XVII Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 8 di Giovedì 4 giugno 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE MALATTIE RARE

Seguito dell'audizione di rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano.
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 3 
Miotto Anna Margherita (PD)  ... 3 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 4 
Binetti Paola (AP)  ... 4 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 4 
Facchin Paola , Coordinatrice del gruppo interregionale «Malattie rare» della Commissione Salute della Conferenza delle regioni e delle province autonome ... 5 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 10

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIERPAOLO VARGIU

  La seduta comincia alle 14.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Seguito dell'audizione di rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione di rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano.
  Oltre alla professoressa Paola Facchin, coordinatrice del gruppo interregionale «Malattie rare» della Commissione Salute della Conferenza delle regioni e delle province autonome, che ringrazio per la disponibilità a ritornare per il seguito dell'audizione, è presente il dottor Paolo Alessandrini, dirigente del settore Rapporti con il Parlamento.
  Ricordo che nella seduta del 21 maggio scorso la professoressa Facchin ha svolto un'ampia relazione preannunciando la spedizione di un volume dal titolo Stato dell'assistenza alle persone con malattia rara in Italia: il contributo delle Regioni presentato dalla Commissione Salute – Tavolo Tecnico Malattie Rare – Coordinamento delle Regioni. Il volume è in distribuzione, per chi ne volesse prendere conoscenza.
  Eravamo d'intesa che i colleghi che avessero voluto porre delle domande, stante l'interesse della relazione che la professoressa Facchin aveva reso, avrebbero potuto farlo nella giornata odierna.
  Pertanto, do la parola ai colleghi che desiderano intervenire per porre domande alla professoressa Facchin.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO. Intendo rivolgere due brevi domande. Una delle domande, posta a più riprese – anche dal presidente, e io concordo con lui – nelle precedenti audizioni, riguarda la modalità più semplice per modificare il decreto ministeriale n. 279 del 2001 sulle malattie rare.
  La revisione periodica che fa il Governo puntualmente deve andare al visto della Corte dei conti, poi serve la bollinatura, e allora si rischia di bloccare il provvedimento perché si individua la necessità di nuove risorse. Sarebbe come rimandare indietro un malato che si presenta al pronto soccorso con una diagnosi che non è molto facile formulare subito, perché non si sa se la malattia è compresa o meno in un elenco. Questo ovviamente non accade.
  Il decreto serve per individuare tutte le fasi delle esenzioni per i farmaci e per le prestazioni connesse, però bisognerebbe trovare una modalità più spedita, una sorta di automatismo, naturalmente con delle garanzie.
  Vorrei conoscere la sua opinione a questo riguardo, dal momento che lei riveste un ruolo di grande rilievo e importanza, anche sul versante istituzionale, per il rapporto esistente fra Stato e regioni.Pag. 4
  La seconda questione riguarda un tema anch'esso già affrontato. Nella individuazione dei centri talvolta assistiamo a una frammentazione, a una moltiplicazione che magari non si giustifica da un punto di vista organizzativo. Allora, come pensiamo di risolvere il problema ? Mi riferisco al fatto che ci sono magari tanti centri che fanno screening, ma poi la presa in carico è di altri soggetti, mentre la continuità avrebbe un senso e sarebbe più efficace.
  Va bene formulare delle linee di indirizzo, ovviamente d'accordo con le regioni, ma da questo punto di vista dobbiamo essere un po’ esigenti con le regioni, perché la tendenza alla frammentazione talvolta porta non a un migliore servizio per i cittadini ma allo scadimento della qualità. In questo caso, in particolare, laddove c’è bisogno di centri di altissima specializzazione, probabilmente la scissione fra screening e presa in carico e cura diventa pericolosa.
  Vorrei conoscere il suo parere.

  PRESIDENTE. Poniamo prima tutte le domande, poi diamo la parola alla professoressa Facchin per un giro di risposte.

  PAOLA BINETTI. La prima domanda riguarda gli screening neonatali e le riflessioni che ha fatto la professoressa Facchin nella scorsa audizione sull'insufficienza delle risorse messe a disposizione rispetto al numero delle patologie che potrebbero essere oggetto di screening e al numero di bambini che potrebbero essere sottoposti allo stesso.
  Davanti alla oggettiva incommensurabilità di queste due situazioni, quale potrebbe essere l'auspicio da parte vostra ? Ridurre il numero di patologie oggetto di screening, mantenendo l'estensione universale dei bambini ? Oppure in che modo si può intervenire ?
  La seconda domanda si muove nella linea ora richiamata dalla collega Miotto. Separare il momento della diagnosi, che comunque chiama in causa competenze di natura «clinico-biologica», quindi anche esperienze di laboratorio, dal momento della comunicazione ai familiari e della presa in carico crea un itinerario con troppe possibilità che il percorso si inceppi.
  Allora, mi chiedo se, come succede in alcuni casi, non sia possibile effettivamente avere dei luoghi dove si fa dell'altissima diagnosi perché si richiedono strumenti e tecnologie avanzate, ma anche la comunicazione, non dal laboratorio alla famiglia, bensì a quel fronte di esperti clinici che sono potenzialmente in condizione di prendersi cura del paziente.
  Infine, chiedo in che misura si sta procedendo perché la ricerca non sia orientata soltanto a definire le nuove patologie, ma anche a definire, nell'ambito di patologie note, quegli overlap tra una patologia e l'altra che sono troppo spesso considerati puramente sul piano sintomatologico, quindi sembrano richiedere di volta in volta interventi di tipo diverso, mentre se fossero ricondotti a una comune origine potrebbero essere anche affrontati in maniera più razionale e più facilmente gestibile dalle realtà cliniche.

  PRESIDENTE. Non essendovi altre richieste di intervento, vorrei un chiarimento su un aspetto sul quale peraltro è già intervenuta la collega Margherita Miotto e aggiungere una domanda.
  Come riferito dall'onorevole Miotto, la Commissione si pone il problema se sia possibile avere un aggiornamento dei LEA che riguarda specificamente le malattie rare diverso rispetto a quello a cui normalmente siamo abituati. Ciò deriva dal fatto che da più parti, nelle audizioni che abbiamo svolto, è stata posta l'esigenza di un maggiore elemento di dinamismo per quanto riguarda le malattie rare, con l'idea che, nell'ambito delle malattie rare, si creino delle situazioni di necessità che sono differenti rispetto al resto delle patologie.
  Noi vorremmo sapere se questa sensazione corrisponde alla realtà e devo dire che conosciamo per metà la risposta. Di solito ci viene risposto che, normalmente, non accade che il paziente affetto dalla malattia rara che non è tabellata resti Pag. 5privo di risposta sanitaria, ma questa risposta è comunque contenuta all'interno di altri pezzi dei LEA, quindi, come diceva la collega Miotto, il paziente che va al pronto soccorso e ha una nuova malattia rara – mi permetta di definirla così – ha comunque un'assistenza correlata al fatto che l'esplicitazione della malattia di cui è affetto è comunque ricompresa nell'ambito delle attività tutelate dai LEA.
  Da più parti, tuttavia, è stato sottolineato che un sistema diverso, che preveda l'ingresso all'interno dei LEA in modo sostanzialmente più automatico, con un dinamismo più efficace, trattandosi di patologie del tutto speciali dal punto di vista dell'impatto sul sistema sanitario, sarebbe molto migliore dal punto di vista del paziente.
  Vengo alla seconda domanda. Mi sembra che le malattie rare rappresentino – anche questo punto è stato toccato dall'onorevole Miotto – una delle sfide di globalizzazione più importanti del sistema sanitario. In questa Commissione abbiamo affrontato più volte il problema della medicina transfrontaliera e il collega Monchiero è stato relatore del parere che questa Commissione ha reso su questo tema.
  Mi sembra che, più di qualunque altro tipo di patologia, le malattie rare certifichino che non ci può essere una risposta regionale. Ci sono regioni che hanno un bacino d'utenza di 800.000-1.000.000 di abitanti, ed è evidente che non hanno i numeri per centri specialistici; hanno i numeri probabilmente per un centro regionale di riferimento che faccia da punto di smistamento delle problematiche, ma non di presa in carico definitiva del problema.
  Mi sembra che, per alcuni versi, questo valga anche per le nazioni, nel senso che considerando anche i numeri delle singole nazioni europee, spesso, soprattutto per alcune patologie che hanno incidenza genetica o particolare prevalenza e incidenza in zone determinate dell'Europa, sia difficile pensare a una risposta nazionale e sempre più verosimile, invece, un approccio transnazionale, quindi con centri di riferimento europei.
  Vorrei conoscere il parere delle regioni a questo riguardo. Grazie.

  PAOLA FACCHIN, Coordinatrice del gruppo interregionale «Malattie rare» della Commissione Salute della Conferenza delle regioni e delle province autonome. Grazie per le domande. Alcune sono in qualche modo integrate fra di loro, quindi cercherò di riassumere le risposte.
  Il primo problema riguarda l'individuazione di modalità più semplici per aggiornare il decreto n. 279 e per aggiornare i «LEA» per i malati rari. Vi sono due aspetti: l'aggiornamento dell'elenco e l'aggiornamento dell'offerta assistenziale in termini di trattamenti, non solo farmacologici, ma anche dietetici, di presìdi, di protesi e quant'altro.
  Esiste un altro modo, oltre quello di solito usato di mettere tutto all'interno del «carrozzone» LEA, che poi di solito si ferma al MEF per problemi di copertura economica, quindi si ferma tutto, anche ciò che riguarda le malattie rare.
  Sono due le proposte avanzate dal coordinamento delle regioni, che comunque possono essere percorse anche in questo momento: una riguarda l'aggiornamento dell'elenco delle malattie rare, l'altra l'aggiornamento di alcuni trattamenti.
  Per l'aggiornamento dell'elenco, si può procedere nel modo seguente: prima si raggiunge un accordo tecnico sull'aggiornamento – vi ricordo che il primo accordo tra tecnici delle regioni e del ministero era stato fatto nel 2004 e adesso siamo al quarto accordo, chiuso nel giugno dell'anno scorso, quindi non è un problema l'aggiornamento tecnico – in seguito si può benissimo includere questo nuovo elenco in un nuovo DM che aggiorna il precedente DM. Poiché l'elenco delle malattie rare è un allegato al DM 279 del 2001, scritto in attuazione di una legge precedente, esso può benissimo essere aggiornato con un altro DM. Inserire l'elenco delle malattie rare all'interno del DPCM dei LEA è stata una scelta, non è un'assoluta Pag. 6necessità. L'aggiornamento dell'elenco era stato originalmente pensato proprio attraverso un nuovo DM. Quindi, la proposta – che, ripeto, abbiamo anche già formulato – è quella di aggiornarlo con un proprio DM, cioè di togliere l'aggiornamento dell'elenco da questo carrozzone, perché si bloccherà sempre, mentre l'aggiornamento dell'elenco deve essere dinamico, perché la conoscenza delle malattie è dinamicamente evolutiva, per la parte genetica eccetera, e quindi non può avere questi tempi. È fattibile, questa è una scelta strategica, perché giustamente, come diceva l'onorevole Miotto, non è che avere questo elenco, dire che è una malattia rara o meno definisca di per sé una serie di prestazioni che altrimenti questi pazienti non avrebbero.
  Quindi, se leggete attentamente le norme, lo spazio c'era, ma per una scelta strategica è stato deciso di fare altrimenti. Poteva avere un senso, però l'esperimento di quattordici anni ha dimostrato che in realtà è fallimentare. Tuttavia, si può anche cambiare verso.
  Altro discorso, sempre nella direzione di essere più dinamici, riguarda i trattamenti. Questo è un problema grossissimo ed è il problema che impatta di più nei malati rari, perché la diagnosi da ricoverati in ospedale ce l'hanno, ma poi impattano sul problema dei trattamenti extraospedalieri, poiché farmaci in fascia C, essenziali non sostituibili, off-label, farmaci in commercio all'estero, dietetici ad altissimo costo, presìdi ad altissimo costo eccetera, sono tutti fuori LEA.
  Come si può fare ? Una possibilità, almeno per quanto riguarda i farmaci di efficacia notissima – quindi non sperimentali ma noti – è quella di fare un elenco specifico per le malattie rare all'interno della legge n. 648 del 1996 specifico per la malattia rara, esattamente come è stato già fatto per la parte oncologica. Anche questo si può fare da domani.
  Non c’è nessun ostacolo strutturale normativo. Lo ripeto, è già stato fatto per l'oncologia, tanto più dovrebbe essere fatto per le malattie rare, che, proprio perché sono rare, quasi mai sono riportate nelle indicazioni alla messa in commercio dei farmaci e quindi il loro uso per i malati rari è off-label, a carico quindi del paziente. Questa è una cosa che si può fare e permetterebbe anche ai pazienti che sono nelle regioni in piano di rientro e non possono fare integrazione ai LEA di avere accesso a questi trattamenti.
  Quindi, se scorporiamo tutti i problemi da questa cosa enorme dell'aggiornamento dei LEA e tiriamo fuori almeno ciò che è fattibile e lo facciamo a parte, non dico che risolviamo tutti i problemi, però intanto incominciamo a risolverne taluni, e non sarebbe male.
  Un altro tema, quello dei centri, è stato richiamato da più parti. Come vi ho già detto, in Italia i centri sono 196. Quindi, rispetto alla popolazione, rispetto a ciò che succede in Francia, a quello che sta succedendo in Germania eccetera (tre giorni fa ero a Colonia), non sono eccessivi come numero. Il problema è un altro: la qualità non è uguale e la qualità è in relazione alla casistica.
  Ci sono centri che hanno grossissime casistiche anche a livello internazionale, di qualità eccellente, e centri che non ce l'hanno. Fermo restando che non bastano solo i centri, ma occorre anche tutto il resto dell'assistenza, come ho già detto l'altra volta, siamo in questo momento nella condizione ideale per fare un po’ di pulizia e dire quali sono i centri che funzionano davvero bene e quali sono i centri che magari sono importanti in sede locale, ma non possono aspirare a essere internazionali né europei.
  Questa occasione è il bando degli ERN che ci sarà in dicembre di quest'anno, per cui tutti i Paesi si stanno muovendo. Questo bando è importantissimo per salvare i nostri centri che funzionano bene, per permettere loro di essere in queste reti che raccoglieranno finanziamenti rilevanti per il futuro, non tanto per l'assistenza quanto per la ricerca, soprattutto la ricerca clinica. Quindi essere dentro alle reti come centri veri e propri di competenza oppure solo come centri accreditati e quindi essere portatori d'acqua di queste Pag. 7reti è una discriminante importantissima per i centri e per i pazienti italiani. Non abbiamo molto tempo, ma siamo in condizione di poterlo fare.
  Anche qui, c’è un problema di volontà di farlo. Abbiamo chiesto in tutte le sedi – lo chiedo anche a voi, e molto accoratamente – di far partire subito i lavori di una Commissione, che è già stata istituita presso il Ministero della salute, con i tecnici dello stesso e i tecnici delle regioni, per la valutazione di questi centri e per portare delle candidature italiane oggettivamente validate.
  Noi regioni – tutte d'accordo – vi possiamo fornire i dati sulle le attività dei centri in termini di pazienti seguiti, oggettivamente contati, non autocertificati, sul numero di nuove diagnosi, sul numero di piani assistenziali e di presa in carico. Ordiniamoli semplicemente dal più basso al più alto, decidiamo un cut off – che sia il primo quartile, la mediana, non lo so – e da quello in sopra sono centri da presentare in Unione europea, da quello in giù non è che si chiudano, ma non sono da presentare in Unione europea, in base all'attività che effettivamente svolgono.
  Questa è un'offerta di massima trasparenza nelle decisioni e nei processi, e anche uno stimolo per tutte le regioni e per i centri a lavorare bene, a unirsi e non a dividersi.
  Ebbene, questa Commissione non si è mai insediata, non sta lavorando in questa maniera e io so, come sapete voi, che vi sono moltissimi gruppi, singoli ospedali, clinici eccetera, che tirano la giacchetta più o meno forte.
  Questo tipo di procedimento, secondo me, è assolutamente autolesionista. Peraltro, in Italia abbiamo una forza rispetto a tutti gli altri Paesi europei: siamo l'unico Paese che ha numeri veri sull'attività dei centri; gli altri non ce l'hanno. Usiamo allora questa forza per fare emergere il valore di alcuni dei nostri centri. Perché non dobbiamo farlo ? Facciamo lavorare questa Commissione, diamole l'incarico di valutare i numeri e in base ai numeri decidiamo: da qui in su, sì; da qui in giù, no. È una proposta forse non raffinatissima, ma molto concreta e fattibile nel giro di pochissimo tempo. In tal modo, ci presenteremo con serietà e trasparenza con quello che è stato fatto.
  Vengo alla questione della divisione tra centri per diagnosi e centri per presa in carico. In realtà, i centri non sono singole unità operative: un laboratorio di biochimica clinica, ad esempio per gli screening, per quanto perfetto, non sarà mai un centro di riferimento. I centri sono fatti da più unità operative, quindi il laboratorio sarà insieme a quello di genetica, insieme al reparto di malattie metaboliche, ma anche insieme a quello delle malattie neurologiche eccetera, per le diverse variazioni delle malattie.
  Quindi, il centro è un'unità funzionale con più unità operative. Molte regioni hanno già deliberato in tal senso. L'Unione europea va verso questa visione e noi dobbiamo spingere perché tutti ci vadano. In tal modo, anche la frammentazione e la moltiplicazione dei centri verranno in qualche modo ridotte.
  Per me, in medicina, una diagnosi è sempre clinica. Il laboratorio può dare una mano molto importante, come anche la diagnostica per immagini eccetera, ma non sarà mai un test di laboratorio che determina una diagnosi clinica, non sarà mai il laboratorio che fa la comunicazione diagnostica alla famiglia.
  Questo è anche il limite del decreto che è stato presentato sugli screening, che confonde la diagnosi e il test di primo livello, laboratoristico, con la diagnosi clinica di malattia. Tutti sappiamo che da un test di primo livello ci sono falsi positivi e, purtroppo, anche falsi negativi. La diagnosi va confermata e va confermata clinicamente. Non si fa diagnosi di metaboliti, si fa diagnosi di malati, che è una cosa ben diversa.
  Quindi, il punto cruciale anche per gli screening delle malattie metaboliche non è la disponibilità di laboratori con spettrometria di massa tandem, perché quelli ci sono già in Italia. Il problema è la disponibilità di centri clinici per le malattie Pag. 8metaboliche in tutta Italia che abbiano risorse sufficienti per poter garantire assistenza adesso e nel futuro.
  Questo è quello che manca e molto spesso anche centri noti e di grande qualità si basano solo sulle spalle di un clinico e se questo si sposta, va in pensione eccetera, cade il centro. Ciò non deve accadere. Noi dobbiamo fare i centri buoni, valutarli, ma dobbiamo anche dare le risorse perché possano trattare i pazienti. Questo significa riconoscere il carico assistenziale del malato raro, che non è il carico medio di DRG.
  Se ho malati rari spalmati, pochi, in mezzo a un'enormità di altri malati per lo stesso gruppo di pazienti, lo stesso DRG, è come se fosse la coda estrema e si bilancia con tutto il resto; ma se ho centri che funzionano bene e quindi aggregano solo malati rari, e tanti malati rari, avranno solo la coda pesante in termini di assistenza e quindi, in termini economici, faranno solo buchi economici all'interno dell'azienda sanitaria. Meglio lavorano, più bravi sono, più buchi fanno.
  Capite bene che questa situazione non può durare all'infinito, perché anche i direttori generali hanno la necessità di pareggiare un bilancio. Se un grande ospedale è un grande ospedale per le malattie rare, avrà tantissimi pazienti pesanti di tanti centri al proprio interno e quindi avrà enormi buchi. Allora, o si adeguano le tariffe oppure questo sistema non può reggere.
  Le tariffe si possono adeguare in due modi, anche questi fattibili purché ci sia la volontà da subito: o si danno delle tariffe per funzione, come è stato fatto per il 118, il sistema urgenza-emergenza, le rianimazioni e così via, oppure – meglio, secondo me – si danno delle tariffe che considerino una serie di attività, ad esempio la consulenza a distanza, il supporto, che questi centri svolgono, che impegnano molto ma che attualmente non sono considerate.
  Come ho detto nella scorsa audizione, adesso c’è la cornice normativa, l'accordo sulla consulenza a distanza, anche con presa in carico a distanza del paziente, ma deve essere tariffato. Per attivare in pratica il contenuto dell'accordo è necessario creare e sviluppare in tutto il paese l'infrastruttura tecnologica che consenta il collegamento veloce e sicuro tra centri e altre strutture sanitarie e definire nei dettagli gli aspetti più immateriali che regoleranno questo sistema, quali le norme, i piani di responsabilità, la gestione dell'informazione e della sua accessibilità, e così via. Tutto questo è indispensabile per creare un vero e proprio sistema di assistenza. Si può far partire utilizzando anche i fondi per le innovazioni strutturali, quelli dell'Agenda digitale e i fondi europei per l'innovazione. Con ciò possiamo creare l'infrastruttura che consenta di offrire consulenza in maniera seria e sicura e quindi anche di tariffare queste nuove prestazioni. L'infrastruttura creata per le malattie rare servirà anche per altro.
  Questa sarebbe un'azione molto importante e anche una valutazione, non solo trasparente ma reale, dei centri che funzionano bene e di quelli che non funzionano. Se posso chiedere la consulenza a distanza ed è uguale per tutti i centri, selezionerò quello che mi dà una risposta migliore, quindi in qualche modo saranno premiati i migliori e non quelli che davvero non svolgono una buona attività. Le cose, dunque, si possono fare. Basta farle e non mettere tutto insieme, altrimenti non si risolve assolutamente nulla.
  Per quanto riguarda screening e risorse, è palese che non ci sono nel decreto – non so nella legge – le risorse per fare lo screening con le quarantanove malattie indicate e via dicendo. Ci sono risorse per circa il 10 per cento, e solo per il test di primo livello, perché non si considera la conferma diagnostica e la presa in carico: è palese che così non si va da nessuna parte.
  Cosa si può fare, allora ? Quello che chiediamo, considerato che si vuole fare un decreto o una legge nazionale, è che si metta a chiare lettere che questo è un LEA. Se lo si fa e si trova anche questa benedetta copertura, i problemi sono risolti.Pag. 9
  Se non si vuole agire sui LEA, anziché mettere dentro cinquanta malattie, tutte partenti dall'idea del metabolita, poiché molte di queste attualmente non hanno trattamento e alcune sono varianti biochimiche, non malattie, togliamo almeno queste e cerchiamo di concentrarci su un numero molto più ristretto di malattie vere, per le quali c’è trattamento, quindi lo screening è veramente rilevante.
  Se non possiamo fare tutto, almeno facciamo le cose più rilevanti, però mettiamole come LEA, cioè facciamo in modo che per tutti sia uguale.
  Quello della ricerca è un tema molto importante, un tema generale, che non riguarda solo l'Italia. C’è un rapporto distorto tra temi finanziati della ricerca e rilevanza degli stessi in funzione dei bisogni della vita dei pazienti. Se dovessimo disegnarli creeremo una figura distorta come l'omuncolo cerebrale, in cui alcuni aspetti o parti sono enormemente ingranditi e altri sono assolutamente ristretti e sottovalutati. Questo accade in tutto il mondo. Gli aspetti della ricerca genetica, quindi nuovi geni legati alle malattie, sono molto supportati. Moltissimi finanziamenti vengono dati per questo aspetto, a livello nazionale – pochi purtroppo – e anche a livello internazionale. Lo stesso vale per la ricerca per la terapia eziologica, i nuovi farmaci eziologici, sostitutori enzimatici e via dicendo.
  Invece, la ricerca per i trattamenti sintomatici, ma anche per modelli organizzativi migliori, la ricerca per le protesi e gli ausili innovativi che possono cambiare molto la vita di questi malati vengono finanziate pochissimo, e in Italia nulla.
  Come ho anticipato, sono tornata ieri da una riunione ristretta che abbiamo avuto con i Ministeri francese e tedesco sullo sviluppo dell'ERN e altro. Sono rimasta molto colpita perché, nel discutere di come contare i malati rari, ho presentato cosa stiamo facendo in Italia e tutti l'hanno definito fantastico, poiché loro non hanno nemmeno un numero.
  Era in discussione l'idea di assumere lo stesso nostro sistema, che abbiamo messo in piedi con un consorzio di regioni, anche per la Francia e per la Germania, ma il niet è venuto dal capo del DIMDI (Deutsches Institut für Medizinische Dokumentation und Information) che ha detto che sarebbe un danno per le ditte informatiche tedesche perché non hanno questo prodotto. Questo per dirvi come ricerca, commercio e innovazione siano elementi strettissimamente collegati.
  Nel campo delle malattie rare noi abbiamo cose che non ha davvero nessuno: ricerca, innovazione e salute. Tuttavia, non solo non le difendiamo, non le conosciamo, ma addirittura, nelle nostre beghe interne – se sono più importanti le regioni o questo o altro – vengono distrutte perché non vengano a conoscersi. Invece, il Paese che non ha quasi niente in questo settore difende quello che ha con le unghie e con i denti e impedisce alle altre cose di emergere.
  Questo è un problema di salute, ma anche di economia. Non si danno i farmaci ai malati rari perché non ci sono i soldi e, dall'altra parte, non si prendono i soldi che si potrebbero prendere valorizzando giustamente le cose che abbiamo e che sono nate in questo Paese.
  Non c’è un limite, non è che abbiamo una legge che ci impedisce di fare le cose, ma semplicemente non le facciamo. Perché non cerchiamo di farle ? Perché non cerchiamo di difendere le tre o quattro cose che abbiamo davvero, anche a livello internazionale, prendendo da lì le risorse per fare altre cose ? Non è un sogno, è fattibilissimo. Dobbiamo farlo, però, e non soltanto stare qui a indicare gli altri.
  Vorrei fare una considerazione che riguarda il rapporto tra bacino d'utenza e centri. È evidente che ci dev'essere un rapporto tra la popolazione seguita, cioè il bacino d'utenza, e la possibilità di avere un centro per malattie rare: il problema non è quindi l'etichetta nazione, regione eccetera, ma la grandezza della popolazione seguita e la presenza e il numero dei centri.
  È evidente che, a seconda di come organizziamo i centri, dobbiamo avere bacini di utenza più o meno grandi. Ci Pag. 10sono, in Italia, regioni che sono come una ASL e regioni che sono come un Paese medio europeo; ci sono Paesi europei che sono più piccoli delle nostre regioni. Quindi, l'etichetta di per sé non dice niente.
  L'orientamento dell'Unione europea (anche adesso, per il bando ERN) è di non costruire reti legate alla malattia e neanche a piccoli gruppi malattia. Si sta parlando di ventidue filiere, cioè ventidue tipologie diverse di centri. Ad esempio, tutte le malattie ematologiche, che comprendono sia la parte – enorme – delle anemie, sia la parte dei difetti di coagulazione, sia la parte delle leucemie, verrebbero messe tutte insieme. Quindi, sono filiere enormi. Stiamo attenti, dunque, perché è vero che non servono molti centri, ma neanche troppo pochi. Se in Veneto, che ha 5 milioni di abitanti, abbiamo circa 4.000 pazienti ematologici, senza le leucemie, non possiamo immaginare che 40-50.000 pazienti (4.000 moltiplicato per 11) siano tutti seguiti in un unico centro, in primo luogo perché non si possono fare mille chilometri avanti e indietro, in secondo luogo perché nessuno potrebbe seguirli tutti di fatto.
  Quindi, il numero dei centri deve essere proporzionato al numero dei soggetti ipotetici che ci andranno. È questo l'equilibrio corretto, altrimenti diventa anche questa una follia.
  Inizialmente presso l'Unione europea si pensava a un centro per tipologia per nazione, ma tutti, quando hanno provato a farlo, si sono resi conto che dipende dagli abitanti. Una cosa è un Paese da 80 milioni, da 60 milioni, un'altra è un Paese da un milione e mezzo, da due milioni. Tuttavia, ha ragione perfettamente chi dice che non ci devono essere barriere.
  È importantissima, a questo riguardo, l'esperienza di aggregazione che spontaneamente – anche con errori, per carità – si sta realizzando sulle malattie rare in Italia. Questa aggregazione, che è già arrivata a nove regioni, non è una bazzecola, non è una stupidità, ma è una cosa molto importante, perché è stata molto difficile da realizzare, come si può immaginare. Tuttavia, l'esperienza sta andando sempre più avanti perché si è capito che, mettendosi insieme e in qualche modo rispettando la peculiarità di ogni regione, ma anche facendo scelte comuni, sistemi comuni, strumenti comuni, si va meglio.
  Questa potrebbe essere un'esperienza da esportare in altri settori, ma sicuramente da aiutare e supportare perché si estenda ulteriormente per le malattie rare. È importante creare dei sistemi che abbiano le radici all'interno dei servizi regionali, ma anche una visione più ampia, e permettano una circolazione del tutto libera e senza alcuna difficoltà per i pazienti.

  PRESIDENTE. Credo che sia stata un'audizione molto chiara, con risposte molto puntuali alle domande che abbiamo posto e anche con ragionamenti che vanno al di là delle nostre stesse domande e che saranno utili quando dovremo decidere come terminare la nostra indagine conoscitiva.
  Ringrazio davvero di cuore la dottoressa Facchin anche per la disponibilità dimostrata a ritornare una seconda volta in audizione, a causa dei problemi che abbiamo avuto nella precedente occasione, e il dottor Alessandrini che l'ha nuovamente accompagnata.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.15.