo stesso vale per la speranza di vita.
  Quello che, invece, è un po’ diverso dal secondo scenario che adesso vi illustrerò è il quadro economico. Nel quadro economico sono fatte delle ipotesi di mercato del lavoro di produttività e, conseguentemente, di crescita del prodotto interno lordo. Poiché la produttività in questi modelli è presa, come si usa dire, esogenamente, cioè c’è un'ipotesi concordata di quale dovrebbe essere nel lungo termine la crescita della produttività, il punto di Pag. 7differenza rispetto al secondo scenario che si è concordato in sede europea nel Comitato di politica economica, quello che risponde a Ecofin, sta in alcune variabili del mercato del lavoro. Anche su queste, naturalmente, ci sono delle ipotesi, ma, essendo proiettate tanto in avanti nel tempo, è difficile dire quali siano le più fondate, le più stabili e le più solide.
  È chiaro che, con una contrazione della popolazione in età di lavoro, è probabile che i tassi di attività della popolazione in età di lavoro tendano a crescere. Inoltre, è sperabile che questi tassi di attività siano sempre più caratterizzati da elevata occupazione e da minore disoccupazione, con un più alto tasso di occupazione e un meno alto tasso di disoccupazione.
  Su queste cose c’è una leggera differenza, che si riflette – vi cito il dato di sintesi – in una proiezione che, per quanto riguarda il modello basato sullo scenario nazionale base, è di una crescita del prodotto interno lordo media, in termini reali e nel lungo termine, dell'1,5 per cento l'anno, che è un bel po’ di più di adesso. Solo un po’ di anni fa sarebbe sembrata un'ipotesi piuttosto prudente.
  Quella dell'EPC, ossia del Comitato di politica economica, sortisce un 1,4 per cento. Non c’è nemmeno molta differenza, ma sottolineo questo fatto perché il punto chiave è proprio quello che ne succede.
  Con queste proiezioni si possono notare alcune questioni fondamentali. Nel rapporto, a pagina 54, vengono riportati gli andamenti del sistema pensionistico obbligatorio nel lungo termine. Sono riprodotti gli effetti che si sono determinati attraverso una serie di riforme che iniziano dalla situazione preesistente alla legge n. 243 del 2004, che è rappresentata dal tratteggio più alto.
  Come si può vedere, nel lungo termine tutte le riforme che sono state fatte in questi ultimi anni non producono degli effetti. Dal 2040 in poi, per capire meglio la questione, tutte le riforme convergono sostanzialmente a livelli di spesa pensionistica sul prodotto interno lordo che grossomodo ruotano intorno al 14 per cento.
  Che cosa si può dire in merito ? Si può dire che fondamentalmente questo risultato lo ottiene la legge n. 335, cioè la Dini, con il passaggio al contributivo. Che il contributivo fosse applicato immediatamente, che fosse applicato dopo un po’ di anni o che, come nella primitiva ipotesi, ne fossero esentati tutti coloro che avevano i famosi 18 anni prima della fine del 1995, nel lungo termine è proprio il modello contributivo che produce questo effetto di stabilizzazione della spesa pensionistica sul prodotto interno lordo, un livello che è determinato dal tasso di contribuzione.
  Sapendo che si versa il 33 per cento di contributo e che il tasso di capitalizzazione dei contributi versati è legato alla crescita nominale del prodotto interno lordo, fin dal primo momento, quando fu ideato il passaggio al contributivo, noi sapevamo che nel lungo termine si sarebbe approdati intorno al 14 per cento. Questo dato viene confermato.
  Le differenze sostanziali prodotte dagli interventi di questi anni, come vedete, sono nella parte dal 2010-2012 fino al 2040. Chi ha memoria del dibattito pensionistico ricorderà che questi erano gli anni caratterizzati dalla cosiddetta gobba.
  I passaggi successivi e gli effetti di queste riforme sono stati non solo quelli di smussare la gobba e di appiattirla, ma addirittura adesso di farla diventare una convessità. Come vedete, c’è un elemento di convessità. L'ultimo intervento, quello della legge Fornero, è quello che qui viene indicato dalla linea in grassetto.
  Ovviamente questa circostanza ha un'importanza fondamentale dal punto di vista degli effetti finanziari sui risparmi di spesa. Se vogliamo dirla tutta, la messa in sicurezza del sistema pensionistico italiano in termini di sostenibilità finanziaria deriva dalla scelta che si fece quasi vent'anni fa di passare al sistema contributivo.
  Gli effetti, invece, di risparmio di spesa per un Paese a elevatissimo debito pubblico, sono quelli che si misurano al 2012 e al 2040.
  Chi prova a fare un'integrazione di queste curve, cioè a vedere quanto si sia risparmiato, può ricavare un dato medio Pag. 8annuo. Se si guarda lo scenario nazionale, dalla situazione preesistente alla legge n. 243 del 2004 e, quindi, a tutti gli interventi che poi sono stati fatti con l'innalzamento dell'età pensionabile, si nota che c’è un risparmio medio annuo di oltre 20 miliardi di euro. È una cifra, se ci pensate, enorme, perché equivale a una finanziaria. Gli interventi sulla spesa pensionistica, misurati in questo modo, sono stati molto rilevanti. Stiamo parlando di proiezioni.
  Volendo scorporare l'effetto dell'ultimo intervento, quello della legge Fornero, rispetto alla normativa preesistente la legge Fornero e quella successiva alla legge Fornero, anche considerando le prime tornate di recupero degli esodati – mancano da queste quelle successive al giugno-luglio del 2013, ma eravamo già con circa 150-160.000 conteggiati in questa cifra – il risultato è poco superiore agli 8 miliardi medi annui. Anche questo è molto significativo.
  Dove si sono recuperate queste risorse ? Ovviamente, si può dire quasi interamente dall'innalzamento dell'età pensionabile. C’è da aggiungere, però, che, se uno guarda lo scenario europeo, quello punteggiato, lo stesso discorso di integrazione degli effetti, misurato in risparmio annuo, è di circa 10 miliardi l'anno. Questo è impressionante nella proiezione: basta che, anziché avere un 1,5 per cento di crescita annua, si abbia soltanto un 1,4 per cento di crescita annua, una percentuale apparentemente analoga, e si dimezza il risparmio medio annuo.
  Questo ci dice anche che le proiezioni sono molto importanti per confermarci alcune questioni, ma anche che le proiezioni stesse, se lette intelligentemente, segnalano un problema molto serio, ossia che la crescita – lo sappiamo da tempo, per la verità, ma qui ci sono i numeri che lo dimostrano – è un punto chiave della sostenibilità dei sistemi di welfare in senso lato, non solo del sistema pensionistico. Se si cresce meno, i sistemi di welfare sono sotto stress, sono molto più a rischio nella loro sostenibilità finanziaria.
  L'altra osservazione che va fatta – possiamo, a questo punto, guardare un altro aspetto della questione – è che cosa comporta questo innalzamento dell'età.
  L'innalzamento dell'età, naturalmente, solleva già un primo tipo di problema, che è noto a tutti. Un momento fa citavo la questione degli esodati, che sono un punto chiave della questione. Il fatto è che noi ipotizziamo da qui al 2060 un innalzamento dell'età pensionabile che si avvicina praticamente ai 70 anni. Se si prende lo scenario ISTAT, con alcune correzioni, arriverebbe addirittura a 70 e qualcosa.
  Tutti noi sappiamo che c’è un problema di occupabilità delle persone dai 55 anni e, a volte, anche dai 50 anni in poi. È un problema di occupabilità non tanto nella continuità del mantenimento del posto di lavoro, che già i dati di questi ultimi anni confermano. Soprattutto i dati che fanno riferimento ai tassi di occupazione femminile, ancor più che a quelli maschili, delle persone oltre determinate soglie di età ci indicano che chi ha il posto di lavoro e occupa un posto di lavoro in questo momento, non potendo più andare in pensione, va avanti a mantenerlo e che, quindi, i tassi di occupazione segnalano una crescita. I tassi di occupazione femminile oltre una determinata età sono una delle parti più dinamiche del mercato del lavoro.
  Il problema è di chi perde il posto di lavoro, perché, invece, la ricerca, il ricambio e il reinserimento rappresentano la parte più problematica di questo tipo di questione.
  L'altra domanda è che cosa succede poi all'adeguatezza a livello delle pensioni che si ricevono. In questo caso c’è una misura, riportata anch'essa nei grafici del rapporto, dei cosiddetti tassi di sostituzione. Non sto a spiegarli, perché ormai tutti sanno che cosa significano i tassi di sostituzione.
  L'effetto, se vogliamo, quasi ovvio che deriva dall'innalzamento dell'età pensionabile è che, se si fanno delle proiezioni supponendo che i lavoratori si ritirino, ossia che vadano in pensione, a età crescenti – a 66, a 66,5, a 67 e via aumentando Pag. 9– e si considera anche il fatto che dalla riforma Fornero in poi ci sono coefficienti di trasformazione dei montanti che non si fermano più ai 65 anni, ma che arrivano fino ai 70 anni, c’è un riconoscimento effettivo di questo prolungamento, che non è più soltanto nel montante che cresce, nel montante contributivo come era prima, ma che veniva trasformato poi con un tasso di sostituzione dei 65 anni.
  Adesso c’è un montante che cresce e c’è una trasformazione con un coefficiente. Tenete conto che il coefficiente, per fare un ragionamento un po’ a spanne, tende a dare un 3 per cento di incremento del valore della rata pensionistica, a parità di montante, per ogni anno in più in cui uno lavora. Dai 65 ai 68 anni c’è già un 10 per cento in più di pensione solo per effetto del coefficiente.
  Questo che cosa dice ? Dice che, se si fanno le misure teoriche dei tassi di sostituzione, i tassi di sostituzione non sono più quel segnale d'allarme per cui si dice: «Che cosa succederà alle persone più giovani oggi ? Quando andranno in pensione avranno una pensione bassissima». No, anzi, addirittura si confermerebbe che l'Italia, solo nel primo pilastro, sarebbe uno dei Paesi con i tassi di sostituzione più elevati. Se si parlava ai tempi dei retributivi di situazioni tra il 75 e l'80 per cento, centriamo ancora l'obiettivo. Fondamentalmente siamo ancora a quei livelli.
  Quali sono i problemi ? Il primo problema fondamentale è che queste proiezioni, ovviamente, pur scontando l'ipotesi che qualche anno può essere perso, sono basate su una sostanziale stabilità della carriera. Ci sono, però, il rischio di instabilità nei primi anni e il rischio di instabilità se consideriamo la perdita del posto, oltre ai rischi di interruzione nel corso della carriera lavorativa. Questo, naturalmente, mette in luce tutte le problematiche di mercato del lavoro che conosciamo e, quindi, non mi dilungo.
  La seconda questione è che i tassi di sostituzione sono una percentuale. Una percentuale di una retribuzione alta dà una pensione alta. La stessa percentuale di una retribuzione bassa dà una pensione bassa. C’è un problema di livelli salariali. C’è, quindi, un problema di durata, continuità e stabilità del rapporto di lavoro, ma c’è anche un problema di livelli salariali.
  Perché sottolineo questo aspetto ? Perché, a mio parere, tra le cause del perché fatichi a decollare definitivamente il secondo pilastro, che potrebbe essere il completamento, io credo debba essere messo, tra i primi fattori, nuovamente questo, ossia che con gli attuali livelli salariali una parte consistente, molto consistente, di lavoratori dipendenti, e in parte anche dei lavoratori autonomi e delle stesse professioni non possono permetterselo.
  Non possiamo pensare sempre e solo, per capirci, ai notai o ai medici più noti, che guadagnano molti soldi. Dobbiamo pensare che moltissime professioni oggi hanno livelli anche di concorrenza molto alti, compresi i commercialisti, e segnalano questo aspetto. Una quota rilevante di attività professionali ha redditi medi annui bassi. Sui redditi bassi è difficile ricavare una quota ulteriore di risparmio da dedicare alla previdenza e, quindi, al risparmio previdenziale. Questo è un aspetto molto rilevante del problema.
  Riguardo l'ultima questione che vorrei affrontare, che è quella della previdenza complementare, e che è pertinente anche con la nota che è stata fatta dalla Commissione e su cui noi abbiamo poi svolto alcune valutazioni, si tratta, perlomeno io credo, di fare una considerazione, forse la principale, su un aspetto che ha in sé alcuni tecnicismi che io stesso controllo fino a un certo punto, perché sono più questioni, se vogliamo, di competenza di esperti in materia di titoli finanziari.
  Parlavo proprio ieri anche con Alberto Brambilla di questa tematica. Io ho partecipato anche ad alcuni seminari in cui c'erano esponenti di altri Paesi per quanto riguardava proprio il problema della previdenza complementare e le problematiche emerse a seguito della crisi dei mercati finanziari.
  Tenete conto che se voi guardate il quadro della previdenza di secondo pilastro, Pag. 10ci sono Paesi anche molto importanti, tra cui il Belgio, la Danimarca, la Finlandia, la Francia, la Germania stessa, il Giappone e via elencando, che nella suddivisione in percentuale tra prestazione definita e contribuzione definita hanno quote che vanno dal 75 per cento in su. Addirittura il Belgio ha il 100 per cento di prestazione definita.
  Con la prestazione definita, come credo sappiate, la rilevanza del livello di sicurezza dei portafogli finanziari è un punto chiave di tutta la questione. Quando si ipotizza su un risparmio molto consistente, che è di circa 170 miliardi, se ricordo bene, tra casse professionali e fondi di previdenza complementare italiani, destinabile a sviluppo e, quindi, ad attività che implicitamente presentano dosi varie di rischio, bisogna anche fare una considerazione più di dettaglio. Adesso non abbiamo tempo di entrare sugli utilizzatori, ma, per esempio, destinare risorse allo sviluppo vuol dire anche sostenere iniziative di tipo innovativo, cioè le start-up, come si usa dire. Le iniziative di tipo innovativo, le start-up, come è noto, hanno dosi più elevate di incertezze e, quindi, dosi più elevate di rischio.
  Queste due cose possono sembrare contraddittorie. Il problema chiave di questa questione, una volta ammesso che il risparmio previdenziale continui ad affluire e che possa affluire maggiormente – prima dicevo che c’è questa difficoltà al secondo pilastro piuttosto che alle casse professionali – sarebbe di capire se esista la possibilità di configurare delle tipologie di titoli finanziari tali che servano come veicolo a una platea di utilizzatori che va capita nel dettaglio.
  Torno a dire, ci sono varie ipotesi di come si sostiene lo sviluppo. Ci può essere finanziamento al credito per l’export, finanziamento alla crescita, finanziamento ai nuovi investimenti, finanziamento alle start-up. Ci sono varie tipologie e, quindi, deve esserci un titolo che abbia anche sul versante della domanda di credito un'articolazione corrispondente a ciò che serve.
  Soprattutto, però, il problema vero è dal lato dell'offerta: chi assorbe questa rischiosità maggiore ? Se io chiedo alle casse o ai fondi di dedicare risorse e di destinarle a questi impieghi, l'obiezione legittima che queste persone mi fanno è quella della rischiosità: chi ci copre questo quid in più di rischio ?
  Se dobbiamo stare su una frontiera cosiddetta di ottimalità tra redditività attesa e rischio, è chiaro che questa componente maggiore di rischio rischia di portarci sotto la frontiera e di ciò non vuole essere responsabile chi gestisce attualmente queste riserve. Questo è il punto e il passaggio chiave.
  Io ho sempre insegnato economia pubblica e questo è il punto chiave: come si fa a spalmare sulla collettività questa maggiore quantità di rischio ? Bisogna trovare un sistema tale per cui queste tipologie di titolo, che corrispondono a esigenze specifiche dal lato dell'offerta, siano supportate, dal lato della domanda, da forme di integrazione in cui, ovviamente, ci sia la motivazione principale a spalmare.
  Peraltro, normalmente i meccanismi fiscali con cui si può spalmare sull'intera collettività un maggiore rischio concentrato sulla richiesta di questi risparmi possono essere determinati soltanto dall'aspettativa legittima di una destinazione di questo tipo e, quindi, dal fatto che sostenere il rischio consista nel fare un investimento di capitale sociale, potremmo dire, i cui rendimenti differiti nel tempo dovrebbero motivare, però, questo tipo di intervento. Questo è un po’ il trade-off che si ha di fronte. Altrimenti io credo che si sfugga da uno dei problemi fondamentali.
  Io, come forse qualcuno di voi sa, ho fatto anche per tre anni il direttore allo sviluppo previdenziale del Ministero del lavoro e ho avuto, quindi, molto spesso davanti e mi sono dovuto confrontare con le casse o con i fondi stessi. In quel caso lo facevo da responsabile della vigilanza.
  Io mi rendo conto che, quando si parla con le casse di questo argomento, loro ti guardano e dicono: «Tu sei il responsabile della vigilanza. Tu sei il primo che ci solleverebbe delle eccezioni, se ti accorgessi che noi facciamo degli investimenti non motivabili. Non lo possiamo fare per Pag. 11buona volontà o per senso di spirito di sostegno al Paese. Dobbiamo farlo con degli elementi concreti di rispondenza dei vincoli di gestione di portafoglio che noi implicitamente abbiamo».
  Questo è il punto.

  PRESIDENTE. Ringrazio i professori Alberto Brambilla e Giovanni Geroldi, dispongo che siano allegati al resoconto stenografico della seduta odierna sia il rapporto del comitato tecnico scientifico di «Itinerari previdenziali» che la nota inviata dal professore Paolo Onofri, e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 8.50.

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ALLEGATO 1

RAPPORTO DEL COMITATO TECNICO SCIENTIFICO
DI “ITINERARI PREVIDENZIALI”

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ALLEGATO 2

NOTA INVIATA DAL PROFESSORE PAOLO ONOFRI

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