XVII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Giovedì 16 aprile 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE PROBLEMATICHE CONCERNENTI L'ATTUAZIONE DEGLI STATUTI DELLE REGIONI AD AUTONOMIA SPECIALE, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL RUOLO DELLE COMMISSIONI PARITETICHE PREVISTE DAGLI STATUTI MEDESIMI

Audizione dei professori Alessandro Sterpa e Roberto Toniatti.
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 
Sterpa Alessandro , Professore aggregato di istituzioni di diritto pubblico dell'Università degli studi di Roma La Sapienza ... 3 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 6 
Kronbichler Florian (SEL)  ... 7 
Pili Mauro (Misto)  ... 7 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 7 
Sterpa Alessandro , Professore aggregato di istituzioni di diritto pubblico dell'Università degli studi di Roma La Sapienza ... 8 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANPIERO D'ALIA

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione dei professori Alessandro Sterpa e Roberto Toniatti.

  PRESIDENTE. La seduta di oggi è dedicata all'audizione del professor Alessandro Sterpa, professore aggregato di istituzioni di diritto pubblico dell'Università di Roma La Sapienza, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle problematiche connesse alle procedure di attuazione degli statuti delle regioni ad autonomia speciale e, in tale contesto, al ruolo delle commissioni paritetiche previste dagli statuti medesimi.
  Comunico che il professor Roberto Toniatti, professore di diritto pubblico comparato dell'Università di Trento, è impossibilitato a partecipare alla seduta odierna.
  Ringrazio il professor Sterpa per la disponibilità dimostrata e gli do la parola.

  ALESSANDRO STERPA, Professore aggregato di istituzioni di diritto pubblico dell'Università degli studi di Roma La Sapienza. Ringrazio il presidente e la Commissione per questa opportunità.
  Ho avuto modo di ragionare sui quesiti posti a fondamento della nostra audizione e devo dire che trovo un filo rosso che li collega tutti. Mi sembra si possa partire proprio dall'ultima parte dei quesiti, per capire, all'interno del processo di riforma costituzionale in atto, quali margini si possano aprire per intervenire anche sul processo di adeguamento degli statuti delle regioni speciali.
  La prima riflessione utile, che ho trovato molto stimolante per mettere in ordine i concetti, è che la riforma costituzionale prevede che il capo IV del testo non sia applicato alle regioni speciali fino a quando non siano adottati questi nuovi statuti. Questi statuti si adotteranno, come sapete, sulla base di un'intesa.
  Ritengo che l'espressione «sulla base di intesa» sia identica a due altre espressioni previste in Costituzione, quella dell'articolo 8, relativo alle confessioni religiose, e quella dell'articolo 116, relativo alle maggiori forme di autonomia.
  Io credo che questa prima considerazione sia un punto di partenza molto importante per la riflessione. Ciò vuol dire che noi siamo in presenza di una fonte, non solo di rango costituzionale, ma anche rafforzata e atipica, cioè frutto di un procedimento molto particolare, che introduce per la prima volta un elemento pseudo-pattizio alla base della legge costituzionale che approverà lo statuto.
  Voi sapete che l'articolo 116 non ha ancora un'applicazione nelle forme ulteriori di autonomia che ci possa consentire di pescare nella prassi o nelle consuetudini precedenti.
  Nell'articolo 8, l'espressione «sulla base di intesa» è stata tradotta in un copia-incolla dell'intesa con la confessione religiosa dentro la legge dello Stato.Pag. 4
  Il nuovo impianto previsto in Costituzione, in particolare la riforma in corso di approvazione, all'articolo 39, comma 11, sembra dirci che i nuovi statuti saranno frutto di un'intesa con le singole regioni speciali, che verrà in qualche modo trasmutata in senso materiale e pedissequamente all'interno della legge costituzionale.
  Questo, secondo me, è un elemento di novità molto importante, che va collegato all'altro aspetto: la riforma parla di adeguamento, nell'attesa di questi statuti speciali. Utilizza un'espressione identica a quella che veniva usata nella legge costituzionale n. 3 del 2001, quando si introduceva quella clausola di salvaguardia generale all'articolo 10: finché non ci saranno gli statuti, la riforma del 2001 si applicava alle regioni speciali nella parte in cui prevedevano forme maggiori di autonomia.
  Se questo è vero, in questo lavoro speculare, bisognerà capire come si collocherà questa nuova procedura di revisione degli statuti speciali – peraltro questo è uno dei quesiti posti – all'interno di questo nuovo processo di riforma che, diversamente da quello del 2001, è chiaramente di restrizione dello spazio di autonomia legislativa delle regioni ordinarie ed è sicuramente più orientato a uno spostamento di titolo di competenze a favore dello Stato.
  Secondo me, queste due differenze ci possono aiutare. Ne aggiungo una in particolare, quella che io chiamerei «i vasi comunicanti fra i vecchi statuti e la nuova Costituzione». Gli statuti attualmente vigenti delle cinque regioni ad autonomia speciale contengono riferimenti normativi, espressioni giuridiche e concetti che nella riforma costituzionale sono innovati rispetto al passato.
  Il primo è l'interesse nazionale, che c’è in tutti gli statuti speciali, ma non c'era più in Costituzione dal 2001 al 2015. Questo ha impedito che i vasi comunicanti parlassero, cioè che la giurisprudenza costituzionale sul Titolo V per le regioni ordinarie dicesse qualcosa anche sugli istituti e sui termini degli stessi.
  Ora succede che l'interesse nazionale, scomparso nel 2011, dovrebbe ricomparire all'articolo 117, comma quarto. Occorre domandarsi se la giurisprudenza che si andrà a costruire sul nuovo interesse nazionale quale clausola di supremazia avrà in qualche modo effetti e se sarà, come un vaso comunicante, trascinata dentro le singole regioni speciali che nei rispettivi statuti fanno riferimento all'interesse nazionale.
  Dico questo perché l'articolo 117, comma quarto, reintroduce l'interesse nazionale come titolo di intervento del legislatore statale, in un quadro sostanzialmente di maggiore capacità penetrativa.
  Per ricordarlo a me stesso, rileggo il quarto comma: «Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materia non riservata alla legislazione esclusiva, quando lo richiedano la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica ovvero la tutela dell'interesse nazionale».
  Su questo interesse nazione ci sarà una nuova giurisprudenza. Questa transiterà verso la voce «interesse nazionale» presente negli statuti ? È importante definire questo, insieme all'altro aspetto: quale effetto avrà la scomparsa della potestà concorrente dal Titolo V rispetto agli statuti che, o chiamandola così o utilizzando la formula dell'attuazione e integrazione, comunque contengono materie concorrenti all'interno degli statuti speciali ?
  Per esempio, le regioni a statuto speciale nei propri statuti fanno spesso riferimento in queste materie non esclusive al concetto di principio. Tranne il Friuli-Venezia Giulia, non lo nominano come principio fondamentale. Allora, questa categoria di principio avrà uno sviluppo proprio, visto e considerato che dalla Costituzione sparirà la potestà concorrente ?
  In realtà, sappiamo che per alcuni la potestà concorrente non sparisce, ma assume una forma un po’ strana e nuova, con lo schema delle disposizioni generali e comuni dello Stato in alcune materie – penso al governo del territorio e alla salute – e della disciplina regionale sulle altre. In realtà, probabilmente quelle disposizioni generali e comuni non sono i vecchi princìpi fondamentali.Pag. 5
  Creandosi questi vasi comunicanti su questi due aspetti che io uso come esempio, la procedura di revisione probabilmente deve essere pensata anche ragionando su questo nuovo rapporto fra gli statuti speciali e la Costituzione riformata, diverso rispetto a quello che era maturato nel 2001 tra la Costituzione riformata, grazie all'articolo 10 che introduceva quella clausola di salvezza, e gli statuti speciali.
  A questo punto, l'espressione «sulla base dell'intesa» diventa decisiva quale strumento pattizio, con il quale fissare regole veramente di differenziazione a vantaggio delle regioni speciali. Diventa uno strumento fondamentale, con il quale delineare e proteggere formalmente e costituzionalmente un ambito competenziale maggiore rispetto a quello delle regioni di tipo ordinario.
  È vero che la riforma in atto fa salva l'applicazione del capo IV e, quindi, sembra dire che, finché non ci sono gli statuti nuovi, rimane tutto come è. Tuttavia, è anche vero che non è immaginabile che questa condizione sospensiva sia tale da impedire già da subito o anche in tempi medi, qualora ci fosse una forma di resistenza ad adottare intese, l'espansione di alcune norme del Titolo V, che sarà modificato.
  Penso, in particolare, al coordinamento della finanza pubblica che, nel modo in cui viene descritto nella riforma costituzionale, ha tutte le caratteristiche per avere un grado di penetrazione molto forte anche all'interno dell'ordinamento speciale.
  Perché dico questo ? Richiamo la giurisprudenza costituzionale, molto conosciuta e diffusa. C’è un aspetto, secondo me, non da poco, che potrà condizionare le intese tra la singola regione e lo Stato per arrivare a forme di autonomia maggiori rispetto all'attuale Titolo V.
  Infatti, nella riforma echeggia in più luoghi il tema del coordinamento della finanza pubblica. Pensiamo all'articolo 116 della Costituzione, terzo comma, dove le forme ulteriori di autonomia che possono essere assegnate alle regioni vengono assegnate sotto la condizione dell'equilibrio di bilancio tra entrate e uscite espressamente iscritto.
  Se a questo leghiamo il passaggio del coordinamento della finanza pubblica da materia concorrente a materia esclusiva dello Stato e aggiungiamo gli effetti complessivi della legge costituzionale n. 1 del 2012 sul pareggio di bilancio, capiamo che in realtà tutta la partita finanziaria andrà ritrattata ex novo.
  L'intesa, quale strumento a base del nuovo statuto, potrà essere il momento in cui questa trattativa si formalizza e si dota – credo – di uno strumento di tutela reale. Probabilmente è il caso che quelle norme dicano molto più di quanto dicono oggi alcuni statuti sulla parte finanziaria e siano molto più puntuali.
  Lo strumento dell'intesa, a base della legge costituzionale che approverà i futuri statuti, si presta a essere uno strumento di maggior dettaglio, per un'integrazione del quadro statutario più puntuale, probabilmente anche pensando di trasformare, se non di superare, il meccanismo attuativo dei decreti legislativi. Lo strumento stesso dell'intesa fa dello statuto qualcosa che somiglia molto a un accordo, con una capacità di dettare normativa su aspetti molto più specifici.
  Voglio fare anche un altro riferimento a questo rapporto fra i nuovi statuti, la nuova condizione di autonomia delle regioni speciali e la futura riforma costituzionale.
  Con la recente sentenza n. 255 del 2014 (relatore Mattarella), la Corte costituzionale ha esteso (abbastanza prevedibilmente, visto quello che era successo per la regione Trentino-Alto Adige) il controllo successivo ex articolo 127 alla regione Sicilia, che invece aveva un controllo preventivo sulle leggi.
  Lo ha fatto ragionando, in maniera chiara e puntuale, sul fatto che questo istituto del controllo della legge regionale successivo alla pubblicazione, che si applicava a tutte le altre regioni, garantiva un grado di autonomia maggiore alle regione Sicilia rispetto al controllo preventivo.Pag. 6
  La Corte è entrata nel merito dell'articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, cioè ha cominciato a guardare quale dei due istituti garantiva di più l'autonomia e ad applicarlo.
  Questo probabilmente è un modus operandi della Corte che ci preannuncia una possibile attività nei prossimi mesi, dopo l'entrata in vigore dell'eventuale riforma, fatta di capacità di distinguere maggiore o minore autonomia.
  Il punto è: l'articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, dopo la riforma o nelle more dell'approvazione degli statuti che sospendono il capo quarto IV della riforma, è ancora in vigore ? Fino a quando ?
  Il tema è: questa clausola che fu approvata nel 2001, che permetteva alle regioni speciali di assorbire della riforma solo ciò che estendeva e ampliava le competenze, fino a quando rimarrà nell'ordinamento ?
  In teoria, all'atto dell'entrata in vigore del nuovo Titolo V, è come se quella clausola si spegnesse, cioè perdesse la sua capacità. È vero che per le regioni speciali l'entrata in vigore di questo nuovo titolo V, il capo IV della legge costituzionale, è posticipata ai nuovi statuti. Pertanto si presuppone, almeno formalmente che, finché non ci saranno i nuovi statuti, continuerà ad applicarsi il Titolo V originario alle regioni speciali, compresa la clausola dell'articolo 10. Tuttavia, la clausola dell'articolo 10 a un certo punto scomparirà con l'adozione dei singoli statuti.
  A questo punto la domanda è: può la regione speciale procrastinare la trattativa con lo Stato sine die ? È immaginabile pensare che ci sia da una parte o dall'altra un atteggiamento non più «collaborativo» o comunque meno «collaborativo» ?
  Su questo, secondo me, si potrebbero costruire strumenti di chiusura del sistema, purtroppo – lo dico dal punto di vista dello studioso – anche a danno dell'autonomia. Non è successo poche volte che, davanti a una potenziale capacità delle regioni di impedire l'adozione di un atto statale, la Corte costituzionale sia arrivata a dire che la leale collaborazione presuppone che a un certo punto l'accordo si faccia.
  Cito l'esempio della sentenza sul nucleare, dove ci fu il tema dell'accordo Stato-regioni che, pur non formalmente raggiunto, fu di fatto ritenuto raggiunto dalla Corte costituzionale nella pronuncia.
  È probabile che tutta la fase di revisione si giocherà tra una tempistica formalmente non definita e un atteggiamento istituzionale collaborativo che però potrebbe arrivare anche, a giudizio della Corte, come comportamento omissivo o meno di una delle due parti.
  Cerchiamo di capire bene: chi delle due parti, in realtà, ha interesse che ci sia un'approvazione repentina degli statuti ?
  La parola «adeguamento» usata nell'articolo 39, comma 11, sembra dire che questa attività di revisione debba essere fatta per adeguare gli statuti, come era nel 2001, a un indirizzo complessivo costituzionale che la riforma pone in essere.
  Questo è comunque un indirizzo di spostamento di molti titoli dalla competenza concorrente alla competenza esclusiva dello Stato oppure dalla potestà concorrente alla potestà sulle disposizioni generali e comuni dello Stato e sul resto alle regioni. Pertanto, in realtà, è un indirizzo del tutto diverso da quello del 2001.
  Di conseguenza, io credo che questa opportunità dell'intesa, che diventa decisiva, perché senza intesa non si può realizzare la legge costituzionale, potrebbe essere scambiata con una capacità di interdizione del processo di revisione da parte del sistema delle regioni speciali.
  Questo è il rischio che vedo, che, ovviamente, è del tutto potenziale e dipenderà dall'atteggiamento concreto dei soggetti chiamati ad attivarsi.
  Io potrei ancora proseguire. Magari possiamo interrompere e passare alle domande. Mi dica lei, presidente.

  PRESIDENTE. Grazie, professore.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

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  FLORIAN KRONBICHLER. Grazie, professore. Lei parlava del rischio di non riuscire ad arrivare a un adeguamento. Vorrei sapere se qualche regione in particolar modo è sospettata, per esempio la mia, il Trentino-Alto Adige, che potrebbe pensare di non adeguarsi, perché tanto il referendum costituzionale non ci riguarda. Così, per lo meno, viene presentata alla popolazione.
  Si diceva che la molla economica sarebbe lo strumento dello Stato, però la nostra regione nel frattempo ha un accordo per il trattamento economico a parte. Lo Stato cos'altro ha in mano per costringere queste regioni ad adeguarsi alla Costituzione riformata ?

  MAURO PILI. Io mi permetto di fare alcune riflessioni e anche di porre alcuni quesiti al professore, che ha avuto la capacità di sintetizzare con molta chiarezza le possibili ripercussioni sull'evoluzione della materia costituzionale nel nostro Paese.
  Nel momento in cui entra in vigore la cosiddetta «clausola di supremazia», quali sono le dirette ed effettive ripercussioni sugli statuti in essere ?
  Cito un caso che lei ha richiamato, la sentenza della Corte costituzionale sulla partita del sito nucleare e del deposito unico nazionale. Qualora una regione a statuto speciale abbia la competenza in materia ambientale ed energetica, legata alla prima visione dello statuto, per esempio la Sardegna, che ha la competenza diretta sulle miniere e sulla parte energetica, qual è la ricaduta in termini effettivi della clausola di supremazia rispetto agli statuti ?
  Lei ha usato un'espressione che a me non è sfuggita: i vasi comunicanti. Questa è un'arma a doppio taglio, che può essere più di taglio che a favore delle regioni a statuto speciale. Se gli statuti sono collegati a una logica di concorrenza, nel momento in cui viene meno la clausola e c’è la cessazione della potestà concorrente, sostanzialmente questo aspetto ricade totalmente nella fattispecie della competenza primaria ed esclusiva dello Stato.
  Lei intravede su questa cessazione della potestà concorrente una possibile e diretta ricaduta relativamente agli statuti speciali ?
  Arrivo all'ultima questione. L'articolo 116 è una norma costituzionale per il momento non toccata. Esistono le regioni a statuto speciale, con tutte le differenziazioni che la norma costituzionale ha sostenuto. Le regioni a statuto speciale devono avere un di più in quanto vi sono delle differenze, che non sono state normate, non sono state verificate e non sono state misurate. Cito l'insularità della Sardegna, che probabilmente nella sua misurazione avrebbe diritto perenne a una sua differenziazione.
  Considerato che le regioni ordinarie hanno fatto un passo in avanti e, quindi, hanno raggiunto su alcune questioni e superato in altre le competenze, anche quelle basate sulla clausola di maggior favore delle regioni speciali, si può intravedere una violazione costituzionale dell'articolo 116, cioè della sostanziale differenziazione tra regioni a statuto speciale e regioni ordinarie ?

  PRESIDENTE. Vorrei porre anch'io una domanda. Lei ha dato una chiave di lettura che sicuramente fino a oggi, nel corso della nostra attività, non avevamo approfondito. La ringrazio, perché è molto utile.
  La mia domanda, che è contenuta, peraltro, nei quesiti che noi, come traccia, abbiamo fornito agli autorevoli relatori, riguarda il tema del meccanismo di adeguamento.
  La nuova formulazione del testo costituzionale in discussione in Parlamento, oltre alla procedura prevista costituzionalmente e statutariamente per la revisione e l'adeguamento degli statuti, prevede anche l'intesa.
  In questo contesto, quale può o quale deve essere il ruolo delle commissioni paritetiche ? Tutti i procedimenti che hanno riguardato l'attuazione o l'integrazione degli statuti speciali e che sono passati attraverso le commissioni paritetiche hanno funzionato, così come ci hanno Pag. 8detto i relatori che sono intervenuti nelle nostre precedenti sedute, in ragione di condizioni politiche particolari e della maggiore o minore intensità con cui i rappresentanti delle istituzioni politiche territoriali o del Governo centrale hanno inteso utilizzare questo strumento. Nel proseguo di questa indagine conoscitiva, verificheremo se lo hanno utilizzato bene o meno bene e se ci sono delle cose che non funzionano.
  Il testo costituzionale, che appare rigido, comunque prevede una nuova riorganizzazione nel rapporto fra lo Stato centrale e le regioni ad autonomia differenziata, con gli aspetti che lei ricordava. Peraltro, nell'audizione precedente, il professor Longobardi e il professor Antonini ci evidenziavano questa riorganizzazione rispetto ai recentissimi orientamenti della Corte costituzionale sul tema dei rapporti finanziari fra Stato e regioni ad autonomia speciale, che sono collegati direttamente all'adempimento di ben precisi obblighi comunitari in materia di disciplina di bilancio.
  Come si cala in questo contesto il ruolo delle commissioni paritetiche ? È un ruolo che deve essere rafforzato ? Il relativo iter o procedimento, che porta poi alle norme di attuazione o comunque alle procedure di revisione statutaria, può essere contemplato in maniera migliore o diversa, nella discussione che il Senato farà sul testo costituzionale o a prescindere da questa ?
  Se queste procedure di adeguamento o di revisione non vengono adottate, il rischio è che nel tempo, in materia finanziaria, che ovviamente è quella di strettissima attualità, queste possano essere comunque oggetto di approvazione, anche a prescindere dall'esercizio di una legittima autonomia statutaria e costituzionale.
  Do la parola al professor Sterpa per la replica.

  ALESSANDRO STERPA, Professore aggregato di istituzioni di diritto pubblico dell'Università degli studi di Roma La Sapienza. Partirei dalla riflessione sul termine «adeguamento». È sicuramente vero quanto è stato appena ricordato.
  Il modo in cui si declinerà questo adeguamento, che ovviamente non va letto solo in senso formale, dipende, secondo me, da quale concetto di specialità prevarrà tra il concetto di specialità assoluta, in base al quale si è speciali perché si è così (isola, minoranze linguistiche eccetera) e il concetto di particolare autonomia dell'articolo 116, che è un concetto relativo, rispetto alle altre regioni ordinarie.
  Se c’è un elemento di assolutezza, nulla quaestio, perché le ragioni della specialità possono perseverare nel tempo a prescindere dalle condizioni in cui sono le regioni ordinarie. Se, invece, prevale un concetto di specialità relativa, cioè rispetto alle ordinarie, io credo che, nel combinato disposto fra il termine «adeguamento» e l'inserimento di una serie di nuove competenze statali molto uniformanti, ci sia il rischio che si riducano gli spazi di manovra per le regioni speciali.
  Questo volevo dire quando ho cominciato a riflettere su questo adeguamento. Questo è un punto chiave.
  L'altro aspetto è quello dei vasi comunicanti. Facciamo degli esempi che possano chiarire il problema.
  In tutti gli statuti speciali c’è un riferimento all'interesse nazionale, agli interessi nazionali oppure, in uno degli statuti, alla sola materia interesse nazionale ma non alle singole fattispecie.
  Finora la Corte costituzionale ha cessato di pronunciarsi su cosa sia l'interesse nazionale, perché è scomparso nel 2001 come limite alla legislazione regionale sia di merito che di diritto. Pertanto, non abbiamo degli aggiornamenti giurisprudenziali su cosa possa materialmente essere questo interesse nazionale.
  Sappiamo, però, che in questi anni la Corte costituzionale ha sviluppato dei titoli di intervento statale che somigliano all'interesse nazionale: le materie trasversali, la tutela e la promozione della concorrenza, la tutela dell'ambiente e la sussidiarietà legislativa con cui si sono assunte funzioni. La Corte ha individuato altri strumenti per uniformare.Pag. 9
  Dopo la riforma l'interesse nazionale ricomparirà nella sua purezza, perché non è associato, ma è «ovvero rispetto a unità giuridica e un'unità economica».
  È probabile che, nell'esercizio concreto della sua potestà legislativa, lo Stato, quando farà leggi che richiameranno la clausola di supremazia di cui all'articolo 117, comma quarto, creerà un contenzioso costituzionale, nel quale la Corte potrà sviluppare definizioni, anche nuove, di interesse nazionale.
  Potranno essere quelle declinazioni dell'interesse nazionale diverse dall'interesse nazionale evocato nei singoli statuti ? Probabilmente no. Questo è il vaso comunicante a doppio taglio, che può essere rischioso o vantaggioso per l'autonomia, a seconda di dove comincia il flusso di concetti.
  Mi permetto di dire che nella recente pronuncia sulla legge Delrio, la legge n. 50 del 2014, la Corte costituzionale già occhieggia alla nuova Costituzione in un passaggio che, secondo me, è stato forse un po’ sottovaluto dai colleghi.
  A un certo punto la Corte definisce l'unità giuridica, che insieme all'interesse nazionale e all'unità economica sarà la clausola di supremazia nella nuova Costituzione riformata, come l'esigenza di avere tout-court una disciplina uniforme, quasi che l'unità giuridica si autogiustifichi.
  Invece, nella vecchia impostazione dell'interesse nazionale, non bastava che lo Stato dicesse che c'era un interesse nazionale ma doveva anche dire perché, in modo che la Corte valutasse la ragionevolezza della costrizione dell'autonomia regionale rispetto al bisogno di unità statale.
  Io vedo una giurisprudenza costituzionale che, grazie a un gancio formale negli statuti, che risalgono purtroppo a molto tempo fa, quindi a un quadro costituzionale diverso, faccia trasmigrare i concetti, come lei poc'anzi diceva.
  Questo vale anche per la potestà concorrente, ma vale nella misura in cui in alcuni statuti non è formalmente definita come tale.
  La riforma parte dall'assunto che la potestà concorrente è stata un territorio di conflittualità costituzionale permanente. Questo assunto non è sempre dimostrabile, nella misura in cui, dopo quarant'anni di giurisprudenza costituzionale, si è affermato il concetto di principio fondamentale, seppure con elementi di potenziale indeterminatezza evidenti. La giurisprudenza costituzionale ha lavorato.
  Noi non avremo più la giurisprudenza su princìpi fondamentali, tranne per l'articolo 122, cioè la potestà legislativa in materia di sistema di elezione, ma avremo una giurisprudenza nuova, che dovrà spiegarci cosa sono le disposizioni generali e comuni, che per certe materie, ora statali e prima concorrenti, cercano di introdurre una divisione fra Stato e regioni. Poc'anzi ho citato l'esempio del governo del territorio e della tutela della salute, che sono i due macro-settori per le regioni o almeno per quelle ordinarie.
  È evidente che la Corte dirà qualcosa su queste disposizioni generali e comuni. Una volta che si sarà pronunciata, questo avrà effetto su cosa saranno i princìpi non meglio definiti, né fondamentali né altro, in alcuni statuti delle regioni speciali, che assumeranno in qualche modo una loro concretezza, anche alla luce di quello che la Corte avrà detto rispetto alle regioni ordinarie.
  Sarebbe impossibile che non ci fosse una graduazione. Quei princìpi delle regioni speciali dovranno essere qualcosa di più ristretto per lo Stato rispetto alle disposizioni generali e comuni delle regioni ordinarie, altrimenti questa autonomia speciale non esisterebbe.
  Anche questo dipenderà, come dicevo poc'anzi per la parola «adeguamento», dal concetto che prevarrà tra un'idea di specialità in senso assoluto (siamo speciali e basta) e un'idea di specialità in senso relativo (siamo speciali rispetto alle regioni ordinarie).
  Questo tema nel 2001 fu quasi lasciato in sottofondo, perché tanto c'era quella clausola dell'articolo 10, che diceva in sostanza: «Pescati la competenza migliore quando ne hai bisogno».Pag. 10
  È stata posta una domanda relativa al ruolo dell'intesa rispetto alla disciplina futura, anche dell'aspetto finanziario ed economico.
  In questi anni la Corte costituzionale, come sapete, ha espanso in maniera sostanziale i titoli d'intervento statale. L'ha fatto in particolare dando a quelle etichette dell'articolo 117, secondo comma, un valore sempre più ampio. La tutela della concorrenza è diventata anche promozione della concorrenza, cioè tutto ciò che interviene sul mercato. Potenzialmente qualunque attività abbia un mercato potrebbe ricadere nella competenza statale. La Corte lo ha fatto anche con il coordinamento della finanza pubblica.
  Adesso questo avviene ancora di più, perché non tutte le materie concorrenti vengono spostate all'interno dello Stato. Pochissime rimangono alle regioni, ma ne scompaiono alcune, ovvero la prima e l'ultima. La prima materia è quella relativa alle casse rurali, che non esiste più. L'altra è quella relativa ai rapporti con l'Unione europea, che non transita da nessuna parte.
  Questa probabilmente è una scelta di sistema. Si riconduce tutta la dinamica dei rapporti fra l'Europa e le regioni all'interno della legge statale, citata al quinto comma dell'articolo 117, che regolerà i rapporti fra lo Stato e l'Unione europea, coinvolgendo anche il sistema regionale in fase ascendente e in fase discendente.
  Questo rafforzamento dei rapporti diretti fra Unione europea e Stato e il relativo indebolimento dei rapporti diretti con le regioni si uniscono a un altro aspetto: molte materie nelle quali si interviene con i POR e con i fondi europei stanno transitando verso lo Stato. Ad esempio, si rafforza la competenza statale nella tutela del lavoro e nella promozione del lavoro, che da concorrente diventa esclusiva statale.
  Ovviamente questo succede anche per l'istruzione, che subisce uno spacchettamento con un forte spostamento verso lo Stato.
  A fronte di questi tre elementi, uniti al fatto che il coordinamento della finanza pubblica diventa materia esclusiva statale, al netto dell'approvazione del pareggio di bilancio, che è la sua portata generale, mi domando su quale terreno si andrà a fare l'intesa. Quale disponibilità reale avrà lo Stato ai sottoporre le norme relative alla finanza pubblica a una vera concertazione differenziata ?
  Le istanze di supervisione (chiamiamola così, però in senso più gerarchico che collaborativo) dello Stato sembrano del tutto prevalenti anche rispetto agli impegni assunti in sede comunitaria.
  Io vedo nell'intesa la potenzialità di entrare in questi aspetti in maniera decisiva, garantendo probabilmente l'esigenza statale di avere il coordinamento, ma, nello stesso tempo, evitando di trasformare il coordinamento in un controllo della spesa a monte, cioè in un'imputabilità delle spese addirittura nell'assetto dell'autonomia di bilancio della singola regione.
  A questo punto sorge la domanda posta dal presidente sul ruolo delle commissioni paritetiche. L'altra domanda che sorge è: dove si fa questa intesa ? Questo diventa decisivo.
  Lunedì ero al Parlamento catalano a svolgere una relazione davanti ai parlamentari catalani sulla nostra riforma costituzionale. Loro, nello sfondo, hanno la questione dell'indipendenza catalana. Mi dicevano che adesso stanno traducendo questa indipendenza in una forma plebiscitaria di elezione del loro Parlamento a settembre, visto che la via referendaria è stata ostruita dal Governo nazionale, probabilmente per motivi costituzionalmente fondati.
  In questa chiacchierata anche loro si ponevano il termine delle forme della trattativa con lo Stato. Teniamo conto che in Spagna la Conferenza Stato-regioni e l'Assemblea dei presidenti delle regioni sono forme molto recenti e ancora poco usate, che si stanno sviluppando solo da qualche anno.
  Con chi si fa l'intesa ? Guardiamo le due leggi, che sono ordinarie, l'articolo 8 e l'articolo 116, con cui si fa l'intesa e, sulla base di questa, si fa la legge. Nell'articolo Pag. 11116, terzo comma, l'idea è che siano gli esecutivi regionali a trattare con il Governo nazionale il testo dell'intesa che darà forme speciali di autonomia. Per quanto riguarda le intese con le confessioni religiose, ovviamente è il rappresentante legale delle confessioni che tratta con il Governo.
  In tutti e due i casi, l'idea maggioritaria della dottrina, e per l'articolo 8 anche della prassi, è che si faccia un copia-incolla. L'intesa viene trasferita dentro all'atto normativo, in quel caso le due leggi e in questo caso la legge costituzionale.
  A questo punto, il tema è: questa intesa può anche ripensare i meccanismi successivi di attuazione ? Può anche mettere mano nuovamente al post-statuto ? Una volta fatto lo statuto, la procedura per attuarlo deve essere sempre lo schema dei decreti legislativi o si può pensare a un meccanismo diverso ?
  Visto che l'intesa, come dicevo poc'anzi, si presta a essere uno strumento molto operativo, possiamo pensare di scrivere nella stessa intesa di più rispetto agli statuti attuali, andando oltre il contenuto statutario delle regioni speciali ? Voi sapete meglio di me che il contenuto statutario delle regioni speciali su certi aspetti è estremamente vago e, nella sua vaghezza, è sintomo e sinonimo di potenziale controversia con lo Stato.
  Probabilmente la scelta dell'intesa, oltre a cambiare formalmente lo schema e a rendere più pattizio il procedimento di revisione, può introdurre elementi operativi maggiori, anche immaginando una serie di allegati operativi di svolgimento e superando potenzialmente gli schemi attuali di operazione.
  È evidente, però, che l'intesa, rispetto al lavoro delle commissioni paritetiche, per come sono state finora pensate, può essere di due tipi: o l'intesa dà nuova vita e nuovo senso alle commissioni oppure le commissioni assorbono il procedimento dell'intesa in qualcosa di potenzialmente molto più lungo nel tempo.
  Probabilmente questa intesa richiede uno sforzo dei singoli esecutivi e un'attività di confronto formale, che verrà declinata nelle forme operative di tavoli o di commissioni paritetiche.
  È evidente che lo strumento è nuovo e, quindi, presuppone che ci sia quantomeno un'intesa tra tutte le regioni sul modello. È vero che lo Stato tratta con tutte e cinque un'intesa distinta, ma è improponibile pensare che le procedure per fare questa intesa possano essere del tutto diverse da regione a regione.
  È inimmaginabile che si replichino su questa procedura quegli elementi di differenziazione oggi vigenti con il processo di revisione. Infatti, in alcune regioni, come in Sicilia, l'iniziativa spetta anche al consiglio e in altre no; in alcuni casi ci sono due mesi di termine per il parere e così via.
  Probabilmente le regioni speciali devono capirsi fra loro sull'atteggiamento rispetto alla procedura.
  Prima parlavo dei rischi di inerzia e della possibilità che si blocchi tutto, ovvero che il procedimento di revisione non vada in porto.
  In realtà, ciò vale per qualunque fonte del diritto atipica e rinforzata, come questa prevista dall'articolo 39, comma 11, che si basa su un necessario passo precedente, fatto in questo caso con l'intesa. Così come la legge sulla confessione religiosa non si può fare senza l'intesa con la confessione stessa e l'articolo 116 non si può fare senza l'intesa sulle maggiori forme di autonomia, in teoria la legge costituzionale non si può fare senza l'intesa.
  Pertanto, l'intesa può diventare uno strumento di interdizione di trattativa molto forte. Il punto è che questo in teoria può anche mettere lo Stato nelle condizioni di dire: «Io non raggiungo l'intesa. Vi tenete l'autonomia che avete nelle forme attuali».
  Io parlo dal punto di vista giuridico, al netto dei problemi politici. Questo può esporre gli statuti a quell'operazione dei vasi comunicanti di cui parlavo poc'anzi. Nelle more dell'aggiornamento degli statuti, è inutile negare che, a prescindere dalla mancata applicazione del Capo IV Pag. 12alle regioni speciali, la giurisprudenza costituzionale nella sua attività istituzionale produce istituti giuridici e procedure. È sufficiente che ci sia un richiamo nello statuto perché questi istituti siano traghettati all'interno dell'ordinamento speciale.
  Visto che la Corte costituzionale ultimamente ha un orientamento giurisprudenziale tendente a riconoscere i titoli d'intervento statale piuttosto che quelli regionali, questo può essere un fattore decisivo per la regione speciale per trovare presto l'intesa e trattare una nuova forma di autonomia. Occorre tener presente l'accortezza di cui parlavo poc'anzi: siamo in un quadro di coordinamento della finanza pubblica e di rapporto con l'Unione europea fortemente caratterizzante rispetto al 2001.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professore Sterpa per la sua relazione e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.