XVII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Martedì 17 marzo 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE PROBLEMATICHE CONCERNENTI L'ATTUAZIONE DEGLI STATUTI DELLE REGIONI AD AUTONOMIA SPECIALE, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL RUOLO DELLE COMMISSIONI PARITETICHE PREVISTE DAGLI STATUTI MEDESIMI

Audizione dei professori Antonio D'Atena, Giacomo D'Amico e Antonio Francesco Vitale.
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 
D'Atena Antonio , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» ... 3 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 6 
D'Amico Giacomo , Professore associato di diritto costituzionale presso il Dipartimento di giurisprudenza dell'Università degli studi di Messina ... 6 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 10 
D'Atena Antonio , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» ... 10 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 11 
Vitale Antonio Francesco , Professore ordinario di diritto pubblico comparato presso l'Università degli studi di Catania ... 11 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 14 
Laniece Albert  ... 14 
Kronbichler Florian (SEL)  ... 15 
Serra Manuela  ... 15 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 16 
D'Amico Giacomo , Professore associato di diritto costituzionale presso il Dipartimento di giurisprudenza dell'Università degli studi di Messina ... 16 
Vitale Antonio Francesco , Professore ordinario di diritto pubblico comparato presso l'Università degli studi di Catania ... 17 
D'Atena Antonio , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» ... 18 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 19

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANPIERO D'ALIA

  La seduta comincia alle 10.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione dei professori Antonio D'Atena, Giacomo D'Amico e Antonio Francesco Vitale.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei professori Antonio D'Atena, Giacomo D'Amico e Antonio Francesco Vitale nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle problematiche concernenti l'attuazione degli Statuti delle regioni ad autonomia speciale, con particolare riferimento al ruolo delle Commissioni paritetiche previste dagli statuti medesimi.
  Ringrazio i professori per la disponibilità dimostrata e do la parola al professor Antonio D'Atena, professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» nonché presidente dell'Associazione italiana dei costituzionalisti.

  ANTONIO D'ATENA, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata». Grazie, presidente. Io ho letto il questionario e ho cercato di organizzare delle brevi risposte per evitare qualsiasi dispersione.
  La prima domanda posta è se sia persistente la validità dello strumento dei decreti legislativi di attuazione degli Statuti oppure se si tratti di uno strumento superato. Io penso che esso mantenga una sua giustificazione fino a quando dureranno le autonomie speciali. È uno strumento di cooperazione bilaterale che corrisponde alla ratio costitutiva delle regioni speciali.
  D'altra parte, è anche lo strumento più coerente con la riforma costituzionale in corso di approvazione, la quale, come è noto, prevede che le modifiche agli Statuti speciali vengano apportate d'intesa e, quindi, che ci sia un momento cooperativo anche per quanto concerne l'attuazione degli Statuti – tra l'altro una delle specificità dell'autonomia regionale speciale – a me sembra senz'altro da condividere. Occorre, quindi, mantenere questa forma.
  L'alternativa sarebbe costituita da atti eteronomi, unilaterali, dello Stato, che rappresenterebbero, sul versante dell'autonomia in generale e dell'autonomia speciale in particolare, un drastico e clamoroso passo indietro. La risposta, quindi, è «sì» sulla persistente validità delle norme di attuazione.
  Passo a un'altra domanda posta dal questionario. Quali sono le indicazioni della giurisprudenza sul carattere vincolante delle norme di attuazione statutaria ? In merito io debbo dire che non condivido del tutto le tecniche di cui sta facendo uso normalmente – non sempre – la giurisprudenza dalla Corte costituzionale, la quale fa applicazione del criterio gerarchico. Quello che afferma, cioè, è che le norme di attuazione sono sovraordinate alla legge.Pag. 4
  Io penso che si possa dire qualcosa di più. Non c’è un problema di rapporto gerarchico, ma di ripartizione delle competenze. Le norme di attuazione operano in un ambito di competenza riservato loro dagli Statuti. Qual è la conseguenza ? Se ci fosse solo il criterio gerarchico, se intervenisse una legge ordinaria di attuazione statutaria senza che vi fosse una norma di attuazione, questa legge sarebbe perfettamente ammissibile. Diventerebbe incostituzionale solo se vi fosse una norma di attuazione precedente con la quale contrastasse.
  Se, invece, si ritiene, come io ritengo che si debba ritenere, che le norme di attuazione operino in un ambito riservato, non è tanto il fatto che ci siano o no le norme di attuazione quanto la riserva di competenza a loro favore a precludere l'ingresso della legge statale.
  D'altra parte, in questa linea si pone una sentenza della Corte costituzionale relativamente recente, la n. 133 del 2010, la quale, a proposito di un atto legislativo ordinario che modificava alcuni aspetti dell'ordinamento finanziario della Valle d'Aosta, afferma che questa norma è costituzionalmente illegittima «in quanto modifica l'ordinamento finanziario della regione Valle d'Aosta senza osservare il procedimento di approvazione delle norme di attuazione». Secondo me, la tesi più corretta e rigorosa è quella della riserva di competenza. La Corte costituzionale non è sempre rigorosissima. D'altra parte, non è proprio del giudice, il quale opera anche sotto la spinta di una serie di sollecitazioni, arrivare sempre a elaborazioni sistematiche accertate.
  Un'altra questione posta è la seguente: la particolare forza dei decreti legislativi di attuazione può avere contribuito a rallentare o impedire l'emanazione da parte del Governo di queste norme per timore di introdurre un vincolo stringente al legislatore ?
  Se si segue la linea interpretativa che io sostengo, il problema non si pone. Il vincolo non dipende dal fatto che ci siano o non ci siano le norme di attuazione. Dipende dal fatto che c’è una riserva statutaria di competenza in favore delle norme di attuazione. Faccio un esempio. Ci sono delle cose che possono fare le norme di attuazione e altre che può fare la legge. Una norma d'attuazione che in materia di competenza concorrente pretendesse di porre princìpi fondamentali rivolti a limitare la legislazione concorrente della regione speciale sarebbe fuori posto, perché invaderebbe una riserva di competenza della legge.
  Se si tratta invece, per esempio, del trasferimento degli uffici o della definizione delle materie statutarie, la legge ordinaria dello Stato non può intervenire. Deve intervenire la norma di attuazione. Sono queste riserve a precludere l'ingresso della legge, non il fatto che vi siano o non vi siano le norme di attuazione.
  Le norme di attuazione sono un fattore di rallentamento ? Dobbiamo intenderci. È chiaro che procedimenti nei quali si inserisce un elemento non convenzionale, ma comunque cooperativo, sono procedimenti più lenti di procedimenti unilaterali. Tuttavia, questo è un prezzo che si paga alla cooperazione e, quindi, secondo me, ne vale la pena.
  D'altra parte, voi sapete meglio di me che a volte si criticano addirittura le procedure parlamentari, che sarebbero un appesantimento rispetto a misure governative. È il prezzo che si paga alla democrazia. Nel disegno autonomistico speciale la presenza di norme di attuazione così costruite ha un senso istituzionale che a me sembra mantenere una sua validità, come ho detto prima.
  C’è poi una questione che non è tra quelle poste, ma che a me sembra rilevante. Voi sapete che le Commissioni paritetiche si esprimono su un testo o elaborano un testo. Che grado di vincolo esercita quel testo nei confronti del Governo ? La funzione è fondamentalmente consultiva, nonostante le diverse formulazioni statutarie, tranne quella della Sicilia, che è più stringente, perché riserverebbe il compito di determinare le norme attuative addirittura alla Commissione paritaria. Tuttavia, non è mai stata intesa così la norma statutaria. Lo Statuto siciliano ha Pag. 5formato tradizionalmente oggetto di un'interpretazione normalizzatrice che l'ha portato sullo stesso piano degli altri Statuti speciali, con una funzione, quindi, fondamentalmente consultiva. Consultazione che può essere obbligatoria o non vincolante, con una possibilità di scostamento. Quello che non può fare – ce lo dice anche la Corte costituzionale – il Governo è, per esempio, procedere in senso completamente diverso a quanto emerso dal lavoro della Commissione paritetica senza avere sottoposto questo testo alla Commissione paritetica.
  Immaginiamo che venga sottoposto un testo e che poi si deliberi un testo completamente diverso. Si dovrebbe ritenere che ci sia un onere di sottoposizione alla Commissione paritetica. Questo è un punto sul quale sarebbe utile un intervento normativo di disciplina, perché questa delle norme di attuazione è una materia lasciata molto alla prassi. La disciplina scritta è una disciplina molto scarna.
  Infatti, in merito c’è la seguente domanda del vostro questionario: sarebbe utile una codificazione della procedura di attuazione ? Io penso di sì. Peraltro, io penso che potrebbe essere anche utile per prevedere una disciplina nel caso degli scostamenti.
  Vedete, se l'atto a valle dell'intervento della Commissione fosse un atto amministrativo, si potrebbe sostenere che ci siano obblighi di motivazione degli scostamenti. Trattandosi di un atto normativo, non c’è il posto della motivazione. Potrebbe servire forse un decreto legislativo nel preambolo del decreto, ma il punto è molto problematico.
  Questo aspetto, che può non essere la motivazione, ma può essere un ulteriore appello alla Commissione paritetica, potrebbe essere normato. Io penso che questo possa essere utile.
  Il problema è: quale fonte è competente a fare questo ? Non è la legge dello Stato. Io penso che sia la norma di attuazione. Io penso che norme di attuazione vecchio stile possano disciplinare la procedura di formazione delle norme di attuazione nuovo stile. Mi riferisco a una riserva di norma di attuazione, perché siamo sempre nell'ambito dell'attuazione statutaria. Quale può essere il problema ? Rispetto a questo aspetto le posizioni delle regioni speciali potrebbero venire a differenziarsi reciprocamente e anche in maniera molto forte. Come contenere o ridurre questo rischio ? Secondo me, l'idea potrebbe essere quella che ci sia un coordinamento statale, non delle Commissioni in quanto tali, ma dei membri di nomina statale delle Commissioni, cioè che ci sia un momento di raccordo nazionale e che poi i membri portino in Commissione paritetica indicazioni rivolte a creare questo coordinamento.
  Altra domanda: la mancata attuazione delle disposizioni degli Statuti può essere ritenuta una delle cause principali del contenzioso Stato-regioni speciali ? Io non credo. Qui c’è un punto che potrebbe essere oggetto di riflessione. Secondo una tesi recentemente sostenuta da Gaetano Silvestri, un autorevole collega, presidente emerito della Corte costituzionale, le Commissioni paritetiche potrebbero essere uno strumento utile a prevenire la conflittualità. Questa è un'ipotesi da verificare, un'ipotesi interessante, che non è stata mai sottoposta a particolare approfondimento e che è stata recentemente lanciata nel dibattito da Gaetano Silvestri.
  Quanto alla riforma costituzionale e alle regioni speciali, io mi permetterei – non è una forma di vanità – di rinviare a un mio articolo. Io ho recentemente pubblicato sulla rivista dell'Associazione italiana dei costituzionalisti un articolo sulle autonomie speciali, Passato, presente... e futuro delle autonomie regionali speciali.
  Qual è l'impatto della riforma ? Questa è effettivamente l'osservazione che si fa nella domanda e la chiave di lettura che si offre mi sembra corretta. La riforma costituzionale, determinando un depotenziamento delle autonomie regionali ordinarie – questo a me sembra fuori discussione – comporta una rivalutazione della specialità regionale ? La mia risposta è affermativa, perché qui abbiamo la combinazione di alcuni elementi che passo rapidamente a illustrarvi.Pag. 6
  In primo luogo c’è un ridimensionamento delle autonomie ordinarie, perché aumentano le materie statali. Le materie di competenza esclusiva dello Stato aumentano. Viene eliminata la competenza legislativa concorrente, la quale effettivamente era una competenza problematica, in quanto non c’è dubbio che il confine tra principio e dettaglio sia un principio opinabile. Tuttavia, essa aveva anche il pregio di individuare un blocco di materie sulle quali si diceva che le regioni potessero, quanto meno a titolo di norme di dettaglio, intervenire. Adesso queste materie cadono. Questo è un ulteriore impoverimento.
  La clausola cosiddetta residuale non è più residuale, perché ha anche un'indicazione di materie, che in parte, ma solo in parte, compensa. Inoltre, la clausola cosiddetta di supremazia – non mi soffermo ora sulla terminologia, che non è del tutto appropriata – è una clausola che attribuisce allo Stato praticamente una licenza di ingresso in qualsiasi materia. È compensata in maniera molto blanda dal fatto che, se c’è la richiesta del Senato delle autonomie a maggioranza assoluta, la Camera dei deputati può respingere questa richiesta a maggioranza assoluta. In considerazione anche delle linee che sta prendendo il percorso di formazione della legge elettorale, la maggioranza assoluta, è una maggioranza disponibile dalla maggioranza politica. Non è un elemento che si possa considerare di garanzia.
  Sarebbe stato diverso se si fosse previsto, come è stato proposto in sede dottrinale anche da chi vi parla, che a richieste effettuate dalla Camera delle regioni a maggioranza qualificata si dovesse rispondere a maggioranza qualificata, per discostarsi, come si prevede in genere. Non essendo stato previsto questo, la clausola attribuisce allo Stato una licenza di ingresso dappertutto. È questo l'elemento più critico della riforma dal punto di vista delle autonomie. Sono, però, valutazioni politiche.
  Da un lato, dunque, c’è questo impoverimento dell'autonomia ordinaria. Dall'altro, c’è una clausola di salvaguardia a favore delle autonomie speciali. Questa riforma non si applica alle regioni ad autonomia speciale. Che cosa significa questo ? Prima di tutto che si salvano gli Statuti. Gli Statuti restano così come sono. Inoltre, il che poi porrà una serie di problemi piuttosto complessi, l'attuale Titolo V, quello che verrà modificato o che verrebbe modificato dalla riforma, seguiterebbe a valere per le regioni speciali, ivi compresa quella clausola di maggior favore per effetto della quale le regioni speciali acquisiscono oggi le maggiori competenze attribuite alle ordinarie dal Titolo V. Queste maggiori competenze le ordinarie non le hanno più, mentre le speciali le conserverebbero.
  Pertanto, il sistema delle autonomie speciali non registrerebbe uno stato di avanzamento rispetto alla situazione attuale, che resterebbe più o meno immutata. In considerazione del decremento delle autonomie regionali ordinarie, però, determinerebbe una situazione di vantaggio.
  A questo si aggiunga che si prevede che questa situazione duri fino a quando non verranno modificati gli Statuti d'intesa. A conclusione di quello scritto che mi sono permesso di richiamare in questa sede io dicevo che, prevedendosi l'intesa, è molto improbabile che le regioni speciali abbiano poi interesse a modificare questo sistema normativo. Come non in modo infrequente accade nel nostro Paese, il provvisorio rischia di essere l'anticamera della definitività. Questa è una situazione che si protrae.
  Con questo io ho concluso, presidente. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, professore, anche per l'efficacia dell'analisi e della sintesi delle questioni che abbiamo introdotto in questa indagine conoscitiva.
  Do la parola al professor Giacomo D'Amico, professore associato di diritto costituzionale presso il Dipartimento di giurisprudenza dell'Università degli studi di Messina.

  GIACOMO D'AMICO, Professore associato di diritto costituzionale presso il Dipartimento Pag. 7di giurisprudenza dell'Università degli studi di Messina. Innanzitutto ringrazio il Presidente D'Alia e tutta la Commissione per l'invito. Per me è, ovviamente, un motivo di grande onore essere qui a tentare di fornire una risposta ai vostri quesiti. Anch'io seguirò l'ordine dei quesiti che mi sono stati sottoposti.
  Innanzitutto il primo punto riguarda le ragioni della mancata o ritardata attuazione delle norme degli Statuti speciali. Qui, in realtà, non c’è un solo fattore che abbia determinato la mancata o ritardata attuazione degli Statuti speciali. Ve ne sono tanti. Probabilmente vi sono anche ragioni politiche che hanno reso difficoltoso o impedito l'attuazione degli Statuti speciali. Vi sono, quindi, ragioni politiche e vi è anche una genericità di alcune formule statutarie negli Statuti speciali che a tutt'oggi rende difficoltosa proprio la concreta determinazione delle sole modalità di attuazione di questi Statuti speciali.
  Gaetano Salvemini, subito dopo l'approvazione della Costituzione, diceva che le disposizioni costituzionali sulle regioni erano un vaso vuoto con sopra la targhetta «regioni». Questa immagine, riferita alle disposizioni costituzionali, ci dà l'idea della necessità di un intervento che contribuisse a dare attuazione alle formule generiche contenute nella disciplina costituzionale, ma anche negli Statuti speciali, che appunto sono leggi costituzionali.
  A mio avviso, oggi, proprio come punto di partenza, occorrerebbe forse ripensare al concetto di attuazione degli Statuti speciali. Già negli anni Sessanta c'era una voce dell’Enciclopedia del diritto di Giuliano Amato che si poneva il problema del significato del termine «attuazione». Se per «attuazione» intendiamo la semplice esecuzione di formule statutarie che, in molti casi, risalgono al 1948, allora probabilmente siamo fuori strada. Probabilmente quest'attuazione, così come non è avvenuta, rischia di non avvenire nemmeno in un momento successivo.
  Probabilmente, anzi quasi sicuramente, l'attuazione è qualcosa in più della mera esecuzione. L'attuazione richiede anche un'opera, in una certa misura, di integrazione degli Statuti – non di stravolgimento degli Statuti, il che non sarebbe possibile – ad opera dei decreti di attuazione. Soltanto in questa prospettiva può avere un senso ancora oggi parlare di attuazione degli Statuti speciali, ossia nella prospettiva di provare a integrare gli Statuti. Altrimenti si rischia una nuova fase di paralisi nell'attuazione, proprio per le ragioni che vi dicevo.
  A rendere ancora più complicata l'attuazione, è inutile nasconderci dietro un dito, sono anche ragioni economiche. Se andiamo a scorrere la giurisprudenza costituzionale più recente, in molti casi troviamo che la Corte costituzionale fa appello alla crisi economica per giustificare una palese violazione di norme statutarie speciali. Pertanto, le ragioni economiche molte volte hanno la meglio e questo probabilmente ha anche determinato la mancata o ritardata attuazione di alcune norme sui rapporti finanziari.
  Mi viene in mente per tutti il lungo contenzioso che vi è stato fra lo Stato e la regione Sardegna, che è dipeso materialmente dal mancato trasferimento alla regione Sardegna di fondi sull'entità dei quali regione Sardegna e Stato avevano raggiunto un accordo. Si è trattato proprio di un fatto materiale, diciamo così.
  Vado rapidamente agli altri punti. Io accorperei la seconda, la terza e la quarta domanda ponendo un unico tema: la forza e il ruolo dei decreti legislativi di attuazione.
  Senza dubbio i decreti legislativi di attuazione costituiscono oggi, a normativa costituzionale e ordinaria vigente, l'unico strumento per dare attuazione agli Statuti speciali. Alla domanda se questo strumento sia ancora attuale risponderei di sì.
  D'altra parte, documentandomi per quest'audizione, ho trovato una pronuncia degli anni Sessanta della Corte a proposito della Valle d'Aosta. Nello Statuto valdostano all'origine non era previsto lo strumento delle norme di attuazione. La Corte, sebbene non fosse previsto dallo Pag. 8Statuto, dice che tale strumento si ricava dal sistema, dall'ottava disposizione transitoria. La Corte individua nelle norme d'attuazione lo strumento unico principale per dare attuazione allo Statuto anche in quegli Statuti in cui esso non era previsto. Questo la dice lunga sul fatto che si tratti dello strumento naturale, ovviamente a quadro normativo vigente.
  È chiaro che tutta la problematica connessa alle norme di attuazione paga il prezzo di un sistema in cui le regioni ordinarie di fatto hanno superato o scavalcato le regioni speciali. La forma costituzionale dello Statuto speciale, che doveva essere un elemento a garanzia degli Statuti speciali, è diventata un fattore di rallentamento, al punto che oggi le singole regioni ordinarie si dotano di uno Statuto con la legge regionale, sia pure con un procedimento aggravato. Per gli Statuti speciali, invece, siamo fermi. Le procedure di modifica e di revisione restano bloccate anche a causa della necessità di ricorrere alla procedura aggravata di cui all'articolo 138 della Costituzione, appunto la legge costituzionale.
  Passiamo alla posizione dei decreti legislativi di attuazione statutaria nel sistema delle fonti. Di questo ha parlato in maniera approfondita il professor D'Atena. Si tratta di una vecchia questione. Ricordo gli scritti di Crisafulli riguardo il problema del rapporto. La giurisprudenza della Corte, sia pur nelle oscillazioni, che sono inevitabili nella giurisprudenza costituzionale, come in tutte le giurisprudenze, fra le altre cose ha qualificato anche queste norme come integrative del parametro statutario.
  Certamente, quindi, la natura di fonte interposta fra Statuto, legge costituzionale, e le leggi regionali, o le fonti comunque di rango primario, rende l'idea della potenzialità di queste norme, proprio della loro capacità di porsi in questo livello a metà strada fra Costituzione, leggi costituzionali e norme di rango primario. Questo è sicuramente un fattore che ci deve far riflettere sulla potenzialità insita in questo strumento normativo.
  Per quanto riguarda, seguendo l'ordine delle domande, il quarto quesito, è una domanda che attiene alla procedura. Questo a me pare il punto nevralgico di tutta la questione. È il punto nevralgico e lo è per vari aspetti.
  Innanzitutto molte volte il rinnovo delle Commissioni paritetiche è stato ritardato. Vi è stato un ritardo nel rinnovo delle Commissioni paritetiche, che, come sapete, si rinnovano a ogni cambio di esecutivo. Questo ha sicuramente rallentato i lavori delle Commissioni paritetiche. Per esempio, da informazioni acquisite dal Dipartimento affari regionali mi risulta che non vi sia una sorta di prorogatio dei componenti delle Commissioni paritetiche. Questo inevitabilmente nuoce al lavoro. Si interrompe, cioè, il lavoro, che deve essere poi ripreso da nuovi componenti delle Commissioni paritetiche. Questo è un primo punto dell'aspetto procedimentale.
  Un secondo punto dell'aspetto procedimentale è quello dei tempi. Non vi sono dei tempi, non vi è una tempistica prestabilita. Questi lavori delle Commissioni paritetiche in teoria possono durare, quindi, all'infinito. Non vi è un obbligo per il Governo, come diceva il professor D'Atena, di prendere in esame il testo delle Commissioni paritetiche. Anzi, sempre secondo alcune informazioni ottenute dal Dipartimento affari regionali, il più delle volte i lavori delle Commissioni paritetiche, quando giungono in porto, si arrestano in sede di pre-Consiglio. Il pre-Consiglio diventa il blocco naturale; anche quando le Commissioni paritetiche sono arrivate a elaborare e approvare un testo, esso non arriva neanche in Consiglio dei ministri. È questo il punto. Non viene neanche preso in esame dal Consiglio dei ministri.
  Prestiamo attenzione al fatto che, come diceva il professor D'Atena prima, le norme di attuazione sono frutto del lavoro di una Commissione paritetica, in cui si realizza quel principio di leale collaborazione che è uno dei princìpi cardine del regionalismo italiano.Pag. 9
  Secondo me, sono quindi elementi molto delicati sia quello della tempistica, sia quello dell'assenza di un obbligo di esame di queste bozze, di queste proposte. La terminologia statutaria, peraltro, è varia. Nello schema di sintesi che ho consegnato alla presidenza ho fatto anche un quadro delle norme statutarie, proprio per cogliere la diversa terminologia. Alcune parlano di proposta, altre di delibera. Non cambia sostanzialmente il fatto che ci sia prima una decisione della Commissione paritetica e poi, però, una decisione politica del Consiglio dei ministri, che, come vi dicevo, rischia di bloccare e di paralizzare l’iter addirittura in sede di pre-Consiglio.
  A questo proposito, tra le varie proposte – lo ricordava prima il professor D'Atena – il professor Silvestri ha avanzato l'idea dell'introduzione di una norma che obblighi il Governo all'esame di queste bozze elaborate, ossia di questi schemi di decreti legislativi approvati dalle Commissioni paritetiche. Silvestri, in realtà, propone che lo si faccia con una legge costituzionale. Devo confessare che a me sembra difficilmente praticabile questa strada, data l'ovvia difficoltà di approvare una norma costituzionale che addirittura imponga degli obblighi al Governo.
  Al momento il quadro normativo, come sapete, è rappresentato dall'articolo 4, comma 3, della legge n. 400 del 1988 che disciplina tutto ciò che è oggetto della deliberazione del Consiglio dei ministri, come integrato dal Regolamento del Consiglio dei ministri del 1993. Queste norme hanno determinato la presente situazione.
  Mi sembra interessante la proposta che faceva prima il professor D'Atena di introdurre questo aspetto, se non ho capito male, con una norma di attuazione. Tuttavia, mi verrebbe da chiedere che natura vincolante abbia questa norma su altri decreti di attuazione statutaria. Si tratterebbe di un decreto di attuazione statutaria che dovrebbe vincolare il procedimento di formazione di nuovi e futuri decreti di attuazione statutaria.
  Passo rapidamente alle altre domande, in primo luogo a quella relativa alla ricaduta sul contenzioso.
  Quanto alla ricaduta della mancata attuazione sul contenzioso, io direi che non vi è un rapporto di causa ed effetto fra mancata attuazione e aumento del contenzioso. Il contenzioso – dirò una cosa banale – nasce nel momento in cui si cambia qualcosa, nel momento in cui si cambia un'etichetta, si cambia una formula e si pongono dei problemi di interpretazione. Ricordiamo tutti le formule del Titolo V, le materie non materie, la tutela della salute e, più ancora, la tutela dell'ambiente e, al riguardo, penso alla giurisprudenza costituzionale e ai vari significati che la Corte costituzionale ha attribuito a questa formula.
  È chiaro che già di per sé l'innovazione determina un problema di interpretazione di nuove formule. È normale che questo sia. Se, però, l'innovazione non è chiara, ovviamente si accrescono i problemi di interpretazione e, quindi, si accresce il contenzioso. Quando si crea un problema interpretativo, è normale che le regioni e le province autonome si rivolgano alla Corte costituzionale impugnando e chiedendo nella sostanza un avallo interpretativo alla Corte costituzionale sulle nuove formule.
  Io direi che non c’è un rapporto di causa ed effetto, ma che sicuramente, laddove vi sono, per esempio negli Statuti speciali, delle formule generiche, questo è un fattore sicuramente di aumento del contenzioso costituzionale.
  Infine, passo alle indicazioni desumibili dal disegno di legge di riforma della Costituzione. Anche qui io direi che è normale pensare che il ridimensionamento delle attribuzioni delle competenze delle regioni ordinarie comporti quasi logicamente una rivalutazione delle attribuzioni che hanno le regioni speciali. Se si toglie qualcosa al fratello più piccolo, è normale che venga maggiormente in risalto ciò che ha il fratello più grande.
  Attenzione, però: questo non vuol dire necessariamente che si potrà avere una rivalutazione delle norme di attuazione, Pag. 10perché le regioni speciali, come spesso è accaduto, potrebbero, in un certo qual senso, secondo me, appiattirsi su quello che hanno, ossia accontentarsi di quello che hanno, proprio in considerazione del fatto che le regioni ordinarie hanno subìto questo drastico ridimensionamento. È vero, quindi, che quella formula può, in un certo qual senso, portare a una valorizzazione, ma direi che questo esito non è scontato.
  Vi ringrazio ancora dell'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie, professore. Prima di dare la parola al professor Vitale, il professor D'Atena aveva chiesto di rispondere su questo punto, che io credo sia, se posso permettermi, molto importante.
  Credo che il tema, anche alla luce della riforma costituzionale, che inizierà il suo esame in terza lettura al Senato, sia importante in quanto, da una parte, la riforma di cui discutiamo in Parlamento cambia sostanzialmente l'assetto dei poteri e del rapporto fra Stato e regioni come lo abbiamo conosciuto negli ultimi quindici anni e, nel contempo, fa rivivere appieno la specialità e, infine, poiché si pone una serie di problemi di natura interpretativa. Ne cito due per tutti, almeno per quello che ho potuto approfondire io.
  Il primo è che si fa salva per le regioni a Statuto speciale, fino alla revisione degli Statuti, la disciplina costituzionale vigente. Oggi il sistema si fonda sul meccanismo della legislazione concorrente: l'istituto della legislazione concorrente mentre è abrogato per quanto riguarda il rapporto fra Stato e regioni ordinarie, resta in vigore fino alla revisione statutaria per le regioni ad autonomia differenziata.
  Tutto questo ha anche un'altra conseguenza. Poiché, ovviamente, anche l'esercizio delle funzioni amministrative è collegato al sistema delle competenze e noi sappiamo – voi lo sapete meglio di noi – quanta fatica in questi quindici anni si sia fatta per costruire o tentare di costruire un rapporto condiviso, anche alla luce dei princìpi di sussidiarietà fra Stato, regioni e sistema delle autonomie locali, un esercizio virtuoso, si fa per dire, delle funzioni amministrative, tutto questo rischia, se non funzionano il meccanismo di adeguamento statutario e il meccanismo di fonte riservata delle norme di attuazione, che incidono proprio su questa materia, di farci ritrovare di fronte a un sistema a tre velocità.
  Il fatto di poter suggerire o individuare uno strumento che possa consentire, nell'ambito della nostra Costituzione, di stimolare un dibattito o una discussione sulle procedure di adeguamento degli Statuti attraverso la procedura della revisione statutaria, ma anche attraverso l'uso delle norme di attuazione, credo sia, ai nostri fini, molto utile.
  Do quindi la parola brevemente al professor D'Atena.

  ANTONIO D'ATENA, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata». Grazie, presidente. Innanzitutto affronto la questione se possano norme di attuazione vincolare future norme di attuazione.
  La risposta è piuttosto semplice: bisogna distinguere il contenuto. Se si tratta di norme a carattere materiale, cioè di norme che stabiliscono dei contenuti normativi e che regolano rapporti, ovviamente sono modificabili, dal momento che la successiva norma adottata dalla stessa fonte può modificare la norma adottata dalla fonte precedente per il criterio cronologico.
  Se, però, si tratta di norme strumentali che regolano il procedimento di formazione delle norme di attuazione, possono essere modificate, ma nel rispetto di quel procedimento.
  Vi faccio un esempio. L'articolo 138 della Costituzione regola il procedimento di revisione della Costituzione. Se c’è una legge costituzionale che modifica quel procedimento, quella legge costituzionale si impone successivamente al legislatore costituzionale, il quale potrà modificarla, ma nel rispetto del procedimento da essa previsto.Pag. 11
  Io parlavo di norme a carattere strumentale, ragion per cui mi sembra che esse non possano, a mio modo di vedere, essere messe in discussione.
  Per quanto riguarda la questione, che ha posto il presidente, del sistema a tre velocità, certo, la situazione che si viene a determinare è questa. D'altra parte, il disegno di legge costituzionale rimuove la problematica delle regioni speciali, in un certo senso ibernandola nella situazione attuale.
  Per quanto riguarda, quindi, la competenza concorrente, le regioni speciali seguiterebbero ad avere competenza concorrente, oltre che nelle materie che gli Statuti demandano alla competenza concorrente, anche in quelle contemplate attualmente dal terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione.
  Sulle funzioni amministrative io ho sempre ritenuto che il principio del parallelismo delle funzioni, che è enunciato dagli Statuti speciali, per cui la regione speciale ha competenza amministrativa sulla materie in cui ha competenza legislativa, valesse limitatamente alle materie statutarie. Per le altre materie si applica l'articolo 118 della Costituzione, quel combinato disposto tra competenza generale del comune e principio di sussidiarietà.
  Tuttavia, questo articolo non è messo in discussione dalla riforma. Da questo punto di vista io non credo che questo introdurrebbe un elemento di ulteriore asimmetria nel sistema, che peraltro sicuramente diventerebbe un sistema asimmetrico.

  PRESIDENTE. Grazie, professore.
  Do la parola al professor Antonio Francesco Vitale, professore di diritto pubblico comparato presso l'Università degli studi di Catania.

  ANTONIO FRANCESCO VITALE, Professore ordinario di diritto pubblico comparato presso l'Università degli studi di Catania. Grazie, presidente. In genere a chi parla per ultimo vengono ridotti gli spazi, ma, in questo caso, ciò mi è comodissimo, perché parlare dopo un maestro come Antonio D'Atena e un giovane brillantissimo collega come Giacomo D'Amico mi facilita. Molte considerazioni che pensavo di fare sono state già fatte e sono state esposte in maniera assai brillante.
  Io farò, quindi, lo sforzo di fare un «montaggio diverso del film» per arrivare ad alcune mie opinioni partendo da un dato, innanzitutto dallo spirito che sembra avere ispirato e ispirare quest'indagine conoscitiva e dalle parole che ha pronunciato, da ultimo, il Presidente D'Alia introducendo il nuovo intervento del professor D'Atena sulla preoccupazione e sulla specialità.
  Io non ho visto gli interventi degli studiosi nella precedente audizione, salvo quello del professor Mangiameli, che è stato pubblicato sulla rivista dell'Associazione dei costituzionalisti italiani. Si parla di ottimismo. Io, per la verità, questo ottimismo non l'ho rilevato neanche nello scritto di Stelio Mangiameli, perlomeno un ottimismo che si basasse sulla speranza che venisse data concretezza a una modifica dell'ordinamento costituzionale attraverso una realtà delle intese e un procedimento condiviso per le modifiche statutarie, con tempi di effettiva valutazione di queste intese e con l'attribuzione alle regioni speciali di una competenza primaria, esclusiva ed effettiva e non di facciata, o comunque debole, e soprattutto col rafforzamento del potere delle regioni in materia di ordinamento degli enti locali. Queste, mi pare di ricordare, erano alcune delle valutazioni dell'amico Mangiameli.
  Io credo che, partendo dal testo di riforma, per quello che è attualmente, la valutazione sulle specialità non sia da fare in senso ottimistico. Perché ? Intanto perché si ravvisa chiaramente una tendenza centralistica nel sistema delineato dal progetto di riforma. Per quanto riguarda il rapporto con le regioni ordinarie, sicuramente c’è una volontà di centralismo, e lo si vede da tante cose, dall'eliminazione della competenza concorrente, come diceva D'Atena, e dall'aumento delle materie di competenza statale dell'articolo 117 della Costituzione. È stato mantenuto il terzo comma dell'articolo 116, almeno finora, ma anche la valenza di questa Pag. 12norma è molto dubbia e comunque va fuori dal sistema delle competenze legislative. Quindi, c’è questa volontà di centralismo. A tutto questo si aggiunge la clausola dell'articolo 38 del testo attuale del progetto di riforma, in cui si fa salva l'autonomia speciale fino all'approvazione degli Statuti, previa intesa.
  Qual è il pensiero che ho fatto, ma che penso tanti abbiano fatto, anche D'Atena nel suo scritto che citava poco fa e anche il collega D'Amico ? Questa specialità, a questo punto, ha due possibili vie d'uscita: o si fanno le riforme degli Statuti, secondo quanto previsto dal procedimento condiviso, realmente condiviso, ovvero si va avanti in maniera concreta e reale con i procedimenti di attuazione.
  Qui il rilievo che ci occorre fare, almeno per i dati che io sono riuscito a rilevare, è che esiste un dislivello fra specialità e specialità. Sicuramente, se parliamo dalla parte della mia regione, ossia della Sicilia, ma anche della Sardegna, il dislivello sulle norme di attuazione è notevole. Ne abbiamo fatte poche e molte sono state fatte ma non sono stati effettuati i decreti di trasferimento delle funzioni, in alcuni casi – si pensi al trasferimento dei beni del patrimonio immobiliare – dal 2010.
  Ci sono regioni che hanno sfruttato bene le norme di attuazione, tra cui Trentino-Alto Adige e Friuli. Anche su questo tema la clausola dell'articolo 38 del disegno di legge di riforma costituzionale, laddove restasse così inattuata, lascerebbe figli un po’ meno poveri e figli più poveri. Chi ha fatto la norma d'attuazione e riesce a fare innescare i meccanismi, pur con le difficoltà che giustamente rilevava il collega D'Amico, va avanti. Chi non è riuscito a farle rimane indietro e ha difficoltà a effettuarle.
  Il senso dei vostri giusti quesiti e dell'obiettivo della Commissione bicamerale e dell'indagine è quello di cercare di far sveltire i procedimenti proprio per aiutare le specialità che sono rimaste leggermente più indietro. Altrimenti si dà vita a quella voce, che non è tanto isolata, di chi dice che il centralismo è stato pienamente realizzato, con riduzione dei poteri delle regioni ordinarie, lasciando la situazione com'era per le regioni speciali, perché comunque le riforme degli Statuti non le faranno perché ci saranno notevoli difficoltà in fase di intese. Chi avrà fatto le riforme delle norme di attuazione se ne avvarrà, chi non le avrà fatte, peggio per lui. Ne deriva quel finale che prospettava D'Atena, ossia che si rimane come prima. Tanto meglio lasciare le cose come stanno.
  La preoccupazione giusta della Commissione, è quella di capire dove stia «l'inghippo» sulle attuazioni e come si possa fare per sollecitarle. C’è, secondo me – è una questione che mi pare di aver letto da qualche parte – una motivazione politica, nel senso di indirizzo politico, di scelte. Si tratta di scelte che, peraltro, secondo me, risalgono a moltissimi anni fa, da quando il sistema regionalista non partì, nel 1948, bensì nel 1970 e dopo, salvo per le regioni speciali.
  C’è una difficoltà anche a trovare spazi al regionalismo. Basta ricordare tutto il contenzioso che è nato dopo l'abolizione dell'obbligo delle leggi cornice e della formulazione dei princìpi fondamentali della materia. Io mi ricordo, ovviamente, tutte le formulazioni che non furono curate dal legislatore, ma dalla Corte costituzionale. Il libro del professor D'Atena sulle autonomie regionali è una lapide in questo studio dei princìpi.
  C’è stato sempre un atteggiamento da parte del centro di non governare i territori se non attraverso le ramificazioni dal centro. Questo scollamento fra interesse istituzionale e interesse reale, secondo me, c’è stato sempre.
  Era sembrato che si andasse avanti con la riforma del 2001, con uno spostamento verso il federalismo, con l'enumerazione delle materie di competenza dello Stato, con il principio di sussidiarietà e con le funzioni amministrative dei comuni. Sembrava che si fosse andati avanti, ma questa riforma oggi è stata letteralmente ribaltata. Rimane l'elencazione delle materie di competenza statale, aumentate, mentre è eliminata la competenza concorrente delle regioni ordinarie. Si individuano le competenze Pag. 13residuali, che sarebbero poi le competenze generali, e si individuano le materie. Questo non è un rafforzamento delle autonomie territoriali.
  Per quanto riguarda le regioni speciali, continuano a stare come stavano prima, anche con la clausola del maggior favore di cui si parlava nella riforma del 2001. Su questa è nato effettivamente un contenzioso, legato alla difficoltà di capire quali fossero le norme di maggior favore e in che senso andassero interpretate.
  Questo è stato un problema sia per le Commissioni paritetiche, per il trasferimento delle funzioni, sia per la giurisprudenza della Corte. Di recente mi piace ricordare la sentenza della Corte costituzionale, relatore Mattarella, del 2014 sul Commissario dello Stato in Sicilia. L'unica forma di controllo preventivo che era rimasta nel nostro ordinamento era proprio per la Sicilia. Una sentenza della Corte del 2003 la giustificava sulla norma di maggior favore, che oggi si elimina. Viene indicata in Costituzione quella norma proprio sull'interpretazione che oggi attribuisce la Corte sulla norma di maggior favore. La maggiore autonomia non è data per avere un controllo preventivo, stante che nel sistema ormai c’è l'articolo 127 della Costituzione che prevede l'impugnazione diretta da parte del Governo della legge pubblicata. La maggior autonomia sta proprio nell'attribuire anche alla Sicilia questo sistema. Questa clausola ha avuto oggi finalmente, dopo un'interpretazione negativa, un'interpretazione favorevole, eppure io ho sentito qualche commento negativo su questa sentenza, più da parte dei politici, devo dire, che non da parte degli studiosi.
  Oggi il sistema che si profila è il seguente: un sistema tendenzialmente centralizzato, un sistema di autonomie speciali in cui in un ordinamento si accavallano forse più velocità. Ci sono le norme del progetto generale costituzionale, ossia le norme di diritto regionale, di cui pochissime sono rimaste. Poi ci sono le norme del 2001 e, infine, ci sono altre normazioni di modifica, come ora. Io penso che questa sia una situazione un po’ complicata dal punto di vista dell'omogeneizzazione dei valori costituzionali.
  Queste domande, queste richieste, questi interrogativi che si pone oggi la Commissione e, quindi, il Parlamento, l'organo legislativo, sono tese a cercare di accelerare o migliorare i tempi di formazione delle norme di attuazione, al di là della questione, che non è affatto peregrina – è inutile, però, che mi ci soffermi – del valore, secondo me, non gerarchico delle norme di attuazione, ma del valore di una riserva di competenza, una fonte atipica. La Corte inizialmente lo affermò, poi cambiò opinione. Il problema, quindi, sono le modalità.
  Io credo, però, che anche la tesi prospettata dal professor D'Atena, cioè quella di dare una forza maggiore al procedimento, sia fondamentale. È vero che le Commissioni paritetiche hanno avuto spesso difficoltà a comporsi, per via dei cambi di Governo. È anche vero, però, che la mancanza di termini in un procedimento è fondamentale.
  Per esempio, nel caso cui accennavo poco fa del trasferimento in Sicilia del patrimonio immobiliare c’è un parere, un'elaborazione del decreto del 2010, ma ad oggi non sono stati fatti i decreti di trasferimento. Sono passati quattro anni, perché il Governo non ha tempi. Quantomeno fissare un termine, una scadenza – un termine perentorio, non ordinatorio – io credo sia fondamentale.
  Certo, occorre cambiare anche il sistema. Il problema che si poneva e che ponevano anche D'Atena e D'Amico è che, se in sede di decretazione viene cambiata totalmente la formulazione della Commissione paritetica, non c’è un riesame, data la stessa. È vero che acceleriamo i tempi. Le autonomie faranno i decreti ma li faranno in maniera difforme. Poi, però, si pone un problema di sindacato di costituzionalità.
  Tuttavia, in realtà il problema fondamentale è quello di pervenire a un risultato. Intervenire attraverso una rivalutazione dell'elaborazione data in sede di decreto, offrire questa possibilità di farlo Pag. 14alla Commissione paritetica credo sia fondamentale. Le modalità per renderla cogente si trovano. A me pare molto brillante l'idea suggerita dal professor D'Atena.
  Il discorso fondamentale è quello di realizzare queste specialità, cioè di offrire la possibilità di svilupparle, altrimenti tutte le cose rimarranno come stanno e il regionalismo ordinario verrà ridotto, quello speciale resterà allo stesso punto, chi era avanti si troverà avanti e chi era indietro rimarrà indietro.
  Per esempio, penso alle riforme più recenti. Ricordo la legge costituzionale n. 1 del 2012, e l'interpretazione che la Corte ha dato sulle cosiddette forme di omogeneizzazione dei princìpi, per esempio, in materia di finanza e di bilancio. La Corte ha detto ripetutamente che non vi sono ragioni costituzionali che giustifichino un diverso trattamento in materia di finanza e bilancio fra regioni ordinarie e regioni speciali.
  Anche nella legge costituzionale che ha modificato l'articolo 81 della Costituzione e in quelle seguenti c’è un'assoluta parità da questo punto di vista, perché le regioni oggi, come leggevo da qualche parte, sono per lo più considerate una fonte di spreco. Ecco perché c’è questa volontà di centralizzazione. Sono un impaccio alla legislazione statale, laddove ci sono interferenze di competenza e comunque sono una fonte di spreco. Ecco perché, più si tengono distanti, meglio è.
  Scusate la mia approssimazione. Volevo soltanto fornire alcuni appunti, considerato che sull'impostazione generale sono assolutamente d'accordo con quello che hanno detto i colleghi.
  Grazie, presidente.

  PRESIDENTE. Grazie al professor Vitale anche per il suo importante contributo.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ALBERT LANIECE. Pongo una domanda e faccio alcune considerazioni, se possibile. Sono un senatore valdostano. Potete immaginare quale sia il mio pensiero. Ringrazio molto i professori D'Atena, D'Amico e Vitale per i loro interventi, veramente interessanti, concreti e chiari. Mi ha fatto piacere sentire tutta una serie di considerazioni.
  A proposito della nascita delle regioni a Statuto speciale, sarebbe interessante fare anche un focus sulle motivazioni che hanno portato alla nascita di queste realtà. Non in questa Commissione, ma molto spesso c’è tanta approssimazione. Si tirano in ballo delle motivazioni senza contare che esse sono nate dalla lotta di resistenza, dalla lotta contro un determinato regime, dalla volontà di restituire la libertà e la dignità alle popolazioni che costituiscono questo Stato. Io credo che, da questo punto di vista, sia importante fare un punto della situazione.
  Alla base della nascita delle regioni a Statuto speciale c’è un patto bilaterale, che viene richiamato anche nel funzionamento delle Commissioni paritetiche. Il patto sostanzialmente sanciva l'appartenenza a uno Stato, ma anche, da parte di questo Stato, il riconoscimento profondo della cultura e il rispetto della cultura e delle lingue di popolazioni particolari che sono vissute al confine e che hanno avuto una storia di secoli molto particolare.
  Detto questo, io ringrazio per le considerazioni che sono state fatte e per i preziosi appunti che sono stati lasciati alla Commissione, nonché per lo scritto citato dal professor D'Atena, che mi procurerò. Sono state toccate delle questioni molto rilevanti, a partire dalla sentenza della Corte costituzionale n. 133 del 2010, quella della Valle d'Aosta, che conosco bene, in quanto facevo parte della Giunta regionale. Sono tutte questioni importanti, fino a quella legata al pre-Consiglio.
  La Commissione paritetica della Valle d'Aosta è stata ferma quasi due anni e mezzo. Fortunatamente si è sbloccata con la prima norma di attuazione che elimina definitivamente la Commissione di coordinamento in Valle d'Aosta. Sapete meglio di me che il presidente della Giunta ha funzioni prefettizie.Pag. 15
  Non voglio rubare troppo tempo ai colleghi. Svolgo ancora una considerazione e poi faccio una domanda.
  Volevo solo sottolineare come a volte in questo percorso di riforma della Costituzione possa essere utile cercare di ragionare a fondo su quello che è successo anche, per esempio, nel percorso che ha portato alla modifica del 2001 del Titolo V della parte seconda della Costituzione.
  Grazie alla modifica del Titolo V e alla devoluzione alle regioni di tutta una serie di competenze, molte regioni hanno potuto, per esempio, sviluppare un welfare pari a quello del Nord Europa, cosa che prima del 2001 non era possibile. Penso a tutte le strutture per disabili, per anziani, per la prima infanzia. Per la prima infanzia alcune regioni hanno raggiunto l'obiettivo di Lisbona, che ci porta nelle classifiche più alte in Europa.
  La modifica del Titolo V ha significato nel 2001 portare sul territorio servizi che prima, quando erano di competenza dello Stato, non c'erano. Tutta una serie di strutture per il sistema sociosanitario non esistevano, così come i gruppi appartamento per pazienti psichiatrici e per disabili. Non esistevano. Io difendo, quindi, questa scelta che è stata fatta.
  Arrivo alla domanda. Si è parlato, giustamente, di questa clausola di salvaguardia, che può sembrare congelare – l'avete detto – le regioni a Statuto speciale rispetto a una riduzione dei poteri del regionalismo ordinario. Questa norma di salvaguardia, però, non ci ha soddisfatti appieno, per due motivi.
  In primo luogo, proprio perché a noi non interessa congelarci e stare fermi così. Se facciamo parte di uno Stato, dobbiamo avere rapporti con le altre regioni e, inoltre, vogliamo progredire. Questa è la domanda: non sarebbe stato meglio, come avevamo chiesto noi con un emendamento, inserire la clausola di salvaguardia nell'articolo 116 della Costituzione e incardinare in modo definitivo il concetto pattizio d'intesa ? Questo era ciò che noi avremmo auspicato. Questo avrebbe, credo, bypassato il discorso del congelamento fino a quando si applicherà la riforma costituzionale e avrebbe offerto garanzia e chiarezza.
  Per esempio, mi richiamo al risultato della modifica del 2005-2006, che fu poi cassata dal referendum. Essa conteneva una norma di salvaguardia sull'articolo 116 che stabiliva addirittura i tempi entro i quali il Consiglio regionale o il Governo dovevano esprimersi. Sicuramente al Senato noi andremo alla carica di nuovo su una norma di salvaguardia più chiara per tutti e più tutelante, che inserisca in modo definitivo il concetto pattizio dell'intesa.
  Grazie.

  FLORIAN KRONBICHLER. Sono un deputato della provincia di Bolzano. Mi è molto piaciuta la metafora della clausola di salvaguardia, quella della provvisorietà come anticamera della definitività, dell'eternità. Pongo una domanda forse più politica che non giuridica.
  Io mi posso immaginare – questo non è esplicito, ma tutti e tre i professori hanno parlato della possibilità che, poiché non ci si vuole adeguare in peggio, si tiene quello che si ha – che questa clausola di salvaguardia possa essere poi vista dalle regioni ordinarie, dalle regioni sorelle, quasi come una furbizia che poi politicamente ha sempre difficoltà a tenersi.
  Come vedete il consenso, sempre utile, se non indispensabile, delle altre regioni ? L'invidia o la gelosia possono rendere insostenibile e fare pressione alle regioni speciali per affrontare questo adeguamento ?

  MANUELA SERRA. Grazie, presidente, e grazie ai nostri ospiti per le loro notevoli relazioni. Io sono una senatrice della regione Sardegna. Riflettevo su tutta la vostra documentazione e mi chiedevo quale potesse essere una ragione, oltre che politica, anche programmatica, perché io vengo da una regione a Statuto speciale dove tutto ciò che riguarda la specialità della regione stessa è profondamente e inconciliabilmente messo sotto banco. Noi abbiamo ambiente, turismo, trasporti, tutto completamente lasciato e abbandonato. Pag. 16Il nostro Presidente Pigliaru ha risolto i ricorsi che aveva col Governo e, quindi, adesso la regione si è slegata dal Patto di stabilità e cercherà comunque di recuperare tutti i fondi dall'Erario.
  Tuttavia, condivido la riflessione che voi facevate, ossia che c’è una parte costituzionale ben sancita, ben programmata e ben organizzata, ma c’è sempre questa mancanza, forse politica, di voler fare in modo che tutto ciò possa funzionare realmente.
  In questa riflessione che stiamo facendo insieme io mi chiedo quale può essere il vero passaggio per far sì che da ora in poi, oltre che essere tutto ben lineare e ben specificato costituzionalmente, diventi anche reale. Quale potrebbe essere il passaggio politico efficace ?
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, senatrice Serra.
  Do la parola ai professori per una replica, iniziando dal professor D'Amico.

  GIACOMO D'AMICO, Professore associato di diritto costituzionale presso il Dipartimento di giurisprudenza dell'Università degli studi di Messina. Per prima cosa volevo fare un'aggiunta rispetto a quello che è stato detto prima. Mi pare che, pur non essendoci messi d'accordo, alla fine su molti punti – ovviamente, questa per me è una ragione di grande conforto – con i professori D'Atena e Vitale ci ritroviamo sulle stesse posizioni, per molti versi.
  La precisazione riguardava la necessità di codificare il procedimento di formazione delle norme statutarie. Più volte si è detto della necessità di porre un termine al Governo e di obbligarlo a prendere una decisione. Attenzione, però, perché non è sufficiente porre un generico termine al Governo e dirgli che entro sessanta giorni deve fornire una risposta su uno schema di decreto legislativo. Altrimenti, il gioco facile è che il Governo dica «no» e che finisca tutto.
  Secondo me, il passaggio fondamentale è quello di dettare una normativa che potremmo chiamare di composizione del dissenso. Non penso a una normativa che rallenti la procedura di formazione, ma immagino procedure di composizione del dissenso simili, per esempio, a quelle che si riscontrano in materia di Conferenza dei servizi, in cui c’è uno scambio di battute, c’è una dialettica.
  Non si tratta semplicemente di porre al Governo un termine entro il quale il Governo deve prendere una posizione. Se il Governo non è d'accordo e avanza delle obiezioni su uno schema, deve comunicarne le ragioni entro un dato termine, ed entro un altro dato termine la Commissione paritetica, anche alla luce – questo è un passaggio che non c’è stato modo di approfondire prima – dei pareri che la Commissione paritetica ha acquisito dalle amministrazioni interessate, si deve esprimere.
  La Commissione paritetica – anche questo è un fattore di rallentamento dei lavori – acquisisce dei pareri dalle amministrazioni interessate, sente le amministrazioni interessate, per esempio statali. Alla luce di questa valutazione complessiva può poi instaurarsi questa dialettica, in termini ragionevoli, con il Governo.
  Il punto che volevo sottolineare è che non vi deve essere un aut aut al Governo, altrimenti la partita finisce lì.
  Per quanto riguarda le varie domande che sono state poste, c’è prima di tutto la questione del metodo pattizio. Secondo me, il metodo pattizio è l'unica strada per salvare il regionalismo. Non è mia intenzione quella di darle ragione per forza, non ho alcun motivo per fare ciò, ma il metodo pattizio, quello della contrattazione, è l'unico per far sopravvivere il regionalismo in Italia. È quella l'unica strada per progredire davvero o per vedere degli sviluppi futuri degli Statuti speciali.
  Con questo faccio riferimento anche all'esperienza sarda, che da questo punto di vista è interessante. La richiamavo prima nel mio intervento. Purtroppo, in quel caso, c’è stato, dal mio punto di vista ovviamente, un aggiramento degli accordi e, quindi, una mancata attuazione degli accordi. Si arriva al punto che la mancata Pag. 17attuazione degli accordi Stato-regione che c’è stata in Sardegna diventa paradossalmente insindacabile.
  Alla fine sapete cosa succedeva ? Succedeva che alla Corte costituzionale la regione Sardegna proponeva dei conflitti di attribuzione per il mancato trasferimento dei fondi. La Corte costituzionale rispondeva che questo conflitto era inammissibile perché si stava rivendicando una cosa. Si trattava di una vindicatio rei. Si stavano rivendicando soldi e beni, nel qual caso non ci si doveva rivolgere alla Corte, ma a un giudice amministrativo. Si arrivava così al paradosso che la mancata attuazione dell'accordo diventava insindacabile, almeno in sede di contenzioso costituzionale.
  Quanto all'invidia delle regioni ordinarie, ho sintetizzato così il concetto perché era efficace come messaggio. Questo deve essere, però, un fattore che determina un progresso nei rapporti fra Stato e regione. Può essere utile, ma non saprei come risolvere il tema. La soluzione è soltanto una soluzione politica, ovviamente. Può essere solo quella di un ripensamento dei rapporti Stato-regione.
  Scusate se insisto, ma qui c’è un macigno che grava su tutta questa problematica: il macigno delle ragioni economiche. Con questo rispondo anche alla sua domanda, presidente. Lei chiedeva come si può superare questo stato di fatto. Qui banalmente le materie, le etichette, le sigle costano. Ogni sigla, ogni parola ha un costo, perché hanno un costo le funzioni che stanno dietro le etichette, le sigle e le materie.
  Fintanto che il regionalismo non sarà inteso come un modo per tagliare i costi, per ridurre i costi, purtroppo bisognerà fare i conti con questa realtà. Soltanto nel momento in cui si riuscirà non solo a comprendere, ma anche effettivamente a realizzare una riduzione di costi attraverso una devoluzione di funzioni agli enti territoriali, alle regioni e agli enti locali, secondo me, si potrà fare il salto di qualità. Nel momento in cui lo Stato è chiamato a trasferire le funzioni, ma anche le somme necessarie per l'esercizio di queste funzioni, capite bene che questo è un ostacolo che rende insormontabile questo trasferimento.

  ANTONIO FRANCESCO VITALE, Professore ordinario di diritto pubblico comparato presso l'Università degli studi di Catania. La mia opinione rimane ferma anche nelle risposte ai signori senatori e deputati. Io sono pienamente convinto, come diceva lei e come riaffermava D'Amico, che la clausola pattizia sia fondamentale. È fondamentale per l'applicazione reale, per esempio, nelle riforme degli Statuti, ma lo deve essere anche proprio per le norme di attuazione. Si può pensare a mantenere, per esempio, fermo il valore legislativo di queste fonti, che è a competenza separata, pensando anche alla possibilità di introdurre, oltre a dei termini di intervento – ovviamente tali non soltanto da consentire al Governo di dire «no, non mi sta bene», ma con condivisione – anche l'ipotesi del seguito di un autorizzato procedimento amministrativo. Questo potrebbe servire anche ad accelerare i tempi di trasferimento delle funzioni. A sua volta, così, la regione potrebbe anche approfittarne per fare i trasferimenti delle funzioni agli enti locali.
  In questo modo si farebbe un'unica imbarcata. Non sarebbe un'idea malvagia. Certo, c’è da studiare un attimo il tutto, ma basterebbe il procedimento legislativo autorizzatorio. A questo procedimento legislativo autorizzatorio, previa verifica dell'intesa e dell'accordo, seguirebbe il procedimento di applicazione proprio con procedimenti amministrativi che prevedono la contemporaneità anche dei trasferimenti delle funzioni dalle regioni agli enti locali.
  Questa è un'ipotesi, ma sicuramente bisognerebbe intervenire su quell'aspetto, ossia sulle intese e su questa tipologia particolare del procedimento di trasferimento delle funzioni e di attuazione delle norme statutarie.
  Rimane il problema che poneva l'onorevole Kronbichler, ossia il problema degli sguardi più o meno invidiosi delle altre regioni. Io credo che quel problema sia Pag. 18veramente solo politico. Se le regioni ordinarie riusciranno a essere comunque delle forme di governo del territorio funzionanti, forse avranno poco da invidiare rispetto alle regioni speciali, o almeno ad alcune regioni speciali che hanno, in teoria, tanti privilegi, ma che poi non funzionano. Alla fine, la funzionalità deve essere l'obiettivo.

  ANTONIO D'ATENA, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata». Io inizio con le osservazioni e la domanda del senatore Laniece.
  Per quanto riguarda la motivazione della nascita delle regioni speciali, ci sono motivazioni storiche molto forti, legate anche a una difficile e importante fase storica del nostro Paese e a esigenze di tutela di specificità e identità culturali che, soprattutto nelle regioni alloglotte, sono particolarmente forti.
  Quando la Commissione De Mita-Iotti, durante i suoi lavori, proponeva di applicare il modulo federale del rovesciamento dell'enumerazione delle competenze, io ero tra coloro che sostenevano che in quel quadro mantenere un sistema regionale speciale non si giustificasse. La logica federale è quella per cui, in fondo, lo Stato centrale, la federazione, trattiene tutto quello che è essenziale. Dopodiché, la competenza generale spetta alle regioni, ai Länder, ai cantoni. Forse nella logica del Titolo V del 2001 questo ragionamento poteva tenere fondamentalmente per il rovesciamento delle competenze legislative.
  Oggi il rovesciamento nel quadro della riforma costituzionale viene mantenuto, ma è un rovesciamento fortemente indebolito dalla clausola di supremazia. In passato, per una clausola analogamente costruita, io avevo parlato di «clausola vampiro», ossia di una clausola che ha il potere di spostare la competenza senza limiti apprezzabili. In questo quadro l'autonomia speciale mantiene, ovviamente, delle ragioni giustificative.
  Lei ha accennato, senatore, ad alcune eccellenze in materia di welfare. Io debbo anche dire che la mia impressione è che questa linea di neocentralismo che si è affermata in questo disegno di legge costituzionale nasca da una valutazione piuttosto affrettata dell'attività reale delle regioni. Alcuni fatti clamorosi che sono arrivati alla ribalta della cronaca hanno fatto dimenticare tutto quello che di buono c’è in termini di legislazione.
  Molto spesso – lo dico anche con riferimento a chi fa il mio mestiere – di questi temi ci si occupa in termini molto impressionistici. Si ha una sensazione generale e si esprime un giudizio. Se si vanno, però, ad analizzare le leggi della regione – ci sono lavori egregi della Camera dei deputati e dell'istituto del CNR che se ne occupa – si scopre che ci sono una serie di questioni di estremo interesse e, peraltro, una serie di soluzioni che anticipano soluzioni nazionali.
  D'altra parte, il pregio del federalismo o anche del regionalismo è quello di rappresentare un laboratorio a cielo aperto in cui ci sono dei reparti del territorio che, attraverso le proprie Istituzioni rappresentative, sperimentano determinate soluzioni, che poi magari vengono importate altrove o a livello centrale.
  Quanto all'intesa sugli Statuti, lei osserva che sarebbe stato meglio, come accadeva con il progetto di riforma della XIV legislatura, che la disciplina fosse introdotta non quasi incidentalmente in una disposizione a carattere transitorio, ma nell'impianto dell'articolo 116 della Costituzione. Questo è fondamentalmente esatto, anche se, da un punto di vista normativo, le cose non cambiano. Dovunque si parli dell'intesa, l'intesa si richiede.
  Qual era il pregio dell'altra disciplina ? Quello di procedimentalizzare. Questo, quindi, sarebbe opportuno, ossia che questa procedura d'intesa per la modifica statutaria avesse una sua disciplina, che non può non essere costituzionale.
  Questo è il punto. Anche la mancanza di una procedimentalizzazione rende più facilmente prevedibile che queste intese poi non si faranno, sia perché c’è l'interesse forse a mantenere lo status quo, sia Pag. 19perché, allo stato, non si sa come si debba realizzare questa intesa. È lanciata così, ma non ha alcuna forma di procedimentalizzazione.
  L'onorevole Kronbichler pone la questione per cui questa diventerebbe, mi consenta di dirlo, una Ewigkeitsklausel – in Germania si parla di Ewigkeitsklausel – ossia una clausola di eternità. Si mantiene una situazione che può portare all'isolamento delle regioni speciali, il quale isolamento può essere politicamente oneroso.
  L'Associazione dei costituzionalisti da qualche anno tiene ogni anno un seminario, I costituzionalisti e le riforme che l'anno scorso si è tenuto a Milano. Il collega Caretti, dell'Università di Firenze, faceva proprio questa osservazione, rovesciandola. Secondo lui, la posizione delle autonomie speciali avrebbe portato a una difficile sostenibilità della disciplina attribuita alle regioni ordinarie. Certamente questo è un elemento di tensione. Diventa un elemento di forte tensione all'interno del disegno costituzionale e probabilmente nei rapporti tra le regioni.
  La senatrice Serra si sofferma sulla questione della mancanza delle norme di attuazione, dei ritardi e del blocco del pre-Consiglio, che è stato opportunamente ricordato dal professor D'Amico. Quali sono le ragioni di tutto questo ? Fondamentalmente, sono ragioni politiche. Lo sforzo del costituzionalista e, quindi, del legislatore costituzionale è di porre degli argini entro cui si sviluppino le dinamiche politiche, ma poi queste hanno una loro forza, che prescinde dagli argini.
  Sul discorso della procedimentalizzazione io sono d'accordo che il termine sia opportuno. È necessario, però, ma non sufficiente. Che cosa prevedere dopo ? L'indicazione che fornisce il professor D'Amico a me sembra felice: una normativa che preveda meccanismi di composizione del conflitto. Potrebbe trattarsi di una riapertura. Se scade il termine senza che accada nulla, ci potrebbe essere un'apertura, ma la questione potrebbe andare avanti a tempo indeterminato.
  Qui ci potrebbe essere un'altra via d'uscita: il ruolo di un Senato. A mio modo di vedere, queste sono materie tipicamente da Senato «federale».
  La mia impressione è che nel testo di riforma alcune funzioni tipiche per cui il Senato federale rappresenta una risorsa aggiuntiva, un innegabile valore aggiunto, non sono state percorse. Bisognerebbe vedere che cosa accadrebbe a riforma approvata, una volta che alcuni problemi si porranno sul tappeto.
  È illusorio pensare che il riparto di competenze sia effettuato attraverso linee rigide che assicurino certezza. Ci sono dei margini di indeterminatezza. La Corte costituzionale dice che ci sono dei casi in cui non può autonomamente fornire la risposta, ragion per cui la rimette al negoziato politico. A chi si affida ? Alle Conferenze, senonché le Conferenze sono sedi degli esecutivi.
  Quando si tratta di incidere sul riparto di competenze legislative, può essere opportuno che sia una Camera legislativa a prendere le decisioni, una Camera, peraltro, espressa dai Consigli regionali. Non è il caso di parlare in questa sede della soluzione adottata, ma questo potrebbe essere un meccanismo di recupero, ossia prevedere in qualche modo un intervento delle regioni attraverso un'istanza da esprimere unitariamente, a livello parlamentare, il livello più alto che istituzionalmente le rappresenta, e cercare una via d'uscita attraverso questa strada.

  PRESIDENTE. Grazie, professor D'Atena. Io voglio ringraziare i colleghi e gli autorevolissimi relatori per il contributo. Volevo solo ricordare che noi proseguiamo l'indagine conoscitiva martedì 24 marzo con le audizioni del professor Mangiameli, del professor Caravita di Toritto e del professor Palermo.
  Volevo solo dire, prendendo spunto dall'intervento del collega Laniece, che noi proseguiamo un'attività di indagine conoscitiva che la Commissione aveva avviato sull'attualità degli Statuti speciali, ma che non si era conclusa, perché legata all'esercizio della funzione consultiva di questa Pag. 20Commissione in sede di discussione del testo di riforma costituzionale.
  Questa indagine, ovviamente, fa un passo avanti perché guarda ai profili di attuazione, alle modalità, alla validità delle procedure che costituzionalmente e statutariamente sono previste per adeguare, integrare e organizzare il sistema del potere regionale nelle regioni ad autonomia differenziata e per fornire un contributo sia per tutte le questioni che verranno e che sono oggetto di discussione in Commissione anche sulle modifiche dei singoli Statuti di iniziativa regionale, sia, ancorché in terza lettura, alla discussione che riguarda la riforma costituzionale. Tutto questo materiale noi, ovviamente, lo metteremo insieme, cercando di offrire, grazie anche alle relazioni dei professori, un contributo specifico.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 11.30.