XVII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Martedì 6 febbraio 2018

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ATTUAZIONE DELL'ARTICOLO 116, TERZO COMMA, DELLA COSTITUZIONE, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLE RECENTI INIZIATIVE DELLE REGIONI LOMBARDIA, VENETO ED EMILIA-ROMAGNA:

Esame e approvazione del documento conclusivo
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 
Cotti Roberto  ... 3 
Ribaudo Francesco (PD)  ... 3 
Kronbichler Florian (MDP-LU)  ... 3 
Candiani Stefano  ... 3 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 4 

ALLEGATO: Documento conclusivo approvato ... 5 

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANPIERO D'ALIA

  La seduta comincia alle 10.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE . Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Esame e approvazione del documento conclusivo

  PRESIDENTE  L'ordine del giorno reca l'esame del documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sull'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, con particolare riferimento alle recenti iniziative delle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.
  Il documento conclusivo è già stato trasmesso ai membri della Commissione per le vie brevi.
  Prima di dare la parola ai colleghi che intendono intervenire sul merito del documento, mi permetto solo di segnalare che noi abbiamo prodotto una relazione che tiene conto, ovviamente, del ciclo di audizioni che abbiamo svolto tra novembre e dicembre e abbiamo sostanzialmente dato una valutazione positiva delle iniziative di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Abbiamo dato atto che su queste iniziative, al di là delle questioni di carattere tecnico-costituzionale che sono state trattate diffusamente nel documento, vi è un largo consenso politico, di maggioranza ed opposizione, e che quindi esse possono essere una opportunità per sperimentare forme nuove di regionalismo che consentano anche una maggiore efficienza nei sistemi regionali.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire.

  ROBERTO COTTI . A nome del Movimento 5 Stelle voterò a favore di questa relazione, che mi sembra ben riassuma il lavoro fatto. In particolare, le considerazioni conclusive sono assolutamente in linea con le posizioni espresse dal Movimento 5 Stelle soprattutto nelle Regioni interessate da questa indagine conoscitiva. Grazie.

  FRANCESCO RIBAUDO . Intervengo per dichiarazione di voto. Anche il gruppo del PD esprime parere favorevole e vota a favore della relazione. Siamo convinti che questo lavoro, nella prossima legislatura, potrà essere utilizzato, proprio perché è un lavoro fatto bene dal punto di vista degli interventi tecnici, ma soprattutto per la convergenza delle forze politiche sulla necessità di intervenire sul nuovo regionalismo differenziato.
  Penso che, nonostante le corse e i tempi ristretti, lasceremo un lavoro incardinato che potrà servire.

  FLORIAN KRONBICHLER . A questo punto, non solo voto a favore, ma lo dichiaro.

  STEFANO CANDIANI . Concordiamo sulle conclusioni, che sono un equilibrio tra tutte le posizioni emerse ma vanno nella direzione, essenzialmente condivisa da tutti i gruppi, che l'autonomia – in un quadro costituzionale come quello in cui si Pag. 4 sta operando – diventa un'opportunità come è ben riassunto anche nella fase finale di conclusione. Cito testualmente: «L'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, non deve essere intesa come lesiva dell'unitarietà della Repubblica, del principio solidaristico che la contraddistingue e tanto meno come anticamera di una richiesta di secessione. Piuttosto, la stessa solidarietà tra le Regioni più avanzate e quelle più arretrate potrebbe realizzarsi secondo schemi nuovi e più efficaci». Se si fa partire la locomotiva, tutto il treno ne può avere beneficio. Questo è il concetto essenziale con cui ci ritroviamo.

  PRESIDENTE . Non essendovi altri interventi, pongo in votazione il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva.

  (È approvato all'unanimità)

  Dichiaro conclusa la seduta.

  La seduta termina alle 10.55.

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ALLEGATO

Indagine conoscitiva sull'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, con particolare riferimento alle recenti iniziative delle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna

DOCUMENTO CONCLUSIVO APPROVATO

  La Commissione parlamentare per le questioni regionali ha deliberato, nella seduta del 21 novembre 2017, lo svolgimento di un'indagine conoscitiva sull'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, con particolare riferimento alle recenti iniziative delle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.
  La Commissione ha infatti inteso completare il lavoro svolto nella legislatura con una riflessione su un tema di particolare attualità quale quello del riconoscimento di forme di maggiore autonomia alle Regioni a statuto ordinario, tema che sarà al centro del dibattito sul regionalismo dei prossimi anni.
  L'imminente scadenza della legislatura ha indotto la Commissione a concentrare i lavori in quattro sedute, che si sono svolte tra il 29 novembre 2017 ed il 21 dicembre 2017.
  Sono stati, in primo luogo, approfonditi gli aspetti procedurali relativi all'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, relativo alla cd. «autonomia differenziata», con l'audizione di due professori universitari esperti della materia, il professor Antonio D'Atena ed il professor Stelio Mangiameli.
  L'indagine si è poi soffermata sui contenuti ed i possibili sviluppi delle iniziative intraprese in proposito dalle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna nel 2017. Le prime due Regioni hanno infatti svolto il 22 ottobre 2017, con esito positivo, due referendum consultivi sull'attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. La Regione Emilia-Romagna si è invece attivata, su impulso del Presidente della Regione, con l'approvazione da parte dell'Assemblea regionale, il 3 ottobre 2017, di una risoluzione per l'avvio del procedimento finalizzato alla sottoscrizione dell'intesa con il Governo richiesta dall'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
  Sono state a questo riguardo svolte le audizioni del Presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, del Presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni, del professor Mario Bertolissi, in rappresentanza della Presidenza della Regione Veneto, del Presidente del Consiglio regionale del Veneto, Roberto Ciambetti, e del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio in materia di affari regionali, Gianclaudio Bressa. Il Presidente del Consiglio regionale della Lombardia, Raffaele Cattaneo, e la Presidente dell'Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna, Simonetta Saliera, impossibilitati a partecipare alle audizioni, hanno trasmesso le loro memorie.
  Gli auditi hanno risposto ad una serie di quesiti predisposti dalla Commissione. Il presente documento, partendo da tali quesiti, illustra il lavoro svolto.

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1. L'ATTUAZIONE DELL'ARTICOLO 116, TERZO COMMA, DELLA COSTITUZIONE

1.1. Quali sono i motivi alla base della mancata attuazione fino a questo momento dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione?

  Secondo il professor Mangiameli, per la mancata attuazione dell'articolo 116, terzo comma, occorre considerare, per un verso, il modo in cui questa disposizione è stata scritta dal Parlamento, nel contesto della legge costituzionale n. 3 del 2001, e, per l'altro, le vicende istituzionali susseguenti all'entrata in vigore della riforma costituzionale.
  La disposizione richiamata era stata elaborata come una forma di apertura speciale alle forze che reclamavano maggiore federalismo per le Regioni del Nord. Infatti, con un emendamento concordato in Commissione, senza una spiegazione delle ragioni per cui erano state scelte quelle materie di competenza esclusiva dello Stato, prende corpo la clausola di asimmetria. Se si ricostruisce l’iter del dibattito, ci si avvede che la clausola di asimmetria nasceva dall'intento di non espandere il novero delle Regioni speciali, come avrebbe voluto la Lega per il Veneto e per la Lombardia. Così, si affermò l'intento di consentire a tutte le Regioni ordinarie di ottenere "forme e condizioni particolari di autonomia", nelle tre materie di competenza esclusiva statale cui il terzo comma fa rinvio e nelle materie di competenza concorrente.
  Sostanzialmente mancò una riflessione di carattere sistemico su quello che avrebbe potuto comportare la previsione di forme di asimmetria nell'ambito del regionalismo ordinario e la disposizione serviva, almeno nella previsione di chi la propose, ad allargare il consenso politico e in vista di future alleanze di governo.
  È giocoforza che una volta approvata la riforma e cambiate le alleanze di governo anche la clausola di asimmetria risentisse del cambiamento istituzionale tra la XIII e la XIV legislatura. Infatti, l'attuazione della riforma costituzionale si compie sotto l'egida di una maggioranza diversa da quella che l'aveva approvata e con un diminuito interesse federale da parte della Lega per via delle ben più impegnative responsabilità nazionali che quella forza politica assumeva.

  Bisogna aggiungere, poi, che una volta soddisfatte le ragioni della moneta unica, da cui nascevano le spinte concrete verso una riforma in senso federalista, già anticipate dal federalismo a Costituzione invariata, con le leggi Bassanini e i relativi decreti legislativi, la riforma costituzionale apparve non solo ai commentatori politici, ma anche ad una parte della dottrina, come "eccessiva" e oltre ogni soglia accettabile, soprattutto per la legislazione.
  La Corte costituzionale con la sua giurisprudenza pensò bene di mettere in campo, da subito, interpretazioni restrittive delle competenze concorrenti e di quelle residuali, legittimando altresì meccanismi derogatori delle competenze che avrebbero consentito al Parlamento e al Governo di intervenire nell'ambito delle competenze regionali, con l'onere dell'intesa tra Stato e Regioni nello svolgimento delle funzioni amministrative. Pag. 7 
  In un clima siffatto, nel quale le istituzioni centrali operavano per riprendere il controllo pieno della legislazione nelle competenze concorrenti e residuali delle Regioni, non era nemmeno immaginabile pensare di chiedere "forme e condizioni particolari di autonomie".
  Le prime iniziative regionali, sulla base dell'art. 116, terzo comma, si hanno, per opera delle Regioni Veneto e Lombardia, solo quando si realizza un nuovo cambiamento di maggioranza, nel 2006, nel corso della XV legislatura, ma sono essenzialmente degli atti di rivalsa politica; tant'è che vengono prontamente abbandonate non appena, con lo scioglimento anticipato del 2008, nella XVI legislatura si cambia ancora una volta la maggioranza di governo e la compagine politica nazionale si allinea a quella regionale. In questa fase, peraltro, il dibattito si concentra di più sulla vicenda del federalismo fiscale che porta all'approvazione della legge n. 42 del 2009 e alla redazione dei numerosi decreti legislativi di attuazione, che, per effetto della crisi, sono rimasti sostanzialmente inefficaci o profondamente modificati dalla legislazione dell'emergenza.
  Quando infatti nell'estate del 2011 si rende manifesta la crisi economico-finanziaria, si farà strada nelle Regioni e nelle autonomie locali l'idea di dovere difendere nuovamente competenze e risorse, per cui diventava inimmaginabile potere aprire una trattativa con lo Stato su maggiori competenze di autonomia.

  Anche il professor D'Atena ha sottolineato la natura politica della mancata attuazione dell'articolo 116, terzo comma, ricordando che le Regioni che, in passato, si erano rese maggiormente attive con queste richieste, se si prescinde da un'iniziativa lontana della Toscana, sono la Lombardia, il Veneto e il Piemonte. Queste tre Regioni si erano attivate durante il secondo Governo Prodi (2006-2008) e hanno abbandonato l'iniziativa, con il passaggio al quarto Governo Berlusconi (2008-2011), la cui maggioranza non sembrava favorevole all'attuazione della disposizione costituzionale. Nella legge di riforma costituzionale da essa approvata nella XIV legislatura e respinta dal referendum, era infatti prevista sic et simpliciter l'abrogazione del terzo comma dell'articolo 116.

  Il sottosegretario Bressa ritiene che la mancata attuazione dell'art.116, terzo comma, della Costituzione sia ascrivibile ad "una sostanziale inerzia [...] da parte delle Regioni": la riforma del Titolo V (e l'introduzione della disposizione in esame) risale al 2001, per cui sono passati sedici anni prima che ci fosse "un tentativo serio e autentico di sperimentazione e di attuazione (...) [della] previsione costituzionale".
  L'impostazione del terzo comma sottende un ripensamento del sistema del regionalismo, che va peraltro in una direzione differente rispetto alle finalità della riforma costituzionale bocciata dal referendum del 2016. Quest'ultima prefigurava un modello di regionalismo basato sulla riduzione di alcune competenze delle Regioni con contestuale creazione della Camera delle Regioni. Con quel modello, lo Stato regionale si sarebbe caratterizzato per la partecipazione delle Regioni al processo legislativo con particolare riferimento all'esame dei disegni di legge di interesse. Pag. 8 
  Il modello istituzionale del terzo comma è quello di un regionalismo che punta sugli esecutivi per definire l'autonomia delle Regioni, ovvero il grado di differenziazione tra le stesse.

1.2. Quali sono le opportunità che offre attualmente l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma?

  Il professor D'Atena ha sottolineato che l'attuazione della norma costituzionale può rappresentare un utile strumento per attenuare la tensione esistente tra le Regioni ad autonomia ordinaria a più alto reddito e le Regioni ad autonomia speciale, richiamando il caso emblematico della Regione Veneto, che confina in larga parte con due Regioni speciali. I cittadini della Regione Veneto finanziano con i loro redditi una condizione di benessere alla quale non partecipano. Da ciò dipende, tra l'altro, il fenomeno della migrazione dei Comuni verso i territori regionali speciali, che ha trovato recentemente espressione nell'iniziativa, coronata da successo, del Comune di Sappada.
  La seconda opportunità è rappresentata dal fatto che il riconoscimento di maggiore autonomia ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, può costituire un meccanismo premiale per le Regioni ordinarie più efficienti ed in equilibrio di bilancio (la riforma costituzionale Renzi-Boschi, respinta dal referendum, subordinava a questa condizione l'attivazione del meccanismo di cui all'articolo 116, terzo comma). Il percorso contemplato dalla disposizione costituzionale consente alle Regioni virtuose di realizzare appieno le proprie potenzialità, massimizzando, in termini di efficienza, il proprio valore aggiunto e realizzando la propria specifica vocazione.

  Il professor Mangiameli ha espresso un giudizio positivo sulla disposizione dell'articolo 116, terzo comma, in quanto la richiesta di forme e condizioni particolari di autonomia inserisce elementi di dinamismo nel sistema regionale, completa il disegno regionalista avviato nel lontano 1970 e, successivamente, riconsiderato con le riforme amministrative e costituzionali degli anni 1997-2001. A certe condizioni può rafforzare l'intero sistema Paese attraverso una competizione virtuosa tra i territori regionali. La stessa solidarietà tra le Regioni più avanzate e quelle più arretrate potrebbe realizzarsi secondo schemi nuovi e più efficaci se attuata attraverso il coinvolgimento diretto delle Regioni e non, come oggi, solo attraverso il riparto operato al centro.
  L'articolo 116, terzo comma, si muove all'interno del sistema di autonomia ordinaria disegnato dal Titolo V, secondo la revisione costituzionale del 2001. Anzi, si dovrebbe affermare che le eventuali richieste di maggiore autonomia, per i campi materiali indicati, rientrino in un percorso o progetto di più compiuta concretizzazione dell'autonomia ordinaria che – nonostante sia tutt'affatto diverso dalle autonomie speciali, le quali, pur nella diversità che le contraddistingue tra loro, costituiscono, invece, una deroga all'autonomia ordinaria – autorizza a ritenere che il disegno di questa potrà dirsi realizzato realmente quando tutte le Regioni, e non solo alcune, abbiano ottenuto la maggiore autonomia che la clausola di asimmetria consente. Ciò comporterebbe anche per lo Stato regionale italiano il raggiungimento Pag. 9 un alto grado di maturità e, soprattutto, di omogeneità e, con molta probabilità, il superamento del divario territoriale.
  A tal proposito, non va dimenticato che l'articolo 116, terzo comma, introduce, grazie all'asimmetria, elementi di forte identità regionale e competizione territoriale, per la differenziazione che consente. Da questo punto di vista, questa disposizione costituzionale rappresenta un modo per spingere le altre Regioni ad assumere comportamenti più virtuosi e a seguire le migliori pratiche. Si consideri che il regionalismo italiano è tutt'altro che omogeneo, conoscendo Regioni che operano bene ed erogano buoni servizi e Regioni che hanno difficoltà a gestire funzioni e politiche pubbliche in modo soddisfacente. Di conseguenza, l'asimmetria non è un modo con cui il divario si accentua, ma semmai un modo nel quale può essere superato, consentendo anche di dare contenuti precisi alle politiche perequative dello Stato, valutando le gestioni in base ai risultati ottenuti con le risorse trasferite.
  Nel suo insieme, perciò, l'asimmetria dovrebbe realizzare una maggiore efficienza finanziaria, non solo a vantaggio del territorio regionale interessato, ma dell'intero sistema.

  Anche il sottosegretario Bressa ha evidenziato le potenzialità derivanti dal modello di regionalismo sotteso all'articolo 116, terzo comma, che punta sull'autonomia, e sulla conseguente differenziazione fra le Regioni. Una differenziazione che si spiega in ragione del fatto che non tutti i territori sono uguali e le caratteristiche di un territorio devono avere la possibilità di essere esaltate nel migliore dei modi possibili. Si tratta di un modello di regionalismo che si coniuga con una maggiore efficienza del sistema istituzionale nel suo complesso, atteso che forme e condizioni di autonomia sono attribuite nel caso in cui la singola Regione sia in grado di esercitare al meglio le funzioni e le attività precedentemente svolte dallo Stato, a parità di risorse.

1.3. Quali invece gli eventuali rischi?

  I rischi evidenziati dal professor D'Atena sono legati all'ampiezza delle materie su cui le Regioni ad autonomia ordinaria possono ottenere forme e condizioni particolari di autonomia. Vi sono alcune voci di competenza legislativa esclusiva dello Stato particolarmente rilevanti, quali le «norme generali sull'istruzione», che, in combinato disposto con l'acquisizione da parte della Regione dell'intera materia, di competenza legislativa concorrente, «istruzione», potrebbero privare lo Stato, in un ambito così strategico, di qualsiasi competenza. Inoltre, l'elenco delle materie di competenza concorrente comprende anche ambiti di indiscutibile rilievo nazionale.
  Secondo il professor Mangiameli, piuttosto che di rischio di asimmetria, bisognerebbe parlare dei limiti e delle condizioni da rispettare. Soprattutto nel momento in cui il processo si avvia, l'asimmetria trova dei limiti nelle disuguaglianze create: c'è un momento iniziale in cui, di fatto, si crea uno squilibrio tra la posizione delle Regioni. Il parametro costituzionale di riferimento deve essere allora l'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, che richiede che sia mantenuta «la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali». Pag. 10 
  Inoltre, le forme e le condizioni particolari di autonomia non esonerano la Regione che le ha ottenute dall'obbligo di dare il suo contributo solidale alle altre Regioni e alla Repubblica. Le Regioni con maggiore capacità fiscale devono dare alla perequazione territoriale una parte del loro gettito, anche se appare ormai maturo il tempo di sperimentare procedure più innovative, con un maggior ruolo attivo delle Regioni.
  Il professor Mangiameli ha sottolineato inoltre che il nodo del regionalismo asimmetrico resta quello dell'equilibrio territoriale grazie alla collaborazione fra centro e territori e che nell'asimmetria trova applicazione il principio unitario della Repubblica una e indivisibile.
  Tuttavia, non può essere disgiunto da qualche perplessità il fatto che solo le tre grandi Regioni contermini del Nord abbiano chiesto l'autonomia differenziata. Queste tre Regioni cumulano, secondo i dati del 2016, poco meno di un terzo della popolazione nazionale, ma più del 40 per cento del PIL nazionale e il 54,3 per cento delle esportazioni.
  Da ciò deriva la preoccupazione che tali richieste possano discendere dalla volontà di formare un blocco territoriale del Nord, rispetto al quale lo Stato centrale può rispondere non certamente negando ogni validità alla pretesa di maggiore autonomia regionale, bensì governando questo processo.
  A tal fine, lo Stato dovrebbe assicurare un contesto unitario, migliorando e intensificando gli interventi di perequazione territoriale, ma, al contempo, dovrebbe stimolare la crescita autonomistica delle altre Regioni italiane.

1.4. Quali conseguenze comporterebbe l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, in caso di attribuzione alla Regione di competenze legislative? E in caso di attribuzione di competenze amministrative?

  Il professor D'Atena ha rilevato come l'articolo 116, terzo comma, non faccia riferimento esclusivo alle competenze legislative. La Regione ordinaria, quindi, sulle materie ad essa attribuite per questa via, diviene titolare, oltre che delle competenze legislative, delle competenze amministrative, secondo il modello del parallelismo delle funzioni, che trova applicazione negli Statuti regionali speciali.
  Si determinerebbe dunque una situazione simile a quella che sussiste attualmente per le Regioni ad autonomia speciale, sia pure con una prospettiva rovesciata. Oggi, la Regione ad autonomia speciale è anche una Regione ad autonomia ordinaria, per effetto delle ulteriori competenze acquisite in virtù della clausola di equiparazione o di maggior favore di cui all'articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
  Nel caso dell'articolo 116, terzo comma, la Regione ordinaria resta tale, ma acquisisce una forma di specialità, per effetto delle nuove competenze derogatorie rispetto allo ius commune di cui al Titolo V ad essa conferite.

  Il professor Mangiameli ha sottolineato che l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, richiede un forte approccio nazionale e, per ciò stesso, unitario, dal momento che un'autonomia consolidata può rivelarsi Pag. 11  efficace e produrre risultati solo in un contesto in cui siano rafforzati anche i compiti riconosciuti al centro, soprattutto verso l'esterno, nei confronti dell'Europa e delle sedi di negoziazione internazionali, ma anche verso l'interno, per cui la simmetria non deve essere vissuta come una spoliazione dei poteri del centro. Nel contesto attuale, il fondamento del regionalismo è molto più prossimo a essere spiegato in relazione al sistema di internazionalizzazione dell'economia e al processo di integrazione europea, che rimane centrale, nonostante le recenti vicende dell'Unione europea.
  Inoltre, il ruolo dell'istituzione statale centrale è quello di raccordare le istituzioni stesse con i diversi livelli di governo. Su questo terreno manca ancora oggi una serie di strumenti di collegamento dei livelli di governo e delle diverse istituzioni (Governo e Parlamento, in modo particolare).
  Con riguardo alle materie oggetto delle forme e condizioni particolari di autonomia, la norma farebbe pensare a un potenziamento della potestà legislativa concorrente delle Regioni perché questo è l'oggetto che, in via di principio, la disposizione costituzionale pone al centro dello spostamento in termini di maggiore competenza. In tal senso, l'acquisizione della disciplina avverrebbe, nel caso delle competenze esclusive, non integralmente, ma sottoposta a principi desumibili dalla legislazione statale, il che è particolarmente rilevante, soprattutto per quello che riguarda le «norme generali sull'istruzione».
  Tra le materie concorrenti, alcune non possono essere integralmente trasferite alle Regioni, come il «coordinamento della finanza pubblica», per espressa disposizione dell'articolo 119 della Costituzione, richiamato nell'articolo 116, terzo comma, e i «rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni», per i quali le clausole del quinto e del nono comma dell'articolo 117 non rendono eludibile il rapporto con la legge statale, cioè la legge di principio che determina le possibilità per le Regioni di agire in questi campi. Per tutti i legislatori vale poi naturalmente il vincolo costituzionale del rispetto degli obblighi internazionali ed europei.
  Le competenze legislative si portano dietro tutte le funzioni amministrative di riferimento, in base all'articolo 118, secondo comma, che prevede l'attribuzione a Comuni, Province e Città metropolitane di funzioni amministrative proprie conferite dallo Stato o dalla Regione, secondo le rispettive competenze. Non vi dovrebbe essere, da un punto di vista teorico, nessuno spostamento amministrativo in più da questo punto di vista perché formalmente le materie del terzo comma confermerebbero integralmente le funzioni amministrative alle Regioni. Tuttavia, il professor Mangiameli fa presente che ciò non sempre si verifica per taluni aspetti.
  In via di principio, inoltre, nella richiesta di asimmetria non sarebbe ammissibile una frammentazione delle materie della legislazione né una scelta delle funzioni amministrative perché le materie dovrebbero transitare in via diretta, secondo il canone della competenza esclusiva o il canone della competenza concorrente, nel caso delle materie del secondo comma. In realtà, una frammentazione della materia o un riferimento a funzioni amministrative, pretesi in modo espresso, anche nelle proposte avanzate dalle tre Regioni, deve ritenersi ammissibile non solo per quelle materie che sistematicamente non Pag. 12 risultino acquisibili in via esclusiva, come quelle di competenza statale, ma anche per le competenze concorrenti, per il modo in cui si è evoluto il riparto delle competenze tra lo Stato e le Regioni. Com'è noto, anche dopo l'entrata in vigore della revisione del 2001, lo Stato ha continuato a legiferare nelle materie di competenza concorrente, non limitandosi a disciplinarne semplicemente i principi fondamentali. Ciò è stato consentito dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha elaborato il canone della «chiamata in sussidiarietà», i concetti di «materie trasversali» e di «materie-funzioni», il principio di prevalenza della legge dello Stato o ancora l’«intreccio delle competenze».
  Uno degli effetti dell'articolo 116, terzo comma, dovrebbe essere quello di impedire, per le materie attribuite in via asimmetrica, che le clausole di attrazione della competenza regionale, anche se compensate nella logica della giurisprudenza della Corte costituzionale con procedure collaborative, possano non avere effetti nei confronti della Regione interessata.
  Per quanto riguarda le materie di competenza residuale dell'articolo 117, quarto comma, esse resterebbero formalmente fuori da questo contesto perché di esse non vi è menzione. Non risulta peraltro sufficiente fermarsi a questo dato formale perché anche in questo ambito la Corte costituzionale ha ammesso che, comunque, lo Stato possa entrare nel merito.
  Le Regioni potrebbero dunque, sul piano astratto, potenziare con l'asimmetria la loro autonomia nelle materie di competenza concorrente, ma non nelle materie di competenza residuale, perché l'interpretazione del quarto comma non è stata nei termini dell'espressione della disposizione costituzionale, secondo cui la competenza spetta integralmente alle Regioni. Appare dunque ammissibile che le Regioni chiedano, come del resto accade in alcuni punti del disegno di legge del Veneto, non solo il rafforzamento di materie del terzo comma, ma anche quello di materie che formalmente sarebbero incluse nel quarto comma.
  In tutti casi, vi è sempre l'esigenza di un coordinamento legislativo, anche tra le competenze asimmetriche e le competenze residue dello Stato. In tal caso, lo schema collaborativo dovrebbe essere diverso da quello sin qui elaborato dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale e molto più simile a una negoziazione delle norme statali limitative, anche in via esclusivamente bilaterale; ciò vuol dire che le Regioni, in quanto titolari di funzioni asimmetriche, dovrebbero sedersi, ogni volta che lo Stato manifesti esigenze di coordinamento, e avere un coordinamento cui prestare un assenso preventivo.

1.5. Cosa implica il richiamo al rispetto dei principi del federalismo fiscale?

  Il professor D'Atena ha ricordato la genesi della disposizione costituzionale di cui all'articolo 116, terzo comma. Nella cd. «bozza Amato» – ossia nell'atto di iniziativa legislativa costituzionale del Governo D'Alema da cui è stato successivamente riavviato il processo di riforma costituzionale – si prevedeva che forme e condizioni particolari di autonomia fossero riconosciute alle Regioni ordinarie, nel rispetto degli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione. Si trattava Pag. 13 peraltro di una formulazione eccessivamente limitativa per le Regioni, per cui si è intervenuti riconducendo il richiamo al rispetto dei principi dell'articolo 119. Si tratta in definitiva di una formula felice, anche se connotata da un certo grado di genericità, che porta a prospettare delle conclusioni problematiche.
  Alcune scelte-cardine dell'articolo 119 non possono essere modificate dalla legge. Ciò con riferimento, innanzitutto, al principio della responsabilizzazione delle Regioni nei confronti delle collettività sottostanti. Restano poi sempre fermi il principio dell'equilibrio dei bilanci ed il principio dell'osservanza dei vincoli europei, per i quali del resto valgono anche altre norme costituzionali.
  In merito all'equiparazione, nei limiti del possibile, degli enti locali alle Regioni, che costituisce un altro dei principi dell'articolo 119, precisato che l'equiparazione incontra un limite nella circostanza che gli enti locali non hanno lo strumento della legge, è da ritenere che gli enti locali ubicati nelle Regioni che fruiscano del trattamento differenziato di cui all'articolo 116, terzo comma, non possano essere trattati, dal punto di vista delle loro prerogative in materia finanziaria, in maniera peggiore degli enti locali delle altre Regioni.

  Per il professor Mangiameli, oltre al problema dell'armonia con la Costituzione e i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, dall'articolo 119 discendono alcune regole che devono essere rispettate: l'equilibrio di bilancio; la sostenibilità del debito pubblico; l'adeguatezza della capacità fiscale; un sistema tributario che non abbia esercitato tutta la pressione fiscale; una finanza degli enti locali equilibrata; l'assenza di piani di rientro o di forme di commissariamento statale.
  Inoltre, a fronte di tutte queste condizioni, sul terreno dell'articolo 119 si apre un'incognita su come debba avvenire il trasferimento delle ulteriori risorse, ossia se queste debbano essere fiscalizzate oppure se ci debbano essere dei veri e propri trasferimenti.
  Il professore ha rilevato la diversità delle proposte avanzate dalle tre Regioni, sottolineando come la maggiore differenza che sussiste tra le stesse riguarda proprio i profili di cui all'articolo 119, che mancano nelle risoluzioni o sono accennate con riferimento più ad aspetti istituzionali che economico-finanziari, a differenza della proposta di legge del Veneto.
  Nella proposta di legge del Veneto, all'articolo 2, si avanza infatti la pretesa per cui il gettito dei nove decimi delle principali imposte erariali sia trasferito alla Regione, cui si accompagnano altre specifiche disposizioni su particolari imposte, come, per esempio, l'imposta di bollo, e altre riferite alle risorse di fondi rotativi nazionali, che verrebbero segmentati regionalmente e separati dal resto del fondo, in modo che i contributi versati nel fondo da parte delle imprese regionali non possano essere utilizzati da parte di imprese di altre parti del territorio.
  La richiesta del Veneto risulta comprensibile in ragione della concorrenza realizzata da parte delle contermini Province autonome di Trento e di Bolzano e della Regione Friuli Venezia Giulia, come testimoniato anche dalla recente vicenda del passaggio del Comune di Sappada dal Veneto al Friuli Venezia Giulia. Si tratta di un Comune di 1.300 abitanti, quindi di dimensioni molto limitate, ma tre giorni dopo Pag. 14 l'approvazione della legge sul trasferimento di Sappada, sugli organi di stampa regionali è apparso un elenco di Comuni del Veneto, al cui trasferimento le Province autonome di Trento e Bolzano darebbero il proprio assenso. Esiste dunque una forte concorrenza a livello regionale.
  Nonostante ciò, esiste una profonda differenza fra la finanza speciale delle Regioni a statuto speciale e la finanza ordinaria, cui anche la procedura di asimmetria è sottoposta. Le Regioni speciali e le Province autonome hanno, non senza aspre critiche che ormai durano nel tempo, una finanza in deroga, che prescinde dal contesto normativo e funzionale, mentre le Regioni ordinarie, anche nel caso delle forme e condizioni particolari di autonomia, sono subordinate in modo espresso ai principi dell'articolo 119 Cost.

1.6. Da un punto di vista procedurale, come deve articolarsi il procedimento previsto dall'articolo 116, terzo comma?

  Il procedimento prevede delineato dall'articolo 116, terzo comma, Cost. prevede: 1) una iniziativa della Regione; 2) una consultazione con gli enti locali; 3) il rispetto dei principi dell'art. 119 Cost.; 4) l'intesa tra la Regione interessata e lo Stato; 5) l'approvazione della legge da parte delle Camere a maggioranza assoluta.
  Come sottolineato dal professor Mangiameli, ognuno di questi cinque momenti presenta dei problemi, dal momento che il nostro ordinamento manca di esperienza in questo ambito e le disposizioni costituzionali, entro limiti molto stretti, possono dare vita a soluzioni differenti.
  Il professore ha altresì rilevato l'opportunità che l'attività governativa, svolta nell'ambito dell'articolo 116, terzo comma, sia preceduta da una risoluzione delle Camere, sulla base di una relazione predisposta dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali, possibilmente di concerto con la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, in modo da indicare alcune coordinate della negoziazione, tra cui quella di mettere in linea le competenze comuni richieste dalle diverse Regioni, rendendo così omogenei gli spazi normativi da trasferire e le relative funzioni pretese, nonché applicando i medesimi parametri di calcolo delle risorse.
  L'iniziativa, di conseguenza, riguarderebbe in un primo momento solo questa parte del trasferimento di competenze, di modo che anche la riduzione di costi e funzioni dello Stato sia percepibile.

1.6.1. Quali forme deve assumere l'iniziativa della Regione? E l'intesa con il Governo? Come e in quale fase deve avvenire la consultazione degli enti locali?

  Per quanto riguarda il quesito relativo al procedimento previsto dall'articolo 116, terzo comma, e, in particolare, le forme dell'iniziativa regionale, il professor D'Atena ha evidenziato che la risposta non è semplice, in quanto la norma non chiarisce in che senso fa uso dell'espressione «su iniziativa della Regione interessata». Possono dunque formularsi due possibili interpretazioni in merito. Pag. 15 
  La prima ipotesi è che la locuzione faccia riferimento ad un'iniziativa legislativa in senso tecnico. Le Regioni, com'è noto, possono avanzare proposte di legge al Parlamento attraverso i loro Consigli regionali, in virtù dell'articolo 121, secondo comma, della Costituzione. Si tratterebbe dunque di un caso di iniziativa legislativa riservata.
  La seconda ipotesi è che la disposizione non contempli l'iniziativa legislativa in senso tecnico, ma intenda riferirsi ad un atto d'impulso della Regione, concretantesi in una richiesta di intesa al Governo nazionale. In questa linea si muoveva la riforma Renzi-Boschi. Si tratta, del resto, della soluzione accolta in materia di rapporti con le confessioni religiose diverse dalla cattolica, che potrebbero costituire un modello, in quanto si tratta dell'altro caso di legge previa intesa forte previsto dalla Costituzione.
  La prima lettura pone peraltro il problema di individuare le modalità con cui realizzare la previa intesa, una volta che il procedimento legislativo sia incardinato su iniziativa della Regione. Un'ipotesi potrebbe essere quella che la Commissione in sede referente sospenda i lavori in attesa dell'intesa. L'altra ipotesi, più farraginosa, potrebbe essere modellata sulla soluzione che la riforma costituzionale adottata dal governo Berlusconi ha previsto per la modifica degli Statuti delle Regioni speciali. Tale riforma prevedeva un'intesa da realizzare, mediante la sottoposizione del testo approvato in prima lettura dalle due Camere alla Regione interessata, la quale avrebbe avuto un termine per esprimere il proprio eventuale diniego a maggioranza qualificata; in difetto di tale diniego, l'intesa si sarebbe considerata raggiunta, secondo la logica del silenzio assenso. In questa ipotesi, l'intesa si sarebbe realizzata a livello di assemblee rappresentative, tra il Parlamento nazionale e il Consiglio regionale.
  Se si accedesse alla seconda lettura, che intende l'espressione «iniziativa» in senso generico, come equivalente ad atto d'impulso, potrebbe attingersi all'esperienza maturata in materia di rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diverse da quella cattolica.
  Più specificamente, potrebbe ritenersi che la richiesta di intesa vada rivolta al Governo, munita del parere espresso dagli enti locali attraverso il Consiglio delle autonomie locali (CAL) insediato in ogni Regione ad autonomia ordinaria. Su questa base, si aprirebbero delle trattative e si elaborerebbe un testo concordato, il quale dovrebbe confluire in un disegno di legge governativo.

  Anche per il professor Mangiameli, l'iniziativa può essere intesa in due accezioni: come iniziativa della Giunta rivolta al Governo oppure come iniziativa legislativa del Consiglio regionale, presentata direttamente alle Camere, sulla base del disposto dell'articolo 121, secondo comma.
  Ogni volta che la Costituzione richiama l'iniziativa, ad eccezione del caso dell'iniziativa economica privata di cui all'articolo 41, la intende in senso tecnico, nel senso di iniziativa legislativa, quindi, in via di principio, si deve presumere che anche in questo caso si faccia riferimento a questo tipo di iniziativa.
  Per contro, se si pone l'accento sull'intesa, nel linguaggio dell'ordinamento, dovrebbe farsi riferimento ad una negoziazione e ad un accordo tra il Governo e l'esecutivo regionale. Vi è dunque la necessità di combinare le due ipotesi. Pag. 16 
  Il professor Mangiameli ha altresì richiamato la posizione di parte della dottrina che ritiene che l'intera procedura e l'intera negoziazione possano essere di ambito parlamentare, come accadeva prima della modifica del 2001 per il procedimento di approvazione degli Statuti ordinari, che erano sottoposti ad approvazione da parte delle Camere, una volta deliberati dal Consiglio regionale. Si tratta di una procedura ispirata dal sistema spagnolo, in cui gli Statuti delle Comunità autonome costituiscono la norma sulla competenza concreta della Regione, in quanto le competenze offerte dalla Costituzione devono essere validate dall'assunzione concreta all'interno dello statuto stesso. Da questo punto di vista, la procedura potrebbe, quindi, essere integralmente parlamentare.
  Come già rilevato dal professor D'Atena, la consultazione degli enti locali dovrebbe avvenire attraverso il Consiglio delle autonomie locali, che la Costituzione definisce «organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali». Il problema è peraltro capire in quale fase procedurale debba collocarsi la consultazione. Formalmente, la disposizione costituzionale prevede che l'iniziativa sia preceduta dalla consultazione. Ragionando sistematicamente, tuttavia, non meno significativa dovrebbe essere la consultazione alla fine della negoziazione sull'intesa raggiunta.

1.6.2. Quali elementi potrà disciplinare la legge statale dopo l'intesa fra lo Stato e la Regione?

  Il professor D'Atena ha rilevato che il testo dell'intesa con il Governo ed il testo della legge dovrebbero essere fondamentalmente coincidenti, presentando soltanto minime differenze, dovute alla loro rispettiva natura e, soprattutto, al carattere pattizio dell'intesa.
  Ha ricordato come nelle intese tra lo Stato e le confessioni religiose sia presente una clausola che impegna il Governo a trasfondere il testo dell'intesa in un disegno di legge, clausola che evidentemente ha senso nell'intesa, ma non nella legge adottata sulla sua base. Per contro, la legge contiene disposizioni sulla copertura finanziaria, che non debbono necessariamente essere presenti nel testo dell'intesa.
  In questo procedimento, al Parlamento spetterebbe l'adozione di una legge di approvazione in senso tecnico, senza possibilità emendativa, come del resto già accade nei rapporti con le confessioni religiose.

  Anche per il professor Mangiameli, l'approvazione della legge da parte delle Camere a maggioranza assoluta serve a rivestire di forma legislativa l'intesa raggiunta su iniziativa regionale. Le Camere non avrebbero dunque la possibilità di emendare l'intesa e la legge di approvazione sembrerebbe da considerare una legge meramente formale, nel senso che le Camere possono approvare a maggioranza assoluta, o non approvare (o non raggiungere la maggioranza assoluta sull'accordo. La medesima fonte può anche essere considerata atipica e rafforzata: atipica, perché avrebbe ad oggetto di deliberazione l'intesa raggiunta; rafforzata, in quanto il procedimento prevede l'approvazione delle Camere a maggioranza assoluta dei componenti.

  Di analogo avviso è il sottosegretario Bressa, secondo il quale la procedura si focalizza sulla sottoscrizione di un'intesa tra il Governo Pag. 17 nazionale e il Governo regionale che ha proposto l'iniziativa di maggiore autonomia. Tale intesa può successivamente essere sottoposta al Parlamento, che a suo giudizio svolge un compito di mera ratifica, sul modello dell'approvazione delle intese religiose. Camera e Senato votano un testo e lo possono approvare o respingere, senza la possibilità di un'attività emendativa, perché la sostanza dell'intesa è il frutto dell'accordo tra il Governo centrale e il Governo regionale.

1.6.3. Occorrerebbe in proposito approvare una legge di attuazione dell'articolo 116, terzo comma?

  Per il professor D'Atena risulta auspicabile l'approvazione di una legge di attuazione, per la quale potrebbe essere preso a modello lo schema di disegno di legge approvato dal Governo Prodi il 21 dicembre 2007.
  Si può peraltro procedere senza la previa disciplina legislativa della procedura, come del resto già accade per i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica, che sono regolati, ai sensi dell'articolo 8, terzo comma, Cost., per legge sulla base di intese con le rispettive rappresentanze.

  Secondo il professor Mangiameli, invece, l'art. 116, terzo comma, Cost. disciplina una fonte legislativa atipica e rinforzata, per cui sarebbe un fuor di luogo una legge ordinaria di attuazione di una legge di questo tipo. Non va dimenticato, infatti, che il sistema delle fonti primarie si deve considerare chiuso a livello costituzionale, per cui non residua alcuno spazio di disciplina per dette fonti da parte di fonti pari o sotto ordinate. Ciò non vuol dire comunque che le Camere non possano assumere iniziative con riferimento a quest'oggetto.

1.6.4. Come dovrebbe procedersi nel caso in cui si ritenga necessario retrocedere rispetto all'attribuzione di maggiore autonomia?

  In merito al possibile ritorno alla legislazione statale delle materie che hanno formato parte dell'attribuzione di maggiore autonomia, il professor Mangiameli ha ritenuto percorribili due vie: una via consensuale e una via unilaterale.
  Sulla via consensuale potrebbero non esserci dubbi, in quanto la stessa Regione potrebbe riavviare il procedimento dell'articolo 116, terzo comma, Cost., per chiedere allo Stato di riprendere, in tutto o in parte, la legislazione delle materie concorrenti e/o delle tre materie di competenza esclusiva statale. Tuttavia, a prescindere dal fatto che ciò costituirebbe un fallimento per la Regione, questa ipotesi non dovrebbe essere ammissibile, atteso che l'esercizio delle funzioni attribuite non può essere giuridicamente revocato in dubbio se non in via di fatto e che lo Stato così come le Regioni non possono esimersi costituzionalmente dall'ottemperare all'esercizio dei poteri e delle funzioni proprie.
  Si può aggiungere, però, a parziale limitazione di quanto desumibile dal sistema costituzionale, che in Spagna durante la crisi economica si discusse a lungo sulla restituzione di competenze allo Stato centrale da parte delle Comunità autonome, con riferimento, peraltro, a competenze molto impegnative quali la «scuola» e la «sanità»; Pag. 18 concretamente comunque non si addivenne ad alcuna modifica degli statuti in tal senso.
  Più complessa appare l'ipotesi di un intervento unilaterale statale sulle materie che hanno formato oggetto di un'intesa per l'attribuzione della competenza asimmetrica. Infatti, dal punto di vista del sistema delle fonti non è possibile un intervento unilaterale, con un atto di legislazione ordinaria, che riassuma le competenze trasferite, atteso che a fondamento di queste vi è un accordo tra Stato e Regioni.
  Dal punto di vista sostanziale, se la legislazione regionale non determina un superamento dei limiti e delle condizioni dell'asimmetria medesima, non sussiste ragione perché lo Stato intervenga con la sua legislazione.
  L'unica ipotesi nella quale si potrebbe ammettere un intervento statale unilaterale è quella in cui si diano casi concreti in cui i limiti e le condizioni dell'asimmetria non siano stati rispettati, anche per un comportamento omissivo. Troverebbe in questa fattispecie, infatti, fondamento, sia pure con una procedura ispirata a principi di sussidiarietà e di leale collaborazione, l'esercizio del potere sostitutivo di cui all'articolo 120, secondo comma, Cost. In tale ultima evenienza, che consente la verifica dell'uso delle competenze acquisite asimmetricamente, si porrebbe il problema se questi interventi non debbano implicare anche una valutazione del comportamento degli organi regionali alla luce del disposto dell'articolo 126 Cost., che disciplina lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente.

  Il professor D'Atena ha rilevato che trova applicazione la regola del parallelismo delle forme: una nuova legge ordinaria, adottata a maggioranza assoluta e previa intesa, consentirebbe pertanto di tornare indietro rispetto all'attribuzione di maggiore autonomia. L'applicazione di questa regola renderebbe peraltro la disciplina estremamente rigida, essendo ragionevole supporre che la Regione che abbia acquisito certe competenze sia poco disponibile a concedere il suo assenso alla riduzione delle stesse.
  La possibile alternativa potrebbe essere rappresentata o da una disciplina a termine (dieci o quindici anni), la cui permanenza dopo la scadenza del termine sia subordinata a una nuova legge previa intesa, oppure dalla previsione che, entro un certo termine, vi sarà una revisione della precedente disciplina. Questa doppia soluzione è prevista da uno schema di disegno di legge governativo approvato il 21 dicembre 2007 dal Governo Prodi, il quale disciplinava il procedimento di cui all'articolo 116, terzo comma, e, in maniera condivisibile, prevedeva appunto una doppia possibilità: o una disciplina a termine subordinata a una conferma, scaduto il termine, oppure la possibilità che le parti dopo dieci anni sottoponessero a nuovo esame il contenuto dell'intesa.
  Tra l'altro, la seconda formula si trova normalmente nelle intese tra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica.
  Entrambe le soluzioni tendono a conferire carattere sperimentale alla disciplina dettata dalla legge previa intesa, scongiurando così il rischio che la stessa si irrigidisca, dando vita ad un regime ancora più forte di quello di cui godono le Regioni ad autonomia speciale.

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2. LE INIZIATIVE DELLE REGIONI LOMBARDIA, VENETO ED EMILIA-ROMAGNA

2.1. Quali motivi hanno indotto la Regione ad avviare il procedimento per l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione?

  Il Presidente della Regione Emilia-Romagna Bonaccini ha rilevato che la mancata approvazione della revisione costituzionale, a seguito della consultazione referendaria del 4 dicembre 2016, è stata l'occasione per riaprire una discussione sull'assetto del rapporto tra Stato, Regioni e autonomie.
  Contrariamente a quanto da alcuni sostenuto, la riforma costituzionale non toccava minimamente l'articolo 116, terzo comma, introdotto nel 2001, anzi, paradossalmente, lo rafforzava: pur centralizzando alcune materie, che non rientrano tra quelle per le quali la Regione richiede maggiore autonomia, la riforma manteneva la possibilità prevista dall'articolo 116, terzo comma, per le Regioni virtuose, in equilibrio di bilancio e caratterizzate da elevati standard di qualità dei servizi erogati, di chiedere la cosiddetta «autonomia differenziata».
  Il Presidente Bonaccini ha richiamato come esempio il precedente tentativo di attuazione promosso dalla Regione Lombardia presieduta dal Presidente Formigoni sotto il Governo Prodi, peraltro arrestatosi dopo l'insediamento del Governo Berlusconi.
  Il tema dell'assetto del governo multilivello richiede di riproporre al centro della riflessione politica la questione del rapporto tra lo Stato e le Regioni, con l'obiettivo di fondo di acquisire una più estesa autonomia in ambiti cruciali per lo sviluppo dei territori e la valorizzazione delle vocazioni e delle differenze territoriali.
  L'Emilia-Romagna è stata negli ultimi tre anni la Regione italiana con la maggiore crescita (1,9 per cento nell'anno 2016) ed è la prima Regione per tasso di attività e per quota di export pro capite. I risultati sono stati ottenuti senza l'autonomia differenziata. Quest'ultima potrebbe peraltro garantire nuove opportunità e costituire un volano per uno sviluppo ancora più rapido.

  Il Presidente del Consiglio regionale della Lombardia Cattaneo, nella memoria trasmessa alla Commissione, nel richiamare le finalità che hanno indotto la Regione ad attivare il procedimento ex art.116, terzo comma, ha sottolineato: la volontà dell'ente di assumere le proprie responsabilità, in ragione delle sue peculiari caratteristiche che ne fanno una realtà matura per sperimentare l'articolo 116, terzo comma, anche a beneficio dell'interesse della collettività nazionale; l'intento di valorizzare le autonomie territoriali e locali e di rafforzare le sinergie fra queste ultime e la Regione nell'ottica di un federalismo dell'efficienza diretto ad aumentare la capacità di risposta dell'azione pubblica alle esigenze dei cittadini, imprese ed altre realtà sociali; l'esigenza di poter calibrare le politiche sulle specificità delle situazioni locali.

  La Presidente dell'Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna Saliera, nella memoria trasmessa alla Commissione, afferma che la finalità della richiesta di maggiore autonomia in ambiti cruciali Pag. 20 per il territorio è quella di avviare una riforma multilivello in cui autonomie regionali e Stato possano convergere su obiettivi condivisi sotto i profili finanziario, amministrativo e di sistema delle fonti. Un riordino che punti, fra l'altro, al superamento dell'attuale frammentazione delle competenze tra i vari livelli amministrativi e legislativi, che costituisce la prima causa della complessità del sistema burocratico-amministrativo.

  Il Presidente del Consiglio regionale veneto Ciambetti ha sottolineato come il Veneto sia una Regione che si trova fra due realtà a Statuto speciale, il Trentino-Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia. La richiesta di maggiore autonomia potrebbe consentire anche al Veneto, attraverso una gestione efficace ed efficiente delle competenze trasferite, di poter offrire ai propri cittadini servizi di qualità, a condizione che si prevedano idonee risorse e se ne assicuri la stabilità nel tempo.

2.2. Qual è stato l’iter seguito in ambito regionale per definire la proposta della Regione? Qual è stato il ruolo del Consiglio regionale?

2.3. In quali forme è assicurato il coinvolgimento degli enti locali richiesto dalla norma costituzionale? È previsto il coinvolgimento di altri soggetti?

  Le Regioni Lombardia e Veneto hanno fatto precedere la richiesta di avvio di un negoziato con il Governo per il conferimento di ulteriori forme e condizioni di autonomia da un referendum consultivo al fine di acquisire l'avviso dei propri cittadini al riguardo.
  Il Presidente della Regione Lombardia Maroni ha ricordato che la Regione, con una deliberazione del 17 febbraio 2015 del Consiglio regionale, ha previsto l'indizione di un referendum consultivo, ai sensi dello Statuto, per chiedere ai cittadini lombardi: «Volete voi che la regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell'unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo stato l'attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 116, terzo comma, della costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all'articolo richiamato?».
  L'inciso «in considerazione della sua specialità» indica che la Regione Lombardia è in grado di gestire tutte le 23 materie previste dall'articolo 116, terzo comma.
  Altrettanto rilevante risulta l'inciso «nel quadro dell'unità nazionale», che sottolinea come l'iniziativa delle Regione risulti pienamente in linea con il sistema istituzionale e costituzionale e non intende in alcun modo mettere in discussione l'unitarietà dello Stato. Tale inciso ha reso immediatamente evidente la diversità tra il referendum consultivo delle Regione Lombardia e quello svoltosi poche settimane prima, il 1° ottobre, in Catalogna, su cui risultava acceso un ampio dibattito.
  Come è noto, il referendum si è svolto il 22 ottobre, in contemporanea con quello della Regione Veneto. Pag. 21 
  Lo Statuto della regione Lombardia prevede un voto qualificato per l'indizione del referendum, cioè i due terzi dei componenti il Consiglio regionale. Tale maggioranza è stata raggiunta grazie al voto favorevole del Movimento 5 Stelle, a condizione che il quesito referendario fosse svolto con la modalità elettronica. La risoluzione approvata prevedeva che il referendum potesse essere svolto sotto forma di test sperimentale in un numero limitato di sezioni elettorali, ma il Presidente ha deciso di adottare questa modalità di voto in tutte le oltre 9.000 sezioni elettorali(1) .
  Per quanto concerne l'esito del referendum, ha votato circa il 38 per cento degli elettori lombardi e il 95 per cento dei votanti (3,2 milioni) si è espresso per il «sì».
  La scelta di ricorrere allo strumento referendario, che non risulta obbligatorio, è stata dettata da due motivi. In primo luogo, si è ritenuto che il peso della volontà popolare, espresso attraverso il voto di oltre 3 milioni di cittadini lombardi, possa aumentare il potere contrattuale e negoziale della Regione con lo Stato centrale. In secondo luogo, il precedente tentativo di attuazione, iniziato dalla Regione dieci anni prima, senza essere preceduto dal referendum, non aveva portato un risultato positivo.
  Dopo l'esito positivo del referendum, il 7 novembre il Consiglio regionale ha approvato la risoluzione n.97 in cui specifica le 23 materie, con alcuni sottocapitoli. Su questa base si è aperto il confronto con il Governo, in particolare con il Sottosegretario Bressa, incaricato da Palazzo Chigi di gestire la trattativa.

  Anche la regione Veneto ha indetto un referendum consultivo, chiedendo ai cittadini quanto segue: "Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?"
  Il Presidente del Consiglio regionale Ciambetti ha ricordato che il percorso che ha portato il Veneto alla richiesta di forme e condizioni ulteriori di autonomia può essere fatto risalire sino al 1971, dato che nello Statuto della Regione, all'articolo 2, già si parla di autonomia e autogoverno del popolo veneto. Ha poi richiamato i precedenti tentativi Pag. 22 (risalenti al 1992 e al 1998(2) ) di ricorso a referendum, censurati dalla Corte costituzionale, e le iniziative legislative degli anni Duemila, in cui la medesima richiesta di referendum è stata reiterata negli anni sotto varie forme.
  Nel 2012 la Giunta regionale aveva avviato l'esame di alcuni progetti di legge statali di iniziativa regionale, che non vennero approvati dal Consiglio regionale per i veti contrapposti da parte di alcune componenti del consiglio.
  Nel 2014 è stato approvato il disegno di legge con la richiesta di indizione del referendum, di cui la Corte costituzionale – adita dal Governo – ha riconosciuto la legittimità.
  A seguito dell'esito del referendum del 22 ottobre, la Giunta ha presentato un disegno di legge, poi approvato dal Consiglio in sole tre settimane, che entra nello specifico delle 23 competenze previste dalla Costituzione come base di partenza per la trattativa del Governo.
  L'iniziativa della Regione è al momento esclusivamente orientata all'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, mentre l'ipotesi di attivare l’iter di approvazione di una modifica della Costituzione per prevedere uno Statuto speciale per la Regione veneto non risulta attuale. Al riguardo è stato presentato un disegno di legge regionale di proposta di legge statale da trasmettere al Parlamento con il quale si chiede il riconoscimento del Veneto come Regione a Statuto speciale, il cui esame è fermo in prima commissione. Un'iniziativa che potrebbe mettersi in moto solo "se non ci fosse una trattativa soddisfacente e chiara rispetto a quello che si sta chiedendo in questo momento".
  Quanto al coinvolgimento degli enti locali e di altri soggetti, il Presidente Ciambetti si è soffermato sul tavolo denominato «Consulta dell'autonomia», che vede presenti categorie economiche, sindacati, associazioni dei Comuni e delle Province. Tutti gli stakeholder partecipano a questo tavolo di confronto, che viene aggiornato in base all'andamento della trattativa nel tavolo con il Governo. Di conseguenza, i portatori di interesse sono informati in maniera costante e danno a loro volta un loro contributo sull'andamento della trattativa.

  Il professor Bertolissi, in rappresentanza della Presidenza della Regione Veneto, ha ricordato che all'inizio dell'ultima legislatura la Regione ha svolto un'indagine e ha individuato una serie di funzioni riferibili alle attribuzioni contemplate dal terzo comma dell'articolo 116. È stato conseguentemente predisposto uno studio, poi utilizzato per l'elaborazione del testo, approvato di recente dal Consiglio regionale, che rappresenta la base, quantomeno dal punto di vista della Regione, dell'avvio del negoziato.

  In Emilia-Romagna il processo è stato invece avviato attraverso un atto di indirizzo dell'Assemblea legislativa.
  La Presidente dell'Assemblea legislativa Saliera, nella documentazione trasmessa, ha sottolineato come il primo atto del processo possa essere fatto risalire alla decisione assunta dalla Conferenza dei capigruppo nel luglio 2017, che ha ritenuto necessario per l'avvio della procedura ex articolo 116, terzo comma, l'approvazione di un'apposita Pag. 23 risoluzione dell'Assemblea legislativa che conferisse il mandato alla Presidenza della Giunta regionale ad avviare il negoziato con il Governo rispetto a determinati ambiti di competenze individuati dalla stessa risoluzione, sulla base di un documento di indirizzi della Giunta. In quell'occasione la Conferenza ha altresì sottolineato l'esigenza di un più ampio coinvolgimento dei consiglieri regionali e degli organi assembleari, nel rispetto del ruolo del Presidente della Giunta.
  Sull'importanza di tale coinvolgimento si è espresso anche il Presidente della Regione Emilia-Romagna Bonaccini. Tenuto conto dell'impatto che il riconoscimento di maggiori spazi di autonomia determinerebbe sull'intero sistema regionale (politico, amministrativo, economico e sociale), il Presidente ritiene evidente che il raggiungimento dell'intesa con il Governo debba avvenire previo coinvolgimento e determinazione del Consiglio regionale, organo politico rappresentativo della popolazione regionale. Il ruolo delle Assemblee legislative regionali, d'altronde, è assolutamente rilevante sol che si consideri che l'attribuzione alla Regione di competenze differenziate concerne anche l'estensione dei poteri legislativi. Proprio questo ha indotto parte della dottrina ad affermare che la stessa iniziativa cui fa riferimento l'art. 116, terzo comma, dovrebbe promanare dalle stesse Assemblee legislative.
  L'iniziativa assunta dalla Regione Emilia-Romagna, tenendo conto di questo delicato equilibrio tra organo esecutivo e organo legislativo e di indirizzo politico, ha proprio preso le mosse da un atto di indirizzo dell'Assemblea legislativa, assunto sulla base di un primo documento di indirizzi proposto dalla Giunta regionale e dalla medesima adottato il 28 agosto 2017. Alla trasmissione da parte del Presidente della Giunta di tale documento ha fatto seguito l'avvio di un procedimento di valutazione da parte della Commissione I Bilancio, Affari generali e istituzionali in sede referente e da parte delle commissioni di merito in sede consultiva.
  L’iter in esame si è concluso con una prima risoluzione approvata il 3 ottobre 2017. Si tratta, precisamente, della «Risoluzione proposta dal Presidente Pompignoli, su mandato della I Commissione, recante: Avvio del procedimento finalizzato alla sottoscrizione dell'Intesa con il Governo per il conseguimento di "ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia" ai sensi dell'articolo 116, comma terzo, della Costituzione» – n. 5321. Come ha ricordato il Presidente Bonaccini, la risoluzione è stata approvata dalla maggioranza che governa la Regione (PD, MDP e Sinistra Italiana), con l'astensione di Forza Italia e della lista di sinistra «L'Altra Emilia-Romagna» ed il voto contrario di Lega Nord e Fratelli d'Italia; il Movimento 5 Stelle non ha partecipato al voto, in quanto ha ritenuto non corretto attivare un percorso di questo tipo senza una previa consultazione referendaria.
  Con la citata risoluzione l'Assemblea ha dato formale mandato al Presidente della Giunta di avviare il confronto con il Governo ai fini dell'intesa prescritta dalla norma costituzionale.
  Come primo passaggio politico, il 18 ottobre è intervenuta la sottoscrizione da parte del Presidente della Regione e del Presidente del Consiglio dei Ministri di una dichiarazione di intenti attraverso la quale lo Stato e la Regione si sono impegnati reciprocamente a dar corso all'iniziativa presentata. La stessa risoluzione ha impegnato il Presidente Pag. 24  e la Giunta regionale a riferire puntualmente all'Assemblea circa l'iter e lo sviluppo del negoziato.
  Contestualmente all'apertura del negoziato con il Governo e a fronte della risoluzione così adottata, nella seduta del 14 novembre 2017, il Presidente della Giunta ha riferito circa gli sviluppi del percorso, annunciando la trasmissione all'Assemblea di un ulteriore documento di indirizzi aggiornato della Giunta regionale, documento che per parte contiene la descrizione più analitica delle materie oggetto della proposta e per altra parte individua ulteriori materie suscettibili di eventuale ulteriore ampliamento. Nella stessa data l'Assemblea, acquisita la relazione del Presidente, ha approvato, con il consenso di tutte le forze politiche di maggioranza e di minoranza, una seconda Risoluzione («Sugli sviluppi del negoziato con il Governo circa il conseguimento di ulteriori forme di autonomia da parte della Regione Emilia-Romagna, ai sensi dell'art. 116, comma terzo, della Costituzione» – n. 5600) con cui ha sancito l'impegno del Presidente a proseguire nel percorso intrapreso e ad ampliare il novero delle competenze oggetto della richiesta di autonomia, tenendo sempre aggiornato l'organo elettivo sugli sviluppi del negoziato.
  Il documento di indirizzi della Giunta è stato formalmente trasmesso all'Assemblea il 22 novembre, per il successivo esame da parte delle Commissioni di merito e referente. Una proposta di risoluzione, volta ad estendere le materie oggetto del negoziato, è stata infine presentata da un gruppo consiliare di minoranza (M5S), ma respinta dalla Commissione I nella seduta del 4 dicembre.
  Quanto al ruolo degli enti locali nel procedimento, l'articolo 116, terzo comma, prevede l'acquisizione di un parere. Al riguardo va tenuto conto, innanzitutto, che, con la citata prima risoluzione del 3 ottobre, l'Assemblea legislativa ha impegnato la Giunta anche ad acquisire il parere del Consiglio delle autonomie locali (CAL) all'esito della fase negoziale e comunque prima della formale sottoscrizione dell'intesa con il Governo. La scelta di prevedere l'acquisizione del parere dell'organo di consultazione e di rappresentanza degli enti locali è coerente con quanto previsto nell'ordinamento regionale dall'articolo 23 dello Statuto e dall'articolo 56 del Regolamento interno dell'Assemblea legislativa, che tale ruolo attribuiscono appunto al CAL.
  Al fine peraltro di rafforzare già nelle fasi preliminari il coinvolgimento degli enti locali del territorio, nella richiamata Risoluzione dell'Assemblea del 14 novembre 2017 è stata prevista la partecipazione di rappresentanti di Comuni e Province (individuati da ANCI-ER e da UPI), oltre che della Presidente dell'Assemblea legislativa o di un consigliere suo delegato, alla delegazione emiliano-romagnola trattante.
  Un ruolo cruciale nella governance istituzionale e territoriale è attribuito inoltre alla Conferenza interistituzionale per l'integrazione territoriale. Tale organo deve la sua istituzione alla scelta compiuta dalla legge che in Emilia-Romagna ha attuato la legge statale n. 56/2014 (c.d. legge Delrio) sul riordino del governo territoriale (legge regionale n. 13 del 30 luglio 2015). La Conferenza interistituzionale è lo strumento condiviso da Regione ed enti locali per il sostegno della governance multilivello e per assicurare il concorso delle aree vaste metropolitana e provinciali alla definizione delle strategie del sistema di governo territoriale. Di conseguenza, la Conferenza è stata la sede di Pag. 25 valutazioni da parte dei suoi membri (ossia il Presidente della Regione, l'Assessore regionale competente in materia di riordino istituzionale, il Sindaco metropolitano, i Presidenti delle province e il Presidente di ANCI regionale) sugli indirizzi politici da esprimere con l'attivazione dell'art. 116 in relazione al territorio dell'Emilia-Romagna.
  Nel quadro delle iniziative assunte per il confronto e la partecipazione interistituzionale un ruolo essenziale hanno svolto anche le Assemblee dei Sindaci delle province dell'Emilia-Romagna (a Reggio Emilia il 16 settembre 2017, a Modena il 9 ottobre 2017, a Ravenna, per tutte le Province della Romagna, il 30 novembre 2017). Quanto alla Città Metropolitana di Bologna, la seduta del Consiglio metropolitano si è tenuta il 25 settembre 2017, subito dopo la seduta dell'Assemblea regionale dell'ANCI tenutasi il 19 settembre a Bologna con la partecipazione di Sindaci, Presidenti di Provincia e di Unione dell'intera Regione.
  Tra le forme strutturate di partecipazione e condivisione degli indirizzi politici dell'esecutivo regionale spicca, infine, il ruolo assunto dal Tavolo dei firmatari del «Patto per il lavoro», riunitosi in più sedute (18 luglio, 3 agosto, 28 agosto e 16 novembre). Si tratta del tavolo che riunisce le rappresentanze di tutta la società civile regionale, firmatarie del Patto, siglato in data 20 luglio 2015(3) . In questa sede sono stati valutati e discussi in contraddittorio il documento di indirizzi della Giunta e le singole proposte ivi formulate e sono state presentate proposte emendative, acquisiste formalmente agli atti e poi confluite nella prima risoluzione dell'Assemblea legislativa del 3 ottobre.
  Circa il coinvolgimento dell'Assemblea legislativa regionale e degli enti locali nell'ambito del negoziato con il Governo, l'Assemblea legislativa è informata, continuamente e costantemente, sull'andamento dei lavori. Alla delegazione incaricata della trattativa si sono inoltre aggiunti: il presidente o un rappresentante dell'ANCI (per i Comuni); il presidente o un rappresentante dell'UPI (per le Province); la Presidente dell'Assemblea legislativa o un suo delegato.
  Il Presidente della Regione Emilia-Romagna Bonaccini ha inoltre sottolineato che la Regione ha deciso di non procedere ad un referendum consultivo, come invece hanno legittimamente fatto altre Regioni, perché non è stato ritenuto opportuno impiegare rilevanti risorse, pari a circa 20 milioni di euro, per porre ai cittadini un quesito del tutto generico, sulla volontà di avere una maggiore autonomia a livello regionale, il cui esito sarebbe stato del tutto scontato. In ogni caso, sarebbe eventualmente più corretto svolgere il referendum solo dopo il raggiungimento dell'intesa con il Governo, una volta che risulti definito il percorso intrapreso. Quindi, senza negare la rilevanza del referendum svolto in altre Regioni, che ha costituito un momento importante di Pag. 26 partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, si è ritenuto più opportuno evitare un dispendio di risorse pubbliche.

  Il sottosegretario Bressa ha fatto presente che la prima Regione che ha avanzato al Governo in carica una richiesta di maggiore autonomia è stata l'Emilia-Romagna, con la citata risoluzione dell'Assemblea legislativa del 3 ottobre, con cui ha individuato gli ambiti di differenziazione di competenze legislative e amministrative, che sono poi state dettagliate in maniera più puntuale con un aggiornamento a tale documento il 16 novembre 2017.
  I contatti con la Regione Lombardia si sono avviati a seguito dell'approvazione della citata risoluzione n. 101645 del 7 novembre, che conteneva, al pari della Regione Emilia-Romagna, l'indicazione di sei aree di intervento, in questo caso riguardanti tutte le 23 materie suscettibili di differenziazione.
  La Regione Veneto ha seguito un percorso diverso, in quanto dopo lo svolgimento del referendum ha approvato come Consiglio regionale il progetto di legge statale n. 43, che rappresenta la base del confronto con il Governo e che riguarda tutte e 23 le materie.

2.4. Come sono state individuate le materie in relazione alle quali richiedere forme e condizioni particolari di autonomia? Sono stati condotti studi o simulazioni in ordine alla capacità dell'ente regionale di assolvere al meglio le funzioni che oggi competono allo Stato?

  Per il Presidente della Regione Emilia-Romagna Bonaccini, uno dei tratti qualificanti della proposta dell'Emilia-Romagna è il criterio adottato per la selezione delle materie rispetto alle quali viene richiesto il riconoscimento di uno spazio ulteriore di autonomia. Innanzitutto, tale criterio si connette alla volontà di intraprendere un percorso il cui esito sia la valorizzazione delle vocazioni territoriali e della capacità di governo che la Regione e il sistema delle autonomie possono ulteriormente esprimere, senza con questo minare i capisaldi dell'ordinamento costituzionale, in primis il principio perequativo – che regola i meccanismi di finanziamento delle funzioni pubbliche territoriali – e i valori solidaristici e cooperativi su cui è fondato. L'altro caposaldo della proposta è il mantenimento dei valori dell'unità giuridica, economica e finanziaria della Nazione.
  A tale proposito non è stata avanzata alcuna richiesta di uno Statuto speciale. I tempi sembrano anzi maturi per aprire una riflessione sul significato delle specialità nel 2018, anche in considerazione delle ragioni storiche e politiche che ne hanno determinato l'istituzione. Il Presidente Bonaccini ha richiamato in proposito l'inversione di marcia della Regione Veneto, che, dopo avere annunciato la richiesta di Statuto speciale nei giorni immediatamente successivi al referendum, ha deciso di metterla da parte e di sedersi al tavolo con il Governo.
  La proposta non è inoltre volta alla creazione di un tertium genus tra Regioni ordinarie e Regioni speciali.
  In questa logica, si è scelto di individuare aree strategiche corrispondenti sia alle priorità assegnate dalla Giunta all'interno del suo Programma di mandato sia alle linee di azione indicate nel Patto per Pag. 27 il lavoro sottoscritto a inizio legislatura tra tutte le componenti della società regionale con l'obiettivo prioritario della piena e buona occupazione. Priorità e linee di azione, considerati volani dello sviluppo, che possono essere riassunti nei seguenti ambiti di intervento: rafforzamento del sistema di educazione, formazione e lavoro; capacità di innovazione e di stimolo agli investimenti; semplificazione normativa ed efficientamento amministrativo; sicurezza e manutenzione del territorio. Queste scelte di fondo sono alla base degli indirizzi politico-istituzionali fatti propri dalla Giunta e trasfusi nel documento di indirizzi approvato dalla medesima il 28 agosto 2017, che ha dato l'avvio dell’iter tuttora in corso, e nel successivo documento di aggiornamento del 16 novembre.
  Tra tutte le materie passibili di differenziazione ai sensi del combinato disposto dell'articolo 116, terzo comma, e dell'articolo 117, sono state individuate prioritariamente le materie che orientate a tali obiettivi sono maggiormente in grado di proiettare l'azione politico-istituzionale della Regione verso i più elevati standard di efficienza, permettendo così alla medesima di competere con i territori più sviluppati in ambito europeo e internazionale. Tali competenze sono state dunque ricondotte alle seguenti quattro aree strategiche: tutela e sicurezza del lavoro, istruzione tecnica e professionale; internazionalizzazione delle imprese, ricerca scientifica e tecnologica, sostegno all'innovazione; territorio e rigenerazione urbana, ambiente e infrastrutture; tutela della salute.
  Frutto del confronto in seno all'Assemblea legislativa è in particolare l'inserimento, tra le materie suscettibili di negoziato, della protezione civile e dell'organizzazione della giustizia di pace.
  Infine, con riguardo alla materie suscettibili di differenziazione, con la risoluzione del 14 novembre, e quindi a seguito dell'avvio del tavolo di negoziato con il Governo, l'Assemblea legislativa ha poi impegnato il Presidente della Regione a proseguire il percorso intrapreso, anche alla luce del comune lavoro avviato con la Regione Lombardia, nonché a definire eventuali ulteriori competenze oggetto della richiesta di autonomia differenziata attraverso un confronto da realizzarsi nelle Commissioni assembleari.
  La Giunta il 16 novembre ha quindi aggiornato il Documento di indirizzi, ampliando il novero delle materie inizialmente individuate, con l'aggiunta delle seguenti: agricoltura; protezione della fauna e all'esercizio dell'attività venatoria; acquacoltura; cultura e spettacolo; sport.

  Il Presidente della Regione Lombardia Maroni ha richiamato le due tappe in cui dovrebbe articolarsi il percorso sul riconoscimento della maggiore autonomia: la prima riguarda le competenze e la seconda le risorse.
  Per quanto riguarda le competenze, il punto di partenza sono le 23 materie, alle quali si riferiva il quesito referendario della regione Lombardia.
  In realtà, le materie da prendere in considerazione sono 21, in quanto le competenze su due materie – «casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale» e «enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale» – di fatto non risultano esercitabili a livello regionale. Pag. 28 
  Altre materie, quali «alimentazione», «ordinamento della comunicazione» e «organizzazione della giustizia di pace» non risultano di interesse della Regione.
  Le materie di maggior rilievo sono quelle previste nel tavolo di Milano: «norme generali sull'istruzione» e «istruzione»; «rapporti internazionali»; «grandi reti di trasporto e di navigazione»; «previdenza complementare e integrativa» e «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario».
  L'ultima materia citata risulta ad avviso del Presidente di grande interesse perché il «coordinamento della finanza pubblica» comprende anche il rapporto con gli enti locali e il «coordinamento del sistema tributario» non risulta limitato al sistema tributario regionale, per cui comprende anche la compartecipazione al gettito erariale complessivo e, quindi, il tema delle risorse aggiuntive.
  Nell'ambito del tavolo di Bologna sono previste le seguenti materie: «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali», «valorizzazione dei beni culturali e ambientali» e «promozione e organizzazione di attività culturali»; «commercio con l'estero»; «tutela e sicurezza del lavoro»; «ricerca scientifica e tecnologica» e «sostegno all'innovazione per i settori produttivi»; «tutela della salute».
  Per ciascuna materia, sono indicati dei sotto-capitoli, che definiscono con maggiore precisione l'ambito di riferimento.
  Il Consiglio regionale il 7 novembre ha approvato una risoluzione che in ognuna delle 23 materie individua dei sotto-capitoli, sulle quali è in corso una discussione tra il Sottosegretario Bressa e le strutture ministeriali. La trattativa tra il Sottosegretario e i singoli ministeri appare, ad avviso del Presidente Maroni, più complessa rispetto al negoziato con le Regioni.
  In conclusione, la Regione mira ad ampliare le competenze su almeno 14 delle 23 materie, cui possono aggiungersene altre due. Solo successivamente, sarà affrontata la questione delle risorse, che costituisce il capitolo più rilevante.

  Il professor Bertolissi, in rappresentanza della Presidenza della Regione Veneto, ha evidenziato che l'individuazione delle materie non può avvenire unilateralmente, ma deve essere il frutto di una trattativa, che deve portare ad una soluzione concretamente positiva per entrambe le parti.
  Circa la capacità dell'ente regionale di svolgere efficientemente le funzioni assegnate, in campo sanitario, la Regione, pur non disponendo di risorse comparabili a quelle di cui dispongono alcune Regioni confinanti, riesce comunque ad avere un sistema sanitario di livello. Inoltre, le università di Padova e di Verona risultano, sulla base delle classifiche, migliori di quelle di Trento e di Bolzano. Quindi, con minori risorse rispetto ad altri la Regione consegue risultati migliori.

  Il Presidente del Consiglio regionale veneto Ciambetti ha illustrato lo stato della trattativa in corso con il Governo, informando che si è deciso di procedere per gradi assegnando una priorità ad alcuni ambiti quali ambiente, lavoro, sanità, istruzione e politiche europee, in riferimento ai quali sono stati attivati tavoli tecnici.
  Si tratta di tematiche strategiche, in riferimento alle quali la Regione può assumere iniziative più affini al sistema economico- Pag. 29 produttivo della Regione. Ad esempio, nel caso delle politiche europee, un coinvolgimento della Regione sarebbe utile nella stesura dei regolamenti relativi ai fondi per la coesione, per una semplificazione degli adempimenti procedurali nell'interesse dei cittadini e delle imprese.

  Il sottosegretario Bressa ha fatto presente che, in esito ad un confronto avvenuto inizialmente solo con l'Emilia-Romagna e la Lombardia, si è definito di circoscrivere a cinque le materie fondamentali, sebbene l'articolo 116, terzo comma, consenta di trattare fino a 23 materie.
  La norma costituzionale parte dalla definizione di un nuovo modello di regionalismo, basato sulla Regione ad autonomia differenziata, la quale evidentemente è tale in ragione di una capacità di programmazione di se stessa e del proprio futuro e in ragione delle materie che vengono considerate decisive e fondamentali per garantire una maggiore autonomia, quindi una maggiore efficienza e un maggiore sviluppo.
  Risulta astratto, anche se perfettamente legittimo, immaginare che tutte e 23 le materie possano essere oggetto di devoluzione di maggiore autonomia.
  Ci sono infatti "materie che, pur avendo un aggancio costituzionalmente definito, non danno [...] autenticità alla differenziazione di un territorio rispetto all'altro". Al riguardo ha richiamato materie di legislazione concorrente, come l’«alimentazione» e l’«ordinamento sportivo», che solo astrattamente possono essere oggetto di una maggiore autonomia.
  È poi necessario considerare l'estrema complessità del confronto ed in particolare la definizione dei contorni dell'autonomia e di tutto quello che consegue, fino ad arrivare anche alla definizione della dimensione finanziaria.
  In una prima fase, in particolare durante l'incontro che è avvenuto a Bologna il 17 novembre 2017 alla presenza della Lombardia e dell'Emilia-Romagna, sono state definite come prioritarie le seguenti materie: «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» (la Lombardia chiedeva anche la «tutela dei beni culturali»); «tutela e sicurezza del lavoro»; «ricerca scientifica e tecnologica» e «sostegno all'innovazione per i settori produttivi»; «commercio con l'estero»; «tutela della salute».
  In occasione di un successivo incontro, che è avvenuto a Milano il 21 novembre, è stato chiarito che in aggiunta a queste prime cinque materie vi erano altre tre materie di interesse comune alle due Regioni, ossia i «rapporti internazionali con l'Unione europea delle Regioni», il «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario» e le «norme generali sull'istruzione», e altre due materie che interessavano in particolare la Regione Lombardia, ossia la «previdenza complementare e integrativa» e le «grandi reti di trasporto e di navigazione», per un totale di 10 materie di interesse.
  Il Veneto, che solo in un secondo momento ha chiesto l'attivazione della trattativa con il Governo (avendo prima atteso l'approvazione del progetto di legge statale), in occasione del primo incontro bilaterale, avvenuto il 1° dicembre, ha deciso di unirsi al percorso già intrapreso da Emilia Romagna e Lombardia riguardante la trattazione delle Pag. 30 richiamate aree, chiedendo con particolare interesse la trattazione della materia «tutela della salute».
  In seguito a una serie di incontri tecnici bilaterali e plurilaterali, si è arrivati alla definizione del primo pacchetto di materie sulle quali insistere con l'obiettivo di raggiungere una sorta di pre-intesa, cioè di un accordo politico tra il Governo e le tre Regioni.
  In conclusione, il Sottosegretario ha sottolineato che l'obiettivo è quello di pervenire, entro la fine della legislatura, ad una pre-intesa con le Regioni sulle seguenti materie: «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema»; «tutela della salute»; «tutela e sicurezza del lavoro»; «rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni» e «norme generali sull'istruzione» e«istruzione». Riguardo all'ultima materia citata, una particolare attenzione è dedicata al percorso della «formazione professionale», nel senso di ricomprendere la formazione professionale, che è già materia di competenza regionale, e l'istruzione tecnica professionale, richiedendo una nuova dimensione, che è quella delle lauree professionalizzanti; in tal modo si può concepire un percorso riguardo al rapporto scuola-lavoro-impresa omogeneo, coerente e capace di investire e accompagnare l'intero ciclo di studio.

2.5. Il riconoscimento di una più ampia autonomia richiede l'attribuzione di risorse aggiuntive alla Regione?

2.5.1. In caso affermativo, quale criterio dovrebbe essere utilizzato per stimare le risorse necessarie per le nuove funzioni? Come dovrebbero essere reperite? E come impedire che ciò determini uno squilibrio con le altre Regioni?

2.5.2. In caso contrario, come può essere garantita l'invarianza finanziaria?

  Per il Presidente della Regione Emilia-Romagna Bonaccini, l'attribuzione alle Regioni ordinarie di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia è condizionata, per espressa previsione dell'articolo 116, terzo comma, al rispetto dei principi di cui all'articolo 119. Quest'ultimo articolo, in particolare, garantisce la necessaria corrispondenza tra funzioni e risorse, imponendo al contempo la salvaguardia dei principi perequativo e solidaristico. L'integrale copertura finanziaria delle risorse necessarie allo svolgimento delle ulteriori funzioni attribuite ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, in conformità all'articolo 119. è inoltre espressamente sancita dall'articolo 14 della legge n. 42 del 2009, recante «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione».
  Sotto il profilo squisitamente tecnico, l'articolo 119 Cost. prevede tre modalità di finanziamento delle funzioni pubbliche attribuite agli enti territoriali, ossia: tributi ed entrate propri, compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibili al territorio ed eventualmente trasferimenti di natura perequativa. In concreto, la soluzione più immediatamente percorribile è quella di prevedere compartecipazioni sul gettito di tributi erariali riferibili al territorio regionale, da definire in sede di negoziato con il Governo. Pag. 31 
  Scelta politica fondamentale della Regione Emilia-Romagna, preliminare all'individuazione delle concrete modalità di finanziamento delle competenze differenziate, è in ogni caso quella di non ragionare in termini di richiesta dell'intero residuo fiscale regionale, quanto piuttosto quella di ancorare l'ammontare delle risorse necessarie alle reali necessità derivanti dall'esercizio delle singole competenze e delle funzioni da assumere; tale quantità di risorse, comunque, non dovrà generare alcun aumento della pressione fiscale a carico di cittadini e imprese.
  L'esigenza che l'attribuzione di nuove competenze e delle correlate risorse non determini squilibri a discapito di altre Regioni è alla base della scelta della Regione Emilia-Romagna in ordine all'estensione delle materie rispetto alle quali chiedere maggiori spazi di autonomia. Oggetto della proposta avanzata dalla Regione, infatti, non sono tutte le 23 materie astrattamente suscettibili di differenziazione, ma solo le materie in grado di proiettare l'azione politico-istituzionale della Regione verso i più alti standard di efficienza, nonché di valorizzare le vocazioni territoriali e la capacità di governo che la Regione e il sistema delle autonomie possono ulteriormente esprimere. Frutto della medesima logica, e con lo stesso obiettivo di salvaguardare l'unità giuridica ed economica della Nazione, è altresì la scelta chiedere il trasferimento alla Regione della competenza non su interi complessi di materie, bensì solo in relazione alle specifiche funzioni ed agli specifici compiti ritenuti strategici e peculiari del sistema regionale.
  A titolo esemplificativo, le imprese del territorio emiliano-romagnolo non riescono a trovare alcune figure di tipo tecnico-professionale specializzato o altamente specializzato, per cui, attraverso l'autonomia su una parte di materie della «formazione professionale», potrebbe essere rafforzata la rete di politecnici della Regione e potrebbero essere attivati una serie di investimenti su questo settore. O ancora, sulle politiche per la salute non è mai stato possibile rideterminare i ticket e rimodularli in base alla volontà territoriale, per cui questo compito potrebbe essere affidato alla Regione; altrimenti, occorrerebbe avere la certezza dei finanziamenti per le strutture ospedaliere, che oggi dipendono dalle leggi di bilancio approvate, senza che sia consentita una programmazione pluriennale degli investimenti.
  Il punto più complesso è quello della determinazione dei costi, perché mancano allo stato costi standard riconosciuti.
  Ciò premesso, le ulteriori risorse finanziarie, che saranno eventualmente attribuite alla Regione Emilia-Romagna, comporteranno peraltro ricadute positive nelle dinamiche, aumentando la competitività dell'intero sistema Paese e produrranno una crescita significativa del PIL nei prossimi anni, con effetti positivi sull'intera Nazione grazie all'aumento di opportunità di lavoro e delle maggiori entrate fiscali.
  Il Presidente della Regione Lombardia Maroni ha ricordato che la campagna elettorale referendaria è stata segnata dal tema del residuo fiscale, ossia la differenza tra quanto i cittadini lombardi pagano di tasse e quanto ricevono complessivamente dallo Stato. Si tratta di un residuo fiscale molto rilevante, ossia 54 miliardi di euro l'anno, e si è pensato di conseguire almeno la metà di questo residuo fiscale, ovvero 27 miliardi, per finanziare le nuove competenze e le nuove materie. Pag. 32 
  A questo ragionamento è stato obiettato che, trattandosi di trasferire competenze che oggi sono esercitate dallo Stato, non occorre aumentare le risorse, ma solo trasferirle dal bilancio statale al bilancio regionale.
  Tuttavia, questa obiezione può essere contestata, perché le risorse potrebbero essere destinate a progetti attualmente non previsti, ad esempio per la realizzazione di grandi infrastrutture, quali il traforo dello Stelvio.
  Il percorso intrapreso con il Governo potrebbe chiudersi non con la puntuale definizione delle risorse aggiuntive ma con la determinazione dei criteri con cui individuarle. Occorrerebbe fare riferimento ad una compartecipazione al gettito, che costituirebbe anche uno stimolo per la Regione a investire sulla crescita. All'aumento del PIL corrisponderebbe infatti l'aumento del gettito, e, quindi, della compartecipazione.
  L'altro capitolo è quello dei costi standard e dei fabbisogni standard, che si applicano in alcune materie, quali la sanità e il lavoro. Ciò comporta un criterio diverso per distribuire i fondi che adesso vengono assegnati alle Regioni; non vuol dire spendere meno, vuol dire spendere meglio. Nella sanità in particolare ci sono diversi studi utilizzabili in materia. Esiste già una letteratura che rileva che, se fossero utilizzati i costi standard, il Fondo sanitario nazionale, che oggi viene distribuito alle Regioni sulla base del costo storico, vedrebbe una distribuzione molto diversa delle risorse, a vantaggio delle Regioni più virtuose, quelle che spendono meglio.
  I costi standard dovrebbero essere un criterio da tenere presente, anche se è evidente che si tratta di un criterio applicabile solo dopo un periodo di attuazione, che duri almeno cinque anni, al fine di consentire alle Regioni che riceverebbero meno risorse di adeguarsi.

  Il professor Bertolissi, in rappresentanza della Presidenza della Regione Veneto, ha osservato che la questione delle risorse riguarda l'esigenza di una distribuzione territoriale delle medesime che non sia sperequata, ovvero che non sia segnata dai tratti distintivi che da sempre caratterizzano l'allocazione delle risorse presso le varie unità territoriali. Si tratta di un discorso che interessa tutti gli enti territoriali, non solo le Regioni; riguarda i rapporti tra Regioni ordinarie, i rapporti tra Regioni speciali, i rapporti tra Regioni ordinarie e Regioni speciali, nonché le amministrazioni comunali, nell'ambito della Repubblica e all'interno di ciascuna Regione. È un dato secondo il professore incontestabile che esiste da sempre; se ne trova traccia già nella relazione della Sottocommissione finanza della Commissione economica presentato all'Assemblea costituente nel 1946.
  Il problema delle risorse è una questione che, per il Veneto, è connesso strettamente alla sua collocazione tra il Friuli Venezia Giulia e il Trentino-Alto Adige, entrambe Regioni a statuto speciale, e alle criticità che ne derivano. La recente previsione nella manovra di finanza pubblica di un fondo di 19 milioni di euro per i comuni confinanti con il Friuli Venezia Giulia e, per altro verso, le varie iniziative del cd. «Fondo Letta», che consentono di stabilire un minimo di riequilibrio, testimoniano le difficoltà. Del resto, spostando il confine, come recentemente avvenuto con il passaggio del Comune di Sappada dal Veneto al Friuli, ci si limita a spostare il problema, perché Pag. 33 i Comuni che si trovano sul nuovo confine vivono le medesime condizioni e i medesimi problemi dei precedenti.
  Il professore Bertolissi, sottolineando il carattere personale di questa considerazione, ha rilevato che le richieste del Veneto, ed in particolare la richiesta dei nove decimi, sono intese ad estendere un sistema già esistente in alcune parti del territorio. A tali richieste non si può obiettare semplicemente l'insostenibilità per la Repubblica, atteso che il tema vero è quello di "correggere gli squilibri più evidenti, ossia quelli che determinano evidenti disparità di trattamento fra popolazione e popolazione". Il problema delle risorse evoca il dovere di solidarietà e il principio costituzionale di eguaglianza dei cittadini.
  Quello delle risorse aggiuntive è il discorso più delicato, che implica un ragionamento che non può essere affrontato nella relazione biunivoca Stato-Regione Veneto. È una questione di compatibilità generale, che deve tenere conto delle diverse esigenze.
  Il professor Bertolissi ha inoltre richiamato un'osservazione del Governatore della Banca d'Italia pro tempore che, nelle Considerazioni finali del 2008, richiama l'imponente afflusso netto di risorse intermediate dall'operatore pubblico verso il Sud, che costituisce il segno di una dipendenza economica ininterrotta di quest'ultimo.
  Per il reperimento delle risorse la chiave di volta è quella di una fiscalità autonoma, senza la quale non c'è responsabilità. Una responsabilità che potrebbe implicare anche su un'attribuzione di forme e condizioni di autonomie per un periodo determinato, al fine di consentire una verifica al termine della sperimentazione.

  Il Presidente del Consiglio regionale del Veneto Ciambetti ha richiamato l'attenzione sull'esigenza di correlare il trasferimento di funzioni al trasferimento di idonee risorse, e di assicurare la stabilità di queste ultime nel tempo. Ha citato in proposito i limiti dell'esperienza del trasferimento di deleghe e competenze connesse ai cosiddetti decreti Bassanini e al nuovo Titolo V della Costituzione. In particolare, il taglio di risorse dal 2010-2011 in poi ha fatto sì che Regioni, Province e Comuni abbiano mantenuto determinate responsabilità e competenze, senza poter più contare sulle risorse a suo tempo pattuite per poterle gestire.
  Il sottosegretario Bressa ha sottolineato come l'attribuzione di forme e condizioni ulteriori di autonomia sia finalizzata ad una maggiore efficienza del sistema complessivo, derivante in particolare della capacità delle Regioni di esercitare meglio dello Stato le competenze assegnate. In una prima fase non entrano in gioco risorse aggiuntive, oltre quelle che attualmente lo Stato destina alle medesime finalità.
  Il riferimento che verrà adottato quando si passerà alla seconda fase, cioè alla definizione della dimensione finanziaria, è ai fabbisogni standard. Ai fabbisogni, non ai costi, cioè alla definizione di qual è il valore definito di una prestazione perché quest'ultima possa considerarsi resa nel rispetto del principio di eguaglianza e di efficacia su tutto il territorio nazionale.
  Il parametro di riferimento per la quantificazione delle risorse non può invece essere il cosiddetto residuo fiscale. La teoria del residuo fiscale nasce all'inizio degli anni Cinquanta ed è elaborata dall'economista premio nobel Buchanan. Si parte da un dato estremamente Pag. 34 semplice e lineare: uno Stato federale è composto di realtà territoriali diverse una dall'altra: esistono realtà più ricche ed altre meno ricche. Trattandosi comunque di uno Stato federale ma unitario, il problema che deve porsi è l'individuazione dei meccanismi che consentano alle Regioni più ricche di contribuire all'andamento economico-finanziario delle Regioni meno ricche, per garantire l'uniformità e l'eguaglianza della prestazione dei diritti, soprattutto per quanto riguarda i diritti fondamentali e i bisogni fondamentali del Paese. Il residuo fiscale nasce in una logica esattamente opposta a quella a cui si è fatto spesso riferimento nel dibattito italiano sull'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, trattandosi di un contributo che il sistema delle Regioni conferisce allo Stato nazionale per garantire una base di partenza eguale a tutti i territori.
  In una prima fase, corrispondente a quella in essere, il confronto riguarda il livello della definizione delle materie oggetto dell'attribuzione di maggiore autonomia. Seguirà una seconda fase, in cui si definirà anche la dimensione delle risorse finanziarie.
  Nella prima fase fra gli obiettivi vi è anche quello di definire con chiarezza il tema dello strumento da utilizzare per finanziare la maggiore autonomia: occorre evitare che, una volta quantificato il valore di una determinata competenza regionale in uno specifico ambito materiale, alla Regione venga assicurato un trasferimento finanziario di pari entità, che potrebbe essere in futuro ridotto con l'applicazione ad esempio di tagli lineari da parte del Governo statale. Occorre invece definire una compartecipazione alla quota dei tributi sui redditi che vengono prodotti su quel territorio. Una volta che questa strada è stata intrapresa, è solo nell'ambito del rapporto bilaterale tra la Regione e lo Stato che questa misura può essere messa in discussione. Ciò mette al riparo la forza e l'importanza di un disegno di questo genere rispetto ad esigenze contingenti di finanza pubblica.
  Stabilito che le risorse per il momento sono quelle date, attraverso tale strumento la Regione è libera di scegliere eventualmente anche di ampliare o ridurre gli interventi che attualmente lo Stato pone in essere, a seconda della propria capacità di programmazione.

2.6. Come procede il negoziato con il Governo? Qual è il possibile esito? E in quali tempi? Ritiene che l'imminente conclusione della XVII legislatura possa pregiudicare la conclusione del percorso in itinere ovvero possa offrire l'occasione per una forte accelerazione dei negoziati con il Governo?

  Il Presidente della Regione Emilia Romagna Bonaccini ha ricordato di avere sottoscritto in data 18 ottobre 2017 il con il Presidente del Consiglio Gentiloni una «Dichiarazione di intenti», che ha formalizzato l'avvio del percorso verso la maggiore autonomia dell'Emilia-Romagna(4) . Pag. 35 
  Successivamente il percorso si è arricchito della presenza della Regione Lombardia, che ha scelto, tramite referendum consultivo, di attivare la procedura di cui al terzo comma dell'articolo 116 per chiedere al Governo il riconoscimento di autonomia in molte materie, formulando dunque una proposta che sotto vari profili risulta diversa da quella emiliano-romagnola. Tuttavia le due Regioni hanno deciso di condurre insieme il negoziato con il Governo, allo scopo di condividere le linee generali del percorso istituzionale da seguire, oltre che per rafforzare le reciproche proposte. Sono state così condivise modalità da proporre al Governo per lo svolgimento del negoziato, relativo a determinate aree tematiche strategiche all'interno delle quali si trovano le competenze su cui le due Regioni chiedono maggiore autonomia, pur nella consapevolezza che queste aree potranno essere diverse a seconda delle specificità territoriali.
  Il primo incontro «trilaterale» si è tenuto a Roma il 9 novembre, nella sede del Dipartimento per gli Affari regionali, su convocazione del Sottosegretario per gli Affari regionali Bressa, referente politico del Governo per il negoziato con Emilia-Romagna e Lombardia. In questa occasione si è formalmente insediato il tavolo paritetico di confronto che vede insieme il Governo e le due Regioni, per approfondire gli ambiti e le materie per i quali i Consigli regionali hanno dato mandato ai rispettivi presidenti di avviare la trattativa. Il tavolo paritetico si è poi riunito a Bologna, il 17 novembre, quindi a Milano il 21.
  Successivamente i funzionari dei ministeri interessati hanno incontrato separatamente rappresentanti politici e tecnici delle due Regioni per avviare un confronto di merito sulle richieste, così da dettagliarle al più presto, in termini di funzioni normative e amministrative e di corrispondenti risorse finanziarie.
  L'imminente conclusione della XVII legislatura induce a auspicare la compiuta definizione dei contenuti dell'intesa, rinviando al futuro Parlamento l'approvazione della legge per ogni singola Regione. In caso contrario la Regione presenterà nuovamente la propria proposta al nuovo Governo ed al nuovo Parlamento.
  Il Presidente della Regione Lombardia Maroni ha dato conto dell'avvio del confronto con il Governo, che la Regione ha voluto che fosse svolto congiuntamente con la Regione Emilia-Romagna, disponibile in tal senso.
  Il confronto si è concretizzato con l'insediamento del tavolo di Bologna il 17 novembre, in cui sono trattate cinque materie(5) ; di quello di Milano il 21 novembre, con ulteriori cinque materie(6) ; successivamente Pag. 36  con l'insediamento di un terzo tavolo un tavolo a Roma per le rimanenti materie.
  Rispetto all'andamento della trattativa, ha espresso fiducia sulla possibilità di giungere ad un accordo con il Governo entro la fine del mese di gennaio, o comunque entro la fine della legislatura, fermo restando che spetterà poi al Parlamento nella prossima legislatura approvare l'accordo (o non approvarlo) con una legge, che richiede una maggioranza qualificata.

  Il professor Bertolissi, in rappresentanza della Presidenza della Regione Veneto, ha sottolineato come il negoziato con il Governo si sia avviato in modo proficuo e in linea con il principio di leale collaborazione. L'imminente conclusione della legislatura non inciderà sul processo, trattandosi di una questione che riguarda le istituzioni coinvolte, più che le parti politiche, con i rispettivi orientamenti, che partecipano alla trattativa. Comunque si concluda il negoziato, con o senza un accordo di carattere generale, in ogni caso è importante essere partiti con il piede giusto, senza sterili contrapposizioni e in una dinamica animata dal proficuo contraddittorio.

  Il presidente del Consiglio regionale del Veneto Ciambetti ha espresso l'auspicio che si giunga ad un accordo con il Governo entro la fine della legislatura e che in ogni caso il lavoro che si sta compiendo risulti propedeutico per il futuro Parlamento.

  Il sottosegretario Bressa ha affermato l'impegno delle parti a sottoscrivere un'intesa tra i Governi regionali e il Governo nazionale, affinché il frutto del negoziato in corso non sia disperso. Ciò sebbene il prossimo Parlamento e il prossimo Governo godranno della massima autonomia politica, parlamentare e legislativa, per cui potrebbero non dare seguito ad un atto che proviene dalla legislatura precedente.
  Poiché l'accordo è frutto dell'attuazione del principio costituzionalmente garantito della leale collaborazione, l'impegno delle parti è quello "che la veste e la forma di queste intese e di questi accordi sia tale da mettere il prossimo Governo e il prossimo Parlamento, nel caso non volessero dare corso e concludere il processo di intesa, nella condizione di doverlo motivare". In tal modo, la questione non sarà rubricabile esclusivamente a valutazioni di tipo politico, poiché occorrerà "tenere conto di una procedura che ha visto dei soggetti costituzionalmente garantiti e costituzionalmente titolati di questo protagonismo raggiungere una sorta di preaccordo".

2.7. Ritiene utile che la trattativa con il Governo sia condotta in modo unitario assieme alle altre Regioni o ritiene preferibile un percorso autonomo?

  Il Presidente delle Regione Emilia-Romagna Bonaccini ha ricordato che, dopo l'approvazione della dichiarazione di intenti, la Regione Lombardia ha chiesto di essere aspettata al fine di condurre congiuntamente la trattativa con il Governo.
  Anche se nel merito le proposte delle due Regioni risultano, sotto vari profili, diverse, le due Regioni hanno deciso di condurre insieme il negoziato con il Governo, allo scopo di condividere le linee generali Pag. 37 del percorso istituzionale da seguire, oltre che per rafforzare le reciproche proposte. Il percorso comune è risultato ottimale, prescindendo da ogni logica di appartenenza politica.
  Successivamente anche la Regione Veneto, dopo una risoluzione approvata in Consiglio regionale, ha deciso di unirsi alla trattativa e questo costituisce un fatto da salutare positivamente.

  Il professor Bertolissi, in rappresentanza della Presidenza della Regione Veneto, ha evidenziato come la scelta di condurre o meno congiuntamente il negoziato rappresenta una questione di carattere empirico-pratico, che va misurata in ragione della capacità del tavolo di tenere conto (o meno) degli intendimenti dei partecipanti.

2.8. Riterrebbe utile un'attribuzione di forme e condizioni di autonomia di carattere "temporaneo", al fine di consentire allo Stato e alla Regione, dopo un congruo periodo di sperimentazione pluriennale, una valutazione ex post sulla base della quale definire un'attribuzione in via permanente?

  Secondo il Presidente della Regione Emilia Romagna Bonaccini, potrebbe risultare opportuno un meccanismo di monitoraggio sull'esercizio delle nuove funzioni e prerogative regionali riconosciute in forza dell'articolo 116, terzo comma, sebbene questa norma non lo preveda espressamente. Tantomeno la norma prevede l'ipotesi di un riconoscimento temporaneo, sebbene non lo vieti nemmeno.
  Occorre però distinguere il monitoraggio della nuova fase autonomistica regionale dalla temporaneità del relativo riconoscimento.
  È ormai un metodo consolidato della scienza amministrativa quello per cui ogni riforma istituzionale, soprattutto se sperimentale o comunque connotata da un alto tasso di novità, deve essere accompagnata da una verifica, puntuale ed effettiva, del suo impatto sulle istituzioni e sulla società. Peraltro si tratta di un principio metodologico applicato anche nel settore della regolamentazione (si pensi all'analisi e valutazione d'impatto e alla smart regulation di derivazione europea). Nel caso di specie, data la natura «consensuale» o comunque collaborativa che caratterizza l'intervento, i criteri di monitoraggio dovrebbero essere oggetto dell'intesa tra Stato e Regione che preluderà all'emanazione della legge con cui il Parlamento sancirà il riconoscimento di nuove prerogative e funzioni all'Emilia-Romagna.
  Si auspica che il monitoraggio in questione abbia esito positivo, tanto da spingere le parti a concordare il riconoscimento di ulteriori forme di autonomia. Purtroppo l'esito potrebbe anche risultare negativo, ma non ne deriverebbe automaticamente la riattribuzione in capo allo Stato delle funzioni decentrate: semmai andrebbero indagate le cause di questo esito e di conseguenza ripensati alcuni aspetti o modalità del riconoscimento e del nuovo assetto autonomistico, così da adeguarli agli obiettivi prefissati (ad esempio, rendendo più organici i plessi di funzioni trasferite o erogando maggiori risorse).
  Per questi motivi non sembra necessario né opportuno condizionare temporalmente l'attribuzione di autonomia in oggetto, anche perché una simile strategia potrebbe generare negli operatori del settore e nella collettività una sensazione di precarietà che potrebbe pregiudicare la concreta attuazione della riforma.

Pag. 38 

  Il professor Bertolissi, intervenuto ai lavori della Commissione su delega del Presidente della Regione Veneto, ha espresso – a titolo personale – favore verso un'eventuale attribuzione a termine di forme e condizioni ulteriori di autonomia, al fine di consentire una verifica al termine della sperimentazione, nell'ottica del rispetto del principio di responsabilità che dovrebbe informare l'attività delle istituzioni.

  Il sottosegretario Bressa ha segnalato che nelle intenzioni del Governo l'accordo dovrà prevedere che le ulteriori forme e condizioni di autonomia siano attribuite alle Regioni per un tempo determinato – che non può essere inferiore a dieci anni – entro il quale la nuova fase costituzionalmente definita possa essere monitorata e verificata. Ciò comporta la necessità di identificare nell'ambito del negoziato in corso anche le modalità con cui retrocedere da questa attribuzione, che avrà determinato nel frattempo il trasferimento di risorse umane, finanziarie e patrimoniali), nel caso in cui si dimostri che l'attività di maggiore autonomia concessa a una Regione non ha prodotto gli effetti che si immaginava potesse produrre.

2.9. La Regione ha intrapreso in precedenza tentativi per ottenere ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?

2.9.1. In caso affermativo, per quali ragioni non sono andati a buon fine?

  Il Presidente del Consiglio regionale della Lombardia Cattaneo, nella memoria trasmessa alla Commissione, ha ricordato che, a cavallo tra il 2006 e il 2007, la Regione aveva formulato un'articolata proposta di iniziativa regionale per la richiesta di attivazione dell'articolo 116, terzo comma. Il Consiglio regionale, nella seduta del 3 aprile 2007, aveva infatti approvato la deliberazione n.VIII/367 concernente l'attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia su dodici materie. La finalità esplicitata in tale documento era quella di "rafforzare il ruolo nevralgico in ambito socio-economico, anche a beneficio dell'interesse delle collettività nazionali e a conferma di quell'assunzione di ruolo di responsabilità sempre assicurati dalla [...] Regione".
  Il percorso, poi interrotto, aveva condotto solo ad un atto di intesa procedurale sottoscritto dal Governo e dalla Regione il 30 ottobre 2007 per definire le modalità di avvio del percorso e di conduzione della fase negoziale.

  Il professor Bertolissi, in rappresentanza della Presidenza della Regione Veneto, ha ricordato che la prima iniziativa delle Regione per una maggiore autonomia – intesa sulla base del quadro costituzionale dell'epoca come autonomia speciale – risale all'inizio degli anni Novanta, iniziativa bloccata nel 1992 dalla Corte costituzionale. Successivamente la richiesta di autonomia speciale è stata reiterata e nuovamente frenata dalla Corte.
  Con l'apertura della stagione del federalismo fiscale, erano attese soluzioni innovative alla questione, soluzioni che poi non sono arrivate. Pag. 39 
  Il professore ha infine richiamato il precedente tentativo di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, condotto tra la fine del 2007 e gli inizi del 2008, oggetto della delibera del Consiglio regionale n. 98 del 18 dicembre 2007. Rispetto alla richiesta trasmessa al Governo centrale non si è avuto alcun seguito, come del resto è accaduto con riferimento ad analoghe iniziative adottate da altre Regioni, probabilmente perché i tempi non erano maturi.

2.10. Riterrebbe utile un intervento del legislatore statale volto a disciplinare in modo dettagliato il procedimento da seguire per l'attivazione dell'articolo 116, terzo comma? Per quali ragioni?

2.10.1. In caso affermativo, quali dovrebbero essere i contenuti minimi dell'intervento normativo?

  Il Presidente della Regione Emilia-Romagna Bonaccini, nella documentazione depositata nel corso dell'audizione, ha fatto presente che l'assenza di una disciplina analitica del procedimento di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, Cost. "ha il pregio di non ingessare un iter che deve essere ispirato alla massima celerità e fluidità". Oltre al testo costituzionale, l'unica fonte del procedimento è l'articolo 1, comma 571, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014), a mente del quale «anche ai fini del coordinamento della finanza pubblica, il Governo si attiva sulle iniziative delle Regioni presentate al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali ai fini dell'intesa ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione nel termine di sessanta giorni dal ricevimento».
  La norma non contempla una disciplina dettagliata del procedimento, limitandosi a dettare disposizioni relative alla fase iniziale di quel dialogo Stato-Regione che caratterizza il procedimento di cui all'articolo 116, attribuendo un ruolo centrale al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali, cui spetterà di gestire i rapporti con la Regione al fine di pervenire rapidamente all'intesa, creando una sorta di corsia preferenziale.
  Un intervento del legislatore statale, volto a disciplinare in modo dettagliato il procedimento da seguire per l'attivazione dell'articolo 116, terzo comma, non sembra dunque indispensabile e, anzi, potrebbe avere il difetto d'irrigidire e standardizzare un percorso istituzionale che ha forti connotazioni politiche e quindi potrebbe, di volta in volta, imporre tempi e modalità diversi, cioè condizionati dalle materie oggetto della richiesta e del territorio regionale interessato.
  I fatti, peraltro, sembrano confermare queste conclusioni, posto che l'attuale percorso avviato dall'Emilia-Romagna si sta svolgendo con rapidità e profitto pur in assenza di una procedura di legge.

3. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

  Il tema del riconoscimento di forme di «autonomia differenziata» ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione si è imposto al centro del dibattito sul rapporto tra Stato e Regioni dopo l'esito non confermativo del referendum sulla riforma costituzionale, a seguito Pag. 40 delle iniziative intraprese dalle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.
  In Lombardia e Veneto l'iniziativa delle Regioni è stata preceduta da un referendum consultivo. In Emilia-Romagna, la procedura si è avviata con una risoluzione dell'Assemblea legislativa, su impulso dell'esecutivo.
  L'indagine conoscitiva ha evidenziato come l'attivazione di forme e condizioni particolari di autonomia presenti significative opportunità per il sistema istituzionale nel suo complesso, oltre che per la singola Regione interessata.
  Il percorso contemplato dalla disposizione costituzionale costituisce innanzitutto un'occasione per le Regioni virtuose di realizzare appieno le proprie potenzialità, massimizzando, in termini di efficienza, il proprio valore aggiunto e realizzando la propria specifica vocazione (D'Atena).
  Si evidenziano vantaggi in termini di gestione efficiente delle risorse pubbliche, atteso che l'attribuzione di funzioni e competenze a beneficio di determinate Regioni avviene nel caso in cui queste siano in grado di esercitarle meglio di quanto ad oggi riesca allo Stato.
  Inoltre, tenuto conto delle ampie differenze in termini sociali, economici e demografici che si riscontrano fra i territori, una più forte regionalizzazione delle competenze può favorire un'allocazione più efficiente delle risorse anche attraverso un'offerta di beni e servizi pubblici più conforme alle esigenze e alle preferenze del territorio.
  La valorizzazione delle identità, delle vocazioni e delle potenzialità regionali determinano l'inserimento di elementi di dinamismo nel sistema regionale e, in prospettiva, la possibilità di favorire una competizione virtuosa tra i territori. La differenziazione e l'asimmetria rappresentano uno strumento per potenziare la capacità di programmazione e di sviluppo della singola Regione che ne beneficia e, contestualmente, spinge le altre Regioni ad assumere comportamenti più virtuosi e a seguire le migliori pratiche.
  Fra le potenzialità del sistema, si è altresì fatto riferimento nel corso dell'indagine alla capacità di offrire una risposta idonea rispetto a forme di disagio(7)  avvertite in alcune Regioni a statuto ordinario confinanti con Regioni a statuto speciale, tenuto conto che a queste ultime sono assicurate speciali forme e condizioni di autonomia e una più consistente autonomia finanziaria, anche con riferimento alla modalità con cui sono chiamate a contribuire alla finanza pubblica.
  L'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, non deve essere intesa come lesiva dell'unitarietà della Repubblica, del principio solidaristico che la contraddistingue e tanto meno come anticamera di una richiesta di secessione. Piuttosto, la stessa solidarietà tra le Regioni più avanzate e quelle più arretrate potrebbe realizzarsi secondo schemi nuovi e più efficaci se attuata attraverso il coinvolgimento diretto delle Regioni e non, come oggi, solo attraverso il riparto operato al centro (Mangiameli).
  Il percorso autonomistico delineato dall'art.116, terzo comma, mira ad arricchire i contenuti e completare l'autonomia ordinaria, all'interno del disegno delineato dal Titolo V della Costituzione (come Pag. 41 ridefinito nel 2001), che potrà dirsi compiutamente realizzato quando tutte le Regioni, e non solo alcune, avranno ottenuto la maggiore autonomia che l'articolo 116, terzo comma, consente. Il raggiungimento di un siffatto alto grado di maturità per lo Stato regionale italiano potrà peraltro favorire il superamento del divario territoriale, e non una sua accentuazione (Mangiameli).
  Uno dei punti più delicati del dibattito riguarda il tema delle risorse finanziarie che devono accompagnare il processo di rafforzamento dell'autonomia regionale. Al riguardo, nell'ambito dell'indagine conoscitiva è emersa come centrale l'esigenza del rispetto del principio, elaborato dalla giurisprudenza costituzionale, della necessaria correlazione tra funzioni e risorse.
  Una volta individuate le competenze e le funzioni che, in base alla specificità della singola Regione, costituiscono l'oggetto dell'attribuzione di maggiore autonomia, devono essere riconosciute alle Regioni le risorse occorrenti per lo svolgimento dei nuovi compiti, sulla base di parametri oggettivi quali i costi standard o, come evidenziato dal Sottosegretario Bressa, dei fabbisogni standard.
  Sempre in tema di risorse, nell'ambito dell'indagine è stato sottolineato come occorra individuare una soluzione che sia idonea a garantire la stabilità delle stesse, al fine di poter mettere al riparto il processo in atto da eventuali esigenze contingenti legate a manovre economiche restrittive. Al riguardo l'indicazione che è emersa è quella di puntare a forme di compartecipazione al gettito dei tributi sui redditi prodotti nel territorio come strumento principale per l'attribuzione delle risorse necessarie.
  L'indagine si è altresì soffermata sugli aspetti procedurali relativi all'attuazione dell'articolo 116, terzo comma. In proposito, l'assenza di una disciplina legislativa di completamento delle disposizioni costituzionali non è stata avvertita come un possibile ostacolo all'attuazione della disposizione costituzionale, né da parte del Governo, né da parte delle Regioni intervenute. Del resto, a fronte di taluni elementi di incertezza, il maggior grado di flessibilità della disciplina offre aspetti di utilità pratica, ampliando gli ambiti rimessi all'accordo fra le parti.
  Altri aspetti di rilievo emersi, strettamente collegati all'assenza di una rigorosa disciplina, sono: i) l'ampio margine di autonomia delle Regioni circa la modalità per l'attivazione della procedura, che può vedere come protagonista la Giunta nel sollecitare l'avvio del negoziato con il Governo, ovvero il Consiglio regionale, che può approvare una proposta di legge statale; ii) il coinvolgimento del Consiglio delle autonomie locali, al fine di adempiere alla previsione costituzionale secondo cui occorre acquisire l'orientamento degli enti locali della Regione interessata.
  Quanto alla legge di attribuzione della maggiore autonomia, si tratta di una legge non solo rinforzata (per via della necessità della maggioranza qualificata di entrambe le Camere), ma anche atipica. Essa ha infatti come oggetto il recepimento dell'intesa, di cui non può modificare i contenuti, in analogia a quanto avviene con le leggi che recepiscono le intese volte a disciplinare i rapporti fra lo Stato e le confessioni religiose diverse da quella cattolica. Si tratta pertanto di una legge in senso formale, vincolata all'intesa precedentemente raggiunta tra Governo e Regione. Pag. 42 
  Tenuto conto dell'immodificabilità del testo dell'intesa, anche per assicurare che il percorso verso una maggiore autonomia si svolga in un'ottica condivisa, appare opportuno che il Governo, una volta definito uno schema di accordo e prima di procedere alla firma, sottoponga gli esiti della trattativa, nella forma di un preaccordo, al Parlamento, il quale potrebbe, con un atto di indirizzo, esprimere il proprio avviso, eventualmente segnalando criticità del testo esaminato, di cui le parti potrebbero tener conto in sede di definizione del testo definitivo dell'intesa. Ciò avrebbe il vantaggio di assicurare una particolare speditezza all’iter di approvazione del disegno di legge volto a recepire un accordo su cui è già stata registrata la condivisione delle Camere.
  Ulteriore spunto di interesse emerso dall'indagine conoscitiva è l'ipotesi di un'eventuale retrocessione allo Stato delle attribuzioni di maggiore autonomia concesse alle Regioni. Fatta salva la possibilità in ogni momento di una nuova legge nel rispetto delle forme previste dall'art.116, terzo comma, eventuali retrocessioni possono essere attivate solo se contemplate nell'intesa. Ciò potrebbe avvenire ad esempio disponendo che le forme e condizioni di autonomia siano attribuite in via sperimentale per un congruo periodo di tempo (almeno dieci anni), e che la conferma, la retrocessione o una rimodulazione delle stesse siano collegate agli esiti di una valutazione della modalità con cui la Regione ha operato. Una siffatta clausola avrebbe il pregio di evitare un irrigidimento del sistema delle competenze (dal quale ci si potrebbe altrimenti muovere solo in presenza del contestuale consenso della Regione interessata, del Governo e del Parlamento), che per molti aspetti sarebbe persino superiore rispetto a quello riconosciuto alle Regioni a statuto speciale. Va peraltro segnalato che una completa retrocessione appare difficilmente realizzabile in prospettiva, tenuto conto che essa rappresenterebbe una sfida di pari complessità rispetto al riconoscimento dell'autonomia, una volta che si sia proceduto al trasferimento di risorse umane e patrimoniali, oltre che delle provviste finanziarie.
  Anche nella fase di monitoraggio dell'eventuale fase sperimentale parrebbe opportuno riservare al Parlamento un ruolo centrale.
  In conclusione, dall'indagine è emerso che le trattative in corso sembrano destinate ad andare a buon fine e a condurre, a distanza di circa 17 anni dalla riforma del Titolo V della Costituzione, all'attuazione dell'articolo 116, terzo comma. La naturale scadenza della legislatura in corso, che inevitabilmente rallenterà il processo, non pare infatti costituire un ostacolo insormontabile al percorso avviato. Rispetto ad analoghe iniziative assunte da alcune Regioni nel biennio 2007-2008, di cui si perse traccia con il cambio di legislatura del 2008, quelle in corso presentano infatti elementi di notevole differenziazione: innanzitutto le richieste avanzate da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna non hanno un connotato di prevalente contrapposizione polemica rispetto al Governo centrale, ma si caratterizzano per un elevato livello di concretezza; si registra una sostanziale condivisione fra la maggioranza delle forze di governo e di opposizione a livello sia nazionale che territoriale sull'utilità dello strumento; lo stato delle trattative fra Governo e Regioni è particolarmente avanzato, come non lo era stato nel biennio richiamato.

(1)  Il Presidente Maroni ha ricordato in proposito che si è svolta una regolare gara, sulla base quale sono state acquistate 24.000 voting machine, una sorta di tablet, che hanno consentito di effettuare il voto elettronico in tutti i seggi, attraverso una procedura molto semplice, con l'utilizzo del touch screen. La votazione si è svolta in maniera assolutamente regolare durante tutto l'arco della giornata. Alcuni problemi si sono verificati al momento della chiusura dei seggi, non per un malfunzionamento del sistema, ma a causa del fattore umano. Alcuni presidenti di seggio non hanno rispettato la procedura e hanno inizializzato le tre voting machine di ciascun seggio con lo stesso codice; conseguentemente il computer non ha letto i codici, scartando i risultati delle voting machine successive alla prima. In secondo luogo, alcuni Comuni hanno allestito una sala insufficiente per la ricezione dei verbali e delle chiavette elettroniche, per trasmettere i risultati immediatamente al livello centrale della Regione, per cui si sono formate lunghe code di coloro che portavano le chiavette dai seggi.
Il Presidente ha inoltre fatto presente che la sperimentazione ha avuto nel complesso un esito soddisfacente e che il know how acquisito è a disposizione del Ministro dell'interno per un eventuale utilizzo in altre elezioni. Il Ministero dell'interno è stato infatti coinvolto, per il contemporaneo svolgimento in 17 Comuni del referendum per le fusioni ed ha quindi verificato le procedure ed il sistema di voto. Successivamente le voting machine sono state ricondizionate e messe a disposizione gratuitamente del sistema scolastico regionale, anche ai fini del collegamento con le LIM (lavagne interattive multimediali).

(2)  Quindi persino antecedenti alla riforma del Titolo V del 2001 che ha, fra l'altro, introdotto in Costituzione il terzo comma dell'art. 116.

(3)  Firmatari patto per il lavoro: Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Anci, Upi, Legautonomie, Uncem, Agci, Confcooperative, Legacoop-ER, Cna, Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti, Cia, Coldiretti, Confagricoltura, Confindustria, Confapindustria, Confservizi, Unioncamere, Abi, Forum Terzo Settore, Ufficio Scolastico Regionale per l'Emilia-Romagna, Università di Bologna, Università di Ferrara, Università di Modena e Reggio Emilia, Università di Parma, Confimi, Comune di Bologna, Comune di Ferrara, Comune di Forlì, Comune di Modena, Comune di Parma, Comune di Piacenza, Comune di Ravenna, Comune di Reggio Emilia, Comune di Rimini, Città Metropolitana di Bologna, Provincia di Ferrara, Provincia di Forlì-Cesena, Provincia di Modena, Provincia di Parma, Provincia di Piacenza, Provincia di Ravenna, Provincia di Reggio Emilia, Provincia di Rimini, Regione Emilia-Romagna.

(4)  Il contenuto della «Dichiarazione di intenti» è il seguente: «A seguito della risoluzione adottata il 3 ottobre dal Consiglio Regionale dell'Emilia Romagna, al fine di ottenere forme e condizioni particolari di autonomia, il Governo e la Giunta regionale intendono dare corso a tale proposito. Quanto al Governo, anzitutto mediante i necessari approfondimenti con tutti i Ministeri interessati, tenendo conto delle possibilità e dei limiti stabiliti dalla Costituzione. Come è noto, l'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, prevede al riguardo un procedimento complesso: il primo passo è già stato compiuto, perché si è manifestata una volontà univoca, da parte della Regione, nella sua assemblea elettiva, diretta a tale scopo. Le materie interessate saranno oggetto di ogni necessaria valutazione, da compiere anche in forma bilaterale, in modo da perseguire un esito positivo sia per la Regione sia per l'ordinamento repubblicano sia, soprattutto, nell'interesse del Paese».

(5)  Il Presidente ha affermato che si tratta in realtà di sei materie, perché una è una materia esclusiva dello Stato che comprende anche una materia concorrente, cioè «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali», materia esclusiva, mentre fra le concorrenti vi sono anche i «beni culturali».

(6)  Anche in questo caso il Presidente ha fatto presente che in realtà le materie sono sei, perché c'è l’«istruzione», che è una delle tre materie esclusive, ma è anche una delle materie concorrenti.

(7) Forme di malessere che hanno determinato la richiesta di alcuni Comuni di essere distaccati da una Regione a statuto ordinario per essere aggregati ad una Regione a statuto speciale limitrofa, ai sensi dell'art. 132, secondo comma, della Costituzione.