XVII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 10 di Mercoledì 23 marzo 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE FORME DI RACCORDO TRA LO STATO E LE AUTONOMIE TERRITORIALI, CON PARTICOLARE RIGUARDO AL «SISTEMA DELLE CONFERENZE»

Audizione di rappresentanti della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome.
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 2 
Iacop Franco , coordinatore della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome ... 2 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 5 
Iacop Franco , coordinatore della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome ... 5 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 6 

Audizione dei professori Marcello Cecchetti, Alessandro Morelli e Simone Pajno:
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 6 
Cecchetti Marcello , professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Sassari ... 6 
Morelli Alessandro , professore associato di diritto costituzionale presso l'Università degli studi «Magna Grecia» di Catanzaro ... 8 
Pajno Simone , professore associato di diritto costituzionale, presso l'Università degli Studi di Sassari ... 10 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 12 
Ribaudo Francesco (PD)  ... 12 
Borioli Daniele Gaetano  ... 13 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 13 
Cecchetti Marcello , professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Sassari ... 13 
Morelli Alessandro , professore associato di diritto costituzionale presso l'Università degli studi «Magna Grecia» di Catanzaro ... 14 
Pajno Simone , professore associato di diritto costituzionale, presso l'Università degli Studi di Sassari ... 15 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANPIERO D'ALIA

  La seduta comincia alle 8.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome.
  Nel ringraziare il coordinatore della Conferenza, Franco Iacop, per la sua disponibilità, gli do la parola per lo svolgimento della sua relazione.

  FRANCO IACOP, coordinatore della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome. Grazie, presidente. Buongiorno a tutti i componenti della Commissione.
  Come presidente della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative, ringrazio il presidente e i membri della Commissione per aver voluto raccogliere il nostro contributo riguardo all'indagine conoscitiva che questa Commissione parlamentare ha voluto avviare.
  Ritengo che sia un'indagine conoscitiva assolutamente importante, su un tema, ‘sistema delle conferenze’, di rilevante attualità rispetto al percorso della riforma costituzionale, che modificherà l'assetto delle istituzioni del nostro Paese e soprattutto configurerà il nuovo Senato quale Senato dei territori, Senato di rappresentanza e di raccordo istituzionale per quanto attiene alla relazione tra Stato e sistema delle Regioni e delle autonomie locali.
  Per ragionare sulle prospettive di attuazione materiale del testo di riforma nell'ottica di un ripensamento del ‘sistema delle conferenze’, pare difficile ipotizzare che le funzioni di raccordo del Senato, dipendenti in termini di consistenza dalle scelte di composizione del Senato stesso e di organizzazione dei lavori, possano essere tutte ricondotte a processi tipizzati preordinati all'esercizio di altre funzioni, ad esempio quella legislativa e quella di controllo e valutazione.
  Proprio perché il raccordo, per effetto della giurisprudenza costituzionale, è posto a fondamento del processo di collaborazione tra lo Stato e le Regioni, si potrà tradurre in diverse e flessibili forme, quali codecisione, consultazione e informazione tra le istituzioni statali e quelle regionali, non solo attraverso i singoli consiglieri-senatori, che saranno di fatto i nuovi membri di questo Senato, nella loro duplice veste di senatori e, come precondizione, di consiglieri regionali o sindaci.
  La Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome svolge una funzione di raccordo orizzontale tra le assemblee elettive regionali attraverso i suoi presidenti. Tale raccordo si traduce in codecisioni in relazione alle prerogative e alle funzioni dei Consigli, laddove risulti necessaria la Pag. 3ricerca di uniformità di materia sul territorio nazionale, a scapito della possibilità di perseguimento di un indirizzo politico differenziato.
  La Conferenza interviene negli ambiti legislativi di competenza, attraverso provvedimenti d'indirizzo per le stesse assemblee, nell'attività istituzionale di partecipazione al processo di formazione europea, codificata per legge o realizzata per prassi istituzionale, o ancora in quello statale, realizzato attraverso lo strumento delle audizioni in Parlamento, che tendono a recepire all'interno della discussione in Commissione le istanze e gli interessi di cui sono portatrici le Regioni in qualità di legislatore concorrente.
  Inoltre, l'accresciuto ruolo dell'assemblea legislativa regionale nella partecipazione italiana alla formazione delle politiche dell'Unione europea, per il tramite della Conferenza, dimostra l'importanza determinante che la codificazione normativa (si veda la legge n. 234 del 2012) conferisce a una sede di composizione tra interessi infranazionali.
  La Conferenza ha seguito dall'inizio con molta attenzione il cammino della riforma e ha partecipato alla discussione parlamentare, depositando gli atti formali in sede di audizione.
  La proposta fatta a settembre in Commissione affari costituzionali del Senato dai rappresentanti della Conferenza si focalizzava sul ripristino di un ruolo del Senato, al netto della funzione legislativa, in tema di: partecipazione alla decisione diretta alla formazione e attuazione degli atti normativi e delle politiche dell'Unione europea; partecipazione al raccordo tra l'Unione europea, lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica; valutazione delle politiche pubbliche e verifica dell'impatto delle politiche dell'Unione europea sui territori, in stretto raccordo con i Consigli regionali, che da tempo investono e hanno formato competenze specialistiche.
  Nell'ottica di un ripensamento della funzione delle conferenze, un fondamentale nodo da esaminare resta, anche alla luce delle audizioni sostenute nei mesi precedenti dei rappresentanti del Governo e degli esperti, la composizione del Senato territoriale definita dalla legge elettorale, in particolare l'eventuale presenza dei capi degli esecutivi regionali.
  Su questo punto la nostra Conferenza ritiene importante rilevare come, rispetto alla proposta originaria del Governo, il legislatore di revisione costituzionale abbia espresso una chiara volontà di espungere dal testo di riforma la presenza di diritto di alcuno, compresi i Presidenti.
  L'eventuale scelta del legislatore, in sede di approvazione della legge elettorale, di prevedere meccanismi idonei a consentire l'ingresso automatico dei Presidenti, anche qualora fosse frutto di un patto politico prestabilito, sarebbe una forma occultata di rappresentanza di diritto, che il legislatore di revisione costituzionale non ha voluto, con effetti giuridico-costituzionali dipendenti dalla lettura dei princìpi costituzionali che ne presidiano la composizione.
  Inoltre, se dovesse essere accolta la tesi dell'elezione di tutti i Presidenti di Regione, questo creerebbe non poco squilibrio tra le Regioni grandi, per le quali gli ulteriori protagonisti dell'attività parlamentare saranno i consiglieri regionali-senatori, e le dieci Regioni piccole, per le quali verosimilmente, siccome è previsto un solo consigliere-senatore, gli unici rappresentanti regionali saranno i Presidenti, inevitabilmente poco presenti alla quotidiana attività parlamentare per gli impegni connessi al ruolo istituzionale da loro svolto.
  Da questa sottolineatura risulta evidente che un coinvolgimento in Parlamento dei Presidenti delle Regioni potrebbe condizionare in maniera determinante il raccordo tra le diverse sedi cooperative (Senato e ‘sistema delle conferenze’).
  Per questo motivo, potrebbero ipotizzarsi forme di coinvolgimento dei Presidenti allorquando necessarie alle funzioni parlamentari, per integrare la voce delle Regioni in particolari affari all'esame del Senato.
  In termini di progettazione generale del nuovo sistema di concertazione fra dimensione nazionale e dimensioni territoriali, i canali di raccordo verticale potrebbero ricomprendere tutti gli ambiti d'intervento Pag. 4della cooperazione tra lo Stato e le autonomie, ma saranno diversamente modulati a seconda che si riferiscano alle funzioni parlamentari o di governo.
  Nella connotazione funzionale del Senato, una particolare attenzione andrà a rivestire il dialogo con le Assemblee regionali nella partecipazione all’iter parlamentare e all'attività legislativa, diversamente dalle sedi di concertazione statale tra Governo e giunte regionali, funzionali alle attività amministrative e all'esame degli atti del Governo.
  Da un siffatto punto di vista, se è vero che i legislatori regionali partecipano dall'interno alle decisioni legislative e di controllo dello Stato, attraverso la presenza in Parlamento dei consiglieri regionali-senatori, riteniamo che ancor più si debbano coinvolgere nel nuovo circuito di coordinamento i Consigli regionali, attraverso la Conferenza, perché depositari della competenza legislativa insieme al Parlamento e già partecipi in forme crescenti nella dinamica dei processi decisionali europei e nelle attività di valutazione delle politiche pubbliche.
  La connessione tra le due sedi di cooperazione appare di tutta evidenza, se si considera l'incidenza che il doppio incarico dei consiglieri-senatori avrà sull'organizzazione dei lavori sia del Senato che delle Assemblee regionali.
  Cito un esempio su tutti. La partecipazione dei consiglieri ai lavori del Senato, il cui obbligo è sancito dall'articolo 6 del disegno di legge di revisione costituzionale, che recita che «i membri del Parlamento hanno il dovere di partecipare alle sedute dell'Assemblea e ai lavori delle Commissioni», in considerazione dei tempi ristretti di esame dei progetti di legge non bicamerali (dieci giorni per la richiesta e trenta giorni per l'esame), non è affatto ininfluente rispetto al funzionamento del Consiglio regionale di appartenenza. In taluni casi, quelli in cui ci sono più consiglieri-senatori, proiettando la composizione attuale delle Assemblee regionali, non vi sarebbe una maggioranza con un'evidente incidenza sull'ordine dei lavori dei Consigli stessi.
  È possibile ipotizzare che le sedi di raccordo orizzontale interagiscano con il Senato per il miglior funzionamento dell'organo. Si pensi, ad esempio, alla possibilità dell'istruttoria preventiva che già in sede di Conferenza può essere fatta o all'attività di documentazione e ricerca congiunta tra Senato e Conferenza dei Consigli regionali.
  Inoltre, in considerazione della possibile prevalenza della dimensione politica in seno al Senato, le soluzioni organizzative prospettate possono contribuire a compensare l'identità istituzionale e territoriale rispetto alla dimensione partitica.
  Anche in relazione al nuovo riparto di competenze legislative, il ruolo della Conferenza dei consigli regionali deve essere mantenuto e può offrire, a seconda delle soluzioni organizzative, anche innovative, che si sceglieranno sul piano del funzionamento, un contributo alla valorizzazione del nuovo Senato.
  Il principio di leale collaborazione, che deve permeare il rapporto con le Regioni nell'esercizio della potestà legislativa, si potrà tradurre, in assenza di una competenza concorrente ma non di ambiti materiali fra loro interconnessi, in procedimenti di istruttoria legislativa presso la Conferenza in relazione all'intervento statale in atto e al coordinamento con le politiche regionali nel medesimo ambito materiale.
  Questa funzione preventiva rispetto al lavoro che il Senato dovrà compiere, in cui i componenti eserciteranno il loro mandato senza alcun vincolo, coordinata con l'attività dei tempi parlamentari, può offrire uno strumento, ulteriore ma non sovrapposto, di dialogo tra lo Stato e le Regioni, in particolare tra il legislatore statale e quello regionale, e rafforzerà l'identità territoriale della Camera alta rispetto a quella partitica, concorrendo forse di fatto alla riduzione del contenzioso costituzionale e ad un accrescimento delle politiche regionali.
  Sul versante esterno, l'impegno comune e crescente delle Assemblee regionali sulle politiche europee in relazione alla fase ascendente, alla partecipazione all'esercizio del controllo di sussidiarietà e al dialogo Pag. 5 politico, consente di immaginare dei meccanismi di interazione e coordinamento tra l'attività della Conferenza dei consigli regionali, nella sua funzione di sede di raccordo delle posizioni dei Consigli regionali, e il Senato come Camera nazionale, con funzioni di mediazione e sintesi degli interessi territoriali rispetto a tematiche che impattano a velocità crescente sulle politiche regionali.
  In conclusione, l'idea organizzativa che emerge sarebbe complementare alla realizzazione di politiche nazionali che necessitano della partecipazione delle autonomie territoriali attraverso il Senato, un'idea basata su un'organizzazione interna dello Stato fondata su una rete di raccordo con i territori tra il Parlamento e i consigli regionali, attraverso il Senato e la Conferenza delle assemblee da una parte e un rivisitato circuito intergovernativo Stato-regioni-autonomie dall'altra.
  Si potrebbero individuare soluzioni che pongano un raccordo a rafforzamento del circuito Camera alta-assemblee regionali per il tramite della loro Conferenza per tutte le funzioni che afferiscono alle prerogative delle Assemblee legislative, e un coinvolgimento degli esecutivi regionali, per il tramite del sistema delle conferenze intergovernative, laddove necessario. Entrambe le forme di raccordo potrebbero essere procedimentalizzate nel Regolamento parlamentare del Senato.
  Chiaramente abbiamo messo a disposizione della presidenza una copia scritta della relazione. Grazie dell'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente Iacop. Non ci sono richieste d'intervento da parte dei colleghi. La relazione sembra aver soddisfatto tutti i quesiti posti e ritengo sarà di grande utilità per il nostro lavoro. Mi permetto di porre solo una domanda al presidente Iacop prima di chiudere questa parte delle nostre audizioni.
  Secondo voi, in concreto, anche alla luce delle funzioni di valutazione delle politiche pubbliche e di raccordo tra lo Stato, l'Unione europea, le Regioni e gli enti locali, che sono il cuore della riforma costituzionale per quanto riguarda il Senato, quale potrebbe essere il coinvolgimento, che appare necessario, delle Assemblee legislative regionali nel procedimento legislativo, così come disegnato dalla riforma costituzionale?
  È evidente che il coordinamento, che voi giustamente sostenete debba essere fatto, è necessario se si vuole riempire di contenuti la nuova attività del Senato della Repubblica. Come immaginate che questo possa realizzarsi in concreto?
  Una delle questioni che noi stiamo discutendo nel corso della nostra indagine conoscitiva è legata ovviamente al nuovo ruolo del sistema delle Conferenze e in particolar modo alla possibilità che le stesse possano essere strutturate, non solo fisicamente e logisticamente, all'interno del nuovo Senato della Repubblica per svolgere un ruolo complementare d'integrazione con le funzioni di quest'ultimo. Ci piacerebbe avere qualche precisazione da questo punto di vista.
  Do la parola al presidente Iacop per la replica.

  FRANCO IACOP, coordinatore della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome. Nella relazione abbiamo accennato a questa opportunità. Ovviamente è un'opportunità dal punto di vista della partecipazione in forma collaborativa all'attività soprattutto legislativa e di valutazione del nuovo Senato, ma riteniamo che sia anche un'opportunità operativa.
  Abbiamo accennato che il fatto che i senatori siano consiglieri e debbano, quindi, essere presenti all'attività dei consigli regionali, oltre a quella del Senato, comporterà necessariamente una certa difficoltà a gestire a tempo pieno la loro funzione all'interno della cosiddetta «Camera di rappresentanza territoriale».
  Tale difficoltà è legata anche ai tempi che il Senato avrà per poter intervenire e pronunciarsi sulle attività legislative della Camera politica, con la possibilità di richiamo e di deliberazione.
  C'è una doppia necessità. Come accennavo nella relazione, per nove regioni e per le due province autonome ci sarà uno solo senatore-consigliere. Da ciò sorge la questione: Pag. 6 a chi spetta questo ruolo di rappresentanza?
  Per ciò che concerne le Regioni numericamente più importanti, la Lombardia, secondo le proiezioni, dovrebbe avere dai dodici ai quattordici senatori. È chiaro che, con la riduzione dei consiglieri regionali, questo numero diventerà influente sui lavori dei consigli. C'è, quindi, la necessità di coordinarli.
  A questo proposito, abbiamo condiviso alcuni ragionamenti con il Presidente del Senato Grasso, mentre si ragionava sulla riforma. Noi immaginiamo che le conferenze – io ovviamente parlo per la Conferenza delle assemblee legislative – possano e debbano essere degli elementi strutturalmente inseriti nella dimensione del Senato, in un'attività, come abbiamo scritto nella relazione, preventiva, di istruttoria, di supporto all'istruttoria, di valutazione e anche di semplificazione del dibattito e delle relazioni tra i sistemi territoriali (in questo caso le Regioni) e il soggetto di raccordo che è il Senato.
  Se la Conferenza riesce a rappresentare trasversalmente il sistema delle assemblee legislative o comunque a raccoglierne gli orientamenti prevalenti, come ci impegniamo a fare, ovviamente semplifica le relazioni tra 21 soggetti e il Senato e può svolgere un importante ruolo di supporto tecnico.
  Abbiamo fatto delle valutazioni en passant sul Senato. Il sistema delle assemblee legislative, per gli aspetti di collaborazione e concertazione sul profilo legislativo, e la Conferenza dei governi regionali o la Conferenza Stato-Regioni di oggi, per il raccordo su aspetti legati più direttamente al governo e all'amministrazione, potrebbero essere delle parti integranti e dar luogo a composizioni aggiunte e variabili ad hoc nella stessa attività del Senato.
  Questa è un'opportunità che il Regolamento del Senato potrebbe addirittura prevedere: un incardinamento organico nelle procedure di facilitazione della relazione, della collaborazione e del confronto costruttivo fra livelli di rappresentanza delle autonomie, in questo caso delle assemblee legislative.
  È vero che con la riforma, sempre che venga adottata e confermata dal referendum, si supera la materia concorrente, però la distinzione fra materie di pertinenza dello Stato e materie di pertinenza delle Regioni rimane necessariamente – abbiamo svolto un lavoro sul governo del territorio proprio la settimana scorsa – anzi rappresenta ampi spazi di sovrapposizione o comunque di codecisione e di co-organizzazione. Laddove si parla di princìpi generali, di indirizzo prevalente e di cose di questo tipo, chiaramente questo comporta che dall'altra parte ci sia una congiunzione di azioni e di attività.
  In questo senso, riteniamo importante che la Conferenza venga strutturalmente inserita nell'organizzazione del lavoro e, laddove possibile, in percorsi di codecisione direttamente con il Senato.

  PRESIDENTE. Ringrazio il coordinatore della Conferenza delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, Franco Iacop, e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione dei professori Marcello Cecchetti, Alessandro Morelli e Simone Pajno.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di Marcello Cecchetti, professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Sassari, Alessandro Morelli, professore associato di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi «Magna Grecia» di Catanzaro, e Simone Pajno, professore associato di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Sassari.
  Nel ringraziare i presenti per la loro disponibilità, do loro la parola per lo svolgimento delle loro relazioni, ad iniziare dal professor Cecchetti.

  MARCELLO CECCHETTI, professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Sassari. Ringrazio il presidente e la Commissione dell'invito. I tempi molto ristretti di questa audizione mi hanno costretto a fare una selezione tra i quesiti. Pag. 7
  Vorrei subito sciogliere il nodo del primo quesito, illustrando il mio convincimento di fondo. Mi pare che, ai fini del riordino del ‘sistema delle conferenze’, tanto la concreta configurazione della rappresentanza nel nuovo Senato, con le due alternative possibili, ovvero logiche politico-partitiche o logiche di rappresentanza territoriale (a mio avviso sono entrambe possibili), quanto la presenza o meno nel nuovo Senato dei Presidenti delle Regioni potrebbero risultare variabili non decisive.
  Vorrei spiegare il perché di questo assunto, concentrandomi sul quesito due e sul quesito sei. A mio parere, gli elementi cruciali da cui muovere sono le funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica attribuite al nuovo Senato e il concorso al medesimo raccordo tra lo Stato, gli enti costitutivi della Repubblica e l'Unione europea.
  Questo raccordo tra livelli territoriali è, dunque, a mio parere, un elemento di sintesi tra tutte le funzioni attribuite al Senato e una vera e propria core mission della nuova istituzione.
  A mio parere, il presupposto fondamentale, se non addirittura la condicio sine qua non, per il buon funzionamento di questo raccordo e per un efficace esercizio di questa mission, a prescindere – lo ripeto – da come si atteggerà in concreto la funzione di rappresentanza, sarà l'istituzionalizzazione nell'ambito dell'attività del Senato del ruolo delle conferenze orizzontali e delle associazioni degli enti locali.
  Naturalmente la differenza fondamentale, che è ben nota a questa Commissione, nell'ambito del ‘sistema delle conferenze’ è tra conferenze intergovernative e conferenze orizzontali.
  La prima idea centrale che vorrei lasciare alla Commissione è questa: a mio parere, perché funzioni bene il ruolo di raccordo del nuovo Senato, è necessario che siano istituzionalizzate nel Senato e nelle attività di quest'ultimo le conferenze orizzontali e le associazioni degli enti locali.
  Perché dico questo? Innanzitutto, c'è una necessità di monitoraggio in continuo e di risposte pronte sulla legislazione primaria. In secondo luogo, c'è una necessità per i senatori di disporre in tempo quasi reale del punto di vista proveniente dagli enti territoriali e di istruttorie già mature. Ho sentito il presidente Iacop, che probabilmente ragionava espressamente in questi termini.
  C'è poi una specifica vocazione, già sperimentata, del ruolo della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative regionali nelle procedure di formazione e attuazione degli atti normativi e delle politiche dell'Unione europea, che a mio avviso non dovrebbe essere persa, ma potrebbe anzi essere utilmente sfruttata.
  Per «istituzionalizzazione» intendo una partecipazione o addirittura una presenza stabile e organizzata all'interno del Senato di queste associazioni di diritto privato.
  Dal punto di vista delle fonti, mi pare che questo risultato potrebbe essere raggiunto in termini molto agevoli, innanzitutto perché non è detto che si debba necessariamente utilizzare una fonte del diritto. Del resto, il ruolo della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative regionali è già stato «istituzionalizzato» attraverso accordi e convenzioni.
  In ogni caso, volendo utilizzare una fonte del diritto, quella più propria è il Regolamento del Senato. Non ci sarebbe assolutamente bisogno né di una legge ordinaria né tantomeno di una legge costituzionale. Il Regolamento, che organizza al suo interno le attività e l'esercizio delle funzioni del Senato, potrebbe essere assolutamente la fonte più idonea a sfruttare questo tipo di opportunità.
  Vengo alla seconda idea che vorrei lasciare a questa Commissione. Che cosa resta fuori dall'area del raccordo esercitato dal Senato? A mio avviso, esiste una sfera che riguarda l'esecuzione, la gestione e l'attuazione delle politiche pubbliche (potremmo dire «l'amministrazione»), che sono pur sempre affidate allo Stato, ma in particolare all'area delle attività di Governo. Mi riferisco alla normazione secondaria, ai piani e programmi, alla ripartizione delle risorse.
  Tutta questa attività, a mio parere, non rientra nelle competenze e nell'esercizio Pag. 8delle attività e delle funzioni istituzionali attribuite dalla Costituzione al Senato. Tutto questo, quindi, non può che rimanere affidato, a mio avviso, al sistema delle conferenze intergovernative.
  Naturalmente ci muoviamo nel campo già sperimentato della Conferenza Stato-Regioni, della Conferenza Stato-Città e della Conferenza unificata.
  Tutto questo sistema può senz'altro, e a mio parere dovrebbe, rimanere in vita, al fine di evitare, da un lato, di soffocare il Senato, attribuendogli funzioni che non rientrano nei già numerosi compiti che avrebbe da svolgere. Mi pare soprattutto che lasciando questa attività al mondo dei raccordi intergovernativi si eviterebbe di confondere indebitamente controllore e controllato. Non dimentichiamo che il Senato ha una specifica vocazione, intestata dalla Costituzione, alla valutazione delle politiche pubbliche.
  Naturalmente il sistema delle conferenze intergovernative, come ho detto, potrebbe e dovrebbe rimanere in vita, ma ovviamente c'è l'esigenza di una nuova disciplina. Da quel sistema, come attualmente lo conosciamo, occorrerebbe depurare tutta la parte, che oggi svolgono le conferenze, di supporto all'attività di normazione, soprattutto di normazione primaria (disegni di legge, decreti legislativi e legislazione ordinaria), che ovviamente, passando al Senato, non apparterrebbe più al campo degli accordi intergovernativi.
  C'è l'esigenza di una nuova legislazione sulle conferenze intergovernative, che delimiti il loro campo di attività – lo ripeto – esclusivamente alla parte esecutiva, gestionale e di attuazione delle politiche pubbliche propriamente di pertinenza del Governo.
  Naturalmente, in questa sede di riforma legislativa del sistema delle conferenze intergovernative, sarebbe opportuna una procedimentalizzazione di questa attività, perché è vero che queste conferenze hanno funzionato e hanno avuto un elemento di virtuosità nell'informalità del raccordo, ma è ancor più vero che una procedimentalizzazione consentirebbe di ottenere quantomeno tempi certi nella decisione e più trasparenza e pubblicità nei lavori delle conferenze stesse.

  ALESSANDRO MORELLI, professore associato di diritto costituzionale presso l'Università degli studi «Magna Grecia» di Catanzaro. Ringrazio la Commissione per l'invito. Anch'io mi limiterò a sviluppare soltanto alcune osservazioni sulle questioni centrali suscitate dai quesiti elaborati dalla Commissione, rinviando a un testo che nei prossimi giorni trasmetterò alla presidenza per ulteriori sviluppi e approfondimenti delle cose che dirò.
  Anch'io mi sono soffermato specificamente su alcuni quesiti più che su altri, innanzitutto sulla prima questione, relativa al raccordo con il nuovo Senato. Devo fare una premessa: eventuali interventi normativi riformatori del ‘sistema delle conferenze’ dovranno inevitabilmente tener conto del dettato costituzionale riformato, ma dovranno anche inserirsi in un processo di attuazione che dovrà essere innanzitutto legislativo.
  Il problema fondamentale della riforma del Titolo V del 2001, ormai riconosciuto dalla quasi totalità della dottrina, è che è mancato un razionale e organico processo di attuazione legislativa della riforma stessa, per cui gran parte dell'implementazione della riforma costituzionale ha avuto luogo in seguito all'intervento della Corte costituzionale.
  In questo processo di attuazione legislativa, il nodo del rapporto tra il nuovo Senato e il ‘sistema delle conferenze’ è centrale.
  Come dimostra l'analisi del quadro comparatistico, le conferenze possono, e devono a mio avviso, convivere con un Senato rappresentativo delle istituzioni territoriali. Guardando l'esperienza di ordinamenti federali o comunque caratterizzati da un forte decentramento territoriale, vediamo che Camere rappresentative di Stati membri, di Regioni o di autonomie territoriali convivono con organismi paragonabili alle nostre conferenze.
  Sul piano della composizione del Senato, che è il nodo centrale, vorrei evidenziare innanzitutto l'aspetto del peso politico-istituzionale che il Senato dovrà assumere, Pag. 9in quanto organo rappresentativo delle istituzioni territoriali.
  Io trovo molto suggestiva e anche razionale la soluzione proposta dal professor Cecchetti, ma si pone anche un problema di peso politico-istituzionale, oltre che di raccordo delle funzioni dell'organo Senato con il ‘sistema delle conferenze’.
  Da questo punto di vista, la presenza dei Presidenti delle Regioni potrebbe risolvere, o comunque condurre verso la via di risoluzione, il problema.
  Ovviamente, come veniva ricordato prima, tale presenza non può essere assicurata di diritto, ma può essere promossa soprattutto dalla normativa regionale. Il ruolo dei Presidenti delle Regioni potrebbe essere valorizzato, semmai, dal Regolamento del Senato, ad esempio nella composizione delle Commissioni. Infatti, la riforma prevede che le Commissioni debbano essere composte in modo da rispecchiare la proporzione dei Gruppi parlamentari solo alla Camera, ma non al Senato.
  Per quanto concerne il nodo delle funzioni che dovranno essere distribuite tra Senato e ‘sistema delle conferenze’, ci sarebbe molto da dire. Il criterio probabilmente dovrebbe essere quello di affidare al Senato le funzioni strettamente correlate alla sua partecipazione al procedimento legislativo, mentre le conferenze dovrebbero muoversi sul crinale della funzione esecutiva e amministrativa.
  Molto importante è, a mio avviso, la questione sollevata dal terzo quesito, relativa alle previsioni che si possono formulare sul modo in cui il principio di leale cooperazione troverà attuazione nel nuovo quadro costituzionale, considerando che il ‘sistema delle conferenze’ costituisce lo strumento principale, sul piano politico-istituzionale, di implementazione di questo principio.
  Vorrei sottolineare che la questione centrale che dovremmo prendere in considerazione è che la riforma costituzionale reintroduce l'interesse nazionale. Quell'interesse nazionale che era stato cancellato dalla riforma del Titolo V viene reintrodotto, come limite di merito, ma trasformato in un limite di legittimità, soprattutto per le competenze amministrative e legislative delle Regioni, nel meccanismo della ‘clausola di supremazia’ o ‘clausola di salvaguardia’.
  Tutta la giurisprudenza costituzionale successiva al 2001 si è basata proprio sul presupposto che l'interesse nazionale era stato eliminato dal Titolo V, ma si era «immanentizzato» nel sistema. L'interpretazione estensiva delle competenze legislative statali e il meccanismo della chiamata in sussidiarietà erano interpretazioni che si basavano su questo presupposto.
  Io credo che la reintroduzione dell'interesse nazionale e l'attribuzione allo Stato del compito di tutelarlo nella sfera della legislazione non consentano, o comunque rendano molto difficile, un'applicazione automatica al nuovo quadro costituzionale dei paradigmi che la giurisprudenza costituzionale ha elaborato dal 2001 a oggi e soprattutto rischino di ridurre sensibilmente lo spazio della leale collaborazione, delle intese, delle intese forti e ovviamente anche del ruolo delle conferenze.
  Mi limito a evidenziare solo un aspetto. I presupposti per l'applicazione del meccanismo della chiamata in sussidiarietà, come sappiamo, sono la proporzionalità, la ragionevolezza e la leale collaborazione. Peraltro, la giurisprudenza più recente, già nell'attuale quadro costituzionale, ha detto che l'intesa forte in certi casi non è un requisito indefettibile.
  Nel complesso, io penso che l'introduzione del bicameralismo differenziato e la cancellazione delle materie di potestà legislativa concorrente (salvo vedere se questa potestà concorrente riemergerà nella previsione delle «disposizioni generali e comuni» previste in varie lettere del nuovo secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione) ridurrebbero sensibilmente nell'ambito dell'attività legislativa gli spazi di rilevanza delle forme di esercizio della leale collaborazione.
  Concludo con alcune considerazioni relative ai possibili interventi di riforma sul funzionamento, sulle procedure e sulle modalità di svolgimento dei lavori del ‘sistema Pag. 10delle conferenze’. Anche in questo caso mi limito a un criterio di metodo.
  Si riconosce comunemente che una delle principali ragioni del buon funzionamento del ‘sistema delle conferenze’, pur con i limiti che esso ha, è l'informalità che caratterizza gran parte dei procedimenti di svolgimento delle funzioni di questi organismi.
  Di conseguenza, gli interventi normativi probabilmente dovrebbero essere mirati, non organici e volti a cambiare o a irrigidire eccessivamente la struttura normativa relativa al funzionamento di questi organi.
  Certamente sarebbe utile l'accentuazione di una maggiore autonomia di questi organismi rispetto all'esecutivo nazionale. Ad esempio, come è stato proposto in dottrina, potrebbe prevedersi formalmente una codeterminazione da parte della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e del Consiglio dei ministri sia del programma dei lavori che degli ordini del giorno.
  In ogni caso, passando alla tipologia degli atti conclusivi dei procedimenti deliberativi delle conferenze, occorrerebbe una razionalizzazione della casistica di adozione delle intese, dei pareri e degli accordi coerente con il nuovo quadro costituzionale.

  SIMONE PAJNO, professore associato di diritto costituzionale, presso l'Università degli Studi di Sassari. Ringrazio il presidente e i membri della Commissione per questa occasione molto importante per me. Cercherò di essere breve.
  Prendo le mosse dalla risposta al terzo quesito circa l'esito dei paradigmi collaborativi della giurisprudenza costituzionale successivamente alla riforma, per poi cercare di capire cosa ci serve dal punto di vista dei raccordi.
  Io mi trovo sostanzialmente d'accordo col collega professor Morelli. I paradigmi collaborativi della giurisprudenza costituzionale in parte possono essere teoricamente riproposti. Mi riferisco al paradigma della «forte incidenza» e al paradigma dell’«intreccio».
  In base al primo paradigma, quando una funzione legislativa statale incide su funzioni regionali, anche se siamo nell'ambito di competenza esclusiva dello Stato, ci vuole la leale collaborazione nell'attuazione.
  In base al secondo paradigma, quando c'è un intreccio inestricabile di competenze tra Stato e Regioni, tale per cui non è possibile individuare una materia prevalente, l'attuazione delle disposizioni statali deve avvenire con gli strumenti della leale collaborazione.
  Teoricamente, questi due paradigmi possono essere riproposti. Tuttavia, a oggi il primo caso in cui un'istituzione portatrice di un interesse regionale ha a che fare con questa norma è quello della Regione che propone eventualmente un ricorso dinanzi alla Corte costituzionale. Ora ci sarà il Senato, che avrà la possibilità di intervenire. Per la Corte sarà più difficile, a mio modo di vedere, dire che, nonostante il possibile intervento del Senato, c'era bisogno di leale collaborazione.
  Pertanto, questi paradigmi teoricamente si possono riproporre, però io non scommetto su un alto tasso di dichiarazione di incostituzionalità per questa ragione.
  Il terzo paradigma, a cui accennava il professor Morelli, è quella che possiamo chiamare «sussidiarietà legislativa», che incorre quando lo Stato deve svolgere funzioni amministrative di grandissimo impatto, come le politiche dei trasporti o l'elaborazione di strategie energetiche nazionali. Pensiamo al caso recentissimo delle cosiddette «trivellazioni». Ciò vale anche per la legge obiettivo, i sistemi aeroportuali, l'energia nucleare, le grandi centrali termoelettriche e per molti altri settori. Non è pensabile che lo Stato non abbia una politica energetica o non elabori strategie dei trasporti.
  A questo proposito la Corte ha detto molto chiaramente che, nella perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari che garantisca l'integrazione del punto di vista dello Stato con quello delle autonomie territoriali, ci vuole l'intesa forte con la singola Regione interessata, il che vuol dire cristallizzare un potere di veto della singola Regione.
  È chiaro che la Corte costituzionale, con quelle sentenze, puntava a incentivare anche Pag. 11 l'integrazione della Commissione bicamerale per le questioni regionali con i rappresentanti delle Regioni.
  Infatti, costruendo un potere di blocco della singola Regione, evidentemente, nella prospettiva di quelle decisioni, le Camere venivano incentivate a predisporre questi strumenti di collaborazione a monte, affinché le Regioni, non come singole, ma come sistema, fossero chiamate a proporre una visione d'interesse generale territorialmente orientata.
  Le Regioni devono e possono far valere il loro punto di vista su queste questioni così importanti per il loro territorio, ma devono farsi anche carico di una visione generale, seppure territorialmente orientata. Questo è il punto.
  L'attuazione non è avvenuta, ma sta avvenendo ora con la riforma costituzionale. Certamente, quando questa riforma entrerà in vigore, quel paradigma della Corte costituzionale non sarà riproponibile, perché finalmente avremo quella trasformazione delle istituzioni parlamentari che la Corte auspicava.
  Il problema è: le sorti della collaborazione regionale e del punto di vista delle autonomie territoriali verranno valorizzate o no da questo nuovo Senato? Il mio parere al riguardo non è positivo, perché il legame con le istituzioni politiche regionali è troppo debole, a mio modo di vedere, nel modo in cui è disegnato dal testo costituzionale di cui stiamo discorrendo, che possibilmente potrà entrare in vigore a seguito del referendum.
  La libertà di mandato e l'assenza di un voto unitario di delegazione, a mio modo di vedere, non rendono adeguato questo modello a far sì che le funzioni di rappresentanza delle autonomie siano efficacemente svolte.
  In altre parole, perché mai una Giunta regionale non dovrebbe impugnare una legge statale approvata anche col concorso del Senato, quando c'è il libero mandato dei senatori e quando non sappiamo quali vicende politico-partitiche hanno portato i senatori di una determinata Regione a votare favorevolmente nei confronti di quella legge?
  Arriviamo al cuore dei quesiti dell'indagine conoscitiva. La mia idea, che qui vorrei proporre in modo estremamente sintetico, è che il futuro Senato corre un rischio. Gli viene assegnata dal nuovo testo costituzionale la funzione di rappresentare le istituzioni territoriali, ma purtroppo non basterà una formula scritta in Costituzione perché questa funzione venga esercitata. Si dovrà guadagnare sul campo i galloni della rappresentanza territoriale.
  La cosa più importante, a mio avviso, è che non venga sconfessato dalle istituzioni politiche regionali e dalle conferenze dei Presidenti. Questo è il rischio più grosso che io vedo per il futuro Senato.
  A mio modo di vedere, come si recupera questa situazione? Si recupera se il Senato prenderà atto che nel suo limite starà la sua forza. Mi spiego. Secondo me, siamo di fronte a una scelta: valorizzare il libero mandato dei futuri senatori e, quindi, immaginare che questi ultimi abbiano un margine di manovra ampio, però nel contesto di un'istituzione che rischia di essere depotenziata, oppure circoscrivere la libera esplicazione di questo mandato in virtù di un raccordo forte, non giuridicamente strutturato ma politico, con le istituzioni territoriali, lasciando che si guadagnino sul campo il ruolo e l'autorevolezza del vero interlocutore territoriale.
  Secondo me, la direzione dovrebbe essere esattamente la seconda. Da questo punto di vista, non posso che essere in pieno accordo con le parole del presidente Iacop e con quelle del professor Cecchetti. Sono parole che valorizzano il più possibile l'istituzionalizzazione di un raccordo con le conferenze delle Regioni.
  Nella misura in cui il Senato saprà farsi guidare e guidare esso stesso, e saprà agire in simbiosi con la Conferenza delle Regioni, ma anche, per le questioni di competenza, con la Conferenza di tutti gli enti territoriali, allora, a mio modo di vedere, riuscirà ad affrontare questo compito che la Costituzione gli assegna.
  È importante istituzionalizzare questo legame, perché il rischio è che il Senato non disponga neanche del know how sufficiente per interloquire efficacemente sulle Pag. 12singole questioni. Si tratterà di capire quando e come chiedere intese, pareri, interlocuzioni di vario genere e tipo. Sarà necessario avere una consapevolezza immediata delle dinamiche sostanziali e procedimentali su cui la legislazione statale andrà a impingere.
  Io personalmente, senza una strutturata collaborazione con gli uffici regionali, avrei difficoltà a individuare con chiarezza quali sono le esigenze del sistema regionale da rappresentare nell'ambito del procedimento legislativo.
  Naturalmente, come realizzare la strutturazione di questo legame è un tema aperto. Ci possono essere varie forme e varie modalità. Probabilmente – ma qui evidentemente siamo su un orizzonte non immediato, che non si potrà percorrere all'indomani dell'entrata in vigore della riforma – la strada migliore sarebbe quella di una legge costituzionale che sistemasse alcuni aspetti e che strutturasse la conferenza orizzontale all'interno del Senato.
  In assenza di questo, c'è sicuramente lo strumento regolamentare, con cui molto si potrebbe fare. Come oggi disciplinano il ruolo del Governo alle Camere, i Regolamenti potrebbero disciplinare il ruolo dei Presidenti di Regione all'interno del Senato.
  A mio modo di vedere, è importante perseguire questo obiettivo: cercare di far sì che la conferenza orizzontale possa esprimere posizioni politiche, possa richiedere di richiamare leggi della Camera affinché possa essere espresso un voto sulle medesime, possa in qualche modo orientare politicamente i lavori della futura assemblea senatoriale.
  D'altro canto, a mio parere, i futuri senatori avranno molto da avvantaggiarsi da questa stretta collaborazione, sia per le singole questioni che tratteranno sia in generale per l'autorevolezza che in questo modo il futuro Senato potrà conquistare.
  Per il raccordo Governo-maggioranza della Camera, un Senato in grado di esprimere efficacemente il punto di vista delle Regioni sarà un interlocutore molto più interessante e molto più affidabile di un Senato che può essere sconfessato dalle singole Regioni o addirittura dalla Conferenza.
  Se dovesse essere sconfessato, io non so perché la Camera dovrebbe farsi carico del voto espresso in sede di recall da parte del Senato. Se, invece, quel Senato avrà alle spalle davvero il sistema delle autonomie territoriali, quel suo punto di vista dovrà sicuramente essere preso in seria considerazione da parte della Camera dei deputati.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FRANCESCO RIBAUDO. Nel corso di queste audizioni si è consolidata l'idea che sarebbe utile che il ‘sistema delle conferenze’ fosse uno strumento di consultazione del nuovo Senato.
  Pian piano, si è consolidata anche l'idea di istituzionalizzarlo o quantomeno regolamentarlo. Più che regolamentare o istituzionalizzare, secondo me occorrerebbe fare una vera e propria legge che stabilisca il rapporto, il potere, il sistema di consultazione e tutto il resto, perché è ovvio che nella fase ascendente della legge rimarrà sempre la necessità di avere una consultazione con le istituzioni locali e, quindi, col sistema delle rappresentanze locali.
  Del resto, il Senato rimane comunque un organo legislativo, non diventa un organo amministrativo. Dunque, rimane la seconda parte, che è regolamentata meglio, fermo restando la leale collaborazione.
  Secondo me, come diceva il professor Pajno, se è fatta bene la prima parte relativa alla formazione della legge, la seconda parte, quella di attuazione dei decreti legislativi e degli atti amministrativi che il Governo dovrà fare, potrà essere ancora più semplice e più fluida. Infatti, se si è lavorato a monte nelle norme che riguardano l'autonomia locale e il Senato ha potuto fruire di questo sistema, che deve essere veramente istituzionalizzato, di confronto fra conferenze, Stato e Senato, è chiaro che le norme dell'esecutivo avranno una fluidità nell'attuazione, nonostante sarà necessario che le conferenze continuino a funzionare. Pag. 13
  Abbiamo consolidato l'idea che il sistema delle conferenze deve rimanere, come c'è in tutta Europa, ma bisogna istituzionalizzarlo e formalizzarlo. Non è stato possibile farlo in Costituzione, ma si dovrà fare, secondo me, per legge.
  All'inizio ci si interrogava sull'esclusione dei Presidenti delle Regioni. A questo punto, non credo che i Presidenti delle Regioni servano, se stabiliamo bene quali sono le competenze delle conferenze delle Regioni e del Senato.
  Si è parlato di cinque presidenti, del libero arbitrio, di eleggerne alcuni e altri no. O ci si mettono tutti o non ci si mette nessuno. Comunque, io sono del parere che non debbano andare al Senato, proprio per la funzione che quest'ultimo dovrà avere. Visto che lasciamo alle conferenze un ruolo importante e che nel ‘sistema delle conferenze’ i Presidenti delle Regioni avranno una funzione, non c'è bisogno di inserirli nel Senato.
  Mi pare che l'idea che si consolida da parte di tutti sia questa.

  DANIELE GAETANO BORIOLI. La mia, più che una domanda, è una considerazione su cui vorrei il parere dei professori.
  Mi collego alle ultime cose che sono state dette. Anche alla luce delle cose che abbiamo sentito in queste settimane, io ho una convinzione: i problemi che venivano sottolineati nell'ultimo intervento sono reali, però – colgo l'occasione per ribadire la mia opinione su questo punto – nella configurazione conclusiva della proposta di riforma costituzionale si è scelta una determinata strada.
  Io personalmente non la condivido, perché a mio giudizio dovrebbe essere mantenuto un forte mandato di rappresentanza delle istituzioni territoriali, attraverso l'elezione dei nuovi senatori da parte dei Consigli.
  Comunque, alla fine si è scelto di ibridare questo meccanismo attraverso l'indicazione diretta dei cittadini, rispetto alla quale la scelta del Consiglio è la foglia di fico che formalizza un'indicazione. Non c'è solo la libertà di mandato, ma c'è anche la rappresentanza diretta dei cittadini.
  A questo punto, io vedo difficile far rientrare dalla finestra, per quanto riguarda la fase ascendente, meccanismi troppo complicati che rivincolino in qualche modo il mandato dei nuovi senatori, nell'ambito della funzione legislativa, a un rapporto con le istituzioni locali che certamente va mantenuto, ma che esiste in quanto comunque i senatori sono anche consiglieri regionali, a parte la quota di sindaci.
  Io personalmente dico che per quanto concerne la fase discendente, nell'attuazione delle leggi, le conferenze devono essere mantenute, riorganizzate e, a mio giudizio, ulteriormente potenziate.
  Rispetto alla fase precedente, anche se io non condivido l'esito finale, la scelta che è stata fatta, a mio giudizio, tende inevitabilmente a rimarcare un rapporto diretto, pur nell'ambito della libertà di mandato, che peraltro configura anche i rappresentanti della Camera. È un meccanismo per cui i nuovi senatori dovranno tener conto anche di quello. Per esempio, ritengo difficile che i nuovi senatori non si riorganizzino in gruppi politici, poiché probabilmente saranno eletti su liste politiche di partito.
  Quelle forme di raccordo vanno bene, ma io distinguo i due campi: nella fase ascendente vedo forme di raccordo e di coordinamento molto più blande, ma certamente non quello che invece serve nella fase discendente.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  MARCELLO CECCHETTI, professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Sassari. Rispondo a margine delle considerazioni dei due commissari per ribadire che il Senato ha delle funzioni che la Costituzione gli assegna, che si concentrano, da un lato, sulla rappresentanza delle istituzioni territoriali e, dall'altro, sul raccordo tra istituzioni territoriali e livelli di governo europei, ma soprattutto regionali e locali. Questa è la funzione del Senato.
  Se noi immaginiamo un Senato in cui la rappresentanza vada nella direzione che ci Pag. 14diceva il senatore Borioli, cioè quella di tipo politico-partitico, questa istituzione si condanna a una debolezza e a un peso istituzionale scarsissimo. Se siamo d'accordo su questo, visto che stiamo ragionando su come costruire questa istituzione, chiediamoci come questa possa conquistare, come diceva il professor Pajno, la sua forza istituzionale.
  La potrà conquistare, paradossalmente anche a vantaggio dei singoli senatori, solo costruendo un raccordo forte, stabile e permanente con le istituzioni territoriali, di cui il Senato dovrebbe essere in qualche modo il portavoce.
  Lo è perché la Costituzione ci dice che lo dovrebbe essere. La Costituzione ci dice che, se non riuscirà a esserlo, non sarà niente. Nel bicameralismo differenziato, il Senato o fa quel mestiere lì – perdonatemi la banalità dell'espressione – o è condannato all'inesistenza istituzionale.
  Da questo punto di vista, occorre prendere coscienza della necessità di acquisire permanentemente il punto di vista delle istituzioni territoriali: conferenze orizzontali, Presidenti delle Regioni, Presidenti delle Assemblee legislative ed enti locali, cioè associazioni (ANCI, unioni delle città metropolitane, se ci saranno, o quelle che ci saranno). Questi strumenti consentiranno ai senatori di fare i senatori in base alle funzioni che la Costituzione assegna loro.
  Naturalmente tutto questo costringerà il legislatore a rivedere il sistema delle conferenze intergovernative, dove è presente lo Stato con l'istituzione Governo, perché a quella sede dovrà essere limitato il compito di raccordare gli esecutivi. Mi riferisco a tutti i compiti dell'esecutivo, su cui il Senato, come valutatore delle politiche pubbliche e come compartecipe della funzione di raccordo insieme alla Camera, dovrà in qualche modo fare il controllore.
  Quella è la sede del raccordo intergovernativo, che dovrà essere potenziata dal punto di vista dei procedimenti, razionalizzata e non lasciata più all'informalità totale, anche se – lo ripeto – l'informalità fino a oggi è stata un valore, perché ha consentito molto spesso di trovare accordi che formalmente non si sarebbero trovati.
  Nello stesso tempo, il Senato si specializza sul raccordo della funzione legislativa, attraverso l'introito dei punti di vista delle Regioni.
  Ha ragione il senatore: a questo punto la questione dei Presidenti dentro o fuori diventa irrilevante, perché i Presidenti, se saranno dentro in base alle legislazioni elettorali regionali, faranno i senatori e non faranno i Presidenti di regione. I Presidenti di Regione hanno la loro sede e hanno la loro conferenza, che interloquisce con la sintesi politica dei Presidenti delle Regioni, dove le Regioni valgono tutte una per ciascuna e, quindi, portano la sintesi degli esecutivi regionali nel Senato. Il Presidente della Regione, se gli è capitato come consigliere di essere senatore, farà il senatore.

  ALESSANDRO MORELLI, professore associato di diritto costituzionale presso l'Università degli studi «Magna Grecia» di Catanzaro. Io aggiungerò solo pochissime battute. Sono molto d'accordo con quanto è stato detto dai colleghi e da ultimo dal professor Cecchetti.
  Il senso del discorso che intendevo fare all'inizio è che credo che il problema centrale oggi sia che il nuovo Senato è una pagina bianca. La riforma costituzionale ci dice veramente pochissimo.
  Innanzitutto, le prime scelte andranno fatte con la legge che disciplinerà le modalità di designazione dei senatori, che ha un ventaglio tale di soluzioni possibili che ci può portare dall'elezione sostanzialmente diretta a un'elezione indiretta. Lì ovviamente c'è il primo nodo centrale.
  La mia insistenza iniziale sull'importanza di un'attuazione legislativa coerente ha proprio questo significato: ci sono degli elementi che si tengono. La composizione del Senato e la determinazione in concreto delle funzioni che quest'ultimo svolgerà, come organo di rappresentanza e come organo di raccordo tra i diversi livelli territoriali di governo, vanno pensate e regolamentate anche in relazione alle esigenze di salvare l'esperienza delle conferenze.
  L'esperienza delle conferenze è stata qualificata, a mio avviso giustamente, come la via italiana, sul piano politico-istituzionale, Pag. 15alla leale collaborazione. Pertanto, è un'esperienza che non dovrebbe essere buttata via.
  In questo senso, io credo che sul piano della normazione andranno fatte delle scelte che non portino al rischio più grande, che è quello di fare del Senato, come si dice, un dopolavoro, una Camera inesistente o comunque politicamente ininfluente e, quindi, di arrivare sostanzialmente a un monocameralismo di fatto, con tutte le conseguenze sul piano dell'equilibrio tra poteri e contropoteri che ci potrebbe portare verso lidi al momento sconosciuti.

  SIMONE PAJNO, professore associato di diritto costituzionale, presso l'Università degli Studi di Sassari. Oggi con i colleghi ci troviamo d'accordo quasi su tutto. Solitamente non capita.
  Vorrei provare a parlare delle stesse cose da un punto di vista un po’ diverso. Finora stiamo parlando delle scelte che ci aspettano in relazione al Senato e ai senatori. In realtà, sotto traccia, ce n'è una molto più vasta, che è quella del peso delle autonomie territoriali in generale nel nostro sistema.
  Io vorrei offrirvi quattro elementi di riflessione. Il sistema di riparto delle funzioni legislative che noi stiamo andando a costruire con questa riforma costituzionale, secondo indicazioni sostanzialmente unanimi della dottrina, realizza un processo di vistosa ricentralizzazione delle competenze. Questo è un primo dato.
  Il secondo dato è stato già citato: il Senato realizza un debole legame con le istituzioni regionali.
  In terzo luogo, il Senato ha un ruolo piuttosto scarso nella funzione legislativa. È vero che ci sono parecchie materie su cui ha una colegislazione paritaria, però, se le andiamo a guardare, vediamo che sono tutte materie ordinamentali.
  C'è la legge di riforma degli enti locali. Speriamo di doverla fare una volta ogni dieci anni, forse anche di meno. Sulle politiche (politica energetica, politica dei trasporti eccetera), il Senato ha una funzione molto limitata ed eventuale, senza neanche l'aggravamento procedurale che quel testo gli consegna per la clausola di supremazia. Il rischio è che il Senato non tocchi palla su politiche che intercettano fortemente gli interessi territoriali, gli usi del territorio, la finanza e tutte queste questioni.
  Infine, come ricordava il professor Morelli e come provavo a suggerire anch'io poc'anzi, c'è il rischio serissimo che la giurisprudenza costituzionale sulla leale collaborazione a valle della funzione legislativa, cioè sulla funzione amministrativa, per varie ragioni, alcune giuridiche e altre politiche in senso lato, non abbia un grande futuro all'indomani della riforma costituzionale.
  La possibilità che abbiamo davanti è quella di un sistema che diventi centralizzato come forse non lo è mai stato nella storia repubblicana.
  Secondo me, la scelta che abbiamo è questa. Attenzione, questa può essere una scelta politica legittima. Siamo nel campo del costituzionalmente possibile. Questa decisione è in parte pregiudicata dal testo costituzionale attualmente in discussione. Possiamo decidere che vogliamo senz'altro una fortissima ricentralizzazione, sia sul piano delle competenze sia sul piano delle dinamiche di funzionamento del sistema. Ciò rientra nel mondo del costituzionalmente possibile. Non contrastiamo affatto con i princìpi supremi dell'ordinamento repubblicano, in particolare né con l'articolo 5 della Costituzione né con l'articolo 1 sul principio democratico. Questo, almeno, è il mio punto di vista.
  Se, invece, pensiamo che il peso delle istituzioni territoriali abbia un valore, che, come peraltro c'è scritto nella relazione introduttiva al disegno di legge costituzionale che sta completando il suo iter parlamentare, la democrazia in piccolo sia un valore, che «piccolo è bello», perché ciascuno di noi nelle deliberazioni che si adottano nelle istituzioni più vicine ai cittadini conta di più per una ragione brutalmente numerica, essendo di meno quando il livello si abbassa, se tutto questo è vero, allora ci sono buone ragioni per provare a recuperare in sede di attuazione di questa riforma ciò che questa rischia di far perdere. Pag. 16
  È un'opzione massimamente politica.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.
  Ricordo ai colleghi che giovedì prossimo 31 marzo si svolgerà l'audizione di rappresentanti di ANCI, UPI e UNCEM.

  La seduta termina alle 9.20.