XVII Legislatura

Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale

Resoconto stenografico



Seduta n. 12 di Mercoledì 24 giugno 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Di Gioia Lello , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEL RISPARMIO PREVIDENZIALE DA PARTE DEI FONDI PENSIONE E CASSE PROFESSIONALI, CON RIFERIMENTO AGLI INVESTIMENTI MOBILIARI E IMMOBILIARI, E TIPOLOGIA DELLE PRESTAZIONI FORNITE, ANCHE NEL SETTORE ASSISTENZIALE

Audizione di rappresentanti dell'Ania.
Di Gioia Lello , Presidente ... 2 
Di Falco Luigi , responsabile Servizio Vita e Welfare di Ania ... 2 
Di Gioia Lello , Presidente ... 8 

ALLEGATO: Documentazione presentata da ANIA ... 9

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LELLO DI GIOIA

  La seduta comincia alle 8.40.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'Ania.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione del risparmio previdenziale da parte dei Fondi pensione e Casse professionali, con riferimento agli investimenti mobiliari e immobiliari, e tipologia delle prestazioni fornite, anche nel settore assistenziale, di rappresentanti dell'Ania.
  Sono presenti il dottor Luigi Di Falco, responsabile Servizio Vita e Welfare dell'Ania, accompagnato dal dottor Carlo Conforti, responsabile Ufficio vita, salute e studi demografici dell'Ania, e dalla dottoressa Augusta Ippoliti, dell'Ufficio relazioni con il Parlamento di Ania.
  Do quindi la parola al dottor Di Falco.

  LUIGI DI FALCO, responsabile Servizio Vita e Welfare di Ania. Signor Presidente, la ringrazio. Saluto e ringrazio anche gli onorevoli deputati e senatori, per aver consentito all'Ania di dare il proprio contributo ai vostri lavori.
  L'Ania rappresenta il settore assicurativo, le compagnie di assicurazione. È il principale investitore istituzionale del Paese, avendo alla fine del 2014 un patrimonio superiore a 600 miliardi di euro. Inoltre, negli ambiti di interesse dell'indagine della Commissione, quello del risparmio previdenziale e delle forme assistenziali, è il principale soggetto economico privato, gestendo direttamente, o indirettamente attraverso convenzioni, fondi pensione e forme sanitarie integrative.
  Quindi, il nostro contributo si traccia su questi tre argomenti principali: gli investimenti istituzionali, il settore della previdenza complementare e quello della sanità integrativa che riteniamo siano settori strategici per il Paese e che possono contribuire anche alla crescita dell'economia.
  Riguardo al suo ruolo di investitore istituzionale, l'Ania è un primario attore. Nel contesto attuale degli investimenti, vede una forte riduzione dei finanziamenti all'economia, dovuta anche alla contrazione del credito concesso dal tradizionale canale bancario. Quindi, è evidente la necessità di far confluire all'economia, anche attraverso soggetti diversi, come le assicurazioni e i fondi pensione, forme di finanziamento alternative.
  Il contesto, negli ultimi mesi, è reso più favorevole da situazioni esterne al Paese, come il deprezzamento dell'euro, l'abbassamento dei prezzi del petrolio e le iniziative per conferire maggiore liquidità al sistema bancario e all'economia da parte della Banca centrale europea.
  In questo contesto, le assicurazioni possono sicuramente svolgere un ruolo importante e vorremmo dare alcune osservazioni Pag. 3e proposte sul punto, anche per favorire un nostro maggiore intervento nell'economia.
  Le imprese di assicurazione, come dicevo, hanno un patrimonio di 630 miliardi, in particolare alla fine del 2014. Di questi, secondo nostre elaborazioni, circa il 60 per cento è investito in titoli di debito del nostro Paese e la restante parte è dedicata, per circa un quarto, alle obbligazioni societarie e intorno al 10 per cento in titoli azionari.
  In particolare, i nostri investimenti sono dedicati al risparmio previdenziale, alle polizze vita con finalità di risparmio e investimento, in due macro tipologie di prodotti: quelli di risparmio garantito, nei quali la locazione su titoli di Stato è anche maggiore, supera i due terzi del totale, dei 520 miliardi investiti in polizze vita; oppure fondi pensione e polizze con più spiccate finalità di investimento, come gli unit linked, nelle quali invece sono presenti maggiori componenti di obbligazioni corporate e di titoli azionari.
  Negli ultimi tempi, anche per il nostro settore sono state create delle condizioni per favorire la nostra maggiore presenza in investimenti a favore dell'economia reale del Paese.
  Gradualmente si è aperta la possibilità per le assicurazioni di investire in operazioni di cartolarizzazione, in forme di private placement, cioè di partecipazione diretta in singole aziende private, in mini bond, cioè emissioni di titoli di debito da parte di piccole aziende, o finanziamenti diretti alle aziende italiane; canale prima esclusivamente ad appannaggio del sistema bancario.
  Le imprese hanno mostrato una certa attenzione verso queste forme alternative di investimento, dedicando, di tutto il proprio patrimonio, secondo nostre stime, circa 12 miliardi a queste forme.
  È però sicuramente possibile fare di più in questo senso. Quello che l'Ania propone è che siano create le condizioni, affinché le imprese di assicurazione possano dedicare maggiore spazio a questo tipo di investimenti. Una condizione è senz'altro correlata alla tipologia di impegni che le imprese di assicurazione tradizionalmente sottoscrivono con i propri clienti, cioè quella di offrire dei rendimenti minimi garantiti nelle polizze sulla vita. Questo fa sì che, dal lato degli attivi e degli investimenti, le imprese debbano attentamente gestire la possibilità di perseguire rendimenti elevati, quindi con titoli rischiosi, ma anche con attenzione rispetto al rischio assunto e comunque verso gli obblighi nei confronti degli assicurati che sono appunto una garanzia contrattuale, a prescindere dall'andamento degli investimenti.
  Quindi, sarebbe opportuno secondo noi che il mercato degli intermediari, ma anche delle istituzioni private, o comunque di emanazione pubblica, come la Cassa depositi e prestiti possa mettere a disposizione delle imprese di assicurazione degli strumenti che siano investiti con finalità di finanziamento nelle aziende italiane, ma con delle forme di tutela dell'investimento, di garanzia anche su parte dell'investimento stesso, in modo da essere adeguati al profilo di rischio che le imprese di assicurazione possono permettersi di assumere, dato l'impegno garantito nei confronti dei propri assicurati.
  Con specifico riferimento al settore previdenziale, più nell'ottica di interesse della Commissione, è stata già audita la COVIP, l'autorità di vigilanza del settore, quindi non ci sovrapponiamo ai dati esaustivi che l'autorità stessa ha già fornito alla Commissione. Vogliamo solo dire in questa sede che in questo settore le imprese di assicurazione svolgono un ruolo importante. Dei circa 6,6 milioni di iscritti a forme pensionistiche complementari, gli iscritti ai piani individuali pensionistici istituiti dalle imprese di assicurazione sono 2,9 milioni.
  Se teniamo conto anche degli iscritti ai fondi pensione aperti istituiti dalle imprese di assicurazione, ai fondi del settore che le imprese stesse istituiscono insieme alle parti sociali per i dipendenti del settore assicurativo e consideriamo anche il fatto che le imprese di assicurazione svolgono anche un ruolo di gestore professionale, mediante convenzioni con fondi Pag. 4pensione negoziali e altre forme pensionistiche, da questo punto di vista sicuramente il settore assicurativo rappresenta il principale soggetto economico nell'ambito della previdenza complementare.
  Questo però ci dà solo una soddisfazione limitata e relativa, perché siamo ben consapevoli che questo settore ha ancora uno sviluppo limitato. Le risorse investite nelle forme pensionistiche hanno raggiunto, alla fine del 2014, i 130 miliardi, cioè ancora pochi punti percentuali, circa il 4 per cento, di tutte le attività finanziarie possedute dalle famiglie italiane.
  Anche per i livelli di contribuzione, nel 2014, i flussi alle forme pensionistiche complementari sono stati di circa 13 miliardi. Nell'ottica complessiva dei bisogni previdenziali degli italiani e tenendo conto che le adesioni sono soltanto un quarto della forza lavoro, rappresentano un flusso ancora non adeguato a perseguire gli obiettivi di integrazione di livelli pensionistici obbligatori più bassi che osserveremo nei prossimi anni, a causa e a seguito delle riforme che si sono succedute negli ultimi decenni in ambito di previdenza obbligatoria.
  Occorre dunque che il nostro settore, ma direi tutti gli interessati, facciano uno sforzo collettivo per rivitalizzare le adesioni alla previdenza complementare; un ambito di investimento istituzionale che può essere importante, insieme alle casse previdenziali obbligatorie, per investire nell'economia stessa del Paese.
  In questo senso, alcuni provvedimenti in discussione, come il disegno di legge sulla concorrenza attualmente al vaglio parlamentare, presentano sicuramente delle misure che vanno nella giusta direzione. È previsto che anche i fondi collettivi, i fondi negoziali possano attrarre adesioni di lavoratori non del proprio comparto, lavoratori dipendenti di altro settore, liberi professionisti e lavoratori autonomi, potendo far valere anche la loro competitività.
  Allo stesso modo, è previsto che gli iscritti possano liberamente trasferirsi da una forma pensionistica all'altra senza perdere il contributo del datore di lavoro, attualmente di norma previsto negli statuti, negli accordi collettivi.
  Vale la pena ricordare a questo proposito che l'attuale impianto, il disegno individuato dal legislatore per la previdenza complementare è ispirato, già dalla legge n. 243 del 2004, la legge-delega, a principi di libertà di scelta del lavoratore e di equiparazione delle forme pensionistiche complementari. Insomma, si è deciso di delineare un disegno in cui, nello stesso campo di gioco, insistano forme pensionistiche con le stesse finalità, ossia quelle di conferire una pensione complementare agli iscritti e ai lavoratori, anche se di diversa natura e con le loro specificità, quindi parliamo di forme pensionistiche individuali, collettive, di natura negoziale o istituite da soggetti di mercato.
  Dato questo contesto, appare naturale e coerente la misura prevista dal disegno di legge sulla concorrenza che attua la libertà di scelta piena del lavoratore che in questo modo può spostarsi da una forma pensionistica all'altra, senza però perdere importanti pezzi di contribuzione, come il contributo del datore di lavoro. Crediamo che questa misura, se fosse approvata e convertita in legge, come speriamo, possa rivitalizzare le adesioni.
  Anche altre misure contenute nello stesso provvedimento, come la maggiore flessibilità concessa ai lavoratori che sono vicini all'età del pensionamento e quindi possono accedere più facilmente alle prestazioni pensionistiche rispetto a quanto previsto oggi, a nostro parere possono conferire maggiore flessibilità al sistema e quindi vincere le reticenze di singoli lavoratori.
  Le misure previste da un precedente provvedimento già operativo, il decreto legislativo n. 166, e che riguarda i limiti di investimento dei fondi pensione, sono da valutare a nostro parere in maniera positiva, perché passano dal sistema di un ventennio prima, basato su specifici limiti quantitativi posti ad ogni singola tipologia di investimento, a un sistema che responsabilizza maggiormente i fondi pensione, sulla base di assunzioni di budget di Pag. 5rischio rispetto agli attivi, però senza porre particolari, o diffusi, limiti quantitativi che si sono dimostrati, con il passare degli anni, superati rispetto a specifiche contingenze dell'andamento dei mercati, o dall'innovazione dei mercati finanziari che hanno portato all'attenzione delle scelte di investimento dei fondi pensione delle nuove tipologie di attivi in cui poter investire.
  Altre misure recenti, come quelle contenute nella legge di stabilità, sono state da noi già a suo tempo valutate in maniera negativa – e lo confermiamo in questa sede – perché vanno in contraddizione con l'ottica di promuovere lo sviluppo della previdenza integrativa. Mi riferisco in particolare all'innalzamento della tassazione sui rendimenti dei fondi pensione, portata prima all'11,5 per cento e poi al 20 per cento, fissato con l'ultima legge di stabilità, con effetto retroattivo sul 2014, anche se questa misura è parzialmente mitigata dal fatto che l'investimento in titoli di Stato rimane tassato al 12,50 per cento e le forme pensionistiche, insieme alle casse previdenziali, a determinate condizioni, possono ricevere un credito di imposta.
  In realtà, l'accesso a questo credito di imposta è una misura molto complessa perché prevede che il credito sia concesso soltanto a condizione che i fondi pensione investano in determinati attivi di medio e lungo termine ed è comunque un beneficio limitato, perché è previsto dalla legge un tetto complessivo di 80 milioni che vale sia per gli investimenti dei fondi pensione, sia per gli investimenti delle casse previdenziali obbligatorie.
  La stessa cosiddetta monetizzazione del TFR, cioè la possibilità – sebbene sia una misura provvisoria, di validità limitata a tre anni – per il lavoratore di liquidare il TFR, anche se già conferito a forme pensionistiche complementari con applicazione dell'aliquota ordinaria, quindi sicuramente penalizzante per i lavoratori, per fortuna pochi, che hanno scelto di ricorrere a questa forma di liquidazione del TFR, è una misura che va nella direzione sbagliata.
  Del resto, rispetto a un contesto in cui si cerca di promuovere la crescita della previdenza integrativa, lo Stato fissa forme di incentivo e chiede sostanzialmente, dopo aver ridotto le prestazioni pubbliche, ai propri cittadini di aderire alla previdenza complementare, dotandosi quindi di una pensione aggiuntiva e individuando nel TFR la forma principale per finanziare questa integrazione. Queste misure quindi appaiono del tutto contraddittorie, sia per chi ha già effettuato la scelta di aderire, sia per chi, apprestandosi a valutare questa scelta, non fa altro che prendere atto che quello della previdenza complementare è considerato evidentemente come un ambito al quale poter fare riferimento per vincoli di bilancio pubblico contingenti, o per incentivare temporaneamente i consumi delle famiglie, senza una strategia e una visione di lungo periodo.
  Da questo punto di vista, auspichiamo che ci sia un ripensamento complessivo sulla crescita del risparmio previdenziale e in questo senso riteniamo che occorra cambiare direzione. Innanzitutto, è necessario tener conto del fatto che il risparmio previdenziale è ancora limitato, però il risparmio finanziario delle famiglie esiste e tiene. Secondo i dati della Banca d'Italia, alla fine del 2014, le famiglie italiane, anche se con una certa variabilità tra fasce di età e classi di reddito, detengono 3.000 miliardi di euro di risparmi finanziari, per lo più impiegati in strumenti di breve termine e non finalizzati invece a lungo termine o all'integrazione pensionistica.
  Quindi, bisogna rendere consapevoli i cittadini dei propri bisogni previdenziali e dei vantaggi rappresentati dall'investimento previdenziale in forme pensionistiche complementari. La decisione dell'INPS di permettere a tutti gli iscritti di stimare la propria pensione futura attesa è un atto doveroso. Si sarebbe già dovuto fare quando effettivamente c’è stata una divaricazione nel calcolo delle pensioni con la riforma Dini di ormai vent'anni fa, comunque è positivo che si sia fatto adesso per rendere consapevoli gli italiani delle proprie aspettative pensionistiche.Pag. 6
  Riguardo più in particolare alla previdenza complementare, occorre rendere consapevoli tutti che si tratta di un investimento con dei vantaggi fiscali; con i vantaggi della diversificazione dell'investimento; con costi mediamente più bassi rispetto a quelli previsti da altri prodotti finanziari; con diverse opzioni a disposizione, collettive e individuali; con costi inferiori o con servizi di consulenza più personalizzati; con performances finanziarie che, essendo investimenti di lungo periodo, possono essere migliorative sia rispetto alla rivalutazione del TFR, sia rispetto agli impieghi finanziari che le famiglie attualmente detengono per lo più, cioè quelli di breve termine.
  Andrebbero vinte anche le reticenze dei lavoratori che, pur essendo consapevoli di questi aspetti, non aderiscono proprio perché hanno perplessità rispetto a un cantiere sempre aperto, quello della previdenza complementare, sul quale spesso ci sono interventi che cambiano i termini del patto contrattuale – ad esempio, il citato incremento della tassazione dei rendimenti – che minano un po’ la fiducia.
  Per quanto siamo consapevoli degli stringenti vincoli di finanza pubblica, occorrerebbe rivedere la tassazione sui rendimenti. In molti Paesi è in vigore un sistema di tassazione che prevede l'imposizione soltanto alla scadenza, nel momento del pensionamento, mentre non tassa la posizione previdenziale in sede di contribuzione e di rendimenti finanziari. Quindi, anche in Italia sarebbe utile passare a questo sistema.
  Allo stesso modo, il limite di deducibilità fiscale di 5.165 euro, i vecchi 10 milioni di lire, appare ormai obsoleto e non tanto rispetto ai livelli medi di contribuzione, che sono all'incirca intorno ai 2.000 euro, quanto alla possibilità di prevedere che questo limite possa essere incrementato, magari in casi specifici, come ad esempio la possibilità che un lavoratore possa iscrivere al fondo pensione i propri familiari, anche minori, e in questa fattispecie concedere che la deducibilità possa avere un tetto più elevato.
  Un'altra misura utile potrebbe essere quella di dare alla previdenza complementare una piena funzione di supporto alla vita lavorativa dell'iscritto; ad esempio prevedendo che in casi specifici, come la perdita del posto di lavoro in prossimità del pensionamento, il montante previdenziale possa essere convertito in una sorta di rendita temporanea che permetta al lavoratore di provvedere a se stesso e alla propria famiglia, in assenza di reddito e di pensione, fino al raggiungimento del pensionamento.
  Tra le misure sul TFR, quella sulla concessione di liquidazione del TFR stesso andrebbe secondo noi convertita in un diritto di ripensamento. Molti lavoratori non aderiscono proprio perché la scelta sul TFR conferito alla previdenza complementare è, come noto, irreversibile. Non si può cambiare una volta fatta. La possibilità di ripensare a questa scelta, magari soltanto sul TFR maturando e limitandolo a determinati periodi temporali, renderebbe l'adesione al conferimento del TFR più flessibile e quindi potrebbe vincere la reticenza ad aderire di singoli lavoratori.
  Anche il risparmio previdenziale in senso lato, non strettamente destinato a forme pensionistiche complementari così come riconosciute dalla legge, potrebbe giocare un ruolo importante a sostegno dell'economia. L'investimento di lunga durata più in generale potrebbe essere visto dal legislatore come una fonte di possibile finanziamento dell'economia reale; ad esempio concedendo una tassazione analoga a quella prevista dai titoli di Stato, pari al 12,50 per cento, purché l'investimento di questi prodotti sia destinato, in una parte da definire, al finanziamento delle aziende e dell'economia reale del Paese.
  In conclusione, nell'ultima parte del nostro contributo, vogliamo riferirci ad un altro comparto che rappresenta un ambito di intervento degli investitori istituzionali ancora poco sviluppato, cioè quello della sanità e dell'assistenza integrativa, che pure può presentare delle caratterizzazioni di lungo termine negli accantonamenti, a fronte delle prestazioni, e quindi Pag. 7degli investimenti dei soggetti che prevedono queste prestazioni, come ad esempio a fronte della perdita dell'autonomia e delle cosiddette esigenze di long term care.
  Nella previdenza, una scelta del legislatore è stata già fatta. Abbiamo infatti un disegno di previdenza obbligatoria che richiede, forse, solo interventi di manutenzione. È un disegno di previdenza complementare già compiuto, con diverse forme ormai consolidate, in un impianto normativo anch'esso consolidato. Nella sanità integrativa, nella sanità privata, invece, il disegno ancora va composto, sempre nell'ottica di costruire un sistema che, in analogia con altri Paesi, attraverso scelte già compiute in Francia, Germania e altrove – da questo punto di vista non siamo un Paese eccezionale – prevede un sistema pubblico che provvede ai livelli essenziali e un sistema privato che rispetto a specifiche prestazioni provvede alle stesse mediante ricorso a mutuo o ad altre forme del settore assicurativo per l'integrazione delle prestazioni sanitarie.
  Quindi, secondo noi occorre innanzitutto partire da una revisione del sistema pubblico rivedendo essenzialmente la struttura della compartecipazione alla spesa sanitaria da parte dei cittadini, i cosiddetti ticket, per i quali vediamo un rafforzamento delle forme di esenzione e una garanzia di prestazioni date in maniera appropriata, ma soprattutto con tempestività, specialmente alle fasce di cittadini meno abbienti e, dall'altro lato, una forma di compartecipazione alla spesa che gradualmente può essere più importante per le fasce più abbienti della popolazione, in maniera da legare questa compartecipazione al reddito o all'ISEE delle famiglie.
  Questo porterebbe a un maggiore efficientamento – secondo noi e secondo valutazioni quantitative che abbiamo fatto e che, se la Commissione crede, possiamo mettere a disposizione – del sistema pubblico e a uno sviluppo della sanità integrativa con benefici per le famiglie, diversificati poiché le fasce di reddito più basse avrebbero comunque dei benefici; mentre le fasce di reddito più elevate, a causa della maggiore compartecipazione attraverso i ticket alle prestazioni a cui accedono, però bilanciata da un maggiore ricorso alle forme sanitarie integrative, e quindi a una deducibilità dei contributi versati ad esse, avrebbero una maggiore spesa.
  Nel complesso delle famiglie però si avrebbe comunque un beneficio, una maggiore fedeltà fiscale e una popolazione in definitiva più protetta, mettendo insieme sia le prestazioni del sistema pubblico, sia quelle del settore privato.
  Questa revisione del sistema – e mi avvio a concludere – può essere realizzata attribuendo anche alle forme sanitarie integrative, fondi e casse sanitarie, società di mutuo soccorso, polizze malattia di imprese di assicurazione, un ruolo più importante, prevedendo ad esempio che le attuali prestazioni in corrispondenza delle quali i contributi versati alle forme sanitarie integrative sono deducibili – mi riferisco agli ambiti nei quali lo Stato ha riconosciuto un ridotto presidio pubblico, come le cure riabilitative, la perdita di autonomia e le spese odontoiatriche – siano ulteriormente ampliate.
  Dobbiamo prendere atto, infatti, che esiste un elevato ricorso alla spesa sanitaria pagato di tasca propria da parte dei cittadini che, dalle osservazioni degli ultimi anni, sembra essere uno zoccolo duro incomprimibile, di oltre 30 miliardi di euro, e che si rivolge a voci di spesa ben definite, come visite specialistiche, alta diagnostica e ricoveri ospedalieri, che potrebbero essere riconosciute anch'esse dallo Stato come prestazioni in corrispondenza delle quali i contributi versati alle forme sanitarie integrative sono deducibili, facendo così in modo che la sanità integrativa privata possa maggiormente dedicarsi anche a questi ambiti di interesse.
  Il maggior ruolo delle forme sanitarie integrative incrementerebbe gli accantonamenti delle stesse per prestazioni di lunga durata, come la perdita di autonomia, che potrebbero ovviamente essere investiti in economia, ma tutto ciò richiede ancora una volta una scelta che è stata fatta per la previdenza complementare e non ancora Pag. 8per la sanità integrativa; cioè un quadro unitario di regole in cui le varie forme, se pure con le loro specificità e di diversa natura (forme di mercato come le polizze malattia, forme mutualistiche, fondi e casse sanitarie) operino con delle regole certe sull'organizzazione, sulla governance, sulla deducibilità, sui requisiti patrimoniali e di sicurezza, per finalità anche di tutela dei risparmiatori.
  Infine, a corredo e ad ulteriore utilità servirebbero iniziative di promozione per la consapevolezza dell'importanza di prestazioni come la prevenzione e di trasparenza, sia da parte della sanità pubblica che di quella privata, sulla qualità delle prestazioni offerte dalle strutture.
  È importante che i cittadini sappiano come funzionano le strutture sanitarie e che possano scegliere dove curarsi. Da questo punto di vista, esistono già molti dati provenienti dal piano nazionale valutazione esiti, sul sito Dovesalute del Governo, ma secondo noi questi dati andrebbero incrementati e ulteriormente integrati, proprio con la finalità non tanto di valutare ad uso interno il sistema sanitario, ma di dare la possibilità a tutti i cittadini di valutare con trasparenza le prestazioni del sistema sanitario.
  Rimango a disposizione per eventuali quesiti e vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. La sua relazione è stata davvero esaustiva. Siccome faremo una discussione sulla sanità integrativa nella parte finale della nostra indagine, vi inviteremo di nuovo per avere un quadro completo del sistema.
  Nel ringraziare i nostri ospiti per la disponibilità manifestata, dispongo che la relazione presentata sia allegata al resoconto stenografico della seduta odierna e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.15.

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