XVII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Giovedì 16 marzo 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA RELAZIONE ALL'ASSEMBLEA SULLE FORME DI RACCORDO TRA LO STATO E LE AUTONOMIE TERRITORIALI E SULL'ATTUAZIONE DEGLI STATUTI SPECIALI

Audizione della Ministra per i Rapporti con il Parlamento, Anna Finocchiaro.
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 
Finocchiaro Anna , ministra per i rapporti con il Parlamento ... 3 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 7

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANPIERO D'ALIA

  La seduta comincia alle 8.25.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione della Ministra per i Rapporti con il Parlamento, Anna Finocchiaro.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione della Ministra per i rapporti con il Parlamento, la senatrice Anna Finocchiaro, nell'ambito dell'indagine conoscitiva deliberata dalla Commissione per l'esame della relazione all'Assemblea sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali e sull'attuazione degli statuti speciali.
  Nel rinnovare i ringraziamenti alla Ministra per la disponibilità, le cedo subito la parola.

  ANNA FINOCCHIARO, ministra per i rapporti con il Parlamento. Grazie, presidente. Spero di esservi utile. Collocandomi nel finale di una riflessione, che questa Commissione svolge da tempo, vorrei partire dalla bocciatura, in occasione del referendum del 4 dicembre 2016, della riforma costituzionale, come un'onda che arriva sulla spiaggia, che, quando si ritira, lascia – consentitemi di esprimermi in questo modo e con un linguaggio non esattamente giuridico – resti di futuro e anche pezzi di passato.
  Mi riferisco alla quantità dei problemi, che riguardano, in particolare, il tema centralissimo del raccordo tra lo Stato e le Regioni. Questo tema ha visto coinvolte la Commissione Affari costituzionali e, poi, l'Aula, in un'elaborazione che tentava appunto di trovare risposta a una serie di questioni, più volte sollevate dalla Corte costituzionale e più volte incontrate nella vita politica e istituzionale del Paese, e che tentava di risolvere una questione incombente, quella della relazione tra lo Stato, le istituzioni territoriali e l'Unione europea.
  Dopo la sconfitta referendaria, come dicevo, questi problemi, ma anche le elaborazioni che avevano accompagnato la stesura della riforma, tornano alla nostra attenzione e lasciatemi dire che il lavoro, che sta facendo questa Commissione e che io seguo in particolare attraverso le relazioni presentate dal Presidente D'Alia, è preziosissimo, non soltanto per la capacità ricognitiva delle questioni, ma anche per l'originalità delle proposte di soluzione.
  Rispetto ad alcune di queste, dirò come la penso, tenendo anche conto del contenuto di precedenti audizioni e, in particolare, dell'audizione del professor Massimo Luciani.
  Tra le questioni dalle quali partire, una particolare e speciale attenzione deve essere rivolta all'esito del grande lavoro e della qualità dell'intervento della Corte costituzionale, in questi anni. Si è trattato di un ruolo, di fatto, di arbitro, necessitato dall'enorme ruolo di contenzioso sul titolo V, che la Corte si è trovata ad affrontare.
  Estraibile ormai in maniera inequivoca è il principio secondo cui, solo in presenza di un iter in cui sia dato un opportuno risalto alle attività concertative e di coordinamento Pag. 4 orizzontale, cioè alle intese, la legge statale che intervenga in ambiti nei quali esistono prerogative regionali può superare il vaglio di costituzionalità. Con la sentenza n. 251 del 2016, il principio di leale collaborazione, ripetutamente evocato in precedenza dalla Corte, vede la propria applicazione estesa anche nell'ambito del procedimento legislativo.
  Non dobbiamo trascurare il fatto che la giurisprudenza della Corte costantemente abbia mostrato come sia velleitario introdurre dei profili di demarcazione rigida, nelle relazioni e nelle competenze tra lo Stato e gli enti territoriali, e che la Corte abbia più volte sottolineato che ci troviamo di fronte a oggetti a cosiddetta «imputazione multipla».
  C'è stata l'elaborazione da parte della Corte di alcuni criteri, tra cui quello della materia prevalente, che ha svelato, talvolta (o, a giudizio della stessa Corte costituzionale, più volte), la propria ineffettività, giacché, quando l'intreccio tra le materie di competenza regionale e quelle non di competenza regionale non è districabile, il principio della prevalenza, come la Corte ha ripetutamente affermato, non riesce a risolvere la questione e, nei casi in cui l'intervento dello Stato non sia sufficiente e risulti necessario un coinvolgimento delle Regioni, il rispetto del principio di leale collaborazione diventa l'asse intorno a cui articolare l'azione.
  Finora, come sappiamo, le Conferenze hanno svolto un ruolo determinante per il dialogo tra la volontà dello Stato e quello degli enti territoriali, per cui sono state definite «centro dell'esperienza», che è un'espressione bellissima dal punto di vista della cultura istituzionale, e hanno svolto, secondo una più tradizionale definizione, una supplenza benemerita.
  Quella del «centro delle esperienze» è un'espressione, secondo me, preziosa dal punto di vista delle relazioni istituzionali, perché con tale espressione si esprime anche un senso, che, peraltro, si ritrova spesso nelle relazioni e negli interventi del presidente D'Alia, delle istituzioni che agiscono e la cui capacità di regolazione è espansiva ed è motore di un sistema, che necessariamente deve assecondare non soltanto la crescita del Paese, ma anche l'affermazione di prerogative, sensibilità e centralità di questioni politiche, che probabilmente non erano neanche previste nel momento in cui quell'organo era stato introdotto nell'ordinamento.
  Ora, non c'è dubbio che debba essere condivisa l'espressione della Corte, secondo cui il «sistema delle conferenze» rappresenta una delle sedi più qualificate per l'elaborazione di regole, che siano in grado di integrare il parametro della leale collaborazione, e non c'è dubbio che il ’sistema delle conferenze’ sia stato centrale, sulla base dei criteri di riparto della legislazione del Titolo V vigente, ai fini dell'attuazione della legge, sia sul piano regolamentare che su quello amministrativo.
  Per volere del legislatore e per consolidamento della giurisprudenza, siamo dunque arrivati a previsioni di intervento obbligatorio, che, di fatto, hanno dato luogo a procedimenti legislativi aggravati, a Costituzione invariata.
  Per esempio, pensiamo al necessario coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni nella definizione degli schemi della legge europea da parte delle Camere o dei disegni di legge, dei decreti legislativi e dei regolamenti del Governo in materia di competenza regionale.
  Questo è uno degli esempi della capacità espansiva delle competenze di un organo, nel momento in cui l'ordinamento, l'assetto istituzionale e la transizione storico-politica di un Paese richiedano la necessità di fare ricorso alle risorse, anche nascoste, di alcuni organi.
  I punti di riflessione sollevati sono tutti di particolare rilievo, ma ne affronterò solo alcuni.
  La necessità di razionalizzazione del «sistema delle conferenze» prevede la riduzione da tre a due delle conferenze o, addirittura, a una conferenza unica da articolare in sede plenaria e distinte sezioni. Credo che la proposta contenuta nella relazione risulti molto interessante e meriti una riflessione, perché mi pare che essa possa rappresentare l'esigenza di razionalizzazione, ma anche quella di rappresentanza Pag. 5 degli interessi e di forza e interferenza nei procedimenti, alle quali ovviamente dobbiamo aspirare, nel momento in cui, tramontata l'ipotesi della riforma, abbiamo la necessità di rappresentanza e raccordo.
  Mi pare anche molto interessante e rispettoso dei princìpi democratici il fatto di sottolineare l'esigenza di superare la posizione di supremazia del Governo, con forme di rotazione della Presidenza e con una maggiore capacità e un ruolo maggiore degli enti territoriali, nella determinazione dell'ordine del giorno, così come io credo che sia grandemente opportuno riflettere sulla eterogeneità delle attività poste in essere dalle conferenze e su una semplificazione delle procedure.
  Questi sono tutti i temi, che, se positivamente risolti, possono dare slancio e maggiore efficienza ed efficacia all'agire delle conferenze.
  L'attuazione dell'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2011 è l'oggetto delle conversazioni su cui finora vi siete intrattenuti. È chiaro che l'epifenomeno da affrontare, anche per le sue gigantesche dimensioni, è quello del contenzioso costituzionale, dovuto ad una assenza di coinvolgimento delle autonomie territoriali, anche nel procedimento legislativo.
  L'unico strumento, che, a legislazione vigente, possiamo adoperare, è appunto l'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2011, che attribuisce ai regolamenti parlamentari la facoltà di integrare la Commissione parlamentare per le questioni regionali. Si tratta di una questione, su cui questa Commissione ha a lungo ragionato e riflettuto e che si pone, dopo la bocciatura referendaria, come la questione da cui partire.
  Il professor Luciani, nel corso dell'audizione presso questa Commissione, ha sottolineato che la norma prevede una facoltà dei regolamenti parlamentari e non un obbligo e che andrebbe mirata l'integrazione a molteplici funzioni, a cominciare, per esempio, dalla fase ascendente delle decisioni dell'Unione europea, senza essere generalizzata a procedimenti legislativi, essendo questo un elemento rischioso sotto il profilo dell’impasse e dello stallo del procedimento legislativo medesimo.
  Mi permetto di dire che il professor Luciani, condivisa o non condivisa che sia dai singoli commissari la sua opinione, sottopone all'attenzione della Commissione una questione, che fu oggetto di un lungo dibattito parlamentare, durante la stesura della riforma costituzionale, cioè la possibilità che il luogo della rappresentanza delle istituzioni territoriali, in quel caso il Senato delle istituzioni territoriali, fosse in grado di interferire con i procedimenti legislativi aventi a oggetto le decisioni dell'Unione europea. In più, quella riforma prevedeva la possibilità che il Senato fosse il luogo della valutazione di impatto delle politiche e delle decisioni dell'Unione europea sui territori.
  Si tratta di una questione che io ho sempre considerato determinante e che oggi ci riappare nella sua centralità. Certamente, il ruolo della Commissione può essere ed è centrale nella valutazione della fase ascendente, per quanto riguarda le decisioni, ma, per quanto riguarda l'attuazione delle politiche, la possibilità di avere un organo, che operi una valutazione di impatto delle decisioni europee sui territori, può essere, da una parte, un potente fattore di integrazione europea e, dall'altra parte, può anche consolidare uno stimolo o una direzione o un indirizzo nei confronti del Governo, circa le posizioni da assumere in sede europea, rispetto a questioni rilevanti, la cui soluzione sia particolarmente delicata o complessa, anche in ragione delle diversità territoriali da cui il nostro Paese è composto.
  Sulla composizione della Commissione parlamentare, il presidente D'Alia ipotizza una composizione di 80 membri paritetica tra componente parlamentare e quella regionale e locale, con una rappresentanza paritaria per tutte le Regioni. Io convengo su quest'ipotesi di composizione, ma non convengo pienamente, trattandosi di un punto da approfondire, su quello che riguarda il numero dei componenti, perché temo sempre che organi particolarmente numerosi vedano poi smarrire la propria Pag. 6forza, in quanto organismi pletorici che hanno difficoltà di lavoro.
  Per quanto riguarda il metodo di designazione dei membri delle Regioni, anch'io ritengo – mi pare questo sia il suggerimento del professor D'Atena, ma anche del professor Luciani – che bisogna cercare un sistema di maggioranze qualificate, per evitare che si tratti di rappresentanza della sola maggioranza. Lo stesso professore Luciani mi pare suggerisca che siano, poi, i Consigli a regolarsi.
  Interessante e assolutamente opportuna è la presenza dei membri degli enti locali, che potrebbe essere espressa dai soli rappresentanti degli enti locali in Conferenza unificata.
  Per quanto riguarda il sistema di voto, credo di dover condividere le osservazioni fatte dal presidente D'Alia sulla necessità di raggiungere una doppia maggioranza, perché, altrimenti, si rischia di sacrificare il principio di rappresentanza. D'altra parte, capisco anche le osservazioni di quanti sostengono che ciò potrebbe rappresentare uno stallo nel procedimento.
  Per quanto riguarda l'ambito di competenza della Commissione integrata, è difficile individuarlo con precisione. Il presidente D'Alia ha permesso, secondo me, di fare un passo avanti alla proposta, parlando di funzione consultiva rinforzata, cioè di un potere consultivo su tutti i progetti di legge di interesse per gli enti territoriali. Il professore D'Atena si è più chirurgicamente attestato nella definizione dei margini della competenza. Si tratta di un punto particolarmente difficile da risolvere, perché è ovvio che questo corrisponda anche a quei margini di incertezza delle competenze, nei quali ci siamo continuamente imbattuti.
  In merito all'attuazione degli statuti speciali, con il Trattato di Lisbona, le autonomie territoriali e locali e la potestà legislativa regionale diventano elementi costitutivi delle politiche nazionali e delle politiche europee. Nell'attuale ordinamento costituzionale, uno degli elementi caratterizzanti la specialità è l'esistenza di fonti atipiche di rango primario e sub-costituzionale, alle quali è riservata l'attuazione degli statuti costituzionali. Si tratta di fonti statali previste da quasi tutti gli statuti speciali, con la previsione di alcuni aggravamenti procedurali, volti a garantire la partecipazione delle Regioni e delle Province autonome interessate alle decisioni degli organi statali competenti.
  Con alterne vicende e con risultati non sempre di straordinario successo, questi istituti giuridici, comunque, hanno assicurato lo svolgimento e l'integrazione necessari a dare attuazione agli statuti, consentendo di armonizzare, come dice la Corte, nell'unità dell'ordinamento giuridico, contenuti e obiettivi particolari delle autonomie speciali.
  Si tratta di un campo da coltivare, che presenta un tema sul quale centrare l'attenzione. Bisognerà aggiornare gli statuti, provvedendo magari a una revisione degli strumenti, in maniera da rinnovare i contenuti dei vecchi contenitori, e armonizzare la disciplina della composizione e del funzionamento delle Commissioni paritetiche, nonché regolamentare il procedimento di adozione degli schemi di decreti legislativi attuativi degli statuti.
  Si tratta di un punto essenziale, che è oggetto di attenzione continua da parte di questa Commissione e sul quale bisogna rendere effettivo il rispetto delle esigenze poste dalla specialità, senza sacrificare la distribuzione delle competenze.
  Infine, bisogna definire – questo è uno dei capitoli probabilmente più vexati – criteri e principi direttivi comuni, nella disciplina dei rapporti finanziari con lo Stato, perché i recenti accordi in materia economica e finanziaria hanno prodotto delle divergenze, non soltanto tra le Regioni a statuto ordinario e le autonomie speciali, ma anche all'interno delle Regioni ad autonomia speciale, per quanto riguarda appunto lo stato di attuazione dell'autonomia finanziaria e il quadro delle competenze statutarie effettivamente esercitate.
  Noi sappiamo che la Corte costituzionale progressivamente ha esteso l'applicazione dei principi di coordinamento della finanza pubblica alle autonomie speciali, a partire da quelli attinenti alla spesa, affermando Pag. 7 che il metodo dell'accordo non ha un valore costituzionale e delimitando, conseguentemente, in senso restrittivo la portata degli accordi.
  Certo, questa giurisprudenza non può non essere collocata nella storia economico-politica del nostro Paese. Tuttavia, credo che sia necessario un punto di riflessione su queste questioni, per evitare che il sistema delle autonomie, al proprio interno e, in particolare, tra le autonomie speciali, registri – lo dico adoperando un'espressione tecnica – una «disparità di trattamento». Si tratta di una questione centrale, al fine di mantenere l'equilibrio anche nella relazione istituzionale tra pezzi dei territori e Stato centrale.
  Queste sono le considerazioni che ritenevo di consegnare alla Commissione. Ovviamente sono a disposizione della Commissione stessa per ogni ulteriore chiarimento.

  PRESIDENTE. Non essendoci osservazioni o quesiti da parte dei colleghi, che credo siano soddisfatti per la relazione, ringrazio la Ministra Finocchiaro.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 8.50.